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Dissertations / Theses on the topic 'Studio osservazionale'

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Salomone, Luisa <1978&gt. "Studio osservazionale sulle complicanze della fibrillazione atriale nell'area di Bologna." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6594/4/Salomone_Luisa_Tesi.pdf.

Full text
Abstract:
Premesse: Gli eventi ischemici (EI) e le emorragie cerebrali (EIC) sono le più temute complicanze della fibrillazione atriale (FA) e della profilassi antitrombotica. Metodi: in 6 mesi sono stati valutati prospetticamente i pazienti ammessi in uno dei PS dell’area di Bologna con FA associata ad EI (ictus o embolia periferica) o ad EIC. Risultati: sono stati arruolati 178 pazienti (60 maschi, età mediana 85 anni) con EI. Il trattamento antitrombotico in corso era: a) antagonisti della vitamina K (AVK) in 31 (17.4%), INR all’ingresso: <2 in 16, in range (2.0-3.0) in 13, >3 in 2; b) aspirina (ASA) in 107 (60.1%); c) nessun trattamento in 40 (22.5%), soprattutto in FA di nuova insorgenza. Nei 20 pazienti (8 maschi; età mediana 82) con EIC il trattamento era: a)AVK in 13 (65%), INR in range in 11 pazienti, > 3 in 2, b) ASA in 6 (30%). La maggior parte degli EI (88%) ed EIC (95%) si sono verificati in pazienti con età > 70 anni. Abbiamo valutato l’incidenza annuale di eventi nei soggetti con età > 70 anni seguiti neo centri della terapia anticoagulante (TAO) e nei soggetti con FA stimata non seguiti nei centri TAO. L’incidenza annuale di EI è risultata 12% (95%CI 10.7-13.3) nei pazienti non seguiti nei centri TAO, 0.57% (95% CI 0.42-0.76) nei pazienti dei centri TAO ( RRA 11.4%, RRR 95%, p<0.0001). Per le EIC l’incidenza annuale è risultata 0.63% (95% CI 0.34-1.04) e 0.30% (95% CI 0.19-0.44) nei due gruppi ( RRA di 0.33%/anno, RRR del 52%/anno, p=0.040). Conclusioni: gli EI si sono verificati soprattutto in pazienti anziani in trattamento con ASA o senza trattamento. La metà dei pazienti in AVK avevano un INR sub terapeutico. L’approccio terapeutico negli anziani con FA deve prevedere un’ adeguata gestione della profilassi antitrombotica.
Background Ischemic events (IEs) and intracranial hemorrhages (ICHs) are feared complications of atrial fibrillation (AF) and of antithrombotic treatment in such patients. Methods AF patients admitted to the Emergency Units of the Bologna area (Italy) with acute IE or ICH were prospectively recorded over a 6 month period. Results 178 patients (60 male; median age 85 y) presented with acute IE, antithrombotic therapy was: a) vitamin K antagonists (VKAs) in 31(17.4%), INR at admission: <2.0 in 16, 2.0-3.0 (ie.in range) 13, and > 3.0 in 2); b) aspirin (ASA) in 107 (60.1%); c) no treatment in 40 (22.5%), mainly because AF was not diagnosed. Twenty patients (8 male; median age 82) presented with acute ICH: 13 (65%) received VKAs (INR 2.0-3.0 in 11, above>3.0 in 2); whilst 6 (30%) received ASA. Most IEs (88%) and ICH (95%) occurred in patients aged >70. A modeling analysis of patients aged >70 was used to estimate annual incidence in subjects anticoagulated with VKAs in our Network of Anticoagulation Centers (NACs), or those expected to have AF but not included in NACs. The expected incidence of IE was 12.0%/year (95% CI 10.7-13.3) in non-NACs and 0.57 %/year (95% CI 0.42-0.76) in NACs (ARR: 11.4% y; RRR: 95%, p<0.0001). The incidence of ICH was 0.63%/year (95% CI 0.34-1.04) and 0.30%/year (95% CI 0.19-0.44), respectively (ARR: 0.33%/year; RRR: 52.4%/year, p= 0.04). Conclusion IEs occurred mainly in elderly patients who received ASA or no treatment. Half of anticoagulated patients with IEs had subtherapeutic INRs. Therapeutic approaches to elderly subjects with AF require an effective anticoagulant treatment strategy.
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Salomone, Luisa <1978&gt. "Studio osservazionale sulle complicanze della fibrillazione atriale nell'area di Bologna." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6594/.

Full text
Abstract:
Premesse: Gli eventi ischemici (EI) e le emorragie cerebrali (EIC) sono le più temute complicanze della fibrillazione atriale (FA) e della profilassi antitrombotica. Metodi: in 6 mesi sono stati valutati prospetticamente i pazienti ammessi in uno dei PS dell’area di Bologna con FA associata ad EI (ictus o embolia periferica) o ad EIC. Risultati: sono stati arruolati 178 pazienti (60 maschi, età mediana 85 anni) con EI. Il trattamento antitrombotico in corso era: a) antagonisti della vitamina K (AVK) in 31 (17.4%), INR all’ingresso: <2 in 16, in range (2.0-3.0) in 13, >3 in 2; b) aspirina (ASA) in 107 (60.1%); c) nessun trattamento in 40 (22.5%), soprattutto in FA di nuova insorgenza. Nei 20 pazienti (8 maschi; età mediana 82) con EIC il trattamento era: a)AVK in 13 (65%), INR in range in 11 pazienti, > 3 in 2, b) ASA in 6 (30%). La maggior parte degli EI (88%) ed EIC (95%) si sono verificati in pazienti con età > 70 anni. Abbiamo valutato l’incidenza annuale di eventi nei soggetti con età > 70 anni seguiti neo centri della terapia anticoagulante (TAO) e nei soggetti con FA stimata non seguiti nei centri TAO. L’incidenza annuale di EI è risultata 12% (95%CI 10.7-13.3) nei pazienti non seguiti nei centri TAO, 0.57% (95% CI 0.42-0.76) nei pazienti dei centri TAO ( RRA 11.4%, RRR 95%, p<0.0001). Per le EIC l’incidenza annuale è risultata 0.63% (95% CI 0.34-1.04) e 0.30% (95% CI 0.19-0.44) nei due gruppi ( RRA di 0.33%/anno, RRR del 52%/anno, p=0.040). Conclusioni: gli EI si sono verificati soprattutto in pazienti anziani in trattamento con ASA o senza trattamento. La metà dei pazienti in AVK avevano un INR sub terapeutico. L’approccio terapeutico negli anziani con FA deve prevedere un’ adeguata gestione della profilassi antitrombotica.
Background Ischemic events (IEs) and intracranial hemorrhages (ICHs) are feared complications of atrial fibrillation (AF) and of antithrombotic treatment in such patients. Methods AF patients admitted to the Emergency Units of the Bologna area (Italy) with acute IE or ICH were prospectively recorded over a 6 month period. Results 178 patients (60 male; median age 85 y) presented with acute IE, antithrombotic therapy was: a) vitamin K antagonists (VKAs) in 31(17.4%), INR at admission: <2.0 in 16, 2.0-3.0 (ie.in range) 13, and > 3.0 in 2); b) aspirin (ASA) in 107 (60.1%); c) no treatment in 40 (22.5%), mainly because AF was not diagnosed. Twenty patients (8 male; median age 82) presented with acute ICH: 13 (65%) received VKAs (INR 2.0-3.0 in 11, above>3.0 in 2); whilst 6 (30%) received ASA. Most IEs (88%) and ICH (95%) occurred in patients aged >70. A modeling analysis of patients aged >70 was used to estimate annual incidence in subjects anticoagulated with VKAs in our Network of Anticoagulation Centers (NACs), or those expected to have AF but not included in NACs. The expected incidence of IE was 12.0%/year (95% CI 10.7-13.3) in non-NACs and 0.57 %/year (95% CI 0.42-0.76) in NACs (ARR: 11.4% y; RRR: 95%, p<0.0001). The incidence of ICH was 0.63%/year (95% CI 0.34-1.04) and 0.30%/year (95% CI 0.19-0.44), respectively (ARR: 0.33%/year; RRR: 52.4%/year, p= 0.04). Conclusion IEs occurred mainly in elderly patients who received ASA or no treatment. Half of anticoagulated patients with IEs had subtherapeutic INRs. Therapeutic approaches to elderly subjects with AF require an effective anticoagulant treatment strategy.
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TOGNI, SERENA. "Le lesioni cutanee maligne nei pazienti oncologici: studio osservazionale prospettico." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/233153.

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Abstract:
Introduzione: Le lesioni cutanee maligne (MWs) sono prodotte dall’infiltrazione di cellule tumorali e rappresentano l’espressione visibile di processi patologici neoplastici in stadio avanzato, sia che si tratti di tumore primitivo, metastasi o recidiva. Il fallimento delle terapie standard finalizzate al trattamento del tumore primitivo determina una rapida crescita delle MWs, causando irritazione, necrosi, essudato, odore, dolore e sanguinamento, con deterioramento della qualità di vita dei pazienti affetti. Le evidenze emerse dalla letteratura sono risultate insufficienti e controverse in merito alla stima della frequenza e del decorso clinico del fenomeno, ed alla sua valutazione, gestione e trattamento. Sono stati sviluppati diversi strumenti di raccolta dati per aumentare l’accuratezza e la riproducibilità della valutazione delle MWs ed ottimizzarne il trattamento palliativo, che ad oggi non risulta definito. L’elettro-chemioterapia (ECT) è un nuovo trattamento indicato in casi di limitata di invasione dei tessuti profondi (<3 cm), aspettativa di vita >3 mesi, Karnofsky Performance Status Scale (KPS) ≥50% in assenza di altre complicanze. Esso consiste nella somministrazione combinata di un chemioterapico con la procedura di elettro-porazione (applicazione chirurgica di elettrodi alla lesione con trasferimento di energia elettrica e permeabilizzazione della membrane cellulari che agevola ingresso ed azione del farmaco). L’obiettivo primario di questo studio è la quantificazione della frequenza delle MWs in un campione di pazienti oncologici al 4 stadio di malattia (Overall Stage Grouping) reclutati presso la Fondazione I.R.C.C.S Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. L’obiettivo secondario è la definizione del decorso clinico e dell’andamento sintomatologico locale in pazienti con lesione cutanea maligna osservati longitudinalmente presso lo stesso centro, anche in relazione al trattamento con ECT. Materiali e metodi: Studio prospettico osservazionale sviluppato in 18 mesi (tra il 15/06/2012 ed il 31/12/2013) in due fasi: un prima fase trasversale per la valutazione della prevalenza e del decorso clinico ed una seconda fase longitudinale per la valutazione dell’incidenza e del decorso sintomatologico locale. Raccolta di dati clinici ed anagrafici presso i reparti di degenza ed ambulatori di pazienti con MWs e malattia oncologica al 4 stadio senza MWs. Per i casi con MWs sono stati registrati: età, BMI, KPS, data della diagnosi di tumore primitivo e sua diagnosi istologica, data della diagnosi di MWs, date delle osservazioni cliniche, sedi topografiche delle lesioni, stadio Malignant Cutaneous Wounds staging system (CMW), data dell’exitus (se avvenuto). Per i casi con malattia oncologica al 4 stadio sono stati registrati: età, BMI, KPS, data della diagnosi di tumore primitivo e sua diagnosi istologica, data dell’exitus (se avvenuto). Tutti i pazienti dello studio (con MWs o con 4 stadio senza MWs) sono stati osservati nel loro decorso clinico con una raccolta prospettica dei dati ottenuti dalle cartelle dei medici oncologi che li avevano in cura. Nel sottogruppo di pazienti con MWs e valutazione infermieristica, è stata individuata una coorte sottoposta longitudinalmente a valutazioni della sintomatologia locale. Sono state effettuate almeno due osservazioni successive di cui la prima al reclutamento utilizzando strumento di valutazione TELER® System (tradotto e validato in lingua italiana) per analisi di irritazione, necrosi, essudato, odore, dolore e sanguinamento. Ad ogni indicatore è stato attribuito un valore da 0 a 5 (5=assenza della condizione; 0=massima gravità della condizione) per ciascun paziente, in ciascuna visita. Infine è stata raccolta l’immagine fotografica della lesione ed effettuata la misurazione dei diametri della lesione per il calcolo dell’area. I dati raccolti sono stati utilizzati per le valutazioni epidemiologiche di frequenza del fenomeno MWs e per la descrizione del decorso clinico (sopravvivenza). E’ stato effettuato anche un confronto tra le valutazioni infermieristiche ottenute nella fase longitudinale, in due osservazioni successive, ed in relazione ad eventuale trattamento ECT. Analisi statistica :Il test di Shapiro-Wilk ha dimostrato che non tutti i gruppi di studio presentavano una distribuzione normale pertanto è stato scelto un approccio statistico non parametrico. Le valutazioni relative alla quantificazione del fenomeno morboso MWs sono state: calcolo di prevalenza ed incidenza. E’ stata effettuata una analisi della sopravvivenza mediante il modello di Kaplan-Mayer. Le valutazioni relative alle caratteristiche del campione ed al decorso clinico nella coorte longitudinale sono state ottenute mediante confronti di mediane (test di Mann-Whitney per variabili continue e test del χ2 per variabili categoriche). Sono stati ottenuti i valori delta (delta = misura visita 2 - misura visita 1) per area, irritazione, necrosi, essudato, odore, dolore e sanguinamento e si è proceduto al confronto di mediane come esposto sopra. Infine è stata effettuata un’analisi di correlazione tra le variabili analizzate. Risultati: In questo studio sono stati reclutati 5885 pazienti, di cui 333 con MWs (50 inclusi nella coorte longitudinale) e 5552 con malattia neoplastica al 4 stadio. Nei malati con MWs il tumore primitivo è stato: melanoma (40.7%), carcinoma mammario (25.4%), altri tumori (33.9%). La sopravvivenza mediana dell’intero gruppo di studio è stata di 8.6 (IQR: 2.3-13.5) mesi dalla diagnosi di MWs e 30.4 (IQR: 16.7-62.2) mesi dalla diagnosi di neoplasia primitiva ed in entrambi i casi è stata significativamente minore nel gruppo non eleggibile ad ECT in confronto a quello eleggibile ad ECT (6.2 mesi vs 23.1 mesi; p=0.036; p=0.012). Le lesioni cutanee maligne hanno presentato una prevalenza del 3.3% [118/(118+3440); IQR:3.1-3.5] ed una incidenza del 1.2% [70/(70+5552); IQR: 1.0-1.4]. Lo stadio CMW delle lesioni non è stato diverso nel gruppo trattato e non trattato (p=0.102). L’analisi al tempo 1 ed al tempo 2 ha rivelato una significativa riduzione dell’area delle lesioni ed un significativo miglioramento di tutti i reperti sintomatologici e degli indicatori analizzati mediante TELER® System dalla prima alla seconda osservazione (p=0.048; p=0.002; p<0.001; p=0.041; p=0.039; p=0.018; p<0.001; p=0.006). L’analisi dei sottogruppi con e senza ECT ha rivelato tra il tempo 1 ed il tempo 2 una significativa riduzione dell’area ed un significativo miglioramento di irritazione, necrosi, essudato, trattamento del dolore e sanguinamento nel gruppo ECT, mentre tale miglioramento è avvenuto solo per necrosi, impatto dell’odore e trattamento del dolore nel gruppo non sottoposto ad ECT. La riduzione dell’area delle lesioni è stata significativa dal tempo 1 al tempo 2 (p<0.001) ed il trattamento del dolore è stato ottimale nel gruppo di studio con un miglioramento significativo delle mediane dell’indicatore dal tempo 1 al tempo 2 (p<0.001). I decessi sono stati più frequenti nel gruppo non trattato con ECT (p<0.001). Sono state evidenziate solo deboli correlazioni, ad eccezione delle seguenti tra valori delta: essudato-necrosi (r=0.549), impatto odore-necrosi (r=0.604); tempo tra diagnosi di tumore primitivo e diagnosi di MWs e tempo tra la diagnosi di tumore primitivo ed exitus (r=0.957). Conclusioni Questo studio effettuato su un ampio campione di malati oncologici in stadio avanzato ha descritto in modo rigoroso la prevalenza del fenomeno MWs (3.3%) e per la prima volta ne ha riportato l’incidenza (1.2%) e la sopravvivenza mediana (8.6 mesi) con potenzialità per utilizzo clinico-prognostico. Il TELER® è risultato uno strumento adeguato e soddisfacente per la valutazione della sintomatologia locale di questi pazienti ed ha facilitato la quantificazione e l’analisi di fenomeni clinici qualitativi altrimenti difficilmente valutabili nel loro decorso. Questo studio ha anche dimostrato che l’andamento clinico delle MWs ha presentato una sintomatologia loco-regionale in miglioramento dalla prima alla seconda osservazione in tutto il gruppo di studio, pur in presenza di malattia sistemica in progressione. Ciò prospetta la possibilità di ottenere il controllo sintomatologico di queste lesioni almeno nella realtà limitata di un gruppo di pazienti ben assistiti afferenti ad un centro di riferimento nazionale per le cure oncologiche. Infine questo studio ha evidenziato la correttezza dell’indicazione ad ECT, confermando che la malattia ha un decorso più grave dal punto di vista loco-regionale nei casi con interessamento di organi e strutture profonde e nei casi non eleggibili ad ECT. Infine, la possibilità di effettuare ECT, nei casi eleggibili a prognosi migliore, determina un ulteriore miglioramento del decorso clinico.
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Battaglia, Laura Rosaria. "Studio osservazionale longitudinale delle caratteristiche cognitive e motorie nelle paralisi cerebrali infantili: differenze di genere." Doctoral thesis, Università di Catania, 2012. http://hdl.handle.net/10761/1048.

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Abstract:
Introduzione Un gran numero di ricerche ha mostrato differenze genere-correlate in condizioni di normalità e in varie condizioni cliniche mettendo in evidenza la influenza del genere su eziologia, diagnosi, trattamento e prevenzione. L'influenza del genere sulla risposta del sistema nervoso centrale all¿azione di noxae patogene è stata messa in luce da numerose scoperte relative agli aspetti biologici, genetico-evoluzionistici, biochimici, isto-morfologici, anatomo-strutturali che rappresentano importanti punti di partenza per la ricerca di potenziali interventi di neuroprotezione in base al genere. In questa tesi presentiamo i risultati di uno studio longitudinale effettuato su bambini seguiti periodicamente presso l¿Ambulatorio di Paralisi Cerebrali Infantili dell¿Università di Catania allo scopo di mettere in evidenza il ruolo del genere nell¿outcome cognitivo e motorio di soggetti in età evolutiva con forme spastiche di Paralisi Cerebrale Infantile (PCI). Materiali e metodi Per questo studio condotto, in un periodo di 2 anni (2010-2011) è stato preso in considerazione un campione costituito da n. 38 bambini (n. 17 femmine e n. 21 maschi) tutti sottoposti ad una prima valutazione (età compresa tra i 24 mesi e gli 8 anni) e ad una seconda valutazione (età compresa tra i 4 e i 10 anni) per la definizione di un quoziente di sviluppo (QS), mediante CAT-CLAMS, e del funzionamento intellettivo generale, mediante Scale d¿Intelligenza Wechsler; ad entrambi i tempi è stata effettuata una valutazione delle funzioni grosso-motorie mediante GMFM, classificate come livelli GMFCS. Risultati Lo studio, in accordo con precedenti lavori, ha dimostrato la presenza di differenze genere-correlate nell¿ambito dello sviluppo psicomotorio di bambini con PCI durante i primi 4 anni di vita; nel nostro campione, le femmine emiplegiche hanno mostrato, rispetto ai maschi, un maggiore QS alla scala CAT-CLAMS e, successivamente, un maggiore QIT ai test psicometrici standardizzati riflettendo, tale risultato, la stabilità nel tempo di un favorevole sviluppo cognitivo nel genere femminile; indipendentemente dal genere, i bambini emiplegici, hanno mantenuto nel tempo le loro abilità grosso-motorie entro il I livello GMFCS, in assenza di significative modificazioni nei punteggi riportati alle dimensioni GMFM. Lo studio ha messo in rilievo il migliore sviluppo grosso-motorio delle femmine diplegiche attribuibile alle migliori performances mostrate alla dimensione D (stazione eretta) della GMFM ed alla riclassificazione delle performances grosso-motorie di due femmine diplegiche dal III livello al II livello GMFCS. I bambini tetraplegici appartenevano più frequentemente al IV e al V livello, similmente distribuiti tra i due generi ad entrambe le valutazioni. I maschi, in tutti i gruppi considerati, hanno mostrato stabilità nel tempo delle funzioni grosso-motorie relativamente alla GMFM ed alla classificazione GMFCS. Conclusioni La nostra ricerca mette in evidenza come il genere possa influenzare differentemente lo sviluppo cognitivo e motorio di bambini affetti da PCI. Il genere femminile mostra una migliore riorganizzazione post-lesionale in presenza di lesioni sia unilaterali che bilaterali rispetto al genere maschile; ciò è rilevabile sia sul versante cognitivo che motorio. L¿identificazione di differenti caratteristiche dell¿outcome psico-motorio nei due generi potrebbe essere di particolare interesse per l¿impostazione di specifici strumenti di valutazione funzionale e per la programmazione di interventi riabilitativi mirati in base al genere.
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Moro, Elisa <1987&gt. "Studio prospettico osservazionale sull'interruzione volontaria farmacologica di gravidanza: fattori predittivi di dolore pelvico durante il trattamento." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2022. http://amsdottorato.unibo.it/10290/1/TESI%20DOTTORATO%20DI%20RICERCA%20MORO%20ELISA.pdf.

