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Tesis sobre el tema "Architettura in pietra"

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Bertolazzi, Angelo. "Modernismi litici (1922-1942) : la pietra nell' Architettura moderna". Thesis, Paris Est, 2013. http://www.theses.fr/2013PEST1047.

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Resumen
L'architecture moderne des années 20 et 30 est en général caractérisée par un usage des nouveaux matériaux que son l'acier, le béton et le verre. Pourtant la pierre a joué également un rôle important, quoique plus modeste, dans la définition du "style moderne", rôle qui a été peu étudié dans les nombreux travaux qui ont porté sur cette période. Pendant des siècles, la "construction pierre par pierre", a été un aphorisme de la culture occidentale qui renvoyant à l'action archaïque de construire, que ce soit au niveau de bâtiment ou de la ville. C'est la raison pour laquelle elle a toujours été associée à la tradition, et délibérément occultée par le Mouvement Moderne. Cependant elle témoigne bien des transformations en cours de la phase cruciale de la "modernisation" de la société et donc de l'architecture et de la construction. La pierre est aussi un excellent lieu d'analyse de la phase délicate de transition d'un tissu technique et commerciale traditionnel, vers une industrialisation naissante et des nouvelles technologies qui lui sont liées
Reading the project of the Modern and its constructive cultures in relation to the historical conditions and the technology, allows exploring some aspects of Modern Architecture in Europe. Besides the traditional, more studied and known triad of "moderns" materials, steel, concrete and glass, the stone also played an important role, in the definition both of "modern construction and modern style". The construction in stone was always associated with the tradition and then forgotten by the Modern Movement, during the crucial phase of society's "modernization" and therefore its architecture and construction. The stone however explains this delicate transition from the traditional art of building in stone to the new technologies
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Bertolazzi, Angelo <1978&gt. "Modernismi Litici 1922-1942. La pietra nell'Architettura Moderna". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5416/1/bertolazzi_angelo_tesi.pdf.

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Resumen
Leggere il progetto del Moderno e le sue culture costruttive in relazione alla storia e allo sviluppo della tecnologia, consente di esplorare alcuni aspetti dell’Architettura Moderna in Europa. Oltre alla più famosa, e maggiormente studiata, triade dei materiali ‘moderni’ – l’acciaio, il calcestruzzo e il vetro – la pietra ha svolto un importante ruolo nella definizione sia dello stile che della costruzione moderna. La costruzione in pietra è stata sempre associata alla tradizione e quindi deliberatamente dimenticata dal Movimento Moderno, durante la fase cruciale della modernizzazione della società e quindi dell’architettura e della costruzione. La pietra tuttavia testimonia la delicata transizione dalla tradizionale arte del costruire alle nuove tecnologie. La ricerca ha studiato l’evoluzione delle tecniche costruttive in pietra in Francia ed in Italia, durante gli anni ’20 e ’30, in relazione alle nuove tecniche industrializzate e i linguaggi delle avanguardie. La ricerca è partita dallo studio dei manuali, delle riviste e dei progetti presentati sulle loro pagine. In Italia e in Francia il rivestimento in pietra si afferma come un sistema costruttivo ‘razionale’, dove la costruzione moderna converge lentamente verso nuove soluzioni; questo sistema ha avuto negli anni ’20 e ’30 un ruolo centrale, nel quale è stato possibile un dialogo, senza contraddizioni, tra i materiali ‘moderni’ e la pietra. L’evoluzione dalle tradizionali tecniche costruttive verso i nuovi sistemi tecnologici, ha determinato una nuova costruzione in pietra che è alla base di una modernità che non rifiuta questo materiale tradizionale, ma lo trasforma secondo i nuoci principi estetici.
Reading the project of the Modern and its constructive cultures in relation to the historical conditions and the technology, allows exploring some aspects of Modern Architecture in Europe. Besides the traditional, more studied and known triad of "moderns" materials, steel, concrete and glass, the stone also played an important role, in the definition both of "modern construction and modern style". The construction in stone was always associated with the tradition and then forgotten by the Modern Movement, during the crucial phase of society’s "modernization" and therefore its architecture and construction. The stone however explains this delicate transition from the traditional art of building in stone to the new technologies. The research studies this evolution of construction techniques in stone in France and Italy during the '20s and '30s, related to the new industrialized construction and the avant-garde languages. It begins with the study of technical manuals, the reviews and the projects presented on its pages. The stone cladding, in Italy and France, grows as a model of constructive rationality, where "modern" building techniques slowly converge toward to new solutions. The modern cladding in stone during the '20s '30s has a central role, where the dialogue is possible, without contradiction, between the materials so-called "modern" and the stone. The evolution from traditional techniques to new technological systems determined a new construction in stone that is the basis of modernity and that doesn’t reject this traditional material, but transforms it according to the new aesthetic principles.
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Bertolazzi, Angelo <1978&gt. "Modernismi Litici 1922-1942. La pietra nell'Architettura Moderna". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5416/.

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Resumen
Leggere il progetto del Moderno e le sue culture costruttive in relazione alla storia e allo sviluppo della tecnologia, consente di esplorare alcuni aspetti dell’Architettura Moderna in Europa. Oltre alla più famosa, e maggiormente studiata, triade dei materiali ‘moderni’ – l’acciaio, il calcestruzzo e il vetro – la pietra ha svolto un importante ruolo nella definizione sia dello stile che della costruzione moderna. La costruzione in pietra è stata sempre associata alla tradizione e quindi deliberatamente dimenticata dal Movimento Moderno, durante la fase cruciale della modernizzazione della società e quindi dell’architettura e della costruzione. La pietra tuttavia testimonia la delicata transizione dalla tradizionale arte del costruire alle nuove tecnologie. La ricerca ha studiato l’evoluzione delle tecniche costruttive in pietra in Francia ed in Italia, durante gli anni ’20 e ’30, in relazione alle nuove tecniche industrializzate e i linguaggi delle avanguardie. La ricerca è partita dallo studio dei manuali, delle riviste e dei progetti presentati sulle loro pagine. In Italia e in Francia il rivestimento in pietra si afferma come un sistema costruttivo ‘razionale’, dove la costruzione moderna converge lentamente verso nuove soluzioni; questo sistema ha avuto negli anni ’20 e ’30 un ruolo centrale, nel quale è stato possibile un dialogo, senza contraddizioni, tra i materiali ‘moderni’ e la pietra. L’evoluzione dalle tradizionali tecniche costruttive verso i nuovi sistemi tecnologici, ha determinato una nuova costruzione in pietra che è alla base di una modernità che non rifiuta questo materiale tradizionale, ma lo trasforma secondo i nuoci principi estetici.
Reading the project of the Modern and its constructive cultures in relation to the historical conditions and the technology, allows exploring some aspects of Modern Architecture in Europe. Besides the traditional, more studied and known triad of "moderns" materials, steel, concrete and glass, the stone also played an important role, in the definition both of "modern construction and modern style". The construction in stone was always associated with the tradition and then forgotten by the Modern Movement, during the crucial phase of society’s "modernization" and therefore its architecture and construction. The stone however explains this delicate transition from the traditional art of building in stone to the new technologies. The research studies this evolution of construction techniques in stone in France and Italy during the '20s and '30s, related to the new industrialized construction and the avant-garde languages. It begins with the study of technical manuals, the reviews and the projects presented on its pages. The stone cladding, in Italy and France, grows as a model of constructive rationality, where "modern" building techniques slowly converge toward to new solutions. The modern cladding in stone during the '20s '30s has a central role, where the dialogue is possible, without contradiction, between the materials so-called "modern" and the stone. The evolution from traditional techniques to new technological systems determined a new construction in stone that is the basis of modernity and that doesn’t reject this traditional material, but transforms it according to the new aesthetic principles.
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Belemmi, Lucia, Samuele Vaccari y Federica Zauli. "Cavezzo, isola di pietra. Percorsi di identità urbana". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amslaurea.unibo.it/6904/.

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La nostra ricerca si è focalizzata sul tema dell’identità di Cavezzo, risorsa preziosa che la catastrofe ha distrutto in un attimo, insieme alle vite umane e ai beni materiali. La perdita di identità comporta infatti negli abitanti la percezione di vivere la propria quotidianità in una sorta di “non luogo”. Poiché il nostro progetto non può essere in grado di risolvere il dolore umano provocato da questo evento, abbiamo agito sulla città per quella che è o che dovrebbe essere, ovvero un agglomerato di architetture, spazi pubblici e privati, capaci di restituire riconoscibilità, e dunque senso di appartenenza, ai suoi cittadini. L’obiettivo principale è stato quindi quello di dare agli abitanti un’immagine diversa ma chiara del proprio paese. L’evento del terremoto non viene infatti congelato, musealizzato o usato come pretesto per ricostruire “com’era dov’era”, ma diventa l’occasione per ripensare la città nella sua interezza e per affrontare riflessioni sulla gerarchia fra spazi collettivi e individuali, e sulla capacità di questi elementi di tenere insieme la comunità. Abbiamo deciso di chiamare la nostra tesi “Cavezzo, isola di pietra. Percorsi di identità urbana” innanzitutto perché il nostro progetto si è focalizzato su uno degli isolati urbani maggiormente sedimentati di Cavezzo, uno dei pochi luoghi radicati nella storia della città. Esso conserva il nucleo originario, nato a partire dalla chiesa di Sant’Egidio, attorno al quale si è poi sviluppato tutto l’aggregato urbano, e detiene una forte e radicata relazione con gli elementi naturali della Bassa, in quanto l’acqua del canalino che vi sorgeva è generatrice di forme e il verde instaura relazioni con la campagna limitrofa. Questi segni casuali di una natura che agisce incontrollata e plasma la forma di queste terre diventano il pretesto iniziale che dà vita a tutto il nostro progetto, sia per la sua forma, sia per la sua collocazione ed il significato che esso assume all’interno della città. Questo progetto, radicato nella storia, si snoda in diversi percorsi paralleli che vedono il susseguirsi di tre interventi che, nonostante la loro diversità, possono essere comunque letti in modo unitario. Queste tre operazioni vengono infatti tenute insieme da alcuni principi condivisi che rafforzano la leggibilità dell’intervento complessivo; in particolare una relazione rimane sempre imprescindibile per tutti: quella con la città e con le preesistenze. Tutti e tre i progetti lavorano sulla gerarchia tra spazi pubblici e privati, indagando tematiche diverse, seppur legate, come quelle della casa e del teatro.
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Campolucci, Sara y Marika Leardini. "Educazione sostenibile. Progetto di riqualificazione del complesso scolastico Ponte Pietra a Cesena". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amslaurea.unibo.it/5310/.

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Oggetto di questa tesi è la riqualificazione energetica del complesso scolastico, formato dalla scuola materna "i Girasoli" e dalla scuola elementare "il Gelso", localizzate a Ponte Pietra, frazione di Cesena. La strategia di intervento prevede l'assunzione degli obiettivi funzionali fissati dall‟Amministrazione, ma anche una riqualificazione urbana del sito in esame e una riqualificazione architettonica delle due scuole. Per definire gli obiettivi di progetto e quindi le strategie da adottare, è stata effettuata una analisi dell'area in cui si andava ad operare e soprattutto una analisi dei due edifici in oggetto. A scala urbana, analizzando le funzioni dell'area di intervento è emerso che il lotto all‟interno del quale è inserito il polo scolastico è centrale per la frazione, ospitando infatti i principali edifici pubblici. Dall‟ analisi sono emerse diverse criticità, tra cui la localizzazione su una strada ad alto scorrimento, si è perciò previsto di inserire una "zona 30" e di riqualificare i percorsi esistenti, per garantire la massima permeabilità e valorizzare la fruizione pedonale dell'area. Per quanto concerne le funzioni, il progetto ha proposto di recuperare un edificio di quest‟area e adibirlo a spazio ricreativo costituendo un polo attrattivo che aumenti la fruizione dell‟area in ogni ora della giornata e che sia anche punto di incontro per la comunità, sia per i più piccoli sia per gli anziani. A scala architettonica, gli due edifici presentano numerosi inconvenienti. Innanzi tutto la relazione con il contesto: l‟ingresso alle due scuole risulta infatti pericoloso perché localizzato sulla strada a scorrimento veloce, e inoltre scomodo perché servito da un insufficiente parcheggio. All‟interno degli edifici,la disposizione degli spazi non permette di sfruttare appieno le potenzialità delle due piccole scuole, inoltre alcuni ambienti risultano sottodimensionati rispetto alla normativa vigente. Il progetto prevede una ridistribuzione interna dei vari ambienti, anche per consentire agli edifici di soddisfare le mutate esigenze dell'utenza . Per quanto concerne gli obiettivi di contenimento dei consumi energetici dell‟edificio fissati dall'Amministrazione, il fabbisogno attuale è stato verificato tramite un software certificato. Quindi si è proceduto ipotizzando diversi step di progressivo miglioramento delle prestazioni energetiche, simulate tramite il software, fino a fare raggiungere agli edifici la Classe energetica A. Ciò ha richiesto di intervenire sia sull'involucro che sul sistema impiantistico esistente. La tesi ha valutato anche alcuni elementi del quadro economico e finanziario dell'intervento, determinando il tempo di ritorno degli investimenti necessari per la riqualificazione energetica, in relazione alla riduzione dei consumi futuri che essa è permette di conseguire.
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Zavatta, Giacomo. "Rifunzionalizzazione e recupero di una vecchia falegnameria. La nuova biblioteca del centro Spirituale di Marola (RE)". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2022.

