Dissertations / Theses on the topic 'Studio multicentrico'

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Borghi, Claudia <1980&gt. "Ruolo dell'elettrocardiogramma standard nella stratificazione prognostica della cardiomiopatia ipertrofica. Studio multicentrico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5384/1/borghi_claudia_tesi.pdf.

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Abstract:
Lo scopo di questo studio è di valutare il significato prognostico dell'elettrocardiogramma standard in un'ampia casistica di pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica. In questo studio multicentrico sono stati considerati 841 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (66% uomini, età media 48±17 anni) per un follow-up di 7.1±7.1 anni, per ognuno è stato analizzato il primo elettrocardiogramma disponibile. I risultati hanno dimostrato come fattori indipendentemente correlati a morte cardiaca improvvisa la sincope inspiegata (p 0.004), il sopraslivellamento del tratto ST e/o la presenza di onde T positive giganti (p 0.048), la durata del QRS >= 120 ms (p 0.017). Sono stati costruiti due modelli per predire il rischio di morte improvvisa: il primo basato sui fattori di rischio universalmente riconosciuti (spessore parietale >= 30 mm, tachicardie ventricolari non sostenute all'ECG Holter 24 ore, sincope e storia familiare di morte improvvisa) e il secondo con l'aggiunta delle variabili sopraslivellamento del tratto ST/onde T positive giganti e durata del QRS >= 120 ms. Entrambi i modelli stratificano i pazienti in base al numero dei fattori di rischio, ma il secondo modello risulta avere un valore predittivo maggiore (chi-square da 12 a 22, p 0.002). In conclusione nella cardiomiopatia ipertrofica l'elettrocardiogramma standard risulta avere un valore prognostico e migliora l'attuale modello di stratificazione per il rischio di morte improvvisa.
The purpose of this study was to investigate the prognostic significance of standard electrocardiogram (ECG) in a large cohort of patients with hypertrophic cardiomyopathy (HCM). In this multicenter study 841 HCM patients (66% men, mean age 48±17 yrs) were followed for 7.1±7.1 years and the first collected ECG was considered for the analysis. The results showed that independent predictors of sudden cardiac death were unexplained syncope (p 0.004), ST segment elevation and/or giant positive T waves (p 0.048), QRS duration >= 120 ms (p 0.017). Two models has been contructed to predict the risk of sudden death: the first based on the already well known established risk factors (wall thickness >= 30 mm, non-sustained ventricular tachycardia on ECG Holter monitoring, syncope and family history of sudden death) and the second with the addition of ST segment elevation/giant positive T waves and QRS duration >= 120 ms. Whereas both models stratified patients according to the number of risk factors, the second model showed a higher predictive power (chi-square from 12 to 22, p 0.002). In conclusion in HCM standard ECG has a prognostic value and improves the current risk stratification model.
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Borghi, Claudia <1980&gt. "Ruolo dell'elettrocardiogramma standard nella stratificazione prognostica della cardiomiopatia ipertrofica. Studio multicentrico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5384/.

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Abstract:
Lo scopo di questo studio è di valutare il significato prognostico dell'elettrocardiogramma standard in un'ampia casistica di pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica. In questo studio multicentrico sono stati considerati 841 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (66% uomini, età media 48±17 anni) per un follow-up di 7.1±7.1 anni, per ognuno è stato analizzato il primo elettrocardiogramma disponibile. I risultati hanno dimostrato come fattori indipendentemente correlati a morte cardiaca improvvisa la sincope inspiegata (p 0.004), il sopraslivellamento del tratto ST e/o la presenza di onde T positive giganti (p 0.048), la durata del QRS >= 120 ms (p 0.017). Sono stati costruiti due modelli per predire il rischio di morte improvvisa: il primo basato sui fattori di rischio universalmente riconosciuti (spessore parietale >= 30 mm, tachicardie ventricolari non sostenute all'ECG Holter 24 ore, sincope e storia familiare di morte improvvisa) e il secondo con l'aggiunta delle variabili sopraslivellamento del tratto ST/onde T positive giganti e durata del QRS >= 120 ms. Entrambi i modelli stratificano i pazienti in base al numero dei fattori di rischio, ma il secondo modello risulta avere un valore predittivo maggiore (chi-square da 12 a 22, p 0.002). In conclusione nella cardiomiopatia ipertrofica l'elettrocardiogramma standard risulta avere un valore prognostico e migliora l'attuale modello di stratificazione per il rischio di morte improvvisa.
The purpose of this study was to investigate the prognostic significance of standard electrocardiogram (ECG) in a large cohort of patients with hypertrophic cardiomyopathy (HCM). In this multicenter study 841 HCM patients (66% men, mean age 48±17 yrs) were followed for 7.1±7.1 years and the first collected ECG was considered for the analysis. The results showed that independent predictors of sudden cardiac death were unexplained syncope (p 0.004), ST segment elevation and/or giant positive T waves (p 0.048), QRS duration >= 120 ms (p 0.017). Two models has been contructed to predict the risk of sudden death: the first based on the already well known established risk factors (wall thickness >= 30 mm, non-sustained ventricular tachycardia on ECG Holter monitoring, syncope and family history of sudden death) and the second with the addition of ST segment elevation/giant positive T waves and QRS duration >= 120 ms. Whereas both models stratified patients according to the number of risk factors, the second model showed a higher predictive power (chi-square from 12 to 22, p 0.002). In conclusion in HCM standard ECG has a prognostic value and improves the current risk stratification model.
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ALLONI, MARTA. "Studio multicentrico di valutazione multiparametrica cardiovascolare ultrasonografica nella predizione della coronaropatia." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/45258.