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Abstract:
INTRODUZIONE Pochi studi in Letteratura hanno indagato la correlazione tra la sintomatologia dolorosa associata all’interruzione farmacologica di gravidanza (IVG) e i livelli d’ansia pre-trattamento. L’obiettivo primario del nostro studio è stato di valutare la correlazione tra la sintomatologia dolorosa in corso di IVG farmacologica e i livelli d’ansia pre-trattamento. Inoltre, sono stati indagati i fattori predittivi di dolore e la correlazione con l’epoca gestazionale. MATERIALI E METODI È stato condotto uno studio osservazionale, prospettico, multicentrico presso l’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda USL e presso l’Unità Operativa di Ginecologia dell’IRCCS Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Sono state incluse le pazienti sottoposte a IVG farmacologica tra giugno 2021 e novembre 2021, che rispettassero i criteri di inclusione ed esclusione. Sono stati somministrati 5 questionari (GHQ-12, GAD-7, STAI-6, VAS) e raccolti i dati anamnestici ed ecografici. I potenziali fattori di rischio sono stati, quindi, selezionati per l’inclusione nell'analisi di regressione multivariata. RISULTATI Delle 242 pazienti incluse, il 38,0% ha riferito una sintomatologia dolorosa severa (VAS >70). Dall’analisi di regressione multivariata, la dismenorrea intensa è risultata essere il fattore di rischio più forte per il dolore (OR = 6,30, IC 95% 2,66 – 14,91), seguita da alti livelli di ansia valutati mediante il punteggio del GHQ-12 > 9 (OR = 3,33, IC 95% 1,43 – 7,76). Al contrario, la nostra analisi ha confermato che un precedente parto vaginale rappresentava una caratteristica protettiva contro il dolore (OR 0,26, IC 95% 0,14 – 0,50). CONCLUSIONI Nel nostro studio alti livelli d’ansia pre-trattamento e la dismenorrea sono associati ad intensa sintomatologia dolorosa, mentre il parto vaginale è risultato protettivo. L’IVG farmacologica è una metodica efficace e sicura, ma spesso associata a sintomatologia dolorosa. È quindi fondamentale delineare fattori di predittivi di dolore ed individuare le pazienti a maggior rischio a cui somministrare un’idonea terapia antalgica.
INTRODUCTION Few studies in Literature have investigated the anamnestic and medical features that might be associated with increased pain levels during medical abortion. The primary aim of our study is to identify the anamnestic and clinical characteristics that may represent risk factors for intense pain levels, with particular focus on women’s pre-treatment psychological distress and anxiety levels. Moreover, we evaluate the correlation between pain and gestational age. MATERIALS AND METHODS This prospective, observational, non-pharmacological, multicentric study was conducted at the Department of Obstetrics and Gynecology of Azienda USL of Bologna, and at the Department of Gynecology and Human Reproduction Physiopathology of IRCCS S. Orsola – Malpighi Hospital. We included all women who opted for medical treatment for abortion, between June 1st, 2021 and November 30th, 2021. In addition to anamnestic records and ultrasound data, women were asked to fill in the following questionnaires: GHQ-12, GAD-7, STAI-6, VAS. The potential risk factors were, therefore, selected for inclusion in the multivariate regression analysis. RESULTS On 242 women enrolled, 38.0% experienced severe pain during medical abortion. A previous history of intense dysmenorrhea appeared the strongest risk factor for pain, when evaluating the size effect of each significant predictor (OR = 6.30, 95% CI 2.66 – 14.91), followed by a GHQ-12 score > 9 (OR = 3.33, 95% CI 1.43 – 7.76). On the contrary, our analysis confirmed that a previous vaginal delivery represented a protective feature against intense pain (OR 0.26, 95% CI 0.14 – 0.50). CONCLUSIONS Our data clearly show that nulliparity, dysmenorrhea, and increased baseline anxiety levels significantly increase the likelihood of severe pain in women undergoing medical abortion. Medical abortion is a safe and effective procedure, but it is often associated with pain symptoms. The identification of women at risk for experiencing severe pain is crucial to improve women’s care.
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FUMAGALLI, SIMONA. "STUDIO OSSERVAZIONALE MULTICENTRICO SUL RICORSO ALLE PROCEDURE DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO E/O DI DIAGNOSI PRENATALE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2012. http://hdl.handle.net/2434/202944.

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Abstract:
Multicenter observational study using the procedures for risk assessment and / or prenatal diagnosis BACKGROUND The increased use of the screening test and prenatal diagnosis is closely correlated with the perception of risk. Often the perception of risk is adjusted according to the choice, some already made, even according to their family history and socio-cultural context. The causal relationship between real and perceived risk is very difficult to determine and many factors of different nature interfere. Often the lack of knowledge and understanding prevail in generating those feelings that lead women to make unconscious choices. OBJECTIVE The aim of the study was to evaluate the factors influencing choice of invasive techniques (CVS, amniocentesis) for prenatal diagnosis (PD) in a population of women, after childbirth, that delivery in S.Gerardo Hospital (Monza) and V.Buzzi Hospital (Milano). METHOD Structured interview in an unselected population of consecutive women (after childbirth) administered by 2 trained interviewers. The interview included social variables and clinical history, type of care during pregnancy, use of screening tests, and VAS (visual analogue scale, range from 1 to 10) of perceived risk of miscarriage due to amniocentesis (using risk of 1/200), and of a child with Down Syndrome (DS) (using a risk of 1/350). Both VAS investigated the perceived risk in term of intensity and acceptability (0 least risk and least acceptable to 10 most risk and more acceptable). Statistical analysis included logistic regression, in which all variables significant at univariate were entered, with p<0.01 or 95% CI not inclusive of unit considered significant. RESULTS 60% of women underwent screening test and 22% underwent invasive procedures. At logistic regression factors affecting the choice of screening test were: to have already had at least one miscarriage (OR=2,72 p=0,0016), to have received a consulance (OR=3,13 p=0,0017), number of visits during pregnance (OR=1,29 p=0,0003), wrong knowledge about test(OR=1,83 p=0,039). At logistic regression factors affecting the choice of invasive PD were: maternal age (OR 11,58 p<.0001),to be married (OR=0,23 p=0,005) to have received a consulance (OR=3,53 p=0,001) ,to be assisted in a public service (p=0,06), considering low the risk of miscarriage after amniocentesis (p=0,08). CONCLUSIONS: The choices regarding screening test and invasive PD are influenced by type of assistance, while social variables are less involved. The counselling should consider factors involved in perceiving risks.
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ZANZI, MARIA VITTORIA. "Studio prospettico osservazionale in pazienti affetti da melanoma cutaneo primitivo e sottoposti a biopsia del linfonodo sentinella." Doctoral thesis, Università degli studi di Ferrara, 2018. http://hdl.handle.net/11392/2478768.

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Abstract:
Scopo: La biopsia del linfonodo sentinella (SLN) (SLNB) è ampiamente accettata per la stadiazione dei pazienti con melanoma. È stato dimostrato che le caratteristiche clinicopatologiche come lo spessore di Breslow, l'ulcerazione, l'età e il sesso sono migliori fattori predittivi di ricaduta e sopravvivenza rispetto all’interessamento del SLN da solo. Gli obiettivi di questo studio sono stati: 1) valutare l'impatto prognostico a lungo termine (10 anni) della SLNB e 2) determinare i fattori predittivi associati a metastasi del SLN, recidiva e mortalità specifica da melanoma (MSM). Metodi: si tratta di uno studio prospettico osservazionale su 289 pazienti consecutivi con melanoma cutaneo primitivo sottoposti, presso un Ospedale Universitario Italiano, a SLNB da gennaio 2000 a dicembre 2007 e seguiti in follow-up fino a gennaio 2014. Risultati: il SLN è risultato positivo in 64 pazienti (22,1%). Il follow-up mediano è stato di 116 (79-147) mesi. La sopravvivenza libera da malattia a 10 anni e la sopravvivenza specifica da melanoma sono state basse nei pazienti con SLN positivo (rispettivamente il 58,7% e il 66,4%). Solo lo spessore crescente di Breslow è risultato associato indipendentemente ad un aumentato rischio di metastasi al SLN. L'analisi di regressione di Cox ha dimostrato che lo spessore di Breslow> 2 mm è un fattore predittivo indipendente di recidiva e il sesso maschile e lo spessore di Breslow> 2 mm sono fattori predittivi di MSM. A 10 anni, la metastasi al SLN non era significativamente associata né a recidiva né a MSM. Conclusioni: Dopo il quinto anno di follow-up, le metastasi del SLN non sono un fattore predittivo indipendente di recidiva e mortalità che sono, invece, principalmente influenzati dalle caratteristiche del tumore primitivo e del paziente. I pazienti con spessore di Breslow> 2 mm, indipendentemente dallo stato del SLN, devono essere considerati ad alto rischio per recidiva e mortalità a 10 anni.
Purpose: Sentinel lymph node (SLN) biopsy (SLNB) is widely accepted for staging of melanoma patients. It has been shown that clinico-pathological features such as Breslow thickness, ulceration, age and gender are better predictors of relapse and survival than SLN status alone. The aims of this study were 1) to evaluate the long-term (10-years) prognostic impact of SLNB and 2) to determine predictive factors associated with SLN metastasis, relapse, and melanoma specific mortality (MSM). Methods: This was a prospective observational study on 289 consecutive patients with primary cutaneous melanoma who underwent SLNB from January 2000 to December 2007, and followed until January 2014, at an Italian academic hospital. Results: SLN was positive in 64 patients (22.1%). The median follow-up was 116 (79–147) months. Ten-year disease free survival and melanoma specific survival were poor in patients with positive SLN (58.7% and 66.4%, respectively). Only the increasing Breslow thickness resulted independently associated to an increased risk of SLN metastasis. Cox regression analysis shown that Breslow thickness >2mm was an independent predictor of relapse, and male gender and Breslow thickness >2mm of MSM. At 10-year, SLN metastasis was not significantly associated either to relapse or to MSM. Conclusions: After the fifth year of follow-up, SLN metastasis is not an independent predictive factor of relapse and mortality that are mainly influenced by the characteristics of the primary tumor and of the patient. Patients with Breslow thickness >2mm regardless of the SLN status should be considered at high-risk for 10-year relapse and mortality.
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Liguori, E. I. "STATO DI NUTRIZIONE MATERNO, ESITI GRAVIDICI E OUTCOMES OSTETRICI: STUDIO OSSERVAZIONALE PROSPETTICO IN DONNE DI ORIGINE CAUCASICA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2015. http://hdl.handle.net/2434/264754.

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Abstract:
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Medicina e Chirurgia SCUOLA DI DOTTORATO in SCIENZE FISIOPATOLOGICHE, NEUROPSICOBIOLOGICHE E ASSISTENZIALI DEL CICLO DELLA VITA DIPARTIMENTO di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco” CORSO DI DOTTORATO in Scienze Assistenziali del Ciclo della Vita - CICLO XXVII ABSTRACT DELLA TESI DI DOTTORATO DI RICERCA STATO DI NUTRIZIONE MATERNO, ESITI GRAVIDICI E OUTCOMES OSTETRICI: STUDIO OSSERVAZIONALE PROSPETTICO IN DONNE DI ORIGINE CAUCASICA Settore scientifico disciplinare MED/40 Ginecologia e Ostetricia Tesi di Dottorato di Elena Isabel Liguori Matricola R09522 TUTOR: Chiar.mo Prof. Enrico Mario Ferrazzi COORDINATORE: Chiar.mo Prof. Roberto Weinstein A.A. 2013/2014 ABSTRACT In the bibliography the Mediterranean diet is associated with positive health effects in the general population, such as a lower incidence of cardiovascular diseases, diabetes and obesity. There is limited data on pregnant women. The relationship between nutrition in pregnancy and obstetric outcome was investigated. In particular the adherence to the Mediterranean diet of caucasian pregnant was analyzed, because it’s already considered a positive prognostic index in the normal population, to see if the dietary pattern is correlated with a lower incidence of complications in pregnancy related to poor nutrition and excessive weight, and then to an improvement of neonatal outcomes. 127 caucasian woman were enrolled voluntarily, pertaining to outpatient of the I.C.P. Buzzi Children’s Hospital, in Milan, and these were followed in the three trimesters of pregnancy. The trend of the nutritional profile during pregnancy was analyzed with a standardized questionnaire, to be able to detect the degree of adherence to the mediterranean diet, and the maternal weight gain has been detected combined with anthropometric measurements (skinfold and circumferences). All data collected were analyzed and were related with medical history, pregnant examinations routine, obstetric and neonatal outcomes. Of the 127 women who partecipated in the first meeting 97 have completed the course. The sample of urban Caucasian women is rather uniform, mainly composed of primigravida, nonsmokers, with a high cultural level and 79.5% of the sample is normal weight, with an average BMI 21.8. The nutritional profile shows that there are not significant differences in the Mediterranean score in the three trimesters of pregnancy, but only about 16% reaches the minimum cut off of adhesion and is correlated directly and significantly with the age of the mother (r = 0:23 , p = 0.01). In particular it a low fish consumption was noted (only 4% reported consuming at least 3 times a week), legumes (only 10.6% reported consuming at least three times a week), dried fruit and nuts (only 22.4% reported consuming at least once a week). Of these women, those underweight and normal weight had an average weight gain of 13 kg and then in the range, overweight women instead took an average of 14 kg compared to 11 kg indicated by the IOM. The Mediterranean score detected at the end of pregnancy was inversely correlated (of borderline significance: 00:07) with the increase in weight, and can be correlated with the variation of the subscapular fold, which is skinfold more indicative of the change in fat mass. The weight of the newborn was correlated significantly to maternal weight, the folds of subcutaneous fat measured at the end of pregnancy and maternal waist circumference. The weight change between the first and third trimester was associated to the change of the folds and thus significantly associated to the increase in fat mass, which is in turn associated with weight. BIBLIOGRAPHY • American College of Obstetricians and Gynecologist. ACOG Committee Opinion number 315, September 2005. Obesity in pregnancy. 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GUERRIERO, MASSIMO. "Valutazione della funzionalità respiratoria dei residenti del Comune di Verona: risultati di uno studio osservazionale cross-sectional." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/40135.

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Abstract:
Indagare la prevalenza di una patologia è una sfida molto impegnativa. Se da un lato il sostegno economico ed organizzativo sembrano gli ostacoli maggiori, dall’altro una corretta impostazione dello studio potrebbe non essere sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo se una parte consistente delle unità statistiche selezionate decidessero di non aderire all’indagine epidemiologica. Le mancate risposte totali registrate in questo studio assommano al 31%, se ci si riferisce al campione programmato, ma arrivano sino al 67% se ci si riferisce all’ammontare complessivo dei soggetti invitati a partecipare. Tali tassi di mancata risposta totale hanno determinato una auto selezione dei rispondenti in termini di sesso, con una sovra rappresentazione delle femmine, e di età, con una sotto rappresentazione dei giovani ed una sovra rappresentazione degli anziani. Essendo la patologia indagata correlata al sesso ed all’età si è reso necessario correggere la stima di prevalenza con il metodo della riponderazione, introducendo sei classi di aggiustamento determinate proprio dai livelli della variabile sesso e classe di età: giovani, adulti ed anziani. Per quanto riguarda invece la sintomatologia respiratoria, l’utilizzo di farmaci respiratori e della spirometria, nonché la presenza di una pregressa diagnosi di BPCO, le due popolazioni dei rispondenti e dei non rispondenti sono risultate essere del tutto sovrapponibili e quindi nessun intervento di correzione, al momento, è stato necessario introdurre. Alla luce di tali premesse si possono fare alcune considerazioni. I sintomi respiratori quali tosse, catarro e dispnea sono piuttosto diffusi nel campione indagato (1 soggetto ogni 4 o 5) e nonostante ciò, l’esame spirometrico risulta ancora scarsamente impiegato (1 soggetto ogni 3) a conferma del fatto che i soggetti tendono sistematicamente a sottovalutare tali sintomi respiratori sino a quando non compromettano la qualità della vita. Inoltre, ciò rende particolarmente difficile intercettare precocemente i casi potenzialmente a rischio di BPCO e, soprattutto, quelli di stadio iniziale, con conseguenze sociali ed economiche facilmente intuibili. Tali sintomi respiratori sono statisticamente associati al fumo attivo ma non all’esposizione alle diverse fonti di inquinamento (traffico veicolare, leggero o pesante, impianti industriali). I potenziali BPCO così come definiti dalle linee guida GOLD (almeno tre di cinque items positivi tra età superiore ai 40 anni, fumatore, tosse e catarro, limitazione dell’attività fisica e dispnea) ammontano al 27,9%; prendendo questo status come indicatore di BPCO emerge una scarsa capacità dello stesso ad individuare la patologia respiratoria BPCO (sensibilità pari al 46,2%) quando presente ed una discreta capacità di escluderla se non presente (specificità pari al 74,5%). Quando il medesimo ragionamento viene applicato alla diagnosi clinica della bronchite cronica si nota invece una scarsissima capacità nell’individuare la patologia respiratoria BPCO quando presente (sensibilità pari al 16,1%) ma una molto buona capacità di escluderla se non presente (specificità pari al 91%). Ciò fa pensare che la domanda “Ha avuto tosse e catarro per la maggior parte dei giorni per almeno tre mesi all’anno e da almeno due anni consecutivi?” posta sistematicamente negli ambulatori della medicina di base potrebbe essere un eccellente e semplicissimo strumento per escludere, almeno in una prima fase, la presenza di BPCO. Qualora la diagnosi di BPCO fosse effettuata con il metodo della soglia variabile (LLN) i risultati sarebbero del tutto analoghi: bassa sensibilità e discreta specificità per i potenziali BPCO, individuati con il metodo di “almeno tre items positivi su 5”, bassissima sensibilità e alta specificità per il metodo della “diagnosi clinica di bronchite cronica” a conferma ulteriore dell’utilità dell’impiego di un semplice questionario quale strumento confermativo della non presenza di BPCO. L’evidenza della potenziale presenza di BPCO deve essere confermata, invece, dall’esame spirometrico e da una attenta anamnesi dello specialista pneumologo. La stima della prevalenza di BPCO, con il metodo della soglia fissa, è pari all’11,7% con nette differenze tra maschi e femmine; si viene a confermare così la sistematica sottostima della prevalenza della patologia respiratoria indagata da parte di altre fonti ufficiali come ad esempio l’ISTAT, che la colloca su livelli intorno al 4%. Anche i dati derivanti dai data base della medicina generale, che, va detto, sono molto parziali, indicano una prevalenza di BPCO in Italia che varia dall’1% al 4%, così come riportato dallo studio QuaDro di GlaxoSmithkline (www.gsk.com). La stima della prevalenza derivante dall’applicazione del metodo della soglia variabile LLN risulta essere pari all’8,8% a livello globale con differenze tra maschi e femmine davvero minime. Le differenze, invece, possono meglio saggiarsi a livello delle diverse tre fasce d’età e ciò è dovuto alle caratteristiche intrinseche del metodo. Da un punto di vista meramente metodologico, il metodo LLN, tenendo in considerazione oltre che al sesso, l’età, appare più rispettoso della naturale evoluzione dell’apparato respiratorio. Ciò suggerirebbe la necessità di abbandonare il metodo della soglia fissa in favore di quello della soglia variabile ma si pongono, fondamentalmente, tre problemi. Il primo, riguarda la necessità di reperire i valori di normalità congrui alla popolazione a cui il metodo viene applicato – è ciò prescinde dal metodo adottato (soglia fissa o variabile); il secondo, riguarda la necessità di reperire il miglior modello teorico (rette o anche funzioni più complesse); il terzo, riguarda la necessità di validare il metodo della soglia variabile attraverso studi longitudinali misurando così gli esiti di malattia. Le stime di prevalenza di BPCO aggiustate per sesso e fascia d’età sono pari al 13,1% e all’11,8%, rispettivamente, per il metodo della soglia fissa e della soglia variabile. Ciò indica che c’è stato un forte effetto da parte della riponderazione che però necessita di ulteriori approfondimenti di analisi. È stato anche eseguita una riponderazione applicando i modelli logistici ma i risultati sono ancora molto parziali quindi si è ritenuto di non presentarli in questo documento. Dalle evidenze emerse in capo all’analisi spaziale è possibile sostenere, con i dati in possesso, la presenza di un pattern spaziale, cioè di un legame tra area geografica cittadina e BPCO. In particolare sembrerebbe essere colpita da una maggiore concentrazione di scarsa salute respiratoria la zona in cui vi è una maggiore concentrazione abitativa e di traffico veicolare. Infatti, l'analisi circoscritta ai soggetti privi dei fattori di rischio, ha permesso di far emergere la componente della BPCO correlata all'esposizione ambientale. Quest'ultimo risultato ci permette di avallare l'analisi statistica spaziale come strumento importante nell'identificazione di ulteriori fattori di rischio per la BPCO, oltre al fumo, connessi all'esposizione occupazionale ed ambientale. Sembrerebbe quindi di poter avanzare un’ipotesi e cioè che ha salute compromessa chi è esposto ad inquinanti seppur privo di fattori di rischio. Le analisi svolte non sono certo esaustive per poter addurre conclusioni inferenziali robuste sulla diretta causalità inquinamento-BPCO. In effetti, il pattern spaziale emerge solo dove i dati analizzati sono stati precedentemente “aggiustati” per altri fattori confondenti come età e fumo. Non vi è da escludere però che vi siano altri fattori confondenti non considerati nel database e per i quali non è possibile una correzione. A tal proposito, si segnala che la parte di variabilità spaziale spiegata in tutte le applicazioni non supera il 15% della variabilità totale delle tre variabili in analisi, ciò probabilmente dovuto proprio alla presenza di fattori confondenti che apportano variabilità non spaziale al fenomeno e che impedisce al pattern territoriale di emergere in modo evidente. Nonostante tali limiti però, i risultati finora osservati costituiscono sicuramente un’ipotesi valida per l’analisi della correlazione tra BPCO e territorio. Si evidenzia altresì la necessità sia di produrre altre mappe sui dati rilevati che tengano in considerazione anche altri fattori, come ad esempio l’esposizione lavorativa, sia e, soprattutto, di intraprendere studi ad hoc controllati su soggetti omogenei e privi di fattori di rischio al fine di far emergere in modo più evidente la variabilità spaziale della BPCO espressa come fattore latente “stato di salute respiratoria”.
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Piccoli, Sara. "La quetiapina nella gestione dell'agitazione e dell'aggressività nel paziente adulto con grave cerebrolesione acquisita: uno studio prospettico osservazionale." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3421533.