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In un contesto come quello italiano, dove si è da sempre costruito con l’idea che l’edificio realizzato fosse destinato a esistere e funzionare in eterno, ci si ritrova davanti a un patrimonio edilizio molto datato, costituito da un gran numero di manufatti dismessi e spesso non demolibili per via del valore che possiedono. Qui entra in gioco il modello metodologico del recupero, ovvero l’insieme di interventi sul patrimonio esistente in grado di favorire le trasformazioni del sistema edilizio, garantendo prestazioni di sicurezza, ambientali e tecnologiche e, allo stesso tempo, essere realizzabili senza compromettere la materia esistente e il proprio valore. Il Centro Diocesano di Spiritualità e Cultura di Marola, sorto tra i castagneti dell’appennino reggiano nel XII secolo per volontà di Matilde Di Canossa, è un luogo in cui i trascorsi storici sono certamente narrati dai fabbricati che ospita, ad oggi la maggior parte in disuso. L’Associazione che gestisce il complesso ha così avviato un percorso progettuale di rifunzionalizzazione per restituire, in sintonia con la vocazione del luogo, alla comunità questi spazi. La proposta di progetto interessa la Vecchia Falegnameria, un fabbricato in pietra di epoca ottocentesca, all’interno del quale si propone di realizzare una biblioteca-sala studio a completamento dell’offerta del Centro. Un accurato studio sullo stato di conservazione ha fornito le basi per definire ipotesi di intervento: si sono realizzati dettagli costruttivi di consolidamento necessari a contrastare i fenomeni di degrado e dissesto oggi in atto. La strategia d’intervento ipotizzata per la rifunzionalizzazione ha poi trasformato l’edificio esistente in un “contenitore edilizio” al cui interno si sono realizzate le nuove superfici, adeguate allo svolgimento dell’attività imposte dalla destinazione d’uso a biblioteca. Si è scelto di utilizzare materiali e tecnologie moderne, perseguendo il concetto di riconoscibilità del nuovo rispetto all’esistente.
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Semprini, Alice. "Trattamenti innovativi a base di idrossiapatite per il consolidamento della Pietra leccese: efficacia a confronto su campioni degradati artificialmente e con presenza di sali". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017.

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In questo studio è stata indagata l’efficacia di un nuovo consolidante inorganico a base di idrossiapatite (HAP) su due calcari porosi, la pietra leccese e il calcare globigerina, che sebbene considerati simili in letteratura differiscono per microstruttura e composizione. L’idrossiapatite può essere ottenuta per sintesi 'wet' facendo reagire un precursore fosfatico (DAP) con ioni calcio presenti nel substrato o aggiunti esternamente. Il trattamento ha già dato risultati promettenti su altri litotipi, ma per la pietra leccese l’efficacia del trattamento era ancora da indagare compiutamente, quindi sono state effettuate prove su campioni degradati termicamente, così da avere assenza di sali e degrado uniforme. Sono state considerate formulazioni con due diverse concentrazioni di DAP (3M e 0,1M) e diversa aggiunta di ioni calcio. Nella soluzione 0,1M è stato aggiunto etanolo per favorire la dissociazione in ioni PO43- che possono reagire e formare HAP. I risultati sono stati messi a confronto con quelli ottenuti dal trattamento tradizionale con silicato di etile (TEOS): sono stati valutati gli effetti del degrado, la variazione delle proprietà meccaniche, la formazione di fasi dopo il trattamento e un primo studio sulla durabilità. I risultati ottenuti sono buoni per entrambi i trattamenti, soprattutto per quello 3M: un buon aumento delle proprietà meccaniche, una buona profondità di penetrazione e l’assenza di fasi metastabili o sottoprodotti dannosi; i risultati sono confrontabili o superiori a quelli dati dal TEOS. Il trattamento 0,1M ha invece un’efficacia minore, forse a causa dell’elevata porosità dei substrati che richiedono un’alta quantità di HAP, pertanto la sua ottimizzazione è attualmente in corso. Inoltre per la prima volta il nuovo trattamento è stato applicato su supporti contaminati da sali, quasi sempre presenti in situ, indagando la possibile formazione di fasi metastabili solubili in grado di ridurre il successo del trattamento.
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Bassi, Mattia. "Studio sperimentale su un innovativo trattamento biopolimerico antisale contro il degrado dei materiali nell'architettura antica". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019.

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La cristallizzazione dei sali all’interno dei materiali porosi da costruzione quali pietre, mattoni, intonaci, malte e calcestruzzo, è fonte di danno e di conseguente perdita del nostro patrimonio culturale. Questo danno è legato alla pressione di cristallizzazione che nasce all’interfaccia tra i cristalli di sale in crescita e la parete dei pori: questa pressione, dovuta a forze repulsive tra le due superfici, spesso supera la resistenza a trazione dei materiali, provocandone il danneggiamento. In questo lavoro viene analizzata la risposta di diversi substrati porosi alla cristallizzazione salina in seguito al trattamento dei materiali con una soluzione biopolimerica a base di chitosano, combinata con un trattamento consolidante con fosfato di idrogeno biammonico (DAP), volto a prevenire la dissoluzione del materiale e ad agire come ancoraggio per il rivestimento polimerico. Ci si aspetta che questo trattamento combinato elimini la repulsione tra i cristalli di sale e la parete dei pori, alleviando quindi la pressione interna. Il trattamento è stato applicato a substrati quali laterizi e pietre calcaree, in particolare calcare globigerina e pietra leccese, che sono stati sottoposti a test di cristallizzazione con solfato di sodio, ottenendo risultati diversi ma in generale promettenti, specialmente sulle pietre, lasciando aperte diverse possibilità di studi e approfondimenti futuri.
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Gugnali, Silvia. "Il consolidamento di pietre calcaree compatte attraverso un innovativo trattamento a base di idrossiapatite". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017.

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Resumen
La tutela e la conservazione dei Beni Culturali ed in particolare la conservazione dei materiali lapidei dell’architettura storica sono l’obiettivo primario della disciplina del restauro. I numerosi trattamenti proposti per i litotipi storici si sono dimostrati poco efficaci e durevoli nel tempo. Perciò, ad oggi sono in corso numerose sperimentazioni atte ad individuare nuovi trattamenti consolidanti idonei a litotipi di varia natura. In questo studio è stata sperimentata l’applicazione di un innovativo trattamento inorganico consolidante a base di idrossiapatite (HAP) al fine di valutarne l’efficacia, la compatibilità e la durabilità sui supporti calcarei compatti. Il litotipo scelto come materiale oggetto della sperimentazione in laboratorio è il marmo di Carrara. Tale studio ha indagato differenti formulazioni del trattamento a base di idrossiapatite (DAP 3M e DAP 0,1M) in maniera sistematica, testando l’efficacia e la compatibilità ottenute con il substrato. Per caratterizzare al meglio gli effetti prodotti dal trattamento, inoltre, è stato eseguito un confronto con alcuni dei principali trattamenti inorganici ad oggi impiegati: ossalato di ammonio, acqua di calce e nanocalce. Inoltre, lo stesso trattamento a base di HAP è stato studiato anche in applicazioni in situ: la sperimentazione è stata condotta sul basamento del monumento funebre di Rolandino de’ Passeggeri a Bologna, applicando la soluzione di DAP 3M e un successivo impacco di acqua di calce. Gli esiti di entrambe le sperimentazioni hanno mostrato l’idoneità del trattamento attraverso un efficiente capacità consolidante senza significative alterazioni dei caratteri fisico-meccanici delle superfici, presentando ottimi risultati in termini di efficacia, compatibilità e durabilità. Il consolidante a base di HAP, infatti, sembra essere una valida alternativa ai tradizionali trattamenti applicati per il restauro delle pietre calcaree, superando molte delle limitazioni di questi ultimi.
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Guarneri, Cristiano <1979&gt. "Architettura del sapere: la Kunstkamera di Pietro il Grande". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2010. http://hdl.handle.net/10579/1029.

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Il soggetto di questo studio è un edificio: la Kunstkamera di San Pietroburgo, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1718 su commissione dello zar Pietro il Grande. Al suo interno furono creati oltre alle sale espositive, come suggerisce il nome stesso, anche un teatro anatomico, un planetario, un osservatorio astronomico e la biblioteca dello zar, nell’idea di farne la sede dell’Accademia delle Scienze, un’altra istituzione di Pietro il Grande. Quindi non solo una kunstkammer ma anche un centro di ricerca scientifica, non troppo dissimile negli intenti ad un moderno museo. Lo studio ha affrontato l’argomento in tre stadi, approccianti il tema con tre differenti lenti d’ingrandimento: il contesto – la città; il contenuto – le collezioni; il contenitore – l’edificio. Nel primo capitolo è stata analizzata la posizione strategica della Kunstkamera nella pianificazione urbana della nuova capitale, San Pietroburgo, e quindi il ruolo, altrettanto strategico, dell’Accademia delle scienze nell’ampio piano di riforme promosse da Pietro il Grande. Il secondo capitolo, dedicato alle collezioni, è stato incentrato sulla figura di Pietro il Grande come collezionista. Attraverso lo studio delle molteplici sistemazioni delle collezioni, prima a Mosca e successivamente a San Pietroburgo, si è potuto delineare il ruolo assegnato alla Kunstkamera nel programma collezionistico organizzato negli anni 1718-19. Infatti mentre le statue antiche e moderne acquistate in Italia venivano sistemate nel Giardino d’Estate ed i quadri comprati sul mercato olandese e fiammingo trovavano posto nei padiglioni della residenza estiva di Peterhof, i reperti della kunstkammer furono spostati dalle residenze dello zar alla loro prima sistemazione pubblica, il palazzo di Kikin. Quella del palazzo di Kikin non era però che una collocazione temporanea, poiché sempre nel 1718 – e siamo al terzo capitolo della tesi – fu posta la prima pietra della Kunstkamera. Il cantiere fu estremamente travagliato e le sue vicende sono analizzate nel dettaglio, tramite documenti d’archivio e disegni inediti. Ebbero un ruolo non trascurabile nella progettazione e nella costruzione della Kunstkamera ben tre architetti, il tedesco Georg Johann Mattarnovy, lo svizzero Nicolaus Friedrich Härbel e l’italiano Gaetano Chiaveri, un astronomo, il francese Joseph-Nicolas Delisle, e ancora molti altri operai, come muratori, carpentieri, intagliatori, pittori e decoratori. Non furono tuttavia solo queste le personalità che presero parte nell’attuazione di questo progetto architettonico e scientifico. Da un lato Gottfried Wilhelm Leibniz fornì il progetto dell’Accademia delle scienze, in cui kunstkammer, laboratori e biblioteche avevano un ruolo centrale; dall’altro l’alsaziano Johann Daniel Schumacher, bibliotecario di Pietro il Grande, organizzò dapprima l’acquisto delle collezioni e l’ingaggio degli studiosi, quindi guidò il completamento dell’edificio e l’allestimento dell’esposizione dopo la morte dello zar. La parabola di questo singolare esperimento di edificio si concluse nel 1747, quando un incendio ne bruciò la porzione sommitale e, con esso, anche parte delle sue preziose collezioni.
This study’s main topic is a building: the Kunstkamera in St. Petersburg, built starting from 1718 by the Tzar Peter the Great. Inside it, besides the exhibition rooms, as the name suggests, also an anatomic theatre, a planetary, an astronomical observatory and the Tzar’s library were arranged, with in mind the idea making it the seat of the Academy of sciences, another Peter the Great’s creation. So not only a kunstkammer but also a scientific research center, not far in intents to a modern museum. This topic is developped into three steps, approaching it with different magnifing lenses: the context, or the city; the content, or the collections; the container, or the building. In the first chapter is analysed the Kunstkamera strategic position in the urban planning of the new capital, St. Petersburg, and the role, equally strategic, played by the Academy of sciences in the reforms plan promoted by Peter the Great. The second chapter, devoted to collections, focus on the figure of Peter the Great as collector. Through the study of the collections different arrangements, before in Moscow and then in St. Petersburg, it was possible to point out the role assigned to Kunstkamera in the Peter the Great’s collecting program, especially drawn in the years 1718-19. Infact, while the ancient and modern statues purchased in Italy were arranged in the Summer Garden and the pictures bought on the Netherlandish and Flamish market found a place in the Peterhof’s pavillions, the kunstkammer’s objects were moved from the Tzar’s residences to their first pubblic settlement, the Kikin Palace. That of the Kikin Palace was only a temporary arrangement, because again in 1718 – and this is the dissertation’s third chapter – the Kunstkamera’s first stone was laid down. The construction was very long and complex and the events are sharply shown through unissued archival documents and drawings. Three architects, the German Georg Johann Mattarnovy, the Swiss Nicolaus Friedrich Härbel, and the Italian Gaetano Chiaveri, one astronomer, the French Joseph-Nicolas Delisle, and many other workers, like masons, carpenters, carvers, painters and decorators, had a part in the project and construction of the Kunstkamera. But not only these were the personalities involved in this architectural and scientific project. Gottfried Wilhelm Leibniz gave the ideas for the Academy of sciences’ project, where kunstkammer, laboratories and libraries played a central role; and again the Peter the Great’s librarian, Johann Daniel Schumacher, was important: before he organised the collections purchase and the scientists enrolment, than he drove the building accomplishment and the exhibition display after the Tsar’s death. The parabola of this singular building experiment ended in 1747, when a fire burned out the Kunstkamera’s upper part and, with it, a part of its precious collections.
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SCIMEMI, MADDALENA. "Alessandro Farnese e Antonio da Sangallo il giovane: committenza e architettura nel patrimonio di San Pietro". Doctoral thesis, Università IUAV di Venezia, 2003. http://hdl.handle.net/11578/278470.

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Benazzi, Alessandro y Francesco Mariani. ""Abitare le cure" - riqualificazione del complesso ospedaliero di Castel San Pietro Terme". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amslaurea.unibo.it/6883/.

