Dissertations / Theses on the topic 'Una Storia'

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1

Scartabellati, Andrea <1971&gt. "Una storia dei poveri, una storia di Trieste 1855-1937." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2005. http://hdl.handle.net/10579/444.

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2

Gobbi, Laura. "Storia dell'abaco: una introduzione." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amslaurea.unibo.it/3094/.

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3

Indelicato, Francesca Elena <1990&gt. "Tunisia, una nuova storia." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/6434.

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Abstract:
La tesi si propone di analizzare gli eventi che hanno sconvolto la Tunisia negli ultimi anni e, attraverso questi dati, cercare di comprendere al meglio la nuova Costituzione del Paese, entrata in vigore agli inizi del 2014. La ricerca si propone inoltre di individuare le caratteristiche specifiche che possano aver influenzato e che possano spiegare lo scoppio della famosa Rivolta dei Gelsomini con l’inizio della cosiddetta Primavera Araba, e il conseguente cambio dell’assetto politico di questo piccolo paese del Maghreb. La tesi si sviluppa attraverso un excursus storico, politico, economico e sociale. La prima parte ripercorre gli avvenimenti storici del territorio tunisino dal Novecento a oggi, ripercorrendo gli anni di governo dei due autocrati Bourguiba e Ben Ali, e il periodo di sommosse e rivolte che cominciarono nel 2011. La seconda parte prende in esame gli aspetti economici e sociali specifici del paese, attraverso un confronto con la situazione politica mondiale nell’età moderna e contemporanea, e con le sue teorie politiche, tra cui l’idea dell’Ethos dello sviluppo, la teoria della Modernizzazione e del Terzomondismo. Una parte sarà inoltre dedicata al rapporto del territorio con l’Islam e il ruolo che la religione musulmana svolge all’interno della società civile e nelle istituzioni politiche. Infine la terza parte sviluppa un’analisi specifica della Costituzione del 1959, individuandone gli aspetti più moderni e quelli più ambigui, e dedicando anche uno sguardo allo Statuto del Codice Personale Tunisino, promulgato all’epoca del leader Bourguiba, il 13 agosto del 1956. Queste fungeranno da ingredienti basi per comprendere la straordinaria unicità della Costituzione entrata in vigore nel 2014. Dopo un’attenta analisi del preambolo della nuova Costituzione e dei suoi attori principali, la ricerca ripercorre alcuni degli articoli più significativi, tentando di estrapolare il carattere moderno e avanzato della stessa, che si presenta essere un notevole risultato di incontro tra la tradizione mediorientale e quella occidentale. Il lavoro si compone di numerose letture, tra cui gli scritti di James L. Gelvin e dello storico Kenneth J. Perkins, mentre il risultato l’analisi della parte costituzionale è da individuare nell’incontro che ho avuto con Hafida Chakir, attivista per i diritti delle donne in Tunisia.
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4

Pegoraro, Veronica <1995&gt. "Il Bilancio Europeo: una Storia, una Sfida, una Promessa." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/18417.

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Abstract:
Il presente elaborato ha avuto lo scopo di analizzare il processo evolutivo che ha portato il bilancio europeo ad essere quello che noi oggi conosciamo, partendo dalle sue origini ed osservando tutti i cambiamenti intervenuti sullo stesso anche in relazione al mutare del contesto socioeconomico e culturale. Si sono, inoltre, volute analizzare le prospettive future, per vedere quali saranno gli obiettivi che con lo stesso si vorranno promuovere, mediante la programmazione 2021/2027, in relazione anche all’Agenda 2030, con particolare focus sul Green Deal europeo ed un’attenta analisi sull’impatto che questa pandemia globale di Covid-19 ha avuto sul bilancio e quale sia stata la risposta dell’Unione Europa. Infine, vi sarà una parte dedicata alla governance economica sia dal punto di vista europeo, analizzando gli strumenti impiegati dall’Unione, sia da quello italiano, al fine di valutare come l’Italia si trovi inserita all’interno di questo processo.
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5

Gentilli, Gabriele Giuseppe. "Vasco Pratolini una storia Italiana /." Diss., Restricted to subscribing institutions, 2008. http://proquest.umi.com/pqdweb?did=1680037311&sid=12&Fmt=2&clientId=1564&RQT=309&VName=PQD.

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6

Conciauro, Manuela. "MUSEUM STORIA DI UNA COLLEZIONE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91207.

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Abstract:
Musei, gallerie e collezioni private nascono da presupposti e con finalità primarie diverse anche se spesso l’attività di gestione e quella rivolta al pubblico sono simili. Ovviamente la storia del museo e quella del collezionismo sono ben distinte e la linea di demarcazione è piuttosto netta, trovando i suoi presupposti nella destinazione pubblica dell’attività museale. Eppure non stupisce come vi siano numerosi esempi di trasformazione o di evoluzione di gallerie e collezioni rivolte ad un pubblico selezionato, in attività museale volta alla fruizione del patrimonio esposto e al servizio della società. Invero anche se tale “conversione” non è nella natura delle cose, essa trova i presupposti nella chiara vocazione che hanno le opere che vengono riconosciute come “d’arte” ad assumere il carattere di bene “pubblico” e non più solo “privato”. Invero, la trasformazione da galleria d’arte a istituzione museale è completa nel momento in cui il gallerista si emancipa dal suo ruolo di mercante dell’arte. Come sottolineano le parole di Andy Warhol: «their art business isn’t (or shouldn’t) be art museum business»1 (A. Warhol, 1975). Naturalmente questo percorso non è semplice, tenuto conto anche dei vantaggi che ha una simbiosi tra un museo e una galleria d’arte, nella valorizzazione dell’opera di determinati artisti. Questo aspetto è ancora più rilevante nell’arte contemporanea, dove il posizionamento e l’attitudine rispetto al contesto del mercato è cruciale, essendo ancora in gioco la carriera di artisti prevalentemente viventi. Se questo è vero, lo è anche il fatto che il museo non può essere uno strumento di marketing o di legittimazione del mercato dell’arte privato, con i suoi clienti e i suoi collezionisti2. Le ragioni e le modalità della trasformazione tuttavia non sono quasi mai comuni o generalizzabili, ma sono frutto di una scelta del gallerista o del collezionista, che può maturare l’esigenza di un cambiamento della propria attività per esigenze personali in parte spiegabili anche con mutamenti dei contesti istituzionali e sociali attorno ai quali era maturata l’idea iniziale oppure, ancora più semplicemente, perché le motivazioni possono cambiare una volta esauriti gli obiettivi e il percorso intrapreso. Un saggio di quanto possa essere complesso indagare sulle ragioni profonde della trasformazione di una attività da privata a pubblica lo dà il famoso gallerista Aimè Maeght che con la moglie Marguerite all’apertura nel 1964 dell’omonima fondazione a Saint Paul de Vence dichiara: «Avevo bisogno d’aria e di spazio. Non volevo creare una super galleria ma qualcosa d’altro che appartenesse alla comunità e che fosse anche libera d’agire (…) Ho creato questa fondazione egoisticamente, per il mio piacere, sperando di poter trasmettere ad altri un po’ di questo piacere, di questa gioia». Naturalmente l’importanza di entrare nel merito, indagando i perché e i come di tali “passaggi”, è una delle ipotesi alla base di questo lavoro legata al ruolo che le istituzioni museali rivestono nel e per il territorio. Tale ruolo, insieme con i fattori che contraddistinguono fin dall’inizio l’attività del collezionista, rappresentano forse un elemento di continuità anche nel cambiamento della forma istituzionale. La Sicilia propone pochi esempi di trasformazione di un’attività profit, tipica di una galleria, in una no profit di tipo museale. Nella storia analizzata, quella di Museum a Bagheria, all’elemento della trasformazione diventa interessante associare quello del carattere fondante la sua attività, la “sicilianità”. Museum si caratterizza e deve la sua notorietà principalmente al suo carattere di museo privato regionale, ma ciò che lo distingue e lo rende unico rispetto ad altre esperienze simili è la sua ininterrotta vocazione a promuovere l’arte contemporanea siciliana anche a livello internazionale. Questa scelta naturalmente ha condotto il suo fondatore, Ezio Pagano, al coinvolgimento non solo di artisti siciliani che operano nel territorio, ma anche di artisti siciliani di adozione e dei siciliani nel mondo. In tal modo, Pagano mette al centro del suo progetto la Sicilia, la sua identità e il senso di appartenenza che essa genera negli artisti che “vivono” con consapevolezza questa terra, più che i siciliani per nascita. La storia di Museum ci porta a riflettere nuovamente ed in modo differente sull’essere “siciliano” guardando soprattutto all’esperienza di chi siciliano non lo è per i propri natali. È questo, il secondo tema di fondo, dopo quello della “nascita”del museo, da cui questo lavoro trae ispirazione e a cui guarda con attenzione Vi è poi un terzo tema di “attualità” che implicitamente emerge nella trattazione della storia di Museum, è quello della necessità di ripensare al modo di fare “museo” per l’arte contemporanea in Sicilia. Questo probabilmente perché le situazioni relative al contemporaneo in Sicilia permangono ormai da diverso tempo nello stesso stato di immobilismo con rischio concreto di cadere nell’azzeramento culturale. Basti pensare alle vicende rocambolesche che hanno riguardato e in parte continuano a riguardare il Museo d’arte contemporanea di Palermo: Palazzo Belmonte Riso, la cui partenza si è subito rivelata stentata, con organizzazioni di mostre più o meno interessanti e con la fantomatica esposizione di quella che doveva essere la collezione permanente del Riso, con la quale ripercorrere, attraverso i nomi più significativi, un percorso che acconti la storia dell’arte contemporanea e siciliana in particolare. Inaugurato nel 2006 il museo ha stentato a decollare fino al violento e definitivo arresto nel gennaio del 2012 con il commissariamento del museo stesso a seguito di alcune dichiarazioni dell’allora direttore Sergio Alessandro poi sollevato dal suo incarico. Nel maggio successivo il Museo Belmonte Riso è stato riaperto con una conferenza in grande stile nella quale è stata presentata la collezione, finalmente esposta nei locali del palazzo settecentesco, rimasti fino a quel momento vuoti. A distanza di un anno da quelle tristi vicende, si nota come le attività del museo languiscano ancora e come sia difficile dare consistenza a questa realtà che più di altre dovrebbe costituire per la comunità un luogo vivo e partecipato. “Riso amaro”4 così intitolava il suo articolo Helga Marsala nel 2006, riferendosi alle ultime vicende dell’allora neonato museo cittadino, ma quell’amarezza di ispirazione neorealista non è del tutto svanita, anzi per certi versi ne conserva invariata l’acredine. La precarietà e la discontinuità di un’attività museale costituiscono i grossi ostacoli alla fidelizzazione del fruitore. Il museo oggi fa parte del tessuto connettivo cittadino, è una realtà con la quale ci si raffronta quotidianamente, un luogo fatto non solo per fruire l’opera d’arte, ma che può rappresentare la nuova dimensione di agorà dove ritrovarsi per seguire una conferenza o anche prendere un caffè, acquistare un libro o ancora uno spazio dove portare i bambini per un laboratorio. Nella storia di Museum, la continuità è sempre stata un elemento fondamentale. L’attività di galleria avviata da Ezio Pagano nel 1968 è stata portata avanti nel corso di un trentennio con serietà e professionalità fino alla riconversione in museo nel 1998.Museum, il primo museo d’arte contemporanea sul territorio siciliano, è un’istituzione privata che ha fatto e continua a fare dell’identità isolana la sua ragione d’essere. Questo museo partito da un nucleo di centocinquanta opere, oggi ne vanta più di cinquecento, frutto di acquisizioni e donazioni da parte di artisti siciliani che, coinvolti da Pagano, hanno creduto e continuano a credere in un progetto che fa di Museum l’unico luogo in Sicilia dove sia possibile conoscere il panorama storico-artistico del Novecento e del Duemila siciliani, fatto da artisti noti e meno noti. La sua natura privata è stata discussa in seno ad un’intervista di Paola Nicita a Gillo Dorfles che in quella occasione rispose: «Purtroppo in tutta Italia il sostegno dato alla cultura è molto scarso, e l’arte contemporanea è molto trascurata. Manca un’educazione di base, occorrerebbe iniziare dalle elementari, moltiplicare le ore dedicate all’arte e alla musica, non ridurle»5 e ancora: «Ho visitato il Museum di Bagheria e l’idea di raccogliere le opere degli artisti siciliani mi sembra ottima. Qui si trovano i nomi meno noti ma anche quelli internazionali, come Carla Accardi, Pietro Consagra, Salvatore Scarpitta, solo per citarne alcuni. È importante che ogni regione abbia un suo museo». Poche, semplici affermazioni da parte del celebre critico triestino per sottolineare nel caso di Museum l’importanza che ha l’iniziativa privata in un contesto nazionale e regionale lacunoso e assente nei confronti dell’arte e del contemporaneo in particolare.Le fasi del lavoro di ricerca sono state sostanzialmente due, la prima più complessa, è stata rivolta al rinvenimento dei documenti quali inviti, locandine, comunicati stampa, articoli di giornale. La ricerca, l’esame e la classificazione di questo materiale ha richiesto diversi mesi di duro lavoro fisico e ha permesso di redigere la catalogazione dalla quale è stato possibile ricostruire la storia delle gallerie dagli anni Sessanta ai Novanta con la nascita di Museum, fino ai nostri giorni. Questo percorso viene esposto nel primo capitolo. La seconda fase nasce da un esame di alcune tappe che hanno segnato il percorso di realizzazione di Museum, definendone natura e ruoli. L’analisi svolta ha, in questo caso, enormemente beneficiato dell’apporto indispensabile di Ezio Pagano, a cui va naturalmente la mia gratitudine per avermi guidata nella ricostruzione e nell’interpretazione di una storia non facile da raccontare. Importante è stato inoltre il contributo degli artisti “stranieri” coinvolti che, nel corso degli incontri avuti, mi hanno aiutato a far emergere nuovi spunti per questa fase della mia ricerca. Il secondo e il terzo capitolo contiene i risultati di questa parte del mio lavoro.La tesi, è dunque divisa in tre capitoli.XIII Il primo capitolo “Dalla galleria al Museum”, si presenta naturalmente come il più corposo tra i tre; in esso si delinea il percorso che ha portato alla nascita e alla formazione di Museum, descrivendo la trasformazione dell’attività da quella di galleria a quella museale, da profit a no profit. La ricostruzione di tale percorso è stato fatto alla luce di un riesame dell’attività svolta, degli artisti proposti, dei critici coinvolti, delle pubblicazioni prodotte, della risonanza degli eventi sulla carta stampata. L’excursus storico, realizzato attraverso le vicende delle tre gallerie: Nibbio, Il Poliedro e Ezio Pagano artecontemporanea, è stato condotto attraverso un’accurata selezione degli eventi espositivi, partendo dagli inviti e dalle locandine per ritrovarne le date certe, e seguendone, quando possibile, l’eco della critica sulla carta stampata. Si è privilegiato l’evento documentato e, al tempo stesso, più significativo per importanza e richiamo di pubblico e critica. Tale selezione è stata realizzata seguendo due criteri, il primo, più semplice e immediato si basa sull’importanza dell’artista proposto, il secondo invece sull’origine siciliana dell’artista, sulla qualità della mostra e sulla risonanza dell’evento tra critica e pubblico. Tale criterio permette di evidenziare l’attenzione del gallerista nel corso dei decenni, verso gli artisti giovani del territorio isolano, determinando inconsapevolmente la vocazione identitaria di quello che sarebbe stato Museum. Il passaggio da galleria a museo va ricondotto a scelte maturate dal fondatore, alla sua visione sul significato e sul ruolo dell’arte, ma, ed è questo un dato da non sottovalutare, ha innescato ed è stato a sua volta frutto dei cambiamenti del territorio ai quali è stata prestata ove opportuno la nostra attenzione.Nel secondo capitolo, “Le Circumnavigazioni e oltre”, viene approfondito il tema delle Circumnavigazioni, serie di mostre itineranti organizzate da Ezio Pagano, da gallerista, come da direttore di Museum. Al centro vi è il tema dell’emigrazione dei siciliani nel mondo e il desiderio, attraverso le iniziative promosse dal museo bagherese, di portare parte della loro cultura originaria, nei luoghi che li hanno accolti. Questa serie di mostre, che inizia con delle collettive in Sicilia e in Italia, è divenuta, nell’arco di un ventennio, un mezzo di diffusione della cultura siciliana nel mondo. Di quest’ultima si è esportata la sua nuova facies, quella sconosciuta a chi ha lasciato da tempo il proprio paese, ma, proprio per questo, fondamentale da scoprire per comprenderne, attraverso l’arte contemporanea, gli ultimi sviluppi e trasformazioni. Il terzo capitolo, “Quelli che vanno e quelli che restano”, cavalca il tema lanciato nel secondo, quello dell’emigrazione, aprendo una riflessione sulla migrazione di artisti che ha interessato gran parte dei protagonisti della nostra regione, in taluni casi divenuti famosissimi, e che hanno visto nella dimensione isolana un limite alla propria realizzazione. Si fa riferimento, in tal senso, alla mostra “Sicilia!” curata da Marco Meneguzzo e tenutasi ad Acireale (CT) nell’estate del 2006. Questa interessante retrospettiva dell’arte siciliana tocca, inevitabilmente il tema dell’emigrazione culturale in quanto peculiarità dell’isola con la quale si crea un rapporto di rassegnata accettazione o di dichiarata negazione. Ma Sicilia è anche terra di accoglienza, così come viene evidenziato attraverso la mostra Hotel des Etrangers6, grazie al contributo di un gruppo di artisti stranieri che ormai da tempo vive in Sicilia. Tra questi, l’attenzione viene posta su tre artisti, Hilde Margani Escher, Juan Esperanza e Nelida Amada Mendoza, che rappresentano il gruppo di artisti stranieri appartenenti anche alla collezione di Museum. Questa doppia natura di straniero appartenente ad una collezione di artisti specificamente siciliana, è stato il fulcro di un’indagine che attraverso l’intervista diretta, ha cercato di metterne a fuoco la particolare condizione. Il Viaggio in Sicilia intrapreso al fine di incontrare questi artisti, ha consentito di comprendere le ragioni delle scelte di vita di ciascuno dei tre artisti “naturalizzati” siciliani, poiché da esse hanno preso forma lo stile e la poetica che contraddistinguono la loro produzione artistica. Ne è così scaturita una riflessione su identità e appartenenza culturale, fattori che giustificano la loro presenza nella collezione di Museum, che ha fatto e fa dell’identità siciliana la propria ragione d’essere.
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7

