Dissertations / Theses on the topic 'Teoria della pratica'

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1

Dal, Prato Sara <1992&gt. "Didattica della Letteratura attraverso il Cinema: Teoria e Pratica." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12324.

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Abstract:
Il presente elaborato affronta la tematica della didattica della letteratura attraverso il cinema. Nella prima parte vengono analizzate le potenzialità del prodotto filmico in classe a supporto dell'educazione letteraria. La seconda parte presenta alcune proposte didattiche.
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2

Manchisi, Armando. "L'idea del bene in Hegel. Una teoria della normatività pratica." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3427287.

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Abstract:
The subject of this dissertation is the chapter on the idea of the good in Hegel’s Logic. In order to develop my interpretation, I try to demonstrate three main mutually related hypotheses: a) that the idea of the good concerns the relation between practical normativity and reality; b) that it is possible to read it as a metaethics, namely as an ontological, epistemological and methodological reflection about the domain of free agency; c) that it can successfully engage with the contemporary metaethical reflection. The dissertation is divided in four chapters. The first one provides the main coordinates to read and understand the idea of the good. The purpose of this chapter is most of all to show the relevance of the Hegelian analysis for a theory of practical normativity. Starting from this point, the thesis engages those that can be considered the three fundamental coordinates of the normativity: objectivity (in chapter 2), reality (in chapter 3), and truth (in chapter 4). The second chapter focuses on Hegel’s definition of the idea of the good as self-determination. The core of these pages is the comparison between Hegel’s text and the metaethical example of Kantian constructivism (Korsgaard). The third chapter examines the definition of the idea of the good as realization, by developing a comparison with the ethical position of projectivism (Mackie). The arrival point of both these analyses is the critics to ethical antirealism, namely to the conception for which reality has no moral charge and the domain of values and duties is restricted within the boundaries of the subjectivity. The fourth chapter lastly deals with the idea of the good under a double perspective: on one side, in relation to the idea of the true, on the other side, to its transition to the absolute idea. This analysis refers mainly to the ethical debate on non-cognitivism. According to Hegel’s affirmation that the practical idea can fulfil itself only if it assimilates the theoretical idea, we can read in an original way the relation between knowledge and will and, more generally, between normativity and reality.
Oggetto del presente lavoro è il capitolo sull’idea del bene nella Logica di Hegel. Alla sua base si collocano tre ipotesi interpretative, fra sé legate: a) che l’idea del bene riguardi il rapporto fra normatività pratica e realtà; b) che sia possibile leggerla come una metaetica, ovvero come una riflessione di carattere ontologico, epistemologico e metodologico intorno alla sfera dell’agire libero; c) che sia in grado di dialogare in modo proficuo con la riflessione metaetica contemporanea. La tesi si divide in quattro capitoli. Il primo fornisce le coordinate generali per leggere e comprendere l’idea del bene. Obiettivo di queste pagine è soprattutto mostrare la rilevanza dell’analisi hegeliana per una teoria della normatività pratica. A partire da ciò, il lavoro si confronta con quelle che possono essere considerate le tre coordinate fondamentali della normatività, ossia: oggettività (nel capitolo 2), realtà (nel capitolo 3), e verità (nel capitolo 4). Il secondo capitolo si concentra sulla definizione hegeliana dell’idea del bene come autodeterminazione. Al centro di queste pagine si colloca il confronto fra il testo di Hegel e il modello metaetico costruttivista di matrice kantiana (Korsgaard). Il terzo capitolo analizza la definizione dell’idea del bene come realizzazione, sviluppando un confronto con la posizione etica del proiettivismo (Mackie). Il punto di arrivo di entrambe queste analisi è la critica all’antirealismo etico, ossia alla concezione che intende la realtà come priva di portata morale e che relega quindi la sfera dei valori e dei doveri entro i confini della soggettività. Il quarto capitolo, infine, prende in considerazione l’idea del bene sotto una duplice prospettiva: da una parte, in rapporto all’idea del vero, dall’altra, nel suo passaggio all’idea assoluta. Questa analisi fa riferimento soprattutto al dibattito etico sul non-cognitivismo. L’affermazione di Hegel secondo la quale l’idea pratica può compiersi solo se integra quella teoretica consente di leggere in modo originale il rapporto fra conoscenza e volontà e, più in generale, fra normatività e realtà.
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3

Bazzo, Valentina <1986&gt. "UN APPROCCIO CRITICO ALLA TEORIA E ALLA PRATICA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D'IMPRESA." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1730.

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Abstract:
Nella tesi viene dato grande rilievo alla problematica delle imprese irresponsabili, cioè quelle imprese che si rendono artefici di casi di violazione delle leggi per motivi di convenienza economica, nonché di politiche e pratiche aziendali antisociali, insensibili alle esigenze umane e/o non rispettose dell’ambiente naturale. A finire sotto accusa sono, in particolar modo, le grandi corporation multinazionali, generalmente quotate e aventi una grande influenza sull’ambiente esterno.Il fenomeno in questione ha conosciuto una significativa espansione, nei paesi industrializzati, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Nel lavoro si è cercato di mettere in evidenza le cause del problema. In particolare, si è visto come perseguendo l’obiettivo della massimizzazione del valore delle azioni in un’ottica di breve termine, le imprese abbiano cominciato a curarsi sempre meno delle conseguenze del loro operato, scaricando sulla società alti costi sociali e ambientali, non tenendo conto dei valori, delle aspettative e degli interessi dei vari stakeholder, al di fuori degli azionisti di controllo.Tra le molteplici forme attraverso le quali si manifesta l’irresponsabilità sociale delle imprese, in particolare si è focalizzata l’attenzione, a seguito dei numerosi e recenti scandali finanziari, sulla cattiva gestione dei risparmi affidati alle imprese da parte delle famiglie sotto forma di azioni, obbligazioni e fondi pensione.La questione relativa all’irresponsabilità sociale delle imprese rappresenta, ancora oggi, una problematica di grande interesse, dato che nel corso del tempo gli effetti negativi dell’attività delle grandi imprese sulla società e sull’ambiente sembrano non aver accennato a diminuire in modo significativo. Nel frattempo, si è sviluppato un ampio dibattito su quali azioni intraprendere al fine di contrastare i comportamenti delle imprese irresponsabili. Negli ultimi anni, per molti la teoria e la pratica della responsabilità sociale d’impresa hanno rappresentato la via d’uscita più efficace al problema.In questo lavoro si è voluto focalizzare l’attenzione su un aspetto ben preciso dell’argomento. In particolare, si è cercato di mettere in luce come, nonostante l’aumento della discorsività e delle iniziative sulla tematica della responsabilità sociale d’impresa, ancora permangano dei dubbi sul fatto che, al di fuori della creazione di un crescente attivismo in questo campo, questo abbia di fatto avuto gli effetti sperati nella prospettiva di una maggiore responsabilizzazione dei comportamenti aziendali.L’analisi ha fatto emergere come, nel corso del tempo, la teoria e la pratica della responsabilità sociale d’impresa siano state oggetto di una grande quantità di critiche, come, ad esempio, quelle relative all’uso strumentale della RSI oppure le perplessità riguardo al fatto che la responsabilità sociale vada esercitata in via esclusiva su base volontaria.Infine, si sono analizzate le strade da percorrere, indicate da alcuni autori in letteratura, al fine di rendere responsabili o, se si vuole adottare una visione meno utopistica, meno irresponsabili, le imprese, soprattutto le grandi corporation.
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4

Rusticali, Viola. "La traduzione audiovisiva: Teoria e pratica della sottotitolazione applicate al cortometraggio "Diez minutos"." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amslaurea.unibo.it/7465/.

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Abstract:
L'elaborato consiste in una sottotitolazione, dallo spagnolo verso l'italiano, del cortometraggio spagnolo "Diez minutos". La parte pratica precede una parte teorica sulla traduzione audiovisiva in generale, con particolare attenzione alla sottotitolazione.
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5

Castagnetti, Riccardo <1977&gt. "Andrea Basili (1705-1777). La didattica della composizione nel secolo XVIII fra teoria e pratica." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amsdottorato.unibo.it/8244/1/Castagnetti_Riccardo_Tesi.pdf.

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Abstract:
Numerosi studi musicologici si sono recentemente concentrati sulla storia della pedagogia musicale con particolare attenzione ai diversi metodi didattici in uso nel Settecento. Queste ricerche si sono principalmente occupate dell'educazione musicale impartita all’interno di ambienti istituzionali, come i conservatori napoletani, mentre minore attenzione ha ricevuto l’attività di insegnamento svolta da docenti privati. Andrea Basili (1705-1777) rappresenta in tal senso un interessante caso di studio per analizzare la metodologia didattica di un maestro italiano del XVIII secolo. Basili è noto principalmente come autore della Musica universale armonico pratica (Venezia, 1776). Quest’opera, l’unica edita in vita da Basili, è suddivisa in 24 esercizi in tutte le tonalità maggiori e minori. Ogni esercizio contiene in nuce un corso di composizione e di esecuzione alla tastiera scandito in quattro fasi: una scala, per praticare la "regola dell'ottava", un partimento, per applicare i diversi "movimenti del basso", un fuga in partimento, o interamente realizzata, e un brano in forma sonata o in forma libera. Tuttavia, la Musica universale costituisce solo l’esito finale della riflessione metodologica di Basili sull’insegnamento della composizione. Nel corso della ricerca sono emerse infatti numerose fonti manoscritte inedite che attestano un complesso e affascinante sviluppo della sua attività didattica. Questa tesi ricostruisce l'evoluzione della metodologia di Basili, situandola nel contesto della pedagogia musicale italiana del XVIII secolo. Il primo capitolo delinea la biografia di Basili, collegando la sua formazione musicale con le successive scelte in campo didattico. Il secondo capitolo contiene una disamina delle fonti manoscritte relative al suo magistero. Il terzo capitolo è dedicato all’analisi del contenuto e della metodologia implicita della Musica universale. In appendice viene infine presentata l'edizione integrale della corrispondenza intrattenuta da Basili con Giambattista Martini e con Gianandrea Bellini.
Recent musicological studies have focused on historical music pedagogy and particularly on the teaching methods in use during the eighteenth century. Most of these researches have concentrated on formal music education, given in specific institutions such as the Neapolitan Conservatori. Less attention has been paid to the methods followed by teachers in private music tuition. Andrea Basili (1705-1777) is an interesting case study to investigate the teaching methodology of an eighteenth century Italian “maestro”. Basili is primarily known for the Musica universale armonico pratica (Venezia, 1776), a collection of lessons in composition and performance at the keyboard. This work, who represents his sole publication during Basili’s life, consists of 24 exercises in all the keys. Each exercise is a complete music course in four steps: a scale, to practice the “rule of the octave”, a partimento, to apply the different “movimenti del basso”, a partimento-fugue or a fully-fledged fugue, and a keyboard piece in sonata form or in free form. However, the Musica universale constitutes only the final outcome of Basili’s music teaching method. My research documents and analyzes several unpublished manuscript sources of his didactic activity, testifying a complex and fascinating development. This dissertation tries to reconstruct the evolution of Basili’s methodology and to situate it in the Italian musical pedagogy of the eighteenth century. The first chapter outlines Basili’s biography, trying to connect his musical training with his subsequent didactic choices. The second chapter furnishes a review of the manuscript sources related to his teaching. The third chapter is devoted to analyze the content and the implicit methodology of the Musica universale. The appendix presents the edition of Basili’s correspondence with Giambattista Martini and Gianandrea Bellini.
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6

Andreatta, Filippo. "Istituzioni per la pace : teoria e pratica della sicurezza collettiva da Versailles alla ex Jugoslavia /." Bologna : Il mulino, 2000. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb38857220r.

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7

Iseppon, Tomas <1979&gt. "La pratica della scrittura come esercizio spirituale negli Scritti a se stesso di Marco Aurelio Antonino." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1866.

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Abstract:
Gli Scritti a se stesso di Marco Aurelio Antonino rappresentano l'esempio privilegiato di ciò che Pierre Hadot definisce esercizio spirituale. Secondo lo studioso francese la filosofia antica aveva una chiara valenza terapeutica, sorretta da delle pratiche spirituali, come la scrittura, volte al miglioramento morale del singolo. Le meditazioni che compongono i dodici libri dell' εις εαυτòν sono il continuo ripetersi dei dogmi stoici, calati nella quotidianità della vita dell'imperatore. Così per Pierre Hadot allora “Marco Aurelio scrive con il solo scopo di avere sempre presenti nel suo animo i dogmi e le regole di vita”, e gli Scritti a se stesso dimostrerebbero come la filosofia antica fosse ricca di tali esercizi.
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8

Chiappini, Michele <1984&gt. "La scrittura dell'interpretazione: Teoria e pratica della trascrizione musicale durante gli ‘anni veneziani’ di Bruno Maderna (1946-1952)." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/7140/1/Michele_Chiappini%2C_La_scrittura_dell%27interpretazione%2C_dissertazione_dottorale.pdf.

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Abstract:
La definizione di «scrittura dell’interpretazione» comprime in una sola locuzione la descrizione dell’oggetto principale del nostro studio, ovvero il problema della trascrizione musicale, descritta, non tanto come un determinato genere musicale, quanto come una ragione di osmosi e interferenze tra il fatto compositivo e quello interpretativo. Ad una traversata di quel territorio ci si appresta incentrando la trattazione intorno alla figura e all’opera del giovane compositore e direttore Bruno Maderna, autore di diverse trascrizioni della cosiddetta musica antica (dall’Odhecaton A, Monteverdi, Viadana, Frescobaldi, Legrenzi, ed altri ancora). Attraverso gli esempi presentati si intende mostrare come l’approccio maderniano alla trascrizione musicale si giustifichi a partire dalla sua stessa teoria e pratica dell’interpretazione musicale, più che in base a concetti forti definiti sul versante della scrittura, quali ad esempio quelli di analisi e parodia. Pari attenzione si offre al contesto storico degli anni in cui egli gravita, opera e si afferma come musicista (1946-1952 circa), dedicando ampio spazio alle figure di Gian Francesco Malipiero, Angelo Ephrikian e Luigi Nono, autori a loro volta di trascrizioni e revisioni di opere del Cinquecento, del Seicento e del Settecento. Intorno ai loro rapporti viene fornita una documentazione significativa, in buona parte inedita o poco conosciuta dagli studiosi, resa disponibile grazie alle ricerche d’archivio di cui si avvantaggia la nostra trattazione.
The definition of “writing of the interpretation” summarises in one expression the main object of our study, namely the problem of the musical transcription. Here it described as a process of osmosis and interference between the processes of composition and interpretation, rather than as a musical genre on its own. This issue is addressed to focusing the discussion around the figure and the work of the young composer and orchestra leader Bruno Maderna, who produced several transcriptions of pieces from the so-called early music. Through the examples presented , this thesis aims to show how the approach of Maderna to musical transcription stems from his own theory and practice of the musical interpretation, rather than from other concepts, i.e. analysis and parody, typical of the concept of writing. In addition, we carefully examine the historical background between the years of 1946 and 1952, where he worked and established himself as a musician. To this end, a great space is dedicated to the figures of Gian Francesco Malipiero, Angelo Ephrikian and Luigi Nono, who themselves are authors of transcriptions and revisions of the works of the sixteenth, seventeenth and eighteenth centuries. By means of archive research, this thesis provides a significant documentation on the relationships between these authors, largely unpublished or little known by scholars.
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Chiappini, Michele <1984&gt. "La scrittura dell'interpretazione: Teoria e pratica della trascrizione musicale durante gli ‘anni veneziani’ di Bruno Maderna (1946-1952)." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/7140/.