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Questa tesi propone un progetto di riqualificazione funzionale ed energetica del Polo ospedaliero civile di Castel San Pietro Terme, un complesso di edilizia sanitaria attivo dal 1870, che la AUSL proprietaria ha ora programmato di riqualificare. Il complesso, costituito da diversi edifici realizzati in epoche successive con un volume lordo riscaldato di 41670 m3, occupa un’area di 18415 m2. Sottoposto nel corso del tempo a ripetute modifiche e ampliamenti,oggi si presenta come un insieme eterogeneo di volumi, disorganici nell’aspetto ed interessati da importanti criticità: • prestazioni energetiche largamente inadeguate; • insufficiente resistenza alle azioni sismiche; • inefficiente distribuzione interna degli ambienti e delle funzioni. Partendo da un’analisi che dal complesso ospedaliero si estende sull’intera area di Castel San Pietro Terme, è stato definito un progetto che tiene conto delle peculiarità e delle criticità del luogo. Il progetto propone la riqualificazione dell’area antistante l’ingresso storico dell’ospedale tramite il collegamento diretto al parco fluviale, oggi interrotto da viale Oriani e da un parcheggio. Sul complesso edificato viene invece progettato un insieme di interventi differenziati, che rispondono all’obiettivo primario di adattare il polo ospedaliero a nuove funzioni sanitarie. La riorganizzazione prevede: • L’eliminazione del reparto di chirurgia; • L’adeguamento delle degenze a funzioni di hospice e lungodegenza per malati terminali; • L’ampliamento del progetto Casa della Salute che prevede locali ambulatoriali. Il progetto ha assunto questo programma funzionale,puntando a mantenere e riqualificare quanto più possibile l’esistente. E’ stato quindi previsto di: • Demolire il corpo del blocco operatorio. • Ridefinire volumetricamente il corpo delle degenze • Prevedere la costruzione di nuovi volumi per ospitare i poliambulatori. Per assicurare un adeguato livello di prestazioni,l’intervento ha puntato a far conseguire all’intero complesso la classe energetica A e ad adeguare la capacità di risposta al sisma, in particolare del corpo delle degenze, che presenta le condizioni più critiche. Le simulazioni eseguite con il software Termolog Epix3 attestano un valore di fabbisogno energetico finale pari a 5,10 kWh/m3 anno, con una riduzione del 92,7% rispetto ai livelli di consumo attuali. E' stata posta particolare attenzione anche al comfortdegli ambienti di degenza, verificato tramite l’utilizzo del software di simulazione energetica in regime dinamico IESVE che ha permesso di monitorare gli effetti ottenuti in relazione ad ogni scelta progettuale. I nuovi padiglioni sono stati progettati per integrare in modo funzionale i locali ambulatoriali ed alcuni ambienti dedicati alle terapie complementari per i lungodegenti. La tecnologia a setti portanti Xlam è stata preferita per la velocità di realizzazione. La sovrastante copertura costituita da una membrana di ETFE sostenuta da travi curve in legno lamellare, oltre ad assicurare il comfort ambientale tramite lo sfruttamento di sistemi passivi, permette di limitare i requisiti dell’involucro dei volumi sottostanti.
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Pozzer, Alessia <1988&gt. "Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento : il ruolo della Fondazione Cariparo tra committenza e gestione". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3701.

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Analisi sulle fondazioni di origine bancaria in particolare della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e studio della mostra Bembo con particolare attenzione al suo progetto di allestimento.
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Tossani, Giulia. "Riabitare il margine a Venezia. Riqualificazione dell'isola di San Pietro in Castello". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amslaurea.unibo.it/5262/.

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Dopo aver svolto un laboratorio di progettazione alla scuola Saint-Luc a Bruxelles e un workshop “la ville et l’eau” a Venezia ho scelto di mantenere come progetto di tesi la riqualificazione dell’isola di San Pietro in Castello a Venezia. Progettare a Venezia vuol dire progettare in una città stratificata e densa dove però i margini non hanno oggi profili definiti, ma hanno bisogno di ritrovare un’immagine che hanno perso nel tempo. La scelta del margine est ci porta in una Venezia minore che non ha conosciuto grandi trasformazioni, ma che, al contrario, è stata oggetto di pianificazione solo negli ultimi anni senza successo. Presenta spazi aperti non qualificati e che nel progetto vengono integrati. La presenza di costruzioni di tipo residenziale di bassa qualità ha portato alla scelta di demolire quegli edifici che non si integrano con il contesto sostituendoli con nuovi alloggi sia per artisti che per famiglie. Questi nuovi volumi trovano un completamento con l’esistente tessuto residenziale che si è scelto di valorizzare. Lo spazio pubblico torna ad assumere nel progetto quella qualità e forma data dall’inserimento di cortine murarie che delimitano lo spazio privato da quello più sociale della calle, del nuovo campiello e del parco. Il progetto di riabitare il margine dell’isola di San Pietro in Castello prevede a livello urbanistico un progetto che non tocca solo il tessuto residenziale, ma si occupa anche del riordino del sistema del verde, degli spazi dei luoghi di lavoro cantieristico di tipo navale tipico dell’isola e del ripensamento dei nuovi percorsi come il riuso di un edificio esistente come galleria.
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Moretti, Laura. "Dagli Incurabili alla Pietà : le chiese degli ospedali grandi di Venezia tra architettura e musica, 1522-1790 /". Firenze : Olschki, 2008. http://bvbr.bib-bvb.de:8991/F?func=service&doc_library=BVB01&doc_number=017044031&line_number=0001&func_code=DB_RECORDS&service_type=MEDIA.

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Catalani, Rosa y Roberta Silvagni. "Villa Rasponi a Savignano. Progetto di tutela e valorizzazione di un bene culturale complesso tra architettura storica e paesaggi di Pietro Porcinai". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amslaurea.unibo.it/2669/.

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Oggetto della tesi di laurea è il recupero di Villa Rasponi a Savignano sul Rubicone, un bene storico complesso composto da elementi di varia natura: architettonici e vegetali, di differente pregio, dalla residenza settecentesca agli annessi agricoli di servizio, al parco. Le funzioni d’uso attuali rarefatte e strettamente comuni a quelle originarie, non sono più proponibili per poter garantire la sopravvivenza e la conservazione del complesso. Questo da un punto di vista puramente economico, per l’impegno in termini finanziari che un sito di tali dimensioni richiede, a livello gestionale e circostanziale. Come intervenire su un manufatto di questa natura, tutelandolo, riqualificandolo dal punto di vista architettonico e paesaggistico e, nello stesso tempo, reinserendolo in maniera attiva in un contesto urbano e territoriale dal quale negli anni si è progressivamente distaccato e isolato, chiudendosi nell’accezione di residenza privata? Il progetto, lavorando a vari livelli e confrontandosi con differenti campi disciplinari, dal restauro di un parco storico “firmato” da Pietro Porcinai, all’inserimento di nuovi elementi architettonici, all’analisi di fattibilità finanziaria, si pone principalmente due obiettivi: 1) da un lato intervenire materialmente sul manufatto restaurando gli edifici, anche attraverso la definizione di funzioni che ne permettano la sopravvivenza, e manutenendo il parco storico. In questo senso l’aspetto su cui si insiste maggiormente è il rispetto e la valorizzazione del complesso villa–parco–giardino-annessi come unicum, che assume pregio nella sua totalità e integrità; 2) dall’altro, tenuto conto delle dimensioni, dell’importanza storica, architettonica, culturale e paesaggistica del sito, il progetto intende estendere la sua valenza anche a un intorno in primo luogo locale e poi più ampio, diventando punto di riferimento e polo attrattivo, così come lo era stato nel passato, all’epoca nella quale in esso viveva la principessa Luisa Murat. Non ci si limita dunque a considerare il caso isolato, ma si tiene conto del fatto che la Villa Rasponi sorge all’interno di un contesto, quello della Romagna, di straordinaria ricchezza e molteplicità di espressioni artistiche, architettoniche, naturalistiche che costituiscono un patrimonio di valore, in gran parte scarsamente conosciuto e per nulla. Da qui l’idea di utilizzare una porzione di paesaggio come vetrina e contenitore di informazioni su tutta l’eredità culturale romagnola, legata ad un nuovo modo di intendere il luogo, come contesto che incarna la rete di significati all’interno dei quali le azioni degli uomini diventano fatti culturali. Il complesso della Villa Rasponi, per le sue connotazioni storiche, paesaggistiche, fisiche e posizionali, diventa la concretizzazione di tale idea. Dunque, una porzione di paesaggio che si fa strumento fisico e concettuale, di comunicazione, per trasmettere, valorizzare e promuovere il patrimonio naturale, architettonico e culturale di tutto il territorio in cui è inserito, diventandone icona e sintesi.
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Zuppella, Giulia. "Le capriate lignee della cattedrale di San Pietro a Bologna. Applicazione della modellazione parametrica per la valutazione e l’interpretazione dei movimenti e degli stati di deformazione". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018.

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La presente tesi si colloca all’interno di un collaudato percorso di ricerca, il cui obiettivo è l’analisi delle coperture lignee, in particolare delle capriate storiche, poiché il comportamento di queste strutture è stato indagato solamente in pochi elaborati. Tale lavoro si pone quindi come obiettivo la rielaborazione dei precedenti protocolli, al fine di valutare lo stato attuale del caso studio, la cattedrale della città di Bologna, la chiesa di San Pietro. La base fondamentale è costituita dal rilievo tridimensionale, effettuato tramite laser scanner, della struttura, ovvero del sottotetto completo dell’edificio. L’output consiste quindi in una nuvola di punti e rappresenta il primo passo per la ricostruzione del cosiddetto “modello di rilievo”. Tramite l’utilizzo di software di gestione della nuvola completa, è possibile estrarre le capriate che si desidera andare ad esaminare e da esse le curve che rappresentano le sezioni degli elementi che formano la capriata medesima: nel presente lavoro, si va ad intervenire su questa fase del protocollo, in modo da eliminare quanto più possibile le arbitrarietà connesse alle scelte dell’operatore, meccanizzando il passaggio di creazione delle sezioni. È quindi possibile creare un algoritmo che consenta di ottenere il modello delle capriate allo stato attuale, ovvero il “modello di rilievo”. Nelle fasi successive, implementando l’algoritmo iniziale, è possibile generare un ulteriore modello, che ricrei un ipotetico stato iniziale della capriata. È il cosiddetto “modello rettificato”. Il confronto finale tra i due modelli generati e la nuvola di punti iniziale consente di analizzare in maniera approfondita ed esauriente le deformazioni subite dagli elementi della capriata nel corso del tempo. È inoltre possibile, sulla base di tali analisi, formulare una valutazione attendibile dello stato di conservazione della struttura e, conseguentemente, prevedere e progettare eventuali interventi di recupero o rinforzo strutturale.
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Nannini, Sofia. "La Manifattura Tabacchi a Bologna di Pier Luigi Nervi: ricerche sulla sperimentazione del cemento armato nell'architettura industriale del Novecento in Italia". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amslaurea.unibo.it/12902/.

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La Manifattura Tabacchi è un imponente complesso industriale collocato all’ingresso Nord di Bologna. Simbolo della ricostruzione della città nel dopoguerra, l’opera è stata voluta e progettata dall’Ufficio Tecnico dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato tra il 1949 e il 1963, dopo che i bombardamenti bellici avevano distrutto la storica sede in via Riva Reno. La progettazione esecutiva e la costruzione del comparto sono stati affidati, attraverso diversi bandi di appalto-concorso corrispondenti ai vari lotti, all’impresa Ingg. Nervi & Bartoli fondata e diretta da Pier Luigi Nervi (1891-1979), uno dei protagonisti dell’architettura e dell’ingegneria del Novecento. Nel corso della sua lunga carriera, Nervi ha progettato e costruito un grande numero di edifici per la produzione industriale, mettendo a punto un modello originale in cui le necessità funzionali e strutturali trovano forma in soluzioni sorprendenti. La Manifattura Tabacchi costituisce un caso esemplare di questa tipologia edilizia nell’opera nerviana, sviluppandosi all’interno di un complesso che è cresciuto come una città dentro la città: una serie di edifici dai caratteri strutturali, costruttivi e formali diversi, in ognuno dei quali Nervi sperimenta le diverse declinazioni delle possibilità costruttive e dell’espressività estetica del cemento armato. Il recente interesse per la Manifattura bolognese, legato anche al concorso internazionale per la trasformazione in Tecnopolo del 2011, ha messo in luce la necessità di una sistematica analisi storico-costruttiva del complesso. Tale analisi è stata costruita attraverso la raccolta e lo studio dei materiali documentari originari e è affiancata dall'analisi degli edifici e dei loro caratteri costruttivi e strutturali. I risultati costituiscono un’indispensabile base per definire possibili linee guida per un processo di recupero che sia mirato a rispettarne e salvaguardarne allo stesso tempo la qualità architettonica e strutturale.
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Fratti, Serena y Giorgia Denicolò. "Castrum Corzani: proposte per la conservazione dei ruderi del castello e la valorizzazione del sito". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amslaurea.unibo.it/12199/.

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La presente tesi ha come obiettivo la conservazione del manufatto e la valorizzazione del sito nel suo insieme di elementi non solamente storici e monumentali, ma anche naturalistici ed ambientali. Il progetto vuole trasmettere il valore artistico e storico del manufatto, spingendo alla sua scoperta un numero sempre maggiore di viaggiatori e di cultori del turismo d’esplorazione. Nel corso della fase conoscitiva si sono affrontate le questioni relativa alle forme di degrado in atto, dell’abbandono e della difficoltà di lettura del luogo progressivamente trasformato, modificato fino alla ruderizzazione, che hanno condotto ad una progettazione accorta e consapevole, ponendo attenzione alle effettive necessità conservative.
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Villa, Jacopo. "Inserimento architettonico e stradale di un'infrastruttura viaria ciclo-pedonale nel contesto urbano del Comune di Castel San Pietro Terme (BO)". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020.