Valente, Erika <1990&gt. "Il Boarnàl : storia di una valle." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17135.

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Abstract:
Questa ricerca vuole raccontare di un luogo, denominato Boarnàl, una piccola valle nel comune di Seren del Grappa. In provincia di Belluno. Partendo da una ricognizione, di quello che là si vede oggi, ho cercato di ricostruire il suo passato fino a dove il tempo e le testimonianze d’archivio ce lo consentono. Oggi il Boarnàl si presenta come un classico luogo dell’abbandono, disabitato e con le case in rovina. La ricerca è composta da un censimento dei ruderi presenti in loco, con foto e descrizioni. Partendo dalle fonti d’archivio e dalle fonti orali, spesso nello studio si presentano interrogativi e perplessità su quello che era, che è e che sarà un luogo abbandonato come il Boarnàl.
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8

GIULIANO, LUCIA. "Italien und Deutschland: storia di una rivista della Goethezeit." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/202619.

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Abstract:
Il presente studio prende in esame la rivista artistico-letteraria Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst (Italia e Germania. In considerazione di usi, costumi, letteratura e arte), pubblicata tra il 1789 e il 1793 dalla casa editrice della prestigiosa Accademia delle Arti e delle Scienze di Berlino. Il periodico fu ideato e curato dallo scrittore Karl Philipp Moritz che, durante il suo soggiorno romano (1786-1788), coinciso con quello di Goethe, ebbe la possibilità di collaborare con figure che si rivelarono determinanti per l’esportazione del modello classico in Germania. Tra queste, l’archeologo Aloys Hirt, secondo collaboratore della rivista e vera anima della stessa. Italien und Deutschland funge in primis da osservatorio privilegiato per cogliere i molteplici livelli della circolazione artistica italo-tedesca tra fine Settecento e inizi Ottocento. Il solo titolo si prefigura quale formula volta empaticamente a sintetizzare l’unione di due nature diverse e a evocare la sintesi di principî artistici altrettanto differenti. All’interesse di tipo comparativo si unisce poi quello antropologico che fa del giornale uno strumento utile a tratteggiare la fisionomia dell’Italia della Spätaufklärung, nei modi e nelle forme della socialità. Tuttavia, nonostante le numerose sfaccettature di un’opera dalla vita forse troppo breve perché se ne potesse decretare il successo, Italien und Deutschland è stata ingiustamente e inspiegabilmente dimenticata tanto dalla critica dell’epoca, quanto da quella attuale. Ad oggi non sono stati condotti studi o ricerche scientifiche sulla rivista e la pressoché assente letteratura critica in proposito non aiuta a far luce sui molti punti oscuri che la interessano. L’unica eccezione è offerta dai saggi di due studiosi, Jürgen Zimmer e Claudia Sedlarz, protagonisti, negli ultimi decenni, di un primo significativo passo in direzione della riscoperta del periodico, cui hanno cercato di restituire nuova importanza, sottolineando la grande lacuna che l’indifferenza nei suoi confronti ha finora rappresentato . È inoltre degno di nota il fatto che, soltanto con il progetto avviato nel 1987 dall’Accademia delle Scienze di Göttingen, il nome di Italien und Deutschland figuri in un elenco degli organi di recensione della Germania dell’Illuminismo . Tale indice, monitorato da una banca-dati in continuo aggiornamento, contenente i titoli di 195 riviste in lingua tedesca, è stato in seguito trasformato in materiale liberamente consultabile in rete dall’Università di Bielefeld che, con il programma intitolato Retrospektive Digitalisierung wissenschaftlicher Rezensionsorgane und Literaturzeitschriften des 18. und 19. Jahrhunderts aus dem deutschen Sprachraum, si è proposta di eseguire la digitalizzazione di ciascun periodico individuato da Göttingen. Della seconda fase del progetto (2006-2008) fa parte l’inserimento di Italien und Deutschland, disponibile quindi online dal febbraio 2008 nell’edizione presente presso la Staatsbibliothek di Berlino. Il giornale di Hirt e Moritz ha così dovuto attendere due secoli per vedersi finalmente riconosciuto quel posto ufficiale nel novero degli organi periodici della Spätaufklärung tedesca, che gli era stato negato da tutti i preesistenti elenchi di riviste letterarie del XVIII secolo - si ricordano, tra gli altri, Die Zeitschriften des Deutschen Sprachgebietes von den Anfängen bis 1830 di Joachim Kirchner Hiersemann, il testo di Jürgen Wilke (1978), Literarische Zeitschriften des 18. Jahrhunderts (1688–1789), e infine le Zeitschriften der Berliner Spätaufklärung del 1979, di Paul Hocks e Peter Schmidt . Neppure assegnando al giornale lo status specifico di «rivista artistica» si ha una qualche probabilità di trovarne tracce negli studi dedicati all’argomento, primo fra tutti il testo canonico di Ernst Herbert Lehmann sulla storia della Kunstzeitschrift in Germania . In un’unica occasione le pagine di Italien und Deutschland hanno conosciuto l’onore di essere pubblicamente esposte, per di più in un contesto prestigioso come quello del museo. Nella mostra Auch ich in Arkadien. Kunstreisen nach Italien 1600-1900, allestita presso lo Schiller-Nationalmuseum di Marbach nel 1966, fu presentato un esemplare del frontespizio del primo numero del giornale, nonché una copia dell’incisione in rame raffigurante le sculture di Dannecker e Scheffauer, le due promesse dell’arte tedesca attive a Roma, cui Hirt dedica un articolo della rivista . Si è indotti a credere che la scarsa attenzione di cui Italien und Deutschland fu oggetto sin dall’epoca della sua uscita sia strettamente legata al più generale disinteresse della critica nei confronti della persona e dell’opera dei due autori. […] die Auslese aus dem deutschen 18. Jahrhundert [scheint] im Deutschland des 19. Jahrhunderts […] besonders einseitig betrieben worden zu sein […]. Reduziert wurde […] das Werk der Klassiker […]. Besonders reduziert wurde damit auch das Werk des Berliner Spätaufklärers Karl Philipp Moritz. Auf ein Werk - die Abhandlung »Über die bildende Nachahmung des Schönen« - hatte die Geistgeschichte am Ende des 19. Jahrhunderts die rund fünfzig von Moritz in siebenunddreißig Lebensjahren publizierten Titel reduziert, und [...] wurde auch dies dem Goetheschen Kopfe zugeschlagen . Sebbene a questa affermazione Anneliese Klingenberg faccia seguire la constatazione del grande lavoro di riscoperta ruotato attorno all’opera di Moritz nel secolo scorso, la studiosa non manca di sottolineare come, malgrado ciò, si sia continuato a tralasciare larga parte della sua produzione . In effetti, nonostante il grande interesse odierno per gli scritti di quest’autore, solo durante la seconda metà del Novecento la sua poliedrica e interessante personalità, dopo essere stata a lungo trascurata, è tornata ad attirare l’attenzione della critica. Probabilmente proprio a causa dell’ampio spettro di generi con cui Moritz osò cimentarsi e del carattere frammentario e disomogeneo della sua vasta opera - che la mancanza di un lascito e di manoscritti ha reso spesso difficile da reperire -, solo di recente si è potuta concretizzare la messa a punto di un’edizione critica completa dei suoi scritti . Gran parte della produzione del romanziere, filosofo e saggista tedesco, che pure aveva conosciuto, sul finire del Settecento, una discreta notorietà, grazie al saggio citato dalla Klingenberg e ad altri titoli fortunati , - che gli procurarono l’ammirazione di grandi protagonisti del primo romanticismo, quali Jean Paul, Tieck e Wackenroder -, passò nei decenni a venire quasi del tutto inosservata. Le insinuazioni riguardanti la subalternità e la dipendenza da Goethe - primo assertore della novità dei suoi testi, nonché affezionato amico -, pronte a mettere in discussione l’originalità delle sue teorie estetiche, non giovarono poi alla rivalutazione dello scrittore. Tra le opere presto dimenticate, anche i Viaggi di un tedesco in Italia - a cui è strettamente legato il lavoro alla rivista -, rivalutati solo in epoca attuale, ma nondimeno frutto di un’esperienza di assoluto rilievo per l’evoluzione del pensiero estetico e filosofico di Moritz. Considerato ciò, non stupisce che gli studiosi abbiano sempre dimenticato di far menzione, se non marginalmente ed esclusivamente in rapporto al resoconto del suo soggiorno romano, di Italien und Deutschland. Moritz tuttavia, com’è noto, seppure riabilitato solo recentemente dalla critica, che gli ha altresì conferito la qualifica di «precursore» («precusore di Kant», «precursore dei romantici» ), ha potuto ritagliarsi il suo spazio in quell’olimpo dei classici, che non riuscì a scalare invece Hirt, il quale già in vita perse molta della sua celebrità, per essere poi quasi completamente dimenticato dopo la morte. Eppure le sue ricerche potrebbero definirsi oggi interdisciplinari. Durante il suo lungo soggiorno romano si confrontò, da autodidatta, con l’arte antica e moderna come mai nessuno aveva fatto prima a Berlino: fu studioso dell’antico, teorico e critico d’arte e archeologia, architetto dilettante, direttore teatrale ed esponente di spicco della politica culturale della corte prussiana. In quest’ambito si fece promotore del primo museo pubblico del regno, ottenne l’incarico di consigliere artistico per l’allestimento dei castelli reali, fu nominato membro dell’Accademia delle Scienze, di quella delle Arti e della Bauakademie e in ultimo gli venne assegnata la prima cattedra di archeologia presso l’Università di Berlino che, nel 1810, aveva contribuito a fondare. Nelle opere rimaste, comprendenti monografie e trattati pubblicati in piccole edizioni, insieme a decine di recensioni e saggi usciti nel corso della sua lunga carriera su periodici e giornali, si rintracciano tutte le forme della pubblicistica del XVIII secolo: dal resoconto di viaggio, anche in forma epistolare, allo scritto accademico erudito, fino al racconto aneddotico. Nonostante la ricchezza della sua produzione, l’importanza delle sue teorie e l’impegno profuso negli ambiti più diversi, Hirt dovette condividere con molti suoi contemporanei, altrettanto meritevoli di aver dato impulso alla vita culturale del tempo e di aver fatto conoscere ai connazionali le novità artistiche che fiorivano in Italia, la triste sorte della Vergessenheit. Sebbene la scomparsa dell’autore dal firmamento culturale e artistico della sua epoca non sembra essere in alcun modo giustificabile, si ritiene di poter rintracciare nel cambiamento dei tempi una prima ragione di tanta noncuranza: il classicismo restauratore, di cui Hirt si faceva portavoce, dovette risultare troppo rigido alla generazione dei suoi primi allievi che, proiettati ormai in un’ottica già completamente romantica, non riuscirono a scorgere la grande carica innovativa del suo pensiero. È stato ancora una volta grazie all’opera di Zimmer e della Sedlarz che, solo pochi anni fa, si è cercato di fissare il profilo scientifico di Hirt e di valutare la sua incidenza sulla cultura berlinese . Il presente lavoro prende le mosse proprio dall’invito che i due studiosi hanno rivolto alla ricerca: quello di dedicare a Italien und Deutschland e alla sua storia un’analisi approfondita, in grado di gettare nuova luce su un periodico rimasto troppo a lungo nell’ombra. Una prima linea di indagine sarà quella volta a ricostruire la rete di stimoli, di interessi culturali e di rapporti che si intrecciò tra i protagonisti di questa vicenda: le circostanze insomma che portarono alla nascita del sodalizio tra Moritz e Hirt. Si cercherà in primo luogo di risalire alle origini del progetto, di cui non rimane traccia alcuna se non i pochissimi riferimenti indiretti presenti nella corrispondenza di Goethe. Il carteggio tra i due autori è andato perduto, così come qualsivoglia altra testimonianza in grado di attestare lo scambio di idee intercorso fra loro e di far luce sui motivi che portarono all’improvviso abbandono della collaborazione da parte di Hirt e alla fine stessa del periodico. Si passerà di qui a valutare in che misura, nell’edizione finale del giornale, ci si sia discostati dall’idea contenuta nel programma originario. Tale questione pone, a sua volta, un problema di classificazione relativo al genere testuale della rivista. Nel tentativo di delinearne il profilo, così da attribuirle uno status specifico, si cercherà di evidenziare la novità insita nell’idea di una pubblicazione giornalistica organica volta a privilegiare lo scambio fra i due paesi, che già alcuni contemporanei di Hirt e Moritz avevano invano cercato di mettere in piedi. Capire quanta parte dell’attualità italiana venisse trasmessa, in quegli anni, ai lettori d’oltralpe rappresenterà un punto di riferimento importante per comprendere quale fosse la domanda culturale a cui Italien und Deutschland intendeva rispondere, soprattutto rispetto a una visione della penisola, diffusa nella Germania del tardo XVIII secolo, legata esclusivamente alle idealità classiche. Il riferimento al dato attuale e l’attenzione per tematiche nuove come quelle riguardanti la contemporanea produzione artistica europea rappresenteranno il primo indicatore di una problematizzazione del richiamo unilaterale al classico, che sul finire del secolo le spoliazioni napoleoniche contribuiranno a mettere ulteriormente in crisi. In effetti, le confische francesi provarono duramente l’identità culturale italiana, che si vide così depredata del suo ruolo di centro propulsore dell’arte. Ad essere messo in discussione fu il primato stesso dell’antico, cui si iniziò a preferire il fermento di Londra e Parigi, sempre più avvertite come vera alternativa alla «decadente» Roma. Si ribalta così un concetto che fino ad allora era stato predominante: quello per cui la magnificenza della «Roma antica» era tale da annullare il volto degradato della «Roma moderna», alla quale in primo luogo il sistema politico ed ecclesiastico, avvertito come corrotto dalla maggior parte dei viaggiatori stranieri, aveva impedito di rinnovarsi . Nella rivista risulta evidente proprio come, accanto all’immagine dell’Italia quale terra in cui fare l’esperienza massima dell’antico, stesse iniziando a prendere forma in questo periodo l’idea di un paese dove potersi finalmente confrontare anche con i vari aspetti della modernità. Si vedrà come anche lo stesso Moritz cominci a proiettarsi verso una tale ottica. La sua visione dell’Italia non ruotava, come per Goethe, in maniera totalizzante attorno alla rievocazione di un mondo classico, che pure rimane un punto fermo nella costituzione della propria coscienza artistica, ma poneva al centro dell’indagine l’elemento vitale della contemporaneità. Uno degli intenti che questo studio vuole perseguire è allora quello di dimostrare come la vera novità del periodico risieda nel grande interesse rivolto dai suoi autori al linguaggio artistico della «Roma moderna», fino ad allora influenzato, come detto, dal forte pregiudizio sulla decadenza italiana che aveva spinto molti tedeschi a misconoscerne il valore . Si vorrà inoltre provare che l’inizio di un ripensamento del richiamo unilaterale al classico in Italien und Deutschland risulta altresì testimoniato dall’apertura a tematiche che, quand’anche non di argomento contemporaneo, restavano comunque estranee al canone del tempo. Ciò troverà esemplificazione, tra gli altri, nel saggio sull’architettura delle basiliche paleocristiane e nello scritto che sancirà la riscoperta di un artista del primo rinascimento quale Giovanni da Fiesole, rimasto, al pari di molti suoi contemporanei, all’ombra di quei maestri come Michelangelo, Tiziano e Raffaello che, soprattutto in virtù delle teorie di Raphael Mengs, avevano oscurato il resto del panorama quattrocentesco. Dopo aver inserito il lavoro al progetto dei due autori nell’ambito dei loro rispettivi percorsi di vita, da cui non si può prescindere, soprattutto tenuto conto di quanto in essi si rifletta l’epoca di transizione cui Hirt e Moritz appartengono, si procederà alla presentazione dell’opera. Dapprima verrà dato conto dell’organizzazione generale della rivista, mentre nella seconda parte del lavoro si cercherà, in maniera più dettagliata, di restituire alla specificità dei singoli interventi la loro funzione centrale e comunicativa, disegnando, attraverso alcuni di quelli più significativi, la mappa dei motivi e dei temi offerta dal giornale ai suoi lettori. Prima ancora però l’indagine sarà indirizzata alla ricostruzione della fortuna di Italien und Deutschland, cercando di valutare quanto e quale interesse una rivista del genere abbia potuto suscitare nel pubblico dell’epoca, e che tipo di risultati concreti poté sortire l’opera sul mercato letterario. Un’ultima linea di ricerca sarà, infine, quella dedicata al confronto tra i contributi pubblicati da Moritz nel periodico e la loro riproposizione all’interno del suo diario di viaggio. In questa sede, dopo una breve ricostruzione della genesi delle Reisen, si procederà all’analisi delle varianti contenutistiche delle due stesure, cui seguirà l’esame delle modifiche sintattiche, stilistiche e ortografiche, apportate di volta in volta in entrambe le versioni dei testi moritziani. Fine ultimo della ricerca è dunque quello di salvare dall’oblio Italien und Deutschland, mostrando, attraverso la grande varietà dei riferimenti che è possibile rintracciare a partire dalle sue pagine, come questa sconosciuta rivista della Goethezeit rappresenti un mondo tutto da scoprire
