Academic literature on the topic 'Valore pedagogico della poesia'

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Journal articles on the topic "Valore pedagogico della poesia"

1

Negri, Martino. "Children and poetry in Italy since the Nineteenth Century. Historical reconstructions and interpretative hypotheses." Rivista di Storia dell’Educazione 7, no. 2 (December 3, 2020): 3–10. http://dx.doi.org/10.36253/rse-10093.

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Abstract:
[…] credo che oggi il più insidioso e temibile nemico della poesia sia la poesia stessa, o meglio la sua idea, il suo mito, la sua nobiltà tradizionale: un valore che appare tuttora, immotivatamente, garantito di per sé come eccellente. Meglio ancora: credo che oggi i veri nemici della poesia siano diventati i poeti, che scrivono quello che scrivono mettendosi al riparo, sotto la protezione della nobiltà del genere letterario. (Berardinelli 2008, 25)
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2

Cattaneo, Marina. "Le scrittrici della rivista La Difesa delle Lavoratrici." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 54, no. 1 (March 13, 2020): 166–88. http://dx.doi.org/10.1177/0014585820909297.

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Abstract:
Partendo dall’esperienza che alcune scrittrici socialiste lombarde avviano fondando, nel 1912, la rivista La Difesa delle Lavoratrici, viene effettuata un’analisi della produzione letteraria e politica di intellettuali donne che in quella rivista opereranno a vario titolo. Si tratta di: Anna Kuliscioff, Angelica Balabanoff, Rosa Genoni, Maria Gioia, Maria Giudice, Linda Malnati, Abigaille Zanetta, Enrica Viola, Maria Perotti Bornaghi. Alcune, come Kuliscioff e Balabanoff, sono ricordate soprattutto per il contributo dato alla lotta politica, anche se la poesia di Angelica Balabanoff è anche un riferimento obbligato nella storia letteraria del primo Novecento. Altre soprattutto per i valori che trasfondono nella loro narrativa, in particolare quando fanno scorrere le storie all’interno dei rapporti di classe dell’epoca, improntati all’atteggiamento padronale dei ceti più favoriti. La guerra, il dolore umano, la famiglia, il ruolo della donna nella società, la situazione di povertà di tanti bambini, sono tra i temi maggiormente trattati. Molti i riferimenti al proprio vissuto, anche quando non assumono la veste formale di vere e proprie autobiografie. Il fatto che la funzione pedagogica mostri, nel lavoro delle scrittrici qui presentato, una evidenza maggiore di quella estetica e puramente narrativa è inevitabile, data l’epoca e il contesto al quale i testi fanno riferimento.
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3

Siclari, Alberto. "La religione come "poesia della vita" in Harald Hoffding." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 34 (April 2009): 26–39. http://dx.doi.org/10.3280/las2009-034003.

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Abstract:
- Alberto Siclari La religiositÀ di Harald Hoffding, educato nella fede cristiana, si č risolta con gli anni nella fede nella conservazione della dimensione del valore, che giudicava essere condizione di possibilitÀ per l'esistenza umana. Questa fede, che valorizza l'autenticitÀ personale e promuove lo sviluppo di una societÀ di spiriti liberi e solidali, deve tuttavia misurarsi con il corso naturale delle cose e l'esperienza del tragico. La religione dei valori diffusi Roberto Cipriani L'ambito ascrivibile alla religione dei valori diffusi andrebbe dalla categoria definita come religione di chiesa critica a quella indicata come religione critica come allontanamento, dunque comprendendo sia una parte della religione di chiesa (quella meno corriva), sia tutto l'arco della religione diffusa, sia ogni forma di religione critica. Secondo gli esiti della cluster analysis vengono classificati come appartenenti alla religione di chiesa il 32% degli intervistati, alla religione diffusa (o modale) il 59,1%, alla non religione l'8,9%. La societÀ degli individui, n. 34, anno XII, 2009/1
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Stramaglia, Massimiliano. "Su alcuni nodi problematici di ambito familiare." EDUCATION SCIENCES AND SOCIETY, no. 2 (November 2020): 107–28. http://dx.doi.org/10.3280/ess2-2020oa9641.