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È necessario incentivare forme di mobilità più sostenibili rispetto all’automobile privata. La mobilità ciclistica può rappresentare una valida alternativa. Si è applicato ciò ad un caso studio sito nel comune di Castel San Pietro Terme: si è progettato un tratto di percorso ciclo-pedonale lungo 3,5km a lato della via Emilia, compreso tra la frazione di Magione ed il ponte sul Sillaro, in ambito principalmente urbano. Tale tratto è un tassello mancante di un unico percorso Imola–Ozzano Emilia, pensato sia per la mobilità quotidiana, sia per il cicloturismo. Dopo alcune analisi sulle soluzioni tecniche, sulla normativa, sui piani urbanistici, si sono considerati i percorsi ciclo-pedonali esistenti sulla via Emilia tra Imola e Ozzano, mediante l’elaborazione di una check-list oggettiva. Passando al caso studio, dopo un’analisi della viabilità esistente si è studiato, anche con misurazioni “in situ”, lo stato di fatto. Si tratta di un contesto piuttosto vario, che da un ambito rurale, conduce al centro abitato, attraverso una successione episodica di presenze commerciali, industriali e residenziali, mancanti di una connessione e di una riconoscibilità unitaria, che il percorso contribuisce a costruire. La sicurezza di pedoni e ciclisti è garantita dalla separazione dai veicoli. Il percorso è accessibile, diretto, continuo. La capillarità si attua nel connettere le aree rurali all’abitato di Castel San Pietro e nel lambire diversi poli attrattori, tra cui il polo produttivo San Carlo. L’intermodalità è data dall’integrazione delle fermate del TPL. L’attrattività e la riconoscibilità si declinano nella cura dei dettagli del percorso e delle aree sosta. La pavimentazione permeabile e chiara, con strato di usura colorato in massa, va in un’ottica di riduzione dell’isola di calore urbana. Vengono considerati infine diversi temi tra cui la regimazione delle acque, gli attraversamenti faunistici e l’inserimento del percorso sui ponti esistenti, in particolare sul Sillaro.
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Malvezzi, Monica Carmen. "Salvaguardia delle utenze deboli e fruibilità del paesaggio rurale: progettazione di un itinerario ciclo-pedonale protetto in Comune di Castel San Pietro Terme". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020.

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Resumen
La presente tesi consiste nella realizzazione di un percorso ciclopedonale protetto, a fianco della Via Emilia nel Comune di CSPT il quale, connettendosi con quelli esistenti o di prossima realizzazione rappresenta l’unico tassello mancante per la realizzazione di un itinerario che da Ozzano dell’Emilia conduca a Imola. L’iter della tesi inizia con una lettura critica della normativa di riferimento e degli strumenti urbanistici di livello comunale e sovracomunale. Il progetto nasce da un’attenta analisi del contesto: si tratta di un paesaggio rurale affiancato per tutta la sua lunghezza dal profilo delle colline e che intercetta in più punti il reticolo idrografico. Nell’area sono presenti anche numerose fermate del TPL, tuttavia queste risultano essere collocate in posizioni non ottimali. Ecco che la realizzazione di un percorso ciclopedonale continuo potrebbe incentivare l’interscambio modale bici-autobus come valida alternativa agli spostamenti quotidiani tra gli insediamenti residenziali e produttivi presenti nei centri urbani attraversati, rendendo accessibili anche i principali poli attrattori. La Via Emilia poi rappresenta una potenzialità per lo sviluppo di un asse ciclopedonale funzionale anche agli spostamenti di lungo raggio per il tempo libero. In tale ottica risulta fondamentale considerare i temi della riconoscibilità e unitarietà del percorso, i quali saranno assicurati dall’alternarsi ed il ripetersi delle stesse soluzioni progettuali, e dell’attrattività inserendo lungo il tracciato in punti strategici, aree sosta attrezzate affinché queste diventino luoghi fruibili. La necessità di progettare un’infrastruttura che sia il più possibile in armonia con il paesaggio circostante si rispecchierà anche nei materiali utilizzati per la costruzione dell’infrastruttura stessa. Particolare attenzione verrà posta nel rafforzamento degli ecosistemi esistenti attraverso la piantumazione di nuove specie arboree e l’inserimento di attraversamenti faunistici.
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Abdel, Karim Ahmad. "Il recupero e la rifunzionalizzazione degli stadi storici: vincolo o opportunità? I casi dello stadio Dall’Ara di Bologna e Flaminio di Roma". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021.

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L’oggetto della presente tesi tratta il recupero e la rifunzionalizzazione degli stadi storici,con l’obiettivo di capire se la scelta di intervento su questa tipologia del patrimonio architettonico esistente costituisca un vincolo oppure una opportunità.L’analisi di questo tema parte dalla ricerca storica mirata alla conoscenza degli impianti sportivi,ricostruendo i principali momenti della loro evoluzione storico-architettonica individuando i caratteri delle tipologie di stadi contemporanei.Questa prima fase,di inquadramento tecnico e tipologico,costituirà la base per collocare i casi studio scelti all’interno dell’evoluzione storica della tipologia degli stadi per il calcio.In una seconda fase,la ricerca approfondirà l’aspetto normativo e a partire da questi risultati,la ricerca si concentrerà su alcuni dei casi recenti ritenuti più significativi di restauro e rifunzionalizzazione degli stadi realizzati in Italia analizzandone metodologie,criticità e scelte progettuali. Il caso studio scelto è lo Stadio “Renato dall’Ara” di Bologna. A partire dall’analisi del modello di intervento sullo stadio dall’Ara,la ricerca intende poi verificare se questo modello sia applicabile ad altri stadi storici monumentali italiani,scegliendo come caso studio lo stadio Flaminio di Roma. L’analisi di questo caso studio avrà lo scopo di evidenziare,attraverso il confronto con quello bolognese,analogie e differenze,per arrivare a trovare una possibile comune metodologia di intervento. Attraverso la definizione e l’applicazione del “modello Bologna”,si proverà infine a capire se la necessità di rifunzionalizzazione degli stadi storici possa essere un’opportunità di valorizzazione di un patrimonio edilizio estremamente diffuso sul territorio nazionale e non essere considerata solo un impedimento per le società calcistiche che desiderino investire e ridare vita ed innovazione agli impianti di loro proprietà dove giocano le loro squadre di calcio.
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Lonzi, Giuditta. "La cupola del Duomo di Siena: ricerca storica, analisi costruttiva e modellazione strutturale tramite FEA finalizzate alla comprensione del comportamento statico". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amslaurea.unibo.it/16541/.

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Il centro storico di Siena, iscritto nella Lista Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, è soggetto ad una forte contaminazione ambientale da cui deve essere necessariamente protetto e conservato in funzione del valore storico ed estetico che rappresenta. La vetustà del patrimonio architettonico comporta la necessità di uno studio approfondito del singolo edificio e la comprensione delle particolari tecniche costruttive antiche al fine di una corretta interpretazione del comportamento strutturale per l’elaborazione di efficaci strategie di prevenzione. Questa tesi di laurea vuole approcciarsi nel suddetto modo per lo studio della cupola del Duomo di Siena, concentrandosi sulla calotta esterna in muratura, di più recente costruzione, ad opera dell’architetto Partini e risalente al 1892. Per cercare di individuare e interpretare un corretto comportamento della struttura si è proceduto iniziando dalla ricerca storica archivistica per poi passare all’analisi costruttiva dettagliata della calotta. Si è ritenuto maggiormente esaustivo affiancare all’analisi puramente logica del manufatto, una modellazione tridimensionale agli Elementi Finiti (FEM) tramite software, che hanno consentito di effettuare una esauriente analisi del comportamento statico dalla cupola e dell’interazione esistente fra le due calotte, interna ed esterna. È indispensabile comprendere le vecchie tecniche costruttive, il modo di ragionare e agire sempre secondo criteri studiati, logici e motivati così è possibile dedurne un corretto comportamento e di conseguenza intervenire laddove siano state individuate le criticità con interventi di recupero e consolidamento. La questione di fondamentale importanza a cui si vuole dare rilievo, consiste nello studiare e analizzare in maniera assolutamente obiettiva il passato senza lasciarsi vincolare dalle influenze del periodo moderno. È questa concezione moderna che spesso ci spinge ad assumere come certezze casi che in realtà nascondo significati ben più profondi.
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Mussoni, Taron. "Rimini. Un nuovo fronte mare. Riqualificazione del lungomare e proposta di un centro polifunzionale". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/8406/.

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Il progetto di tesi si pone come obiettivo la riqualificazione urbana del fronte mare della città di Rimini e la progettazione di un nuovo centro culturale polifunzionale. La costruzione di nuovi margini urbani, viene qui proposta secondo una reinterpretazione di un carattere tipicamente funzionale delle città di costa del litorale adriatico: la proiezione della funzione urbana oltre la linea di costa, con la costruzione di moli oltre l’edificato. “La città allunga la mano nell’acqua.” La tesi riprende questo aspetto di tipicità e propone una serie di “nuovi moli”, strutture polifunzionali destinate a incentivare quale risorsa fruitiva per il pubblico, stanziale o turistico, il rapporto col mare Adriatico. Anche in relazione a queste “proiezioni” oltre il litorale marino la tesi ha analizzato le forme dell’architettura di ultima generazione, cercando di recepirne i significati espressi attraverso la definizione formale; da qui parte il percorso della formulazione compositiva espressa nelle tavole grafiche, nelle quali si sottolinea il rapporto funzionale in relazione alla nova forma urbis e alla ricaduta sul nuovo assetto ambientale. E’, in sintesi, l’accettabilità di questo e dell’integrazione paesaggistica che la tesi vuole sostenere, attraverso il lungo percorso analitico e progettuale affrontato.
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CAVENAGO, MARCO. "ARTE SACRA IN ITALIA: LA SCUOLA BEATO ANGELICO DI MILANO (1921-1950)". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2021. http://hdl.handle.net/2434/829725.