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Abstract:
La definizione di «scrittura dell’interpretazione» comprime in una sola locuzione la descrizione dell’oggetto principale del nostro studio, ovvero il problema della trascrizione musicale, descritta, non tanto come un determinato genere musicale, quanto come una ragione di osmosi e interferenze tra il fatto compositivo e quello interpretativo. Ad una traversata di quel territorio ci si appresta incentrando la trattazione intorno alla figura e all’opera del giovane compositore e direttore Bruno Maderna, autore di diverse trascrizioni della cosiddetta musica antica (dall’Odhecaton A, Monteverdi, Viadana, Frescobaldi, Legrenzi, ed altri ancora). Attraverso gli esempi presentati si intende mostrare come l’approccio maderniano alla trascrizione musicale si giustifichi a partire dalla sua stessa teoria e pratica dell’interpretazione musicale, più che in base a concetti forti definiti sul versante della scrittura, quali ad esempio quelli di analisi e parodia. Pari attenzione si offre al contesto storico degli anni in cui egli gravita, opera e si afferma come musicista (1946-1952 circa), dedicando ampio spazio alle figure di Gian Francesco Malipiero, Angelo Ephrikian e Luigi Nono, autori a loro volta di trascrizioni e revisioni di opere del Cinquecento, del Seicento e del Settecento. Intorno ai loro rapporti viene fornita una documentazione significativa, in buona parte inedita o poco conosciuta dagli studiosi, resa disponibile grazie alle ricerche d’archivio di cui si avvantaggia la nostra trattazione.
The definition of “writing of the interpretation” summarises in one expression the main object of our study, namely the problem of the musical transcription. Here it described as a process of osmosis and interference between the processes of composition and interpretation, rather than as a musical genre on its own. This issue is addressed to focusing the discussion around the figure and the work of the young composer and orchestra leader Bruno Maderna, who produced several transcriptions of pieces from the so-called early music. Through the examples presented , this thesis aims to show how the approach of Maderna to musical transcription stems from his own theory and practice of the musical interpretation, rather than from other concepts, i.e. analysis and parody, typical of the concept of writing. In addition, we carefully examine the historical background between the years of 1946 and 1952, where he worked and established himself as a musician. To this end, a great space is dedicated to the figures of Gian Francesco Malipiero, Angelo Ephrikian and Luigi Nono, who themselves are authors of transcriptions and revisions of the works of the sixteenth, seventeenth and eighteenth centuries. By means of archive research, this thesis provides a significant documentation on the relationships between these authors, largely unpublished or little known by scholars.
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FANTASIA, Francesca. "Il tempo dell´agire libero. Dimensioni della filosofia pratica di Kant.(Die Zeit des freien Handelns. Dimensionen der praktischen Philosophie Kants)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91270.

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Abstract:
Il presente lavoro si divide in tre parti. La PRIMA PARTE Il tempo qualitativo della soggettività morale indaga gli elementi della determinazione della volontà intesa come sintesi di elementi normativi, valutativi e motivanti. Mostrando gli elementi di universalizzazione delle massime e di concretizzazione della legge come un unico processo di formazione delle massime, si sottolinea un elemento dinamico proprio della scelta; lo stesso ‘fatto della ragione’ si mostra come un’attività dinamica d’instaurazione di un’ontologia della prassi. Analizzando la struttura aperta della massima e del processo del suo formarsi sembra che la teoria morale kantiana abbia implicitamente posto a priori le basi di una struttura di successione di elementi qualitativi, fondata sul criterio di costruzione o meno dell’accordo degli elementi della soggettività razionale pratica. Lo sviluppo del carattere intelligibile indica l’identità morale costruita ininterrottamente dal soggetto in tutti gli atti concreti della volontà. Nello sviluppo del carattere s’instaura un nesso tra la qualità della massima (maggiore o minore aderenza alla legge morale) e la persistenza della sua assunzione. Il processo di formazione risulta essere, dunque, un processo di miglioramento progressivo dei contenuti delle massime all’interno della totalità identitaria del soggetto, vale a dire un consolidarsi delle sue configurazioni normative e valoriali, primi motivi sufficienti ad agire. Il rapporto tra il piano noumenico della determinazione all’azione (Handlung) e l’agire nel suo aspetto fenomenico (Begebenheit) si traduce nel rapporto tra un tempo intelligibile puramente pensato, consecutio della formazione della Handlung, e il tempo empirico dell’azione in quanto fenomeno. La SECONDA PARTE L’infinita durata della personalità e il postulato di Dio distingue due piani di analisi: quello della durata infinita e con essa dell’idea di Duratio Noumenon e quello della realizzazione del sommo bene e la postulazione di Dio come sommo bene originario. Alla luce dei risultati emersi dalla nozione di carattere intelligibile si analizza il tempo della Unsterblichkeit come la durevolezza dello homo noumenon, la cui esistenza intelligibile è scandita in grandezze qualitative. Il progresso morale mostra una struttura qualitativa di un dinamico e successivo procedere di momenti, indipendenti dal tempo, che costituiscono il miglioramento morale. Con la nozione di Duratio Noumenon si approfondiscono, inoltre, le specifiche differenze tra la Zeit e la Ewigkeit, che permettono di chiarire il rapporto tra tempo e durata e individuare nella ‘durata senza tempo’ un concetto paradossale di una grandezza di tempo senza successione. Poiché in uno stato di quiete non sarebbe concepibile alcun progresso, all’essere sensibile non resta altro che agire affinché tutti i cambiamenti e gli sviluppi etici in suo potere accadano nel presente. Tale dimensione assume così un ruolo centrale nell’analisi del tempo dell’agire libero. Con l’argomento del postulato di Dio emerge il contemporaneo concorso di più serie causali, noumeniche e sensibili, vale a dire il modello di una contemporaneità (Zugleich) di azioni libere di tutti gli individui in ogni momento di tempo pensati in una struttura sincronica. La TERZA PARTE La mediazione della Dauer con il tempo della Zeit. Sviluppo e Rivoluzione analizza i primi due capitoli della Religionsschrift. Importante chiave per la comprensione della struttura dell’agire è il ruolo centrale assunto qui dalla Gesinnung, elemento inscindibile dall’importantissima distinzione tra volontà e arbitrio. Il male si comprende come scelta, unica condizione di possibilità della stessa ‘conversione del cuore’. Solo in assenza di un fondamento oggettivo del principio contrario alla legge, è possibile distinguere Hang e Anlage, propensio e dispositio, tendenza al male e disposizione al bene. Soltanto in questo peculiare incrocio di piani normativi propri della struttura dell’agire – fondata sulla dialettica tra la Willkür e il Wille – è possibile per Kant porre le basi, antropologicamente indagate, della possibilità di un ristabilimento al bene a partire dal dominio del male. Solo ponendosi in un puro presente il soggetto può determinare il differente ordine normativo del suo agire. Il momento della rivoluzione del modo di pensare rimanda, qui più esplicitamente, a un tempo proprio del dominio morale e intelligibile della Gesinnung; quest’ultima emergerà come una peculiare contrazione delle dimensioni di tempo del futuro, del presente e del passato.
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Zandonà, Lara <1996&gt. "La teoria come sostegno alla pratica della traduzione : la centralità dello skopos e i vantaggi di un approccio funzionale per la trasposizione dei generi letterari cinesi." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21013.

Full text
Abstract:
Una traduzione costituisce il frutto di molteplici scelte e compromessi, comportando necessariamente anche alcune perdite e differenze rispetto al testo sorgente, talvolta significative. Anche se capire cosa venga effettivamente perduto durante il processo traduttivo non sia affatto semplice, la sua comprensione rappresenta un punto fondamentale per condurre l’analisi del testo e, soprattutto, per elaborare diverse possibili strategie traduttive, il cui obbiettivo è la creazione di un testo efficace e comprensibile. L’apprendimento delle diverse norme e convenzioni applicate alla traduzione può rivelarsi di vitale importanza per migliorare il risultato del processo traduttivo: queste norme variano notevolmente a seconda del preciso momento storico oppure del diverso contesto culturale, permettendo al traduttore di approfondire le dinamiche e i fattori coinvolti nella traduzione. Infatti, la traduzione non può essere separata dal momento storico durante cui si manifesta e si lega indissolubilmente anche alla storia dei generi letterari: è proprio grazie ad essa che alcuni generi e forme letterarie hanno potuto attraversare i confini nazionali. Recentemente, alcuni professori di traduzione hanno cominciato ad integrare lo studio della teoria alle loro pratiche di insegnamento, dimostrando così l’esistenza di un’intrinseca connessione tra le diverse teorie di traduzione e i possibili metodi pratici. Nell’ambito della traduzione, i concetti di pratica e teoria risultano interdipendenti tra loro e non possono quindi esistere separatamente: quando traduce un testo, il traduttore segue (talvolta anche in modo inconsapevole) una propria idea di traduzione, prettamente personale e caratterizzata dalla tendenza di applicare propri concetti e principi ideologici. Ogni traduzione di successo nasce per raggiungere un particolare obbiettivo, il quale verrà determinato dalle circostanze specifiche: il traduttore è libero di stabilire una propria idea di fedeltà al testo sorgente, assicurandosi che un certo testo venga ricevuto dal fruitore destinatario in condizioni ottimali. Una traduzione può essere considerata migliore esclusivamente a livello relativo: l’adeguatezza di quest’ultima deve essere stabilita sulla base del raggiungimento di un determinato obbiettivo e all’interno di uno specifico contesto: qualsiasi tipo di soluzione adottata o di cambiamento apportato al testo originale, quindi, può essere giustificato dal conseguimento dello skopos traduttivo. L’obbiettivo di questo elaborato è dimostrare l’importanza della teoria per il processo della pratica traduttiva, illustrando alcuni vantaggi e benefici derivati dallo studio e dall’apprendimento di una base teorica, con particolare riferimento all’approccio funzionalista e alla Skopostheorie. La teoria dello skopos può rivelarsi particolarmente efficace soprattutto per quanto concerne la traduzione e la trasposizione dei diversi generi letterari, aiutando il traduttore ad apportare le corrette modifiche di adattamento, necessarie per favorire la ricezione culturale e raggiungere l’obbiettivo comunicativo prefissato per la traduzione.
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Oggionni, E. M. E. "LA TEORIA KANTIANA DELLA MOTIVAZIONE MORALE NELLA 'FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI'. UN'ANALISI STORICO-CRITICA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2011. http://hdl.handle.net/2434/151785.

Full text
Abstract:
The Thesis «La teoria kantiana della motivazione morale nella Fondazione della metafisica dei costumi. Un’analisi storico-critica» aims to reconstruct Kant’s theory of moral motivation as it is formulated in Groundwork of the Metaphysics of Morals. This Ph.D. Thesis is predominantly a commentary on the passages from Kant’s Groundwork that are relevant to understanding his account of moral motivation. At the same time, as a background to the work, it considers the whole Kantian corpus with its differing theories of moral motivation. The Thesis includes four chapters, each devoted to the analysis of one of four conceptual areas of the Groundwork’s theory of moral motivation: (1) practical reason, will and their reciprocal relationship, (2) will and good will, (3) the feeling and Triebfeder of respect, and (4) the Highest Good. The contemporary debate on Kant’s moral motivation focuses on two opposite interpretations of it: viz., the affectivist and the intellectualist one. In order to choose between these interpretations, the letter of the Kantian texts must be thoroughly analyzed and their theoretical plausibility must be assessed. In the Introduction and in the first chapter I study Kant’s theory of what a human action is and I give an interpretation of Kant’s use of the adverb unmittelbar, which leads me to view Kant’s theory of moral motivation as an affective one. In the remainder of the work I give further grounds to this interpretation by means of a detailed analysis of the text supported by a contextual theoretical study. Furthermore, the first chapter includes (a) the definition of practical reason and will as functions of the human mind, (b) the consequent identification of the laws according to which a rational being has the power of acting as the linking element between these functions and the human faculty of reason and (c) the examination of the secondary literature’s positions about which kind of laws are the ones of human actions. I also provide an answer to the latter question, specifically addressing the issue of distinguishing the formal structure of these laws from their normative validity. The second chapter’s first purpose is to understand the extent of philosophical and psychological possible knowledge about will and good will. To achieve this, I study the concept of moral experience as it appears in the Critique of Practical Reason. The second chapter also investigates Lust and Unlust, since I argue that they deeply mark Kantian conception of both sensible perception and moral motivation. Finally, in the chapter’s conclusion I analyze the teleological argument of the Groundwork’s first section, its structure, its role in the entire work, and the relevance it assumes by taking into account the systematic function of the Kantian notion of character. The third chapter presents a study on the different meanings that Kant’s notion of respect assumes throughout the Groundwork, in the second Critique and in the Doctrine of Virtue. This analysis focuses in particular on the Kantian terms Bewegungsgrund and Triebfeder. The conclusion I draw from it is an assessment of Kant’s peculiar form of a priori affectivism. The final chapter’s arguments stem from the conclusions I drew in Chapter two concerning the relevance of teleology with regard to Kantian theory of morality and moral motivation. Besides commenting on the two explicitly numbered propositions about duty in Section one of the Groundwork (GMS, AA 04: 399.35-400.03 and GMS, AA 04: 400.17-19), I identify the first one, which has not been explicitly mentioned by Kant. The first proposition states the inclusion of the concept of good will in that of duty (GMS, AA 04: 397.06-08). This leads to the analysis of the meaning of Kant’s definition of good will as good in itself, and, at the same time, not corresponding to the whole and Highest Good. I finally study the alleged inconsistency and irrelevancy of Kant’s conception of the Highest Good in the framework of his theory of moral motivation, and I refute it: I eventually prove exactly the opposite, i.e. I point out the great importance and the coherent role that the Highest Good plays in Kant’s theory of moral motivation.
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DOMANESCHI, LORENZO. "Una cucina originale. Un’indagine qualitativa sulla “cucina di territorio” nel caso di una città del Nord Italia." Doctoral thesis, Università di Milano Statale, 2007. http://hdl.handle.net/10281/48973.

Full text
Abstract:
This study invites not to reduce food as either an object of consumption or an industrial commodity: in order to bridge this gap, it moves away from the classical theory of commodification or from any kind of network theory, drawing on the idea of food quality as a new cultural practice. Following the practice turn in contemporary social science, especially in the case of consumption theory, the paper goes on analyzing some culinary practices of a bunch of cooks working in a North Italian urban area, drawing critically on the concept of "new cultural intermediaries", in order to explain the empirical process of social empowerment which make those subject more and more able to fix a specific definition of "quality food". Using the empirical material taken from a broader research work and focusing mainly on in-depth interviews to those mundane chefs, this study intend to present the sort of symbolic "governance" they could play in the cultural process of food qualification when, as it happens in our empirical case, it is equalize or sometimes reduce to territorial features.
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Furlan, Enrico. "Una teoria dei comitati etici per la pratica clinica centrata sulla nozione di dignità umana." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3421892.