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Abstract:
The use of atipycal antipsychotic in the treatment of patients with severe acquired brain injury is linked to the molecule’s mechanism of action. This characteristic makes this drugs differents from other antipsychotic agents. Pharmacological treatment of behaviour and cognitive patterns occurring after the incident is most often required for this class of patients than treating the typical psychotic productivity of schizophrenic patterns. What is more relevant in the choice of the drug is its potential of not further affecting motor functions which are already seriously compromised. The drug should also be able to control behavioural aspects which could compromise the rehabilitation process. Agonism at D2 receptors has shown not to affect the physiological levels of dopamine in the pathways involved in the regulation of motricity and the endocrine system. This allows patients to avoid side effects like extrapyramidal symptoms and hyperprolactinemia, which are caused by blocking dopaminergic activity of nigrostriatal, mesocortical and tuberoinfundibular pathways. As for the negative symptomatology, partial dopaminergic agonism should also increase dopaminergic activity in areas where it may be low, such as the mesocortical pathway. Unlike in schizophrenia, deficit in patients with severe ABI is usually secondary, as it is related to the reported lesion. However, symptomatology in patients with severe ABI is similar to the typical negative symptomatology of schizophrenia and it is characterized by apathy, abulia, lack of initiative or behavioural disease and cognitive symptoms. Another relevant aspect in the choice of an antipsychotic drug for the rehabilitation treatment of these patients refers to its effects on cognitive functioning. Experimental studies on neurocognitive effects of second generation antipsychotics like quetiapine on schizophrenic brain showed improvements of some cognitive functions, namely verbal learning and working memory. Twenty subjects were selected and recruited between the ordinary hospitalized from the Unit for the Rehabilitation of Neuropsychological Acquired Disorders (Unità per la Riabilitazione delle turbe Neuropsicologiche Acquisite URNA) of IRCCS “E. Medea” Ass. La Nostra famiglia -Polo Veneto of Conegliano and Pieve di Soligo (TV). Individuals suffer from post-lesion behavioural disease as a result of Acquired Brain Injury ( ABI). The subjects of the sample that during the hospitalization manifested episodes of aggressive behavior or anxiety with such a scale and a duration that required clinical treatment, were treated medically with quetiapine. The behavioral changes were recorded through ABS scale. At the time of recruitment, the rating of “Level of Cognitive Functioning (LCF)” scale, was between 4 and 6. It was also recruited a control sample, comparable in age, sex and LCF whose cognitive and behavioral changes were altered but not as to require a clinically justified drug treatment. Both groups were evaluated on the motor level FIM. The two groups of patients received equally multidisciplinary rehabilitative treatment during ordinary hospitalization. At the end of the observation period, the two groups (pharmacologically treated and non-treated) were compared and measured through LCF and FIM. In detail it was verified whether any improvement showed, its magnitude and, eventually, if the pharmacologically treated sample manifested any drug influences on the cognitive and motor level compared to the non treated sample. It was taken qualitative analysis of the treated sample in order to quantify and describe both characteristics and trend of behavioral disturbances with reference to anti- psychotic taking. The results demonstrate that quetiapine reduce behavioural diseases; the sample treated with drug has improved in neuropsychology and motricity index. In other words, quetiapine used in acquired brain injury with behavioural disease can reduce symptoms without interferences in cognitive and motor aspects.
L’utilizzo di antipsicotici atipici nei pazienti con grave cerebrolesione acquisita ha il suo razionale nel meccanismo d’azione di queste molecole rispetto ai neurolettici convenzionali. In questa tipologia di pazienti è necessario nella maggior parte dei casi intervenire farmacologicamente su quadri di tipo comportamentale e su aspetti cognitivi che si manifestano in seguito al danno, piuttosto che sulla produttività psicotica classica dei quadri schizofrenici. In altre parole, l’efficacia antipsicotica derivante dal blocco della via dopaminergica mesolimbica sulla sintomatologia positiva, non è la caratteristica dirimente nella scelta di un farmaco antipsicotico nel grave cerebroleso. Svolgono un ruolo di i maggiore rilevanza nella scelta terepeutica le potenzialità che ha il farmaco di non influire negativamente su un quadro motorio già gravemente compromesso, e contemporaneamente di contenere aspetti comportamentali di entità tale da compromettere il buon esito di un percorso riabilitativo. Alla luce di quanto detto, l’agonismo D2 dovrebbe non interferire con i livelli fisiologici di dopamina nelle vie deputate al corretto funzionamento della motricità e del sistema endocrino, risparmiando quindi ai pazienti effetti secondari quali i sintomi extrapiramidali e l’iperprolattinemia, che si avrebbero con il blocco dei recettori dopaminergici delle vie nigrostriatali, mesocorticali e tuberoinfundibolari. Inoltre, per ciò che riguarda la sintomatologia negativa, l’agonismo dopaminergico dovrebbe ripristinare un’adeguata attività dopaminergica nelle vie in cui questa è deficitaria, come può essere la via mesocorticale. A differenza di quanto accade nella schizofrenia, il deficit nel caso di paziente con grave cerebrolesione acquisita è verosimilmente di natura secondaria, cioè legato alla lesione riportata. Anche se si tratta di meccanismi d’azione adottati per la schizofrenia, dunque, di frequente nei pazienti con grave cerebrolesione si assiste alla comparsa di una sintomatologia simile a quella negativa propriamente schizofrenica, con apatia, abulia, mancanza di iniziativa o, come nel nostro campione di pazienti oggetto di studio, si assiste alla comparsa di alterazioni comportamentali sul versante produttivo dell’agitazione e dell’aggressività. Un ulteriore aspetto dirimente nella scelta di un antipsicotico nel trattamento riabilitativo di questi pazienti è la sua efficacia sulla dimensione cognitiva. Sono stati reclutati 20 soggetti in regime di ricovero ordinario presso l’Unità per la Riabilitazione delle turbe Neuropsicologiche Acquisite (URNA) dell’IRCCS “E. Medea” Ass. La Nostra famiglia-Polo Veneto di Conegliano e Pieve di Soligo (TV). I soggetti sono affetti da agitazione post-lesionale come conseguenza di grave cerebrolesione acquisita (GCA). I soggetti del campione, al manifestarsi nel corso del ricovero di comportamenti aggressivi o di episodi di agitazione di entità e durata tali da necessitare trattamento clinico, sono stati trattati farmacologicamente con quetiapina. Le variazioni comportamentali sono state registrare con la scala ABS. Al momento del reclutamento, il punteggio alla scala Level of Cognitive Functioning (LCF) era compreso tra 4 e 6. Si è inoltre provveduto a reclutare un campione di controllo, comparabile per sesso, età e LCF che manifestasse alterazioni della sfera cognitiva e comportamentale, ma per il quale non fosse opportuno dal punto di vista clinico il trattamento farmacologico. Entrambi i gruppi sono stati valutati sul piano motorio con la FIM. I due gruppi di pazienti ricevono in misura uguale trattamenti riabilitativi multidisciplinari, in regime di ricovero ospedaliero. Al termine dell’osservazione, i due gruppi ( trattato e non trattato farmacologicamente) sono stati misurati e confrontati per LCF e FIM per valutare ove presente l’entità del miglioramento e se presenti o meno influenze del farmaco sul piano cognitivo e motorio nel campione che ha assunto il farmaco rispetto all’altro. Nel campione trattato è stata fatta un’analisi qualitativa per quantificare, descrivere le caratteristiche e l’andamento del disturbo comportamentale in relazione all’assunzione dell’antipsicotico, per descrivere la distribuzione dei punteggi nelle sottoscale dell’ABS in modo da definire meglio le caratteristiche del disturbo comportamentale anche in relazione a variabili quali il momento della giornata o all’eziologia del danno. Questi dati possono essere utili oltre che per coadiuvare le scelte del trattamento farmacologico, anche per fornire strumenti che possono contribuire a una piu’ appropriata gestione del disturbo comportamentale all’interno di un setting riabilitativo. I risultati dimostrano che la quetiapina riduce effettivamente la sintomatologia comportamentale; il campione che ha assunto il farmaco è risultato comunque migliorare dal punto di vista cognitivo e anche sul piano motorio. In altre parole, la quetiapina utilizzata nel paziente con grave cerebrolesione acquisita affetto da agitazione e aggressività, consente di ridurre la sintomatologia senza influenzare negativamente gli aspetti cognitivi e motori.
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VISCONTI, ELENA. "L'AUTONOMIA OSTETRICA IN UN CENTRO DI TERZO LIVELLO: STUDIO PROSPETTICO OSSERVAZIONALE SULL'OUTCOME MATERNO DEI TRAVAGLI A BASSO RISCHIO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/233158.

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Abstract:
One of the most important goals of modern obstetric care is to ensure compliance with the physiology while ensuring , with excellent supervision , good maternal and neonatal outcomes . The aim of this study was to analyze maternal and neonatal outcomes of pregnant women at term low risk ( nulliparous and multiparous ) admitted in spontaneous labor and midwife assisted autonomy in a level III center . We observed a group of low-risk women with a singleton pregnancy obstetrician , the situation in the longitudinal , cephalic presentation and admitted in spontaneous labor . Our hypothesis is that , in hospitals run by the midwife labor in women at low risk on admission may be a possible way to secure the de-medicalization . Maternal and neonatal outcomes considered were : type of delivery , episiotomy, , postpartum hemorrhage ( PPH) , transfusions , pH and Apgar score of newborns, the prevalence of SGA and LGA infants , admissions TIN , perinatal mortality . Women at low obstetric risk ( 50.3 % of all parts of the center ) have been assisted by the midwife autonomy , according to the protocol in place . Women who were in the stages of labor with obstetric risk and therefore become at risk obstetrician excluded from our work. Medical supervision for emerging risk factors in the first or second stage of labor was required in 16.1 % and 8.6 % of cases, respectively . Epidural analgesia was performed in 29.8 % of cases. , Although the latter group of women was not considered by the autonomy midwife . There are only 22.9 % of low-risk women recruited and managed autonomously by the midwife . The results suggest that in a hospital environment , labor, midwife managed independently in low-risk women with a lot of benefits can be realized without additional risks for the mother and the baby and avoiding complications due to transfers from other structures chosen for the confinement to ' hospital.
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Pallotti, Maria Caterina <1978&gt. "Delirium nei pazienti oncologici in fase avanzata di malattia: studio prospettico, osservazionale in due differenti organizzazioni di cure palliative." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amsdottorato.unibo.it/8467/1/Maria%20Caterina_Pallotti_Tesi.pdf.

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Abstract:
Introduzione. Il Delirium è una sindrome neuropsichiatrica frequente nei pazienti oncologici. La Memorial Delirium Assessment Scale (MDAS) è uno strumento validato per diagnosi, severità e fenomenologia del delirium. Scopo dello studio: confrontar prevalenza all’ingresso, incidenza durante il ricovero e fenomenologia del delirium, in pazienti affetti da malattia oncologica avanzata in due diversi setting: Hospice e reparto di Oncologia. Metodi. Abbiamo condotto uno studio osservazionale prospettico in pazienti ricoverati nell’Hospice Bentivoglio della Fondazione Hospice MT Chiantore Seràgnoli Onlus (Bentivoglio, Bologna, Italy) (FHS) e presi in carico dalla Equipe di Cure Palliative del reparto di Oncologia della Clinica Università di Navarra (Pamplona, Spain) (CUN). L’MDAS è stato somministrato all’ingresso e una volta alla settimana. Sono state eseguite analisi di frequenza, Test Chi-quadrato Pearson, Test esatto di Fisher, Test Anova e Test Wilcoxon. Resultati. Sono stati arruolati 227 pazienti (176 in FSH, 51 in CUN). La prevalenza di delirium all’ingresso è stata di 46/176 (26%) pazienti in FHS e 11/51 (22%) in CUN (p<0.585). L’incidenza durante il ricovero è stata di 31/176 (18%) pazienti in FHS e di 4/51 (8%) in CUN (p<0.208). Alla dimissione/decesso, il delirium è stato irreversibile in 65/176 (37%) pazienti in FHS e in 3/51 (6%) in CUN (p<0.001). In 32 pazienti è stato possibile confrontare l’MDAS all’episodio di delirium con il successivo. Nei 22 pazienti con delirium reversibile tutti gli item dell’MDAS sono migliorati (riduzione del livello di intensità); nei 10 pazienti con delirium irreversibile, il livello di intensità è rimasto lo stesso in tutti gli item. Conclusione. La prevalenza del delirium all’ingresso e l’incidenza durante il ricovero sono stati simili nei due setting, l’evoluzione diversa: in FSH alla dimissione/decesso ci sono stati un numero maggiore di delirium irreversibili. Con precoce diagnosi e trattamento il delirium può migliorare quando reversibile, può non peggiorare quando irreversibile.
Background. Delirium is a neuropsychiatric syndrome more frequent in advanced cancer patients. The Memorial Delirium Assessment Scale (MDAS) is a validated tool used for diagnosis, severity and measuring phenomenology of delirium. The aim of this study is to compare the prevalence at admission, incidence during hospitalization and phenomenology of delirium in advanced cancer patients in two different settings: a hospice and an oncology ward. Methods. We conducted a prospective observational study of patients admitted at Hospice Bentivoglio of the Hospice MT Chiantore Seràgnoli Onlus Foundation (Bentivoglio, Bologna, Italy) (FHS) and attended by the Palliative Care Supportive Team at the Oncology Ward of the University Clinic of Navarra (Pamplona, Spain) (CUN). MDAS was administered at initial hospitalization and repeated every week. Frequency analysis, Chi-squared Pearson Test, Fisher test, Anova Test and Wilcoxon test were analyzed. Results. 227 were enrolled (176 in FHS, 51 in CUN). Delirium prevalence was 26% (46/176) FHS, 22% (11/51) CUN (p<0.585). Delirium incidence was diagnosed in 18% (31/176) of patients in FHS, in 8% (4/51) at CUN (p<0.208). At the time of discharge/death, irreversible delirium was present in 37% (65/176) of patients at FHS, in 6% (3/51) at CUN (p<0.001). In a subset of 32 patients, MDAS was compared at the time of diagnosis of delirium and one week later. In 22 patients with reversible delirium, all MDAS items showed a reduction in the level of intensity of delirium, but in 10 patients with irreversible delirium, the level of all items reminded at the same intensity. Conclusion. Delirium prevalence at admission and incidence during hospitalization was similar in both settings, but the evolution was different: in FSH at discharge/death, there was a higher prevalence of irreversible delirium. Signs of delirium can improve in reversible delirium and not worsen in irreversible delirium by early diagnosis and proper treatment.
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GRIGNOLO, SARA. "Studio osservazionale caso-controllo sugli outcome neonatali in donne gravide con infezione da HIV: Genova San Martino 2015-2018." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2019. http://hdl.handle.net/11567/942558.

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Abstract:
Antiretroviral therapy (ART) in pregnancy was associated with a drastic reduction in HIV mother-to-child transmission (MTCT), but the risk of preterm birth (PTB) and low birth weight (LBW) remained high in HIV-infected pregnant women. The objective of the study was to evaluate neonatal outcomes (PTB, LBW and small for gestational age infants (SGA)) and hematological and hepatic adverse events in HIV-infected pregnant women and to compare these outcomes with those of infants born to HIV-uninfected women. Neonatal outcomes were analyzed in two contemporary cohorts of HIV-infected and HIV-uninfected pregnant women attending to San Martino Hospital in Genoa between 2015 and 2018. Multivariate logistic regression will be used to estimate the adjusted effect of HIV status on neonatal outcomes. Overall, 16 infants born to HIV-infected women and 80 infants born to HIV-uninfected women were included in the study. No differences statistically significant in demographic and clinical characteristics were found in two cohorts of women (median age was 31.6 years in HIV-infected group vs. 33.2 years in HIV-uninfected group of women), except for foreign women who were 85.7% in HIV-infected group and 17.5% in HIV-uninfected group (p<0.001). The diagnosis of HIV infection was performed before pregnancy in the majority of cases (72%). Nine (65%) patients were on ART at conception and almost all (86%) had been treated during pregnancy. Observed neonatal outcomes in infants born to HIV-infected women were: 31.3% PTB (vs. 10% in infants born to HIV-uninfected women, p=0.04), 31.3% LBW (vs. 6.3% in infants born to HIV-uninfected women, p=0.03), 18.8% SGA (vs. 11.3% in infants born to HIV-uninfected women, p=0.41). In the multivariate analysis, mother’s HIV infection was associated with LBW (OR=5.8; CI95%, 1.3-24.7; p=0.02). Biochemical adverse effects in infants born to HIV-infected women were: liver function test abnormalities (53%), anemia (31%) and thrombocytopenia (6%). In conclusion, rates of PTB and LBW were higher among infants born to HIV-infected women than in those born to HIV-uninfected women. Mother’s HIV infection was associated with an increased risk of LBW, but not with PTB.
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DASSO, NICOLETTA. "L’esperienza di ricovero dei caregivers familiari in ambito pediatrico e le relazioni con l’assistenza infermieristica: uno studio osservazionale multicentrico." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2021. http://hdl.handle.net/11567/1046204.

