Academic literature on the topic 'Utilizzo improprio del diritto'

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Journal articles on the topic "Utilizzo improprio del diritto"

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Stradella, Elettra. "Il potere di ordinanza dei sindaci e l'"amministrazione emergenziale"." RIVISTA TRIMESTRALE DI SCIENZA DELL'AMMINISTRAZIONE, no. 3 (November 2010): 101–21. http://dx.doi.org/10.3280/sa2010-003011.

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Abstract:
L'articolo, prendendo le mosse da un inquadramento di carattere generale sul potere di ordinanza e i suoi fondamenti teorici, affronta il problema della amministrazione dell'emergenza e delle sue possibili degenerazioni. L'autrice si sofferma sulla disciplina normativa del potere di ordinanza prima e dopo l'approvazione della legge n. 125/2008 e del c.d. "decreto Maroni", mettendo in rilievo gli effetti prodotti in termini di esercizio effettivo, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, del relativo potere, nonché il rapporto tra diritto emergenziale e utilizzo in chiave performativa del diritto penale. Sottolinea in particolare la tendenza ad un impiego abnorme delle ordinanze, sia per sopperire a carenze politico-amministrative superabili attraverso una "ordinaria efficienza", sia soprattutto per rafforzare processi di stigmatizzazione simbolica nei confronti di determinate condotte, evidenziando come la modifica normativa del 2008 si stia rivelando causa di ulteriore stabilizzazione della stessa.
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Pallante, Francesco. "La contrastata natura giurisdizionale della verifica dei poteri nelle assemblee elettive. Note a margine di due sentenze del Tribunale civile di Torino." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 2 (June 2011): 127–40. http://dx.doi.org/10.3280/qg2011-002013.

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Abstract:
Le elezioni regionali piemontesi del 2010 sono state portate all'attenzione della magistratura sotto diversi profili. Tra gli altri - meno noti, ma non meno importanti - quelli relativi alle posizioni di due consiglieri sottoposte al Tribunale di Torino a seguito di azioni popolari ai sensi della legge n. 108/1968. Sorprendentemente la stessa sezione del Tribunale, in composizione collegiale coincidente per due terzi (tra cui il presidente), ha dato a questioni analoghe, inerenti le diverse posizioni chiamate in causa, soluzioni radicalmente differenti, senza che di questo utilizzo ambivalente del diritto sia stata offerta alcuna motivazione. Difficile sottrarsi al dubbio che, in situazioni sensibili, anche per la giurisdizione i profili politici finiscano per prevalere su quelli giuridici.
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Alessi, Cristina, Francesca Malzani, Fabio Ravelli, and Maria Luisa Vallauri. "L’emergenza COVID-19 in Italia e il diritto del lavoro." TRABAJO, PERSONA, DERECHO, MERCADO. Revista de Estudios sobre Ciencias del Trabajo y Protección Social, no. 1 (2020): 223–39. http://dx.doi.org/10.12795/tpdm.2020.i1.09.

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Abstract:
Il contributo analizza le misure italiane adottate nel periodo dell’emergenza Covid per cercare di far fronte alle necessità, da un lato, di protezione della salute e, dall’altro, di continuità nell’erogazione delle attività lavorativa e dei servizi, prendendo in considerazione la regolazione del lavoro che potremmo qualificare in Spagna come lavoro a distanza, sotto il profilo dell’orario (e il suo controllo da parte dell’impresa), della prevenzione dei rischi o degli obblighi aziendali in tema di necessaria formazione professionale nell’uso di strumenti informatici. Questo modo di rendere la prestazione lavorativa viene riportato al lavoro agile, una modalità che esisteva prima della pandemia in quanto espressamente contemplata dalla legge, anche se la situazione della crisi sanitaria ne ha cambiato non solo la fisionomia ma anche il tipo di utilizzo. In questo modo, la domanda che inevitabilmente deve essere posta è: è questo un modo di lavorare che offrirà solo una risposta congiunturale alla situazione di emergenza vissuta o, al contrario, questa opzione sarà valorizzata in futuro con effetti permanenti? Nella seconda sezione dell’articolo, vengono analizzate le condizioni per richiedere congedi per la cura di disabili e bambini. La ratio dei permessi è strettamente connessa con la decisione del Governo di chiudere scuole e centri diurni. Infine, vengono esaminate altre misure adottate al fine di garantire il mantenimento del rapporto di lavoro, che consistono in una serie di divieti di procedere al licenziamento collettivo durante un determinato periodo di tempo, nonché misure economiche riconosciute a specifici soggetti (liberi professionisti o lavoratori agricoli, tra gli altri).
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INTERGUGLIELMI, ANTONIO. "La privacy nel diritto canonico e i rapporti con le legislazioni nazionali della Comunità Europea." Prawo Kanoniczne 60, no. 4 (October 7, 2018): 41. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2017.60.4.03.