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Nell’ottobre del 1921 a Milano nacque la Scuola Superiore di Arte Cristiana Beato Angelico. Responsabili dell’iniziativa: don Giuseppe Polvara, l’architetto Angelo Banfi, il pittore Vanni Rossi, affiancati dallo scultore Franco Lombardi, dai sacerdoti Adriano e Domenico Bernareggi, dall’ingegner Giovanni Dedè, dal professor Giovanni Mamone e dall’avvocato Carlo Antonio Vianello. Gli allievi del primo anno scolastico furono nove, due dei quali (gli architetti don Giacomo Bettoli e Fortunato De Angeli) destinati a restare per lunghi anni nella Scuola come docenti: così avvenne anche col pittore Ernesto Bergagna, iscrittosi l’anno seguente. A partire da quell’avvenimento il contesto italiano dell’arte sacra poté contare su un elemento di indiscutibile novità, destinato nel giro di pochi anni a una rapida, diffusa e pervicace affermazione nella Penisola. La fondazione della Scuola Beato Angelico mise un punto fermo nell’annoso dibattito sul generale declino dell’arte sacra che andava in scena da lungo tempo in Italia così come nei principali Paesi europei. La formula ideata da don Polvara metteva a sistema le proprie esperienze personali, artistiche e professionali con la conoscenza del contesto internazionale, di alcuni modelli esemplari e il confronto con gruppi e singole figure (artisti, critici, uomini di Chiesa) animate dal comune desiderio di contribuire alla rinascita dell’arte sacra. A cento anni dalla sua nascita – e a settanta dalla scomparsa del suo fondatore – la Scuola Beato Angelico (coi laboratori di Architettura, Cesello, Ricamo, Pittura e Restauro) prosegue tuttora nel compito di servire la Chiesa attraverso la realizzazione di arredi e paramenti sacri contraddistinti da una particolare cura dell’aspetto artistico e liturgico, oggetto di ripetute attestazioni di merito e riconoscimenti in ambito ecclesiastico. Ciò che invece finora manca all’appello è un organico tentativo di ricostruzione delle vicende storiche che hanno segnato la genesi e gli sviluppi di questa singolare realtà artistica e religiosa. Scopo di questa tesi è quindi la restituzione di un profilo il più possibile dettagliato e ragionato della storia della Scuola Beato Angelico, tale da riportare questa vicenda al centro di una situazione storica e di un contesto culturale complesso, attraverso una prospettiva di lavoro originale condotta sul filo delle puntualizzazioni e delle riscoperte. Stante il carattere “pionieristico” di questa ricerca, la vastità dei materiali e delle fonti a disposizione e la conseguente necessità di assegnare un taglio cronologico riconoscibile al lavoro si è optato per circoscrivere l’indagine ai decenni compresi tra il 1921 e il 1950, ovvero tra la fondazione della Beato Angelico e la scomparsa di Giuseppe Polvara. Come si vedrà, il termine iniziale viene in un certo senso anticipato dall’esigenza di tratteggiare al meglio gli antefatti e il contesto da cui trae origine la Scuola (tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo). L’anno assunto a conclusione della ricerca, invece, è parso una scelta quasi obbligata, coincidente col primo avvicendamento alla direzione della Beato Angelico oltre che dalla volontà di escludere dal discorso quanto andò avviandosi negli anni Cinquanta e Sessanta, ossia una nuova e diversa stagione nel campo dell’arte sacra (destinata, tra l’altro, a passare attraverso lo snodo rappresentato dal Concilio Vaticano II e dall’azione di S. Paolo VI), peraltro assai indagata dagli studi storico-artistici. Ciò che ha reso possibile la stesura di questa tesi è il fatto che essa si appoggi, in buona parte, su materiali archivistici inediti o, quantomeno, mai esaminati prima d’ora in modo strutturato. L’accesso ai materiali d’archivio più storicizzati e la loro consultazione (grazie alla disponibilità dimostrata dalla direzione della Scuola Beato Angelico) hanno condizionato in modo determinante la trattazione degli argomenti, la ricostruzione dei quali , in alcuni casi, è sostenuta esclusivamente dai documenti rinvenuti. La nascita della Scuola Beato Angelico non fu un accadimento isolato nel panorama della produzione artistica europea del tempo né un episodio estraneo a quanto, contemporaneamente, si andava dibattendo nel mondo ecclesiastico. La Scuola di Polvara nacque in un’epoca contrassegnata da grande fermento ecclesiale: si pensi agli Ateliers d’Art Sacré fondati da Maurice Denis e George Desvallières a Parigi nel 1919, solo due anni prima della Scuola milanese, i cui aderenti – tutti laici – professavano una religiosità intensa e devota. Ma, soprattutto, il modello determinante e più conosciuto da Polvara fu la Scuola di Beuron (Beuroner Kunstschule), nata nell’omonima abazia benedettina tedesca nell’ultimo quarto del XIX secolo a opera di padre Desiderius Lenz e sul cui esempio ben presto sorsero atelier specializzati nella produzione di arte sacra (arredi e paramenti a uso liturgico) in molte comunità benedettine dell’Europa centrale. L’affinità di Polvara con la spiritualità benedettina è un elemento-chiave della Scuola da lui fondata: dalla regola dell’ora et labora derivò infatti il concetto (analogo) di “preghiera rappresentata” (orando labora). L’organizzazione stessa della Scuola, impostata come in un’ideale bottega medievale dove maestri, apprendisti e allievi collaborano e convivono, riprende lo stile di vita monastico dei cenobi benedettini. Proprio al fine di conservare il più possibile il carattere della bottega medievale, il numero degli allievi ammessi alla Scuola non fu mai troppo elevato, così da mantenere un adeguato ed efficace rapporto numerico tra i discepoli e i maestri. Ancora, da Beuron la Beato Angelico trasse la particolare e inconfondibile forma grafica della lettera “e”, riconoscibile nelle numerose e lunghe epigrafi presenti in tante sue opere. Ultimo elemento in comune tra la Scuola milanese e quella tedesca – ma che si può imputare alla più generale fascinazione per l’epoca medievale – è l’unità di intenti che deve animare tutte le maestranze impegnate a creare un’opera collettiva e anonima ad maiorem Dei gloriam, dove il contributo del singolo autore rimane volutamente nascosto in favore del nome della Scuola. Ciò che differenzia, tuttora, la Scuola da analoghi centri di produzione di arte sacra è il fatto che essa poggi le fondamenta su una congregazione religiosa, la Famiglia Beato Angelico, un’idea a lungo coltivata da Polvara e approvata ufficialmente dall’autorità diocesana fra gli anni Trenta e Quaranta. Dalla comune vocazione alla creazione artistica sacra (“missione sacerdotale” dell’artista) discendono la pratica della vita comunitaria, la partecipazione ai sacramenti e ai diversi momenti quotidiani di preghiera da parte di maestri sacerdoti, confratelli e consorelle artisti, apprendisti, allievi e allieve. L’indirizzo spirituale tracciato dal fondatore per la sua Famiglia agisce ancora oggi a garanzia di una strenua fedeltà nella continuità di un progetto artistico e liturgico unico, messo in pratica da una comunità di uomini e donne legate fra loro dai canonici voti di povertà, castità e obbedienza ma soprattutto da un comune e più alto intento. Appunto per assicurare una prospettiva di sopravvivenza e futuro sviluppo della sua creatura, Polvara ebbe sempre chiara la necessità di mantenere unito l’aspetto della formazione (e quindi la didattica nei confronti degli allievi, adolescenti e giovani) con quello della produzione (spettante all’opera di collaborazione fra maestri, apprendisti e allievi). Dal punto di vista operativo le discipline artistiche, praticate nei vari laboratori in cui si articola la Scuola, concorrono, senza alcuna eccezione e nella citata forma anonima e collettiva, a creare un prodotto artistico organico e unitario, una “opera d’arte totale” che deve rispondere all’indirizzo dato dal maestro architetto (lo stesso Polvara), cui spettano devozione, rispetto e obbedienza. Alla progettazione architettonica viene dunque assegnata grande importanza e ciò comporta che le opere meglio rappresentative della Scuola Beato Angelico siano quegli edifici sacri interamente realizzati con l’intervento dei suoi laboratori per tutte o quasi le decorazioni, gli arredi, le suppellettili e i paramenti (come le chiese milanesi di S. Maria Beltrade, S. Vito al Giambellino, SS. MM. Nabore e Felice, o la chiesa di S. Eusebio ad Agrate Brianza e la cappella dell’Istituto religioso delle figlie di S. Eusebio a Vercelli). Quanto ai linguaggi espressivi impiegati dalla Scuola (il cosiddetto “stile”) si evidenziano la preferenza per il moderno razionalismo architettonico – un tema di stringente attualità, cui Polvara non mancò di dare il suo personale contributo teorico e pratico – e quella per il divisionismo in pittura, debitrice dell’antica ammirazione per l’opera di Gaetano Previati. Dall’interazione di queste due forme si origina un riconoscibile linguaggio, moderno e spirituale al tempo stesso, verificabile negli edifici come nelle singole opere, frutto di una profonda sensibilità che combina il ponderato recupero di alcune forme del passato (ad esempio l’iconografia paleocristiana reimpiegata nei motivi decorativi dei paramenti o nella foggia di alcuni manufatti, dal calice al tabernacolo, alla pianeta-casula) con lo slancio per uno stile moderno e funzionale adeguato ai tempi ma rispettoso della tradizione.
In October 1921, the Beato Angelico Higher School of Christian Art was born in Milan. Responsible for the initiative: Don Giuseppe Polvara, the architect Angelo Banfi, the painter Vanni Rossi, flanked by the sculptor Franco Lombardi, by the priests Adriano and Domenico Bernareggi, by the engineer Giovanni Dedè, by professor Giovanni Mamone and by the lawyer Carlo Antonio Vianello . There were nine pupils in the first school year, two of whom (the architects Don Giacomo Bettoli and Fortunato De Angeli) destined to remain in the School for many years as teachers: this also happened with the painter Ernesto Bergagna, who enrolled the following year. Starting from that event, the Italian context of sacred art was able to count on an element of indisputable novelty, destined within a few years to a rapid, widespread and stubborn affirmation in the Peninsula. The foundation of the Beato Angelico School put a stop to the age-old debate on the general decline of sacred art that had been staged for a long time in Italy as well as in major European countries. The formula conceived by Don Polvara put his personal, artistic and professional experiences into a system with the knowledge of the international context, some exemplary models and the comparison with groups and individual figures (artists, critics, men of the Church) animated by the common desire to contribute to the rebirth of sacred art. One hundred years after its birth - and seventy after the death of its founder - the Beato Angelico School (with the workshops of Architecture, Cesello, Embroidery, Painting and Restoration) still continues in the task of serving the Church through the creation of distinctive sacred furnishings and vestments. from a particular care of the artistic and liturgical aspect, object of repeated attestations of merit and acknowledgments in the ecclesiastical sphere. What is missing from the appeal so far is an organic attempt to reconstruct the historical events that marked the genesis and developments of this singular artistic and religious reality. The purpose of this thesis is therefore the return of a profile as detailed and reasoned as possible of the history of the Beato Angelico School, such as to bring this story back to the center of a historical situation and a complex cultural context, through an original work perspective conducted on thread of clarifications and rediscoveries. Given the "pioneering" nature of this research, the vastness of the materials and sources available and the consequent need to assign a recognizable chronological cut to the work, it was decided to limit the survey to the decades between 1921 and 1950, or between the foundation of Beato Angelico and the death of Giuseppe Polvara. As will be seen, the initial term is in a certain sense anticipated by the need to better outline the background and context from which the School originates (between the end of the 19th and the first decades of the 20th century). The year assumed at the end of the research, on the other hand, seemed an almost obligatory choice, coinciding with the first change in the direction of Beato Angelico as well as the desire to exclude from the discussion what started in the 1950s and 1960s, that is a new and different season in the field of sacred art (destined, among other things, to pass through the junction represented by the Second Vatican Council and by the action of St. Paul VI), which is however much investigated by historical-artistic studies. What made the drafting of this thesis possible is the fact that it relies, in large part, on unpublished archival materials or, at least, never examined before in a structured way. Access to the most historicized archive materials and their consultation (thanks to the availability shown by the direction of the Beato Angelico School) have decisively conditioned the discussion of the topics, the reconstruction of which, in some cases, is supported exclusively by documents found. The birth of the Beato Angelico School was not an isolated event in the panorama of European artistic production of the time nor an episode unrelated to what was being debated in the ecclesiastical world at the same time. The Polvara School was born in an era marked by great ecclesial ferment: think of the Ateliers d'Art Sacré founded by Maurice Denis and George Desvallières in Paris in 1919, only two years before the Milanese School, whose adherents - all lay people - they professed an intense and devoted religiosity. But, above all, the decisive and best known model by Polvara was the Beuron School (Beuroner Kunstschule), born in the homonymous German Benedictine abbey in the last quarter of the nineteenth century by father Desiderius Lenz and on whose example workshops specialized in the production of sacred art (furnishings and vestments for liturgical use) in many Benedictine communities in central Europe. Polvara's affinity with Benedictine spirituality is a key element of the School he founded: in fact, the (analogous) concept of "represented prayer" (orando labora) derived from the rule of the ora et labora. The very organization of the School, set up as in an ideal medieval workshop where teachers, apprentices and pupils collaborate and coexist, takes up the monastic lifestyle of the Benedictine monasteries. Precisely in order to preserve the character of the medieval workshop as much as possible, the number of students admitted to the School was never too high, so as to maintain an adequate and effective numerical ratio between disciples and masters. Again, from Beuron Fra Angelico drew the particular and unmistakable graphic form of the letter "e", recognizable in the numerous and long epigraphs present in many of his works. The last element in common between the Milanese and the German schools - but which can be attributed to the more general fascination for the medieval era - is the unity of purpose that must animate all the workers involved in creating a collective and anonymous work ad maiorem. Dei gloriam, where the contribution of the single author remains deliberately hidden in favor of the name of the School. What still differentiates the School from similar centers of production of sacred art is the fact that it rests its foundations on a religious congregation, the Beato Angelico Family, an idea long cultivated by Polvara and officially approved by the diocesan authority between the thirties and forties. From the common vocation to sacred artistic creation (the artist's "priestly mission") descend the practice of community life, the participation in the sacraments and the various daily moments of prayer by master priests, brothers and sisters artists, apprentices, pupils and pupils . The spiritual direction traced by the founder for his family still acts today as a guarantee of a strenuous fidelity in the continuity of a unique artistic and liturgical project, put into practice by a community of men and women linked together by the canonical vows of poverty, chastity. and obedience but above all from a common and higher intent. Precisely to ensure a prospect of survival and future development of his creature, Polvara always had a clear need to keep the training aspect (and therefore the teaching for students, adolescents and young people) united with that of production (due to the work of collaboration between teachers, apprentices and students). From an operational point of view, the artistic disciplines, practiced in the various laboratories in which the School is divided, contribute, without any exception and in the aforementioned anonymous and collective form, to create an organic and unitary artistic product, a "total work of art" which must respond to the address given by the master architect (Polvara himself), to whom devotion, respect and obedience are due. The architectural design is therefore assigned great importance and this means that the best representative works of the Beato Angelico School are those sacred buildings entirely made with the intervention of its laboratories for all or almost all the decorations, furnishings, furnishings and Milanese churches of S. Maria Beltrade, S. Vito al Giambellino, S. MM. Nabore and Felice, or the church of S. Eusebio in Agrate Brianza and the chapel of the religious institute of the daughters of S. Eusebio in Vercelli). As for the expressive languages used by the School (the so-called "style"), the preference for modern architectural rationalism is highlighted - a topic of stringent topicality, to which Polvara did not fail to give his personal theoretical and practical contribution - and that for Divisionism in painting, indebted to the ancient admiration for the work of Gaetano Previati. The interaction of these two forms gives rise to a recognizable language, modern and spiritual at the same time, verifiable in the buildings as in the individual works, the result of a profound sensitivity that combines the thoughtful recovery of some forms of the past (for example early Christian iconography reused in the decorative motifs of the vestments or in the shape of some artifacts, from the chalice to the tabernacle, to the chasuble-chasuble) with the impetus for a modern and functional style appropriate to the times but respectful of tradition.
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DIPASQUALE, LETIZIA. "La valorizzazione della risorsa lapidea per lo sviluppo locale negli Iblei. Innovazione, sostenibilità e competitività". Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/2158/1090658.

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Negli ultimi anni l'interesse verso la riduzione degli impatti del settore edilizio sull'ambiente e sempre più crescente e la sfida della sostenibilità assume un interesse prioritario nella definizione di strategie d'innovazione nell'uso delle risorse, nelle scelte progettuali e nei processi produttivi. D'altro canto, nella definizione di strategie per lo sviluppo sostenibile, la dimensione locale assume oggi un'importanza strategica. Nel settore edilizio l'impiego, la tutela e la valorizzazione delle risorse localmente disponibili può incoraggiare lo sviluppo sostenibile, ed avere delle ricadute positive in ambito ambientale, economico, sociale e culturale. Alla luce di queste premesse, la tesi si colloca nell'ambito della valorizzazione e dello studio delle applicazioni dei materiali locali nell'edilizia e della riattivazione della filiera corta nella produzione edilizia. Il campo d'indagine è quello dei materiali lapidei, legati a un contesto specifico di riferimento: i monti Iblei, localizzati nella parte sud-orientale della Sicilia, ed in particolare la provincia di Ragusa.
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MARIANI, SILVIA. "La pietra massiva nella progettazione - dalle caratteristiche dei materiali alle valenze energetico-architettoniche di involucri lapidei massivi “innovativi”". Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/11573/1248071.