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Abstract:
A muovere da alcuni assunti-chiave della pedagogia sociale e della famiglia, l'articolo si concentra sui problemi di natura relazionale che possono rinvenirsi all'interno delle compagini domestiche, aprendo a ulteriori piste di ricerca di valore e importanza emergenziali. Dapprima, è analizzato il sottosistema fraterno e/o sororale nelle ricadute evidenti che il modello di coppia coniugale incarna agli occhi dei figli, sino a fondare una o più "sottofamiglie" interne al sistema familiare nella sua complessità globale. Successivamente, si prende in considerazione il peculiare rapporto che la madre è solita intrattenere con i figli di sesso maschile, nel tentativo di argomentare le ragioni del maggiore investimento emotivo della madre medesima qualora la prole, in quanto sessualmente differente da lei, testimoni, a maggior ragione, la sua onnipotenza generativa. Infine, l'attenzione dell'autore si sposta su una modalità relazionale di marca paterna poco indagata in seno al sapere pedagogico contemporaneo, forse in ragione della tenerezza dei nuovi padri: il residuo patriarcale della competizione fra padre e figlio, che si tramuta, qualora il padre sia di giovane età, in una sorta di ideologia amicale, altrettanto tirannica rispetto alla relazione austera e autoritaria che lasciava il figlio, di fatto, orfano di padre.
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5

Messina, Nunziata. "IL SAPERE GEOGRAFICO E LE TEORIE PEDAGOGICO – DIDATTICHE PER L’INSEGNAMENTO DELLA GEOGRAFIA." International Journal of Developmental and Educational Psychology. Revista INFAD de Psicología. 2, no. 1 (July 2, 2016): 413. http://dx.doi.org/10.17060/ijodaep.2016.n1.v2.307.

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Abstract:
Anticamente, il sapere geografico era imperniato soprattutto sulla dimensione della Terra, vista prioritariamente come corpo celeste e collegata all’attività cartografica. Nel Rinascimento il rinnovamento culturale ebbe ripercussioni anche sul livello educativo, gli umanisti consideravano l’uomo all’inizio di un’era nuova. Le grandi scoperte geografiche aprirono nuovi orizzonti verso la conoscenza del mondo e verso le diverse applicazioni didattiche. Michel Eyquem de Montaigne sosteneva che l’insegnamento della geografia doveva basarsi sull’osservazione diretta, collegando la geografia alla storia. Il filosofo John Locke vide nella geografia una disciplina particolarmente proficua per lo sviluppo dello spirito di osservazione, in quanto, attraverso le passeggiate scientifiche, le gite ed i viaggi, l’allievo poteva riuscire ad avere una conoscenza diretta delle cose. Nel ‘700 si sviluppò l’Illuminismo ispirato ai principi razionali; Jean – Jacques Rousseau nella sua opera, “Emilio”, evidenziò la grande forza e il valore educativo dell’ambiente, egli ribadiva che nel passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza si sviluppa nel ragazzo la curiosità di conosce il mondo, in questo la geografia diviene un importante alleato anche per lo studio delle scienze. Dopo la seconda metà dell’ottocento si affermarono il naturalismo e il positivismo, in questo periodo anche nelle Università Italiane venne introdotta la geografia e un impulso positivo per l’insegnamento geografico nella scuola elementare fu dato da Filippo Porena che propose una nuova metodologia basata sull’utilizzo di diversi metodi: metodo oggettivo (immagini); metodo naturale; geografia locale e lettura e disegno delle carte geografiche. L’uso del disegno divenne una metodologia importante in tutte le scienze ma soprattutto nelle geografia.
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Lomiento, Liana. "Considerazioni sul valore della cesura nei versi kata stichon e nei versi lirici della poesia greca arcaica e classica." Quaderni Urbinati di Cultura Classica 67, no. 1 (2001): 21. http://dx.doi.org/10.2307/20546667.