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Abstract:
Over the past 25 years Healthcare Ethics Committees (HECs) have spread in the U.S. and in Europe (and, more recently, in many non-western countries), since they have been identified as the bodies better suited to tackle the ethical issues which ever more often arise in the clinical setting. While international debate on the pre-conditions to grant them credibility has been ample, little attention has been devoted to two substantial conditions which only can guarantee that they work properly. They are, on one side, the assuming of a genuine ethical perspective and, on the other side, the individuation of a common basis from which to start the ethical debate in a pluralistic society. The present work claims that the notion of human dignity, justified in the framework of a personalistic ethical normative theory of Kantian derivation, can satisfy both the mentioned conditions. Furthermore, the work puts forward a methodology, coherent with the mentioned theory, for the justification of the ethical-clinical judgement. Such methodology, which aims at creatively integrating principles and experience under the constraint of the respect for human dignity, has the ambition to be a useful and flexible tool to support HECs’ deliberative activities.
Nel corso degli ultimi 25 anni si sono diffusi negli Stati Uniti e in Europa (e più recentemente in molti paesi non occidentali) i comitati etici per la pratica clinica, ritenuti essere gli organismi più adatti per affrontare le questioni etiche che, sempre più spesso, sorgono in ambito assistenziale. Mentre è stato ampio il dibattito internazionale sulle precondizioni che possono garantire la credibilità dei comitati etici, non è stata riservata adeguata attenzione alle due condizioni sostanziali che, sole, possono garantirne l’autentico funzionamento. Si tratta in primo luogo dell’assunzione di una genuina prospettiva etica e, in secondo luogo, dell’individuazione di una base minima condivisa a partire dalla quale avviare il dibattito etico in una società pluralistica. La presente ricerca sostiene la tesi che la nozione di dignità umana, giustificata nel quadro di una teoria etico-normativa personalista di derivazione kantiana, è in grado di soddisfare entrambe le condizioni sopra menzionate. Inoltre, nel lavoro viene proposta una metodologia per la giustificazione del giudizio etico-clinico, la quale metodologia è coerente con la teoria di cui si è detto ed è in grado di integrare in maniera originale principi ed esperienza, alla luce del vincolo del rispetto per la persona. Tale metodologia si presenta come uno strumento utile e flessibile per supportare le attività deliberative dei comitati etici per la pratica clinica.
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Trevisanato, Cecilia <1989&gt. "Teorie e implicazioni pratiche dell'era dello sviluppo." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/6675.

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Abstract:
Questo lavoro di tesi si propone di ripercorrere l'evoluzione e i cambiamenti subiti dal concetto di sviluppo nel corso del tempo, per arrivare a chiarire l'attuale valenza di questo termine e quale ruolo esso rivesta nelle politiche socioeconomiche. In una prima parte del lavoro, adottando una prospettiva storica, verranno ricostruite le trasformazioni subite dal concetto a partire dal secondo dopo guerra, epoca in cui lo studio dello sviluppo si impose come disciplina indipendente. Inizialmente sviluppo e crescita economica erano considerati, erroneamente, sinonimi. Attualmente, invece, si tende a fare una distinzione: alla nozione di sviluppo si riconosce un'accezione qualitativa e non puramente quantitativa, ammettendo che la crescita economica costituisce uno degli elementi che contribuiscono allo sviluppo di una nazione, ma non ne rappresenta una condizione necessaria e/o sufficiente. In secondo luogo, verranno presentate alcune visioni in contrasto rispetto alle principali teorie che sono riuscite a imporsi e a influenzare le politiche internazionali. L'insorgere di periodi di crisi assieme ai risultati deludenti ottenuti dall'applicazione delle teorie classiche hanno dimostrato le debolezze e limiti di alcuni approcci allo sviluppo, rivendicando la necessità di prestare maggiore attenzione all'individuo e di ripensare a uno sviluppo con ritmi più sostenibili e rispettosi dell'ambiente. L'ultima parte dell'elaborato tratterà la relazione esistente tra sviluppo e disuguaglianza sociale. Infatti le disuguaglianze presenti all'interno di una società possono impedire il processo di sviluppo in diversi ambiti: giustizia sociale, stabilità politica e crescita economica. Al fine di trasporre su un piano pratico queste considerazioni di carattere teorico, si è scelto di prendere in analisi due casi di studio: la Federazione Russa e il Brasile. Queste due economie emergenti hanno intrapreso processi di sviluppo differenti, pertanto ci si propone di considerare come, in un arco di tempo definito, queste due nazioni abbiano fatto fronte alle problematiche relative alla disuguaglianza sociale, quali siano state le politiche messe in atto e quali siano stati gli esiti e i risultati raggiunti. In conclusione, la revisione della parte teorica unita ai due casi di studio dimostrerà che lo sviluppo è un processo che si basa su un fragile equilibrio. Alla componente economica e a quella sociale deve essere attribuita la stessa importanza affinché lo sviluppo possa provare a eliminare le disuguaglianza presenti all'interno di una società.
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Finco, Susy <1985&gt. "Donne e lavoro: il soffitto di amianto. L'uguaglianza di genere dalla teoria alla pratica." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15605.

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Abstract:
La tesi trae spunto dalla lettura di un articolo del quotidiano finanziario “Il Sole 24 Ore”, nel quale si parlava delle disparità lavorative che le donne dovevano affrontare ogni giorno. Da qui nasce l’idea non solo di descrivere in modo esaustivo le disuguaglianze esistenti, ma anche di capire le soluzioni adottate dalla letteratura. Non a caso, il sottotitolo del presente lavoro parla di “ uguaglianza di genere dalla teoria alla pratica”. Il titolo della tesi “Donne e lavoro: il soffitto di amianto”, invece, ha origine dalla lettura di un libro di Avivah Wittenberg-Cox del 2011. Il libro, nello specifico, descrive le imprese circondate da “muri di amianto”, per far comprendere al lettore la pericolosità di una situazione in cui il talento femminile viene “sprecato” da molte aziende. Naturalmente, il presente lavoro parla di “soffitto di amianto” perché prende spunto dalla famosa metafora del “soffitto di vetro”, coniata negli anni Settanta. Il “soffitto di vetro” sta ad indicare la duplice natura della barriera che le donne affrontano nel mondo del lavoro: impenetrabile e invisibile. La stesura della tesi è stata supportata da un reale interesse personale verso l’argomento e dalla costante ricerca di soluzioni concrete da poter proporre nel presente lavoro di ricerca, attraverso la lettura di un’ampia letteratura. La tesi di divide in tre capitoli. Il primo capitolo mostra le varie correnti teoriche di pensiero, che si sono sviluppate negli ultimi anni. E conclude spiegando la normativa internazionale ed europea. Il secondo capitolo affronta il problema a livello nazionale. L’Italia, al pari di altri Paesi europei, soprattutto mediterranei, presenta disparità di genere evidenti. In questo capitolo, le disuguaglianze verranno descritte, se ne cercheranno le cause e si descriveranno le soluzioni attualmente praticate. Il terzo capitolo conclude il lavoro e affronta il problema a livello di singole imprese. Basando il capitolo sulle correnti teoriche di pensiero, ricavate nella prima parte del lavoro, si mostreranno le soluzioni proposte dalla letteratura, da applicare alle imprese. La conclusione più importante a cui è giunta la presente tesi è la necessità di affiancare al welfare pubblico, il welfare aziendale. I dati statistici vedono l’utilizzo del welfare aziendale in forte crescita nelle organizzazioni e ciò conferma la validità della proposta formulata. Segno che anche il legislatore e le aziende hanno deciso di intraprendere questa strada.
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Cestaro, Michela <1990&gt. "IL FEDERALISMO FISCALE: DALLA TEORIA ALLA PRATICA. IL PERCORSO ITALANO E IL PATTO DI STABILITA'." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4858.

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Abstract:
La prima parte dell'elaborato tratta il tema del federalismo fiscale sotto il profilo teorico, analizzando anche le modalità di finanziamento degli enti locali. La seconda parte analizza l'evoluzione del federalismo fiscale nel nostro Paese e il Patto di Stabilità Interno.
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Bugno, Lisa. "Analisi delle concezioni sulla diversità culturale tra teoria e pratica in educazione. Una ricerca-azione." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3421939.

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Abstract:
The authors who dealt with intercultural education described it as the essential fil rouge that should lead the conscious practice of educators and teachers. Irretrievably, however, the theories of these authors are not translated faithfully in the disparate representations of real life, but they remain written in interesting and challenging scenarios that only rare and skilful actors are able to stage, interpret them with clear knowledge of the contexts. What makes these players able to intercept the profound nature of the theories, to read clearly by the context in which they operate and to translate this into incisive practices? Why don’t those theories and contexts become a nice composition? Our hypothesis is that among the ingredients that compose this recipe there are the professional and personal beliefs of teachers, and that those related to diversity play a substantial role in the actors’ school life. Indeed, we highlight that “educational activity is related to the coherence between the aims it pursues and in its practical implementation, considering the issue of mediation between these two logical and procedural steps” (Agostinetto, 2013, p. 16). We suppose that right in this process of reading and translating, "mistakes" happen: we refer, in this context, to "mistakes that are not perceived like that, [and therefore] they are hardly explicated and criticized by the person who performs them” (Agostinetto, 2014, pp.73-74). The question that arises is, thus, almost rhetorical: what is there behind these mistakes? The assumption is that non-reflexed logics lead teachers’ personal and professional beliefs. Therefore, the focus of the dissertation is the relation between the teachers’ beliefs about diversity, and their teaching activities. Referring to the theoretical level, the notion of belief was largely studied: several authors contributed defining beliefs as implicit or explicit, stable or dynamic or understanding them as individual or a part of a system. The aim is to propose an accurate pedagogical consideration in order to clarify the relationship between theory and belief and how it can affect the practice. Regarding the empirical level, while keeping the recursive relationship between theory and practice as fundamental, on the basis of a model-based approach, and using an epistemological model especially useful to chance, the characteristics of the relationship between educational theory and beliefs in teachers are investigated. The content is that of diversity on intercultural perspective, preliminarily identified and justified in theory, in order to recognize it on the empirical level». Regarding the empirical level, the relation between theory, beliefs, and the teaching activities on diversity is examined in detail using integrated analysis tools, and considering the recursive correlation between theory and practice in education as fundamental. The objectives were to investigate whether and how beliefs about diversity have implication in the education project design and in teachers’ actions. We chose to involve 3 groups of 10 primary teachers and handle a qualitative approach. We examined the “direct explicit” beliefs through teachers’ interviews, whereas their “indirect explicit” beliefs are studied thanks to the analysis of intercultural education school projects. Furthermore, the participant observation were useful to investigate the teachers’ “implicit” beliefs. Finally, the analysis of the interviews was useful to define guidelines for the participant observation in addition to topics and contents to discuss and reflect on during the focus groups. «This is extremely relevant, if we compare the school and the astronomical universe, thus considering it as a matter of delicate but essential balance, as the existence of gravitational waves in space-time that allow, simultaneously, a balanced, continuous and enchanting becoming» (Agostinetto & Bugno, 2016, pp. 148-151).
«Gli autori che si sono occupati di pedagogia interculturale, la descrivono come un irrinunciabile fil rouge che dovrebbe condurre le consapevoli pratiche di educatori ed insegnanti. Irrimediabilmente, però, le teorie di questi stessi autori non si traducono fedelmente nelle disparate rappresentazioni della vita reale, ma rimangono scritte in intriganti e stimolanti sceneggiature che solo rari, abili ed illuminati attori, riescono a mettere in scena, abitandole con nitida cognizione di causa. Che cosa rende questi attori in grado di intercettare contemporaneamente la profonda natura delle teorie, di leggere in modo chiaro il contesto in cui operano e di tradurre tutto ciò in pratiche incisive? E, al contrario, che cosa fa sì che, in altri casi, teorie e contesti non vengano interpretati in modo da risultare una piacevole composizione? La nostra ipotesi è che tra gli ingredienti che compongono tale raffinata ricetta vi siano le concezioni degli insegnanti e che quelle relative alla diversità giochino un ruolo sostanziale nel dipanarsi della vita scolastica dei diversi attori. Infatti, è necessario sottolineare “come l'azione educativa sia legata alla coerenza tra gli intenti che persegue e la loro realizzazione pratica, chiamando quindi in causa il problema della mediazione tra questi due passaggi logico-procedurali” (Agostinetto, 2013, p. 16). È proprio in questa operazione di lettura e traduzione che noi pensiamo accadano degli “errori”: occorre specificare che ci si riferisce, in questo contesto, a degli “errori che non sono percepiti come tali […] [e che, dunque,] difficilmente hanno la possibilità di essere esplicitati e assunti criticamente dalla persona che li compie” (Agostinetto, 2014, pp.73-74). La domanda che ne sorge assume, di conseguenza, un colore quasi retorico: dove poggiano tali errori? L’ipotesi è che alla base vi siano delle logiche irriflesse rispetto alle concezioni degli stessi insegnanti. Pertanto, l’attenzione per quanto riguarda la scelta del focus di ricerca si è concentrata sulla relazione tra le concezioni rispetto alla diveristà e le scelte pedagogiche degli insegnanti. Ciò determina una specifica attenzione orientata sul piano teorico: infatti, dopo una prima ricognizione bibliografica, è emersa una molteplicità di termini utilizzati dagli studiosi per riferirsi a concetti molto simili tra loro che richiede un lavoro di analisi e sistematizzazione volto a chiarire e specificare le diverse accezioni dei concetti, per proporre una riflessione significativa sul piano pedagogico». (Agostinetto & Bugno, 2016, p. 148-151). Inoltre, si è proceduto sul versante empirico: ritenendo fondamentale il nesso ricorsivo tra teoria e pratica sulla base di un approccio modellistico e assumendo a propria guisa un modello epistemologico particolarmente utile (Dalle Fratte, 1986, 2004), si sono indagate le caratteristiche della relazione tra la teoria pedagogica e le concezioni negli insegnanti. L’ambito contenutistico è stato quello della diveristà in prospettiva interculturale, sfera preliminarmente identificata e giustificata sul piano teorico, perché sia riconoscibile su quello empirico. Riguardo al livello empirico, tale relazione è stata esaminata utilizzando strumenti di analisi integrati a matrice qualitativa e coinvolgendo tre gruppi di dieci docenti di scuola primaria ciascuno, al fine di indagare se e in che modo le concezioni sulla diversità culturale hanno implicazioni sulla progettazione e sulle pratiche educativo-didattiche degli insegnanti. Abbiamo esaminato le concezioni "esplicite dirette" dei partecipanti attraverso interviste semi-strutturate, mentre quelle "indirette esplicite" sono state studiate grazie all'analisi documentale delle progettazioni. Inoltre, l'osservazione partecipante è stata utile per investigare le loro concezioni "implicite". L'analisi delle interviste è stata utile per definire le linee guida per le osservazioni partecipanti e i dati raccolti attraverso i tre strumenti di indagine hanno determinato argomenti e contenuti su cui gli insegnanti hanno discusso e riflettuto durante i focus group. «Tutto ciò appare estremamente rilevante, se si paragonano l’universo scolastico e quello astronomico, ovvero se si considera il tutto come una questione di delicati ma fondamentali equilibri, esattamente come il dipanarsi delle onde gravitazionali nello spazio-tempo che consentono, contemporaneamente, equilibrio e continuo, incantevole divenire» (Agostinetto & Bugno, 2016, pp. 148-151).
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Cavallo, Marta <1990&gt. ""La gestione della barbarie". Aspetti teorici e risvolti pratici del jihadismo globalizzato." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/9370.

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Abstract:
Il jihadismo globale rappresenta l’evoluzione del pensiero jihadista, le cui azioni attuali influenzano profondamente la politica mediorientale ed internazionale. Gruppi terroristici come il sedicente Stato Islamico (Isis) o al-Qaida sono espressione di un fenomeno estremamente complesso che trova le sue radici nel pensiero jihadista. In questa tesi saranno analizzate teorie e pratiche del jihadismo contemporaneo globalizzato. In particolare sarà analizzato un testo chiamato “La gestione della barbarie”, considerato uno dei testi ispiratori del neo-califfato che sta seminando terrore in Medio Oriente e non solo. Prima di poter analizzare il testo saranno studiate le principali dottrine del pensiero politico islamico che hanno utilizzato o promosso l’uso del jihad. Dopo l’analisi del significato di jihad nelle sue varie accezioni verrà studiata l’evoluzione di questo concetto nel corso dei secoli, secondo le teorie di alcuni dei più importanti riferimenti teorici per i jihadisti oggi: Ibn Taymiyya, Abd al-Wahab, Hassan al-Banna, Sayyd Qutb, Mawdudi. Il jihadismo non ha solo una componente teorica ma si origina in un particolare momento storico, identificabile con la guerra in Afghanistan, dove si gettarono le basi per la creazione di al-Qaida e dell’internazionalizzazione del jihadismo. Sarà analizzato dunque il pensiero dei più importanti esponenti del jihadismo globalizzato come Bin Laden, Azzam, al-Zawahiri. Infine sarà necessario analizzare il contesto in cui l’Isis ha potuto originarsi, cioè l’Iraq nel 2003 in seguito all’invasione americana. Saranno presentate le strategie e gli ideali che persegue questa organizzazione terroristica, per estrapolare gli strumenti necessari all’analisi del testo “La gestione della barbarie”. Saranno analizzati contenuti e obiettivi del testo, cercando di interpretare e comprendere in che misura questo testo sia stato fonte di ispirazione per il neo-califfato nonché averne predetto l’avvento in Medio Oriente.
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Stefanini, Mauro <1990&gt. "Sostenibilità e business modelling nel comparto agricolo: studio teorico ed applicazione pratica." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5290.