Gegenstand meiner Dissertation ist die von Karl Philipp Moritz und Aloys Hirt herausgegebene Kunst- und Literaturzeitschrift Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst, die in den Jahren 1789-1792 im Verlag der akademischen Buchhandlung in Berlin erschien. Es handelt sich dabei um ein zweibändiges Werk, das insgesamt aus sechs Heften besteht: vier im ersten und zwei im zweiten Band. Die sechste und letzte Nummer wurde 1793 posthum von unbekannten Gelehrten ediert. Das Forschungsinteresse dieses Periodikums der Goethezeit liegt u.a. in der Konstruktion und Verbreitung eines spezifischen Italienbilds im Deutschland des späten 18. Jahrhunderts. Der Titel beschwört emphatisch sowohl die Synthese zweier unterschiedlicher Kunstgrundsätze als auch die Vielfalt der Themen, die den kulturellen Austausch kennzeichnen. Italien und Deutschland fungiert also als Beobachtungsstelle für die verschiedenen Motive des deutsch-italienischen Kulturaustauschs im 18. Jahrhundert und spiegelt die Auseinandersetzung mit vielen sozialen und anthropologischen Aspekten Italiens wider. Die Forschung hat sich bisher nicht näher mit dieser Zeitschrift beschäftigt, obwohl sie aus dem in Rom um Goethe entstandenen Freundeskreis hervorgegangen ist. Italien und Deutschland erscheint aber auch nicht in den verschiedenen Listen der deutschen Zeitschriften des 18. Jahrhunderts . Erst mit dem Projekt der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen, 1987 entstanden, taucht das Periodikum offiziell in einem Index zu deutschsprachigen Rezensionsorganen des 18. Jahrhunderts auf. Die Universität Bielefeld hat dann alle Periodika dieses Registers im Rahmen der Retrospektiven Digitalisierung wissenschaftlicher Rezensionsorgane und Literaturzeitschriften des 18. und 19. Jahrhunderts aus dem dt. Sprachraum online gestellt. Seit Februar 2008 - der zweiten Phase dieses Projekts - ist Italien und Deutschland somit in digitaler Form verfügbar. Der Grund dafür, dass sie bislang nicht Gegenstand der Forschung geworden ist, liegt zunächst bestimmt in der besonderen Forschungs- und Editionssituation der Schriften der beiden Herausgeber und Hauptautoren. Tatsächlich ist die Wiederentdeckung von Moritz’ Schöpfungen relativ neu, obwohl seine Schriften eine differenziertere Neueinschätzung von Aufklärungstendenzen möglich machen. Sein Werk liegt erst seit 1997 in einer vollständigen kritischen Werkausgabe vor. Besonders begrenzt scheint das Interesse der Wissenschaftler für seine Redaktionsarbeit zu sein: Das Journal Italien und Deutschland wird in der Tat von der Forschung nur im Zusammenhang mit seinen Reisen eines Deutschen in Italien erwähnt. Und doch war es neben dem Reifewerk eine weitere Folge seines Italienaufenthalts. Noch unglücklicher war das Schicksal Aloys Hirts, dessen Name lediglich mit der Vorgeschichte der Berliner Museen verbunden ist. Seine Figur ist bald ins Abseits geraten, und daher gibt es nur verstreute und unvollkommene Informationen und Meinungen über ihn bzw. über seine Schriften. Eine umfassende Forschung über sein literarisches Schaffen fehlt noch, obwohl er für einen vielseitigen Gelehrten gehalten werden kann: Er war Archäologe, »Altertumsforscher, Lehrer, dilettierender Architekt, Kunstschriftsteller, Bildungspolitiker, Schauspielintendant, Kunst- und Architekturtheoretiker, Kunstkritiker und Repräsentant der Preußischen Hofkultur« . Umfangreich war auch seine schriftstellerische Produktion, obwohl viele Exemplare seiner Werke dezimiert wurden oder nur schwer zugänglich sind. Erst in den letzten Jahren wurden zwei Aufsätze über Italien und Deutschland veröffentlicht: Die Abhandlungen der Kunsthistorikerin Claudia Sedlarz, die die Arbeitsstelle Berliner Klassik der Akademie der Wissenschaften zu Berlin leitet, und die des Archäologen Jürgen Zimmer . Beide halten die Gleichgültigkeit gegenüber dem Periodikum für ein großes Versäumnis der Kunstgeschichte. Deswegen hoffen sie auf eine gründliche Untersuchung der Zeitschrift, die sich aber aus verschiedenen Gründen nicht so einfach durchführen lässt. Zunächst bleiben bei der Rekonstruktion ihrer Geschichte bedeutende Fragen noch offen: Unter welchen Umständen und auf welchen Grundlagen entstand die Zusammenarbeit von Moritz und Hirt sowie das Projekt des Journals? Welches war das ursprüngliche Programm? Aus welchem Grund unterbrach Hirt seine Mitarbeit abrupt? Wie kann das plötzliche Ende der Zeitschrift erklärt werden? Auf all diese Forschungsprobleme gehe ich in dieser Arbeit an, obwohl sie sich in manchen Fällen leider nur schwer und partiell lösen lassen, weil dafür wesentliche Elemente noch fehlen. Dazu zählen eine editorische Einleitung und Absichtserklärung, ein Register und, noch wichtiger, ein Briefwechsel zwischen den beiden Herausgebern. Da man über keine Quellen aus erster Hand verfügt, kann man sich nur auf Erwähnungen und Andeutungen stützen, die in der Korrespondenz von Zeitgenossen der beiden Autoren enthalten sind, obwohl auch hier die Informationen gering bleiben. Im Vordergrund steht natürlich Goethe und sein Briefwechsel mit Freunden und Kunstgenossen in Italien. Nur dank dieser Grundlage konnte man in der Forschung auf die Ursprünge des Projekts und der Zusammenarbeit seiner Autoren schließen. Im ersten Teil meiner Arbeit versuche ich die Entstehungsgeschichte von Italien und Deutschland zu rekonstruieren und darüber hinaus auch die verschiedenen, oben genannten, dunklen Seiten ihrer Entwicklung, wie z. B. die Gründe für den Originalitätsmangel im zweiten Teil des Organs, für das Ende der Mitarbeit Hirts, für den Abbruch der Zeitschrift und die Veröffentlichung der letzten Nummer von »einigen« anonymen Gelehrten, aufzuklären. Über den ursprünglichen Plan des Journals kann man wohl vermuten, dass es das Ergebnis einer gleichen, jeweils unabhängig voneinander entstandenen Idee beider Autoren war, die wahrscheinlich zuerst von Goethe zusammengebracht worden waren. Was Moritz betrifft, stand er vor dem Problem, seinen Romaufenthalt selber finanzieren zu müssen. Das Geld, das er von dem Braunschweiger Verleger Joachim Heinrich Campe für die Fassung einer italienischen Reisebeschreibung bekommen hatte, reichte nicht aus und so versuchte Moritz sich weitere Finanzierungen zu beschaffen. Zu diesem Zweck unterbreitete er dem Verleger Göschen ein Zeitschriftprojekt . An dieser Stelle muss aber gesagt werden, dass der Schriftsteller bei fast allen Berliner Verlegern als »säumiger, unzuverlässiger und stets honorarbedürftiger Autor« bekannt war. Also setzte er seine Hoffnungen auf zwei Männer, zu denen er persönliche Beziehungen hatte: eben auf Campe und Göschen. Da aber Göschen verreist war und auf seinen Brief nicht geantwortet hatte, musste Moritz sein Projekt sehr wahrscheinlich zurückstellen. Erst in der letzten Phase seines Romaufenthalts wurde der Plan Moritz’ von Goethe selbst unterstützt. Der ‚Vater’ des Werthers hatte inzwischen bereits kurz nach seiner Ankunft in Rom die Dienste Hirts in Anspruch genommen und ihn in einem Brief an Wieland als »ein trockner, treuer fleißige Deutscher, der schon recht schöne historische Kenntniße von Rom und von der Kunst hat[e]« bezeichnet. Seine Absicht war, den jungen Fremdenführer als festen Mitarbeiter des Deutschen Merkurs zu etablieren. Aus Angst, das Profil seiner Zeitschrift zu ändern, lehnte Wieland dies allerdings ab und machte Goethe den Vorschlag, dass Hirt »seinen Plan in einem eigenen KunstJournal ausführen soll[te]« , wozu er ihm einen guten Verleger zu verschaffen hoffte . Wie man den Worten Wielands entnehmen kann, hatte Hirt - wie Moritz - vor, eine Kunstzeitschrift zu gründen, die »eine dauernde Verbindung zwischen Deutschland und Italien« schaffen könnte. Wahrscheinlich wollten sie also ursprünglich in ihrem Organ zwei Dinge zusammenführen: die Berichterstattung über zeitgenössische Kunst und die Unterrichtung in Kunstgeschichte, ohne die ein Studium der Kunst nicht vollständig sein konnte . Obwohl Moritz 1789 von der Akademie der Künste in Berlin gerade aus dem Grunde angestellt worden war, künstlerische Kenntnisse zu verbreiten, beschäftigt sich nur Hirt in der Zeitschrift mit Kunstthemen . Moritz dagegen konnte seine eigenen Ausführungen über römische Kunstwerke für andere Publikationen aufheben. Er veröffentlichte seine Abhandlungen über Kunst vor allem in der Monatsschrift der Akademie der Künste und mechanischen Wissenschaften zu Berlin, mit der unser Journal zusammen gesehen werden muss. Da ihm also für seine eigene Zeitschrift nicht mehr viel Zeit blieb, kam er auf die Idee, Berichte über das Land, in dem er die Kunst vorfand, zu liefern. Die von Claudia Sedlarz aufgestellte These einer Planänderung kann nur durch den Wechsel des Titels des Periodikums bestätigt werden . In den zwei Briefen, die der Kupferstecher Johann Heinrich Lips - der schweizerische Künstler, der vier der wunderbaren Illustrationen der Zeitschrift schuf - an Goethe schrieb, wird der ursprüngliche Name des Werkes bekannt gegeben: »Die Platten zu den Ephemeriden der Kunst für Moritz und Hirt sind jez fertig« . Der Übergang zu dem nicht speziellen Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst lässt auch an einen Wechsel des Inhalts denken. An dieser Stelle kann man nur vermuten, dass Hirt von der Entscheidung seines Kollegen sehr enttäuscht war und dass auch er wegen dieser zunehmenden Interesselosigkeit Moritz’ für das Projekt den Plan fallen ließ. Seine anfängliche Begeisterung und seine folgende Enttäuschung kommen sehr deutlich in dem einzig erhaltenen Brief an Goethe, in denen Hirt über die Zeitschrift schreibt, vor: Ich habe bereits alle Artikel für das erste Heft der periodischen Schrift fertig, die Herr Professor Moritz und ich zusammen herausgeben wollen. Lips hat auch schon eine Platte hiezu gestochen, nemlich die Predigt aus der Kapelle des Fra Giovanni Angelico von Fiesole, wovon ich die Beschreibung machte. Er wird nun an den Marius von Drouais gehen, mit deßen Lebensbeschreibung ich nun beschäftiget bin. Mein Artikel hiezu von der Architektur sind historisch-architektonische Beobachtungen über die christlichen Kirchen, die wie ich glaube mir nicht übel gelungen. Der chevalier d’Agincourt war sehr mit meinem Plan zufrieden, und auf sein Verlangen übertrage ich nun den ganzen Aufsaz ins französische. Ich habe die Briefform zum Vortrag gewählt, und wünschte sehr, Ihren Namen voranzusezen, aber ohne Ihre Erlaubniß, oder die Erlaubniß des Herrn Herders in Ihrem Namen werde ich mir so viele Freyheit nicht nehmen . Die ursprüngliche geplante Kunstzeitschrift verwandelte sich also in ein Journal, das nicht nur aus kunstgeschichtlicher, sondern auch aus literaturwissenschaftlicher, anthropologischer und philologischer Sicht analysiert werden kann. In diesem Sinn ist der neue Titel und besonders der Untertitel des Periodikums zu verstehen. Die Formel »Sitten und Gebräuche, Litteratur und Kunst« könnte man heute mit dem Begriff „Kultur“ ausdrücken . In dieser Hinsicht kann Italien und Deutschland als die erste deutsch-italienische kulturvermittelnde Zeitschrift betrachtet werden. Nach Michele Cometas Meinung liefert sie eine vollkommen anthropologische Darstellung der italienischen Phänomene der Kultur, denn sie konzentriert sich nicht nur auf die Kunst, sondern auch auf die Sitten des Volkes . Was aber noch bedeutender zu sein scheint, ist sicherlich die Aufmerksamkeit beider Autoren auf die aktuelle Wirklichkeit Italiens, die durch eine ansehnliche deutsche Delegation bestimmt war. Das verbreitete Bild Italiens als Wiege der Antike macht einer fortschrittlicheren Anschauung der Dinge Platz, wo unsere Halbinsel zu einem Land der Modernität wird. Hier fand die größte künstlerische Erneuerung statt, die auch durch die Vermittlung der deutschen aus Italien berichtenden Periodika für die preußischen kulturellen Reformen der Zeit von großer Bedeutung werden sollte. Auch wenn der anfänglichen Idee des Journals nicht mehr entsprochen werden konnte, stellt Italien und Deutschland einen in die Tat umgesetzten Gedankens dar, dessen Verwirklichung in der Spätaufklärung schon oft angestrebt war . Auf solche geplante und nicht ausgeführte Zeitschriften werde ich auch in meiner Analyse eingehen. Es geht um die gescheiterten Pläne von Wilhelm Heinse, Friedrich Müller und den Brüdern Genelli, die mit der Herausgabe eines solchen Magazins nicht nur den kulturellen Austausch zwischen den zwei Ländern pflegen wollten, sondern dadurch auch ihre schlechte finanzielle Lage aufzubessern hofften. Was die Struktur des Periodikums betrifft, das also die Beiträge zweier Autoren versammelt, sind die ersten drei Hefte nahezu ausschließlich von Hirt und Moritz selber geschrieben worden. Außer ihnen hat für den ersten Band nur der Maler Johann Gottlieb Puhlmann einen kleinen Aufsatz geliefert. Die Artikel sind aber stilistisch und inhaltlich sehr unterschiedlich und dadurch wird auch die Erwartung eines folgerichtigen Inhalts enttäuscht. Auch die Abfolge der einzelnen Beiträge ist durch kein festes Kompositionsprinzip geregelt. Der Verzicht auf ein systematisches bzw. methodisches Vorgehen und der Wechsel von erzählerischen zu brieflichen oder anekdotischen Formen kommen aber dem stilistischen und thematischen Eklektizismus, wie ihn Hirt und Moritz betrieben, entgegen. Die Erlaubnis dazu ist auch von der Literaturform „Zeitschrift“ selbst auf gewisse Weise gegeben. Trotzdem zeugt dieser erste Teil des Journals von beträchtlichem Elan. Die folgenden Nummern bieten dagegen keine Originalbeiträge und keine Berichte aus dem aktuellen Kunstleben in Rom mehr, sondern nur Reisebeschreibungen aus anderen Gegenden sowie Übersetzungen und Nachdrucke. Außerdem endet, wie gesagt, Hirts Mitarbeit 1790, obwohl er vorher die treibende Kraft von Italien und Deutschland gewesen zu sein scheint. Die unterschiedlichen Inhalte und Vorgehensweisen der Autoren kommen in der Dissertation ebenfalls zur Sprache. Im Allgemeinen liefert Moritz in der Zeitschrift kuriose und unterhaltsame Artikel, in denen er sich u. a. als „Menschenbeobachter“ erweist. Im Gegensatz dazu schreibt Hirt, wie es seinem Interesse entsprach, intellektuelle Abhandlungen, die das Ziel haben, objektive Berichte darzustellen. Ich werde dabei auf die methodologischen Unterschiede der beiden Autoren bei der Behandlung ähnlicher Themen eingehen und insbesondere einige Themenschwerpunkte der Zeitschrift herausarbeiten. Innerhalb des Journals stellt z.B. Moritz dem Artikel Hirts über den tragischen frühen Tod des französischen Malers Drouais den Beitrag über den früh gestorbenen deutschen Künstler August Kirsch gegenüber. Es gibt aber auch enge Parallelen zwischen einigen Abhandlungen Hirts und Passagen der Reisebeschreibung Moritz’, die ähnliche Themen behandeln, wie z.B. der Bericht über die Trockenlegung der Pomtinischen Sümpfe. Besonders wertvoll ist die Untersuchung der Beiträge Hirts, die in vielen Fällen innovativ und sich daher für die Entwicklung der Kunstgeschichte und der Architekturtheorie als sehr bedeutend erweisen. Unter seinen Texten finden sich Themen, die keineswegs zum klassizistischen Kanon gehörten. Die ausführliche Beschreibung der in Vergessenheit geratenen „Cappella Niccolina“ im Vatikan, die mit den Fresken von Fra Giovanni da Fiesole ausgemalt worden war, ist z. B. als nicht dem Klassizismus zuzuordnen. Ebenso neu ist das Thema des Goethe gewidmeten Artikels über den frühchristlichen Kirchenbau, der als Zeichen wachsender Aufmerksamkeit für Modernität zu verstehen ist. Die große Auswahl der in diesem Blatt behandelten Gegenstände bietet überdies genug Material, um die unterschiedlichen Positionen zweier Herausgeber hinsichtlich ihrer jeweiligen ästhetischen Konzeption eingehend zu behandeln. Auch der Aspekt der Rezeption muss einen der wesentlichsten Punkte der Forschung darstellen. Vermutlich ist das Periodikum lange Zeit kaum von der Wissenschaft rezipiert worden, weil zunächst einmal seine Verbreitung eher gering und kaum bewiesen war. Otto Harnack, der die Zeitschrift bestimmt gut gekannt hat , bemerkt: »[W]enigstens hatten weder die später von Hirt und Moritz gemeinsam herausgegebene Zeitschrift, noch sogar Goethe’s Propyläen sich der Gunst des Publikums zu rühmen« . Von drei Rezensionsorganen der Zeit wurden die Artikel der ersten Hefte kurz rezensiert . Darüber hinaus wurde der Quellenwert der Zeitschrift erst in jüngerer Zeit von einigen Architekturtheoretikern wahrgenommen . In der Arbeit stelle ich auch die wichtigen Informationen vor, die ich aus den verschiedenen Bibliotheken des deutschen Sprachraums, welche Exemplare von Italien und Deutschland besitzen, gesammelt habe. Meistens war es nicht möglich, Auskünfte über die Erwerbung der Hefte zu bekommen, da darüber keine Aufzeichnungen vorhanden sind. In manchem Fall lässt es sich aber durch den Besitzstempel auf dem Titelblatt oder durch einige handschriftliche Vermerke ungefähr rekonstruieren, wann und auf welchem Wege die Bände in den Besitz der jeweiligen Bibliotheken gelangten. Darüber hinaus ist ein Teil der Arbeit dem Vergleich zwischen Moritz’ Journalistenbeiträgen - den Vorabdrucken in Italien und Deutschland - und den entsprechenden Aufsätzen in seinem italienischen Tagebuch gewidmet. Etliche Artikel, die Moritz in der Zeitschrift publizierte, wurden ab 1792 zusätzlich in seinen Reisen eines Deutschen in Italien gedruckt. Sie enthalten Reiseeindrücke, Auseinandersetzungen mit dem Fremden und zentrale Fragen ästhetisch-erkenntnistheoretischer Natur. Nachdem ich mich zuerst kurz mit den Hintergründen zur Entstehung der Tagebuchfassung beschäftigt habe, werde ich auf Varianten hinsichtlich des Inhalts eingehen. Anschließend werden weitere Änderungen im Bezug auf syntaktische, stilistische und orthographische Merkmale aufgezeigt. Dabei kann man nicht davon ausgehen, dass die Reisen-Ausgabe mit der Zeitschrift-Fassung vollkommen identisch ist. Die beiden Versionen von Moritz’ Schriften weisen erhebliche Unterschiede auf, die auf verschiedene Gründe zurückzuführen sind. Im Hinblick auf stilistische und wörtliche Veränderungen dienen die Abweichungen grundsätzlich dazu, Unstimmigkeiten vielerlei Art auszubessern. Daraus lässt sich folgern, dass die Artikel aus Italien und Deutschland wohl als Vorabdrucke der Reisen eines Deutschen in Italien betrachtet werden können. Das findet seine Bestätigung auch in der Modernisierung der Reisen-Texte, die nicht einheitlich durchgeführt wurde (stellenweise ist die originale Schreibung, höchstwahrscheinlich aus Versehen, gehalten). Daraus kann man schließen, dass die Zeitschriftartikel den Tagebuchbriefen vorausgehen. In inhaltlicher Hinsicht spielt das Medium eine entscheidende Rolle. Außer der notwendigen Anpassung der Texte an die jeweilige literarische Form, unterscheidet sich die Buch- von der Zeitschrift-Fassung durch die Einschränkung der Reflexionen über die Wahrnehmung Italiens. Obwohl das Journal für sein fragmentarisches Wesen nur einige Skizzen Italiens liefern kann, ist hier das Bild des gelobten Landes viel realistischer. Durch seine Kritik, die auf viele Aspekte der italienischen Kultur gerichtet ist, relativiert Moritz das Traumbild von Italien als Paradies, das in der größeren Reisebeschreibung einen ungebrochen positiven Charakter bekommt . Der Endzweck der vorliegenden Studie besteht darin, die Zeitschrift Italien und Deutschland der Vergessenheit zu entreißen und die Vielfalt ihrer Bezüge herauszuarbeiten. Kurz gesagt möchte ich zeigen, dass dieses unbekannte Organ der Spätaufklärung eine noch zu entdeckende Welt darstellt
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Mancini, Jacopo. "L'homme qui rit: metamorfosi di una storia." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amslaurea.unibo.it/14034/.