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Abstract:
Ad oggi la malattia cardiovascolare aterosclerotica rimane la principale causa di morbidità e mortalità (58% di morte per tutte le cause, di cui il 75% per coronaropatia e il 25% per ictus e ischemia cerebrale), e sarà la principale causa di mortalità nel 2015 secondo un rapporto della WHO. Il problema principale è legato al lungo tempo che intercorre tra l’inizio dello sviluppo di aterosclerosi nel giovane adulto e la sua manifestazione alcune decadi dopo. E’ di primaria importanza quindi poter identificare i soggetti a rischio di eventi cardiovascolari con progetti di prevenzione primaria in ogni paese, come raccomandato da diverse linee guida, comprese quelle della Società Europea di Cardiologia per la prevenzione del rischio cardiovascolare nella pratica clinica. Sono stati proposti diversi modi per stratificare il rischio cardiovascolare: fra i più importanti è stato sviluppato il Framngham risk score, che calcola la probabilità di mortalità coronarica a 10 anni a seconda della presenza dei seguenti fattori di rischio: età, presenza di diabete, fumo, pressione arteriosa, colesterolemia totale e LDL. Esistono dunque vari modi di stratificare il rischio in un soggetto asintomatico, tra carte del rischio (Framingham Risk score, SCORE, Progetto Cuore in Italia) e diversi indici bioumorali (ad esempio PCR e fibrinogeno) e strumentali: questi si adattano bene come predittori sulla popolazione generale, ma nessuno è utile nello stimare il rischio reale del singolo paziente per eventi cardiovascolari. Infatti, il rischio soggettivo è dato anche dal rischio complessivo della popolazione in cui il soggetto vive. Anche l’identificazione precoce del danno d’organo subclinico, come indicato dalle linee guida ESH/ESC, è uno degli obiettivi più importanti di prevenzione e trattamento del rischio cardiovascolare.Infatti la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, ispessimento medio-intimale carotideo, microalbuminuria, aumentata stiffness arteriosa aumentano il rischio cardiovascolare, indipendentemente dalla pressione arteriosa, in presenza o assenza di trattamento. Quindi parità di valori pressori, pazienti che presentano danno d’organo hanno un maggior rischio cardiovascolare e necessitano di una terapia più aggressiva e precoce. L’uso dell’ultrasonografia si adatta bene come screening del rischio cardiovascolare di popolazioni non selezionate, perché a basso costo rispetto a metodiche a maggior impatto rischio /beneficio,a maggior costo e a maggior esposizione di radiazioni come la TAC e la RMN cardiaca, inoltre è una metodica non invasiva. Infatti per eseguire uno screening bisogna che gli strumenti utilizzati siano validati, precisi, facili da utilizzare e soprattutto non invasivi. Inoltre è necessario che vi sia personale esperto, a basso costo per il sistema sanitario nazionale, la metodica non dovrebbe avere effetti biologici negativi ed essere giustificata dai risultati. L’ecografia può permettere di studiare i parametri che per primi si modificano nel processo aterosclerotico come la rigidità arteriosa e lo spessore mio intimale carotideo, i parametri di funzione longitudinale ventricolare sinistra (strain e strain rate), la velocità basale di flusso della coronaria interventricolare anteriore ed infine l’accumulo di calcio a livello delle strutture cardiache (valvole, muscoli papillari, radice aortica).
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Zanardi, Francesca <1979&gt. "Studio caso-controllo multicentrico su distacco di retina e movimentazione manuale di carichi." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5728/1/zanardi_francesca_tesi.pdf.