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7

Petrini, Martina. "Learn as you walk. The role of physical activity in the development of life skills." Form@re - Open Journal per la formazione in rete 22, no. 3 (December 31, 2022): 222–34. http://dx.doi.org/10.36253/form-13631.

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Abstract:
The aim of this article is to analyse the educational potential of the many forms of walking, specifically investigating the role that this form of movement can play in the development of life skills. Walking is not only the simplest and most spontaneous way that human beings have to move from one place to another, but it is an action that can take on a series of meanings from both an anthropological-philosophical and a pedagogical point of view. Indeed, walking is one of the most accessible and cost-effective physical activities, a slow and alternative type of travel, a form of sustainable mobility, and an original means to facilitate learning. This paper, by referring to some experimental projects that focus on various ways of walking, will attempt to explore the specific value that each of them may have in the person’s educational and self-developmental process. Apprendere camminando. Il ruolo dell’attività motoria nello sviluppo delle life skills. L’articolo si pone l’obiettivo di analizzare le potenzialità formativo-educative delle molteplici declinazioni del cammino, approfondendo nello specifico il ruolo che tale forma di movimento può avere nello sviluppo delle life skills. Camminare non è solamente il modo più semplice e spontaneo che l’uomo ha per spostarsi da un luogo ad un altro, bensì è un’azione che può assumere una serie di significati sia da un punto di vista antropologico-filosofico che pedagogico. Il cammino si configura, infatti, come una delle attività motorie più accessibili ed economiche, come lenta ed alternativa tipologia di viaggio, come forma di mobilità sostenibile, come un originale dispositivo per agevolare l’apprendimento. Il presente contributo, facendo riferimento ad alcuni progetti sperimentali incentrati sui variegati modi di camminare, cercherà di esplorare il valore specifico che ognuno di essi può avere nel processo formativo ed autoformativo della persona.
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Catturi, Giuseppe. "Arte figurativa e arte contabile. Le tavolette della biccherna del comune di Siena (XIII–XVII secolo)." De Computis - Revista Española de Historia de la Contabilidad 10, no. 19 (December 31, 2013): 175. http://dx.doi.org/10.26784/issn.1886-1881.v10i19.270.