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Abstract:
La presente tesi di laurea ha come oggetto lo studio dell’universo narrativo che si è sviluppato a partire dal romanzo “L’homme qui rit” di Victor Hugo (1869). L’analisi comprende le produzioni televisive, le rappresentazioni teatrali, le opere dei disegnatori, ma è particolarmente focalizzata sugli adattamenti cinematografici: l’attenzione si concentra su “The Man Who Laughs” di Paul Leni (Usa, 1928), un lungometraggio dell’epoca muta in bianco e nero, che costituisce la tappa più importante di tutto il percorso.
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Papini, Sara. "Videoarte: una storia raccontata attraverso le donne." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2022. http://amslaurea.unibo.it/25296/.

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Abstract:
L’obiettivo del mio elaborato è quello di indagare l’emisfero della videoarte e della video performance all’interno del panorama italiano. In particolare, ho voluto concentrarmi solo sulle artiste donne e di come siano state in grado, più degli uomini, di utilizzare questo mezzo al meglio. Queste artiste hanno saputo sfruttare tutte le potenzialità tecnologiche e narrative del mezzo video al fine di raccontarsi e rappresentarsi al mondo. Da sempre, infatti, la donna è stata relegata a posizioni di inferiorità rispetto all’uomo, soprattutto nel mondo occidentale. La donna, associata a stereotipi sessisti e di genere, ha dovuto faticosamente affermarsi come essere sociale sin dall’800. Ad oggi, nonostante il grande lavoro svolto dai gruppi femministi, persistono ancora molte problematiche. Dal suo esordio ad oggi, il video è stato per le donne pratica per mettersi in moto, per denunciare e autodeterminarsi. Inizialmente con un approccio più documentaristico per poi diventare sempre più video artistico. In questo elaborato ho avuto modo di analizzare i lavori di alcune delle video artiste più affermate oggi in Italia. Tra queste Francesca Leoni, Elisabetta di Sopra e Francesca Lolli.
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Chiappa, Martino <1987&gt. "Storia dell'asilo in Italia. Una svolta ventennale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/6746.

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Abstract:
Abstract L’oggetto che questa tesi si propone di indagare è la storia dell’asilo in Italia. Negli ultimi decenni l’Italia ha subito una profonda trasformazione sociale: da paese tradizionalmente di emigrazione la società italiana è divenuta meta di immigrazione sia economica che di richiedenti asilo e rifugiati che, a partire dagli anni novanta, si sono riversati sulle sue coste alla ricerca di protezione. Inoltre la stessa società italiana si rapporta in maniera controversa all’accoglienza e all’integrazione della questione immigratoria tout court e dei rifugiati. Nella prima parte si intende quindi ripercorrere la storia dell'asilo, dalle sue origini a oggi. Dopo un veloce excursus dall'antichità all'età moderna si intende approfondire l'evoluzione giuridica avvenuta nel secolo scorso a livello internazionale, europeo e nazionale – Italia – facendo attenzione a non trascurare la prospettiva storica che questa tesi si propone. Inoltre, in questo capitolo introduttivo si cercherà di fare chiarezza sulla figura del rifugiato rispetto alle altre tipologie di migranti. Nella seconda parte invece ci si concentrerà sulle principali ondate di profughi, rifugiati e di richiedenti asilo che hanno interessato l'Italia dall'inizio degli anni novanta ad oggi. Nell’affrontare questi eventi, si vuole tenere conto delle cause e degli eventi storico-politici sottesi a tali ondate, enfatizzando la prospettiva italiana le relazioni instaurate con i paesi di origine, così come le reazioni dei governi e della società a fronte di tali eventi. Infine, nella terza e ultima parte la tesi si focalizzerà sulle relazioni tra l'Italia e la Libia in materia di immigrazioni illegale sviluppate nell’ultimo decennio. Nel 2008 durante il governo Berlusconi l’Italia ha ratificato un accordo con la Libia con lo scopo di pattugliare le coste e contrastare i flussi migratori provenienti dal Nord Africa via mare. In quest’ultimo capitolo si vuole evidenziare le criticità di questo patto e le controversie con l’Unione Europea. Concludendo si evidenzieranno le ulteriori criticità presenti nel sistema di accoglienza italiano e la necessità di una politica organica e non emergenziale, basata sul diritto e non sulla violazione di questo. Una politica che educhi la società italiana all’apertura e alla relazione invece che strumentalizzare la paura.
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GIANNOTTA, Germana. "Primi argomenti per una teoria complessa della storia." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2011. http://hdl.handle.net/10446/922.

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Pontillo, Corinne. "«Il Politecnico»: progetto e storia di una narrazione visiva." Doctoral thesis, Università di Catania, 2019. http://hdl.handle.net/10761/4162.

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Abstract:
La tesi percorre i fascicoli della rivista «Il Politecnico», diretta da Elio Vittorini dal 1945 al 1947, adottando come lente di ingrandimento gli aspetti che manifestano una significativa apertura all immagine; si scopre così che l articolato contesto fotogiornalistico italiano e americano che fa da sfondo ai fogli del periodico, l ampio apparato illustrativo (e fotografico in particolare), l originale apporto del grafico Albe Steiner possono essere assunti come i poli di riferimento per la lettura di un attivismo vittoriniano che, pur nella apparente distanza dalla produzione narrativa dell autore, mostra non pochi punti di contatto con i tratti distintivi della sua poetica e con le sue più moderne e feconde intuizioni.
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Rizzi, Beatrice <1981&gt. "I Fradèi di Loreo. Storia di una confraternita bassopolesana." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3500.

