GENOVESE, DIANA. "Tra dignità e libertà: la tratta di esseri umani e lo sfruttamento lavorativo dei migranti". Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1170343.
Resumen
La presente trattazione si propone di analizzare gli strumenti normativi di contrasto alle attuali forme di sfruttamento lavorativo in Italia, in una prospettiva che metta al centro del dibattito l’importanza dei valori da tutelare e le vittime da proteggere.
L’obiettivo finale è quello di ricostruire, a partire da un’approfondita analisi del panorama giuridico internazionale, come interpretato dalle Corti e dalle organizzazioni internazionali, i rapporti tra la tratta di esseri umani (in particolare, a fini di sfruttamento lavorativo) e lo sfruttamento lavorativo tout court nel quadro normativo interno in cui la distinzione si fa estremamente complessa, in considerazione dell’identità del bene giuridico tutelato da queste fattispecie, ossia la dignità.
Il primo capitolo analizza l’evoluzione a livello internazionale del concetto di tratta a partire dall’inizio del XX secolo fino alla sua cristallizzazione nel Protocollo addizionale alla Convenzione sul crimine transnazionale organizzato firmata a Palermo nel 2000, che ha distinto per la prima volta la tratta di esseri umani (Protocollo sul trafficking) dal traffico dei migranti (Procollo sullo smuggling).
Tale premessa storica appare essenziale alla comprensione di come il concetto di tratta di esseri umani sia stato per molto tempo, e per certi versi continui ad essere – almeno nel discorso pubblico e nelle aule giudiziarie – un concetto fortemente legato alla schiavitù (tratta degli schiavi) e alla prostituzione (tratta delle bianche).
La tesi proposta è che la definizione adottata nel Protocollo sul trafficking di Palermo abbia svincolato la condotta sia dall’una che dall’altra, offrendo all’interprete una fattispecie potenzialmente capace di raggiungere tutte le più attuali e gravi forme di sfruttamento, in particolare, quello lavorativo.
Il secondo capitolo affronta, conseguentemente, il dibattito accademico e giurisprudenziale scaturito a livello internazionale dall’adozione del Protocollo sul trafficking. La definizione di tratta di esseri umani ivi accolta è stata, infatti, lodata per le sue innumerevoli potenzialità applicative e allo stesso tempo osteggiata per la sua limitatezza rispetto alla capacità di raggiungere le «moderne forme di schiavitù». Proprio il rapporto tra tratta di esseri umani e schiavitù si pone al centro delle riflessioni delle Corti internazionali, come vedremo analizzando, in particolare, le decisioni del Tribunale penale internazionale per la Ex-Iugoslavia e della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Nel ripercorrere i temi essenziali di questo dibattito, si è reso necessario effettuare, parallelamente, una ricognizione delle innovazioni normative in ambito UE e a livello del Consiglio d’Europa, anche al fine di apprezzarne gli effetti sull’ordinamento giuridico italiano.
Dal punto di vista sociologico, i mutamenti che nel tempo hanno interessato le rotte e i metodi della tratta di esseri umani a livello internazionale sono, invece, analizzati mediante gli studi dell’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime). Proprio partendo dall’interpretazione evolutiva della definizione di trafficking da quest’ultimo proposta, si tenterà di restituire l’attuale complessità di un quadro giuridico internazionale in cui la tratta di esseri umani finisce per identificarsi con lo sfruttamento, a prescindere dallo spostamento nello spazio della vittima che lo subisce. A tal fine, si è reso necessario scandagliare gli innumerevoli problemi sottesi alla fattispecie di tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo: dalla nozione di sfruttamento lavorativo a quella di abuso di una posizione di vulnerabilità, quale mezzo della condotta più frequente nelle attuali modalità di reclutamento delle vittime.
In conclusione al secondo capitolo, si è ritenuto opportuno concentrarsi sulle ripercussioni di questo dibattito sulla, ormai sempre più labile, distinzione tra trafficking e smuggling. L’obiettivo è quello di problematizzare la netta separazione dei due concetti, che non trova spesso riscontro nei gli attuali contesti dei cosiddetti mixed flows, ove i trafficanti presentano sorprendenti capacità di adattarsi alle legislazioni esistenti, sfruttando nuovi fattori di vulnerabilità, fino ad intrecciarsi con i percorsi della protezione internazionale.
Il terzo e il quarto capitolo sono dedicati alla ricognizione del panorama legislativo italiano in tema di tratta di esseri umani e, in particolare, agli effetti dell’evoluzione giuridica internazionale sul piano ordinamentale interno.