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Abstract:
Fra le arti figurative comprese in quelle cosiddette “belle”, cioè le forme di attività che, secondo l'opinione del Vasari, hanno esclusivamente un fine di bellezza, un valore estetico, come l'architettura, la danza, la poesia, la pittura, la scultura e la musica, in questo articolo focalizziamo l'attenzione sulla pittura e su di una sua particolare espressione e manifestazione, irripetibile ed originalissima.Le composizioni pittoriche che rappresentano eventi e situazioni di vita vissuta o configurazioni di ambienti costituiscono tutte una fonte conoscitiva di inestimabile valenza. Agli attenti osservatori esse costituiscono archivi storici e giacimenti culturali di particolare ampiezza ed intensità.D'altra parte è arte anche il complesso delle tecniche, degli strumenti e dei loro metodi d'uso concernenti una realizzazione, un'applicazione pratica nel campo dell'operare umano; cosicché è possibile scrivere di arte riferendosi ora ad un mestiere ora ad una professione. Si ha così l'arte medica, l'arte forense, etc., ma anche l'arte contabile, quella cioè esercitata da coloro che si mostrano capaci di memorizzare e di sistematizzare, seguendo un metodo preordinato e rigoroso, i fatti amministrativi, ridotti in termini quantitativi – monetari, che caratterizzano l'attività economico – finanziaria realizzata da una qualunque azienda, in modo da offrire al gestore informazioni determinanti per il buon governo dell'azienda medesima.L'obiettivo conoscitivo dell'arte contabile rimane costante nel tempo, ma gli strumenti ed il loro metodo d'uso, relativi a quell'arte, cambiano mano a mano aumenta il bagaglio delle conoscenze concernenti l'efficace utilizzo a fini gestionali dei risultati contabili rilevati periodicamente. Nel nostro studio intendiamo riferirci all'arte contabile esercitata nel Medioevo nell'ambito di famiglie di mercanti, banchieri, amministrazioni comunali, ospedali, opere pie e congregazioni religiose. In particolare, vogliamo trattare dell'ufficio della Biccherna del Comune di Siena preposto alla gestione delle pubbliche risorse finanziarie. Esso era composto da un “presidente” - il Camarlingo - e da quattro Provveditori in carica per sei mesi.I registri contabili sui quali il Camarlingo annotata giornalmente le varie operazioni finanziarie erano a fogli mobili e, pertanto, inizialmente venivano tenuti assieme da un foglio più grande sul quale veniva scritto il periodo di riferimento ed il nome del Camarlingo. Successivamente, per tenere uniti i numerosi fogli contabili si incominciò ad usare del materiale rigido, appunto delle tavolette di legno, la cui consistenza e rigidezzarendevano più agevole l'adozione e la consultazione dell'insieme dei fogli contabili relativi ai vari semestri.Le due tavolette, quella superiore e l'altra inferiore, erano legate da lacci di cuoio che costituivano la costola e sul davanti veniva posta una fibbia di chiusura, in modo da formare un vero e proprio “libro”. Fu proprio per sopperire all'anonimicità ed alla ripetitività di quei libri che, almeno a Siena, si affermò l'uso, a partire dal 1257, di far dipingere le tavolette di legno che tenevano legate e congiunte le pagine del libro contabile.Molti e di grande fama furono i pittori senesi che dipinsero le tavolette della Biccherna: Duccio di Boninsegna, Ambrogio Lorenzetti, Giovanni di Paolo, Sano di Pietro, Domenico Beccafumi e molti altri. I pittori per lo più disegnavano l'ambiente principale della Biccherna, quello in cui si svolgevano le transazioni finanziarie e, talvolta, gli operatori dell'ufficio: il Camarlingo, i Provveditori e qualche cittadino raffigurato mentre pagava le imposte. Sul tavolo da lavoro si disegnavano spesso gli strumenti per l'esercizio dell'arte contabile: libri, penna, calamaio, grattino, forbici, monete, borse etc.È così che scorrendo le numerose rappresentazioni pittoriche delle tavolette, raccolte per lo più nell'Archivio di Stato di Siena, altre fanno bella mostra di sé nei maggiori musei del mondo, possiamo leggere, in estrema sintesi, alcuni significativi aspetti dell'evoluzione culturale della comunità medievale senese. Da esse possiamo trarre informazioni immediate non solo dei cambiamenti nell'arte pittorica adottata dagli autori dei dipinti, ma anche sull'organizzazione dell'Ufficio finanziario del Comune, la Biccherna appunto, e l'importanzasempre maggiore che veniva attribuita agli strumenti indispensabili per esercitare l'arte contabile. Possiamo acquisire informazioni concernenti l'evoluzione del “metodo” adottato nell'annotare i dati finaqnziari relativi all'attività della Biccherna solo dalla lettura dei fogli compresi nei vari “libri”, ma tale obiettivo conoscitivo è complementare e collaterale rispetto a quello principale che ci siamo posti. Insomma, osservando in ordine cronologico le tavolette di Biccherna, si “legge il tempo” nella contemporaneità dei momenti di vita vissuta da Siena, dalla sua comunità e in particolare dal suo più importante Ufficio finanziario pubblico, la Biccherna.Lo studio intende evidenziate appunto la correlazione fra arte figurativa e arte contabile attraverso le tavolette dipinte dei libri contabili della Biccherna senese.
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Ellerbrock, Karl Philipp. "Lectura Dantis: Purgatorio XXVI." Deutsches Dante-Jahrbuch 90, no. 1 (January 28, 2015). http://dx.doi.org/10.1515/dante-2015-0006.