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Abstract:
ABSTRACT Background: la soddisfazione dell’utenza in merito all’assistenza ricevuta in ambito sanitario è un aspetto che negli anni ha assunto sempre maggiore rilevanza, non solo in ambito infermieristico, in quanto viene annoverato tra i nursing sensitive outcomes, ma anche a livello economico e politico. In ambito pediatrico, la filosofia maggiormente abbracciata nel mondo occidentale è la Family Centered Care, che prevede la centralità del bambino e del suo nucleo familiare nell’intero processo di cura. Pochi sono gli studi che hanno valutato le relazioni tra l’esperienza dei caregivers familiari in merito all’assistenza ricevuta e gli aspetti più organizzativi dell’assistenza infermieristica. Obiettivi: Esaminare l’esperienza dei caregivers familiari relativamente al ricovero ospedaliero che hanno vissuto con il loro bambino e valutare le relazioni con l’assistenza infermieristica ricevuta e il setting di cura. Metodi: Studio osservazionale trasversale, con raccolta dati a tre livelli (amministrativo, infermiere e caregivers) tramite campionamento di convenienza. La partecipazione è sempre stata preceduta da accettazione alla partecipazione allo studio in seguito alla lettura del consenso informato. per queste analisi è stato estrapolato un sotto-campione paragonabile con gli studi presenti in letteratura. Nella raccolta dati a livello caregivers sono state coinvolte 9 Aziende ospedaliere affiliate all’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani situate in diverse regioni italiane. I dati sono stati raccolti attraverso una web survey, a livello infermiere, e attraverso il Child HCAHPS, appositamente adattato e validato per il contesto italiano (S-CVI 0.91; ICC 0.90; Alpha di Cronbach 0.90). I dati sono stati analizzati a livello di unità operativa attraverso analisi di statistica descrittiva, per descrivere il campione e le variabili oggetto di indagine con indici di tendenza centrale, frequenze e percentuali; in seguito è stato costruito un modello di regressione lineare per studiare le relazioni tra gli esiti estrapolati dai dati della survey caregivers e le variabili infermieristiche (workload) e di setting (ospedale pediatrico VS ospedale generale). Per quanto riguarda i dati relativi alla survey caregiver è stato applicato l’approccio Top Box come indicato dalla letteratura, è stata quindi calcolata la percentuale di risposte date alle singole domande tenendo in considerazione la scelta qualitativamente migliore (es. “Si, assolutamente”, “sempre, o “voto 9-10”) Tutte le analisi sono state condotte tramite il software statistico IBM SPSS, versione 22. Risultati: Sono state coinvolte 96 unità operative, 1472 infermieri e 635 caregivers. Gli ambiti in cui sono stati raggiunti valori percentuali più alti sono stati quelli relativi al dolore e alla comunicazione con medici e infermieri. I valori più bassi, invece, erano relativi alla sicurezza, alla preparazione alla dimissione e il comfort. Complessivamente le risposte date dai caregivers riferite agli ospedali pediatrici erano migliori rispetto a quelle riferite agli ospedali generici. Dal modello di regressione lineare è emerso che all’aumentare di un punto nel punteggio di workload diminuisce di 2.12 punti l’overall rating dell’ospedale; aggiungendo al modello la tipologia di ospedale è risultato che l’essere in un ospedale pediatrico aumenta di 0.28 punti l’overall rating dell’ospedale. Conclusioni: questo è il primo studio condotto in Europa che indaga l’esperienza dei caregiver in ambito pediatrico attraverso lo strumento gold standard per la valutazione della Family Centered Care, ed è anche il primo a mettere in relazione questi esiti con le caratteristiche dell’organico infermieristico. Questi dati confermano ancora una volta come l’assistenza infermieristica possa influenzare l’esperienza di ricovero impattando sulla qualità e le cure erogate. Inoltre, questi dati possono essere molto utili nell’individuare interventi migliorativi per rendere l’assistenza infermieristica pediatrica sempre più centrata sulla famiglia ed efficace.
ENGLISH ABSTRACT Background: patients’ satisfaction for nursing care in the healthcare is an aspect that has become increasingly important over the years, not only for the nursing -as it is counted among nursing sensitive outcomes- but also at in economic and political issues. In Pediatrics, the philosophy most embraced in the Western world is Family Centered Care, which envisages the centrality of the child and his or her family unit in the entire care process. Few studies have evaluated the relationships between the experience of family caregivers regarding the care received and the organizational aspects of nursing care. Objectives: To examine the experience of family caregivers in relation to the hospitalization they have lived with their child and evaluate the relationship with the nursing care received and the care setting Methods: Cross-sectional study; multi-level data (administrative, nurses and caregivers) through convenience sampling. Participation has always been preceded by acceptance to participate in the study following the reading of the informed consent. For these analyses a sub-sample comparable with the studies in the literature was extrapolated. Nine hospitals affiliated with the Italian Pediatric Hospitals Association, located in different Italian regions, were involved in the data collection at the caregivers level. The data were collected through a web survey, at the nurse level, and through the Child HCAHPS, specially adapted and validated for the Italian context (S-CVI 0.91; ICC 0.90; Cronbach's Alpha 0.90). The data were analysed at the unit level through descriptive statistical analysis, to describe the sample and the variables of interest with central trend indices, frequencies and percentages; then, a linear regression model has been built to study the relationships between caregivers’ outcomes and the nursing (workload) and setting (pediatric hospital vs general hospital) variables. Data from to the caregivers’ survey, the Top Box approach was applied as indicated in the literature: each item was recoded as an indicator variable of whether respondents selected the most positive response option (eg "Yes, absolutely", “Always, or “rate 9-10”). All analyses were conducted using IBM SPSS statistical software, version 22. Results: Ninety-six units, 1472 nurses and 635 caregivers were involved in the study. The areas in which the highest percentage values ​​were achieved were those relating to pain and communication with doctors and nurses. The lowest values, on were related to safety, preparation for discharge and comfort. Overall, the responses given by caregivers in pediatric hospitals were better than those reported by caregivers in general hospitals. The linear regression model showed that increasing the workload score by one point decreases the hospital's overall rating by 2.12 points; adding the type of hospital to the model, it was found that being in a pediatric hospital increases the hospital's overall rating by 0.28 points. Conclusions: this is the first study conducted in Europe that investigates the experience of caregivers in the Pediatrics through the gold standard tool for evaluating Family Centered Care, and is also the first to relate these outcomes with the characteristics of the nursing staff. These data confirm once again how nursing care can influence the hospitalization experience by impacting on the quality and care provided. In addition, these data can be very useful in identifying improvements to make pediatric nursing care increasingly family-centered and effective.
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Loi, Camilla <1985&gt. "Utilizzo del plasma ricco di piastrine (PRP) su pazienti affetti da lesioni mucose di difficile guarigione: studio osservazionale prospettico esplorativo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amsdottorato.unibo.it/9908/1/tesi%20frontespizio%20corretto%20PDF.pdf.

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Abstract:
Le lesioni della mucosa orale in corso di malattia bollosa autoimmune sono tra le più difficili da gestire e tendono a recidivare con maggiore frequenza rispetto alle lesioni cutanee, con notevole impatto sulla qualità di vita. Attualmente il PRP è stato approvato anche per le lesioni aperte cutanee e mucose. Il meccanismo d'azione si basa sull nota capacità riparativa, strutturale e funzionale, e sull sua capacità di stimolare la proliferazione e la rigenerazione tissutale. Si tratta inoltre di una tecnica sicura che finora non ha mostrato alcun effetto collaterale. Attualmente abbiamo utilizzato il gel piastrinico su 10 pazienti affetti da MBA e, nonostante il numero ridotto, è stato possibile effettuare una prima valutazione circa l’efficacia ma anche i limiti di tale trattamento. Tutti i pazienti hanno mostrato un rapido miglioramento della sintomatologia dolorosa con conseguente miglioramento della qualità della vita.
Mucosal Lesions in patients with autoimmune bullous diseases are the most difficult to manage and tend to relapse more frequently than skin lesions. Consequentially, these lesions have a very important impact on quality of life of affected patients. PRP has recently been approved for the treatment of dermatological diseases characterized by difficult-to-treat mucosal and cutaneous ulcerated lesions. The mechanism of action is based on the its well-known repairing capacity (structural and functional) and on its ability to stimulate tissue proliferation and regeneration. PRP is very safety and side effects have not been described so far. We have currently used platelet gel on 10 patients with MBA and, despite the small number, it was possible to observe an initial assessment of the effectiveness but also the limits of this treatment. All patients showed a rapid improvement in pain symptoms with a consequent improvement in the quality of life.
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Bentivogli, Margherita <1977&gt. "Utilizzo dell'esame dermoscopico nella valutazione clinica e nel follow up dei nevi melanocitici in sede acrale dell'età pediatrica: studio retrospettivo osservazionale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/4477/1/bentivogli_margherita_tesi.pdf.

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Abstract:
La dermoscopia, metodica non invasiva, di pratico utilizzo e a basso costo si è affermata negli ultimi anni come valido strumento per la diagnosi e il follow up delle lesioni cutanee pigmentate e non pigmentate. La presente ricerca è stata incentrata sullo studio dermoscopico dei nevi melanocitici a localizzazione palmo-plantare, acquisiti e congeniti, in età pediatrica: a questo scopo sono state analizzate le immagini dei nevi melanocitici acrali nei pazienti visitati c/o l’ambulatorio di Dermatologia Pediatrica del Policlinico Sant’Orsola Malpighi dal 2004 al 2011 per definire i principali pattern dermoscopici rilevati ed i cambiamenti osservati durante il follow up videodermatoscopico. Nella nostra casistica di immagini dermoscopiche pediatriche abbiamo notato un cambiamento rilevante (inteso come ogni modificazione rilevata tra il pattern demoscopico osservato al baseline e i successivi follow up) nell’88,6% dei pazienti ed in particolare abbiamo osservato come in un’alta percentuale di pazienti (80%), si sia verificato un vero e proprio impallidimento del nevo melanocitico e in un paziente è stata evidenziata totale regressione dopo un periodo di tempo di 36 mesi. E’ stato interessante notare come l’impallidimento della lesione melanocitaria si sia verificata per lo più in sedi sottoposte ad una sollecitazione meccanica cronica, come la pianta del piede e le dita (di mani e piedi), facendoci ipotizzare un ruolo del traumatismo cronico nelle modificazioni che avvengono nelle neoformazioni melanocitarie dei bambini in questa sede.
Dermoscopy is a cheap, easy to use and noninvasive diagnostic method to evaluate and follow up pigmented and nonpigmented skin lesions. In this retrospective observational study we examined dermoscopic images of 35 acquired and congenital melanocytic nevi affecting acral volar skin in children seen at the Dermatologic Unit, Sant’Orsola Malpighi Hospital, University of Bologna, from 2004 to 2011 in order to define dermoscopic features and to compare the baseline and follow up dermoscopic patterns. Significant dermoscopic changes between baseline and follow up pictures were observed in 88,6% of patients; in particular we noticed a brightening of the lesion in a high percentage of patients (80%) and a total regression in one patient in a period of time of 36 months. It is interesting to note that the brightening of the lesions occurred mainly in sites subjected to chronic mechanical stress such as soles and fingers so we hypothesize a role of repeated traumatism in changes occurring in acral melanocytic nevi in children.
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Bentivogli, Margherita <1977&gt. "Utilizzo dell'esame dermoscopico nella valutazione clinica e nel follow up dei nevi melanocitici in sede acrale dell'età pediatrica: studio retrospettivo osservazionale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/4477/.

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Abstract:
La dermoscopia, metodica non invasiva, di pratico utilizzo e a basso costo si è affermata negli ultimi anni come valido strumento per la diagnosi e il follow up delle lesioni cutanee pigmentate e non pigmentate. La presente ricerca è stata incentrata sullo studio dermoscopico dei nevi melanocitici a localizzazione palmo-plantare, acquisiti e congeniti, in età pediatrica: a questo scopo sono state analizzate le immagini dei nevi melanocitici acrali nei pazienti visitati c/o l’ambulatorio di Dermatologia Pediatrica del Policlinico Sant’Orsola Malpighi dal 2004 al 2011 per definire i principali pattern dermoscopici rilevati ed i cambiamenti osservati durante il follow up videodermatoscopico. Nella nostra casistica di immagini dermoscopiche pediatriche abbiamo notato un cambiamento rilevante (inteso come ogni modificazione rilevata tra il pattern demoscopico osservato al baseline e i successivi follow up) nell’88,6% dei pazienti ed in particolare abbiamo osservato come in un’alta percentuale di pazienti (80%), si sia verificato un vero e proprio impallidimento del nevo melanocitico e in un paziente è stata evidenziata totale regressione dopo un periodo di tempo di 36 mesi. E’ stato interessante notare come l’impallidimento della lesione melanocitaria si sia verificata per lo più in sedi sottoposte ad una sollecitazione meccanica cronica, come la pianta del piede e le dita (di mani e piedi), facendoci ipotizzare un ruolo del traumatismo cronico nelle modificazioni che avvengono nelle neoformazioni melanocitarie dei bambini in questa sede.
Dermoscopy is a cheap, easy to use and noninvasive diagnostic method to evaluate and follow up pigmented and nonpigmented skin lesions. In this retrospective observational study we examined dermoscopic images of 35 acquired and congenital melanocytic nevi affecting acral volar skin in children seen at the Dermatologic Unit, Sant’Orsola Malpighi Hospital, University of Bologna, from 2004 to 2011 in order to define dermoscopic features and to compare the baseline and follow up dermoscopic patterns. Significant dermoscopic changes between baseline and follow up pictures were observed in 88,6% of patients; in particular we noticed a brightening of the lesion in a high percentage of patients (80%) and a total regression in one patient in a period of time of 36 months. It is interesting to note that the brightening of the lesions occurred mainly in sites subjected to chronic mechanical stress such as soles and fingers so we hypothesize a role of repeated traumatism in changes occurring in acral melanocytic nevi in children.
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Barisani, Alessia <1987&gt. "Trattamento delle cheratosi attiniche con terapia fotodinamica associata a nicotinamide rispetto al trattamento con la sola terapia fotodinamica: uno studio osservazionale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2022. http://amsdottorato.unibo.it/10055/1/Tesi%20fronte%20e%20retro%20-%20versione%20definitiva.pdf.

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Abstract:
Le cheratosi attiniche (actinic keratosis, AK) sono le neoformazioni epiteliali di più comune riscontro nella pratica clinica dermatologica. La maggior parte delle terapie attualmente utilizzate per le AK sono terapie “di campo”, ossia volte a trattare l’intero campo di cancerizzazione, cioè l’insieme delle lesioni, sia cliniche sia subcliniche, che si sviluppano in seguito all’accumulo di modificazioni pre-neoplastiche in una regione di epitelio in seguito all’esposizione a lungo termine ad agenti cancerogeni, in questo caso i raggi ultravioletti. La terapia fotodinamica (photodynamic therapy, PDT), che può essere svolta nella modalità “convenzionale” (utilizzando una luce rossa) oppure “daylight” (utilizzando la luce naturale), è una metodica ampiamente utilizzata nella terapia di AK multiple e campo di cancerizzazione. La recente letteratura ha mostrato come la nicotinamide (forma attiva della vitamina B3) possa essere in grado di ridurre l’insorgenza di nuove AK e tumori cutanei non-melanoma, potendo favorire il processo di riparazione del DNA e ridurre l’immunosoppressione legata all’esposizione cronica agli UV. Pochi studi si sono concentrati sui possibili legami fra PDT e trattamento con nicotinamide, ed in particolare sul loro effetto combinato nel trattamento delle AK. Questo studio è volto a comparare gli outcomes di due differenti trattamenti, ossia la PDT associata a nicotinamide per os, rispetto alla sola PDT, per il trattamento di AK multiple e del campo di cancerizzazione nel distretto testa-collo.
Actinic keratosis (AK) is the most common epithelial neoformation in the clinical practice. Most of the treatments of AK are “field” therapies, i.e. aimed at treating the “field of cancerization”, which consists of all the lesions, both clinical and subclinical, that develop after the accumulation of pre-neoplastic modifications due to long-term exposure to carcinogens, in this case ultraviolet (UV) radiation. Photodynamic therapy (PDT), which can be performed with the conventional technique (using red light) or with the daylight technique (using natural radiation), is widely used for the treatment of multiple AKs and field of cancerization. The recent literature has shown that nicotinamide (the active form of vitamin B3), may reduce the onset of new AKs and non-melanoma skin cancer, since it can promote DNA repair process and reduce the immunosuppression linked to UV-exposure. Only few studies have focused on the possible associations between PDT and nicotinamide, and in particular on the combined effect of PDT and nicotinamide in the treatment of AK. This study aims to compare the efficacy of two different treatments, i.e. PDT associated with systemic nicotinamide and PDT alone, for the treatment of multiple AKs and field of cancerization in the head and neck district.
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Fusaro, Maria. "Studio osservazionale cross-sectional volto a valutare lo status della vitamina K e del suo potenziale ruolo nell'ambito delle fratture vertebrali e delle calcificazioni vascolari nel dializzato (Studio Kappa)." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3425698.

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Abstract:
Background Vitamin K, vitamin K1 or Phylloquinone (PK) and vitamin K2 or Menaquinone (MK), is involved not only in the production of coagulation proteins, but also in the production of bone and matrix Gla proteins regulating bone and vascular calcification. Studies suggest that low vitamin K concentrations are associated with increase in the risk of fractures and vascular calcification. Hemodialysis (HD) patients are at high risk of these complications. We carried out a cross-sectional study to establish the prevalence of vitamin K deficiency and to assess the relationship between vitamin K status, vertebral fractures (VF) and vascular calcification (VC) in HD patients. Materials and Methods Multicenter, cross-sectional study in 387 HD patients, 18 hospital based dialysis centers in Northern and Middle Italy. We assessed plasma levels Vitamin K (in High-performance liquid chromatography, HPLC), Osteocalcin o Bone GLA Protein (BGP), Matrix GLA Protein (MGP) and other routine biomarkers. We had a Healthy Control Group ( comparable for age and sex). VF and VC assessment was centralized and double blind. We evaluated VF with a computerized analysis, of scanned L-L vertebral X-rays (D4 to L5). A reduction of > 20% of vertebral body height was considered VF. The severity of the vertebral fractures was estimated as Mild, Moderate or Severe (reduction: 20–25%, 25–40% or >40%, respectively). We evaluated VC with Witteman’s method (Lancet, 1994). VC was quantified by measuring the length of calcific deposits along the wall of the Abdominal Aorta (Mild 0.1-5 cm, Moderate 5.1-10 cm and Severe 10 cm). We also evaluated the presence or absence of calcifications of the Iliac Arteries in the same radiograph. Any differences were resolved by consensus. Results Important proportions of patients had deficiency of vitamin K. We found High prevalence VF and VC. Conclusions This multicenter study, based on a significant dialysis population in the North and Middle Italy shows a relevant Vitamin K deficiency related to clinical important complications such as VF and VC. We believe that in dialysis patients an adequate intake of vitamin K should be recommended together to the Calcium and Vitamin D Intake in CKD patients to promote correct Bone calcification and avoiding in this way to cause harmful VC. Additional studies should be performed to investigate the role of vitamin K in bone fractures and in vascular calcification in the general population
Premessa La vitamina Kappa (K), intesa K1 o Fillochinone (PK) e K2 o Menachinone (MK), è coinvolta nella produzione non solo delle proteine della coagulazione ma anche nella produzione di proteine GLA dell’osso e della matrice che regolano la mineralizzazione ossea e le Calcificazioni Vascolari (CV). Studi in letteratura suggeriscono che basse concentrazioni di Vitamina K sono associate con aumentato rischio di fratture e calcificazioni vascolari. I pazienti (pz) in emodialisi (HD) sono ad alto rischio di tali complicanze. Noi abbiamo condotto uno studio osservazionale volto a valutare la Prevalenza del Deficit di Vitamina K e la associazione tra lo Status della Vitamina K, le Fratture Vertebrali (FV) e le CV nei pz in HD. Materiali e Metodi Studio Osservazionale Multicentrico in 387 pz in HD, 18 centri dialisi tra il nord e centro Italia. Abbiamo misurato i livelli di: vitamina K (in High-performance liquid chromatography, HPLC), Osteocalcina o Bone GLA Protein (BGP), Matrix GLA Protein (MGP) e altri biomarkers di routine. Un gruppo di soggetti sani (comparabile per età e sesso) è stato usato come controllo. La valutazione delle FV e delle CV era centralizzata e a doppio cieco. Le FV erano valutate mediante analisi computerizzata scannerizzando la Radiografia della Colonna vertebrale in L-L (T5-L4). Era considerata FV una riduzione dell’altezza del corpo vertebrale >20%. La severità della FV era stimata in Lieve, Moderata e Severa (rispettivamente riduzione del: 20-25%, 25-40% e > 40%). Valutammo le CV con il metodo di Witteman (Lancet,1994). La CV era misurata dalla lunghezza del deposito calcifico lungo la parete dell’Aorta Addominale (Lieve 0.1-5cm, oderato 5.1- 10cm e severa > 10cm). Valutammo anche la presenza o assenza della calcificazione delle Arterie Iliache nella medesima Radiografia. Ogni differenza era risolta dal consensus. Risultati I pazienti in dialisi cronica presentavano importanti deficit di Vitamina K. Abbiamo inoltre trovato alta prevalenza di FV e CV. Conclusioni Questo studio, basato su una importante casistica di pazienti in dialisi del Nord e Centro Italia dimostra che un’importante frazione di tali pazienti è carente di vitamina k e che tale stato carenziale è correlato a complicanze di estremo interesse clinico, quali le FV e le CV. Su tale base si ritiene che ai pazienti con malattia renale cronica, assieme all’intake di Calcio e Vitamina D, si dovrebbe raccomandare l’assunzione di un adeguato introito di vitamina K al fine di realizzare una corretta Calcificazione dell’osso ed evitando in questo modo di causare il danno della CV. Studi aggiuntivi dovrebbero essere effettuati per investigarae il Ruolo della Vitamina K nelle Fratture Ossee e nelle CV anche nella popolazione generale
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Pettinari, Irene <1987&gt. "Storia naturale della trombosi del sistema venoso portale e sua evoluzione valutata con tecniche di imaging nel paziente cirrotico: studio osservazionale retrospettivo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7351/1/Pettinari_Irene_Tesi.pdf.