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Abstract:
L’avvio di un cammino verso la sostenibilità per le imprese, è una strada non semplice e lastricata di difficoltà ed imprevisti. La creazione di valore tripartito (in ottica economica, sociale ed ambientale), oltre a garantire reversibilità e certezza di soddisfacimento dei bisogni delle generazioni future, sempre più assicura durabilità d’impresa ed innovazione. Infatti, facendo riferimento ai modelli di business improntati in chiave sostenibile, la revisione dello status quo ed interventi mirati ai ripensamenti dei business tradizionali, offrono opportunità imprenditoriali in grado di produrre valore per gli shareholders e per una più ampia categoria di stakeholders. Nel seguente lavoro, i concetti di “sostenibilità” e “business modelling” vengono traslati al settore agricolo italiano; dapprima trattandoli in chiave teorica, quindi descrivendo le principali peculiarità del comparto citato, nella terza parte si farà riferimento a dei casi concreti nei quali i principi della sostenibilità e della multifunzionalità, attribuiscono un vantaggio competitivo alle iniziative in analisi, dimostrando qualitativamente il valore in chiave tripartita da queste generato. Inoltre, partendo dai casi di studio, si identificheranno alcune linee guida per uno sviluppo multifunzionale, in ottica sostenibile, delle imprese nel settore, al fine di far fronte al gap competitivo cui queste sono assoggettate ed indicare potenziali vie di creazione di valore economico, sociale ed ambientale. Nella parte conclusiva, i temi trattati saranno funzionali allo scopo ultimo del seguente lavoro: divenire strumento conoscitivo di base per l'impostazione di una attività imprenditoriale in ambito agricolo.
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Allegrini, Vincenzo. "La nuova retorica della memoria. Teorie e pratiche di memorizzazione da Vico a Leopardi." Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2019. http://hdl.handle.net/11384/86110.

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Abstract:
Gli ormai classici studi di Frances A. Yates e di Paolo Rossi sull’ars memoriae si chiudevano entrambi nel nome di Leibniz, poiché è possibile, scriveva la studiosa warburghiana, che con il filosofo di Lipsia, nel quale culmina e allo stesso tempo si esaurisce la tradizione sia lulliana sia ermetico-occultista, «si arresti l’influsso dell’arte della memoria come fattore nei progressi fondamentali dell’Europa»1 . Eppure, continua Yates, libri sulla mnemotecnica continueranno ad apparire (più avanti ne vedremo due esempi), e «probabilmente si potrebbe scrivere un altro libro che estendesse l’esame dell’argomento ai secoli successivi»2 . Le pagine che seguono non hanno un obiettivo così ambizioso, ma mirano a rintracciare ciò che resta, o non resta, della disciplina inaugurata da Simonide nell’arco cronologico che va da Vico a Leopardi. Tra questi due estremi, si è scelto di indagare testi e autori meno approfonditi dalla critica (Muratori, Conti, Genovesi e Bettinelli) con uno sguardo attento a una serie di fattori socioculturali di vasta portata: la crisi della retorica e la sempre più diffusa ‘scritturalizzazione’ della memoria (e dunque il diverso rapporto con la voce e con le immagini); la scissione tra segni, parole e cose (ovvero, in termini foucaultiani, il passaggio dalla cultura della somiglianza a quella della differenza) 3 ; l’esplosione del moderno mercato editoriale, la minaccia del troppo e il ‘collasso’ dell’enciclopedia; o ancora, l’affermarsi di un’estetica dell’originalità e la differente funzione attribuita alla memoria e alla fantasia nei processi creativi e conoscitivi (entrambe, almeno da Cartesio in poi, associate all’errore, ma con significative eccezioni, tra le quali, per non dire di Vico e Leopardi, vi è senz’altro Bettinelli e in parte anche Conti). [...].
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Scapin, Gessica. "«Il s'agit d'être». Teoria e pratiche di formazione dell'attore secondo Jacques Copeau." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422148.

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Abstract:
This PhD dissertation on metteur en scène Jacques Copeau deals with a subject-matter that has not been studied enough in depth yet. By skipping topics that have already been widely covered by various essays and treatises on the author, this research focuses on looking into that part of poetics concerning the outsets of dramatic art education, more specifically of the comédien, and the process of creating a character. The starting point for this research work is the study of how an actor’s training in France has evolved since the 18th century. This point of departure has given us the opportunity to recognize the outsets and innovative practice of the Vieux-Colombier-style dramatic art education; especially when we take into consideration the links and influence between Copeau’s theories and the ideas and practice of some sections of human pedagogy, that both in the 1800s and particularly in the 20th century reviewed the previous concept of didactics and training in order to add new concepts related to the learning process and the teacher-student relationship. In order to give in-depth study to the subject-matter of acting schools and pedagogy, I have also looked into and drawn the analogy between Gordon Craig’s Arena Goldoni and l'École du Vieux-Colombier, the similarity with the Russians (in particular Vachtangov), the French unanimism movement and some of Delsarte’s theories. Much detail has been given to the section regarding the survey on an actor’s talent, its nature and physical training at the École du Vieux-Colombier. In reference to the player’s work, this research studies in depth the script / acting-the-part combination that characterizes Copeau’s whole work and that has often been considered a contradictory point in his poetics. The organic nature of his thought on creating a character and staging has been reconstructed without leaving out the analysis of the playwright’s and the director’s role. This research work ends with an annotated bibliography, in which Copeau’s scripts are selected according to the subject-matter dealt with in the thesis.
La presente tesi di dottorato sul regista francese Jacques Copeau affronta un argomento i cui studi sono ancora poco approfonditi. Tralasciando infatti questioni già ampiamente trattate in varie monografie dedicate all’autore, la ricerca si occupa di indagare la parte della poetica che riguarda i principi dell’educazione drammatica, in particolare del comédien, e il processo di costruzione del personaggio. Il punto di partenza del lavoro è l’indagine di come si sia evoluta la formazione dell’attore in ambito francese a partire dal Settecento. Questo punto di partenza ha permesso di riconoscere i principi e le pratiche innovative dell’educazione drammatica al Vieux-Colombier. Ciò in particolare se si considerano i legami e le influenze tra le teorie di Copeau e le idee e le pratiche di certa pedagogia dell’uomo, che sia nell’Ottocento che, in particolare, nel Novecento rivedono la precedente concezione della didattica e dell’educazione, per inserire concetti nuovi in relazione al processo di apprendimento e al rapporto educatore-educando. Per approfondire l’argomento della scuola e della pedagogia d’attore, vengono indagate anche le somiglianze fra l’École du Vieux-Colombier e l’Arena Goldoni di Gordon Craig, i russi, in particolare Vachtangov, il movimento dell’unanimismo francese e alcune teorie di Delsarte. Particolarmente approfondita anche la sezione che riguarda l’indagine sull’origine e la natura della vocazione drammatica e sull’allenamento fisico all’École du Vieux-Colombier. Per quanto riguarda nello specifico il lavoro d’attore, la ricerca ha consentito di indagare il binomio testo/improvvisazione, che caratterizza tutto il lavoro di Copeau e che è spesso stato considerato un punto contraddittorio nella sua poetica. L’organicità del suo pensiero sul lavoro di costruzione del personaggio e messinscena è stata ricostruita senza tralasciare l’analisi del ruolo dell’autore né di quello assunto dal regista. Il lavoro di ricerca si conclude con una bibliografia ragionata, in cui i testi di Copeau sono selezionati in linea con l’oggetto di indagine della tesi.
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Pasquini, Elisabetta. "L'esemplare, o sia saggio fondamentale pratico di contrappunto : Padre Martini, teorico e didatta della musica /." Firenze : L. Olschki, 2004. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb39278984p.

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Longo, Federica <1995&gt. "Linguistica dei corpora e corpora linguistici: analisi teorica ed indagine pratica per lo studio della lingua russa contemporanea di Internet." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/20899.

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Abstract:
Questo studio offre un’analisi teorica ed un’indagine pratica per lo studio della lingua russa contemporanea su Internet. Il primo capitolo tratta della linguistica dei corpora, dalle sue origini ad oggi, e degli approcci alla disciplina corpus-based e corpus-driven. In seguito, vengono descritti gli sviluppi diacronici della linguistica dei corpora in area anglofona, in Italia e in Russia. Il secondo capitolo riguarda i corpora linguistici tradizionali: oltre alle numerose definizioni di corpus linguistico proposte dai principali autori, vengono illustrate le caratteristiche essenziali dei corpora, quali formato elettronico ed autenticità dei dati, rappresentatività, bilanciamento del corpus, nonché le varie tipologie di corpora linguistici. Il terzo capitolo si focalizza sul Web as Corpus, fornendo una descrizione di questo approccio innovativo e controverso e delle principali critiche mosse nei confronti di questo approccio. Successivamente viene illustrato l’approccio Web for Corpus e le modalità di creazione dei cosiddetti Web Corpora. Il terzo capitolo si conclude con l’analisi di due problematiche relative ai Web corpora, il copyright e il netspeak, la lingua di Internet. Il quarto ed ultimo capitolo presenta l’analisi pratica svolta su oltre 80 lessemi del netspeak russo contemporaneo e realizzata mediante il Corpus Nazionale della Lingua Russa e due Web Corpora, il RuTenTen11 e il RuTenTen17. A conclusione della ricerca vengono illustrati i risultati ottenuti.
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Lucciardi, Marcella. "Il moto vario: metodi risolutivi di casi teorici e pratici." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amslaurea.unibo.it/16991/.

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Abstract:
Concetti di base riguardanti il moto vario nelle condotte: linee guida e metodi per risolvere i casi più semplici e comuni utilizzando Matlab (con alcuni esempi). Risoluzione di un caso pratico con la chiusura brusca di un otturatore al termine di una condotta di caratteristiche geometriche note.
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Musco, Francesco <1973&gt. "Sostenibilità e azione integrata per la rigenerazione delle città: teoria e buone pratiche a Copenhagen, Londra e Barcellona." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2007. http://hdl.handle.net/10579/379.

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Scarfone, Marianna. "La psichiatria coloniale italiana : teorie, pratiche, protagonisti, istituzioni 1906-1952." Thesis, Lyon 2, 2014. http://www.theses.fr/2014LYO20035.

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Abstract:
Ce travail aborde les développements de la psychiatrie dans les colonies italiennes de la Corne de l’Afrique et de la Libye. La psychiatrie coloniale – que l’on appelle aussi ‘ethnographique’, ‘comparée’, ‘raciale’ – se nourrit de théories anthropologiques consolidées, de mensurations anthropométriques, d’observations cliniques ; c’est dans ce cadre complexe qu’elle émerge comme discipline autonome, en partie au moins, par rapport à la psychiatrie de le mère-patrie et qu’elle contribue au bon fonctionnement du régime colonial. Les protagonistes sont en premier lieu les médecins et les patients ; à l’arrière plan on trouve aussi les administrateurs et les hommes politiques, ou encore les familles et les communautés d’origine des patients. À travers des documents précieux comme les dossiers médicaux, il est possible de reconstituer les parcours des patients, de raconter des histoires de vie et d’identifier des éléments récurrents dans les différentes expériences. De plus, grâce à la documentation privée de certains médecins coloniaux, il est possible de saisir les motivations qui poussaient certains spécialistes à venir exercer dans les colonies. L’étude de la littérature psychiatrique de l’époque, associée à l’analyse des parcours des médecins, fait apparaître les échanges et les influences qui marquaient l’activité des psychiatres coloniaux. En ce sens il m’a semblé important d’analyser les modèles anglais et français dont les médecins italiens déclarent s’inspirer dans leur réflexion théorique et donc dans la construction de la discipline ainsi que dans les solutions pratiques mises en œuvre pour faire face à la question psychiatrique dès le début des différentes expériences coloniales. Le nœud de l’assistance aux colons et aux militaires qui présentaient des troubles psychiques, ainsi qu’aux indigènes considérés fous, a plus retenu l’attention dans la colonie libyenne (déjà en 1911-1912, avec des réalisations institutionnelles dans les années trente) tandis que dans les colonies de l’Afrique orientale italienne, la question de l’assistance psychiatrique a été moins débattue, débouchant par conséquent sur très peu de réalisations pratiques
The dissertation reviews the ways in which psychiatry developed in the Italian colonies in the Horn of Africa and in Libya. Colonial psychiatry – variously called “ethnographic”, “comparative”, or “racial” psychiatry – drew on established anthropological theories, anthropometric measurements and clinical observations, the consistently-organized framework within which it emerged as an discipline supporting colonial government and at least partially independent of psychiatry in the home country. The primary interaction within this colonial psychiatry was that between doctors and patients; in the background were the colonial administrators, the political decision-makers, and the patients’ families and home communities. Precious documentary resources such as medical records let us trace patients’ careers, tell their life stories, reconstruct typical cases and confirm recurrent features in their various experiences; from the private papers of some colonial doctors we can gather the specialists’ motivations to move to the colonies; and an examination of the psychiatric literature of the day enables us to reconstruct the discussions and inspirations which fostered the work of the colonial psychiatrists. I have recognized the importance of analysing the British and (still more) the French models from which the Italian clinicians claimed to draw their inspiration, both in terms of theory (and the construction of the resulting discipline), and in the practical solutions implemented to tackle psychiatric issues from the earliest days of the various colonial experiments. This issue – of supporting psychiatrically-afflicted colonists and soldiers and natives regarded as “mad” – was paid most attention in the Libyan colony, starting in the very first months of the occupation (in 1911 and 1912) and then taking institutional form in the 1930s; in the colonies of what was known as “Italian East Africa”, on the other hand, there was less discussion of psychiatric support and correspondingly limited practical achievements
La tesi percorre gli sviluppi della psichiatria nelle colonia libica e nelle colonie del Corno d’Africa. La psichiatria coloniale – che assume denominazioni diverse: ‘etnografica’, ‘comparata’, ‘razziale’ – si nutre di teorie antropologiche consolidate, di misurazioni antropometriche, di osservazioni cliniche ed è in questo quadro articolato che emerge come disciplina autonoma, almeno in parte, rispetto alla psichiatria della madrepatria, e funzionale al buon ordine del regime coloniale. Nella cornice della psichiatria coloniale interagiscono in primo luogo medici e pazienti; sullo sfondo ci sono gli amministratori e i decisori politici, le famiglie e le comunità di provenienza dei pazienti. Attraverso documenti preziosi come le cartelle cliniche è possibile tracciare le traiettorie dei pazienti, raccontare storie di vita, ricostruire casi esemplari e fissare dei punti ricorrenti nelle diverse esperienze. Grazie alla documentazione privata di alcuni medici coloniali è possibile cogliere le ragioni che spingevano gli specialisti in colonia. Infine la letteratura psichiatrica del periodo preso in esame permette di ricostruire gli scambi e le ispirazioni che alimentavano l’attività degli psichiatri coloniali. In tal senso si è ritenuto importante analizzare i modelli inglese e soprattutto francese a cui i medici italiani dichiarano di ispirarsi, sia nella riflessione teorica e quindi nella costruzione della disciplina, sia nelle soluzioni pratiche attuate per far fronte alla questione psichiatrica sin dai primi tempi delle diverse esperienze coloniali. Tale questione, ovvero il problema dell'assistenza ai coloni e ai militari che presentavano disturbi psichiatrici nonché agli indigeni ritenuti folli, ha ricevuto maggiore attenzione nella colonia libica, e questo sin dai primi mesi della sua occupazione, tra 1911 e 1912, per poi manifestarsi in realizzazioni istituzionali negli anni Trenta; mentre nelle colonie della cosiddetta Africa Orientale Italiana il tema dell’assistenza psichiatrica è stato meno dibattuto, sfociando pertanto in scarse realizzazioni pratiche
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Maiorca, Elisa. "Dalla pratica militante allo slancio profetico. Aldo Capitini e la pedagogia della tramutazione in un contesto di ricerca teorico e di prassi operativa." Thesis, Università degli Studi di Catania, 2011. http://hdl.handle.net/10761/201.