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Abstract:
RiassuntoNel canto XXVI del Purgatorio, noto per l’omaggio alla memoria di due grandi poeti in volgare, Dante problematizza il rapporto tra fama letteraria e salvezza dell’anima. Sorprendentemente il canto dello stilnovista Guido Guinizzelli e del trovatore Arnaut Daniel è penetrato da una retorica dell’anonimità: le anime qui presenti, invece di figurare nominatamente, sembrano scomparire nel processo collettivo della purificazione. Il contrappasso riservato ai poeti riguarda il loro uso metaforico - »lussurioso« - d’immagini religiose, come il biblico ardere, da loro impiegato per parlare poeticamente della passione amorosa, anzi della poesia stessa. Per poter raggiungere il paradiso, i poeti sono condannati a rinunciare al loro uso individuale ed eretico della parola, diventando quindi stilisticamente indiscernibili. Così il ›Guido‹ immaginato da Dante è una versione ridotta dell’autore di »Al cor gentil«, mentre ›Arnaut‹ non è più riconoscibile come un rappresentante del trobar clus. L’incontro tra ›Dante‹, ›Guido‹ ed ›Arnaut‹ prende la forma di una conversazione velata, quasi tacita, nella quale tuttavia i poeti dispiegano una retorica ancor più raffinata per affermare il valore della poesia, che sta per spegnersi nelle fiamme del purgatorio.
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Belletti, Gabriele. "«-Scrivéma / scróiv ancàura». Il lavoro poetico di Giuliana Rocchi." altrelettere, September 30, 2019. http://dx.doi.org/10.5903/al_uzh-44.

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Abstract:
Il contributo prende in esame la poetica dell’autrice Giuliana Rocchi (Santarcangelo di Romagna, 1922 - Rimini, 1996), figura più appartata e meno nota rispetto agli altri poeti santarcangiolesi facenti parte del cosiddetto Circal de’ giudéizi(“Circolo del giudizio”), come Raffaello Baldini e Tonino Guerra. In esso si ripercorrono sinteticamente le principali istituzioni delle sue raccolte dialettali, La vóita d’una dòna (“La vita di una donna”, 1980), La Madòna di garzéun (“La Madonna dei garzoni”, 1986) e il postumo Le parole nel cartoccio (1998). Si sottolinea in particolare come, grazie ad un’iniziale vocazione poetica ereditata dal padre analfabeta, l’autrice sia capace di tramandare in queste opere le voci e le storie di coloro che hanno abitato le contrade del suo paese natale, nel corso di una vita caratterizzata da difficoltà materiali, proteste per i diritti dei lavoratori e scontri con diverse forme di autorità e di potere. Da un lato, la poetessa critica i padroni e i politici, incapaci di comprendere le ragioni degli operai e delle persone comuni, denuncia il mancato rispetto per l’ambiente e per i luoghi naturali dell’infanzia dovuto al cambiamento dei tempi; dall’altro, con una vera e propria volontà di soccorso, canta le vicissitudini dei più fragili, siano essi esseri umani, cose o animali. Dall’analisi dell’opera dell’autrice, si sono potute mettere in evidenza anche le sue riflessioni meta-poetiche, che restituiscono la lucida consapevolezza delle sue scelte stilistiche e del valore civile della poesia.
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Dissertations / Theses on the topic "Valore pedagogico della poesia"

1

Vigorito, Marianna. "Saggio di commento al De audiendis poetis di Plutarco." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2014. http://hdl.handle.net/10556/1603.