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Abstract:
Introduzione: la trombosi del sistema venoso portale (PVT) rappresenta una complicanza frequente nel paziente con cirrosi epatica. La gestione terapeutica del paziente cirrotico con PVT non è chiara. Obiettivi: analizzare retrospettivamente la storia naturale della trombosi portale e gli eventi emorragici in un gruppo di pazienti cirrotici trattati e non trattati con terapia anticoagulante. Metodi: Da Gennaio 2008 a Dicembre 2015 abbiamo retrospettivamente individuato una coorte di 182 pazienti affetti da PVT. 81 pazienti sono stati trattati con terapia anticoagulante e 101 non hanno ricevuto terapia. Abbiamo valutato le caratteristiche demografiche, l’estensione della trombosi, l’eventuale trattamento anticoagulante, l’evoluzione della patologia e gli eventi emorragici. Risultati: La trombosi è andata incontro a ricanalizzazione in 46 (56,8%) pazienti trattati e in 26 (25,7%) pazienti non trattati (p<0,001). La durata del trattamento (p=0,005) e la doppia somministrazione giornaliera (p=0,003) sono risultati essere gli unici fattori predittivi di ricanalizzazione nei pazienti trattati. Dopo la sospensione della terapia, dei 46 pazienti che hanno ottenuto la ricanalizzazione, 17(36%) hanno presentato una recidiva della trombosi. L’analisi di Kaplan-Meier ha mostrato un tasso di sopravvivenza maggiore nel gruppo dei pazienti trattati (p=0,010) e il trattamento anticoagulante è risultato essere l’unico fattore indipendente correlato alla sopravvivenza all’analisi multivariata (p=0,014). Complicanze emorragiche si sono verificate in 22(21,8%) pazienti non trattati e in 16 (19,7%) pazienti trattati, solo in 4 casi dovute al trattamento anticoagulante. Conclusioni: il trattamento anticoagulante è sicuro ed efficace nei pazienti cirrotici con PVT, raggiungendo dei tassi di ricanalizzazione completa e parziale del 56,8%. La durata del trattamento di almeno 12 mesi e la doppia somministrazione giornaliera sembrano associati a più alti tassi di ricanalizzazione. Nei pazienti che hanno raggiunto la ricanalizzazione, l’interruzione della terapia è associata ad un alto rischio di recidiva. Il trattamento anticoagulante sembra migliorare la sopravvivenza dei pazienti cirrotici con PVT.
Introduction: Portal vein thrombosis (PVT) is a frequent event in patients with cirrhosis. It can be treated with anticoagulants, but the optimal management is still unclear. Aim: The aim of this study was to retrospectively analyze the natural history of portal thrombosis in cirrhotic patients and bleeding events in a large cohort of patients with or without anticoagulation therapy. Methods: We analyzed data from 182 patients with cirrhosis and PVT, diagnosed from January 2008 to December 2015. 81 patients were anticoagulated and 101 were untreated. Demographic characteristics, extension of portal vein thrombosis, anticoagulant treatment and hemorrhagic events were evaluated. Results: thrombosis had improved in 46 (56.8%) treated patients and in 26 (25.7%) untreated patients. The anticoagulation group had significantly better recanalization rate than the untreated group (p <0.001). The duration of treatment (p = 0.005) and twice-daily dosing (p = 0.003) were the only predictors of recanalization in treated patients. Of 46 patients who achieved recanalization, 17 (36%) had recurrent thrombosis after stopping anticoagulation therapy. Kaplan–Meier curve analysis revealed a higher survival rate in the treated group than in controls (p=0,010). Anticoagulant treatment was the only independent factor related to survival in multivariate analysis (p=0,014, HR:0,303, CI: 0.101-0.907). Bleeding complications occurred in 22 (21.8%) untreated patients and in 16 (19.7%) treated patients, only in 4 cases related to the anticoagulant treatment. Conclusions: Anticoagulant is a safe and effective treatment that leads to partial or complete recanalization of the portal venous axis in 56% of patients with cirrhosis and PVT. Duration of treatment of at least 12 months and twice-daily dosing seem associated with higher recanalization rates. Discontinuation of therapy is associated with high risk of recurrence of PVT. The anticoagulant treatment seems to improve survival in cirrhotic patients with PVT.
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Pettinari, Irene <1987&gt. "Storia naturale della trombosi del sistema venoso portale e sua evoluzione valutata con tecniche di imaging nel paziente cirrotico: studio osservazionale retrospettivo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7351/.

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Abstract:
Introduzione: la trombosi del sistema venoso portale (PVT) rappresenta una complicanza frequente nel paziente con cirrosi epatica. La gestione terapeutica del paziente cirrotico con PVT non è chiara. Obiettivi: analizzare retrospettivamente la storia naturale della trombosi portale e gli eventi emorragici in un gruppo di pazienti cirrotici trattati e non trattati con terapia anticoagulante. Metodi: Da Gennaio 2008 a Dicembre 2015 abbiamo retrospettivamente individuato una coorte di 182 pazienti affetti da PVT. 81 pazienti sono stati trattati con terapia anticoagulante e 101 non hanno ricevuto terapia. Abbiamo valutato le caratteristiche demografiche, l’estensione della trombosi, l’eventuale trattamento anticoagulante, l’evoluzione della patologia e gli eventi emorragici. Risultati: La trombosi è andata incontro a ricanalizzazione in 46 (56,8%) pazienti trattati e in 26 (25,7%) pazienti non trattati (p<0,001). La durata del trattamento (p=0,005) e la doppia somministrazione giornaliera (p=0,003) sono risultati essere gli unici fattori predittivi di ricanalizzazione nei pazienti trattati. Dopo la sospensione della terapia, dei 46 pazienti che hanno ottenuto la ricanalizzazione, 17(36%) hanno presentato una recidiva della trombosi. L’analisi di Kaplan-Meier ha mostrato un tasso di sopravvivenza maggiore nel gruppo dei pazienti trattati (p=0,010) e il trattamento anticoagulante è risultato essere l’unico fattore indipendente correlato alla sopravvivenza all’analisi multivariata (p=0,014). Complicanze emorragiche si sono verificate in 22(21,8%) pazienti non trattati e in 16 (19,7%) pazienti trattati, solo in 4 casi dovute al trattamento anticoagulante. Conclusioni: il trattamento anticoagulante è sicuro ed efficace nei pazienti cirrotici con PVT, raggiungendo dei tassi di ricanalizzazione completa e parziale del 56,8%. La durata del trattamento di almeno 12 mesi e la doppia somministrazione giornaliera sembrano associati a più alti tassi di ricanalizzazione. Nei pazienti che hanno raggiunto la ricanalizzazione, l’interruzione della terapia è associata ad un alto rischio di recidiva. Il trattamento anticoagulante sembra migliorare la sopravvivenza dei pazienti cirrotici con PVT.
Introduction: Portal vein thrombosis (PVT) is a frequent event in patients with cirrhosis. It can be treated with anticoagulants, but the optimal management is still unclear. Aim: The aim of this study was to retrospectively analyze the natural history of portal thrombosis in cirrhotic patients and bleeding events in a large cohort of patients with or without anticoagulation therapy. Methods: We analyzed data from 182 patients with cirrhosis and PVT, diagnosed from January 2008 to December 2015. 81 patients were anticoagulated and 101 were untreated. Demographic characteristics, extension of portal vein thrombosis, anticoagulant treatment and hemorrhagic events were evaluated. Results: thrombosis had improved in 46 (56.8%) treated patients and in 26 (25.7%) untreated patients. The anticoagulation group had significantly better recanalization rate than the untreated group (p <0.001). The duration of treatment (p = 0.005) and twice-daily dosing (p = 0.003) were the only predictors of recanalization in treated patients. Of 46 patients who achieved recanalization, 17 (36%) had recurrent thrombosis after stopping anticoagulation therapy. Kaplan–Meier curve analysis revealed a higher survival rate in the treated group than in controls (p=0,010). Anticoagulant treatment was the only independent factor related to survival in multivariate analysis (p=0,014, HR:0,303, CI: 0.101-0.907). Bleeding complications occurred in 22 (21.8%) untreated patients and in 16 (19.7%) treated patients, only in 4 cases related to the anticoagulant treatment. Conclusions: Anticoagulant is a safe and effective treatment that leads to partial or complete recanalization of the portal venous axis in 56% of patients with cirrhosis and PVT. Duration of treatment of at least 12 months and twice-daily dosing seem associated with higher recanalization rates. Discontinuation of therapy is associated with high risk of recurrence of PVT. The anticoagulant treatment seems to improve survival in cirrhotic patients with PVT.
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Chidichimo, Gianluca. "Il miglioramento nelle attività della vita quotidiana e della partecipazione sociale nei soggetti con frattura di polso sottoposti a riabilitazione precoce. Studio osservazionale retrospettivo." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amslaurea.unibo.it/24568/.

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Abstract:
INTRODUZIONE: le fratture del radio distale (DRF) sono le più comuni dell’arto superiore. La riduzione con placche volari ha permesso di avvalersi di un programma riabilitativo precoce (RP) che prevede l’inizio delle mobilizzazioni con due settimane di anticipo rispetto al protocollo standard in cui si è previsto un periodo di immobilizzazione prolungata (IM). OBIETTIVI: lo scopo principale di questo studio è valutare i benefici ottenuti, con un programma riabilitativo precoce, nelle attività della vita quotidiana (ADL) e nella partecipazione sociale nei soggetti con DRF. Lo studio si pone come obiettivo secondario la revisione del protocollo riabilitativo utilizzato presso l’Unità Operativa Complessa di Medicina Riabilitativa presidio Silvio Alvisi (Azienda USL Imola). MATERIALI E METODI: studio osservazionale retrospettivo senza coorte concorrente. Sono state consultate le cartelle riabilitative di 25 soggetti. Sono state somministrate le scale QuickDASH per il grado di disabilità dell’arto superiore, il 9 Hole Peg Test (9HPT) per la destrezza della mano, la Visual Analogic Scale per il dolore. Particolare attenzione è stata posta all’item 7 e all’item 8 della scala QuickDASH utilizzati per valutare l’autonomia nelle ADL e il ripristino della partecipazione sociale. RISULTATI: la mobilizzazione precoce ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo di tutte le misure di outcome. Si osserva un incremento del punteggio QuickDASH di 34,33 ± 16,93 punti (p = 0,00), dell’Item 7 di 1 ± 1,44 punti (p= 0,0013) e dell’Item 8 di 1,54 ± 1,28 punti (p=0,00). Si osserva una riduzione del punteggio di 1,17 ± 2,39 punti della scala VAS (p=0,013) e di 6,86 ± 9,43 secondi al 9HPT (p=0,008). CONCLUSIONI: lo studio, fornisce risultati incoraggianti che dimostrano l‘acquisizione di maggiore autonomia nelle ADL, il ripristino della partecipazione sociale, il miglioramento della destrezza manuale e la riduzione del dolore nei soggetti con DRF sottoposti ad RP.
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TARAMASSO, LUCIA. "AUMENTO DEGLI INDICI DI CITOLISI EPATICA NEI SOGGETTI CON INFEZIONE DA HIV CHE AVVIANO LA PRIMA LINEA DI TRATTAMENTO ANTIRETROVIRALE: STUDIO OSSERVAZIONALE DI COORTE." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1006221.

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Abstract:
Obiettivi: Valutare l'incidenza e i fattori di rischio per il rialzo degli enzimi di citolisi epatica (liver enzyme elevation, LEE) nei pazienti che iniziano una terapia antiretrovirale di prima linea (ART) nella coorte osservazionale prospettica ICONA. Pazienti e metodi: sono stati selezionati per lo studio 6575 pazienti naive alla ART, che hanno iniziato, tra giugno 2009 e dicembre 2017, un regime terapeutico costituito da 2 inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI) associati ad un inibitore della proteasi potenziato (PI/b) N=2436 (37.1%), ad un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) N=2384 (36.3%), o ad un inibitore dell'integrasi (INSTI) N=755 (26.7%). La presenza di co-infezione da parte del virus dell’HBV (HBsAg positività) o dell’HCV (HCV-RNA positività) è stata rilevata nel 3.9% e nel 5.8% della popolazione dello studio. I LEE sono stati definiti come aumento di ALT o AST di ≥ 2.5 x ULN (limite superiore della normale) per i pazienti con valori di base nei limiti della norma o ≥ 2.5 x il valore basale, per i pazienti con valori di base >ULN. L'analisi di regressione Cox inverse probability weighted è stata utilizzata per calcolare gli hazard ratio (HR) ed i relativi intervalli di confidenza al 95% (95%CI) per LEE, sulla base del regime terapeutico di prima linea utilizzato e delle caratteristiche basali dei partecipanti allo studio. Risultati: Durante un follow-up complessivo di 20722 anni di osservazione, si sono verificati 183 casi di LEE. Dopo l'aggiustamento per i principali fattori confondenti, il rischio di LEE è risultato significativamente ridotto nei pazienti trattati con INSTI rispetto a coloro che ricevevano NNRTI (HR 0.46, 95%CI 0.25-0.86), con una significativa riduzione del rischio nel gruppo di pazienti trattati con raltegravir (HR 0.11, 95%CI 0.02-0.84, utilizzando la classe degli NNRTI come riferimento). L'HR per LEE è risultato significativamente più elevato nei soggetti con co-infezione da HBV o HCV, nei pazienti con infezione da HIV scarsamente controllata e in quelli che hanno contratto l'HIV attraverso la trasmissione omosessuale. Conclusioni: Nel nostro studio, l'utilizzo di INSTI riduce del 54% il rischio di LEE rispetto ad altri regimi. Questo dato potrebbe essere particolarmente importante per la scelta dell'ART in pazienti con fattori di rischio per tossicità epatica come le co-infezioni HCV e HBV.
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CASLINI, MANUELA. "Stigma towards Eating Disorders in Italian Students (STEaDIS): Studio osservazionale delle opinioni sull’Anoressia e la Bulimia Nervosa in un campione di studenti universitari italiani." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2015. http://hdl.handle.net/10281/93618.

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Abstract:
Razionale: La richiesta di cure per l’anoressia (AN) e la bulimia nervosa (BN) rimane bassa rispetto alla diffusione dei disturbi nonostante la disponibilità di trattamenti e l’associazione tra una buona prognosi e la precocità delle cure: una delle motivazioni alla base del problema è insita nelle paure generate dalle credenze e dagli atteggiamenti stigmatizzanti verso i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Lo stigma per i disturbi psichiatrici è un fenomeno radicato nella società, da cui derivano pregiudizi e discriminazione; mentre le opinioni verso malattie mentali come i disordini psicotici, la depressione e i disturbi ansiosi sono state abbondantemente studiate, le caratteristiche dello stigma associato all’AN e alla BN non sono ancora state vagliate dalla ricerca; per la popolazione italiana gli studi sono completamente assenti. È necessario comprendere quali e quanto pregnanti siano le attitudini dei giovani verso l’AN e la BN in modo da guidare lo sviluppo di interventi di salute pubblica nella comunità, sensibilizzandola e migliorando la motivazione alla richiesta di cure. Obiettivi: Ottenere una stima della prevalenza e del livello delle tendenze stigmatizzanti verso l’AN e la BN tra gli studenti universitari italiani; indaga i correlati sociodemografici dello stigma e le associazioni con il livello di conoscenza esperienziale del problema e con diverse credenze di attribuzione causale. Metodi: 2,109 partecipanti hanno completato on line una batteria costituita da una scheda sociodemografica, due questionari relativi alle tendenze stigmatizzanti verso l’AN e la BN e domande relative all’attribuzione causale, all’esperienza personale e al livello di contatto con soggetti affetti. La misura delle tendenze stigmatizzanti è stata effettuata con il questionario SAB-BN (Stigmatizing attitudes and beliefs about bulimia nervosa - SAB-BN; McLean, 2014) tradotto in lingua italiana e adattato per l’AN. Il processo di traduzione dello strumento è stato svolto secondo le linee guida della WHO e le versioni tradotte sono state somministrate ad un gruppo pilota di studenti con l’obiettivo di migliorare espressioni o discrepanze nella traduzione. I fattori selezionati per l’attribuzione causale sono stati estrapolati da studi precedenti. L’invito per partecipare alla survey è stato inviato via mail a tutti gli studenti dei corsi di laurea dell’Ateneo. Risultati: Sono stati ottenuti risultati sovrapponibili per l’AN e la BN, segnalando che i partecipanti tendono ad assimilare le due condizioni. La prevalenza e il livello delle tendenze stigmatizzanti sono bassi, eccetto per le componenti della Responsabilità Personale (63% circa) e del desiderio di Distanza Sociale (13% circa). La disamina delle differenze demografiche rivela comportamenti uniformi, ma lo stigma risulta più elevato tra i maschi, nella fascia d’età 18-25 e in chi vive nella famiglia di origine; risulta inferiore nei soggetti sottopeso. L’11,52% del campione dichiara una pregressa diagnosi di DCA e il 3,84% una diagnosi attuale. I soggetti con una diagnosi pregressa riportano attitudini meno stigmatizzanti. L’82,79% del campione conosce soggetti con DCA, ma il dato non migliora le opinioni. La distribuzione delle credenze causali mostra che un ruolo principale viene attribuito da più del 50% del campione ai fattori ambientali, con percentuali oltre il 75% per le cure genitoriali e oltre l’80% per l’influenza dei media. Più del 60% del campione ritiene che i fattori genetici siano poco o non coinvolti. L’importanza attribuita ai fattori ambientali risulta predittiva di una riduzione nel livello di stigma, mentre l’importanza attribuita alla mancanza di autodisciplina lo aumenta. Conclusioni: I risultati forniscono informazioni fondamentali per la costruzione di interventi preventivi e anti-stigma, aumentare le conoscenze dei disturbi nella popolazione e sensibilizzare la richiesta dei trattamenti.
Background: Despite the current availability of treatments and the known association between early care and a good prognosis, the treatment demand for eating disorders (EDs) stays low if compared to the their prevalence. Fears generated by common stigmatizing attitudes toward EDs partially explain this condition. Stigma towards psychiatric disorders, with prejudice and discrimination, is a phenomenon deeply rooted in the society; while opinions towards psychotic disorders, depression and anxiety have been thoroughly studied, only a few studies explore stigmatizing trends toward EDs, especially towards anorexia nervosa (AN) and bulimia nervosa (BN). Furthermore, these researches are lacking in Italian population. To program public health interventions, able to raise awareness and improving treatment requests by potential patients, we need to understand attitudes of young people towards these issues, and how the stigmatizing contents change according to different demographic characteristics. Aims: This study aims to estimate prevalence and level of stigmatizing trends and beliefs related to AN and BN in a big Italian university students sample. Socio-demographic trends related to stigmatizing tendencies, the associations with the experiential knowledge of the problem and the causal attribution beliefs are also investigated. Methods: 2,109 participants completed an online survey with a sociodemographic card, two questionnaires related to trends and stigmatizing beliefs towards AN and BN and questions about personal experience, level of contact with patients and causal attribution beliefs. The measure of trends and stigmatizing beliefs has been done with the multi-item questionnaire SAB-BN (Stigmatizing Attitudes and Beliefs about Bulimia Nervosa - SAB-BN; McLean, 2014) translated in Italian and adapted for AN. The process of translation of the instrument was carried out according to the WHO guidelines and the translated and adapted versions were administered to a pilot group of students with the aim of improving expressions, and discrepancies in the translation. The factors selected for causal attribution were selected from previously published studies. The invitation to participate in the survey was mailed to all students enrolled in the degree programs of the university. Results: Results for AN and BN are overlapping, signalling that participants tend to assimilate the two conditions. Prevalence and level of stigmatizing trends in students are low, except in the components of Personal Responsibility and Guilt (63%) and Social Distance (about 13%). Examination of demographic differences in stigmatizing attitudes in the student sample indicated uniform attitudes but males, aged 18-25 group, and students living in family held significantly higher stigmatizing attitudes. Stigma is lower in underweight subjects. 11.52% of the sample declared a previous EDs diagnosis and 3.84% a current EDs diagnosis: in both cases, more than 90% of the sample is female. Subjects with a previous diagnosis, but not those with a currentone, report less stigmatizing attitudes. 82.79% of the sample knows people with an EDs, but this knowledge doesn’t s improve stigmatizing attitudes. More than 50% of the sample attributes a main or a fundamental role for the development of AN and BN to environmental factors, with percentages over 75% for parenting and over 80% for media influence. In contrast, more than 60% of the sample believes that genetics are little or not involved in the development of these diseases. The importance attributed to environmental factors predicts a reduction in the stigma level, while the emphasis on the lack of self-discipline increases it. Conclusions: Results provide fundamental advices in order to program preventive and anti-stigma actions, to increase the awareness relating the disorder and to improve the demand for treatments.
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Bolzan, Valeria. "Indagine sull'impatto della teleriabilitazione su vari outcome psicologici in persone con patologie muscoloscheletriche in trattamento durante la pandemia da COVID-19. Uno studio osservazionale prospettico." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amslaurea.unibo.it/21988/.