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Abstract:
La tesi presenta uno studio storico etnografico sulla confraternita della Santissima Trinità di Loreo, piccolo comune nella provincia di Rovigo, a ridosso dell’area deltizia del Po. Viene prima di tutto introdotta la realtà storica del Bassopolesine, terra di confine, caratterizzata da continue dominazioni ed un conflittuale rapporto con il territorio. Vengono quindi presentate le diverse confraternite e i vari aspetti devozionali della comunità di Loreo, per concentrarsi poi sulla confraternita della Santissima Trinità, qui presente fin dal 1608. Vengono in seguito presentati i confratelli, chiamati "fradèi" in dialetto locale, descritto il ruolo che essi hanno all'interno della confraternita e nella comunità di Loreo. Una particolare sezione è dedicata alle donne, al ruolo che esse assumono all'interno della confraternita. Viene descritto il rito ed il saio dei confratelli, confezionato e indossato secondo una particolare ritualità. La tesi si conclude sottolineando l'aspetto sociale della confraternita ed il ruolo che i "fradèi" assumono ancora oggi nella comunità di Loreo e non solo.
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Martinelli, Nisida-Isabella <1990&gt. "STORIA DI UNA MOSTRA: RAFFAELLO-PERUGINO mimesi o alunnato." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2017. http://hdl.handle.net/10579/9676.

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Abstract:
Una mostra si può definire un processo comunicativo che lega il concetto del mostrare con quello del far conoscere. Tale intento si raggiunge attraverso la valorizzazione degli oggetti esposti che consiste nel creare, nel progetto di allestimento, un equilibrio tra quanto esposto e le soluzioni scenografiche ideate. L’obiettivo della tesi è la realizzazione di una mostra che abbia come tema una nuova concezione del rapporto di alunnato tra Raffaello e Perugino. L’elaborato si compone di due parti, una dedicata al contenuto della mostra, che si articola a sua volta in due sezioni: la prima illustra come si è giunti alla revisione della visione vasariana della relazione tra i due artisti, la seconda avvalora, tramite l’analisi ed il confronto di alcune opere giovanili del Sanzio con opere di altri artisti, la tesi della prima sezione. La seconda parte dello scritto tratta, dal generale al particolare, i processi creativi di una mostra. In dettaglio le fasi esaminate sono: idea, approvazione e sviluppo, preparazione del budget, scelta della sede espositiva e del periodo, scelta dei materiali e progetto, prestito delle opere, gare di appalto, controllo delle condizioni ambientali, comunicazione e le sue componenti, allestimento, inaugurazione, manutenzione, eventi collaterali, disallestimento e riconsegna delle opere.
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MUSCOLINO, MARCO. "LA "RIVISTA DEL CINEMATOGRAFO": UNA STORIA CULTURALE, 1928-2008." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/630.

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Abstract:
La «Rivista del Cinematografo» è un periodico longevo, il più longevo della storia del cinema italiano. Pubblicato a partire dal 1928, festeggia nel 2008 l’ottantesimo l’anniversario di vita. A dispetto di questa durevole presenza nel panorama editoriale italiano, la «Rivista del Cinematografo» rappresenta però una storia che è rimasta, e lo rimane ancora oggi, esclusa dai discorsi sociali. Il pre-giudizio storico da cui prende le mosse la presente ricerca individua invece – differentemente dalla vulgata “ufficiale” – la «Rivista del Cinematografo» non come “una storia a sé”, ma al contrario come una storia culturale in grado di illuminare in maniera significativa i processi storici del cinema italiano, con particolare – ma nient’affatto esclusivo – riferimento alle sue interrelazioni con la cultura cattolica. Si potrebbe dire, con una formula sintetica, che quella della «Rivista del Cinematografo» è una microstoria di lunga durata. Quest’ultima definizione può apparire contraddittoria perché accosta due categorie legate a due differenti tradizioni storiografiche: da una parte la microstoria, legata a una tradizione fattografica; dall’altra la lunga durata, legata a una tradizione teorico-esplicativa. Ma è proprio nell’ambito di una nuova concezione della storia – la cosiddetta storia culturale – che questa ricerca intende muoversi, nel tentativo di fare tesoro di un dibattito disciplinare che ha conosciuto un enorme sviluppo in questi ultimi anni, e che verrà discusso nella sezione introduttiva, analizzando le ricadute che esso ha sulla pratica storiografica in ambito cinematografico.
The «Rivista del Cinematografo» is the most ancient magazine in the Italian history of cinema. Published before 1928, in 2008 it celebrated its 80th anniversary. In spite of this long-lived presence in Italian publishing, the «Rivista del Cinematografo» represents a history left out in social discourses. This research considers instead the «Rivista del Cinematografo» as a cultural history that can illuminate the historical processes of the Italian cinema with particular – but not exclusive – reference to their relationships with the catholic culture. It could be said that the history of the «Rivista del Cinematografo» is a long duration microhistory. This definition can appear conflicting because it puts two categories that come from two different historical traditions near to each other: the microhistory and the long duration. But this research intends to explore a new historical perspective – the ‘so called’ cultural history – with the aim of learning from a debate which has developed enormously in recent years and analysing the consequences that this debate also has on the historical practice in the field of cinema.
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MUSCOLINO, MARCO. "LA "RIVISTA DEL CINEMATOGRAFO": UNA STORIA CULTURALE, 1928-2008." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/630.

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Abstract:
La «Rivista del Cinematografo» è un periodico longevo, il più longevo della storia del cinema italiano. Pubblicato a partire dal 1928, festeggia nel 2008 l’ottantesimo l’anniversario di vita. A dispetto di questa durevole presenza nel panorama editoriale italiano, la «Rivista del Cinematografo» rappresenta però una storia che è rimasta, e lo rimane ancora oggi, esclusa dai discorsi sociali. Il pre-giudizio storico da cui prende le mosse la presente ricerca individua invece – differentemente dalla vulgata “ufficiale” – la «Rivista del Cinematografo» non come “una storia a sé”, ma al contrario come una storia culturale in grado di illuminare in maniera significativa i processi storici del cinema italiano, con particolare – ma nient’affatto esclusivo – riferimento alle sue interrelazioni con la cultura cattolica. Si potrebbe dire, con una formula sintetica, che quella della «Rivista del Cinematografo» è una microstoria di lunga durata. Quest’ultima definizione può apparire contraddittoria perché accosta due categorie legate a due differenti tradizioni storiografiche: da una parte la microstoria, legata a una tradizione fattografica; dall’altra la lunga durata, legata a una tradizione teorico-esplicativa. Ma è proprio nell’ambito di una nuova concezione della storia – la cosiddetta storia culturale – che questa ricerca intende muoversi, nel tentativo di fare tesoro di un dibattito disciplinare che ha conosciuto un enorme sviluppo in questi ultimi anni, e che verrà discusso nella sezione introduttiva, analizzando le ricadute che esso ha sulla pratica storiografica in ambito cinematografico.
The «Rivista del Cinematografo» is the most ancient magazine in the Italian history of cinema. Published before 1928, in 2008 it celebrated its 80th anniversary. In spite of this long-lived presence in Italian publishing, the «Rivista del Cinematografo» represents a history left out in social discourses. This research considers instead the «Rivista del Cinematografo» as a cultural history that can illuminate the historical processes of the Italian cinema with particular – but not exclusive – reference to their relationships with the catholic culture. It could be said that the history of the «Rivista del Cinematografo» is a long duration microhistory. This definition can appear conflicting because it puts two categories that come from two different historical traditions near to each other: the microhistory and the long duration. But this research intends to explore a new historical perspective – the ‘so called’ cultural history – with the aim of learning from a debate which has developed enormously in recent years and analysing the consequences that this debate also has on the historical practice in the field of cinema.
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Ceccarelli, Eleonora. "Matematica da un'altra prospettiva. Storia di una scienza figlia dell'arte." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amslaurea.unibo.it/18802/.

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Abstract:
In questa tesi viene affrontato il legame tra arte e matematica nel caso specifico della prospettiva, da un punto di vista storico e didattico. L’obiettivo principale è quello di far scoprire la dimensione umanistica della matematica, proponendo una chiave di lettura non usuale della disciplina. A partire dall’Ottica di Euclide, vengono ripercorse le tappe principali che hanno portato nel Rinascimento alla nascita della teoria della prospettiva, attraverso un costante dialogo tra opere d’arte e matematica. Interessante è l’analisi di alcuni teoremi prospettici tratti dai libri di Leon Battista Alberti e Piero della Francesca. Parlando degli sviluppi che questa teoria ha avuto nei secoli successivi, viene introdotta la geometria proiettiva, sottolineando come la sua genesi sia profondamente intrecciata alle regole della rappresentazione prospettica. Nell’ultimo capitolo, vengono presentati alcuni laboratori e percorsi didattici attinenti al tema.
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Conserotti, Roberto <1964&gt. "Storia di una identità cercata. Riflessioni su Agustín Barrios Mangoré." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3173.

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Abstract:
A partire dagli anni settanta del secolo scorso, il mondo musicale legato alla chitarra classica riscopre un musicista, concertista e compositore di talento, che pur avendo riscosso ampi consensi in patria e nelle terre dell’America Latina, rimane inevitabilmente offuscato dall’eccezionale parabola artistica dell’uomo che rappresentò, e che per certi aspetti rappresenta tutt’ora, l’icona di quel mondo: Andrés Segovia. Il chitarrista paraguayano Agustín Pio Barrios (1885 – 1944), che in un certo periodo della propria vita assunse il nome di Nitsuga Mangoré, segno tangibile di una appassionato percorso di ricerca verso la definizione di una propria identità culturale e artistica, non ebbe in vita la fortuna di raccogliere appieno i frutti della sua intensa attività concertistica e della sensibile vena compositiva, vivendo anzi negli ultimi anni della propria esistenza quasi esclusivamente della sola attività di insegnante. Se Andrés Segovia spese la propria vita cercando di raggiungere un obiettivo ben preciso, quello di restituire dignità alla chitarra, strumento dalle forti connotazioni popolari, attraverso la costituzione di un repertorio colto, conforme al pensiero e al gusto musicali dei primi decenni del novecento, servendosi dell’appoggio di alcuni tra i compositori più rappresentativi dell’epoca come Manuel de Falla, Manuel Ponce, Federico Moreno Torroba, Joaquín Turina, Joaquín Rodrigo, Barrios volle invece conservare, e anzi far emergere, le radici arcaiche dello strumento, legate ad un mondo magico e spirituale, anche nelle opere realizzate in perfetta aderenza ai canoni della musica colta occidentale, se non addirittura nei lavori di trascrizione di musica composta per altri strumenti.. Le riflessioni qui proposte, nella consapevolezza del livello di considerazione raggiunto da Barrios in questi ultimi quarant’anni, che hanno registrato una discreta produzione di libri, saggi, articoli a lui dedicati, si sviluppano su una direttrice che evita l’analisi delle composizioni più rappresentative del maestro paraguayano, anch’esse oggetto di particolare attenzione e ormai presenti nei repertori di tutti i maggiori concertisti. Sono invece prese a riferimento, avendo come obiettivo l’analisi degli aspetti tecnico–esecutivi e l’utilizzo delle possibilità espressive della chitarra, le opere esplicitamente a carattere didattico, definite Studio, Esercizio, ecc., nella supposizione che risultino maggiormente rivelatrici del Barrios strumentista. Tale premessa rimane alla base anche nell’analisi del lavoro di trascrizione. In particolare viene analizzata approfonditamente la Gavotte en Rondeau di J. S. Bach, tratta dalla Partita per violino solo BWV 1006, opera trascritta anche da Segovia e che per tale motivo si presta ad un’imperdibile opportunità di confronto tra i due maestri.
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Baggio, Margherita <1985&gt. "Bruno Munari. Per una storia intellettuale di un pluralista antidogmatico." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4225.

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Abstract:
La tesi approfondisce gli aspetti teorici dell'attività di Bruno Munari. Partendo dalle esperienze di vita dell'artista, si delinea una biografia intellettuale, che mette in evidenza i numerosi riferimenti a cui Munari attinge per l'attività teorica e artistica: si mettono in luce i punti di contatto e dissonanza con le maggiori Avanguardie del Novecento, in particolare il Futurismo, l'Astrattismo e il Dadaismo, i riferimenti alla cultura estremorientale, soprattutto quella giapponese di derivazione zen e l'adesione alle teorie più innovative della pedagogia attiva, con particolare attenzione a Jean Piaget, ma anche a John Dewey, Lev Semënovič Vygotskij e Rudolf Arnheim. Infine, si rivelano le innovazioni teoriche che rivoluzionano il mondo artistico, proposte dal designer nei suoi numerosi scritti, ovvero il nuovo ruolo dell’artista nella società contemporanea, la fruizione democratizzata dell'arte e la riqualificazione dell’oggetto artistico, che con Munari viene demitizzato e riportato al quotidiano.
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Fregona, Simone <1992&gt. "Affreschi di Santo Stefano di Venezia. Storia di una attribuzione." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/18545.

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Abstract:
L'elaborato esamina la storia degli affreschi del convento di santo Stefano di Venezia, ora conservati presso la galleria giorgio franchetti alla ca' d'oro. L'elaborato si concentrerà sull'attribuzione di quella parte di ciclo, attualmente attribuita a Domenico Campagnola
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Parrino, Alessia. "Sono solo animali? Storia e attualità di una relazione difficile." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424213.

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Abstract:
Working on my graduate thesis I started to study the important link between animal cruelty and interpersonal violence with the real hope to develop in my country, Italy, a new kind of education which will be able to develop in children the awareness of the importance to protect every form of life, both human and non human. Animals as victims are in the same position of women and children because they are in the group called “weak subjects”. Soon I realized that talking about an education approach to teach compassion toward animals in a country as Italy which also today it maintain a rural thought, will be hard. Many clues gave me an intuition: there is a social idea that only women and children can show sensibility toward animals and that the permanence of storical idea of virility in men prevents them to show empathy toward other living creatures. A violent person is violent against every subject weaker than him, because violence is not strenght, violence is an habitus and as habitus we have as educators the resources to change it and to improve the social appeal of some values: protection vs prevarication, care vs damage, real man vs violent man. My research confirmed my intuition about the need of construction of a social shared idea of a real and strong man as a man who is compassionate toward the weaker and who feel the moral imperative to protect the weaker, but also a man who is ready to fight for the good of a weaker life as animal life is. At this point it was useful to study the non violent philosophy and movement so I studied many non-violent authors and I find in their thoughts the idea of non-violence extended also to “non human animals”. From the interviews and bibliografical research I find the need (that society are showing) to built a new model of strong and desiderable person. Perpetrators of violence, in the major number of cases think that they are strong in abusing the weaker.
 We need a new model of human being, and to develop it, we need education of new generation of boys and girls.
To realize this ideal human being it must starting from the childhood to teach respect, compassion and protection toward animals, this is the only way to develop the concept of “respect every kind of lives”. This concept is the base of the building of future peaceful society.
Durante la scrittura della mia tesi di laurea ho iniziato a studiare il legame che intercorre tra la crudeltà verso gli animali e la violenza verso gli umani. La mia ricerca era ed è mossa dalla speranza di sviluppare un nuovo tipo di educazione basato sulla consapevolezza dell'importanza di educare i bambini di oggi a proteggere ogni forma di vita, sia umana che non. Questo contribuirà a farli diventare adulti rispettosi delle diverse forme di vita con le quali condividiamo il Terra. Gli animali infatti sono vittime, e vengono a trovarsi abitualmente nella stessa posizione delle donne e/o dei bambini, in quanto membri a pieno titolo del gruppo che si denomina usualmente "soggetti deboli". Ben presto mi sono resa conto che parlare di formazione indirizzata allo sviluppo della compassione verso gli animali in un paese come l'Italia, che anche ad oggi sembra mantenere un pensiero rurale radicato, sarebbe stato complesso. Nonostante questa intuizione, la conoscenza dell’argomento scaturita da studi pluriennali mi porta oggi a poter evidenziare che chi è violento verso un soggetto più debole di lui non esprime forza, e se continua a suscitare questo immaginario collettivo allora è arrivato il momento di iniziare a lavorare per migliorare l'appeal sociale di alcuni valori: la protezione contro la prevaricazione, la cura vs danno, ecc. La violenza ripetuta non rappresenta una inspiegabile coincidenza, la violenza è un habitus e in quanto habitus può venire depotenziata solamente attraverso l’educazione. Noi abbiamo come educatori le risorse per cambiare e volgere lo sguardo non violento su ogni forma di vita, dando per primi l’esempio quotidiano alle nuove generazioni. La mia ricerca ha confermato la mia intuizione circa la necessità di costruire un modello sociale condiviso nel quale la forza sia esprimere compassione verso i più deboli. Dobbiamo instillare l'imperativo morale di proteggere i più deboli, al di là della specie, solo considerando chi è detentore di vita. Una generazione pronta a combattere per il bene, astenendosi dalla violenza sul debole ma che punta a quella forza che protegge e non a quella che distrugge. A questo punto è stato utile per studiare la filosofia non violenta e il movimento ad essa connesso. Mi sono così immersa nello studio di diversi autori non violenti trovando nei loro pensieri l'idea della non-violenza estesa anche ai cosiddetti "animali non umani". Dalle interviste e dalle ricerche bibliografiche è emersa la necessità (da parte della società) di costruire un nuovo modello di persona che sia un modello attrattivo, desiderabile soprattutto per i più giovani. Abbiamo bisogno di un nuovo modello di essere umano, ma per realizzare questo ideale si erge la necessità di instillare nell’individuo dall'infanzia il rispetto, la compassione e la protezione verso gli animali, verso tutte le forme di vita più deboli. L’ideale del “rispettare ogni tipo di vita" è alla base della costruzione della futura società pacifica.
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Ferretti, Andrea. "Public History e reenactment: prospettive per una nuova storia applicata." Thesis, A. Ferretti, "Public History e reenactment: prospettive per una nuova storia applicata", Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Studi linguistici e culturali, 2015 [tesi di laurea], 2015. http://elea.unisa.it:8080/xmlui/handle/10556/5367.