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Abstract:
2012-2013
L’elaborato si divide in due sezioni. La prima comprende un’introduzione all’opuscolo riguardante un’ipotesi di datazione dell’opuscolo; un’analisi delle finalità del trattato, una rassegna degli studi in merito alla struttura, con riferimento alle formule incipitarie di ciascun paragrafo in cui l’opuscolo è stato suddiviso dai moderni studiosi; un’approfondimento sulle idee estetiche e delle fonti filosofiche presenti all’interno dell’opera e sul valore pedagogico della poesia e dei metodi di lettura proposti da Plutarco; una breve disamina dell’uso delle citazioni; un’indagine accurata del lessico utilizzato dal Cheronese con un focus sul valore del termine ηὸ μςθῶδερ. Il De audiendis poetis è un’opera di natura pedagogica e rientra nei trattati di carattere filosofico-popolare di matrice etica-morale. Così come gli opuscoli plutarchei di carattere pedagogico anche nel De audiendis poetis vi è un atteggiamento pragmatico: nell’opuscolo, non classificabile come trattato di estetica né di critica letteraria, bensì di filosofia morale, si attribuisce alla poesia un fine pedagogico, grazie ad una serie di suggerimenti di carattere strumentale che possano essere d’aiuto nell’approccio alle letture poetiche, e la poesia diventa uno strumento di educazione preparatorio in vista dell’apprendimento della verità filosofica, purché opportunamente letta, ma, contenendo al suo interno al tempo stesso elementi utili e pericolosi, sarà necessario preoccuparsi che l’animo dei giovani lettori non ne sia danneggiato. [a cura dell'autore]
XII ciclo n.s.
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2

Gobbi, Annachiara. "L'inatteso margine pedagogico. La parola poetica e la riforma dello sguardo in Paul Valéry." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2019. http://hdl.handle.net/11577/3425419.

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Abstract:
La ricerca mira a proporre uno studio su un certo linguaggio pedagogico contemporaneo e le sue parole, alla luce della concezione della parola poetica di Paul Valéry. L’intenzione del lavoro sarà quella di soffermarsi sulla lingua imperante nella pedagogia contemporanea di matrice strumentalistica, tentando di illuminarne la razionalità che la informa. Obiettivo della ricerca sarà, allora, di definire i caratteri di una tale razionalità, che sembra ricalcare i tratti di quella che i Adorno e Horkheimer denominavano ragione strumentale, e che appare, quindi, incapace di concepire ciò che è al di là del già noto. Durante la prima parte del lavoro ci soffermeremo sulla critica di Valéry nei confronti del linguaggio ordinario e sulla sua idea di poesia, concepita, dal Nostro, come quel tipo di scrittura in grado di rendere visibile ciò che un discorso dai caratteri funzionali e strumentali non risulta in grado di fare emergere. La seconda parte proporrà, quindi, un esercizio di de-familiarizzazione con il linguaggio contemporaneo, e tenterà di ri-pensare, attraverso la produzione valeriana, un nuovo “detto” pedagogico, in grado di dimorare nello spazio del non-ancora noto, al di là del già detto.
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3

BULGINI, Giulia. "Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de ‹‹L’Approdo››." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251123.