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Abstract:
Con il progressivo utilizzo dei sistemi informatici e con l’espansione dell’utilizzo dei media, in modo particolare negli ultimi anni con il crescente diffondersi di internet e dei social media, la questione della tutela dei dati personali ha fatto sorgere nuove esigenze che richiedono un adeguamento della normativa canonica.Le nuove problematiche di tutela, spesso rese molto complesse dalla difficoltà di arginare un fenomeno di “trasmissione di informazioni e quindi anche di dati” in continua espansione tecnologica, hanno reso necessario adeguare la normativa di tutela della privacy sia a livello di norme della Comunità Europea, che dei singoli paesi tenuti a recepirle, di cui ci occuperemo nel nostro studio.La Chiesa, che da sempre è depositaria della memoria e della storia dei popoli, attraverso gli archivi ecclesiastici, delle diocesi, dei monasteri e anche delle singole parrocchie, è dunque tenuta a garantire la tutela dei dati in suo possesso, che rappresentano la vita dei suoi fedeli.Inoltre il diritto della Chiesa da sempre riconosce tra i suoi diritti fondamentali il rispetto della persona, tra cui rientra anche quello del “diritto al rispetto della buona fama e della riservatezza di ogni persona”, che viene sancito nel Codice di diritto canonico del 1983 al canone 220.La tutela dei dati personali coinvolge inoltre il rapporto tra l’ordinamento della Chiesa e le norme giuridiche degli Stati: nella legislazione di molte nazioni sono state promulgate leggi che tutelano il trattamento dei dati personali, norme che vanno tenute presenti dalle Conferenze Episcopali Nazionali per disciplinare e adeguare ad esse la normativa canonica sul trattamento dei dati cosiddetti “sensibili”.
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"Diritto italiano. Penale." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 3 (November 2010): 221–37. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-003017.

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Abstract:
1. Corte di cassazione 31.3/22.4.2010 n. 15464 - favoreggiamento della permanenza illegale tramite locazione a stranieri irregolarmente soggiornanti - sequestro preventivo immobile - riesame - conferma - ricorso per Cassazione - nozione di ingiusto profitto - assoluta sproporzione nel rapporto sinallagmatico - ingiusto introito pari alla corrispondente elusione fiscale - inammissibilitŕ del ricorso.2. Corte di cassazione 28.4/27.5.2010 n. 20251 - reato di ingresso e soggiorno illegale - condanna all'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva senza previa determinazione della pena dell'ammenda - omessa determinazione della durata del divieto di reingresso - ricorso immediato per Cassazione del PM - annullamento - determinazione del giudice di rinvio nel giudice competente per l'appello sulle sentenze del giudice di pace.3. Corte di cassazione 21.4/1.7.2010 n. 24814 - convalida di arresto per inottemperanza all'ordine di allontanamento del questore - pendenza di domanda di emersione colf e badanti - sospensione dei procedimenti penali connessi alla irregolaritŕ del soggiorno - annullamento della convalida dell'arresto.4. Tribunale di Cremona 27.11.2008 n. 776 - utilizzo del burqa in luogo pubblico - assenza di giustificato motivo - immediata disponibilitŕ a svelare il volto alla p.g. - compiuta identificazione della donna - mancata lesione del precetto penale - insussistenza del fatto.5. Tribunale di Perugia 23.3.2010 n. 381 - inottemperanza all'ordine del questore - regolarizzazione colf e badanti - rilascio di permesso di soggiorno - estinzione del reato.6. Tribunale di Rovigo 4.5.2010 n. 65 - delitto di abbandono delle figlie minori - definizione del concetto di abbandono - necessitŕ che l'abbandono configuri una situazione di pericolo per l'incolumitŕ del minore - rilevanza del parametro culturale di riferimento dell'agente ai fini della esclusione dell'elemento soggettivo del reato - sussistenza.7. Giudice di pace di Reggio Emilia 18.5.2010 n. 85 - contravvenzione di soggiorno illegale nel territorio dello Stato - pena dell'ammenda - non obbligatorietŕ della sanzione sostitutiva dell'espulsione.
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Hanau, Carlo. "Strategie allocative per la persona nella economia sanitaria." Medicina e Morale 54, no. 1 (February 28, 2005). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2005.406.