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Abstract:
Obiettivo Valutare l’ipotesi secondo cui la movimentazione manuale di carichi possa essere un fattore di rischio per il di distacco di retina. Metodi Si è condotto uno studio caso-controllo ospedaliero multicentrico, a Bologna, (reparto di Oculistica del policlinico S. Orsola Malpighi, Prof. Campos), e a Brescia (reparto di oculistica “Spedali Civili” Prof. Semeraro). I casi sono 104 pazienti operati per distacco di retina. I controlli sono 173 pazienti reclutati tra l’utenza degli ambulatori del medesimo reparto di provenienza dei casi. Sia i casi che i controlli (all’oscuro dall’ipotesi in studio) sono stati sottoposti ad un’intervista, attraverso un questionario strutturato concernente caratteristiche individuali, patologie pregresse e fattori di rischio professionali (e non) relativi al distacco di retina. I dati relativi alla movimentazione manuale di carichi sono stati utilizzati per creare un “indice di sollevamento cumulativo―ICS” (peso del carico sollevato x numero di sollevamenti/ora x numero di anni di sollevamento). Sono stati calcolati mediante un modello di regressione logistica unconditional (aggiustato per età e sesso) gli Odds Ratio (OR) relativi all’associazione tra distacco di retina e vari fattori di rischio, tra cui la movimentazione manuale di carichi. Risultati Oltre alla chirurgia oculare e alla miopia (fattori di rischio noti), si evidenzia un trend positivo tra l’aumento dell’ICS e il rischio di distacco della retina. Il rischio maggiore si osserva per la categoria di sollevamento severo (OR 3.6, IC 95%, 1.5–9.0). Conclusione I risultati, mostrano un maggiore rischio di sviluppare distacco di retina per coloro che svolgono attività lavorative che comportino la movimentazione manuale di carichi e, a conferma di quanto riportato in letteratura, anche per i soggetti miopi e per coloro che sono stati sottoposti ad intervento di cataratta. Si rende quindi evidente l’importanza degli interventi di prevenzione in soggetti addetti alla movimentazione manuale di carichi, in particolare se miopi.
Background/Objectives To investigate the hypothesis that repeated lifting tasks could be a risk factor for retinal detachment. Methods Case-control study (case definition: surgically treated retinal detachment. Cases were identified among patients operated for retinal detachment in two large urban hospital in Bologna and Brescia. Controls were drawn from outpatients attending an eye clinic in the same catchment area. 104 cases and 173 controls (blind to the study hypothesis) responded to a structured questionnaire regarding individual, pathological and work-related factors possibly related to retinal detachment, including past/present occupational lifting tasks. Three lifting categories were defined based on the median “cumulative lifting index” (product of load, manoeuvres/hour and lifting-years) among manual workers: no lifting (reference category); light lifting; heavy lifting. Odds ratios for retinal detachment associated with “heavy”, “moderate” or “light” occupational lifting in an unconditional logistic regression model (adjusted for age and sex) were obtained. Results In addition to ocular surgery and myopia (known risk factors), an independent associations were recorded for heavy lifting (odds ratio 3.6, 95% confidence interval, 1.5 to 9.0). Likelihood ratio tests did not reveal interactions between heavy lifting, ocular/cataract surgery and myopia. Conclusions The results support the plausible hypothesis that heavy occupational lifting (involving Valsalva’s manoeuvre) may be a relevant risk factor for retinal detachment. Moreover these preliminary results confirmed, as reported in literature, an increased risk of retinal detachment for myopic subjects and for those who have undergone cataract surgery. Our observations emphasize the importance of prevention especially in subjects involved in the manual handling of loads, particularly if short-sighted.
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Zanardi, Francesca <1979&gt. "Studio caso-controllo multicentrico su distacco di retina e movimentazione manuale di carichi." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5728/.