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Abstract:
2014-2015
Nel presente lavoro si è cercato di analizzare il ruolo che Public History e reenactment possono ricoprire nella produzione e nella divulgazione di narrative storiche. Nell’epoca della globalizzazione è compito degli storici riuscire ad adattare il proprio lavoro ai cambiamenti in corso nella società e incrementare la rilevanza pubblica della loro materia. Ciò può avvenire attraverso la produzione di narrative storiche che riescano a dimostrare appeal nella comunicazione di massa, senza incorrere nella banalizzazione dei propri contenuti. Nel perseguire tale obiettivo, la Public History è uno degli strumenti più efficaci a disposizione dello storico per la sua capacità di rendere la storia più accessibile al grande pubblico. Tra le attività pratiche della Public History, una di quelle che offre maggiori prospettive per nuove forme di storia applicata è il reenactment. Il suo approccio esperienziale costituisce una forma di indagine della storia che ha molteplici ricadute nei confronti di numerosi soggetti del mondo pubblico e privato. Esso ha la capacità trasversale di avere rilevanza sia per il pubblico che coinvolge, che per coloro che lo praticano. I suoi progetti di rappresentazione possono essere occasioni di formazione culturale, socializzazione, promozione e valorizzazione di un territorio e del suo patrimonio. All’interno degli strumenti della Public History, il reenactment è quello che richiede un maggior impegno nel compito di mediazione tra educazione e intrattenimento. Tuttavia, le sue potenzialità come forma di edutainment sono tra le più rilevanti: le forme di produzione storica e il coinvolgimento del pubblico che tale fenomeno riesce ad attivare, se padroneggiati e diretti da un mediatore per eccellenza quale è il public historian, accrescono il ruolo che la conoscenza del passato ricopre nella società e nella vita degli individui, contribuendo allo sviluppo di nuove prospettive per l’applicazione della storia.
The topic of the thesis is the analysis of the reenactment, one of the forms of applied history of the Public History, discipline born in the late seventies in the US, which has the objective of bringing history outside of the universities, communicating it to a nonN academic audience. In this sense, the reenactment ("rievocazione storica" in italian) is among the most effective tools to reach a wide and diverse audience, which generally would not have had the opportunity to approach such historical issues. The aim of this paper is to analyze the methods and purposes by which it is realized the historical reenactment by considering qualitative and quantitative surveys elaborate on this phenomenon by foreign authors. First, it will provide a theoretical framework to the reenactment phenomenon within the Public History, exposing the most recent work on this discipline. Secondly, it will be proposed a definition of the reenactment and its various practical applications such as, for example, the experimental and reconstructive archeology, living history, storytelling and more. The analysis will continue on the "places" of the historical reenactment, or where it is made, and who are those who practice this activity, citing data provided by anthropological research done on the reenactment. We will later define a series of case studies, bringing the experience of the writer in the organization of the historical reenactment "Mutina Boica". In conclusion, the existing connections between the world of the universities and the reenactment will be defined, going to envisage some future scenarios of development of the reenactment and new forms of applied history.
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Peatini, Emilia <1951&gt. "Olga Blumenthal (1873-1945) Storie di una famiglia e di una vita." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16340.

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Abstract:
Il lavoro di ricerca intende ricostruire la vita di Olga Blumenthal, professoressa di origine ebraica che insegnò lingua e letteratura tedesca a Ca’ Foscari, dal 1919 al 1937. Una pietra d'inciampo di fronte al portale dell'Università la ricorda come vittima della Shoah: Olga Blumenthal morì a Ravensbrük, in un giorno imprecisato, all’inizio del 1945. La documentazione che è stato possibile reperire ha permesso di ricostruire, anche se non integralmente, alcuni aspetti e periodi della sua vita, dalla storia della sua famiglia d’origine quando nel 1820 i nonni paterni arrivarono a Venezia dalla Baviera, seguendo poi i Blumenthal nel loro processo di emancipazione e di integrazione a pieno titolo nell’élite della città già nel corso della generazione successiva, sullo sfondo degli eventi della grande storia, dall’entrata di Venezia nella sfera d’influenza asburgica, alle temperie risorgimentali, all’ingresso del Lombardo -Veneto nel Regno d’Italia. In questo privilegiato contesto familiare, la figura di Olga acquista spessore non solo come insegnante e intellettuale ma anche come donna segnata dalla condizione femminile del suo tempo e del suo censo, dalla religione ebraica che ripudiò nella maturità e come moglie dell’eclettico professor Gilberto Secrétant, fino a quando gli effetti del fascismo e della dominazione tedesca la strapparono dalla sua casa e dalla sua città, portandola a morire già forse durante il viaggio verso il lager.
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Piovesan, Stefano <1988&gt. "La SanRemo di Caerano San Marco: storia d'impresa e storia sindacale in una grande fabbrica di confezioni del Trevigiano." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2681.

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Abstract:
La tesi affronta la storia della SanRemo di Caerano di San Marco (Treviso), un’azienda di confezioni tessili che nel 1970 giunse ad occupare oltre cinquemila lavoratori, collocandosi al secondo posto in provincia per numero di dipendenti dopo la Zoppas di Conegliano. Nella prima parte viene ricostruita la storia della fabbrica dagli anni cinquanta ad oggi, con particolare attenzione alle condizioni di lavoro di una manodopera in prevalenza femminile e ai passaggi di proprietà (dalla famiglia Comunello, alla multinazionale americana Genesco; dal salvataggio per opera della finanziaria pubblica Gepi, alla cessione al Gruppo Inghirami). La seconda parte tratta la sindacalizzazione e l’attività contrattuale: le prime forme di rappresentanza, il ruolo delle Acli, il riconoscimento del consiglio di fabbrica, le principali vertenze, fino ad arrivare agli accordi siglati nel tentativo di tutelare l’occupazione di fronte a ristrutturazioni e delocalizzazioni. Le vicende sono ricostruite attraverso il ricorso a fonti d’archivio e interviste a ex dipendenti e delegati sindacali.
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Fatuzzo, Simone. "Per una storia delle committenze dei Pallavicino di Cortemaggiore (1479-1585)." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3425711.

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Abstract:
This work aims to study the architectural and artistic patronage of the small Signoria of the Pallavicino of Cortemaggiore, a city founded by a collateral branch of the lombard family in 1479. The case study was known but little studied in critical way. The first part of the research was dedicated to the reconstruction of the familiar history, made possible by the documents found in the archives. The testament of the Marquis Rolando II Pallavicino (died in 1509) provided useful information to understand the social, political and cultural background of the family. Thanks to the documents, was possible to reconstruct the original urban layout and the residences of the Pallavicino, the fortress and the marquis palace built by the architect and master builder from Cremona Bernardino de Lera. It has also proposed a reconstruction of the palace’s interiors. The last part of the research is dedicated to the study of the Pallavicino funerary chapel in the Santissima Annunziata church of Cortemaggiore, annexed to the convent of the Friars Minor Observant, which the Pallavicino started in 1486. In the chapel were placed two marble monuments maybe made by the lombard sculptor Giovan Pietro da Rho (1464 c.-1513c.) and his workshop, active in Cremona between the late fifteenth and early sixteenth century. The last investigated topic was the painted decoration of the chapel by the Friulian artist Giovanni Antonio da Pordenone (1483-1539), with a new interpretation about this patronage and the artistic evolution of the painter during the third decade of the XVI century.
La ricerca si propone di studiare le committenze architettoniche ed artistiche di una piccola signoria padana del Rinascimento, quella di Cortemaggiore, città fondata da un ramo collaterale della famiglia Pallavicino nel 1479. Il caso di studio era noto ma, per molti aspetti, poco indagato in sede critica. La prima parte del lavoro è stato dedicato alla ricostruzione delle vicende familiari dei Pallavicino attraverso lo spoglio dei documenti reperiti in archivio. Di particolare interesse si è rivelato il testamento del marchese Rolando II Pallavicino (morto nel 1509), che ha fornito molte informazioni utili per comprendere l’ambiente sociale, politico e culturale entro cui si inseriva la famiglia. Grazie ai documenti è stato possibile ricostruire l’impianto urbano originario e le residenze dei Pallavicino, la rocca e il palazzo marchionale, che nel corso dei secoli hanno subito importanti manomissioni. Di quest’ultimo, edificato dall’architetto e capomastro cremonese Bernardino de Lera, si è inoltre proposta una ricostruzione anche dell’assetto interno. L’ultima parte della ricerca è dedicata allo studio della cappella funeraria che i Pallavicino fecero allestire nella chiesa della Santissima Annunziata di Cortemaggiore, annessa al convento dei frati minori Osservanti, da loro fatto edificare a partire dal 1486. Nella cappella furono sistemati due monumenti funebri marmorei di cui si propone una attribuzione allo scultore milanese Giovan Pietro da Rho (1464 c.-1513c.) e alla sua bottega, attiva a Cremona tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. L’ultima iniziativa artistica indagata è stata la decorazione pittorica della cappella condotta dal pittore friulano Giovanni Antonio da Pordenone (1483-1539), con una rilettura nuova dal punto di vista della committenza e dell’evoluzione artistica del pittore nel corso del terzo decennio del XVI secolo.
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Prodam, Anna <1994&gt. "REDD+, una soluzione ai cambiamenti climatici? Una prospettiva latino-americana." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17977.

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Abstract:
L’accordo internazionale REDD+ (Riduzione delle Emissioni per Deforestazione e Degradazione delle foreste) presente nelle negoziazioni climatiche delle Nazioni Unite dal 2008 è tema di discussione nel panorama internazionale. L’intento di questa tesi è prendere in considerazione i progetti REDD+ che sono stati implementati in America Latina e in modo particolare quelli che hanno operato nel territorio costaricense ed ecuadoriano. Verranno analizzate le critiche che sono state avanzate a questi progetti nel passare del tempo per comprendere quali fra queste sono state inglobate dalle organizzazioni internazionali e hanno portato ad una modifica dei progetti e quali invece sono rimaste inascoltate. Infine, si tratterà il rapporto fra REDD+ e la politica ambientale di genere. Qui l’obbiettivo è quello di analizzare le proteste portate avanti dalle donne contro i progetti di REDD+, in che modo e misura questi programmi hanno tenuto contro di una prospettiva di genere e come di conseguenza hanno diminuito o approfondito le disuguaglianze fra gli uomini e le donne.
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Brilli, Elisa. "Una Vicina città : storia del paradigma della "ciuitas diaboli" nell'occidente medievale." Paris, EHESS, 2009. http://www.theses.fr/2009EHES0101.

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Abstract:
Cette thèse consiste dans une étude de longue durée sur la codification, diffusion, réélaboration et représentation iconographique du paradigme de la ciuitas diaboli (cité du diable), dans la tradition culturelle de l'occident médiéval, selon l'approche méthodologique définie dans le Prologue. L'ensemble de l'étude est articulé en quatre parties. La 1ère partie se penche sur l'inventio des deux cités par Augustin d'Hippone, du De vera religione au De civitate Dei, en offrant une étude détaillée des enjeux politiques et théologiques de cette notion et du lexique augustinien à cet égard. La IIe partie examine la diffusion de ce paradigme dans la culture médiévale, à travers l'analyse des textes exégétiques y ayant recours entre le 6e et le 12e s. Cette même partie pointe plusieurs distorsions et innovations propres à la vie médiévale de la ciuitas diaboli (y compris l'invention médiévale de la ciuitas infernalis). Dans la Ille partie, il est question des usages actualisant la ciuitas diaboli en vue de la représentation de l'histoire contemporaine. Cela à travers plusieurs études de cas entre le Ile et le 14e s. Et notamment du Carmen in victoriam Pisanorum, du Speculum Ecclesiae, du De incendio oppidi Tuitii de Rupert de Deutz, d'une fectio de Joachim de Flore sur les sens de Jérusalem et Babylone, des œuvres de Dante Alighieri, enfin des traductions à la fin du 14e s. Du De ciuitate Dei (en français par Raoul de Presles et en florentin). La IVe partie consiste dans la première étude de toutes les représentations des deux cités dans les manuscrits enluminés du De ciuitate Dei et de ses traductions romaines. Le catalogue des manuscrits en annexe complète le travail
My PhD dissertation consists in a longue durée study of the codification, diffusion, reinvention and iconographical representation of the "civitas diaboli's paradigm", as I defined it in the Prologue, in western medieval culture. The dissertation is articulated in four parties. The first one concerns IWO cities' inventio by Augustine of Hippo, sin ce De vera religione to De civitate Dei. It offers a detailed investigation of political and theological significations of this notion and of Augustinian vocabulary on il. The second part examines civitas diaboli's widespread diffusion in medieval culture, by analyzing exegetical works recurring to it between 6th and 12th century. Many different distortions and innovations of medieval civitas diaboli are pointed out (as for instance medieval invention of a civitas infernalis). The third part focuses on sorne actualizing civitas diaboli's applications to the contemporary history between nth and 14th century. More particularly, the Carmen in victoriam Pisallorum, the Speculum Ecclesiae, the De incendia oppidi Tuitii by Rupert of Deutz, a lectio by Joachim of Flore on Jerusalem and Babylon, Dante's works and, finally, De ciuitate Dei's translations in French, by Raoul of Presles, and in Florentine at the end of the 14th century are taken into account. The fourth part offers the first study of ail the two cities' representations in the illuminated manuscript tradition of the De ciuitate Dei as weil as of its translations in vernacular. A catalogue of manuscripts in annex completes this study
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Ricci, Cristina. "Mysterium dispensationis : tracce di una teologia della storia in Gregorio Magno /." Roma : Pontificio ateneo S. Anselmo, 2002. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb41119004j.