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Resumen
La pietra naturale per secoli ha avuto un ruolo centrale nel progetto di architettura ma con la diffusione del calcestruzzo e dell’acciaio è stata impiegata prevalentemente in elementi sottili di rivestimento. Attualmente, però, c’è stata nella cultura architettonica contemporanea una riscoperta della pietra massiva attraverso il recupero e l’attualizzazione della tecnica costruttiva tradizionale della muratura e la diffusione delle tecniche innovative della pietra armata precompressa e dei gabbioni. Molti progettisti sono tornati, infatti, ad impiegare la pietra in spessori rilevanti, spesso in combinazione con altri materiali, per realizzare pareti perimetrali verticali, coperture e strutture in elevazione. Il rinnovamento del linguaggio architettonico è legato al riconoscimento delle potenzialità della pietra massiva connesse a valori espressivi e di sostenibilità economica ed ambientale: l’uso massivo della pietra naturale, infatti, è motivato non solo dall’esigenza di integrarsi con il paesaggio o esprimere l’identità locale ma anche dalla possibilità di realizzare con costi e tempi di costruzione contenuti elementi tecnici durevoli, dotati di elevata inerzia termica, facilmente riciclabili o ottenuti attraverso il recupero o il riciclo di materiale lapideo di scarto. Questo rinnovamento è stato consentito dalle molteplici innovazioni che hanno interessato il settore lapideo. In particolare, la diffusione dei sistemi CAD/CAM/CNC, il passaggio dalla stereotomia alla stereotomia digitale legata anche a software di progettazione parametrica e la disponibilità di programmi di calcolo e di metodi di form-finding basati su modelli digitali e non più su modelli fisici hanno permesso di realizzare prodotti lapidei di forma complessa con tempi e costi di fabbricazione ridotti e di ampliare le possibilità di ricerca formale dei progettisti. La prima parte della ricerca esamina alcuni dei metodi e degli strumenti innovativi che hanno contribuito alla riscoperta della pietra massiva nella cultura architettonica contemporanea e analizza, attraverso il riferimento a casi di studio, i caratteri delle tecniche costruttive della muratura, della pietra armata e dei gabbioni per definire un quadro di riferimento tecnologico-scientifico sui materiali lapidei: vengono messe a sistema, infatti, le conoscenze relative ai materiali lapidei naturali e artificiali (lapidei agglomerati; calcestruzzi realizzati con gli scarti di estrazione o di lavorazione dei lapidei naturali), alle tecniche di lavorazione, ai metodi e agli strumenti di progettazione e ai linguaggi progettuali contemporanei. La seconda e la terza parte della ricerca evidenziano alcune delle potenzialità di involucri lapidei massivi innovativi. La seconda parte della ricerca è dedicata allo studio scientifico-quantitativo dell’importanza dell’inerzia termica del materiale per il miglioramento delle condizioni di comfort termico interno e per la riduzione della domanda energetica degli edifici: attraverso simulazioni dinamiche annuali eseguite su un edificio residenziale di progetto sono stati valutati, infatti, i vantaggi prestazionali connessi con l’adozione, in diverse condizioni climatiche, di involucri massivi innovativi rispetto ad involucri lapidei tradizionali. La terza parte della ricerca, invece, indaga le valenze prestazionali e i caratteri architettonici di involucri edilizi a gabbioni. Attraverso simulazioni dinamiche annuali eseguite sullo stesso modello studiato nella seconda parte della tesi, vengono individuate delle correlazioni tra le principali caratteristiche di involucri multistrato a gabbioni e la prestazione termico-energetica dell’edificio: sulla base delle correlazioni individuate vengono definite delle indicazioni per valutare l’appropriatezza delle scelte compiute in fase di progettazione della soluzione costruttiva al fine di minimizzare la domanda energetica per il riscaldamento e il raffrescamento dell’edificio e migliorare le condizioni di comfort termico interno. Infine, attraverso il riferimento ad architetture contemporanee e l’individuazione di analogie figurative con opere e manufatti realizzati con tecniche costruttive tradizionali, vengono evidenziati i caratteri architettonici di involucri edilizi a gabbioni legati alle possibili tipologie di texture del riempimento litico dei moduli costruttivi e alle specifiche soluzioni progettate per la risoluzione di problemi connessi con l’inserimento di aperture vetrate o di altri materiali di rivestimento e con lo smaltimento dell’acqua piovana.
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COPPO, ALBERTO. "Architettura e città nell'opera di Pietro Aschieri (1889-1952)". Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11573/982182.

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La presente ricerca affronta un’ampia indagine storiografica sulla figura progettuale di Pietro Aschieri (1889-1952), ingegnere e architetto tra i protagonisti della cultura architettonica romana del primo Novecento. La paziente riconfigurazione di un’opera che spazia dalla scala urbanistica a quella scenografica e che risulta intrecciata con alcuni episodi architettonici fondamentali per l’architettonica italiana – basti pensare alla Città Universitaria di Roma e il quartiere dell’E42 – si è sviluppata non solo attraverso l’individuazione di nuovi progetti, ma anche in ottica di nuove interpretazioni critiche. Pur non volendo assumere la dimensione e la profondità di una monografia esaustiva, il lavoro ha avuto come costante obiettivo di promuovere un rinnovato interesse storiografico nei confronti di un architetto a partire dallo studio del fondo archivistico personale conservato presso l’Accademia Nazionale di San Luca. Fino ad oggi lo stato dell’arte era costituito da un lungo articolo monografico a cura di Paolo Marconi (1961-1962) e da una raccolta di saggi elaborati in occasione della mostra realizzata proprio dall’Accademia di San Luca (1977) in relazione al versamento del Fondo Pietro Aschieri. Il primo contributo ha avuto il merito di sistematizzare, a meno di dieci anni dalla morte del progettista, una buona parte dell’opera aschieriana, mentre il secondo ha offerto un’inedita lettura interpretativa a partire dal materiale già studiato dallo stesso Marconi, da Gianfranco Caniggia (Il clima architettonico romano e la città universitaria, 1959) e da Manfredo Tafuri (Dizionario biografico degli italiani, 1962). La successiva carenza di studi, se non in relazione a singoli episodi progettuali o legata ad attività specifiche come la scenografia, non aveva ancora esaurito il margine di sviluppo in merito alla conoscenza di un architetto emblematico per il delicato passaggio del progetto dalla tradizione accademica alla questione del moderno; margine che questo lavoro si propone di cominciare a colmare. Di conseguenza, si è scelto – da un punto di vista metodologico – di non concentrare la ricerca su un singolo aspetto dell’opera o su un fabbricato specifico, bensì portare avanti la ricerca sui fronti d’indagine ritenuti maggiormente significativi: la questione urbanistica, l’architettura pubblica e quella privata hanno permesso un’analisi trasversale e una conseguente impalcatura critica all’interno della quale inerire tutti i progetti, anche quelli minori e non realizzati, col fine di tratteggiare un nuovo regesto e, successivamente, un nuovo disegno interpretativo. La prima fase si è concentrata unendo il materiale custodito presso il Fondo Pietro Aschieri, l’Archivio Storico Capitolino e l’Archivio Progetti al Dipartimento di Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune di Roma. Il ritrovamento degli elaborati progettuali e lo studio dei documenti archivistici sono stati incrociati con un ampio studio bibliografico per definire i nodi storiografici di partenza: il ruolo svolto dal progettista all’interno della cultura progettuale romana, il rapporto con Giovannoni e con Piacentini, la dimensione politica della sua opera, il legame con la committenza privata (in particolare con la Società Anonima Aquila Romana), la formazione e lo sviluppo della visione scenografica; infine le motivazioni che hanno portato l’ingegnere a dedicarsi quasi esclusivamente alla carriera di scenografo teatrale. In seguito sono stati individuati tre progetti chiave per ogni area tematica definita e sono state condotte indagini specifiche: la ricerca all’archivio di Stato dell’Aquila nella sede sulmonese ha permesso di esplorare la vicenda del piano regolatore di Sulmona (1931-1937) mettendo il progetto in relazione con la visione giovannoniana dello sviluppo urbano e della tutela dei centri storici. Lo studio dei documenti conservati al Fondo Cerur presso l’Archivio Storico della Sapienza ha consentito di ricostruire più precisamente la delicata progettazione della Facoltà di Chimica (1932-1933) che risulta fondamentale per la carriera del progettista e indicativa del suo rapporto con Marcello Piacentini. Infine la consultazione delle carte della Società Anonima Aquila Romana custodite dalla Camera di Commercio di Roma ha rivelato un quadro più chiaro delle dinamiche all’origine della fortuna critica delle palazzine aschieriane realizzate a Roma con la società edilizia tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta a Roma. Nella terza fase si è deciso di esplorare l’aspetto relazione dell’opera di Aschieri individuando i legami e i rapporti collaborativi che hanno conformato la carriera professionale. Oltre allo studio della corrispondenza custodita nel Fondo Pietro Aschieri e la folta documentazione di articoli sono stati consultati i fondi archivistici di Giuseppe Capponi, Mario De Renzi, Gustavo Giovannoni (Roma), Marcello Piacentini, Roberto Papini (Firenze), Margherita Sarfatti (Rovereto), Gaetano Minnucci, Giovanni Battista Milani, Amerigo Bandiera, Enrico Del Debbio, Eugenio Montuori (Roma) e Gio Ponti (Milano). Inoltre altre ricerche sono state effettuate all’Archivio Centrale dello Stato, Centro Studi di Storia dell’Architettura (Fondo Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura), entrambi a Roma, e sono stati consultati gli annuari della Scuola di Applicazione per Ingegneri della Capitale. Il mosaico così composto ha prodotto importanti risultati in termini di numero e qualità. Per prima cosa sono stati ritrovati alcuni progetti inediti presso l’Archivio Storico Capitolino ed è stato possibile effettuare nuove attribuzioni di progetti conservati presso il fondo personale dell’architetto e ritrovarne l’effettiva realizzazione (è il caso della palazzina per la cooperativa dei Mutilati di guerra a Roma); inoltre sono stati tracciati nuove interpretazioni e giudizi critici in merito ai nodi storiografici precedentemente elencati. In particolare il ruolo svolto all’interno della cultura progettuale italiana appare ampliato per i continui rapporti e scambi con Margherita Sarfatti, Roberto Papini, Marcello Piacentini (con cui sviluppa un costante confronto culturale) e Gustavo Giovannoni (dal quale esercita un progressivo affrancamento). La dimensione politica si arricchisce di nuovi elementi che restituiscono un profilo complesso, espresso altresì – livello professionale – dall’ambiguità continua che vede un accurato professionista di architettura civile e un progettista di successo nei concorsi nazionali; un architetto sapiente nell’utilizzo del patrimonio storico e uno scenografo meticoloso nella definizione di spazi d’artificio. In conclusione il nuovo profilo tracciato si rivela come una premessa necessaria, in parte inedita, per l’auspicata ripresa di studi storiografici sulla sua opera: attraverso lo studio delle suoi progetti architettonici è stato possibile ricostruire il profilo di un professionista che – come dimostra l’impostazione stessa della tesi – esercita un continuo dialogo con il contesto e la Storia, assunti come matrici di un progetto che acquisti solidità culturale ed esprima, attraverso un linguaggio altamente comunicativo, una delle possibili declinazioni del codice tradizionale in un universo moderno.
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GAMBERI, MARCO. "Piero Bottoni architettura e paesaggio: opere in Toscana". Doctoral thesis, 2015. http://hdl.handle.net/2158/1002452.

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Lo studio che è stato affrontato nell’ambito del corso di Dottorato in Progettazione Architettonica e Urbana delinea, all’interno della vasta produzione architettonica e urbanistica di Piero Bottoni, i tratti peculiari che legano la ricerca dell’architetto milanese al tema del paesaggio. I progetti analizzati mostrano come il processo di modificazione dello spazio, partendo dalla coscienza dell’identità geografica dei luoghi, pervenga a relazioni dialettiche nuove tra manufatto e contesto. La prima parte di questo studio si concentra su una serie di progetti e realizzazioni nei quali il razionalista milanese pone l’accento della propria riflessione sul rapporto che intercorre tra oggetto architettonico e contesto ambientale. Le opere analizzate sono state scelte tentando di descrivere le diverse declinazioni che all’interno del progetto assume il termine paesaggio: la selezione delle opere ripercorre un arco di tempo compreso tra il 1927 e il 1959, intrecciandosi con molte delle vicende che hanno caratterizzato l’architettura italiana ed europea del ‘900. La seconda parte di questo studio analizza un’antologia di opere di Piero Bottoni in Toscana, regione nella quale Bottoni si confronta con il paesaggio della costa massese, con il tessuto urbano di Livorno, le colline fiorentine, la morfologia urbana di Siena e San Gimignano. L’analisi ha mostrato come l’architetto milanese, sebbene si identifichi come figura di primo piano dell’avanguardia europea in Italia, intraprenda fin dai primissimi progetti un approfondimento critico del Moderno. L’adesione sincera, entusiastica alla nuova architettura viene attraversata, sin dagli anni Trenta, da una riflessione specifica nella quale il progetto scopre nel paesaggio l’elemento di sintesi tra ambiente naturale e storia. In quest’ottica i Cromatismi Architettonici mostrano con l’evidenza di un’opera manifesto un paesaggio urbano astratto e onirico che, se da un lato rappresenta una critica alla falsità della città eclettica, dall’altro apre il dibattito urbanistico funzionalista a percorsi nuovi e inesplorati. Similmente, le bellissime residenze signorili che Bottoni realizza negli anni Trenta e Quaranta evidenziano come il paesaggio divenga elemento privilegiato della composizione architettonica, capace di garantire un confronto tra il Moderno, la storia e il luogo. Un passaggio fondamentale per capire i rapporti che legano l’architettura di Piero Bottoni al paesaggio è rappresentato dalla sua partecipazione ai Ciam, con particolare riferimento alla Carta di Atene. La scala geografica del problema urbanistico sancita dalla Carta permette a Bottoni di pensare alla progettazione architettonica e del territorio in termini unitari. Esempio emblematico di questo passaggio è il Piano Regolatore della Valle d’Aosta realizzato nel 1936. Quest’episodio rappresenta un vero e proprio spartiacque per la disciplina urbanistica in Italia che per la prima volta si confronta con una scala regionale, misurandosi con la complessità territoriale e concentrandosi sull’interesse sociale collettivo. Lo studio del quartiere urbano, dei suoi rapporti con la città e con il paesaggio, raggiunge compimento con il progetto del Quartiere Sperimentale all’Ottava Triennale del 1946. Il QT8 impegna Bottoni per anni; il progetto, nato dall’idea di realizzare un quartiere sperimentale permanente, diviene per l’architetto milanese momento di riflessione sulla ricostruzione. Il drammatico problema abitativo dell’immediato dopoguerra viene affrontato su scala urbana; il quartiere, che si sviluppa all’interno di un grande parco, trova nell’elemento naturale il fattore qualificante dell’espansione della città, mentre l’invenzione del Monte Stella segna con la sua monumentalità la nuova porta Nord-Ovest di Milano. Questa collina verde, modellata da Bottoni sui cumuli delle macerie postbelliche, diviene simbolo di una ricostruzione che non risponde solo a bisogni contingenti ma che ridisegna la città attraverso una nuova geografia: un’orografia inaspettata, paradigma e ossimoro di natura e artificio. Il rapporto con il paesaggio contraddistingue in maniera evidente la produzione architettonica e urbanistica di Piero Bottoni in Toscana. Gli edifici progettatati per Livorno, Massa e Firenze sono concepiti come strumenti per abitare il paesaggio e contemporaneamente il paesaggio diviene materiale per la costruzione del manufatto architettonico. Il tema dell’abitazione proiettata nel paesaggio, inaugurato con Villa Latina del 1929, è tratto caratterizzante delle residenze che Bottoni progetta in Toscana. In questo senso, Villa dello Strologo a Livorno non è concepibile se disgiunta dal parco, così come la Casetta nella pineta ai Ronchi in assenza della pineta, o Villa Davoli in località la Ruota privata dell’ampio panorama su Firenze. I piani regolatori realizzati nel dopoguerra da Bottoni per Siena e San Gimignano consentono all’architetto milanese di confrontarsi con il tema della città d’arte. In questi piani, esempi lungimiranti di progettazione urbanistica, la riflessione sul centro storico, sui rapporti tra questo e le nuove espansioni urbane, va oltre il recupero e la conservazione dell’antico. La tutela della città d’arte viene affrontata non solo nelle emergenze monumentali, ma all’interno del proprio territorio. La struttura urbana viene per questo analizzata e progettata preservando i rapporti dialettici e morfologici che intercorrono tra masse murarie e paesaggio. In quest’ottica le espansioni vengono previste come nuclei autonomi compatti, introducendo vincoli di inedificabilità che preservino la percezione della città nei suoi legami con il paesaggio.
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Azil, chima. "Essai d’élaboration d’une démarche méthodologique de diagnostic sur les coupoles du Souf en Algérie". Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/2158/1256035.