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Abstract:
Il lavoro nella prima parte ricostruisce il pensiero pedagogico, politico e religioso di Aldo Capitini; analizza la sua personalita' all'interno del contesto storico in cui visse e del dibattito culturale del suo tempo. Aldo Capitini fu un intellettuale della pace e della nonviolenza; il suo messaggio e' estremamente attuale e vivo in un mondo ancora ricco di conflitti e di guerre. Capitini fu un pensatore scomodo e isolato, fondamentalmente anarchico; fu ispirato anche da una profonda religiosita', da alti principi etici, dal bisogno di ricercare la giustizia, il bene e la verita' per tutti. Il suo pensiero si fonda sul dialogo e sullâ incontro in nome di un totale rispetto della dignita' dell'altro uomo. Per Capitini lâ educatore deve ricercare l'altro e saper ritrovare in lui la piu' compiuta umanita'. Pertanto Capitini si colloca nel dibattito mondiale del pensiero pacifista. Egli non fu soltanto un filosofo, un uomo spirituale, ma ha fornito, anche a noi contemporanei, indicazioni su come fare educazione e su chi e' il vero educatore nonviolento. Il suo messaggio e' originale, perche' ricco di stimoli etici, politici, religiosi, pedagogici. In Capitini teoria e pratica dell'educare si intrecciano per diventare pedagogia democratica e azione concreta in funzione della cooperazione, della solidarieta' e percio' puo' essere considerato come un modello per operare sul territorio con adolescenti a rischio e per costruire una societa' veramente democratica ed aperta al cambiamento.
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Maestri, Matteo. "Potenzialita di una linea ferroviaria: confronto tra blocco fisso e blocco mobile." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/9373/.

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Abstract:
Nella prima parte dell'elaborato vengono introdotti dei concetti basilari del sistema ferroviario necessari al proseguo della trattazione: i sistemi di circolazione utilizzati in Italia, le sezioni di blocco, i sistemi di sicurezza e di controllo della marcia, il sistema ERTMS a livello europeo. Nella seconda parte, dopo aver introdotto il concetto di capacità, vengono analizzati nel dettaglio e confrontati, in termini di capacità teorica, i sistemi basati sul blocco fisso e sul blocco mobile. Vengono quindi proposti i metodi utilizzati per il calcolo della capacità reale, prestando particolare attenzione al metodo dei coefficienti di ritardo specifico D e di stabilità X. Da quest' ultimo e con l'introduzione dei livelli di servizio, viene analizzato il rapporto che lega la capacità con la qualità della circolazione. Infine viene proposto un confronto tra le linee convenzionali e le linee AV/AC in Italia, evidenziando il rapporto tra le caratteristiche di velocità e di capacità.
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Lipreri, Vera <1987&gt. "Cultura come bene comune: la prospettiva delle occupazioni culturali in Italia. Teoria e pratiche di un modello di produzione culturale dal basso." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5023.

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Abstract:
Il presente lavoro intende analizzare il recente fenomeno delle occupazioni culturali in Italia. Obiettivo finale è quello di verificare se questi nuovi spazi, basati sulla partecipazione allargata e l’orizzontalità decisionale, possano effettivamente rappresentare una terza via che permetta alla produzione culturale di affrancarsi dai modelli generalmente proposti come vincolanti: la gestione pubblica-statale e il meccanismo neo-liberista delle industrie culturali. Entrambi i paradigmi presentano infatti contraddizioni, vincoli ed effetti negativi che hanno portato alla nascita delle occupazioni culturali in molte città italiane, è dunque opportuno chiedersi: può la cultura come bene comune (commons) rappresentare un modello di produzione e gestione culturale applicabile in più contesti? Il discorso proposto si sviluppa in quattro capitoli: il primo tenta di fornire un quadro dei modelli di produzione e gestione culturale mainstream (stato e industrie culturali); è dunque fornita un’analisi, da un lato, delle politiche italiane in materia di finanziamenti alla cultura, dall’altro, del Manifesto per la Cultura del Sole 24 Ore. Il capitolo si conclude con un approfondimento sul nuovo programma di finanziamento europeo Creative Europe. Il capitolo successivo traccia un quadro delle pratiche e dei discorsi teorici nati all’interno degli spazi occupati per la cultura. Per necessità di sintesi ci si concentra su tre realtà (S.a.L.E. Docks di Venezia, Teatro Valle Occupato di Roma e Macao di Milano), delle quali si individuano peculiarità e attività principali, indicando come esse si collochino all'interno di un discorso teorico coerente e condiviso dai diversi spazi. Il capitolo procede per macro-temi: critica all’industria culturale (lavoro cognitivo/precariato, critica del grande evento, rapporto con i pubblici); rapporto con la città (occupazione vs gentrificazione/speculazione); cultura come commons (nuove forme di gestione orizzontale e partecipata); istituzionalizzazione del comune (nuovo diritto, nuova economia). Il terzo capitolo è dedicato ad Open#6, progetto realizzato da S.a.L.E. Docks, qui presentato come esempio del diverso modello di produzione realizzato dalle occupazioni culturali. Il capitolo finale tenta di sintetizzare le prospettive che si aprono per il futuro di questi spazi. Centrale è la necessità di rafforzare ed allargare la “rete” di realtà affini che si è venuta a creare negli ultimi anni. Il capitolo è concluso dall’analisi del progetto #apparecchioper, primo tentativo concreto di realizzare una rete allargata di spazi di produzione culturale indipendente, ideato da Macao, Asilo, S.a.L.E. Docks e presentato al bendo “CheFare?”.
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DEL, PIZZO Antonella. "Sinergie di potere e d’immagine tra politica e lobby: uno studio teorico e pratico sulle dinamiche di scambio presso il Parlamento europeo." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2013. http://hdl.handle.net/10446/28763.

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ENNA, ANTEA. "Riduzione del rischio di conflitto tra teoria e pratica: il caso studio libanese. Una strategia per prevenire una destabilizzazione socio-economica in Medio Oriente." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2020. http://hdl.handle.net/10280/78877.

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Abstract:
Questa ricerca definisce il concetto di riduzione del rischio di conflitto e fornisce una strategia di gestione del rischio di conflitto. Lo scopo è quello di contribuire alla Peace Research e ai Conflict studies costruendo un approccio di prevenzione basato sul rischio. La metodologia utilizzata in questo studio è interdisciplinare. Questo aspetto ha permesso di convalidare il quadro analitico sviluppato attraverso l'analisi di un caso studio che ha incluso un lavoro sul campo con l'impiego di strumenti antropologici. Il caso libanese è stato scelto per la recente storia conflittuale e le odierne condizioni in cui versa il paese, sottoposto a innumerevoli pressioni socioeconomiche. Infatti, la crisi siriana e i massicci flussi di rifugiati hanno avuto un impatto significativo sul Libano, destabilizzando ulteriormente un paese già fragile e scatenando diverse ondate di violenza, la cui manifestazione ha avuto e ha luogo a livello micro e macro in diverse forme. La storia conflittuale e le esperienze di migrazione, le pressioni economiche e sociali e i pregiudizi derivanti dall’errata percezione reciproca tra libanesi e siriani costituiscono la base da una parte per un alto rischio di micro-conflitti, e dall’altra, a livello macro, un possibile input per una destabilizzazione socioeconomica che sfoci in una contrapposizione conflittuale che tenga conto delle dinamiche irrisolte della società libanese. Considerando l'obiettivo pratico di questo lavoro, che si concentra sull’elaborazione di una strategia di gestione dei rischi di conflitto, sarà fornita un'analisi programmatica, tenendo conto delle buone pratiche implementate da Organizzazioni Internazionali e ONG.
This research aims at defining the concept of Conflict Risk Reduction and providing a Conflict Risk Management Strategy. The purpose is to contribute to the Peace research and Conflict Studies field by offering a conflict risk-based prevention approach. The methodology used in this study is of interdisciplinary nature. This, in subsequence allowed me to apply the case study approach to validate the analytical created framework and to perform prolonged fieldwork employing anthropological tools. The Lebanese case represents a rich field for these research purposes due to its recent conflict history that crucially marked the country and its consequences that are still fathomable today in addition to the current pressure circumstances. Indeed, the Syrian crisis and the massive refugee flows have a significant impact on Lebanon leading to several waves of violence. The country’s history of conflict and migration, the economic and social grievances and the misperception among Lebanese and Syrian refugees constitute the base for a high risk of micro conflicts in Lebanon. Considering the practical aim of this work which focuses on Conflict Risk Disaster Management strategy, a programmatic analysis will be provided, taking into account the best practices implemented by International Organisations and NGOs.
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Cerutti, Dario. "Teorie e pratiche dello storytelling organizzativo. Applicabilità di modelli di comunicazione narrativa a imprese ed istituzioni: stabilizzazione metodologico-disciplinare e sviluppo operativo." Doctoral thesis, Università del Piemonte Orientale, 2020. http://hdl.handle.net/11579/115039.

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Abstract:
La tesi si colloca nel contesto di un Apprendistato di Alta formazione e ricerca, un percorso triennale orientato allo sviluppo sinergico di competenze di ricerca e di competenze operativo-professionali. I caratteri della formula prevedono il coinvolgimento di un soggetto privato proponente e di un’istituzione universitaria, i quali stabiliscono in modo condiviso motivazioni, contenuti ed obiettivi del progetto formativo. Le modalità di svolgimento rappresentano un presupposto interpretativo utile alla comprensione della vocazione marcatamente operativa del lavoro, che ha il suo obiettivo privilegiato nel tentativo di far convergere sapere (umanistico) e saper-fare. Oggetto dello studio è un’indagine pratico-teorica sulle strategie e sui meccanismi di comunicazione ad approccio narrativo che le organizzazioni complesse mettono in atto in diverse aree d’intervento e con diverse finalità strategiche: posizionare un brand, trasmettere valori, suscitare empatia ed emozioni, suggerire comportamenti d’acquisto, gestire le risorse umane… Tale argomento è di norma associato all’ampia ed inclusiva nozione di Organizational Storytelling, termine nel quale possiamo includere un insieme assai eterogeneo di pratiche creative e performative adottate da imprese o istituzioni e basate su un approccio narrativo alla realtà. Obiettivo ad ampio raggio del lavoro di tesi può essere considerato la stabilizzazione metodologica e concettuale della nozione e la sistematizzazione del suo uso in ambito organizzativo. Da un punto di vista strutturale, il discorso di tesi appare diviso in due macrosettori complementari: una prima parte di analisi teorico-formale, ed una seconda parte più rispondente alla vocazione operativa del progetto, dedicata cioè alla descrizione di casi-studio in cui le proposte formalizzate in precedenza hanno trovato concreta applicazione.
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Martelliano, Vito. "La Citta e il mare : elementi teorici e pratici per la progettazione urbana delle citta costiera in Italia e in Francia, 1975-2003." Paris 8, 2004. http://www.theses.fr/2004PA082362.

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Abstract:
La modification radicale de la ville qui n'est plus basée sur la règle de la proximité, la perte de sens de l'opposition ville-campagne et l'explosion des phénomènes de dispersion urbaine imposent un profond et radical changement dans les critères et dans les logiques appliquées aux analyses des systèmes côtiers. La côte tend toujours plus à devenir un continuum anthropique, une ville-territoire côtière dans laquelle les vieilles villes ou les anciens ports endossent le statut de nœuds et où le système naturel côtier tend à devenir, malheureusement, le jardin du monde urbanisé. La réflexion sur les notions de paysage côtier, flux, ville-territoire et projet urbain nous permet de comprendre le territoire côtier comme le lieu dans lequel des flux maritimes et terrestres se rencontrent et se heurtent, dessinant et donnant forme aux relations entre terre et mer. À partir de ces considérations la recherche développe l'observation sur trois ville méditerranéennes: Marseille, Gènes et Syracuse
La modificazione radicale della città non più fondata sulla regola della vicinanza, la perdita di senso della contrapposizione città-campagna e l'esplosione dei fenomeni di dispersione urbana impongono un profondo cambiamento nei criteri e nelle logiche applicate all'analisi dei sistemi antropici costieri. Il litorale tende sempre più spesso a divenire un continuum antropizzato, una città-territorio costiera in cui le vecchie città o gli antichi porti assumono valenza di nodi, dove il sistema naturale costiero si riduce sciaguratamente a giardino del mondo urbanizzato sotto la spinta di nuovi processi di urbanizzazione in gran parte informali. La riflessione sui concetti di paesaggio costiero, flusso, città-territorio e progetto urbano ci permette di leggere il territorio costiero come luogo in continua mutazione in cui un complesso sistema di flussi si incontrano-scontrano, si trasformano l'uno nell'altro, determinandone la struttura e le trasformazioni del limite città-mare. Muovendo da queste considerazioni si sviluppa l'indagine relativa a tre città mediterranee: Marsiglia, Genova e Siracusa
The radical change in the city (no longer based on the proximity principle), the loss of the balanced distinction between town and country, and the explosion in examples of urban dispersion call for a profound rethinking of the criteria and logic to be applied in the analysis of manmade coastal systems. The shoreline, the coast, is evolving towards a manmade continuum, a coastal city-territory in which the old towns and ports take on the role of nodes, where nature's own coastal system is rather wretchedly being reduced to the status of urban garden, under the impetus of new urbanisation procedures that are, for the most part, informal. Reflections upon the concepts of coastal "landscape", flow, city-territory, urban planning allow us to read the coastal territory as a site where a complex matrix of forces stream together, where they meet and collide, sometimes changing each other, fixing the form and the transformations of the land-sea interface. Starting from this premise, the research develops an investigation of three Mediterranean cities: Marseilles, Genoa and Syracuse
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PESENTI, Pietro Mario. "Integrazione, Inclusione e Personalizzazione nella scuola. Dall’analisi teorico-pratica a 40 anni dalla Legge n.118/1971 alle prospettive per la valorizzazione delle capacità delle persone disabili. Una ricerca nella provincia di Bergamo." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2013. http://hdl.handle.net/10446/28665.