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MUSAZZO, ANDREA. "Per una storia linguistica di Vercelli dalle origini al primo Seicento." Doctoral thesis, Università del Piemonte Orientale, 2016. http://hdl.handle.net/11579/115205.

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Perin, Matteo <1975&gt. "Mitologie e violenza nella storia contemporanea. Una lettura di Furio Jesi." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2478.

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Abstract:
Il lavoro prende ad oggetto la riflessione metodologica e le analisi elaborate da Furio Jesi (egittologo, studioso di religioni e critico letterario torinese) in relazione alla questione del mito, cercando di evidenziarne la rilevanza in sede storiografica. In particolare, l'attenzione è posta sul concetto di 'macchina mitologica', ipotesi teorica che Jesi concepisce contro ogni ipostatizzazione delle narrazioni mitologiche e come strumento in grado di decostruire le mitologie politiche elaborate nella modernità. La posizione di Jesi è resa esplicita dall'affermazione secondo cui “la mitologia è sempre mitologia del potere”. La proposta teorica dello studioso torinese è messa alla prova mostrandone la potenzialità analitica in rapporto all'antisemitismo ed in particolare all'accusa di omicidio rituale rivolta contro gli ebrei in modo rinnovato a partire dalla seconda meta dell'Ottocento; in relazione alla religione della morte e alla logica comunitaria sacrificale propria dei fascismi; infine in rapporto alle mitologie del quotidiano prodotte e consumate dalla società di massa. Lo spessore teorico della proposta di Furio Jesi sarà saggiata mettendola a confronto, su alcuni snodi teorici cruciali, con i percorsi storiografici di G.L. Mosse, M. Foucault, W. Benjamin, C. Ginzburg.
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Monaco, Paola <1961&gt. "L'Altopiano dei Sette Comuni: una lunga storia di emigrazione (1876-1972)." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2577.

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Contarin, Federico <1986&gt. "ILAN PAPPE E LA "NUOVA STORIA" DI ISRAELE - UNA QUESTIONE STORIOGRAFICA." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/7592.

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Abstract:
La tesi verte su una tematica storiografica afferente all'area della Storia contemporanea. Segnatamente tratta la problematica offerta dalla storia dello stato di Israele, nei suoi processi di formazione e sviluppo, alla luce del portato della narrazione storica che ne fanno i “nuovi storici” israeliani, in particolare sulla scorta dei ragionamenti di Ilan Pappe. La tesi delinea i tratti fondamentali di questa tendenza storiografica, in particolare analizzando, prevalentemente, il percorso di ricerca di Ilan Pappe, rapportandolo agli sviluppi degli studi di altri esponenti di questa corrente storiografica e di storici che non appartengono ad essa. Nell’impianto della tesi si cerca di esaminare anche il riscontro che la critica storica ha dato rispetto ai risultati della ricerca di questa corrente storiografica (in riviste specialistiche e giornali, prevalentemente). In ordine alla critica storiografica, che questo lavoro imposta, si inseriscono le questioni relative alla tematica del lavoro di ricerca storico come processo conoscitivo; viene quindi approfondito il problema della “narrazione” e del rapporto che con essa ha lo storico che la produce; si considera l’”egostoria” di Pappe e dei principali storici suoi interlocutori che con le sue tesi si confrontano; viene messa a tema la questione dell’uso pubblico della Storia e il rapporto della disciplina con la politica (le reciproche influenze e interdipendenze); si esaminano i problematici temi di “revisione” e “revisionismo” nella disciplina storica, applicando le riflessioni al caso dei “nuovi storici”.
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Allegro, Francesco <1991&gt. "Una storia del design delle materie plastiche: da Alessi a Plust." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/7969.

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Abstract:
Questa tesi affronta l’analisi di un settore significativo del design italiano, quale è quello dei materiali plastici, considerandolo attraverso un punto di vista storiografico e tramite l’approfondimento di casi di studio. Le materie plastiche sono infatti uno dei materiali più presenti in questo campo a partire dal secondo dopoguerra. I polimeri plastici, scoperti a fine ‘800, cominciarono ad essere impiegati in ambito industriale dal primo Novecento, ma le plastiche sono prese in considerazione dalle prime aziende italiane a partire dagli anni ’40. Kartell, Fratelli Guzzini e Danese sono stati tra i primi a capire l’importanza dei nuovi materiali, realizzando i primi oggetti in polimeri plastici che si distinguevano per l’accurata ricerca formale e funzionale. Un caso di studio preminente è naturalmente la ditta Alessi, che viene esaminata per quanto concerne le collaborazioni con i maggiori progettisti di design e in particolare per quanto concerne le vicende che hanno portato l’azienda ad utilizzare i materiali plastici nella produzione dei suoi oggetti. L’elaborato intende poi indagare la scena attuale del design, tramite l’analisi di alcune aziende che hanno raccolto l’eredità ideale di Alessi, producendo quindi oggetti di design in materiali plastici contraddistinti da un aspetto spesso ludico e ironico.
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Casalicchio, Enrica <1986&gt. "Food art – Food design: una storia recente di mostre ed happening." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/8079.

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Abstract:
La ricerca si concentra sulla mappatura e l’analisi della storia recente delle mostre dedicate alla food art e al food design, partendo dai prodromi negli anni Sessanta in cui gli artisti utilizzano il cibo in opere, mostre e ambienti, per arrivare agli anni più recenti, dopo il 2000, in cui si comincia a parlare più propriamente di food design. Food design nel senso di progettazione del cibo, degli oggetti per contenerlo, del suo utilizzo da parte di gruppi di designer che creano situazioni di aggregazione con lo spettatore.
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Catterin, Giuseppe <1992&gt. "San Giorgio in Saccisica: storia e sviluppo di una espansione fondiara." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2017. http://hdl.handle.net/10579/10001.

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Abstract:
Il cenobio veneziano di San Giorgio Maggiore a partire dal Dodicesimo secolo si rese protagonista di una vasta espansione fondiaria nella zona della Saccisica. Il seguente lavoro, partendo da questi estremi, si prefigge l'obiettivo di analizzare le strategie utilizzate durante il processo di formazione del patrimonio monastico, focalizzandosi, inoltre, sul rapporto intercorso tra il cenobio e i vari poteri locali - in primis il vescovado padovano. Operazione fondiaria che, inoltre, acconsente anche lo studio dell'evoluzione del territorio saccense durante i secoli.
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Brunoro, Marco <1992&gt. "Una società nel caos: storia della guerra civile russa, 1917-1921." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/13664.

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Abstract:
L'elaborato ripercorre la storia di uno dei periodi più complessi e controversi della storia recente europea, la guerra civile scatenatasi in Russia all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre, analizzando gli eventi da diversi punti di vista per tentare di rispondere a un quesito: come si schieravano politicamente le masse popolari nello scontro tra bianchi e rossi?. I primi tre capitoli riassumono gli eventi che ebbero luogo tra la presa del potere da parte dei bolscevichi e la loro vittoria contro i bianchi, facendo luce su eventi poco noti che ebbero per protagoniste altre forze, quelle socialiste moderate, contrarie alla degenerazione degli ideali rivoluzionari provocata dai metodi dittatoriali dei bolscevichi. I successivi tre capitoli si concentrano invece sull'analisi di tre aspetti fondamentali che caratterizzarono quelle vicende: gli ideali e le politiche dei bianchi, l'utilizzo da parte di entrambi i contendenti del terrore come arma di lotta politica e come mezzo per eliminare gli avversari, e gli eventi che ebbero per protagonisti contadini e operai, che, da fautori della rivoluzione, vennero trasformati dal governo bolscevico nelle vittime del più grande esperimento socio-politico mai visto fino a quel momento. Nell'ultimo capitolo, infine, il quadro viene completato dalla descrizione dei fatti fondamentali avvenuti nel 1921, anno durante il quale le ultime rivolte popolari vennero definitivamente represse e i bolscevichi consolidarono il proprio potere sul paese.
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Infantolino, Domenico <1943&gt. "Una patria di parole : storia orale degli italiani profughi dalla Libia." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14466.

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Abstract:
La tesi si riallaccia al precedente percorso formativo dello studente, laureato alla Università Ca’Foscari nella triennale LICEM e Magistrale in Antropologia Culturale. I temi trattati originano dalla sua storia personale: il candidato è nato in Libya da famiglia italiana emigrata da tre generazioni ed espulsa dal Paese nel 1970, per i fatti storici che determinarono la cacciata degli italiani. Attraverso interviste, l’autore ricostruisce la memoria degli italiani che, accusati di colonialismo, dovettero lasciare attività economiche, proprietà e beni, abbandonare le case e rientrare in Italia, tra innumerevoli disagi ed umiliazioni. I fatti, sommariamente conosciuti in Italia, suscitarono più stupore che sdegno. Il candidato descrive i problemi dei profughi nell’integrazione, l’ostilità di chi li tacciava d’essere un’emanazione del fascismo, contestava i provvedimenti che il governo aveva predisposto per favorirne l’inserimento: i punteggi nelle graduatorie dei concorsi, nell’assegnazione di case popolari e lamentava che tali misure erano responsabili dell’aumento delle accise sulla benzina. I sentimenti e le emozioni dei racconti descrivono la complessità che si determinò e i modi con cui reagirono al conflitto emozionale, economico e culturale. Il titolo dello studio è scaturito dalle parole degli intervistati che , smarriti e confusi si domandavano quale e dove fosse la loro patria. Attraverso le parole dei ricordi e le loro narrazioni la ritrovano.
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Conte, Beatrice <1996&gt. "Iscrizioni arcaiche di Metaponto: contributi epigrafici alla storia di una città." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19018.

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Abstract:
Con il mio lavoro di tesi mi propongo di analizzare e catalogare le epigrafi arcaiche, comprese tra il VII e la metà del IV secolo a.C., rinvenute sul territorio della città magno greca di Metaponto. Partendo dallo studio dei reperti epigrafici l'obbiettivo è ricavare informazioni utili alla descrizione di una storia della città, della sua popolazione e della topografia del territorio
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Carrera, A. "PIETRO TAMBURINI «GIURISTA». PER UNA STORIA DELLA CULTURA GIURIDICA GIANSENISTA ITALIANA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2015. http://hdl.handle.net/2434/253821.

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Abstract:
La ricerca presenta ed approfondisce il pensiero dell’abate giansenista Pietro Tamburini (Brescia 1737- Pavia 1827), figura fino ad oggi poco analizzata secondo una specifica prospettiva storico- giuridica nonostante il ruolo ricoperto da Tamburini come docente di diritto all’Università di Pavia e l’importanza delle sue opere nel dibattito etico- giuridico a cavaliere tra XVIII e XIX secolo. Attraverso lo studio delle sue numerose opere a stampa ed il vaglio di fonti archivistiche manoscritte -in parte inedite- si propone al lettore una analisi bifocale: da una parte, la riflessione giurisdizionalista e, dall’altra, quella giusnaturalistica. Sotto il primo versante si analizzano i temi della tolleranza ecclesiastica e civile in materia religiosa e della configurazione contrattuale civilistica del matrimonio in diretto parallelismo alla politica anticurialistica posta in essere nella seconda metà del Settecento dall’imperatore asburgico Giuseppe II. Sotto il secondo versante si pone attenzione allo studio del rapporto tra «stato di natura» e «stato sociale» alla base della rilettura dei concetti di «contratto sociale» e di sovranità. Vengono inoltre approfonditi i diritti e doveri naturali dell’uomo, la proprietà personale e reale, il diritto alla eguaglianza sino alla disamina delle obbligazioni di natura convenzionale da cui emerge una profonda influenza del giurista giansenista francese Jean Domat.
The research presents and deals with the thought development of the jansenist abbot Pietro Tamburini (Brescia 1737- Pavia 1827), a figure has to date been scarcely studied from a historical- juridical perspective notwithstanding the role played by Tamburini as lecturer of law at the University of Pavia and the importance of his works on the ethical-juridical debate between the XVIII and XIX century. From a study of his numerous printed works and analysis of manuscript sources – partly unpublished – we propose to the reader a bifocal analysis: on the one part jurisdictionalist reflection and on the other from a natural law perspective. On the first part we will study the theme of ecclesiastical and civil tolerance in religion and the civilistic configuration of marriage as a direct parallel to anticurialist politics introduced in the second half of the Eighteenth century by the Hapsburg emperor Joseph II. On the second part attention is given to the study of the relationship between the “natural state” and the “social state” on the basis of reinterpretation of the concepts of “social contract” and sovereignty. In depth study will also be made of natural rights and duties of man, personal and real property, equality rights and conventional obligations, profoundly influenced by the jansenist French jurist Jean Domat.
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Formenti, C. "IL DOCUMENTARIO ANIMATO: STORIA, TEORIA ED ESTETICA DI UNA FORMA AUDIOVISIVA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/373745.

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Abstract:
Through a combination of archival research and film analysis, the thesis advances the understanding of nonfiction animation. Indeed, after describing the different ways in which such medium can be exploited in order to recount the real, are taken into account the theory and history of these typologies of audiovisual works, so as to show how they should both be reassessed. The thesis then focuses on describing the evolutions underwent throughout time by this kind of animations, illustrating which traits have remained unaltered and which have undergone a transformation as well as providing an explanation of why such changes have occurred precisely in the periods in question.
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Miotti, Alessandra <1994&gt. ""Le dimensioni dell'antisemitismo: una genealogia"." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19141.

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Abstract:
La presente tesi ha lo scopo di illustrare alcune delle cause che edificarono il coinvolgimento ideale ed emotivo delle masse nell’antisemitismo, un fenomeno dalle forme complesse e articolate. In particolar modo, verrà utilizzato un metodo di ricostruzione genealogica volto a sottolineare tre associazioni antiebraiche legate alle dinamiche storiche del XIX secolo europeo. Il Capitolo I analizzerà la prima associazione, formulata a seguito della Rivoluzione Francese (1789). La conclusione dell’Ancien Régime e l’abolizione del feudalesimo hanno totalmente ridefinito la politica europea contemporanea, instaurando i fondamentali concetti di libertà, uguaglianza e sovranità popolare. Il riconoscimento della parità giuridica per gli ebrei ha comportato la prima associazione “Ebreo-Modernità”, funzionale alla ripresa delle argomentazioni della tradizione antigiudaica cristiana per riguadagnare potere all’interno dello spazio sociale rurale. Se da un lato le masse popolari soffrivano il cambiamento derivato dalle trasformazioni della modernità, dall’altro lato gli ebrei beneficiavano del nuovo regno dei diritti, diventando così il simbolo — in negativo — della modernità politica, quindi del disordine. Il Capitolo II si occuperà della seconda associazione: “Ebreo-Finanza”. Il legame tra le comunità ebraiche e il mondo del denaro verrà stabilito in seguito alle trasformazioni economiche e sociali poste in essere dalla rivoluzione industriale. L’affermazione di un’economica di mercato, l’avvento di una nuova società di massa e l’individualismo economico disorientarono i lavoratori privi di protezioni giuridiche mentre il capitalismo e la finanza alimentavano le trasformazioni della modernizzazione. Nelle classi popolari si creò un forte risentimento sociale anticapitalista che combaciava con l’antiebraismo. Di fatto, le antiche restrizioni legali che allontanavano gli ebrei dalle proprietà terriere e la segregazione all’usura fecero in modo che le comunità ebraiche si specializzassero nella gestione dei flussi monetari, commerciali e finanziari. La condizione di ebraicità venne associata ad una situazione economica più favorevole rispetto alle masse: gli ebrei traevano giovamento dal nuovo regno del denaro. La terza e ultima associazione (“Ebreo-Complotto”) verrà trattata nel Capitolo III, in cui saranno illustrati alcuni dei fattori culturali che alimentarono la teoria della cospirazione ebraica mondiale. In primo luogo, si analizzerà una letteratura complottista antisemita caratterizzata dall’obiettivo di diffondere l’odio antiebraico. Secondariamente e in linea con questa tradizione, si tratterà la c.d. accusa del sangue, tema antigiudaico cattolico secolare per il quale le comunità di ebrei venivano sistematicamente accusate di praticare uccisioni rituali o venivano utilizzate come capro espiatorio per giustificare fenomeni al tempo sconosciuti. All’interno di questa ultima associazione, si rileverà il contributo del razzismo biologico: esso non si associa direttamente all’Antisemitismo ma partecipa nella fomentazione di un odio di classe o discriminazione razziale. In conclusione, verrà sottolineato come queste tre associazioni (“Ebreo-Modernità”, “Ebreo-Finanza”, “Ebreo-Complotto”) tocchino differenti dimensioni della società: dalla religione, all’economia e alla cultura. La loro sinergia fu in grado di diffondere, promuovere e naturalizzare un sentimento antisemita tra diversi gruppi sociali, favorendo un coinvolgimento ideale ed emotivo delle masse nella costruzione di una notevole retorica volta a giustificare uno sterminio di massa.
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Foscati, Alessandra <1965&gt. "«Ignis sacer». Una storia culturale del 'fuoco sacro' dal Tardoantico al Medioevo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4115/1/foscati_alessandra_tesi.pdf.