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Abstract:
L’autore affronta il tema della allocazione delle risorse sanitarie adottando una prospettiva etico-politica di tipo solidale. In particolare, viene messo in risalto come la sanità pubblica italiana comporti una spesa a carico del cittadino sempre maggiore, soprattutto per determinate categorie di soggetti quali i malati cronici non autosufficienti. Una indagine condotta per conto dell’OMS rileva infatti che in Italia i malati affetti da patologie più gravi ricevono in proporzione meno cure dei pazienti con patologie di grado lieve/moderato. Si tratta, dunque, del cosiddetto “effetto Matteo” - mutuato dalla espressione evangelica - secondo cui “a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Traslato alla realtà sanitaria ciò esita nel deprecabile superamento del criterio di severità clinica quale caposaldo dell’assistenza socio-sanitaria a vantaggio di criteri economicistici rappresentati da un uso improprio del sistema di remunerazione delle prestazioni sanitarie secondo DRG, che penalizza il produttore il quale sfori il limite di budget fissato dalle autorità sanitarie, magari a motivo di una maggiore attenzione all’assistenza dei malati cronici e/o disabili. Va peraltro considerato che la medicina attuale sconta altri limiti oltre a quelli relativi alle risorse, in particolare il limite rappresentato dalla finitezza umana, di cui occorrerebbe prendere serenamente atto. L'articolo considera peraltro in modo analitico alcuni strumenti utilizzati per la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza degli interventi sanitari (QALYs, EQALYs, UVG, UVH, ROSES), mettendone in risalto punti di forza e criticità. In definitiva, occorre riferirsi sempre ad un criterio solidaristico, adottando peraltro una rigorosa logica di cura ed assistenza personalizzate, il che consentirebbe un utilizzo ottimale di risorse. ---------- The Author faces the issue of the allocation of the health resources adopting a solidarity ethical perspective. Particularly, it is underlined that Italian health care system involve an expense more and more in charge of the citizen, above all for subjects with chronic pathologies. In fact, a survey by WHO highlights that in Italy the sick affected by serious pathologies (disability, mental disease) receive less care than patients with slight/moderate diseases: therefore, the so called “Matthew effect”. In this perspective, the “clinical severity” criterion is overcome by the economical one, the perspective payment system of health care services is utilized in improper way and penalizes the health maintenance organization that dedicate great attention to chronic sick. On the other hand, the medicine has indubitable limits: resources, but above all, the probabilistic nature of outcomes and the finite nature of man. The article considers some tools used for the evaluation of effectiveness and the efficiency of health interventions (QALYs, EQALYs, UVG, UVH, ROSES), bringing out strengths and weaknesses. Finally, it is always necessary to refer to a solidarity criterion, adopting a rigorous logics of care and personalized care: this approach would allow a better use of resources.
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Ferioli, Elena, and Mario Picozzi. "La conservazione del materiale biologico finalizzato alla ricerca scientifica: questioni giuridiche e riflessioni etiche sulle biobanche." Medicina e Morale 60, no. 4 (August 30, 2011). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2011.159.