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Abstract:
Non c’è dubbio sul fatto che la RAI, dal 1954 a oggi, abbia contribuito in misura considerevole a determinare la fisionomia dell’immaginario collettivo e dell’identità culturale dell’Italia. Si tratta di un assunto che, a distanza di più di sessant’anni, resta sempre di grande attualità, per chi si occupa della questione televisiva (e non solo). Ma a differenza di quanto avveniva nel passato, quando la tv appariva più preoccupata dei reali interessi dei cittadini, oggi essa sembra rispondere prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. E nonostante il livello di istruzione e di benessere economico si siano evidentemente alzati, in questi ultimi anni si è assistito a programmi di sempre più bassa qualità e in controtendenza a un incremento del potere modellante e suggestivo sull’immaginario dei telespettatori. C’è di più: l’interesse verso la tv ha coinvolto anche gli storici dell’epoca contemporanea, i quali hanno iniziato a prendere coscienza che le produzioni audiovisive sono strumenti imprescindibili per la ricerca. Se si pensa ad esempio al ‹‹boom economico›› del Paese, negli anni Cinquanta e Sessanta, non si può non considerare che la tv, insieme agli altri media, abbia contributo a raccontare e allo stesso tempo ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca. Partendo, dunque, dal presupposto che la televisione da sempre esercita un potere decisivo sulla collettività, si è scelto di concentrarsi sulla fase meno indagata della sua storia, quella della televisione delle origini: ‹‹migliore›› perché senza competitor, ‹‹autentica›› perché incontestabile e soprattutto ‹‹pedagogica›› perché è di istruzione e di formazione che, quell’Italia appena uscita dalla guerra, aveva più urgenza. La storia della televisione italiana inizia il 3 gennaio 1954, con la nascita del servizio pubblico televisivo e insieme di un mezzo che, di lì a poco, avrebbe completamente rivoluzionato la società italiana, trasformandola in una civiltà di massa. Si accorciano le distanze territoriali e insieme culturali e la società inizia a omologarsi nei gusti, poi nei consumi e infine nel pensiero. Il punto d’arrivo si colloca negli anni Settanta, quando ha termine il monopolio della RAI, che fino a quel momento era stato visto come il garante del pluralismo culturale. La RAI passa dal controllo governativo a quello parlamentare, mentre si assiste al boom delle televisioni private e alla necessità della tv di Stato di stare al passo con la concorrenza, attraverso una produzione diversa da quella degli esordi. Dunque cambia la tv, come pure cambia la sua funzione e la forma mentis di chi ne detiene le redini. Ne risulta un’indagine trasversale, che passa nel mezzo di molteplici discipline che afferiscono alla materia televisiva e che non evita di porsi quelle domande scomode, necessarie tuttavia a comprendere la verità sugli artefici della prima RAI e sui loro obiettivi. E allora: qual era il valore attribuito alla televisione degli esordi? Era davvero uno strumento pedagogico? Sulla base di quali presupposti? Chi scriveva i palinsesti di quegli anni? Chi e perché sceglieva temi e format televisivi? Chi decideva, in ultima analisi, la forma da dare all’identità culturale nazionale attraverso questo nuovo apparecchio? Il metodo di ricerca si è articolato su tre distinte fasi di lavoro. In primis si è puntato a individuare e raccogliere bibliografia, sitografia, studi e materiale bibliografico reperibile a livello nazionale e internazionale sulla storia della televisione italiana e sulla sua programmazione nel primo ventennio. In particolare sono stati presi in esame i programmi scolastici ed educativi (Telescuola, Non è mai troppo tardi), la Tv dei Ragazzi e i programmi divulgativi culturali. Successivamente si è resa necessaria una definizione degli elementi per l’analisi dei programmi presi in esame, operazione resa possibile grazie alla consultazione del Catalogo multimediale della Rai. In questa seconda parte della ricerca si è voluto puntare i riflettori su ‹‹L’Approdo››, la storia, le peculiarità e gli obiettivi di quella che a ragione potrebbe essere definita una vera e propria impresa culturale, declinata in tutte le sue forme: radiofonica, di rivista cartacea e televisiva. In ultimo, sulla base dell’analisi dei materiali d’archivio, sono state realizzate interviste e ricerche all’interno dei palazzi della Rai per constatare la fondatezza e l’attendibilità dell’ipotesi relativa agli obiettivi educativi sottesi ai format televisivi presi in esame. Le conclusioni di questa ricerca hanno portato a sostenere che la tv delle origini, con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale. E se ciò appare come un aspetto ampiamente verificabile, oltreché evidente, qualora si voglia prendere in esame la televisione scolastica ed educativa di quegli anni, meno scontato risulta invece dimostrarlo se si decide – come si è fatto – di prendere in esame un programma divulgativo culturale come ‹‹L’Approdo››, che rientra nell’esperienza televisiva definita di ‹‹educazione permanente››. Ripercorrere la storia della trasmissione culturale più longeva della tv italiana degli esordi, per avvalorarne la funzione educativa, si è rivelata una strada interessante da battere, per quanto innegabilmente controversa, proprio per il principale intento insito nella trasmissione: diffondere la cultura ‹‹alta›› a milioni di telespettatori che erano praticamente digiuni della materia. Un obiettivo che alla fine della disamina si è rivelato centrato, grazie alla qualità della trasmissione, al suo autorevole e prestigioso groupe d'intellectuels, agli ascolti registrati dal ‹‹Servizio Opinioni›› e alla potenzialità divulgativa e penetrante della tv, nel suo saper trasmettere qualunque tematica, anche quelle artistiche e letterarie. Dunque se la prima conclusione di questo studio induce a considerare che la tv del primo ventennio era pedagogica, la seconda è che ‹‹L’Approdo›› tv di questa televisione fu un’espressione felice. ‹‹L’Approdo›› conserva ancora oggi un fascino innegabile, non foss’altro per la tenacia con la quale i letterati difesero l’idea stessa della cultura classica dal trionfo lento e inesorabile della società mediatica. Come pure appare ammirevole e lungimirante il tentativo, mai azzardato prima, di far incontrare la cultura con i nuovi media. Si potrebbe dire che ‹‹L’Approdo›› oggi rappresenti una rubrica del passato di inimmaginata modernità e, nel contempo, una memoria storica, lunga più di trent’anni, che proietta nel futuro la ricerca storica grazie al suo repertorio eccezionale di immagini e fatti che parlano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società e che raccontano il nostro Paese e la sua identità culturale, la stessa che la televisione da sempre contribuisce a riflettere e a delineare. Lo studio è partito da un’accurata analisi delle fonti, focalizzando l’attenzione, in primo luogo, sugli ‹‹Annuari della Rai›› (che contengono le Relazioni del Cda Rai, le Relazioni del Collegio Sindacale, i Bilanci dell’Esercizio e gli Estratti del Verbale dell’Assemblea Ordinaria). Altre fonti prese in esame sono gli stati gli opuscoli di ‹‹Servizio Opinioni››, le pubblicazioni relative a studi e ricerche in materia di televisione e pedagogia e le riviste edite dalla Rai Eri: ‹‹Radiocorriere tv››, ‹‹L’Approdo Letterario››, ‹‹Notizie Rai››, ‹‹La nostra RAI››, ‹‹Video››. Negli ultimi anni la Rai ha messo a disposizione del pubblico una cospicua varietà di video trasmessi dalle origini a oggi (www.techeaperte.it): si tratta del Catalogo Multimediale della Rai, che si è rivelato fondamentale al fine della realizzazione della presente ricerca. Altre sedi indispensabili per la realizzazione di questa ricerca si sono rivelate le due Biblioteche romane della Rai di Viale Mazzini e di via Teulada.
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Books on the topic "Valore pedagogico della poesia"