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Abstract:
BACKGROUND: le misure di lockdown imposte dal Governo a causa della pandemia di COVID-19 hanno impedito alle persone di accedere alle strutture per effettuare riabilitazione convenzionale. Ciò, insieme a incertezze create dalla pandemia, può aver condizionato il benessere psicologico, andando a influire sul recupero fisico. OBIETTIVO: valutare come un servizio di teleriabilitazione influisce sulle componenti psicologiche in soggetti con lesioni all’apparato muscoloscheletrico durante la quarantena conseguente al COVID-19. MATERIALI E METODI: durante il lockdown è stato inviato un questionario per analizzare le componenti psicologiche. Ognuno dei partecipanti ha seguito un programma di teleriabilitazione. Dopo un mese, è stato compilato nuovamente il medesimo questionario. I dati sono stati studiati tramite analisi sulle medie dei valori tramite ANOVA e analisi di regressione, di correlazione bivariata lineare e non parametriche. RISULTATI: solo autoefficacia ha mostrato un cambiamento significativo nel tempo. Si sono mantenuti alti i livelli di resilienza e di percezione di supporto dei fisioterapisti, che ha relazioni con autoefficacia, ottimismo e aderenza. Non ci sono differenze significative legate ad età e attività sportiva. Le donne a T1 presentano maggiore depressione e sintomi di disturbo post-traumatico da stress e a T2 maggiore tensione CONCLUSIONI: la teleriabilitazione può essere utile a limitare ricadute psicologiche e di mantenere alti i livelli di aderenza al trattamento e di ottimismo. Ciò può essere dovuto ad elevati livelli di supporto da parte dei rieducatori e all’elevata resilienza riscontrata nel campione. Inoltre, l’intervento può aver contribuito a mantenere stabili i livelli di depressione, di sintomi da PTSD e di stati negativi dell’umore, soprattutto nelle donne e nelle persone più giovani. Vi sono dei limiti metodologici, per cui ulteriori studi sono necessari per aumentare la forza delle conclusioni e fornire spiegazioni aggiuntive.
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RAMPAZZO, ANGELICA. "Valutazione della storia naturale dei pazienti affetti da mucopolisaccaridosi e dell'efficacia terapeutica mediante indicatori clinici e biochimici, individuazione di marcatori precoci di severità : studio osservazionale." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3426673.

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Abstract:
In the present thesis, a clinical, neuropsychiatric and biochemical evaluation of patients affected by different types of Mucopolysaccharidosis (MPS) was performed, with the aim to analyze the natural history of these pathologies, and therefore their onset and their progression over time, but also to evaluate the effects, on the natural history, of the therapies available today and to identify early markers of severity. This project is part of a more extensive multi-center project on mucopolysaccharidoses, which also includes a preclinical evaluation performed on mouse models, not reported in this thesis. Furthermore, the project produced an IT platform, accessible remotely from all the Operating Units involved in the project, on which it will be possible to continue patients' data uploading over time, in order to increase as much as possible, the number of samples to be analyzed. This thesis reports the results of the analysis performed on the 58 MPS patients so far available, at 3 different stages of progressive evaluation. The analysis of the sample here evaluated confirmed that MPS patients are diagnosed with some delay, and this is especially true for those suffering from MPS III, diagnosed on average after 5 years of age; this may also be due to the particular clinical manifestations of this specific syndrome. Moreover, this data could be influenced by the heterogeneity of the analyzed sample, which includes both recent diagnoses and dated diagnostic pathways. The clinical suspicion on these diseases has certainly increased in recent years and this will undoubtedly help an early diagnosis. With respect to the signs and symptoms at the onset, 41% of the patients in the sample present at the same time more signs and symptoms, and for almost 30% of the MPS subjects the suspicion that leads to the diagnosis is of musculoskeletal origin. Among the neuronopathic MPS analyzed, 37.5% of MPS II and 38.5% of MPS III patients present at the onset neurological signs and symptoms. This last data is particularly interesting, since we commonly consider the peripheral involvement in MPS III as being limited. From the present analysis, this does not appear to be true at the onset, when in more than 60% of cases, MPS III patients presented with non-neurological signs and symptoms, being this an important aspect to consider during diagnosis. From a neurological point of view, it was evident how, independently from the different forms of MPS, both neuronopathic and not, on average half of the patients present macrocephaly at diagnosis, with peaks of 85% in the case of MPS I. In neuronopathic forms, there are different signs and symptoms that occur at diagnosis and/or during disease progression; in this thesis, in particular language disorders and intellectual disability were analyzed. As already known, the analysis carried out in this thesis confirms that the intellectual disability does not receive any benefits from the administration of the enzyme replacement therapy, in particular for patients suffering from the severe form of MPS II, in which a significant increase in the degree of neuro-cognitive severity is progressively registered. As expected, the psychiatric features of the different MPS, such as sleep disturbances and behavioral disorders, also do not receive benefits from ERT administration. On the other hand, some peripheral variables have shown benefits from replacement therapy, although in most cases only a tendency to an improvement has been shown, while a statistically significant improvement has been registered for hepatosplenomegaly and urinary glycosaminoglycan (GAG) levels. Interestingly, the analysis carried out highlighted some significant correlations between quantitative urinary GAG analysis and the neuropsychiatric involvement, and between the urinary levels of heparan-sulfate, identified by qualitative test, and the same clinical aspects. In these diseases, the identification of biomarkers helping to understand, even in the very early stage of the disease, what could be its progression, would be of considerable importance for the management of the patient and his family, and for the evaluation of a correct therapeutic choice. It is hoped that soon a critical analysis of many clinical and biochemical data obtained from a large cohort of patients will allow to identify other biomarkers, useful for an early diagnosis and possibly a prognosis on the severity of its progression.
In questa tesi di dottorato è stata effettuata una valutazione clinica, neuropsichiatrica e biochimica di pazienti affetti da diversi tipi di Mucopolisaccaridosi (MPS), con lo scopo di analizzare la storia naturale di queste patologie, e perciò la loro insorgenza e la loro progressione nel tempo, ma anche di valutare gli effetti, sulla storia naturale, delle terapie ad oggi disponibili e di individuare marcatori precoci di severità. Questo progetto di tesi è parte di un progetto multicentrico più esteso sulle mucopolisaccaridosi, che prevede anche una valutazione preclinica effettuata sui modelli murini, non riportata in questa tesi. Inoltre, il progetto ha prodotto una piattaforma informatica, accessibile da remoto da tutte le Unità Operative afferenti al progetto stesso, sulla quale sarà  possibile continuare a caricare i dati nei pazienti nel corso del tempo, in modo da aumentare quanto più possibile la numerosità del campione da analizzare. Questa tesi riporta i risultati dell'analisi effettuata sui 58 pazienti MPS finora disponibili, a 3 diversi tempi di valutazione progressiva. L'analisi del campione qui valutato ha confermato come i pazienti MPS siano diagnosticati con un certo ritardo, e ciò vale soprattutto per gli affetti da MPS III, diagnosticati mediamente dopo i 5 anni di età; questo forse anche a causa delle particolari manifestazioni cliniche di questa specifica sindrome. Inoltre, tale dato potrebbe essere influenzato dall'eterogeneità  del campione analizzato, che comprende sia diagnosi recenti che percorsi diagnostici datati. Il sospetto clinico su queste patologie è sicuramente aumentato negli ultimi anni e ciò indubbiamente aiuterà una diagnosi precoce. Per quanto riguarda i segni e i sintomi all'esordio, il 41% dei pazienti del campione presenta contemporaneamente più segni e sintomi, e per quasi il 30% dei soggetti MPS il sospetto che porta a formulare la diagnosi è di origine muscolo-scheletrica. Tra le MPS neuronopatiche analizzate, presentano all'esordio segni e sintomi di origine neurologica il 37.5% delle MPS II e il 38.5% delle MPS III. Quest'ultimo dato risulta particolarmente interessante, dato che comunemente si considera che il coinvolgimento periferico nelle MPS III sia relativo. Dai dati qui analizzati, ciò non sembra vero all'esordio, quando in oltre il 60% dei casi i pazienti possono presentare segni e sintomi non neurologici, dato questo importante da considerare in fase di diagnosi. Da un punto di vista neurologico, èrisultato evidente come, indipendentemente dalle diverse forme di MPS, sia neuronopatiche che non, mediamente la metà dei pazienti presenti macrocefalia alla diagnosi, con punte del 85% nel caso della MPS I. Nelle forme neuronopatiche, diversi sono i segni e i sintomi che si presentano alla diagnosi e/o in corso di progressione; in questa tesi sono stati in particolare analizzati i disturbi del linguaggio e la disabilità intellettiva. Come era già noto, l'analisi effettuata in questo lavoro di tesi conferma come la disabilità intellettiva non riceva alcun giovamento dalla somministrazione della terapia enzimatica sostitutiva, in particolare per quanto riguarda i pazienti affetti dalla forma severa di MPS II, nei quali si evidenzia un aumento significativo nel tempo del grado di severità neuro-cognitiva. Come atteso, anche le caratteristiche psichiatriche delle diverse MPS, come i disturbi del sonno e del comportamento, non ricevono beneficio dall'ERT. Alcune variabili periferiche hanno evidenziato, invece, di trarre giovamento dalla terapia sostitutiva; tuttavia, nella maggior parte dei casi si apprezza solo una tendenza a un miglioramento, mentre un miglioramento statisticamente significativo si è evidenziato per l'epatosplenomegalia e i livelli di glicosaminoglicani (GAG) urinari. In modo interessante, l'analisi qui effettuata ha messo in evidenza alcune correlazioni significative tra la concentrazione dei GAG quantitativi e il coinvolgimento neuropsichiatrico e tra i livelli urinari di eparan-solfato, identificati tramite saggio qualitativo, e le medesime problematiche. In queste patologie, l'identificazione di biomarcatori che aiutassero a comprendere, ancora in fase molto precoce di malattia, quale potrebbe essere la sua progressione, sarebbe di notevole importanza per la gestione del paziente e dei suoi famigliari, e anche per la valutazione di una corretta scelta terapeutica. E' auspicabile che in un prossimo futuro un'analisi critica di molti dati clinici e biochimici ricavati da un'ampia popolazione di pazienti consenta di identificare altri biomarcatori, utili ad una diagnosi precoce e possibilmente ad una prognosi sulla severità della sua progressione.
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Rotondi, Silverio <1981&gt. "Studio osservazionale trasversale volto a valutare la presenza di danno vascolare in pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 con diverso grado di malattia renale cronica." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amsdottorato.unibo.it/9170/1/Rotondi_Silverio_tesi.pdf.

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Abstract:
La gravità del DMT2 e delle sue complicanze come la malattia renale cronica (CKD) comportano un aumento della rigidità vascolare, misurabile con il CAVI, e alterazioni dei livelli ematici di sostanze implicate nella danno vascolare come Klotho, FGF23, Sclerostina. Scopo dello studio era valutare il ruolo della CKD stadio 1-2 e delle eventuali alterazioni di 25(OH)Vitamin-D, FGF23, Klotho, Sclerostina sul danno vascolare precoce nel DMT2. Metodi: Pazienti inclusi: DMT2 da <10 anni, età <60 anni, nessuna terapia insulinica, eGFR≥60 ml/min/1,73m2, assenza di complicanze vascolari. Abbiamo valutato: CAVI, albumin-excretion-rate (ACR), 25(OH)Vitamin-D, Klotho, FGF23, Sclerostina. 30 soggetti sani erano il controllo per CAVI, Klotho, FGF23 e Sclerostina. Risultati: Abbiamo arruolato 40 donne e 60 uomini, età media 56 anni (IQR:52-59), DMT2 da 5 anni (IQR:2,7-7), HbA1c 6,3% (5.8-6.7), eGFR di 95 ml/min/1,73m2. FGF23 (42±10 vs controlli 29.8±11 pmol/l, p<.05) e Sclerostina (36,2±7 vs 26.6±1 pmol/l, p<.05) erano aumentati e Klotho ridotto (673±300 vs 845±330 pg/ml, p<.05). La CKD (ACR ≥30 mg/gr; eGFR fra 60-90 ml/min/1,73m2) era presente nel 12,6%. Il CAVI medio era normale e i pazienti con CAVI borderline (≥8, 33%) e patologico (≥9, 13%) erano più anziani (p.001), con maggiore durata di DMT2 (p.022) e 25(OH)Vitamin-D più bassa (p.041). Il CAVI correlava positivamente con età (p.001), Hb1Ac (p.036) e pressione arteriosa sistolica (PAS) (p.012) e pressione arteriosa diastolica (PAD) (p.001) e negativamente con la 25(OH)Vitamin-D (p.046). L’analisi multivariata evidenziava predittori positivi del CAVI età (p.001), PAD (p.0001), ACR (p.008) e Klotho (p.017). Discussione: Nella nostra popolazione DMT2 il CAVI borderline e patologico è associato a ACR aumentato, PAD elevata e 25(OH)Vitamin-D ridotta e le alterazioni di FGF23, sclerostina e Klotho, secondarie alla CKD, sono un segno precoce di possibile danno vascolare. Conclusione: ACR, 25(OH)Vitamin-D e PAD possono essere dei fattori di rischio modificabili di danno vascolare precoce nel DMT2.
The severity of DMT2 and its complications such as chronic kidney disease (CKD) lead to increase vascular stiffness, measurable with CAVI, and alterations in substances implicated in vascular damage like Klotho, FGF23, and Sclerostin. The aim of the study was to evaluate the role of CKD stage 1-2 and possible alterations of 25 (OH)Vitamin-D, FGF23, Klotho, and Sclerostin on early vascular damage in DMT2. Methods: Patients included: DMT2 from <10 years, age <60 years, no insulin therapy, eGFR≥60 ml/min/1.73m2, absence of vascular complications. We have evaluated CAVI, albumin-excretion-rate (ACR), 25(OH)Vitamin-D, Klotho, FGF23, and Sclerostin. 30 healthy subjects were the control for CAVI, Klotho, FGF23 and Sclerostin. Results: We enrolled 40 women and 60 men, average age 56 years (IQR: 52-59), 5-year DMT2 (IQR: 2.7-7), HbA1c 6.3% (5.8-6.7), eGFR of 95 ml/min/1.73m2. FGF23 (42±10 vs controls 29.8±11 pmol/l, p<.05) and Sclerostin (36.2±7 vs 26.6±1 pmol/l, p<.05) were increased and Klotho reduced (673±300 vs 845±330 pg/ml, p<.05). CKD (ACR≥30mg/gr; eGFR between 60-90 ml/min /1.73m2) was present in 12.6%. The mean CAVI was normal and the patients with borderline (≥8, 33%) and pathological (≥9, 13%) CAVI were older (p.001), with longer duration of DMT2 (p.022) and 25(OH)Vitamin-D lower (p.041). CAVI correlated positively with age (p.001), Hb1Ac (p.036), systolic blood pressure (SBP) (p.012) and diastolic blood pressure (DBP) (p.001) and correlated negatively with 25(OH)Vitamin-D (p.046). The multivariate analysis showed positive predictors of CAVI age (p.001), DBP (p.0001), ACR (p.008) and Klotho (p.017). Discussion: In our DMT2 population, borderline and pathological CAVI is associated with increased ACR, elevated DBP and reduced 25(OH)Vitamin-D and the alterations of FGF23, Sclerostin and Klotho, secondary to CKD, are an early sign of possible vascular damage . Conclusion: ACR, 25(OH)Vitamin-D and DBP can be modifiable risk factors for early vascular damage in DMT2.
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SCOTTI, LORENZA. "Metodi statistici per la valutazione economica in sanità: analisi costo-efficacia per la valutazione dell'incremento di aderenza ai trattamenti per patologie croniche." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2012. http://hdl.handle.net/10281/29855.