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Abstract:
La richiesta di istituire biobanche oggi diventa sempre più impellente. Una biobanca è una struttura dove si raccolgono per un tempo lungo materiale biologico e dati di natura biomedica correlati al campione, che può provenire sia da pazienti che da cittadini. Da un lato si riconosce il ruolo che le biobanche possono avere sia nell’acquisire nuove conoscenze sia nel favorire nuovi trattamenti di diagnosi e cura, dall’altro è necessario riflettere sulle delicate e complesse questioni giuridiche ed etiche ad esse sottese. Il presente contributo, dopo aver fatto chiarezza sulla definizione e sui requisiti tecnici necessari per l’istituzione di una biobanca, si sofferma ad analizzare le principali questioni etico-giuridiche: a chi appartiene il tessuto e chi beneficia dei risultati ottenuti? Quale consenso informato è adeguato per protocolli sperimentali non prevedibili al momento del prelievo del tessuto? Come può essere garantita la riservatezza dei dati, anche in funzione dell’analisi genetica? Gli argomenti vengono analizzati a partire dalla letteratura internazionale, mostrando le diverse posizioni. In tema di proprietà del tessuto e di proprietà intellettuale dei risultati si evidenzia come sta emergendo una concezione solidaristica, in cui materiale e informazioni sono da considerarsi risorse a disposizione dell’intera collettività, che ne affida alla biobanca la gestione. Il modello di consenso informato che sembra prevalere è quello definito “ampliato”, di cui si evidenziano pregi e difetti, nell’ottica di un bilanciamento tra autonomia del soggetto, interesse della collettività ed esigenze della ricerca. La questione della riservatezza impone di riflettere sia sul diritto alla privacy sia sulla possibilità di utilizzo del dato per finalità di ricerca. Data la complessità delle questioni emerse, si ritiene che necessariamente la fiducia del paziente/cittadino verso la comunità scientifica giochi un ruolo fondamentale. Il Comitato di etica, a cui vanno assicurate competenze e risorse adeguate, diventa lo strumento di garanzia indispensabile per una gestione eticamente accettabile della biobanca. ---------- Today the request to create biobanks is more and more urgent. A biobank is a structure where biological specimens and related biomedical data, obtained from patients and/or citizens , are stored over time. On one hand, we acknowledge the role that biobanks may have in acquiring new knowledge and fostering new treatments for diagnosis and therapy, on the other we need to reflect upon the delicate and complex legal and ethical issues that biobanks rise. This paper, after defining the concept of biobank and the technical requirements needed to establish one, analyzes some major ethical and legal issues: Who owns the tissues and who can benefit from potential results? Which kind of informed consent is the most appropriate for experimental protocols not yet predictable at the time of tissue collection? How can data confidentiality be guaranteed also in relation to genetic analysis? The topics are analyzed with reference to the international literature, comparing different perspectives. Regarding the ownership of biological samples and the intellectual property rights of the potential research outputs based on the data, the recent literature introduces a new concept of solidarity which consider all samples and information at full disposal of the entire community and which indicates the biobank as the manager of the archive. The model of “broad” informed consent seems to prevail: we indicate its points of strength and weakness, considering a necessary balance among the individual autonomy, the collective interest and the research requirements. Finally, regarding the confidentiality of all data, we need to reflect upon the right to privacy along with the possibility to use the available data for research purpose. Considering the complexity of these issues, we believe that the patient’s trust towards the scientific community is the main matter. The Ethics Committee, to whom adequate resources and expertise must be granted, becomes the assurer entity for an ethically acceptable management of a biobank.
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Dissertations / Theses on the topic "Utilizzo improprio del diritto"

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RUSSETTI, DANIELE. "Abuso del diritto: principio interpretativo o categoria generale del diritto dell'unione europea." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/41955.