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Abstract:
Quale è il volto dell’integrazione scolastica in Italia nella cornice del dibattito europeo sulla disabilità e nel quadro dei modelli teorico-concettuali che l’hanno storicamente spiegata? Quali sono le caratteristiche dell’integrazione nelle scuole italiane a 40 anni dalla Legge n. 118/1971, che ha sancito la piena partecipazione di tutti nel sistema educativo di istruzione e di formazione senza prevedere per gli studenti disabili percorsi separati da quelli ordinari, così come di recente è stato sottolineato dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (13/12/2006)? Due ricerche quantitative condotte nella provincia di Bergamo, all’interno dello scenario tracciato dalle più recenti indagini nazionali, offrono una risposta. Grazie ai pareri di 1485 professionisti scolastici (632 insegnanti di scuole statali e 103 docenti di scuole paritarie nell’anno scolastico 2010-2011 e 750 docenti di scuole statali nell’anno scolastico 2011-2012) è possibile avere un significativo spaccato della realtà scolastica odierna. I risultati della ricerca consentono di cogliere anche alcune prospettive per la valorizzazione delle capacità delle persone disabili, che non coincidono con l’individuazione di “strumenti nuovi”, ma con modi non ancora del tutto esplorati di avvicinarsi alla sfera della disabilità e di affrontare l’integrazione scolastica delle persone disabili. A tal proposito sono state assunte l’integrazione, l’inclusione e la personalizzazione come chiavi di lettura per cogliere e capire la “via italiana” dell’integrazione scolastica. Le conclusioni sottolineano l’importanza di attuare una piena valorizzazione delle capacità delle persone disabili, nel quadro di una prospettiva di personalizzazione, in linea con quanto dice la Costituzione italiana quando parla della necessità di garantire a tutti il “pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, comma 2). Oggi si tratta di fare differenze per fare integrazioni, perché è in gioco non solo l’integrazione dell’allievo disabile, ma anche quella di tutti.
What does integration in Italian schools look like within the framework of the European debate on disability and in the light of the conceptual models aimed at explaining its historical development? What are the characteristics of integration in Italian schools 40 years after the introduction of Law No. 118/1971, which provided for the participation of every individual in the Italian education and training system rejecting the idea of a separate and different education for children with disabilities, as was recently stressed also by the UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities (13/12/2006)? Two quantitative surveys conducted in the province of Bergamo, in the light of most recent national studies, attempt to give an answer to these questions. Thanks to the opinions of 1,485 professionals in schools (632 teachers in state schools and 103 teachers of private schools in the school year 2010-2011 and 750 teachers from state schools in the school year 2011-2012) the research provides a significant insight of the situation in schools today. The research also aims at identifying a number of ways that could contribute to promoting the capabilities of people with disabilities. These are not merely “new tools”, but rather a completely new approach to disability and to school integration of disabled people. In this regard the notions of integration, inclusion and personalised learning have been taken as key concepts to better understand the approach adopted in Italy in terms of school integration. The analysis highlights the importance of implementing a new approach that could enhance the capabilities of people with disabilities, as part of a fully personalized educational pathway, in line with the Italian Constitution that provides for the need to ensure the “full development of the human person” (Art. 3, par. 2). It is necessary to take account of individual differences to promote integration, because at stake is not only the integration of students with disabilities, but also of us all.
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Donnici, Rosalia. "Teoria e pratica della mediazione culturale : ruolo, funzioni ed esperienze dei mediatori culturali in Italia e in Francia." Thesis, 2009. http://hdl.handle.net/10955/242.

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CELARDI, ELVIRA. "Teorie e pratiche valutative in ambito sociale. La teoria del cambiamento nella strategia di intervento della Fondazione CON IL SUD." Doctoral thesis, Università degli studi di Catania, 2021. http://hdl.handle.net/11573/1609677.

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Abstract:
Questo lavoro si configura come una riflessione teorica sugli interventi (politiche, programmi, progetti) di natura sociale. Il punto di vista attraverso cui viene sviluppata la riflessione è, tuttavia, inverso rispetto a quello che comunemente si ritrova nei vari manuali di programmazione e progettazione sociale, in quanto si guarda sì al ciclo di vita degli interventi ma dalla prospettiva di chi è chiamato a valutarne il funzionamento. L’elaborato si confronta, infatti, con un tema di grande interesse nel dibattito scientifico e metodologico sulla valutazione degli interventi di carattere sociale, vale a dire: la costruzione di un 'pensiero valutativo' che sia in grado di orientare la scelta di un disegno di ricerca adatto a riconoscere e valutare i cambiamenti generati da programmi sociali complessi inseriti in sistemi sociali altrettanto complessi. Più nello specifico, il lavoro di ricerca propone l’adozione di una prospettiva (più ampia rispetto a quella in uso nella valutazione mainstream, generalmente fondato su una logica controfattuale) attraverso cui scegliere e quando è necessario combinare gli approcci valutativi disponibili in letteratura. Dopo aver passato in rassegna e analizzato i principali modelli valutativi che si sono sviluppatisi negli Stati Uniti a partire dagli anni ’70, il lavoro di ricerca traccia le linee di quella che può essere definita “teoria della valutazione” e sviluppa una riflessione sulle principali lezioni che se ne possono ricavare in termini pratici. Sulla base degli insegnamenti che si possono trarre dalla ricostruzione della “teoria della valutazione” saranno individuate alcune indicazioni pratiche utili rispetto al modo in cui orientarsi nella costruzione del piano di valutazione di programmi complessi. Un’attenzione particolare è dedicata al modo attraverso cui identificare le costellazioni di circostanze che si associano all’emergere di casi di successo e su come ricorrere alla valutazione come strumento per promuovere il cambiamento nei territori. Le riflessioni teoriche argomentate e discusse nella parte teorica della tesi saranno poi applicate empiricamente attraverso la conduzione di uno studio di caso che si presenta come una valutazione possibilista basata sulla teoria. Traendo ispirazione dai contributi di Albert Hirschman e Judith Tendler e più in generale dal filone di approcci valutativi di pensiero positivo, la valutazione sarà utilizzata come strumento per individuare traiettorie positive di cambiamento apprezzabili in alcune aree del Sud Italia, a partire dalle azioni realizzate grazie al sostegno economico della Fondazione CON IL SUD. L’analisi valutativa, condotta su 205 progetti, mostra come l’ ipotesi di cambiamento che sta alla base della strategia della Fondazione CON IL SUD, una volta diventata azione, va a scontrarsi con le particolari caratteristiche dei luoghi, delle persone e delle organizzazioni a cui essa è destinata. I risultati della ricerca permettono di comprendere cosa ne è stato dei progetti sostenuti attraverso il sostegno economico della Fondazione nel medio-lungo periodo, spiegando se e quali esiti auspicati dalla Fondazione sono stati raggiunti o meno e in questo caso quali vincoli o difficoltà sono intervenuti e in quali circostanze. Un elemento di originalità rispetto alla valutazione mainstream legato all’impostazione possibilista del lavoro riguarda la possibilità di individuare e spiegare in quali circostanze tali vincoli sono stati superati e quali strategie hanno messo in atto gli attori per farlo, ma soprattutto la possibilità di scorgere se si sono registrati cambiamenti positivi, in qualche modo collegati all’ attivazione delle attività realizzate grazie ai finanziamenti elargiti dalla FCS che non rientravano negli obiettivi iniziali dei progetti. Il lavoro di ricerca, inoltre, spiega come è perché si sono verificati tali cambiamenti. I risultati dell’ analisi mostrano infatti, che: se è vero che alla base della strategia della Fondazione vi è la capacità delle organizzazioni e delle parti sociali di creare forti legami nei territori (incrementando il capitale sociale e conseguentemente la coesione sociale), è vero anche che in assenza di risorse (economiche, umane, strutturali) è difficile per le organizzazioni che operano nei territori garantire la continuità delle azioni e mantenere nel tempo i cambiamenti positivi (attesi o inattesi, diretti o indiretti) che da queste sono derivate. Partendo da questo risultato di ricerca, un’attenzione particolare sarà dedicata all’analisi delle strategie di sostentamento che hanno consentito alle organizzazioni partner dei progetti analizzati di mantenere nel tempo gli effetti positivi realizzati, producendo sviluppo a livello locale. Il lavoro è articolato in quattro parti: a) la prima, introduttiva, è volta a spiegare le motivazioni che hanno condotto a perseguire l’impostazione di ricerca adottata; b) nella seconda, di carattere teorico, si sottoporrà ad un’analisi critica il rapporto che intercorre tra la ricerca valutativa e l’azione che rappresenta il suo oggetto di ricerca, inoltre, attraverso un’analisi delle teorie che hanno ispirato le (e sono state il risultato delle) pratiche valutative nel panorama statunitense si metterà in discussione il modello mainstream di valutazione degli interventi sociali diffuso in Italia; c) la terza parte segna il passaggio dalle teorie alla pratica, fornendo alcune indicazioni che saranno utilizzate per valutare la strategia di intervento della Fondazione CON IL SUD; d) nella parte finale del lavoro saranno presentati i risultati della ricerca valutativa. La parte finale della tesi è dedicata alla comprensione della “ teoria del cambiamento” della Fondazione con il SUD, che sarà ricostruita nel corso della valutazione. Si vedrà in altre parole se e come la teoria è stata modificata nel corso dell’esperienza, tenendo conto del punto di vista degli attuatori. Al fine di favorire l’apprendimento degli attori locali su cosa ha funzionato meglio tenendo conto della loro esperienza, l’impianto metodologico (Theory driven evaluation ) è stato inserito all’interno di un framework positivo (Positive thinking ). L’ipotesi di cambiamento (teoria del programma) sottostante alla strategia di intervento della Fondazione, sarà confrontata con le teorie (teoria dell’implementazione) che derivano dall’esperienza pratica dei responsabili (progettisti, operatori, volontari, ecc..) dell’attuazione dei progetti. Da qui il ricorso alla parola "teorie” che, nell’elaborato, si riferisce da un lato alle teorie che guidano i diversi approcci metodologici, dall’altro a quelle sottostanti il funzionamento dei programmi.
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ROMANO, Serena. "Interpretazione, comparazione, diritti fondamentali. Teorie e pratiche della comparazione nella giurisprudenza sui diritti." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10447/101797.

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Volpicelli, Maria, Gaetano Roberto De, and Giuseppe Trebisacce. "Giuseppe Lombardo Radice tra riflessione teorica e impegno pratico e aspetti della sua ricezione in Spagna." Thesis, 2013. http://hdl.handle.net/10955/920.

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Calisi, Daniele, and Daniele Calisi. "Luce ed ombra nella rappresentazione. Rilettura storica e sperimentazioni eidomatiche." Doctoral thesis, 2007. http://hdl.handle.net/11573/917909.