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Abstract:
Introduzione: Nell’ultimo decennio il Servizio Sanitario Nazionale ha subito numerosi cambiamenti principalmente a causa della riduzione delle risorse economiche disponibili. Si è però contemporaneamente assistito ad un incremento della spesa sanitaria dovuto alla crescente e continua introduzione di tecnologie in campo sanitario. È quindi necessario condurre appropriate analisi, quali le analisi costo-efficacia, che valutano congiuntamente costi ed efficacia legati al’introduzione di una nuova tecnologia sanitaria al fine di fornire importanti informazioni ai decisori in campo sanitario che possono influenzare l’allocazione delle scarse risorse a disposizione. Un campo d’interesse per la valutazione economica in campo sanitario può essere l’analisi costo-efficacia dell’incremento di aderenza alle terapie per il trattamento delle patologie croniche nella pratica clinica corrente. Infatti, affinchè queste terapie siano efficaci devono essere assunte con continuità e per un consistente periodo di tempo. I risultati ottenuti negli studi clinici circa la loro efficacia non sempre sono evidenziati anche dagli studi osservazionali in quanto nella pratica clinica si osserva una scarsa aderenza dei pazienti alla terapia. Sarebbe quindi necessario attivare degli interventi volti a incrementare l’aderenza al trattamento al fine di massimizzare l’efficacia dei farmaci. Per questo tipo di analisi, gli usuali metodi utilizzati per l’analisi costo-efficacia, quali i modelli markoviani, non sono particolarmente adatti in quanto questi generalmente utilizzano dati provenienti dalla letteratura scientifica e in particolare da studi clinici controllati e randomizzati che a causa delle loro caratteristiche non sono in grado di descrivere la pratica clinica corrente. L’obiettivo principale di questo lavoro è quello di identificare l’approccio per effettuare analisi costo-efficacia nel contesto degli studi osservazionali unendo le potenzialità di questi studi, largamente utilizzati in farmaco epidemiologia per indagare l’efficacia del trattamento farmacologico nel prevenire alcuni eventi di interesse, con l’analisi economica per mettere in relazione i costi legati alla storia farmacologica dei pazienti con l’efficacia della terapia stessa. L’approccio individuato è stato applicato alla valutazione dell’effetto dell’aumento di aderenza alle terapie croniche utilizzate nella prevenzione primaria di differenti patologie quali quelle cardiovascolari e le fratture osteoporotiche utilizzando i dati provenienti dai database amministrativi della regione Lombardia. Metodi: Dai database amministrativi della regione Lombardia sono state selezionate tre coorti di pazienti che avevano ricevuto almeno una prescrizione di statine (coorte 1), antipertensivi (coorte 2) o bifosfonati (coorte 3) in un determinato periodo di reclutamento. Successivamente a queste coorti sono stati applicati alcuni criteri di esclusione per assicurare l’inclusione dei soli utilizzatori incidenti del farmaco in prevenzione primaria, che avessero almeno un anno di follow-up e che fossero utilizzatori continui del farmaco. I pazienti hanno accumulato anni-persona di follow-up dalla data della prima prescrizione fino al più precoce dei seguenti eventi: i) evento di interesse (ischemia miocardica acuta per la prima coorte, evento cardiovascolare per la seconda e frattura osteoporotica per la terza, identificate nel database delle schede di dimissione ospedaliera, ii) morte o migrazione iii) termine del follow-up. Per ogni paziente, l’aderenza al trattamento è stata valutata tramite la Proportion of Days Covered (PDC), ovvero la percentuale di giorni di follow-up coperta dal trattamento. Per ogni coorte, è stato implementato un modello di regressione di Cox per valutare la relazione tra aderenza al trattamento (inclusa come covariata tempo-dipendente) e insorgenza dell’evento d’interesse. Le stime ottenute sono state aggiustate per età, genere, indice di comorbosità di Charlson, e cotrattamenti ricevuti durante il follow-up. Per ogni paziente, è stato calcolato il costo totale del trattamento come somma della spesa relativa ad ogni prescrizione del farmaco d’interesse, ricevuta durante il follow-up. Il costo individuale per giorno di trattamento è stato ottenuto dividendo la spesa totale per il numero di giorni coperti dal trattamento. Per ognuna delle coorti sono stai creati alcuni scenari in cui l’aderenza media al trattamento viene incrementata. In ogni scenario, per ogni paziente è stato generato un nuovo livello di PDC, sommando al valore osservato nella coorte originale (baseline) un valore di incremento, estratto da una variabile casuale normale. Per ogni scenario è stata valutata la spesa farmaceutica e una misura d’efficacia rappresentata per le prime due coorti dagli eventi evitati e nella terza coorte dal tempo atteso libero da malattia grazie all’aumento di aderenza alla terapia. L’indicatore utilizzato per valutare se l’incremento dell’aderenza al trattamento è costo efficace è l’Incremental Cost-Effectiveness Ratio (ICER) ovvero il rapporto tra la differenza dei costi medi annuali e la differenza tra gli eventi evitati o il tempo atteso libero da malattia osservati al baseline e in ogni scenario. Risultati: Nella prima coorte sono stati inclusi 84,262 utilizzatori incidenti di statine che hanno accumulato 358,798 anni persona di follow-up (in media 4.3 anni per paziente) di cui il 45% era coperto dal trattamento. La coorte ha generato 1,397 eventi di ischemia miocardica acuta,con un tasso di incidenza di 39 casi ogni 10,000 anni persona a rischio. Per questa coorte, l’ICER varia tra 243 mila euro (95% IC: 230 - 259 mila euro) nello scenario in cui l’aderenza media è pari al 50% e 413 mila euro (95% IC: 391 – 439 mila euro) ogni 10,000 anni persona nello scenario in cui l’aderenza media è pari al 90% per evitare un evento di IMA ogni 10,000 anni persona grazie all’aumento dell’aderenza al trattamento con statine. La coorte degli utilizzatori di antipertensivi era formata da 209,650 utilizzatori incidenti di del farmaco che hanno accumulato 1,244,870 anni persona di follow-up (in media 6 anni per paziente di cui il 52% era coperto dal trattamento. La coorte ha generato 10,688 eventi cardiovascolari, con un tasso di incidenza di 86 casi ogni 10,000 persone anno a rischio. Per questa coorte, i valori dell’ICER decrescono da 76 mila euro (95% IC: 74- 77 mila euro), a 75 mila euro (95% IC: 73 - 76 mila euro) 73 mila euro (95% IC: 72 - 75 mila euro) per ogni evento cardiovascolare evitato dall’incremento dei livelli di aderenza alla terapia con antipertensivi dal baseline rispettivamente a livelli medi di aderenza pari al 60% e all’80%. Infine nell’ultima coorte sono state incluse 28,558 utilizzatori incidenti di bifosfonati che hanno accumulato 177,868 anni persona di follow-up (in media 6 anni per paziente) di cui il 33% era coperto dal trattamento. La coorte ha generato 1,921 eventi di frattura osteoporotica, con un tasso di incidenza di 108 casi ogni 10,000 anni persona a rischio. Per quanto riguarda questa coorte l’ICER varia tra 135 mila euro (95%IC:119 - 152 mila euro) per ogni anno libero da malattia guadagnato nello scenario in cui l’aderenza media è pari al 40% fino a 60 mila euro (95%IC:56 - 65 mila euro) nello scenario in cui l’aderenza media è dell’80%. Conclusioni: Il metodo proposto per l’analisi costo-efficacia consente di integrare le potenzialità degli studi osservazionali, largamente utilizzati in farmaco epidemiologia per indagare l’efficacia del trattamento farmacologico, con l’analisi economica. Inoltre l’approccio sottolinea come i database amministrativi siano un’importante fonte di dati per gli studi di farmacoepidemiologia e farmacoeconomia in quanto consentono di valutare sia costi che efficacia dei farmaci nell’ambito della reale pratica clinica ed inoltre permettono di condurre studi su una popolazione ampia e non selezionata e in tempi brevi. Un importante risparmio di risorse potrebbe essere ottenuto incoraggiando l’uso di farmaci meno costosi, come quelli generici, e scoraggiando lo spreco di risorse per il trattamento di pazienti che non necessitano della terapia farmacologica. Questo potrebbe liberare le risorse necessarie per finanziare gli interventi per migliorare l’aderenza ai trattamenti cornici.
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Valgimigli, Marco <1972&gt. "Correlazione tra i livelli circolanti di cellule staminali CD34+ e sviluppo di ristesosi binaria in pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica con impianto di stent metallico tradizionale: studio prospettico osservazionale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/146/1/Tesi_dottorato_di_ricerca_Marco_Valgimigli.pdf.

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Valgimigli, Marco <1972&gt. "Correlazione tra i livelli circolanti di cellule staminali CD34+ e sviluppo di ristesosi binaria in pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica con impianto di stent metallico tradizionale: studio prospettico osservazionale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/146/.

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DELLE, ROSE DIEGO. "Caratteristiche microbiologiche e predittori di mortalità delle infezioni nosocomiali del torrente ematico: risultati di una analisi retrospettiva su cinque terapie intensive di Roma e di uno studio osservazionale prospettico di 12 mesi nel Policlinico Tor Vergata di Roma." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2014. http://hdl.handle.net/2108/203056.

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Morsillo, Filomena <1972&gt. "Sindrome del Tunnel Carpale: una meta-analisi degli studi osservazionali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2816/1/Morsillo_Filomena_tesi.pdf.

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Morsillo, Filomena <1972&gt. "Sindrome del Tunnel Carpale: una meta-analisi degli studi osservazionali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2816/.

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RAGGI, ALBERTO. "Studi osservazionali sull’Ipertensione Idiopatica Intracranica: un valido strumento per la comprensione della malattia." Doctoral thesis, Università degli studi di Pavia, 2017. http://hdl.handle.net/11571/1203274.

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Abstract:
L’ipertensione idiopatica intracranica (IIH) è una patologia neurologica rara (incidenza <2/100.000/anno) caratterizzata da un’elevata pressione del liquor in assenza di tumori cerebrali, e colpisce prevalentemente le giovani donne obese (12-20/100.000/anno). La diagnosi è basata sulla presenza del papilledema e sulla misurazione della pressione intracranica: a seconda dei criteri diagnostici, il limite minimo è fissato in 250mmH2O oppure in 200mmH2O. La patologia si presenta in maniera disomogenea ed i segni/sintomi più comuni sono: cefalea (75% dei casi), vertigini (50%), oscuramento visivo transitorio (70%), tinnito (50%), distensione dello spazio periottico subaracnoideo (80%), sella vuota (75%), appiattimento posteriore dei globi oculari (60%), stenosi o riduzione del flusso a livello dei seni venosi intracranici (60%). La prognosi è tendenzialmente buona, ma il 25% dei pazienti può perdere la vista. L’eterogeneità dell’IIH rende difficile la conduzione di ampi RCT. Gli studi osservazionali sono utili poiché generano risultati preliminari ed ipotesi di ricerca che permettano di definire le variabili di interesse, ipotizzarne l’andamento nel tempo e determinare la dimensione campionaria per studi prospettici. In questo elaborato sono stati studiati l’associazione dei segni e sintomi con la conferma della diagnosi di IIH, l’impatto dell’obesità e del Binge Eating Disorder (BED), ed il profilo di disabilità dei pazienti. Il primo studio presenta un’analisi retrospettiva dei dati clinici, radiologici e neuro-oftalmologici di 115 pazienti ricoverati a scopo diagnostico Lo studio ha mostrato che i segni/sintomi neuro-oftalmologici e radiologici sono più sensibili di quelli neurologici per confermare a diagnosi. Inoltre ha mostrato che la diagnosi di IIH viene confermata se coesistono 7 o più segni/sintomi, mentre non viene confermata se ve ne sono 4 o meno. Il secondo studio parte dall’osservazione della forte associazione fra IIH ed obesità e fra BED ed obesità. I pazienti con BED rispondono meno bene degli obesi senza BED ai programmi di calo ponderale: tuttavia, non esiste letteratura rispetto all’associazione fra IIH e BED. Sono stati inclusi 57 pazienti ricoverati per accertamenti diagnostici: la diagnosi di IIH è stata confermata in 38 pazienti, il BED in 7 pazienti, di cui 6 con diagnosi di IIH (15.8%). In confronto ai pazienti non obesi, gli obesi (specie quelli con BED) hanno più spesso la diagnosi di IIH (P<.001), pressione intracranica superiore a 200mmH2O (P<.001) ed atrofia del nervo ottico (P=.002). Considerando il solo gruppo di pazienti con IIH, gli obesi con BED hanno un livello di pressione intracranica superiore a quello dei pazienti senza BED (340mmH20 vs.280 mmH20; P=.037), a parità di BMI. Il terzo studio è motivato dalla scarsità di dati relativi alla valutazione di qualità di vita, ed all’assenza di studi che abbiano valutato la disabilità, nei pazienti con IIH. Sono stati arruolati 38 pazienti, che hanno compilato il WHODAS-12 (punteggio medio 23.6). I pazienti hanno completato l’iter diagnostico e compilato il MIDAS, il BDI-II ed il questionario SF-36. I risultati mostano l’importante disabilità dei pazienti arruolati (il WHODAS-12 ha un punteggio superiore a quello osservato in altri pazienti neurologici), ed il fatto che questa sia principalmente associata alla frequenza delle cefalee ed al tono dell’umore. Questi studi sono di interesse clinico e gestionale poichè sono basati su di un campione fortemente rappresentativo di ciò che viene visto nella pratica quotidiana: i pazienti con caratteristiche suscettive di IIH. I dati qui descritti aprono nuove prospettive per la gestione clinica e di ricerca in una patologia rara come questa: la creazione di un network di centri che si occupino di IIH e di un registro di malattia e, nel breve termine, il completamento del follow-up – almeno a 12 mesi – dei parametri valutati al baseline.
Idiopathic Intracranial Hypertension (IIH) is a rare neurological disease (incidence <2/100,000/year) whose main feature is a high CSF pressure in absence of brain tumors, and mainly affect young obese women (12-20/100,000/year). IIH diagnosis is based on presence of papilloedema and on the CSF pressure measurement: according to different criteria, the lower bound is 250 or 200mmH2O. The clinical presentation is not homogeneous and the most common signs/symptoms are: headache (75% of cases), vertigo (50%), transient visual obscuration (70%), tinnitus (50%), perioptic subarachnoid space distension (80%), empty sella (75%), posterior globe flattening (60%), transverse sinus narrowing (60%). Prognosis is generally positive, although up to 25% of patients may develop long-term permanent visual loss. IIH heterogeneous presentation and rarity make planning of wide RCT difficult. Therefore, observational studies are of utility as the enable to generate preliminary results and research hypothesis that, in turn, enable to identify core-interest variables, hypothesize longitudinal trends and define sample size for prospective studies. In this report I presented the association of relevant signs/symptoms with IIH diagnosis, the impact of obesity and Binge Eating Disorder (BED) and, finally, patients’ disability profile. The first study reports a retrospective analysis of clinical, radiological and neuro-ophtalmological data referred to 115 patients undertaking diagnostic procedures. It was showed that radiological and neuro-ophtalmological signs/symptoms were more relevant than neurological ones to confirm IIH diagnosis and that the presence of 7 or more signs/symptoms was associated to IIH confirmation, which conversely did not happen with 4 or less. The second study moves from the evidence of a strong association between IIH and obesity, and between BED and obesity: obese-BED patients do not respond well to weight loss programs, but no literature exists on BED-IIH association. We included 57 patients, hospitalized for diagnostic purposes: IIH was confirmed in 38, BED in 7, six of whom had IIH (15.8%). Compared to non-obese ones, obese patients (particularly those with BED) were more likely to have IIH (P<.001), intracranial pressure >200mmH2O (P<.001) and optic nerve atrophy (P=.002). If the sub-group of IIH patients is taken into account, those with BED had higher intracranial pressure (340mmH20 vs.280 mmH20; P=.037) than the non-BED counterparts, while BMI levels were comparable. The third study moves from the paucity of studies addressing patients’ quality of life, and the lack of studies addressing disability, in patients with IIH. We enrolled 38 patients which filled in the WHODAS-12 (average score: 23.6), the MIDAS, BDI-II and SF-36. Results show a relevant disability in these patients: WHODAS-12 average score was higher than that observed in many other neurological patients. Moreover, disability associated to IIH was mostly related to headaches frequency and mood level. In conclusion, these studies are of clinical and management importance as they are based on a sample that is highly representative of daily clinical practice, i.e. patients with clinical features that enable to suppose IIH. The information herein reported opens to new perspectives for the clinical and research activities connected to a rare disease such as IIH: in the long-run, the importance of creating a network of centers with expertise in IIH and of a clinical registry; on a short-term, the importance of completing 12-months follow-up of baseline parameters.
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Deandrea, S. "META-ANALISI BAYESIANA DI STUDI OSSERVAZIONALI SUI FATTORI DI RISCHIO PER LE CADUTE NELL'ANZIANO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2011. http://hdl.handle.net/2434/153111.

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Abstract:
Background. Despite the widespread application of Bayesian methods in meta-analysis, the use of clinical informative priors is still lacking. Methods. Using MEDLINE and previous reviews, we searched for prospective studies investigating risk factors for falls among community-dwelling older people. For 31 risk factors we computed pooled odds ratios (ORs) with random-effects frequentist models. For five risk factors (benzodiazepines use, female sex, history of falls, urinary incontinence, antiepileptic use) we computed pooled ORs both with frequentist and Bayesian methods using four different priors: non informative, clinical, skeptical and enthusiastic. Except for non informative one, the other priors were based on a clinical belief elicited from experts by mean of a specifically designed questionnaire. Clinical priors were included in the model as normal distributions computed with the moment method; the enthusiastic and skeptical priors were normal and skewed-normal distributions, which described the higher and lower estimates provided by the experts. The analyses were performed using the Markov Chain Monte Carlo approach. Results. A total of 74 studies met the inclusion criteria and 31 risk factors were included in the frequentist analysis. Fourteen experts (eight geriatricians and six general practitioners) provided ORs estimates for each selected risk factors for two categories of elderly people (75 years old, more than 80 years old). Geriatricians’ clinical priors gave better results in terms of estimate consistency between frequentist and Bayesian models and reduction of credibility interval. Enthusiastic and skeptical estimates appeared to be heavily driven by the prior distribution and they are not consistent with frequentist, non-informative and clinical ORs. Conclusions. In a meta-analysis a Bayesian model including an informative clinical prior can provide external information and could be useful in selected cases (i.e. insufficient number of studies available, confidence intervals too wide and including 1.00).
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Grossi, Paola. "Plasticità corticale nella sclerosi multipla all'esordio clinico: studio dell'osservazione dell'azione con risonanza magnetica funzionale." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425191.

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Abstract:
Objective: Functional magnetic resonance imaging (fMRI) studies conducted on patients with multiple sclerosis (MS) indicated that execution of motor tasks determines an increased recruitment of some areas of the fronto-parietal circuit associated with grasping and manipulating objects. In addition, neuroimaging research on healthy humans disclosed that a number of fronto-parietal areas involved in hand action execution are also activated during hand action observation. We used fMRI to compare patterns of haemodynamic activity evoked by observation of grasping actions in early relapsing remitting MS (RRMS) patients and in normal controls. Methods: 12 right-handed early RRMS patients have been recruited. Further, 15 sex- and age-matched right-handed healthy volunteers served as controls. Using a 1.5T scanner, functional images were obtained with a single shot echo-planar T2*-weighted sequence in order to measure blood oxygenation level-dependent contrast throughout the whole brain (32 axial slices, slice thickness 3.5 mm/0.5 mm gap, matrix 64 x 64 voxels, FOV = 224 x 224 mm2, flip angle = 90°, TR = 3 s, TE = 50 ms). During scanning participants were requested to observe static images depicting a human hand either grasping an object (grasping condition) and resting alongside an object (control condition). Experimental conditions were presented in a block design with blocks' duration of 15 s. Functional volumes were pre-processed and analysed using the software SPM5 by realignment and by normalization to the standard space defined by the Montreal Neurological Institute (MNI) template. Lastly, volumes were smoothed using an 8 mm isotropic Gaussian kernel. High-pass filtering was also applied. Results: Ours results suggest that, among other areas, action observation (grasping condition) evoked an increased activation of both the precentral gyrus, bilaterally and the inferior occipital gyrus, billaterally in MS patients as compared to controls. During the control condition (human hand resting alongside an object), compared to healthy volunteers, patients with MS had more significant activations of the left inferior occipital gyrus. The level for these contrasts was set at p<0.001 (uncorrected; extent threshold of at least 10 contiguous voxels). Conclusions: These findings suggest that during hand action observation early RRMS patients show an increased activation in regions of the premotor cortex known to be involved in action observation. This may indicate that the "over-activation mechanism" emerged in RRMS patients during action execution tasks may extend to action understanding situations.
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BACIGALUPPI, SUSANNA. "Ruolo e potenziale delle cellule progenitrici endoteliali nel vasospamo cerebrale." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2011. http://hdl.handle.net/10281/27113.

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Abstract:
Title: Role and potential of endothelial progenitor cells in cerebral vasospasm Abstract: Background and aim: Despite many treatment approaches, cerebral vasospasm and delayed ischemic neuronal damage (DIND) still represent a serious threat to patients with subarachnoid haemorrhage (SAH). Endothelial progenitor cells (EPC) have been involved as prognostic indicators in several vascular diseases and mesenchymal stem cells already have shown some benefits in ischemic injury. Aim of this study was to investigate the therapeutic potential of endothelial progenitor cells (EPC) and mesenchymal stem cells (MSC) in attenuating or preventing vasospasm and DIND in patients with SAH. Methods: Given the emergent role of DIND as a result of multifactorial hypoperfusion stress in the outcome of SAH patients, the efficacy of EPC and MSC in reducing neuronal damage has been evaluated in an in vitro model of ischemia, namely the oxygen glucose deprivation (OGD), on primary rat cortical neuronal cultures. Further, we tested in a clinical observational study SAH patients with and without vasospasm for different recruitment patterns of circulating EPC. To this purpose arterial blood samples were collected at various timepoints from admission to discharge of the patients. On these samples real-time quantitative PCR (RT-qPCR) was performed to detect gene expression relative to EPCs, since cytofluorimetric analysis appeared not sensitive enough to detect this rare cell population. Results: Though present results need further confirmation, in vitro it was observed that both MSC and EPC treatment through conditioned medium or co-culture in transwell- although with some differences - mediate a survival advantage for OGD stressed neurons. Furthermore stem cell mediated treatment showed efficacy even when applied 24 hours after OGD stress induction. RT-qPCR results from a small sample of SAH patients might indicate an early mobilization of EPC related gene expression in subjects that do not develop vasospasm with a peak around day 4, whereas the expression of these genes remain invariably low in patients that develop vasospasm as in controls not affected by SAH. Conclusions: MSCs and EPCs seem to have an important potential role in preventing DIND in vitro as well as EPC recruitment might associate with lack of vasospasm in SAH patients. Further studies are needed to confirm these results and to prove a causal relationship between EPCs and vasospasm protection.
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Mancino, Alex. "Analisi di una piccola missione satellitare per il monitoraggio degli incendi in Australia: studi orbitali, definizione dell'architettura di sistema e dimensionamento del sistema di potenza." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amslaurea.unibo.it/21520/.