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Abstract:
L’abuso trova origine nella tensione tra la libertà di agire e gli scopi personali sottesi a tale agire. Lo scontro tra i suddetti elementi costituisce il terreno fertile su cui questo si innesta e cresce. Difatti, il diritto soggettivo si articola nella (lecita) possibilità di assumere un comportamento previsto dalla norma e, quindi, di poter agire per soddisfare un interesse degno di tutela a livello legislativo. Dal momento che questo, inteso come agere licere, è una facoltà “positiva”, l’ordinamento giuridico non può tollerare il perseguimento di obiettivi non contemplati dalla ratio normativa il quale si presenta come la negazione stessa di un corpus iuris. Configurandosi in termini di facoltà non soggetta ad alcuna regola, esso si pone in aperto contrasto con il principio di sistematicità e di coerenza che caratterizzano un sistema di norme. Ecco che la fattispecie dell’abuso nasce dal continuo ed inesorabile impegno da parte dell’ordinamento di riconoscere ai singoli individui, siano essi persone fisiche o giuridiche, uno spazio di libertà per il perseguimento di interessi “personali” degni di tutela da parte dell’ordinamento, senza che ciò possa sconfinare in un’azione priva di fondamento giuridico. Secondo il diritto UE, l’abuso si è posto e si pone come la sintesi del binomio libertà di azione o scelta vs scopo ultimo dell’azione o scelta. Se da un lato i Trattati istitutivi dell’UE attribuiscono ai soggetti libertà fondamentali da poter utilizzare in uno spazio giuridico senza frontiere, dall’altro si pone il problema di arginare tutti quei fenomeni in cui il formale esercizio del diritto attribuito sia del tutto incoerente con l’obiettivo della norma, dando vita a possibili forme di contrasto tra quanto concesso e, dunque, quanto effettivamente realizzato. È proprio in un’ottica di concorrenza tra gli ordinamenti, e quindi di circolazione dei modelli normativi, che si concretizza la possibilità di utilizzare il diritto per fini non coerenti con il dettato normativo, i.e. in maniera abusiva. Consapevoli di ciò, i Giudici della Corte di Giustizia, al fine di evitare un impiego distorto del diritto UE, hanno enucleato l’assunto secondo cui non è possibile utilizzare abusivamente (o fraudolentemente) il diritto comunitario/europeo. A detta di chi scrive, tale inciso deve essere giustificato alla luce di quella peculiare esigenza di individuare una clausola generale idonea a colmare le possibili lacune di un sistema particolarmente complesso come quello europeo, con inevitabili riflessi a livello nazionale. Stante il limitato ambito di applicazione delle misure interne volte a tutelare i sistemi giuridici nazionali, la Corte di Giustizia ha voluto “creare” uno strumento in grado non solo di preservare la coerenza del sistema europeo da possibili usi impropri dello stesso, ma anche di evitare che attraverso questo, si dessero vita a fenomeni di elusione o frode della disciplina nazionale. L’abuso è stato individuato ogni qual volta i singoli abbiano utilizzato le libertà di matrice europea per finalità non ammesse dalle disposizioni normative che attribuivano tali posizioni giuridiche. Inoltre, si è considerata legittima l’azione degli Stati membri di non riconoscere la fattispecie integrata dal singolo in quanto realizzata in palese violazione della sovranità delle leggi nazionali, ossia dello Stato di origine. Così facendo, l’esercizio delle disposizioni europee, eventualmente dotate di efficacia diretta, viene paralizzato, con il conseguente riconoscimento di forza cogente della norma nazionale impropriamente elusa. Il vero problema dell’abuso si pone quando ci si trovi di fronte a comportamenti individuali che corrispondono a fattispecie di esercizio di situazioni giuridiche, determinate da una norma positiva in modo più o meno dettagliato, ma in ogni caso tale da attribuire, prima facie, una precisa protezione a colui che agisce. È proprio in tali situazioni che si viene a creare quell’apparenza di legittimità del comportamento individuale, conforme alla fattispecie astratta di esercizio di un diritto contemplata dalla norma, che generalmente non corrisponde alla ratio ultima della disposizione e, quindi, del sistema giuridico europeo. La richiamata formula, e i casi in cui è stata utilizzata, fanno emergere, ictu oculi, che la nozione di abuso (nonché quella di frode!) e il correlato divieto sono legati proprio all’esercizio delle facoltà connesse alle libertà fondamentali, in particolare quando si considerino situazioni in cui si profili una diversità di disciplina normativa di determinate fattispecie tra le legislazioni nazionali. L’abuso e la frode costituiscono l’uso improprio, id est oltre i limiti, della facoltà offerta dall’ordinamento europeo di scegliere tra più alternative nell’ambito dell’esercizio delle libertà fondamentali. Ecco, dunque, che sulla base di quanto supra esposto è possibile ravvisare l’importanza del divieto dell’abuso del diritto. Coniugando la duplice veste di canone ermeneutico nonché di categoria generale del diritto dell’Unione Europea, il divieto si mostra nella sua veste di correttivo alle lacune normative del sistema giuridico sovranazionale. Assolve la funzione di risolvere i conflitti normativi, di proteggere gli spazi comuni e di garantire il continuo adattamento del diritto europeo alla trasformazione della società. La sua stabilità funzionale si lega, quindi, ad un’intrinseca dinamicità operativa, tesa da un lato a precludere l’esercizio improprio delle libertà fondamentali e dall’altro a tutelare la coerenza sistematica dell’ordinamento UE. Il divieto in questione si presta ad essere un correttivo malleabile alle imprevedibili fenomenologie abusive e, dunque, stante la peculiare natura che lo contraddistingue, si appalesa quale rimedio evolutivo inquadrabile nel novero delle metodologie anti-formali che consente una tutela effettiva dal lato sostanziale. Ecco dunque che si pone come la giusta sintesi fra il principle of construction che caratterizza la corretta interpretazione del diritto in generale, sia da parte del singolo operatore economico che da parte delle Amministrazioni nazionali, e una categoria generale di sistema che informa l’ordinamento UE. Preme sottolineare come l’essenza della richiamata clausola deve fare i conti, però, con la relativa applicazione pratica che non può tradursi in una capziosa ed ingiustificata limitazione di quella autonomia privata che caratterizza gli operatori che agiscono nel mercato interno UE. La libertà dei singoli nello scegliere le modalità più adeguate per realizzare la propria attività è imprescindibilmente collegata a quel concetto di autonomia privata tutelata sia a livello nazionale che europeo. In particolare, la facoltà di agire, avvalendosi di quanto messo legittimamente a disposizione dall’ordinamento in cui si opera, costituisce una declinazione della più generale libertà di iniziativa economica, intesa quale comportamento volontario volto alla realizzazione degli interessi del soggetto che agisce. Allo stesso tempo tale autonomia di scelta è subordinata alle legittime possibilità contemplate dal sistema giuridico di riferimento, non potendo ammettere le azioni che non risultano coerenti con le finalità che permeano tale ordinamento. Anche in questa direzione, allora, può essere valutato l’abuso del diritto e il divieto ad esso correlato. Quando si sostiene l’impossibilità di utilizzare abusivamente il diritto UE, si vuole definire indirettamente la gamma di scelte che l’ordinamento europeo reputa compatibili con gli obiettivi a cui questo tende, nel rispetto dei principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento dei singoli. In forza di ciò, il divieto sotteso all’esercizio abusivo del diritto europeo deve essere interpretato in modo da non pregiudicare i comportamenti o le operazioni legittime. La portata di tale proibizione risulta chiara: il diritto invocato da un soggetto è escluso quando l’attività posta in essere non ha altra spiegazione che quella di raggiungere impropriamente un beneficio che collide con gli scopi e con i risultati ammessi e tutelati dalle disposizioni di una determinata branca del diritto. Operazioni così siffatte non meritano di essere protette poiché si manifestano nella loro tensione di sovvertire la finalità dello stesso sistema legale in cui si collocano. Il divieto di abuso del diritto costituisce, dunque, anche una limitazione alla libertà di iniziativa dei singoli che opera quando l’esercizio di un diritto si concretizza in una fattispecie che, sebbene rispetti le condizioni normativamente poste per l’applicazione della disciplina positiva, si pone in contrasto con gli obiettivi da essa perseguiti e, al contempo, è priva di valide motivazioni idonee a giustificarla. L’autonomia privata, che ricomprende la libertà di scelta delle forme giuridiche attraverso cui realizzare i propri obiettivi, non costituisce, quindi, un dogma assoluto. Nel mercato interno questa non può essere considerata un valore intangibile in quanto trova fondamento e limite nei valori e nei principi che permeano l’ordinamento europeo. Alla luce di ciò, è possibile cogliere il precario equilibrio che caratterizza l’autonomia privata in seno all’Unione. La tutela di questa libertà non contempla quelle azioni il cui scopo è rappresentato dal raggiungimento di un vantaggio mediante comportamenti artificiosi e/o ingannevoli, privi di adeguate motivazioni che possano legittimare tali condotte; per contro, ove tale autonomia e, dunque, la sottesa libertà di iniziativa non fossero adeguatamente garantite, verrebbero compromessi gli stessi obiettivi a cui tende il sistema giuridico europeo, ossia la realizzazione e il consolidamento di uno spazio senza frontiere in cui la libertà di scelta e l’equivalenza tra gli ordinamenti giuridici ne costituiscono l’essenza. Ecco, quindi, la necessità di interpretare le azioni poste in essere alla luce dello scopo ultimo cui tendono in quanto solo così è possibile da un lato accertare la natura abusiva delle condotte e dall’altro lasciare impregiudicati i comportamenti legittimi frutto di quella libertà di scelta posta a fondamento dell’autonomia privata e dello stesso ordinamento europeo.
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QUATTROCCHI, GIUSEPPE. "Il divieto di abuso del diritto comunitario ed il suo utilizzo a fini di contrasto all'elusione fiscale nell'imposizione sul valore aggiunto." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2011. http://hdl.handle.net/10446/909.