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Abstract:
Il processo di sviluppo della teoria delle ombre e del chiaroscuro non può prescindere da secoli di disquisizioni sull’argomento della visione. In effetti, lo sviluppo delle teorie della visione affonda le proprie radici all’età ellenistica e il suo processo si protrae fino alla fine del XIX secolo. La relazione che sussiste tra le due teorie è evidente: entrambe sono collegate al problema della propagazione della luce e a quali effetti produce sulle cose. La luce che raggiunge gli oggetti viene riflessa o rifratta dando inizio ad una serie di azioni differenti: la luce che arriva (riflessa o rifratta ma anche quella diretta) all’occhio permette la visione; i raggi luminosi bloccati dai corpi generano i raggi d’ombra, prolungamento dei primi, che all’intersezione con altre superfici formano le ombre portate; i raggi luminosi riflessi o rifratti dalle cose innescano una serie di interazioni tra gli oggetti stessi, tali che ognuno di essi partecipa del colore e della luminosità di quelli intorno proporzionalmente alla distanza che li separa. Il problema della visione è stato il primo ad essere studiato assiduamente dagli studiosi a partire dai filosofi del mondo antico e la propagazione della luce è il fondamento di queste teorie. Accanto all’ottica esisteva naturalmente anche l’interesse per gli aspetti più propriamente anatomici connessi alla visione, ossia lo studio dell’occhio, della sua fisiologia e del suo funzionamento: i primi studi non potevano prescindere dai secondi. Anzi bisogna dire che proprio a causa della necessità, o curiosità, di capire alcuni fenomeni visivi e determinate deficienze ottiche, nonché le malattie dell’occhio, i filosofi, gli scienziati e i medici iniziarono i loro studi in questi settori disciplinari. I teorici della visione, pertanto, inseriscono quasi sempre il proprio particolare schema anatomico dell’occhio, a volte fondato su studi diretti, a volte rielaborato da altri schemi, a volte adattandolo forzatamente per poter dimostrare le proprie personali teorie sulla propagazione della luce all’interno dell’occhio. Tuttavia un problema che accomuna tutte le teorie della visione è costituito dal modo in cui si propaga la luce. Per cui: quale direzione hanno i raggi luminosi? Quale ruolo hanno nella visione umana? La natura rettilinea dei raggi luminosi non era stata mai messa in discussione, almeno fino alla teoria ondulatoria e a quella elettromagnetica in epoca contemporanea. Tuttavia, possiamo distinguere due grandi filoni di pensiero: da una parte la teoria estromissiva la quale credeva che fosse l’occhio a lanciare nello spazio i propri raggi visivi, dall’altra la teoria intromissiva la quale, al contrario, confidava nel fatto che erano le cose a “inviare” le proprie informazioni all’occhio riflettendo in sostanza i raggi luminosi. Le critiche mosse reciprocamente dai teorici di una o l’altra teoria si susseguono nel corso dei secoli, fino a quando Alhazen (Abu ibn al- Hasan ibn al-Haitham), a cavallo tra i due millenni, dimostra, attraverso alcune semplici constatazioni dedotte da effetti reali, che l’unica teoria possibile è quella intromissiva: la visione è causata dai raggi luminosi che giungono all’occhio (per Alhazen quelli ortogonali solamente) dopo la riflessione o rifrazione sugli oggetti nello spazio reale. Se così non fosse l’occhio non proverebbe dolore se colpito da un bagliore o una forte luce. Nel processo di visione è l’occhio a ricevere qualcosa dall’esterno. La teoria estromissiva non poteva essere valida anche perché se l’occhio guarda per un lungo lasso di tempo una forte luce e poi l’osservatore muove lo sguardo, verso una zona scura e buia, egli continuerà a percepire una zona di chiarore, un disturbo, nel suo campo visivo. Se la teoria estromissiva fosse stata valida, e la vista dipendeva dai raggi visivi fuoriuscenti dall’occhio per colpire gli oggetti, cosa stavano traguardando tali raggi durante il periodo in cui il bagliore rimaneva sulla retina? Era chiaro che questa possibilità non poteva avere ragione di esistere. Alhazen ha un’importanza rilavante nello sviluppo delle teorie della visione per le numerose intuizioni e dimostrazioni, tuttavia il suo contributo di straordinaria fama in occidente avrà una diffusione moltopiù tardi. Il suo testo più conosciuto, il De Aspectibus, risvegliò, alla fine del medioevo, l’interesse per l’ottica, la catottrica e la diottrica. Inoltre Alhazen per primo intuisce la natura proiettiva delle ombre affermando che quando i corpi opachi sono irradiati da una luce e le loro ombre appaiono sul suolo o su corpi opachi opposti ad essi, si troverà che queste ombre si estendono in modo rettilineo e si troverà che le aree in ombra sono quelle le cui distanze rettilinee dal corpo luminoso (la luce del quale è stata bloccata da queste zone) sono state intercettate dall’oggetto proiettante le ombre. Il concetto di proiezione e di sbattimento dell’ombra è evidentemente conosciuto e assimilato da Alhazen, e per questo motivo può essere considerato tra i primi fondatori di questa scienza. Anche se non ci sono pervenuti schizzi di Alhazen sulla questione della proiezione dell’ombra, la diffusione del suo testo potrebbe aver suscitato l’interesse degli studiosi del Rinascimento anche sul tema umbratile. Uno dei fondamenti delle teorie della visione, cioè la natura rettilinea dei raggi luminosi, è anche l’ipotesi per la teoria delle ombre: ai raggi luminosi rettilinei corrispondono i raggi d’ombra nella teoria delle ombre che si propagano lungo linee rette fino alla intersezione con altre superfici. Il metodo del tracciamento delle ombre ha evidentemente delle basi proiettive pertanto tale metodo si sviluppa, necessariamente, dopo la scoperta (o riscoperta) rinascimentale della prospettiva. Non si possono considerare tutti i processi come separati poiché lo sviluppo dell’ottica ha determinato l’interesse per la rappresentazione della realtà che percepiamo attraverso l’organo della vista. La prospettiva nasce dalla consapevolezza che alcuni raggi (in questo caso visivi) del cono ottico, che uniscono l’occhio agli estremi degli oggetti, intersecano un quadro su cui si forma l’immagine prospettica. Ha poca importanza se il quadro è il foglio da disegno o uno degli strati interni dell’occhio. Lo sviluppo delle teorie della visione si arresta nel momento in cui la scienza prospettica diventa il principale interesse di pittori e matematici, causando la distinzione tra perspectiva naturalis e perspectiva artificialis. La prima troverà nuovi teorizzatori tra la fine del XVI sec. e inizio del XVII sec. ed ha come maggiore esponente Kepler con la sua ipotesi dell’immagine retinica della realtà. La seconda avrà sviluppi differenti, diversificati in più discipline tra cui anche quella della teoria delle ombre e del chiaroscuro. Lo sviluppo della teoria delle ombre è posteriore alla perspectiva artificialis: la possibilità che due centri proiettivi potessero coesistere in uno stesso disegno non rispecchiava la visione tutta oculocentrica dei primi teorici del Rinascimento. Tuttavia Leonardo da Vinci nel Codice C raffigura le due rappresentazioni in un unico schizzo, mostrando l’analogia proiettiva della proiezione prospettica e della proiezione umbratile: un cono ottico o un cono ombroso, con vertice rispettivamente nell’occhio o in una candela, investono un oggetto e lo proiettano su una superficie. Nel codice C e nel Trattato di Pittura, edito da Francesco Melzi, Leonardo analizza in maniera approfondita le ombre e il chiaroscuro, non solo considerando problemi di rappresentazione, ma mostrando una certa dimestichezza anche nella genesi umbratile. Pur non fornendo una tecnica sulla genesi proiettiva delle ombre, Leonardo conosce il modo per costruirle, negli schizzi come nei suoi splendidi quadri. I numerosi schemi sul modo di costruire e rendere la penombra palesano la sua ossessione per la tecnica dello sfumato, splendidamente espressa nei dipinti e analizzata a pieno solamente alla fine della sua carriera, quando Leonardo utilizza nei suoi schemi non più una luce artificiale ma l’intera calotta celeste. La prima rappresentazione geometrica dell’ombra si ritrova nel testo di Albrecht Dürer, uno schema semplice di un cubo sotto la luce solare. In realtà la sorgente luminosa è sbagliata, perché nonostante Dürer la rappresenti come il sole, essa è una sorgente posta a distanza finita, piuttosto vicina al solido. L’errore del fiammingo provoca non pochi errori nelle trattazioni successive. Lo sviluppo della teoria delle ombre passa attraverso errori banali ed approssimazioni che ne rallentano il processo. Molti trattatisti confondono il sole, sorgente di luce convenzionalmente considerata all’infinito, che genera raggi luminosi paralleli, con una candela che invece genera un cono luminoso; la rappresentazione prospettica della prima rimane irrisolta fino alla trattazione di Niceron, a parte la parentesi del Cigoli, il cui trattato rimane però inedito. In altri trattati le ombre portate sono appena accennate, celando il metodo usato dagli autori per tracciarle e rappresentarle. A volte la genesi proiettiva dei punti ombra generati dalla sorgente luminosa è del tutto arbitraria: Il risultato finale, la composizione della tavola, e l’impatto nell’osservatore hanno la precedenza sulla costruzione geometrica esatta delle ombre e della prospettiva. Altre volte si riscontrano banali approssimazioni delle sorgenti di luce, in particolar modo quelle estese come possono essere finestre e porte. La trattazione più completa sull’argomento è quella di Jean François Niceron nell’appendice De Lumine et Umbris del Secondo Libro del Thaumaturgus opticus (1646). In essa troviamo tutte le tipologie di proiezioni umbratili come ancora oggi si studiano. Dopo Niceron, in effetti, si riscontrano solo altri due grandi passi evolutivi nel campo di ricerca: il primo è rappresentato dalla formulazione della legge di Lambert dall’omonimo studioso, che lega l’intensità luminosa di una superficie al coseno (funzione trigonometrica) dell’angolo formato tra direzione della luce e normale alla superficie; il secondo è lo studio sistematico di tale legge eseguito da Domenico Tessari (1880) per poter rappresentare la tonalità delle superfici diversamente inclinate rispetto all’andamento della luce. Potremmo aggiungere anche il contributo di Giuseppe Peri per la rappresentazione della prospettiva aerea, cioè della rappresentazione degli oggetti sempre più distanti dal punto di vista, ma in fondo lo stesso tema era stato trattato in modo sistematico anche da Leonardo e lui stesso aveva dato prova della sua capacità di rappresentarlo in molti tra i suoi più famosi dipinti. La vera e grande innovazione, dal Tessari ad oggi, avviene solo in tempi recenti, con la computer grafica che utilizzando appropriati algoritmi di calcolo riesce a rappresentare, seppur con le adeguate approssimazioni che tuttavia ha anche la pratica del disegno, le ombre e i chiaroscuri in maniera realistica, o addirittura fotorealistica. Nella ricerca, la rappresentazione digitale è stata utilizzata come mezzo per studiare, elaborare e re-interpretare i testi storici, verificando se tali testi espongono concetti veritieri e se gli algoritmi di calcolo rappresentano verosimilmente la realtà, in un processo di verifica e confronto. A tale scopo doveva essere anche verificata la corrispondenza riferità alla realtà tra render attraverso e immagini fotografiche. Questo confronto è possibile se si sfruttano le moderne tecniche di computer grafica, che sono state pertanto analizzate ed applicate sui modelli digitali. È interessante notare come i programmi di grafica attuali riescono a rendere chiaramente molte delle indicazioni che Leonardo aveva annotato nei suoi appunti. Ad esempio l’algoritmo Radiosity suddivide le superfici in piccole aree e calcola l’interazione che si crea tra esse (prendendone in considerazione due per volta) commensurata alla visibilità l’una dall’altra e alla distanza che intercorre tra le patch. Questo algoritmo non è molto lontano concettualmente dalle analisi di Leonardo, il quale determinava la tonalità delle zone d’ombra in base a quanta porzione di luce o di superficie riflettente esse riuscivano a traguardare. Lo strumento informatico è stato utilizzato anche per analizzare e capire alcune delle preposizioni di Alhazen del De Aspectibus. L’assenza di schemi geometrici dell’autore è stata colmata con la realizzazione di modelli digitali renderizzati seguendo pedissequamente il testo originale. Il disegno digitale è invece servito per analizzare, di volte in volta, quando necessario, i numerosi schemi e costruzioni proposte dai trattatisti nel corso dei secoli. Lo studio si è proposto quindi di ricucire lo sviluppo del percorso della teorie delle ombre e del chiaroscuro attraverso i secoli, grazie a una rilettura dei trattati in cui l’argomento è analizzato. Lo studio dei singoli trattati ha permesso non solo di determinare il percorso seguito, attraverso le innovazioni e gli errori, ma anche, e contemporaneamente, le relazioni con i moderni algoritmi dei programmi di renderizzazione. Al di là delle possibili similitudini la questione veramente importante è che, soprattutto nel nostro campo, la componente tecnologica deve essere strumento della storia, per capire, studiare e indagare. Soprattutto le moderne tecniche, proprio perché recenti e in evoluzione, hanno bisogno di confutazioni e sperimentazioni continue per essere affinate e avallate proprio attraverso lo studio dei testi antichi avvalendisi dello strumento informatico anche come laboratorio di sperimentazione virtuale. A tal fine una collaborazione interdisciplinare tra studiosi di storia della scienza e informatici, grafici, eidomatici, architetti e ingegneri, ognuno con le proprie e legittime competenze, garantirebbe lo sviluppo nella ricerca in questo settore. Infatti, se la geometria descrittiva diventò, nella storia, scienza matematica dopo esser stata nelle mani dei pittori, oggi essa può essere disciplinata da altre e nuove leggi. A fronte della geometria comunemente insegnata, esiste un’altra geometria, applicata dagli informatici alla base degli algoritmi di calcolo per i programmi di renderizzazione. La conoscenza degli algoritmi è fondamentale per lo sviluppo della rappresentazione eidomatica, studiata e applicata da informatici, architetti ed ingegneri, per una geometria descrittiva attualizzata.
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CIAMMELLA, FABIO. "Transmedia Activism e pratiche comunicative. Analisi del processo di worldbuilding partecipativo e di co-creazione per le narrazioni dei movimenti sociali." Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/11573/1583112.

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Abstract:
L’elaborato nasce da una riflessione che si fonda sugli studi del transmedia e l’applicazione che questi possono avere in ambito culturale e sociale. Infatti, il transmedia è stato spesso associato a narrazioni di tipo pop, franchise mainstream o a dinamiche partecipative e creative riconducibili al fandom. Tale impostazione deriva dagli studi degli autori che per primi hanno utilizzato questo approccio con lo scopo di spiegare fenomeni comunicativi nel panorama mediale convergente (Jenkins 2003, Scolari 2009, Gomez 2010). In particolare, il transmedia è stato usato come aggettivo per descrivere le modalità di diffusione, attraverso diversi canali mediali, di contenuti appartenenti a un campo specifico, partendo dal classico transmedia storytelling fino all’informazione (transmedia journalism) o il marketing (transmedia branding). In questo caso, anche se si ritiene un’applicazione valida e puntuale, non sono mai emersi in modo coerente gli elementi peculiari del transmedia: la cultura partecipativa e la co-creazione di universi narrativi. Oppure, sempre con la stessa accezione, viene definita l’evoluzione di uno specifico medium nel sistema ibrido e digitale (transmedia television, transmedia cinema, etc.). Tali modalità di applicazione pongono, in parte, un limite stesso alla parola transmedia, non riuscendo a riflettere sugli elementi base di questo processo culturale e comunicativo che, non solo è uscito dalle dinamiche esclusive di produzione dei player e di fruizione dei fan, ma si è andato a integrare in modo evidente nelle routine quotidiane degli attori sociali. Partendo da questa riflessione, il lavoro vuole approfondire quei meccanismi attraverso cui si strutturano narrazioni transmediali endogene grassroots, non pensate strategicamente a monte. In particolare, si vuole indagare come il transmedia possa essere una risorsa importante per l’attivismo sociale, culturale e politico nella comunicazione dei movimenti sociali. Il lavoro si divide in tre parti, la prima è una riflessione teorica sul transmedia e la sua applicazione, primo capitolo; nello specifico viene proposta una ricostruzione critica della letteratura allo scopo di ricostruire l’evoluzione del campo di studi e osservare nuove possibili applicazioni. In particolare, viene avanzato un approccio socialmente orientato al transmedia (Couldry 2012). Quindi, nel secondo capitolo, sono presentate le teorie alla base dell’elaborato, in particolare la cultura partecipativa, nella sua evoluzione fino al participatory turn (Jenkins, Ito, boyd 2016), e la teoria delle pratiche (Shatzki1996, 2001; Reckwitz 2002), nella sua declinazione di pratiche mediali e comunicative, attivate in repertori mediali e figurazioni comunicative (Couldry, Hepp 2016). Lo scopo è stato quello di definire uno frame elastico di pratiche transmediali composto dagli schemi della spreadability (Jenkins et al 2013), della creatività distribuita e partecipativa (Literat, Glaveanu 2018) e, infine, del worldbuilding partecipativo. Nella seconda parte, terzo capitolo, viene presentata una ricostruzione della letteratura sugli studi della comunicazione dei movimenti sociali (Della Porta, Diani 2006) e le pratiche di attivismo mediale (Mattoni 2012) in funzione di un sistema comunicativo ibrido (Treré 2019). È presentata una definizione di transmedia activism e sintetizzate le caratteristiche che connotano questa dimensione. Il fine è quello di applicare gli schemi delle pratiche transmediali nell’analisi di un caso di studio specifico. La terza parte, quarto e quinto capitolo, è l’analisi del caso di studio La Casa delle Donne Lucha y Siesta di Roma, in particolare la campagna comunicativa #luchaallacittà. Ricorrendo a un approccio etnografico, anche di natura digitale (Pink et al 2016), grazie alla caratteristica del pluralismo metodologico (Ronzon 2008), si sono potute approfondire le pratiche comunicative e mediali, impiegate dalle attiviste, in funzione di una narrazione coerente disseminata su più piattaforme mediali. Quello che si è voluto restituire è un aggiornamento per ogni parte dell’elaborato, quindi sia teorico che di ricerca. Rispetto al caso di studio sono state discusse le evidenze emerse dall’analisi, in particolare sull’efficacia comunicativa offerta dal transmedia rispetto alla mobilitazione e al civic engagement. Al tempo stesso, grazie alla centralità assunta dalla narrazione, questo frame permette di rafforzare i valori simbolici fondanti del movimento. In relazione alla seconda parte, è emerso come il transmedia opera in modo complementare con le teorie dell’azione collettiva, e connettiva (Bennett, Segerberg 2012), il contropotere in rete (Castells 2009), l’identità multipla (Melucci 1996; Gerbaudo 2012) e le campagne comunicative per i movimenti sociali (Dutta 2011). In definitiva, anche rispetto alla prima parte, è emerso come il transmedia sia un frame elastico e fluido capace di genera un approccio di analisi replicabile per spiegare fenomeni comunicativi complessi.
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DEL, SERRONE GIULIA. "Analisi di Floating Car Data (FCD) per lo studio delle velocità praticate dagli utenti negli elementi del tracciato stradale." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/11573/1365640.

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Abstract:
Uno degli obiettivi principali da raggiungere per aumentare il livello di sicurezza stradale è quello di favorire un comportamento più corretto dei conducenti in termini di controllo del veicolo e di velocità selezionata. Una migliore comprensione della relazione tra le effettive velocità del veicolo e le caratteristiche geometriche dell'infrastruttura potrebbe svolgere un ruolo chiave nella selezione delle possibili azioni di sicurezza attiva.Il progetto prevede di confrontare gli FCD registrati su alcune strade selezionate con le velocità teoriche di progetto di queste infrastrutture e identificare se (e in tal caso, perché) esistono sezioni stradali che presentano un eccesso significativo tra velocità di guida e velocità di progetto.
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SCOLARI, BALDASSARE. "State Martyr Representation and Performativity of Political Violence." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251176.

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Abstract:
L’indagine prende in esame l’uso e la funzione politica della figura del martire nello spazio pubblico contemporaneo. La ricerca, pur nel riferimento consapevole alla consolidata letteratura ormai classica sull'argomento, ha tra i propri riferimenti filosofici specificatamente la teoria del discorso di Michel Foucault, con la sua metodologia dell’analisi discorsiva, e segue un approccio transdiscipli¬nare fra scienze culturali e filosofia. Essa ha come punto di partenza, come caso di studio, la rappresentazione mediale del politico e statista democristiano Aldo Moro quale martire di stato durante e dopo il suo assassinio per opera delle Brigate Rosse nel 1978. La ricerca si sviluppa sulla scorta dell’ipotesi di una connessione fra procedure di legittimazione dell’autorità politica e delle strutture di potere e l’emergere della figura del martire di Stato. Le rappresentazioni martirologiche sono considerate pratiche discorsive performanti, attraverso le quali la morte di Moro viene ad assumere il significato di un martirio per lo Stato, la Repubblica Italiana e i valori democratici. L’ipotesi di lavoro è che, attraverso l’allocazione dello statuto di martire, la morte di Moro acquisisca il significato di un atto (volontario) di testimonianza della verità assoluta e trascendentale dei diritti umani, garantiti dalla costituzione (in particolare articolo 2 della Costituzione Italiana), così come della necessità dello Stato come garante di tali diritti. Attraverso questa significazione, la figura di Moro assurge inoltre a corpo simbolico dello Stato-nazione, legittimando lo stesso e fungendo da simbolo d’identificazione collettiva con la nazione. Si tratta qui di mettere in luce il rapporto intrinseco fra la figura del martire e una narrazione mitologica dello Stato, dove mito sta a indicare un «assolutismo del reale» (Absolutismus der Wirklichkeit). La ricerca vuole altresì mettere in luce la dimensione strumentale delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro, le quali hanno mantenuto e tuttora mantengono un’efficacia performativa nonostante il chiaro ed evidente rifiuto, espresso da Moro stesso, di essere sacrificato «in nome di un astratto principio di legalità.» La ricerca si propone di dimostrare la valenza di tale ipotesi di lavoro attraverso l’analisi dell’apparizione e diffusione delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro in forme mediali differenti nell’intervallo temporale di quattro decenni. Il corpus delle fonti preso in esame include: articoli di giornali e riviste, i documenti prodotti da Moro e della Brigate Rosse durante i 55 giorni di sequestro, trasmissioni televisive (documentari e reportage), opere letterarie e cinematografiche. La teoria discorsiva e l’analisi archeologico-genealogica sviluppate da Michel Foucault fungono da base teorico-metodologica del lavoro. Il taglio transdisciplinare dell’indagine rende necessaria la distinzione di due diversi piani di ricerca. In primo luogo, ci si pone come obiettivo di individuare e analizzare le diverse rappresentazioni come elementi di una formazione discorsiva il cui tema comune è la morte di Aldo Moro. Si tratta di operare una ricognizione, attraverso il lavoro empirico, dei modi di rappresentare l’uccisione di Aldo Moro e di individuare le regole che determinano ciò che può essere detto e mostrato a tale riguardo. In secondo luogo, a partire da qui, ci si propone di fare un’analisi critica dell’uso e della funzione del linguaggio e della simbologia di matrice religiosa all’interno della forma¬zione discorsiva presa in esame. L'obiettivo è di mettere così in luce non solo il dispositivo di legittimazione politica che presiede alla costruzione della figura del martire, ma anche la sua polivalenza.
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RECCHI, Simonetta. "THE ROLE OF HUMAN DIGNITY AS A VALUE TO PROMOTE ACTIVE AGEING IN THE ENTERPRISES." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251122.