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Nelle oasi della regione di Souf in Algeria si è sviluppata nel corso dei secoli una tecnica costruttiva molto particolare e quasi sconosciuta, che ha consentito la crescita di architetture vernacolari uniche poste nella "Lista tentativi dell'UNESCO", come patrimonio diffuso prezioso. L'architettura di questa zona desertica si basa sull'uso di un materiale da costruzione insolito, la pietra Rosa del deserto, ed è caratterizzato da coperture a cupola, che descrivono un paesaggio urbano unico e sorprendente che merita protezione e valorizzazione. Attualmente, i centri urbani di questa zona sono notevolmente degradati essendoci molti edifici interessati da danni di gravità variabile, dallo stato di rudere all’erosione superficiale dell’intonaco. Oltre ai tanti lavori di restauro incoerenti e alla perdita di conoscenze tradizionali, c'è un continuo processo di demolizione e abbandono di edifici che minaccia fortemente questo patrimonio culturale. La ricerca mira a sviluppare un processo diagnostico metodologico per architetture vernacolari realizzate in pietra Rosa del deserto e per perseguire strategie di salvaguardia coerenti. In particolare, il centro storico di Guemar è stato scelto come area di studio perché ha subito poche modifiche, conservando il suo carattere originario. Un approccio interdisciplinare a più scale di indagine è stato svolto con l’obiettivo primario di conoscere la tecnica costruttiva impiegata nella realizzazione delle architetture vernacolari di Guemar. In particolare, lo studio storico, urbano e architettonico di Guemar è stato accoppiato a rilievi geometrici e materici, compiendo anche interviste a costruttori locali. Le indagini in situ hanno consentito di effettuare una diagnosi preliminare dei danni ricorrenti, di classificando le patologie osservate e proponendo una interpretazione delle cause. In particolare, è stata effettuata una valutazione di vulnerabilità delle costruzioni e sono stati effettuati campionamenti dei materiali per effettuare test fisici, mineralogici, petrografici e meccanici in laboratorio. Indagini meccaniche indirette sono state svolte anche in situ tramite penetrometro e sclerometro, oltre ad a investigazioni con la termocamera per indagare sia la tessitura muraria nascosta dietro l’intonaco che la risalita di umidità. Nel complesso sono state determinate sia le caratteristiche tecnologiche della tessitura muratoria e dei particolari costruttivi che la composizione chimica e il comportamento meccanico dei costituenti la muratura, blocchi in pietra Rosa del Deserto e malta, e della muratura nel suo complesso. Inoltre, sono state impiegate diverse strategie per valutare il comportamento strutturale della cupola, considerata sia indipendente dalle murature sottostanti che insieme all’intero edificio. La cupola, infatti, costituisce l'elemento più vulnerabile del sistema strutturale. Innanzitutto, è stata applicata l'analisi limite in approccio statico, tramite l’utilizzazione dei poligoni funicolari, che ha fornito un’interpretazione dei tipici schemi di fessurazione osservati. Inoltre, i risultati dei test meccanici sono stati sfruttati per costruire modelli agli elementi finiti, basati sul rilievo 3D (modello HBIM). Analisi statiche sia lineari che non lineari sono state eseguite tramite un software commerciale, che ha permesso una buona simulazione del comportamento altamente non lineare delle costruzioni osservate. Lo studio multidisciplinare, dal territorio al laboratorio, ha fornito, da un lato, una solida interpretazione dei danni osservati e una base fondamentale su cui imperniare specifiche strategie di conservazione, oltre a costituire una preziosa road map per indagini simili in futuro.
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EL, KHOURY CHADI. "LA PIEGA: MODELLO MORFO-SEMANTICO DI SUPPORTO ALLA FASE CREATIVA DEL PROGETTO". Doctoral thesis, 2015. http://hdl.handle.net/11573/918306.

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L’ideazione della forma in architettura si trova ad affrontare un grande problema: la mancanza di modelli teorici, dedicati al campo della progettazione architettonica, che siano solidi per soddisfare i requisiti scientifici e anche sufficientemente flessibili per essere adattabili a qualsiasi progetto architettonico. Il nostro lavoro si concentra su un modello morfo-semantico “la piega”, indotto nella società contemporanea dai sistemi di informazione, come struttura che ci aiuta a prendere delle decisioni per supportare la fase creativa del progetto. Il processo della progettazione architettonica è oggetto di molti studi, nel campo della scienza del disegno, o delle scienze cognitive o quello dell’informatica. La sua ricchezza si basa sulla sua complessità e la varietà di condizioni operative che essa include durante il suo progresso. Per i nostri scopi, ci concentreremo sulle fasi iniziali del progetto, i momenti della ricerca concettuale da cui fluirà tutto l'approccio progettuale. Questo passo fondante della attività di progettazione architettonica è in gran parte associato alla dimensione creativa. Proponiamo questo modello che convalideremo ricostruendo le fasi concrete di morfogenesi su degli oggetti di riferimento. Poi utilizzeremo la piega come modello in uno strumento dedicato per la progettazione architettonica. La nostra scelta è caduta su questo tema perché la piega è un catalizzatore di una serie di elementi che aiuta il processo progettuale elevando la qualità e le modalità operative di questo e creando una vera e propria “nuova estetica”. Pertanto questo modello supera l’apparente opposizione tra l’influenza razionale degli ingegneri che tende a rendere il processo della progettazione completamente intelligibile e quella degli artisti che tendono a considerarlo come un atto creativo, impossibile da comprendere.
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BENFANTE, ANGELA. "La strutturalità dello spazio-luce L'Architettura Sacra di Pier Luigi Nervi". Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1153299.

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Il rapporto tra struttura e luce rappresenta un elemento caratterizzante dell’architettura di Pier Luigi Nervi come osservato già da G.C. Argan ed E. N. Rogers. La luce naturale assume un ruolo ancor più significativo nelle opere d’ architettura sacra per le quali Nervi individua nella condizione luminosa e nella semplicità dello spazio gli elementi caratterizzanti. La luce insieme alla struttura definisce lo spazio sopperendo così a qualsiasi necessità decorativa. Nervi si rivolge all’architettura Gotica per il forte interesse per il tema strutturale, e in maniera analoga ricerca una nuova condizione spaziale nel rapporto tra struttura e luce; i due elementi si condizionano reciprocamente. In questa continua ricerca attua una reinterpretazione filtrata da una cultura Classica che influenza fortemente la geometria, le forme, le proporzioni e l’utilizzo della luce. Infatti, se la poetica strutturale è debitrice all’architettura Gotica, la spazialità è invece debitrice alla tradizione Classica. Conciliare la struttura Gotica con la spazialità Classica lo conduce ad una condizione luminosa differente, come reinterpretazione personale dei temi classici. Nervi, in sintonia con uno dei caratteri fondativi dell’architettura italiana, dimostra come non vi è invenzione. Egli impara dalla storia e reinterpreta i temi fondamentali con modalità evolutiva, partendo dalla tradizione italiana, la evolve nel confronto con i temi del Moderno che a loro volta attingono da una cultura nordica. L’ibridazione di entrambe rappresenta una personale reinterpretazione, inedita che lo porta alla definizione di una spazialità che possiamo definire nuova. Emerge una cifra distintiva dell’architettura di Nervi che deriva proprio dal metodo. Nervi si inserisce in un percorso storico, in continuità con la tradizione architettonica italiana adottando un metodo che fonda le radici nella conoscenza.
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BIGI, DANIELE. "Edilizia abitativa della piena età imperiale. Il caseggiato del Serapide a Ostia come caso studio". Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/11573/1381700.

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La ricerca è stata condotta partendo dall’esposizione generale del tema in oggetto fino a scendere al particolare del caso studio. Così, nel primo capitolo della dissertazione si è voluto mettere in luce gli aspetti maggiormente significativi per lo sviluppo dell’architettura domestica presso i Romani. È stata proposta una visione d’insieme sulla storia dell’edilizia abitativa a Ostia, fino a discutere di quei casi definiti dalla letteratura come precedenti architettonici della tipologia edilizia del caseggiato ad affitto. Dove è stato possibile, le case ostiensi esaminate sono state messe in relazione con altre architetture note, di Roma, di Pompei e di altri siti dell’Italia centrale, individuandone per ognuno la soluzione compositiva alla base. A differenza di altri siti, almeno fino a tutto l’alto impero, si è dimostrato per le case di Ostia l’appartenenza a una «tradizione» costruttiva consolidata nel corso dell’età repubblicana, che resiste e mantiene più o meno le stesse caratteristiche per diversi secoli. Si è arrivato a mettere in ordine gli aspetti cardine di una politica edilizia unitaria che si sarebbe manifestata nell’Urbe già a partire dalla fine dell’età neroniana. Con esempi specifici che spaziano da Ostia, a Roma, agli edifici definibili «non aulici» di Villa Adriana - Caserma, Hospitalia e Triclinio Imperiale, nel secondo capitolo è stato introdotto il tema delle soluzioni compositive comuni che dovevano ricorrere nella progettazione di nuovi quartieri e che possono essere considerate un leitmotiv dell’edilizia di II sec. d.C. Un’indagine del genere non ha riguardato soltanto le planimetrie degli edifici, ma in particolar modo l’architettura degli alzati, dove è stato dimostrato quanto la soluzione del balcone su mensole risultasse una peculiarità del repertorio formale dell’epoca. Seppur con diversa destinazione d’uso, tale elemento contribuiva alla formazione di un’estetica dell’architettura, sia abitativa sia monumentale. In più, il campione di edifici che è stato considerato per i confronti non si è limitato alla sfera domestica privata, ma ha toccato altresì realizzazioni di matrice imperiale (Domus Tiberiana, Horti sallustiani), o altri complessi a destinazione utilitaristica (edifici «non aulici» di villa Adriana, esedra delle terme di Traiano). Fra le varie soluzioni dettate da modelli precostituiti, in materia di pianificazione urbana è stata analizzata la porticus in linea del tipo a pilastri. Nel terzo capitolo, il più compilativo dal punto di vista filologico, si è reso necessario precisare la definizione di insula nel mondo antico, terminologia contraddistinta da un significato abbastanza eterogeneo, che si sposta dal campo «urbanistico» nel connotare interi brani di città, fino a intendere specificatamente un immobile, o parte di esso, che si erige sull’isolato. Tale accezione è molto distante dal significato assunto dallo stesso termine nella letteratura archeologica contemporanea. Prima di passare allo studio mirato del Caseggiato del Serapide, nel quarto capitolo sono state passate in rassegna le varie tipologie abitative che possono essere individuate nel sito di Ostia. Il discorso tipologico è risultato efficace per cogliere le diverse soluzioni progettuali che animavano una forma d’architettura domestica fortemente funzionale, senza incappare nell’errore di semplificare la ricerca in materia della storia dell’architettura romana, unicamente alla tipologia. Infine, il corpo più importante di tutta la ricerca è costituito dal quinto capitolo unicamente dedicato al caso-studio, poiché il testo racchiude il risultato delle attività sul campo ed è inoltre arricchito degli elaborati grafici prodotti grazie alla campagna di rilievo, strumentale e diretto. L’approccio metodologico che è stato seguito per le indagini in situ ha posto le ragioni scientifiche nel campo dell’archeologia dell’architettura. In coda al lavoro, agli ambienti maggiormente significativi del complesso sono state dedicate specifiche schede descrittive in cui sono state individuate le unità stratigrafiche che compongono gli apparecchi murari.
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FREDIANI, DANIELE. "Paesaggi della città convessa. Lo spazio aperto della modernità tra natura e abitare". Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/11573/1592435.