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Ferrari, A. "IL MITO DELLA CAUSALITÀ OMISSIVA. PROFILI GIURIDICO-NORMATIVI, SEMANTICI ED EPISTEMICI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2012. http://hdl.handle.net/2434/170394.

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Abstract:
In my thesis I elaborate an analysis of the criteria by means of which in law practice we ascribe a causal role to omissive conducts. This analysis aims to enlighten the foundations of the responsibility arising as a consequence of the occurring of harmful events in the case of an omission as the person held accountable’s only conduct. My theoretic proposal is based on conceptual tools mainly offered by semantics and epistemology of causation. The role played by the above mentioned criteria is to determine the content of the conducts people in peculiar positions are compelled to hold in virtue of the norms prescribing to them to prevent specific harmful events. We can identify two types of criteria: 1. Criteria concerning the hypothetical reasoning by means of which it is verified if an instance of a certain kind of action would have prevented the harmful event at stake; 2. Criteria ruling the application of the concepts of dolus and negligence, concerning respectively the omitting agent’s knowledge and knowability about the detrimental event and the patterns of the behaviours which are apt to avert that particular event.
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Molinaro, Claudia. "Controlli societari e posizioni di garanzia. Un'indagine alla luce del d.lgs. 231/2001." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2016. http://hdl.handle.net/11577/3426752.