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Abstract:
Ogni azienda che si riconosca socialmente responsabile deve occuparsi dello sviluppo delle carriere dei propri dipendenti da due punti di vista: quello individuale e personale e quello professionale. La carriera all’interno di un’azienda coinvolge, infatti, la persona in quanto individuo con un proprio carattere e una precisa identità e la persona in quanto lavoratore con un bagaglio specifico di conoscenze e competenze. L’azienda ha, quindi, il compito di promuovere carriere professionalmente stimolanti che si sviluppino in linea con i suoi stessi valori, la sua visione e la sua missione. Nel panorama moderno, aziende che sviluppano la propria idea di business nel rispetto dei lavoratori proponendo loro un percorso di crescita, si mostrano senza dubbio lungimiranti. Un tale approccio, però, non basta a far sì che vengano definite socialmente responsabili. I fattori della Responsabilità Sociale d’Impresa sono infatti numerosi e, ad oggi, uno dei problemi principali da affrontare è quello del progressivo invecchiamento della popolazione. Dal momento che la forza lavoro mondiale sta invecchiando e che si sta rispondendo al problema spostando la linea del pensionamento, tutte le aziende sono obbligate a mantenere le persone il più a lungo possibile attive e motivate a lavoro. L’età è spesso visto come un fattore di diversità e di discriminazione, ma nello sviluppare la mia argomentazione, cercherò di dimostrare che una politica del lavoro che supporti l’idea dell’invecchiamento attivo può trasformare questo fattore da limite in opportunità. Il rispetto degli esseri umani, a prescindere dalle differenze legate all’età, dovrebbe essere uno dei valori fondanti di ogni impresa. Nel primo capitolo della tesi, svilupperò il tema della dignità umana così come è stato concepito a partire dalla filosofia greca fino alla modernità. La dignità intesa come valore ontologico, legato all’essenza dell’uomo, diventerà con Kant il fattore di uguaglianza tra tutti gli esseri viventi, la giustificazione del rispetto reciproco. Il concetto di dignità verrà, poi, definito nel secondo capitolo come il principale valore che deve ispirare l’azione sociale delle imprese, come l’elemento che garantisce il rispetto di ogni dipendente che prima ancora di essere un lavoratore è un essere umano. La dignità è ciò che rende l’essere umano degno di essere considerato un fine in se stesso piuttosto che un mezzo per il raggiungimento di un fine esterno. Nell’era della globalizzazione, dove il denaro è il valore principale, gli esseri umani rischiano di diventare un mezzo al servizio dell’economia. A questo punto, il rispetto della dignità deve divenire il fondamento di un ambiente di lavoro che promuove la crescita e la fioritura dell’essere umano. Nel secondo capitolo cercherò quindi di dimostrare come l’idea di dignità possa promuovere un management “umanistico” centrato sul rispetto dell’essere umano. Un’impresa socialmente responsabile può promuovere il rispetto di ogni lavoratore se fa propri i valori di dignità e uguaglianza. Attraverso la teoria dello Humanistic Management che veicola tali valori, il lavoro diventa un luogo in cui l’uomo può esprimere se stesso, la sua identità, le sue conoscenze e competenze. Inoltre, dal momento che la popolazione sta invecchiando, le aziende devono farsi carico della forza lavoro più anziana, come è emerso sopra. A questo punto, nel terzo capitolo, il concetto della Responsabilità Sociale d’Impresa sarà analizzato nel suo legame con i temi dell’invecchiamento attivo e della diversità sul posto di lavoro. Conosciamo diverse ragioni di differenza a lavoro: genere, cultura, etnia, competenze, ma qui ci concentreremo sul fattore età. È naturale che i lavoratori anziani abbiano un’idea di lavoro diversa da quella dei giovani e che le loro abilità siano differenti. Ma questa diversità non deve essere valutata come migliore o peggiore: essa dipende da fattori che analizzeremo e che l’impresa socialmente responsabile conosce e valorizza per creare un ambiente di lavoro stimolante e collaborativo, eliminando possibili conflitti intergenerazionali. Alcune delle teorie che permettono di raggiungere tali obiettivi sono il Diversity Management e l’Age Management: ogni impresa può promuovere pratiche per valorizzare gli anziani, permettendo loro di rimanere più a lungo attivi e proattivi a lavoro e di condividere le proprie conoscenze e competenze. L’ultimo capitolo della tesi si concentrerà su un caso di azienda italiana che ha sviluppato uno strumento di valorizzazione di collaboratori over 65. Sto parlando della Loccioni, presso cui ho svolto la ricerca applicata e che promuove il progetto Silverzone, un network di persone in pensione che hanno conosciuto l’azienda nel corso della loro carriera e che continuano a collaborare con essa ancora dopo il pensionamento. Per capire l’impatto qualitativo e quantitativo che il progetto ha sull’azienda, ho portato avanti un’analisi qualitativa dei dati ottenuti grazie a due tipi di questionari. Il primo ha visto il coinvolgimento dei 16 managers della Loccioni a cui sono state sottoposte le seguenti domande: 1. Chi sono i silver nella tua area di business? Quali i progetti in cui essi sono coinvolti? 2. Qual è il valore del loro supporto per l’azienda? E, allo stesso tempo, quali sono le difficoltà che possono incontrarsi durante queste collaborazioni? 3. Qual è la frequenza degli incontri con i silver? 4. Perché l’azienda ha bisogno di questo network? Successivamente, ho sottoposto un altro questionario agli 81 silver della rete. Di seguito i dettagli: 1. Qual è il tuo nome? 2. Dove sei nato? 3. Dove vivi? 4. Qual è stato il tuo percorso formativo? 5. Qual è stata la tua carriera professionale? 6. Come e con chi è avvenuto il primo contatto Loccioni? 7. Come sei venuto a conoscenza del progetto Silverzone? 8. Con quali dei collaboratori Loccioni stai lavorando? 9. In quali progetti sei coinvolto? 10. Potresti descrivere il progetto in tre parole? 11. Che significato ha per te fare parte di questa rete? 12. Nella tua opinione, come deve essere il Silver? 13. Che tipo di relazioni hai con i collaboratori Loccioni? 14. Quali dimensioni umane (dono, relazione, comunità, rispetto) e professionali (innovazione, tecnologia, rete) emergono lavorando in questo progetto? Il progetto Silverzone è sicuramente una buona pratica di Age Management per mantenere più a lungo attivi i lavoratori over 65. I progetti in cui i Silver sono coinvolti hanno un importante impatto economico sull’impresa, in termini di investimento ma anche di guadagno. Ad ogni modo, qui la necessità di fare profitto, stando a quanto è emerso dai risultati delle interviste, è subordinata al più alto valore del rispetto dei bisogni umani che diventa garante di un posto di lavoro comfortable, dove si riesce a stringere relazioni piacevoli, collaborative e produttive.
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PETRINI, Maria Celeste. "IL MARKETING INTERNAZIONALE DI UN ACCESSORIO-MODA IN MATERIALE PLASTICO ECO-COMPATIBILE: ASPETTI ECONOMICI E PROFILI GIURIDICI. UN PROGETTO PER LUCIANI LAB." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251084.

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Abstract:
Con l’espressione “marketing internazionale” ci si riferisce a quell’insieme di attività adottate dall’impresa al fine di sviluppare o perfezionare la propria presenza sul mercato estero. Oggetto della presente ricerca è l’analisi degli aspetti problematici che tali attività sollevano sul piano giuridico: attraverso un approccio basato sull’integrazione della cultura economica del marketing d’impresa con quella più propriamente giuridica, l’indagine mira ad individuare le fattispecie di marketing rilevanti sotto il profilo giuridico e giuspubblicistico, ad analizzarne i profili che risultano più critici per l’impresa e proporre soluzioni concrete. La ricerca è stata condotta in collaborazione all’azienda Gruppo Meccaniche Luciani, che oltre ad essere un affermato fornitore di stampi per calzature, progetta design innovativi attraverso una sua articolazione organizzativa creativa, denominata Luciani LAB. L’impresa investe molto nell’innovazione, ed in questo senso, particolarmente significativo è stato l’acquisto di una potente stampante 3D, tecnologicamente all’avanguardia, che ha consentito all’azienda di progettare diversi prodotti, tra cui una borsa, realizzarli in prototipazione rapida, e successivamente renderli oggetto di specifiche campagne promozionali, illustrate nel presente lavoro. Viene evidenziato come queste rispecchino la peculiarità dell’approccio al marketing da parte della piccola/media impresa, descritto dalla dottrina maggioritaria come intuitivo ed empirico, distante da quello teorico e strategico del marketing management. La collaborazione con l’impresa partner del progetto ha costituito il riferimento principale per l’elaborazione del metodo con cui condurre la ricerca: l’azienda ha promosso i propri prodotti mediante diverse strumenti di marketing, come inserti pubblicitari su riviste, campagne di e-mail marketing e fiere di settore. Queste attività si distinguono tra esse non solo rispetto alle funzioni, alle differenti modalità con cui vengono impiegate e al pubblico cui si rivolgono, ma anche e soprattutto rispetto alla disciplina giuridica di riferimento: ognuna di esse infatti è regolata da un determinato complesso di regole e solleva questioni che si inseriscono in una specifica cornice giuridica. Al fine di giungere ad una sistematica trattazione dei profili giuridici connessi, si è scelto di classificare le diverse azioni di marketing in tre gruppi: quelle riferite alla comunicazione, quelle inerenti l’aspetto del prodotto e quelle che si riferiscono al cliente Per ognuna di queste aree si individua una precisa questione critica per l’impresa, e se ne trattano i profili problematici dal punto di vista giuridico. In relazione al primo gruppo, ovvero la comunicazione pubblicitaria d’impresa, si evidenziano le criticità connesse alla possibilità di tutelare giuridicamente l’idea creativa alla base del messaggio pubblicitario: si mette in discussione l’efficacia degli strumenti giuridici invocabili a sua tutela, in particolare della disciplina del diritto d’autore, della concorrenza sleale e dell’autodisciplina. Si prende come riferimento principale il contesto italiano, considerando la pluralità degli interessi pubblici, collettivi ed individuali coinvolti. Il secondo profilo d’indagine riguarda la disciplina giuridica riconducibile all’e-mail marketing, uno degli strumenti più diffusi di comunicazione digitale. L’invasività di questo sistema nella sfera personale dei destinatari impone l’adozione di adeguati rimedi da parte delle imprese per evitare di incorrere nella violazione delle disposizioni a tutela della privacy. Si trattano le diverse implicazioni derivanti dall’uso di tale strumento, in particolare quelle riferite al trattamento dei dati personali alla luce della normativa vigente in Italia e nell’Unione Europea, e connesse alle modalità di raccolta degli indirizzi e-mail dei destinatari potenzialmente interessati. Infine, la costante partecipazione alle fiere di settore da parte dell’azienda dimostra quanto l’esteriorità del prodotto costituisca uno strumento di marketing decisivo per la competitività aziendale, dunque grande è l’interesse dell’impresa a che il suo aspetto esteriore venga protetto dall’imitazione dei concorrenti. Il tema giuridico più significativo che lega il processo di marketing al prodotto dell’azienda è proprio la protezione legale del suo aspetto, ovvero la tutela del diritto esclusivo di utilizzarlo, e vietarne l’uso a terzi. L’aspetto di un prodotto può essere oggetto di protezione sulla base di diverse discipline che concorrono tra loro, sia a livello nazionale che sovranazionale, dei disegni e modelli, del marchio di forma, del diritto d’autore e della concorrenza sleale. Si è scelto di concentrare il lavoro, in particolare, sulla prima: si ricostruisce il quadro normativo e l’assetto degli interessi implicati dalla fattispecie, per arrivare ad evidenziare le principali criticità nell’interpretazione delle norme, sia a livello nazionale, che nell’Unione Europea. Si approfondiscono gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza di alcune disposizioni chiave per l’applicazione della disciplina, quali gli artt. 6 e 7 del Regolamento CE, n. 6/2002, concernenti rispettivamente il «carattere individuale» e la «divulgazione», i due requisiti fondamentali per ottenere la registrazione e conseguente protezione giuridica del disegno. Tali nozioni sono soggette ad interpretazioni parzialmente difformi da parte dei giudici dei diversi Stati membri, e ciò contribuisce a minare l’applicazione omogenea della disciplina in tutto il territorio UE. In questo senso, viene messo in evidenza il ruolo chiave dell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’interpretazione di tali concetti, avente l’effetto di uniformare l’approccio degli Stati. La Direttiva 98/71/CE ha introdotto la possibilità di cumulare la protezione conferita all’aspetto del prodotto dalla disciplina dei disegni e modelli con quella riconosciuta dalle altre normative. Tale previsione solleva questioni di rilievo sistematico e concorrenziale: ci si interroga su quali problemi di tipo sistematico e di concorrenza vengano sollevati dal riconoscimento su uno stesso prodotto della protezione sia come disegno che come marchio di forma, e sia come disegno che come opera dell’ingegno. In particolare nell’ambito del diritto dei marchi d’impresa e del diritto d’autore, le tutele hanno durata potenzialmente perpetua, diversamente dalla registrazione come disegno o modello, che garantisce la titolarità del diritto di utilizzare il proprio disegno in via esclusiva per un periodo limitato di massimo 25 anni. Questa differenza temporale rende il cumulo problematico sia a livello di coordinamento, che di concorrenza, poiché incentiva il sorgere di “monopoli creativi” sulle forme del prodotto. Il presente lavoro ha come obiettivo l’ampliamento della conoscenza sul tema del marketing con particolare riferimento ai profili giuridici che si pongono, con riguardo alla promozione del prodotto nell’ambito dell’Unione Europea. Si ritiene che il valore aggiunto e l’aspetto più originale della ricerca consista nella sua forte aderenza alla realtà della piccola/media impresa: tramite l’integrazione della ricerca giuridica e dello studio dei fenomeni di marketing si delineano i problemi pratici che questa si trova a dover affrontare nell’implementazione delle attività quotidiane di marketing. Tale indagine vuole essere utile a tutte le piccole/medie imprese che si trovano impreparate nell’affrontare le sfide poste dal marketing e nel conoscere le implicazioni giuridiche che da questo derivano.
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