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Questa ricerca si occupa dello spazio aperto della città convessa, vale a dire quella particolare condizione della modernità caratterizzata da un piano libero sul quale gli oggetti architettonici si collocano autonomamente. La domanda da cui prende le mosse è se davvero il pensiero urbano del Novecento sia l’esito di un implacabile desiderio di tabula rasa, o se piuttosto gli architetti di questa fase cerchino il proprio contesto di riferimento in un rinnovato rapporto con la natura, ricodificando i modelli insediativi fin nella loro texture costitutiva. Con un ribaltamento del punto di vista, che metta al centro dell’attenzione lo “spazio tra le cose” piuttosto che le cose stesse, si vedrà come il “progetto della natura”, lungi dall’avere funzione riempitiva di un campo isotropo e indeterminato sia, al contrario, una componente fondamentale della costruzione urbana, in grado di orientare e condizionare la forma della nuova città-territorio. Attraverso alcune realizzazioni significative – il QT8 di Piero Bottoni, Decima di Luigi Moretti, la Cité des Courtillères di Émile Aillaud e Lafayette Park, progetto americano di Mies, Hilberseimer e Caldwell – si tenterà di comprendere come la città possa essere progettata a partire da un’idea molto forte di spazio aperto, il quale già negli anni Cinquanta è informato di acquisizioni teoriche mature e strumenti operativi capaci di guidare, a monte, il progetto della città. Alcune categorie critiche sono messe a sistema per portare alla luce un’inaspettata costellazione di figure spaziali ricorrenti. L’obiettivo è tracciare delle linee di senso che, dallo spazio aperto della modernità, conducono fino alle più recenti acquisizioni sul progetto di paesaggio. In effetti, se si guarda alle posture contemporanee del “fare paesaggio”, si possono osservare non pochi punti di contatto.
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Vizzini, Marta. "Per un riesame della pittura viterbese. Pittura e contesti nel Patrimonium Sancti Petri in Tuscia tra XIII e XIV secolo". Doctoral thesis, 2023. https://hdl.handle.net/2158/1299343.

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La tesi discussa dal titolo “Per un riesame della pittura viterbese. Pittura e contesti nel Patrimonium Sancti Petri in Tuscia fra XIII e XIV secolo” non è una mappatura capillare delle testimonianze pittoriche esistenti sul territorio individuato: essa ha cercato piuttosto di affrontare con ottica nuova alcuni monumenti, testimonianze e cicli pittorici ricchi di problematiche, finora rimasti pressoché privi di approfondimenti critici. L’introduzione presenta l’entità territoriale entro cui si muove la ricerca, il Patrimonium Sancti Petri in Tuscia, provincia dello Stato Pontificio gravitante intorno alla città di Viterbo, definisce l’ambito cronologico di azione, tra gli anni settanta del Duecento e il settimo decennio del Trecento, e fornisce lo stato dell’arte degli studi sulla pittura viterbese e del Patrimonio fra XIII e XIV secolo, argomento frequentato molto raramente dalla bibliografia più impegnata. La tesi si suddivide in sei capitoli. Una parte consistente della ricerca è incentrata su tre casi studio particolarmente significativi che sono stati individuati nelle chiese di Santa Maria Nuova a Viterbo, San Flaviano a Montefiascone e Santa Maria Maggiore a Tuscania (rispettivamente ai capitoli I, III e IV), siti dei quali è stata tentata una contestualizzazione dei cicli pittorici e delle strutture architettoniche anche in merito alle relative funzioni. Per quanto riguarda la chiesa di Santa Maria Nuova, ci si sofferma in modo approfondito sull’articolazione della stessa e dei suoi altari, e sui testi pittorici che li ornano, con affondi monografici sul Maestro delle croci Cortona-Loeser e sulla figura, ricostruita per via indiziaria, di Pietro da Viterbo. Della chiesa doppia di San Flaviano a Montefiascone si propongono una scansione temporale dei differenti interventi architettonici in epoca medioevale. In particolare, si propone una nuova lettura dell’assetto e della funzione delle due chiese sovrapposte tra la seconda metà del XIII e la prima del XIV secolo. Viene indagata, poi, analiticamente la decorazione a fresco di inizio Trecento della chiesa inferiore. Di Santa Maria Maggiore a Tuscania, vengono analizzate le campagne pittoriche riferibili al XIII e al XIV secolo, tra le quali emerge il ciclo trecentesco di cui è parte il Giudizio Universale, copia imperfetta di quello di Giotto nella cappella degli Scrovegni di Padova. Dallo studio della decorazione trecentesca emerge la fisionomia di una bottega attiva in tutta la cittadina laziale per l'intera prima metà del Trecento e che si ritrova sia nella chiesa di San Pietro, sia in un’opera di formidabile interesse quale è il Lignum Vitae nella chiesa di San Silvestro. Alla trattazione dei tre casi studio citati, si accostano degli affondi su altri temi trasversali e paralleli (capitoli II e V). Nel capitolo II si rilegge la vicenda della realtà critica di “Gregorio e Donato d’Arezzo”, che interessa vari contesti oggetto della ricerca, con una proposta di identificazione per ciascuno dei due pittori e l’individuazione delle rispettive fisionomie e geografie artistiche. Si fornisce, inoltre, un catalogo delle opere dei due pittori. Nel capitolo V si prende ad esame un tema poco spesso frequentato dalla letteratura “viterbese”: le origini culturali di Matteo Giovannetti, la sua prima attività avignonese e le ricadute della sua opera sulla produzione figurativa del territorio altolaziale. La tesi si conclude con l’analisi di una serie di casi pittorici sparsi nell'area geografica presa in considerazione, che rivela una fitta rete collaterale di espressioni pittoriche ugualmente significative, al fine di mettere in evidenza le specificità della pittura della regione viterbese in epoca medievale come polo tra Roma, la Toscana, l’Umbria settentrionale e infine la Provenza e Avignone.
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GAMBUTI, EMANUELE. "Trasformazioni delle aree presbiteriali delle chiese antiche nel Seicento romano. Aspetti liturgici e funzionali". Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/11573/1240227.

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Analizzando i restauri promossi nel corso del tardo Cinquecento e per tutto il Seicento nelle chiese paleocristiane e medievali di Roma, si sono evidenziate le motivazioni liturgiche che hanno informato le disposizioni degli arredi dei presbiteri. Si sono esaminate i riallestimenti dei santuari dei martiri nelle basiliche romane, seguendo lo sviluppo del tipo architettonico della confessione, e si sono letti gli interventi architettonici studiati alla luce dei due fondamentali modelli di Santa Cecilia in Trastevere e di San Pietro in Vaticano. Si sono inoltre indagati i principi di volta in volta applicati nel rinnovare le strutture antiche, tra conservazione e adeguamento all'uso liturgico, alla luce dei decreti del Concilio di Trento, prendendo in esame dodici casi studio, che testimoniano, nel corso del XVII secolo, il modificarsi del concetto di conservazione dell'antichità cristiana, accanto al differente peso dato alle componenti devozionali e liturgiche.
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GAMBACCIANI, STEFANO. "Le dimensioni dell'abitare, la lezione fiorentina (1948-1968)". Doctoral thesis, 2013. http://hdl.handle.net/2158/799904.

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Cuore della ricerca, sono le operazioni di “tassello”, così definite dall’architetto Franco Bonaiuti, ovvero quegli innesti chirurgici, quegli interventi puntuali di ricostruzione, all’interno del tessuto storico, o comunque ormai consolidato, della città. Se infatti le sperimentazioni architettoniche più complete e pianificate, di cui ben si conoscono intenti programmatici, esiti formali e successive critiche, riguardano i quartieri periferici di espansione di Firenze, e sono legate soprattutto ai vari enti preposti allo sviluppo delle residenze collettive convenzionate, sono altrettanto interessanti, ma sicuramente meno noti, i casi di edilizia privata, di elevato valore architettonico, che punteggiano il tessuto del centro storico e l’immediato intorno dei viali di circonvallazione. Lezioni che ci fanno riflettere sul mestiere di architetto, quando non è semplice pratica professionale, ma è invece un bagaglio di conoscenze che hanno riferimenti con la cultura del tempo, per cui anche un lavoro di edilizia diventa un’opera di architettura.
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BENINCAMPI, IACOPO. "La legazione di Romagna nel Settecento. Il «Buon Governo» dell'architettura nella periferia dello Stato Pontificio (1700-58)". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11573/1089938.

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Nella prima metà del Settecento, la legazione di Romagna rappresentò uno dei laboratori artistici più attivi della ‘periferia’ dello Stato della Chiesa. Infatti, la costante perdita di prestigio da parte della figura del Pontefice in atto a partire dalle paci di Westfalia (1648) se da una parte attivò quel lento processo di indebolimento dell’egemonia culturale romana, dall’altra consentì anche alle regioni più remote della nazione di contribuire al dibattito allora in corso sull’esperienza barocca. Conseguentemente, l’obiettivo della ricerca è stato principalmente quello di ricostruire i termini di questo apporto sotto il profilo dell’architettura. Anzitutto, quindi, è parso necessario stabilire quale fosse la condizione del territorio al principio del XVIII secolo e quale fosse lo stato delle relazioni con Roma e Bologna. E questo perché, tradizionalmente, si è sempre ritenuta la provincia dipendente da questi centri. Certamente, la Congregazione del Buon Governo e i rappresentanti del regnante 'in loco' – Legati e Governatori – esercitarono un controllo totale, rendendo sostanzialmente superflui i Consigli Generali e particolari romagnoli. Tuttavia, la favorevole successione al trono di sovrani interessati a un rilancio dello Stato riaccese lo spirito di iniziativa delle amministrazioni locali, che intesero prendere parte a questi ammodernamenti nella speranza di emanciparsi dal contesto di appartenenza e ritagliarsi una posizione di maggiore autorevolezza. Questa situazione spronò una diffusa intraprendenza che si concretizzò nella costruzione di numerosi edifici pubblici e privati, religiosi e laici. Svolgere però simili incarichi – constatata la difficoltà dei bilanci comunali – implicava la presenza di specialisti, garanti della buona riuscita dell’opera e della qualità delle realizzazioni, a fronte di circoscritte possibilità d’investimento. Per questo motivo, una parte della dissertazione è stata dedicata allo studio delle modalità di formazione nella Legazione, distinguendo l’istruzione erudita – fondata sull’osservazione diretta dei manufatti capitolini e la frequentazione degli ambienti accademici – dalla pratica costruttiva insegnata nelle botteghe dai mastri. In tal modo, si sono selezionate alcune figure chiave auliche, riconosciute in funzione tanto della storiografia quanto di una precisa geografia politica della professione: Carlo Cesare Scaletta a Faenza (1666-1748), Giuseppe Merenda (1687-1767) fra Forlì e Faenza, Pietro Carlo Borboni (1720ca-73) a Cesena e dintorni, Giovan Francesco Buonamici (1692-1758) lungo la costa adriatica e Giuseppe Antonio Soratini (1682-1762) fra Ravenna e l’entroterra. In particolare, però, solo quest’ultimi due ebbero una produzione di carattere interregionale. Quanto invece alle maestranze – appurata la vastità, la varietà e il diverso grado di competenza di queste imprese edili – si sono considerati sia alcuni gruppi di speciale interesse, come furono i clan dei Boschi e dei Campidori a Faenza, sia specifici personaggi come Pier Mattia Angeloni (1627-1701) e Francesco Zondini (1682-1748) a Cesena, o Giuliano Cupioli (not. 1740-76) a Rimini. E questo perché se i primi testimoniarono nel passaggio da una generazione all’altra il cambio di gusti che segnò uno spiccato ritorno al classicismo, al contrario i secondi dimostrarono come – parallelamente a nuove mode – continuassero a sopravvivere modi progettuali di memoria precedente, seppure moderatamente aggiornate. Ciò nondimeno, uno sviluppo del mestiere fu sostenuto anche dalla costante presenza nella Legazione di periti camerali come Francesco Fontana (1668-1708), Abram Paris (1641ca-1716), Girolamo Caccia (1650-1728ca), Luigi Vanvitelli (1700-73) e Ferdinando Fuga (1699-1782): operatori alle dirette dipendenze del Pontefice la cui assidua frequentazione dei centri romagnoli non solo fornì l’occasione alla regione di dotarsi di moderne elaborazioni progettuali – dai singoli manufatti a interi impianti urbani (come Cervia Nuova) – ma, allo stesso tempo, garantì un confronto attivo con i principali architetti dell’epoca, il che introdusse elementi di originalità e velocizzò la messa in pratica di quel ‘riformismo’ papale, allora tendenza dominante. Così – dall’erezione di pescherie alla ottimizzazione dei porti, passando per la sistemazione di ponti, strade, beccarie, archivi, ospedali e la diversione dei fiumi Ronco e Montone (effettivamente in opera dal 1735) – molteplici municipalità si rinnovarono secondo un linguaggio sintetico e austero, esplicita declinazione delle sperimentazioni romane in funzione delle necessità locali. Di conseguenza, si trattò di un processo di assimilazione, adeguamento e successiva riproposizione: una dialettica immagine della stessa evoluzione del Barocco. E a questo generalizzato sviluppo contribuirono anche gli edifici di culto che, in quantità sempre maggiori, si andarono rinnovando attraverso un procedimento di riduzione «alla moderna», spesso preludio di un aggiornamento 'ab imis fundamentis'. In tal maniera, se da una parte è vero che diverse chiese preferirono mantenere la tradizionale impostazione controriformista, accogliendo però inserti e motivi decorativi tratti dai principali trattati in circolazione – ad esempio lo 'Studio di architettura civile' (dal 1702) – dall'altra è altresì vero che non mancarono tentativi di investigazione del nuovo codice espressivo: casi a volte tesi alla ricerca di un compromesso secondo la linea di regolarizzazione e depotenziamento già introdotta a Roma da Carlo Fontana (1638-1724) e il suo entourage, a volte rivolti direttamente a una reinterpretazione di celebri esempi capitolini. Pertanto, ai fini di offrire una valutazione nel merito delle reali potenzialità artistiche della provincia, la ricerca si è concentrata sulla trattazione di alcuni casi-studio reputati i più significativi, con l’obiettivo di accertare tanto gli elementi di modernità quanto le propensioni dei relativi progettisti, costantemente alla ricerca di un equilibrio fra gli indirizzi romani, le peculiarità bolognesi e le specifiche esigenze di autorappresentazione della classe dirigente locale: una prova di commistione di diverse propensioni che in sé ha costituito il contributo della Legazione non solo allo sviluppo del Barocco ma, soprattutto, alla stessa 'figuratio' della Romagna nel XVIII secolo.
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