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Abstract:
The research aims to examine the impact of Legislative Decree 231/2001, which has established a regulation of criminal compliance and liability of corporations, on the responsibility for the omission to prevent crimes of the members of corporate bodies entrusted to adopt and put into effects compliance programs, and to monitor the operation of such programs. The first part of the thesis contains a doctrinal analysis, which intends to define the requirements of omission to act, with particular attention to the “duty to act” as a criterion of equivalence between the commission of a crime and the failure to prevent the commission of a crime. In the light of the results achieved, the second part of the thesis attempt to reconstruct the case law about the powers of the corporate controllers to prevent the commission of crimes within the management of corporations. Eventually the thesis monitors how Legislative Decree 231/2001 has modified the dynamics of corporate controls with the introduction of a system of criminal compliance, that is a set of duties of corporations aimed at the prevention of crimes committed in their interest or benefit by their members. The research also features profiles of comparison with the US system of corporate criminal liability, which has inspired the italian system, and with the German system, since the German legislation, doctrine and jurisprudence have a leading role in the conceptualization of the responsibility for omission to act.
La ricerca si propone di comprendere quale impatto abbia avuto l’adozione del d.lgs. 231/2001, introduttivo di una disciplina di criminal compliance e della responsabilità ex crimine degli enti, sulla sfera di responsabilità penale per omesso impedimento dell’altrui reato, in capo ai membri degli organi societari incaricati dell’adozione ed attuazione dei compliance programs e della sorveglianza sul relativo funzionamento. Si cercherà di rispondere al quesito dapprima attraverso una premessa dogmatica, volta a definire i presupposti del reato omissivo improprio, con particolare attenzione all’istituto della posizione di garanzia, quale criterio di equivalenza tra la commissione dell’evento tipico di una fattispecie criminosa e il suo mancato impedimento. Alla luce dei risultati raggiunti, si tenterà di ricostruire la posizione dei membri dei principali organi di controllo rispetto all’impedimento di reati commessi nell’ambito della gestione societaria, sondando gli orientamenti giurisprudenziali in materia. Infine si verificherà in che modo il d.lgs. 231/2001 è intervenuto nella sistematica dei controlli societari, introducendo un sistema di criminal compliance, ovvero di doveri di organizzazione degli enti, volti alla prevenzione di reati commessi nel loro interesse o vantaggio da intranei. L’indagine sarà arricchita da profili di comparazione con l’ordinamento statunitense, per quanto riguarda al sistema di responsabilità da reato degli enti ivi adottato e a cui il legislatore italiano si è espressamente ispirato, e con quello tedesco, il cui “panorama” legislativo, dottrinale e giurisprudenziale ha svolto un ruolo dominante nella ricostruzione della responsabilità commissiva per omissione
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GUIDI, Arianna. "Il reato a concorso necessario improprio." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251080.