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Foscati, Alessandra <1965&gt. "«Ignis sacer». Una storia culturale del 'fuoco sacro' dal Tardoantico al Medioevo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4115/.

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De, Rossi Elisa <1985&gt. "Tra fotografia e cinema: la fotografia di scena,una storia mai raccontata." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/8392.

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Abstract:
Cinema e Fotografia. Tutti hanno l’innata sensazione, quando non proprio la convinzione, che questi due ambiti artistici sono indiscutibilmente legati da un vincolo di parentela, non fosse che alla base dello sviluppo del cinematografo dei celeberrimi fratelli Lumière è ovvio ci sia il processo fotografico, ma c’è di più, qualcosa di non altrettanto palese, anzi, è qualcosa che resta sul fondo e non si ha modo di conoscere facilmente; qualcosa da cercare, scavando la superficie del cinema, perché anche se troppo spesso misconosciuto, come una vergogna da relegare in un angolo in ombra, è alla base della fortuna avuta dalla settima arte. Era questo che cercavo e stentavo a vedere, ed ecco la risposta: la fotografia di scena! È da questa convinzione che è scaturita la curiosità di chi scrive e mi ha portato a scoprire ed appassionarmi a questo, prima sconosciuto ed ora ritrovato, magnifico “cinema di carta”, prendendo a prestito il termine coniato dal critico Dario Reteuna. Con questo elaborato quindi si vuole indagare il più diretto, ma anche ignorato, nesso tra cinema e fotografia, costituito dalla fotografia di scena in ambito cinematografico, aiutandoci ripercorrendone i punti salienti all’interno del panorama italiano. Compito questo non facile, vista la scarsità di materiali specificatamente afferenti a questo ambito, a causa, come vedremo, della purtroppo scarsissima considerazione di questi lavori e ancor meno dei loro artefici, al meglio non considerati, al peggio ritenuti meri copiatori di lavori altrui, e quindi di inutile intralcio e perditempo, da sopportare a fatica. Eppure come verrà palesato, la loro importanza era a dir poco fondamentale, per una buona riuscita del film prodotto, essendo, con tutte le sue declinazioni che presto andremo ad esaminare, il primo e principale strumento di promozione del film ed in generale dell’immagine del cinema e dei suoi protagonisti.
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Gianolla, Erica <1990&gt. "I BAROVIER: STORIA E TRADIZIONE DI UNA FAMIGLIA DI ARTISTI DEL VETRO." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2017. http://hdl.handle.net/10579/10035.

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Abstract:
Venezia già dal XIII secolo e capace, nel corso dei secoli, di evolvere la propria produzione raggiungendo risultati tecnici e artistici sempre crescenti. E’ di Angelo Barovier, per esempio, l’invenzione nel corso del Rinascimento, del “vetro cristallino” e la realizzazione della famosissima Coppa Barovier (circa 1445). Nel corso del periodo Barocco (XVII secolo) una profonda crisi colpì il settore, protraendosi anche nel corso della caduta della Serenissima e del dominio austriaco: la scomparsa delle corporazioni e la forte concorrenza minarono l’antica arte vetraria e in questo periodo molte preziose tecniche di lavorazione andarono perdute. Fu solo nel 1866, con l’avvento di Antonio Salviati, avvocato vicentino affascinato dal vetro, che ebbe inizio un secondo “Rinascimento” per l’attività dei Barovier. Dopo aver fondato la “Società Anonima per Azioni Salviati & C”, Salviati decise di assumere tutti i più importanti e famosi maestri vetrai d’allora, tra le cui fila figuravano i Barovier. Nel 1877 la ditta mutò la ragione sociale in “Salviati Dr Antonio” ma i Barovier ne fecero parte per poco tempo: già l’anno successivo appare una società di fatto “Fratelli Barovier” che mantenne comunque rapporti commerciali con Salviati, rifornendolo di soffiati di varia natura. Nel 1896 la società di fatto regolarizza la propria posizione con atto notarile divenendo la “Artisti Barovier & C” : per anni l’azienda propose manufatti di grande pregio artistico presentati anche a Ca’ Pesaro. Nel 1919, intanto, a seguito della decisione di Benedetto di recedere dalla compagine sociale venne costituita la società semplice “Vetreria Artistica Barovier & C” che contava tra i propri componenti anche i figli di Benvenuto (Ercole e Nicolò) e di Giuseppe (Napoleone). In questo caso, tuttavia, la gestione venne invece affidata a Nicolò Barovier. Dopo lo scioglimento anticipato della società nel 1932 Ercole e Nicolò fondarono la “Vetreria Barovier snc” decidendo in seguito di far confluire entrambe le società nella “S.A.I.A.R. (Società Anonima Industrie Artistiche Riunite) Ferro Toso”. L’azienda assumerà la denominazione di “Ferro Toso e Barovier Vetrerie Artistiche Riunite SA” per poi diventare, nel 1939, “Barovier Toso & C. Vetrerie Artistiche Riunite SA”. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale nel 1939 segnò l’inizio di un periodo di crisi che si proseguì nel corso degli anni Quaranta e del dopoguerra: l’embargo verso l’Italia attuato dalla Società delle Nazioni -e dunque la fine delle esportazioni- determinarono una fase difficile, resa più acuta anche dalla necessità di procedere alla manutenzione degli impianti e dalla difficoltà di procurare materie prime. Neppure la fine del conflitto, nonostante le attese, comportò una immediata ripresa: sul mercato si erano ormai affacciati molti concorrenti e la crisi determinò anche l’inutilizzo di alcuni impianti. IL 1949 fu però anche l’anno in cui entrò nella compagine sociale Angelo Barovier, figlio di Ercole. Da qui iniziò l’espansione della società oltre i confini dell’Italia e, negli anni Sessanta, anche la collaborazione di grandi artisti e architetti: tutto questo contribuì alla creazione di una solida compagine sociale che accompagnò l’azienda anche nel corso degli anni Settanta.
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Qiu, Shiyu <1994&gt. "Una storia semplice di Leonardo Sciascia: Proposta di traduzione e commento traduttologico." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19452.

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Abstract:
In recent years, China’s cultural and entertainment industry has been thriving, and many works of mystery themes have charmed many in the audience. Affected by this, the publishing industry has paid more attention on mystery novels. Leonardo Sciascia is a famous Italian novelist, essayist, and politician. He was born in a small town on Sicily in 1921. Sciascia gathers materials from surroundings to depict Sicilian customs, uses acute words to expose the crime of the Mafia, satirizes the incompetence of the government and ugly ethos of the society. Therefore, I choose to translate Sciascia’s short mystery novel A Simple Story into Chinese. The story starts with a phone call received by the police at the night, and then a seemingly simple case of “suicide”, an unfinished sentence, a famous painting that has been missing for many years and reappeared... The novel is inspired by real stories and is short in length, very fluid, easy to understand, while the plot is fascinating. These can attract more readers. This thesis is divided into three parts: the first part introduces the author’s life, works and writing style, and analyzes the writing background of the novel; the second part is the translation of A Simple Story; the last part is a detailed analysis of the novel, the strategies used in the translation process and reasons, as well as the difficulties encountered. This thesis aims to broaden the knowledge of translation theory and improve literary translation ability in practice by completing the translation of the novel. At the same time, it tries to make Chinese readers notice Sciascia and his works, thereby triggering their interest in Italian mystery novels and literature.
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TOMBARESI, LORENZO. "Una crepa nel muro: storia politica della commissione d'inchiesta P2, 1981-1984." Doctoral thesis, Urbino, 2016. http://hdl.handle.net/11576/2631366.

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Lucca, E. "UNA VISIONE DIALETTICA DELLA STORIA EBRAICA. GERSHOM SCHOLEM E L'EREDITÀ DEL MESSIANISMO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2012. http://hdl.handle.net/2434/171072.

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Abstract:
My dissertation is intended to analyze the work of Gershom Scholem with the scope of outlining his importance within the context of twentieth century Jewish thought. A great deal of this thesis is thus devoted not only to Scholem’s political interventions and interviews, indeed a marginal part of his research, but also to detect the trace of a constant philosophical interest in his scholarship. First chapter provides the historical context, dealing briefly with some of the most important figures of the German-Jewish philosophical scene: Hermann Cohen, Martin Buber, and Franz Rosenzweig. The role of Ahad Ha‘am and cultural Zionism is also presented. Second chapter is devoted to Scholem’s conception of language and to the analysis of the notions of Revelation and Tradition as developed in some of his most important essays. Central in this context is the role played by Franz Kafka, whose novels can be seen indeed as a sort of paradigm through which Scholem interpreted not only the main figures of Kabbalah, but also the whole theology of Judaism. An investigation of Scholem’s methodology and conception of history is to be found in third chapter. Three elements that contributed very much to shape Scholem’s scholarship are taken in particular account. First of all, Scholem’s polemics against the Wissenschaft des Judentums, which finds its ground on an organicistic and non-essentialistic approach to Jewish history. Then, the early appreciation for Nietzsche and Lebensphilosophie, though later neglected by Scholem, is here seen as a possible source for the vitalistic and anarchic elements that characterize his research. Finally, a great part of this chapter is dedicated to a comparison between Scholem’s conception of Jewish history and Walter Benjamin’s Thesis on the concept of History (1940). Although much of scholarly effort has already been devoted to the relation between Scholem and Benjamin, the presence of Benjamin’s last work in Scholem’s research still needs to be considered in all its significance. With the aim of investigating Scholem’s approach to Jewish history and historiography, two essays are taken in particular consideration: Memory and Utopia in Jewish History (1946), a lecture Scholem gave in the aftermath of the Holocaust in front of a Zionist audience, and On History and Philosophy of History, the text of Scholem’s response to a talk on “History and Hermeneutics” given by Paul Ricoeur within the context of the “First Jerusalem Philosophical Encounter” (1974). Chapter four deals with Scholem’s conception of messianism. After showing the importance of messianism in Scholem’s research and the originality of his interpretation, the relevance of Scholem’s position is highlighted through the analysis of the two most important polemics in which Scholem has been involved. The critiques of Scholem’s opponents, Baruch Kurzweil and Jacob Taubes, have been taken here as a tool to show the philosophical and political concerns hiding behind the core of Scholem’s analysis. With the help of some unpublished material, the last part of the chapter presents an overview of the relation between messianism and zionism in Scholem’s work. His early zionism being loaded with metaphysical and messianic overtones, after moving to Palestine Scholem had to face a strong disenchantment, which lead him to separate his zionist affiliation, as a part of a historical responsibility and political decision, from messianism, which indeed he considered to be something rather un-historical and confined to an utopian plane. Fifth chapter intends to show the peculiarity of Scholem’s attitude toward secularization. According to Scholem, the passage through secularism in Judaism has to be intended as a necessary moment, though not definitive, being part of a dialectics that cannot be foreseen in advance. An analysis of Scholem’s 1926 letter to Rosenzweig is also offered, showing the philosophical significance of Scholem’s reflections on the importance and the risks entailed in the secular revival of the Hebrew language.
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MONTEPAONE, OLIVIA LIBERA SOFIA. "LE EDIZIONI DELL'APOCOLOCYNTOSIS (1513-1808): LINEE DI STORIA DI UNA TRADIZIONE TESTUALE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2018. http://hdl.handle.net/2434/546623.

Full text
Abstract:
La tesi ripercorre l’intera storia editoriale dell’Apocolocyntosis dall’editio princeps (1513) sino all’edizione di F. E. Ruhkopf del 1808, nella quale si annuncia la scoperta dei principali testimoni manoscritti della satira: l’obiettivo è lo studio dell’evoluzione del testo e degli approcci adottati dagli editori nel corso dei secoli prima del riemergere della tradizione manoscritta, che comportò un radicale mutamento nei metodi di studio dei classici. Il lavoro è suddiviso in due sezioni principali: la prima considera le edizioni della satira in ordine cronologico, analizzando il contesto storico e letterario in cui sono venute alla luce, insieme alla personalità dell’editore che le ha prodotte, e selezionando gli interventi più interessanti dal punto di vista filologico ed interpretativo; la seconda sezione presenta un repertorio di tutte le variazioni occorse nel testo della satira durante l’intera tradizione a stampa – lezioni tratte da codici non più esistenti così come anche congetture degli editori introdotte a testo – messe in relazione con le varianti testuali della tradizione manoscritta come oggi ci è nota, e le posizioni dei moderni studiosi riguardo ciascun luogo. Sebbene si possano riconoscere alcune tendenze generali, il carattere fortemente individualistico delle edizioni premoderne impedisce di tracciare un percorso evolutivo lineare e coerente o di individuare metodologie universalmente adottate in un preciso periodo storico. Ogni edizione è, di fatto, un prodotto unico, che presenta un ricco, intricato e finora inesplorato corpus di informazioni e conoscenze sull’Apocolocyntosis. Tali complessi prodotti editoriali si rivelano valide risorse, interessanti tappe della storia degli studi classici ma anche utili fonti a livello filologico dinanzi ad un testo ancora assai problematico come quello della satira senecana. Lo studio infine evidenzia alcune nuove possibilità per sfruttare nella sua interezza il vasto corpus offerto dalle edizioni premoderne attraverso l’uso di strumenti digitali.
The thesis analyses the complete printed history of the Apocolocyntosis from the editio princeps (1513) to F. E. Ruhkopf’s edition of 1808, where the main testimonia of the satire are discovered: the aim is to study the evolution of the text and the editors’ approaches before the unearthing of the manuscript tradition, which radically changed scholarly method. The work is divided into two main sections: the first section considers each edition in chronological order, analyzing the historical and literary context in which they were born, together with the personality who created them, and singling out interesting contributions to textual criticism and interpretation; the second section is a repository of all textual variations which occurred throughout the editorial history of the satire – lessons deriving from no longer existing codices as well as conjectures of the editors –, which are put in relation with the extant manuscripts’ readings as they are known today and modern scholarly debate regarding each locus. Even though some general tendencies can be recognized, the strong individualistic component of pre-modern editions does not allow clearly outlining a coherent evolutionary trend, or unambiguously ascribing methodologies to specific timeframes. Each edition is in fact a unique product, which presents a rich, intricate and previously unexplored amount of knowledge regarding the Apocolocyntosis. These complex editorial products are revealed as valuable sources, interesting for the history of classical scholarship, but also useful towards the establishment of Seneca’s still very controversial text. Finally the study outlines new possibilities of exploiting the vast corpus offered by pre-modern editions through the use of digital tools.
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