Il terzo capitolo analizza come l’Italia abbia recepito i concetti di trafficking e smuggling, non senza confusioni o sovrapposizioni.
Da una parte, il notevole ritardo nell’attuazione della definizione internazionale di tratta di esseri umani, ha comportato, per molti anni, una sostanziale inapplicazione dell’art. 601 c.p. (reato di tratta), rimasto ancorato alle incertezze applicative dell’art. 600 c.p. (reato di schiavitù). Dall’altra parte, il reato di smuggling è stato inserito all’interno della normativa penale sull’immigrazione, con modalità per certi versi inedite rispetto al panorama normativo internazionale e comunitario. Si è, infatti, sganciata la punibilità del traffico di esseri umani dalla necessità dello scopo del profitto e, parallelamente, sono state configurate fattispecie aggravate, mediante l’innesto dell’elemento dello sfruttamento (della prostituzione e, più tardi, anche di quello lavorativo) su condotte di smuggling. Le ipotesi di sfruttamento lavorativo degli stranieri irregolari sono state, a loro volta, ricondotte ad un’ulteriore fattispecie del Testo Unico Immigrazione, volta a punire il favoreggiamento della permanenza irregolare degli stranieri sul territorio italiano. Viene presentato come emblematico di questa impostazione il caso di Prato e delle indagini svolte dalla Procura in seguito all’incendio di un’azienda di confezioni cinese.
Sul fronte del trafficking, il nostro ordinamento si è allineato alla definizione internazionale del Protocollo di Palermo solo nel 2014, con la recezione della Direttiva 2011/36/UE. Questa modifica ha consentito un definitivo allontamento del reato di cui all’art. 601 c.p. da quello di cui all’art. 600 c.p., determinando una profonda trasformazione dei rapporti tra le due fattispecie, anche dal punto qualitativo. Come si cercherà di dimostrare prendendo in esame l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità e il dibattito internazionale analizzato nel secondo capitolo, le due fattispecie devono distinguersi, in primo luogo, per una diversa oggettività giuridica, essendo la schiavitù volta a tutelare lo status liberatis, e la tratta di esseri umani la dignità umana. Al fine di evidenziare le potenzialità applicative del nuovo reato di tratta di esseri umani (art. 601 c.p.), anche con riferimento all’introduzione, tra i mezzi della condotta, dell’abuso della posizione di vulnerabilità, si è deciso di soffermarci sul caso delle donne rumene sfruttate nella fascia trasformata di Ragusa. Un caso che appare paradigmatico della vulnerabilità connessa alla tratta di esseri umani.
L’ultima parte del terzo capitolo si concentra sulle forme di protezione per le vittime di tratta e di grave sfruttamento nel nostro ordinamento, dedicando particolare attenzione all’art. 18 T.U.I. e all’interpretazione che di questa norma si è data nella prassi amministrativa e giudiziaria. La tesi sostenuta, anche alla luce delle norme internazionali rilevanti, è che se si muove da una concezione di dignità umana, declinata in termini tali da non porsi in conflitto con la libertà di ciascuno, è necessario un utilizzo dell’art. 18 orientato ad individuare i più adeguati meccanismi di protezione delle vittime di sfruttamento lavorativo, a prescindere dalla qualificazione giuridica e dalla rilevanza penale dello sfruttamento cui è sottoposta la vittima bisognosa di protezione. Il tema della protezione è, infine, collegato a quello dell’identificazione delle vittime di tratta e di sfruttamento, in particolare, nell’ambito dei percorsi della protezione internazionale, dove le Commissioni Terrioriali per il riconoscimento della protezione internazionale e i Giudici della Sezione specializzata in materia di protezione internazionale sono chiamati ad implementare delle corrette procedure di referral.
Il quarto e ultimo capitolo prende in considerazione le innovazioni alla normativa in materia di contrasto allo sfruttamento lavorativo, su un piano prettamente interno, apportate dal decreto legge n. 138/2011 e dalla legge n. 199/2016.
Quest’ultima modifica, in particolare, ha introdotto il reato di sfruttamento lavorativo in Italia (art. 603-bis c.p.), imponendo una necessaria ridefinizione dei rapporti con le altre norme penali esistenti, in particolare con l’art. 601 c.p.
Le potenzialità offerte dal nuovo reato di sfruttamento lavorativo, che verranno evidenziate mediante l’analisi di alcune sentenze di merito e di legittimità e delle inchieste avviate prima e dopo la legge n. 199/2016, saranno messe a confronto con l’attuale realtà fenomenologica del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in alcune Province del Sud Italia, prima fra tutte, quella di Foggia.