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Abstract:
Oggetto del presente lavoro è stata la tematica dei reati a concorso necessario (detti anche plurisoggettivi): una categoria penalistica scarsamente presa in considerazione da parte della dottrina e giurisprudenza più recenti, eppure dai risvolti sistematici di un certo rilievo, in quanto coinvolge profili sia di parte generale che speciale del diritto penale. L’indagine è partita dal piano definitorio e classificatorio: sono state riportate dettagliatamente le diverse tesi dottrinali sviluppatesi sul tema (suddivisibili in due macrocategorie, quella dei sostenitori di una concezione ampia di reato a concorso necessario e quella dei sostenitori di una concezione ristretta dello stesso), nonché le pronunce della Cassazione ritenute maggiormente significative. Un’attenzione particolare è stata dedicata alla delimitazione – in negativo – del campo d’indagine, tracciando le differenze intercorrenti fra i reati a concorso necessario (o plurisoggettivi, a seconda della terminologia impiegata) ed istituti ritenuti erroneamente contigui, primo fra tutti quello del concorso eventuale di persone nel reato. Dopodiché, all’interno del secondo capitolo si è scelto di riflettere sulle questioni maggiormente rilevanti e problematiche attinenti ai reati a concorso necessario impropri: in primis, la ratio che giustifica l’esenzione dalla pena in capo ad un soggetto; secondariamente, la possibilità di punire o meno la condotta tipica, nonché le eventuali condotte atipiche, poste in essere dal soggetto non punibile per mezzo dell’applicazione degli artt. 110 ss. c.p. in funzione incriminatrice. La panoramica di orientamenti dottrinali e giurisprudenziali quanto mai oscillanti e fra loro divergenti su questioni di particolare importanza, non è stata solo funzionale ad offrire al lettore una dettagliata ricognizione in generale, piuttosto, da questa è scaturita una vera e propria esigenza di (ri)considerare l’intera materia in modo organico e chiarificatore. Per tale ragione, nel terzo capitolo è stata introdotta una nuova definizione, in sostituzione a quella maggiormente impiegata da dottrina e giurisprudenza: “fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive”. Una definizione idonea a ricomprendere tutti quegli illeciti penali che, a livello astratto, presentano caratteristiche simili: il riscontro di una pluralità di soggetti e di condotte quali elementi costitutivi del fatto tipico. Pertanto, si è cercato di individuare i confini della categoria assumendo quale criterio di partenza il piano normativo astratto, in considerazione del fatto che ciò che il legislatore ha scelto di codificare come tipo criminoso è dato dall’insieme degli elementi oggettivi e soggettivi, i quali compaiono nella descrizione della norma incriminatrice. La visione d’insieme ha permesso di non limitare l’attenzione al solo soggetto punibile, bensì di spostarla anche sul soggetto non punibile, il quale, con la sua condotta rientrante fra gli elementi oggettivi del fatto tipico, contribuisce alla configurabilità del reato. Infine, all’interno del quarto capitolo si è proceduto all’analisi dei principali reati classificati da parte della dottrina come a concorso necessario impropri, per verificare, tenuto conto della nuova definizione proposta, se possano o meno essere qualificati come fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive improprie. Il confronto con la parte speciale ha permesso di evidenziare l’estrema delicatezza dell’operazione d’individuazione di fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive (in senso lato): anzitutto, perché non sempre la pluralità di soggetti e di condotte costitutive del fatto tipico è oggetto di descrizione espressa, risultando alle volte ricavabile solo a seguito di un attento esame della tipologia e del significato delle parole impiegate dal legislatore; secondariamente, perché alle volte è facile lasciarsi confondere dal piano naturalistico della realtà concreta, mentre l’individuazione di una fattispecie incriminatrice in termini di plurisoggettività normativa dovrebbe avvenire, secondo l’impostazione adottata, a partire dal piano normativo astratto. Da ultimo, ci si è soffermati sul ruolo del soggetto non punibile che tenga rispettivamente la condotta tipica o una condotta ulteriore e diversa da quella descritta, cercando di offrire una possibile soluzione al problema. Nel primo caso, si è concluso per l’impossibilità di applicare l’art. 110 c.p. in funzione incriminatrice, pena la violazione delle garanzie proprie del sistema penalistico. Nel secondo, invece, si è concluso in senso affermativo, precisando che l’interprete è tenuto a prestare attenzione a diversi aspetti, fra cui il tipo d’equilibrio intercorrente fra le condotte dei soggetti parte della fattispecie incriminatrice normativamente plurisoggettiva impropria, nonché l’alterità effettiva della condotta atipica rispetto a quella descritta, pena la violazione dei principi di legalità, tipicità e certezza del diritto.
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Books on the topic "Utilizzo improprio del diritto"

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Nisco, Attilio. Controlli sul mercato finanziario e responsabilità penale. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg245.

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Abstract:
Scandali finanziari e crisi più e meno recenti pongono un fondamentale interrogativo: a che servono molteplici meccanismi di controllo innanzi ad un ineliminabile rischio di “abusi di mercato” e di frodi nei confronti dei risparmiatori? La risposta del legislatore è rappresentata da un consistente moto di riforme intese a conferire nuovi doveri, poteri e, soprattutto, credibilità ai controlli, interni ed esterni alle società, nonché all’autorità di vigilanza sul mercato. È dato supporre che una simile palingenesi della funzione di controllo non possa non incidere sulla responsabilità penale dei suoi titolari, in particolare, per l’omesso impedimento dei reati commessi dagli organi esecutivi di una società, in danno di un interesse collettivo di recente emersione: il “risparmio”. Questo volume ricostruisce tale problematica, rivisitando temi classici, quali il reato omissivo improprio e la compartecipazione omissiva, alla luce delle questioni sollevate dall’assurgere delle organizzazioni societarie ad apparati procedurali complessi, entro i quali lo schema gerarchico e i tradizionali equilibri di potere subiscono una significativa metamorfosi. L’indagine costituisce occasione di riflessione sul concetto di “posizione di garanzia” e sulle sue possibilità di impiego, a tutela dei risparmiatori, nello scenario organizzativo delineato dal diritto delle società azionarie e del mercato finanziario.
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