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Abstract:
L'elaborato riporta l'analisi di una breve missione nanosatellitare che ha come scopo l'osservazione del fronte degli incendi in territorio australiano. Il documento parte da un'analisi orbitale della missione in questione e si conclude con il dimensionamento del sottosistema di potenza (EPS). L'elaborato riporta, inoltre, l'intera descrizione dell'architettura di sistema, esponendo le scelte fatte per ogni componente del satellite e mostrando, per ciascuno di essi, un modello realizzato tramite software CAD.
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STRADA, CRISTINA. "IL RUOLO DELLE TECNOLOGIE MOBILI NEL PROCESSO DI COSTRUZIONE DI UN CONTESTO INTERSOGGETTIVO NEI PICCOLI GRUPPI. DUE STUDI SUL CAMPO." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2014. http://hdl.handle.net/10280/2873.

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Abstract:
Il presente lavoro, articolato in due studi etnografici, intende contribuire allo sviluppo del Modello dell’Intersoggettività Enunciativa, considerando aspetti fino a questo momento esclusi dallo stesso. L’aspetto caratterizzante degli studi riguarda l’utilizzo di videoregistrazioni delle osservazioni etnografiche, utilizzate con obiettivi diversi. Nel primo caso sono prodotte in ottica di Etnografia Focalizzata, come supporto all’osservazione, mentre nel secondo sono utilizzate per effettuare ulteriori analisi a partire da quanto emerso dalla prima fase qualitativa. Il primo è stato uno studio di etnografia focalizzata su un progetto pilota di educazione digitale per users non nativi digitali, all’interno del quale si è riscontrato come il device risulti di ostacolo alla collaborazione tra gli individui, in quanto essi non possiedono le conoscenze e competenze necessarie a favorirla. Diversamente, nel secondo studio è stato utilizzata la Social Network Analysis, con l’obiettivo di comprendere le modalità di interazione costituite all’interno di gruppi di studenti che lavorano in presenza, ai fini di un obiettivo comune, con il supporto di device mobili. Dai risultati emerge come il dispositivo mobile funzioni ai fini della costruzione del mondo intersoggettivo condiviso solo se trasparente, evidenziando la necessità di considerare imprescindibile l’uso quotidiano e trasparente di tali tecnologie per tutte le fasce di popolazione.
This work, organized into two ethnographical studies, aims at contributing to the development of the Utterance Intersubjectivity model considering aspects not yet included in such model. The performed studies entail the use of videorecordings of ethnographic observations in multiple settings. In the first case, they are produced with a Focused Ethnography purpose in support to the observation, in the second case they are used after a preliminary qualitative step to perform an additional set of analyses. The first study is a focused ethnography on a pilot project considering digital training for non digital-native users. The main outcome is the insight that the device results to be an impairment to the individuals collaboration, since they do not possess the required minimum level of knowledge and competence. In the second study a Social Network Analysis approach is used, with the objective to understand the interaction modalities that emerge within groups of co-located students working towards a common objective with the support of mobile devices. Comparing the results of the studies emerges that mobile devices are effective in the construction of the shared intersubjective world only if they are transparent to the users, highlighting the need to promote and reinforce the everyday use of such technologies.
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STRADA, CRISTINA. "IL RUOLO DELLE TECNOLOGIE MOBILI NEL PROCESSO DI COSTRUZIONE DI UN CONTESTO INTERSOGGETTIVO NEI PICCOLI GRUPPI. DUE STUDI SUL CAMPO." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2014. http://hdl.handle.net/10280/2873.

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Abstract:
Il presente lavoro, articolato in due studi etnografici, intende contribuire allo sviluppo del Modello dell’Intersoggettività Enunciativa, considerando aspetti fino a questo momento esclusi dallo stesso. L’aspetto caratterizzante degli studi riguarda l’utilizzo di videoregistrazioni delle osservazioni etnografiche, utilizzate con obiettivi diversi. Nel primo caso sono prodotte in ottica di Etnografia Focalizzata, come supporto all’osservazione, mentre nel secondo sono utilizzate per effettuare ulteriori analisi a partire da quanto emerso dalla prima fase qualitativa. Il primo è stato uno studio di etnografia focalizzata su un progetto pilota di educazione digitale per users non nativi digitali, all’interno del quale si è riscontrato come il device risulti di ostacolo alla collaborazione tra gli individui, in quanto essi non possiedono le conoscenze e competenze necessarie a favorirla. Diversamente, nel secondo studio è stato utilizzata la Social Network Analysis, con l’obiettivo di comprendere le modalità di interazione costituite all’interno di gruppi di studenti che lavorano in presenza, ai fini di un obiettivo comune, con il supporto di device mobili. Dai risultati emerge come il dispositivo mobile funzioni ai fini della costruzione del mondo intersoggettivo condiviso solo se trasparente, evidenziando la necessità di considerare imprescindibile l’uso quotidiano e trasparente di tali tecnologie per tutte le fasce di popolazione.
This work, organized into two ethnographical studies, aims at contributing to the development of the Utterance Intersubjectivity model considering aspects not yet included in such model. The performed studies entail the use of videorecordings of ethnographic observations in multiple settings. In the first case, they are produced with a Focused Ethnography purpose in support to the observation, in the second case they are used after a preliminary qualitative step to perform an additional set of analyses. The first study is a focused ethnography on a pilot project considering digital training for non digital-native users. The main outcome is the insight that the device results to be an impairment to the individuals collaboration, since they do not possess the required minimum level of knowledge and competence. In the second study a Social Network Analysis approach is used, with the objective to understand the interaction modalities that emerge within groups of co-located students working towards a common objective with the support of mobile devices. Comparing the results of the studies emerges that mobile devices are effective in the construction of the shared intersubjective world only if they are transparent to the users, highlighting the need to promote and reinforce the everyday use of such technologies.
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LAMARTINA, LIVIA. "Studio osservazionale prospettico sull’outcome clinico dei pazienti affetti da carcinoma della tiroide." Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/11573/1240201.

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Abstract:
Aim: To identify clinical and molecular prognostic factors in differentiated thyroid cancer (DTC) Methods: A web based longitudinal database of newly diagnosed DTC was settled down. The risk of recurrence and the response to treatment were classified according to the American Thyroid Association (ATA) guidelines. Circulating miR analysis of sera collected before surgery and about 1 months and 1-2 years after surgery was performed with TaqMan MicroRNA Assay. Results: 2730 patients had a follow-up ≥1 year. The ATA risk of recurrence was low in 1386 (50.8%), intermediate in 1168 (42.8%) and high in 176 (6.4%). The response to treatment was excellent in 1675 (61.3%), biochemical incomplete in 63 (2.3%), structural incomplete in 70 (2.6%), and indeterminate in 922 (33.8%). A significantly higher rate of structural disease was found in intermediate (2.7%, Odds ratio 4.85, 95% confidence interval 2.18 - 12.23, p<0.01) and high risk (17.1% Odds ratio 35.21, 95% confidence interval 15.41 - 90.66, p<0.01) patients compared with low risk patients (0.6%). Of the 829 patients that had a follow up of ≥3 years, only 3 (0.6%) intermediate risk patients experienced relapse. Serum samples of 44 patients with papillary thyroid cancer (PTC) were available for miR profiling. After a screening analysis, miR-146a-5p and miR-221-3p were selected for validation because of superior accuracy in PTC identification from healthy controls and benign thyroid nodules. The trend over time of miR-146a-5p and miR-221-3p was decreasing in patients with disease remission and increasing in patients with structural disease. In 3 cases miR profile was more informative than the serum thyroglobulin. Conclusion: The ATA risk stratification is an effective clinical prognostic tool for structural disease prediction in DTC. One third of the patients has an indeterminate response to treatment due to low detectable serum markers (thyroglobulin or anti thyroglobulin antibodies). miR profile may represents a promising alternative marker of disease status for these patients.
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GINORI, EMANUELE. "La donazione di sangue cordonale nei servizi ostetrico-ginecologici della Regione Toscana: Studio Osservazionale." Doctoral thesis, 2014. http://hdl.handle.net/2158/860106.

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PACE, DANIELA. "Diabete ed osso: studio osservazionale in una popolazione di pazienti affetti da diapete tipo 2." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11573/918783.

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Abstract:
Nonostante il DM2 e l'osteoporosi siano tradizionalmente considerati come entità separate, in letteratura si stanno accumulando evidenze che indicano uno stretto legame tra le due patologie. Innanzitutto, dato che le due condizioni hanno un’elevata incidenza tra le persone anziane, che comprendono una proporzione crescente della popolazione generale, diventerà sempre più comune trattare pazienti anziani nei quali diabete ed osteoporosi coesistono. L’osteoporosi, infatti, è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata dalla coesistenza di riduzione e di alterazioni qualitative della massa ossea che si accompagnano ad aumento del rischio di fratture. Numerosi studi hanno dimostrato un'alta incidenza di osteopenia, osteoporosi e fratture nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (DMT2). E' stata evidenziato, inoltre, un aumento della densità minerale ossea (BMD) nei soggetti con DMT2, da ricondurre probabilmente agli elevati livelli di Body Mass Index (BMI), di frequente riscontro in tale patologia. Tuttavia, nonostante i valori elevati di BMD, nel Nurses’ Health Study è stato dimostrato un rischio di fratture 1.7 volte maggiore nelle donne diabetiche rispetto alla popolazione di controllo (85). Il Rotterdam Study ha confermato un aumento del rischio di frattura nei soggetti, sia di sesso maschile che femminile, con diabete di tipo 2, nonostante gli elevati valori di BMD (86). Diversi meccanismi sono stati proposti per spiegare le possibili influenze della malattia diabetica sul tessuto osseo e quindi sul rischio di frattura, tra cui l’ipercalciuria associata a glicosuria, la ridotta funzione renale, la ridotta performance muscolare, la neuropatia, il deficit visivo, l’aumentata concentrazione dei prodotti della glicosilazione nelle fibre di collagene e la microangiopatia a livello osseo (80). Tuttavia, non esistono, ad oggi, dati sull’entità delle fratture ossee nella popolazione diabetica italiana. D'altra parte, la frequenza di diabete e osteoporosi nel mondo occidentale, che va progressivamente invecchiando, pone come problema clinico rilevante, quello di avere strumenti atti a predire con la migliore accuratezza possibile il rischio di frattura nei pazienti con diabete. A tal proposito abbiamo messo a punto uno studio italiano osservazionale prospettico multicentrico volto a stimare la prevalenza di fratture ossee cliniche in una popolazione di pazienti affetti da DM2 ed in una popolazione di controllo, costituita da soggetti non diabetici raccolti contemporaneamente. Obiettivi secondari sono stati la valutazione del rischio di frattura calcolato utilizzando l’algoritmo FRAX come pure lo studio dell’influenza che fattori collegati alla malattia possano avere nel determinare il rischio di frattura.
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MESSANO, GIUSEPPE ALESSIO. "Rapporto tra deficit cognitivo lieve e parodontite. Studio osservazionale in un campione di pazienti geriatrici." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/11573/1363057.

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Abstract:
a popolazione mondiale sta celermente invecchiando e parallelamente aumenta il numero di persone affette da demenza, le quali mostrano gravi difficoltà intellettive e motorie, con perdita totale o parziale di autosufficienza, che si riflette significativamente su parenti e società. La demenza è un importante problema di salute pubblica, in quanto costituisce la causa principale di incapacità a lungo termine nella terza età. È ormai largamente riconosciuto che la malattia parodontale si possa andare ad associare a numerosissimi disordini sistemici legati alla salute dell’individuo. Più di recente alcuni studi hanno rilevato la correlazione tra l’infezione parodontale legata a diverse specie batteriche del cavo orale e l’eziologia del decadimento cognitivo. È stato osservato come, generalmente, la diagnosi della parodontite si basa sulla presenza ed entità dell’infiammazione gengivale, spesso misurata come livello di attacco (CAL), profondità di tasca (PD) ed estensione della perdita di osso alveolare, quest’ultima valutata radiograficamente. Lo stato di Mild Cognitive Impairment (MCI), in italiano compromissione cognitiva lieve, nota anche come disturbo neurocognitivo minore (nel DSM V) è una condizione diagnosticata agli individui che hanno deficit cognitivi che sono maggiori rispetto a quelli che statisticamente si possono aspettare per la loro età e istruzione, ma che non interferiscono significativamente con le loro attività giornaliere. Partendo dai presupposti che la MCI è spesso considerata come precursore dello stato di demenza, un’eventuale associazione tra quest’ultima e la malattia parodontale, attualmente non verificata da nessuno studio, potrebbe influenzare significativamente gli approcci terapeutici nei confronti di entrambe le patologie. Perciò se da un lato, l’obiettivo della ricerca proposta con tale tesi è quello di verificare una possibile correlazione tra MCI e parodontite, dall’altro lato è essenziale menzionare i già avvenuti studi relativi al deterioramento cognitivo ed altre problematiche dentali. Un recente meta analisi del 2019 di Nangle MR et Al. ha fornito prove di un'associazione tra apprendimento e memoria, attenzione complessa e funzione esecutiva con la salute orale in età avanzata. Il nostro studio ha avuto lo scopo principale di valutare se la profondità di tasca (PD) che è considerata indice ideale di malattia parodontale è associata in qualche modo al Mild Cognitive Impairment (MCI). È stato effettuato uno studio di tipo osservazionale. I pazienti oggetto di studio presentavano caratteristiche peculiari necessarie ed uguali per tutti, dovevano essere affetti da un deficit cognitivo e quindi presentare la diagnosi di MCI ma non di Alzheimer, non dovevano presentare una diagnosi di depressione, non dovevano mostrare edentulia in ultimo non dovevano essere sottoposti a trattamento parodontale. Non essendoci studi scientifici precedenti per calcolare il numero di pazienti necessario abbiamo deciso di selezione un campione consecutivo di 50 pazienti. Si è giunti alla conclusione finale che sussiste una correlazione tra la parodontite e il MCI, seppur non molto forte. Detto ciò la malattia parodontale è correlabile ad un deficit cognitivo lieve, spesso condizione antecedente di demenze più gravi. Tale conclusione pone un importante accento sul ruolo che l’odontoiatra o l’igienista dentale rivestono nell’ambito della prevenzione, poiché la dimensione cognitiva che maggiormente diminuisce in relazione alla parodontite è l’attenzione. Tanto premesso è naturale che l’odontoiatria o l’igienista dentale possano osservare, analizzare e comprendere un deficit dell’attenzione, tramite, ad esempio, semplici domande raccolte durante la compilazione della cartella clinica e durante l’aggiornamento della stessa nelle sedute successive; non solo, anche tramite il feedback relativo all’educazione e istruzione di specifiche manovre di igiene domiciliare, i professionista sanitari possono comprendere se il paziente mostra un deficit di attenzione o memoria. La possibilità di intercettare precocemente la condizione clinica di MCI permette di indirizzare subito il paziente verso cure e trattamenti specifici al fine di eludere la possibilità di un’evoluzione successiva verso il morbo di Alzheimer. Quindi data la scarsità di studi relativi ai meccanismi eziopatogenetici tra la parodontite e l’Alzheimer e date la carenze comportamentali dei pazienti affetti dal morbo, attualmente non è possibile comprende se è la malattia di Alzheimer ad essere responsabile della parodontite o viceversa, ma sicuramente grazie a questo studio osservazionale, sappiamo che il Mild Cognitive Impairment è associato con la malattia parodontale e perciò intercettare tali due condizioni può significare diagnosticare precocemente una condizione patologica come l’Alzheimer, per la quale non esiste ancora un trattamento farmacologico efficace e risolutivo.
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LAGANA', Alberto. "Studio epidemiologico osservazionale descrittivo sulla patologia andrologica nella popolazione studentesca delle scuole medie superiori. Studio pilota nella provincia di Palermo e nella provincia di Verona." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10447/95203.

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LAGANA', Alberto. "STUDIO EPIDEMIOLOGICO OSSERVAZIONALE DESCRITTIVO SULLA PATOLOGIA ANDROLOGICO NELLA POPOLAZIONE STUDENTESCA DELLE SCUOLE MEDIE INFERIORI E SUPERIORI. STUDIO PILOTA NELLA PROVINCIA DI PALERMO E NELLA PROVINCIA DI VERONA." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10447/105067.

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BELLANDO, RANDONE SILVIA. "Very Early Diagnosis of Systemic Sclerosis (Diagnosi molto precoce della Sclerosi Sistemica) VEDOSS, 2010-2015 (2020). Validazione dei segni e sintomi in uno studio prospettico osservazionale di coorte." Doctoral thesis, 2013. http://hdl.handle.net/2158/798653.

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Abstract:
Studio europeo prospettico osservazionale multicentrico per la validazione dei segni e sintomi per la diagnosi precoce di sclerosi sistemica. Valutazione del coinvolgimento cardiaco ed esofageo anorettale in fase precoce di malattia
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GUARAGNA, MARIANA. "La Sindrome delle apnee ostruttive del sonno. Studio osservazionale multicentrico in un campione affetto da comorbilità, valutazione delle correlazioni tra parametri occlusali, antropometrici e otorinolaringoiatrici con la gravità dell'OSAS." Doctoral thesis, 2023. https://hdl.handle.net/11573/1663407.

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Abstract:
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome o OSAS) è un grave problema di salute che impatta notevolmente sulla qualità di vita di chi ne soffre e la cui importanza sta emergendo solo negli ultimi anni. Il piano d'Azione Globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili (2013-­‐2020) definisce tra i 9 obiettivi globali la riduzione relativa del 25% della mortalità precoce dovuta a malattie croniche entro il 2025. L’OSAS è una patologia cronica con importanti implicazioni economiche e sociali, ad elevata prevalenza, spesso sotto diagnosticata e sotto trattata. Il 12 Maggio 2016 è stato approvato in conferenza Stato Regioni il documento “La Sindrome delle Apnee ostruttive del sonno”, al fine di proporre, attraverso un approccio multidisciplinare, una strategia finalizzata alla prevenzione ottimale dell’OSAS e al controllo delle sue comorbilità, suggerendo la necessità di promuovere azioni preventive in grado di ridurre i rischi associati e di realizzare una diagnosi precoce per consentire un tempestivo intervento terapeutico. Questo elaborato di tesi ha avuto come obiettivo principale la ricerca della prevalenza dell’OSAS nella popolazione generale e nella popolazione lavorativa a rischio di incidentalità e di infortuni. Lo studio nasce nel 2018 dalla sinergia tra Sapienza Università di Roma e l’Istituto Nazionale per gli Infortuni e Assicurazioni sul Lavoro (INAIL) nell’ambito del progetto BRIC dal titolo: “SLeeP@SA: salute sul lavoro e prevenzione delle obstructive sleep apnea: un’epidemia silenziosa”. Nel primo capitolo sono descritte tutte le generalità riguardo la patologia OSAS quali l’epidemiologia, fisiopatologia, i fattori di rischio, diagnosi e trattamento. Nel secondo capitolo l’argomento trattato è la nascita e lo svolgimento del progetto articolato nelle sue diverse fasi ovvero gli obiettivi, la strutturazione dell’attività di ricerca di natura multicentrica, la formulazione del questionario, l’elaborazione del database atto alla raccolta dei dati, le metodologie della raccolta dei dati partendo dalla fase di pretest e la fase di raccolta vera e propria. Il terzo capitolo è dedicato ai fattori odontoiatrici con il ruolo dell’odontoiatra come sentinella epidemiologica. Nel quarto capitolo è descritta l’analisi dei dati basata sulla terza sezione del questionario relativa agli aspetti odontoiatrici, antropometrici e otorinolaringoiatrici correlati alla gravità dell’OSAS.
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