1

Caproni, Giorgio. Il mondo ha bisogno dei poeti. Edited by Melissa Rota. Florence: Firenze University Press, 2014. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6655-677-0.

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Abstract:
Intrigante e apparentemente facile, l’intervista può a volte essere generatrice di stress. In ogni caso è quello che pensava Caproni, che però era anche convinto che solo nel rapporto con il lettore la poesia potesse trovare il “suo reale valore” e la sua possibilità di esistenza. Per questo, piegandosi con garbo e ritrosia alle domande, accettò negli anni di guidare i suoi interlocutori nel mondo misterioso e inafferrabile dell’arte, là dove si producono idee e emozioni con la sola “musica delle parole”. Per aiutarci ad afferrarla, quella imprendibile musica, in questo libro struggente ed ironico, ci parla delle dimore vitali (Genova, Livorno), delle figure lariche, delle passioni giovanili, delle ferite immedicate (Olga, la guerra), del bisogno di scrivere, tradurre, conoscere, e della proustiana introiezione del passato sulla “carta velina della memoria”. Per oltre centoquaranta volte (tanti sono i pezzi ricostruiti e riuniti adesso per la prima volta grazie al prezioso e accurato lavoro di ricerca di Melissa Rota) le interviste restituiscono – come sottolinea Anna Dolfi nella bella introduzione – al di fuori di ogni retorica e gigantografia, le grain de la voix , le grain de la vie di un intellettuale ‘eretico’, libero nelle scelte e nella determinazione del proprio destino. Sì che una sottile malia ci guida nel seguire su queste pagine troppo a lungo dimenticate i segni di una vocazione, e il ‘tremore’ che, stroncando una carriera, lasciò gli scatti nervosi del violinista all’inconfondibile piglio dei versi a venire.
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