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Abstract:
Obiettivo Valutare l’ipotesi secondo cui la movimentazione manuale di carichi possa essere un fattore di rischio per il di distacco di retina. Metodi Si è condotto uno studio caso-controllo ospedaliero multicentrico, a Bologna, (reparto di Oculistica del policlinico S. Orsola Malpighi, Prof. Campos), e a Brescia (reparto di oculistica “Spedali Civili” Prof. Semeraro). I casi sono 104 pazienti operati per distacco di retina. I controlli sono 173 pazienti reclutati tra l’utenza degli ambulatori del medesimo reparto di provenienza dei casi. Sia i casi che i controlli (all’oscuro dall’ipotesi in studio) sono stati sottoposti ad un’intervista, attraverso un questionario strutturato concernente caratteristiche individuali, patologie pregresse e fattori di rischio professionali (e non) relativi al distacco di retina. I dati relativi alla movimentazione manuale di carichi sono stati utilizzati per creare un “indice di sollevamento cumulativo―ICS” (peso del carico sollevato x numero di sollevamenti/ora x numero di anni di sollevamento). Sono stati calcolati mediante un modello di regressione logistica unconditional (aggiustato per età e sesso) gli Odds Ratio (OR) relativi all’associazione tra distacco di retina e vari fattori di rischio, tra cui la movimentazione manuale di carichi. Risultati Oltre alla chirurgia oculare e alla miopia (fattori di rischio noti), si evidenzia un trend positivo tra l’aumento dell’ICS e il rischio di distacco della retina. Il rischio maggiore si osserva per la categoria di sollevamento severo (OR 3.6, IC 95%, 1.5–9.0). Conclusione I risultati, mostrano un maggiore rischio di sviluppare distacco di retina per coloro che svolgono attività lavorative che comportino la movimentazione manuale di carichi e, a conferma di quanto riportato in letteratura, anche per i soggetti miopi e per coloro che sono stati sottoposti ad intervento di cataratta. Si rende quindi evidente l’importanza degli interventi di prevenzione in soggetti addetti alla movimentazione manuale di carichi, in particolare se miopi.
Background/Objectives To investigate the hypothesis that repeated lifting tasks could be a risk factor for retinal detachment. Methods Case-control study (case definition: surgically treated retinal detachment. Cases were identified among patients operated for retinal detachment in two large urban hospital in Bologna and Brescia. Controls were drawn from outpatients attending an eye clinic in the same catchment area. 104 cases and 173 controls (blind to the study hypothesis) responded to a structured questionnaire regarding individual, pathological and work-related factors possibly related to retinal detachment, including past/present occupational lifting tasks. Three lifting categories were defined based on the median “cumulative lifting index” (product of load, manoeuvres/hour and lifting-years) among manual workers: no lifting (reference category); light lifting; heavy lifting. Odds ratios for retinal detachment associated with “heavy”, “moderate” or “light” occupational lifting in an unconditional logistic regression model (adjusted for age and sex) were obtained. Results In addition to ocular surgery and myopia (known risk factors), an independent associations were recorded for heavy lifting (odds ratio 3.6, 95% confidence interval, 1.5 to 9.0). Likelihood ratio tests did not reveal interactions between heavy lifting, ocular/cataract surgery and myopia. Conclusions The results support the plausible hypothesis that heavy occupational lifting (involving Valsalva’s manoeuvre) may be a relevant risk factor for retinal detachment. Moreover these preliminary results confirmed, as reported in literature, an increased risk of retinal detachment for myopic subjects and for those who have undergone cataract surgery. Our observations emphasize the importance of prevention especially in subjects involved in the manual handling of loads, particularly if short-sighted.
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Tiani, Carolina <1981&gt. "Dati preliminari dello studio multicentrico caso-controllo "Grave danno epatico acuto indotto da farmaci"." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6387/1/tiani_carolina_tesi__.pdf.

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Abstract:
Il danno epatico indotto dall'assunzione di farmaci viene comunemente indicato con il termine inglese DILI (Drug-Induced Liver Injury). Il paracetamolo rappresenta la causa più comune di DILI, seguito da antibiotici, FANS e farmaci antitubercolari. In particolare, i FANS sono una delle classi di farmaci maggiormente impiegate in terapia. Numerosi case report descrivono pazienti che hanno sviluppato danno epatico fatale durante il trattamento con FANS; molti di questi farmaci sono stati ritirati dal commercio in seguito a gravi reazioni avverse a carico del fegato. L'ultimo segnale di epatotossicità indotto da FANS è associato alla nimesulide; in alcuni paesi europei come la Finlandia, la Spagna e l'Irlanda, la nimesulide è stata sospesa dalla commercializzazione perché associata ad un'alta frequenza di epatotossicità. Sulla base dei dati disponibili fino a questo momento, l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha recentemente concluso che i benefici del farmaco superano i rischi; un possibile aumento del rischio di epatotossicità associato a nimesulide rimane tuttavia una discussione aperta di cui ancora molto si dibatte. Tra le altre classi di farmaci che possono causare danno epatico acuto la cui incidenza tuttavia non è sempre ben definita sono gli antibiotici, quali amoxicillina e macrolidi, le statine e gli antidepressivi.Obiettivo dello studio è stato quello di determinare il rischio relativo di danno epatico indotto da farmaci con una prevalenza d'uso nella popolazione italiana maggiore o uguale al 6%. E’ stato disegnato uno studio caso controllo sviluppato intervistando pazienti ricoverati in reparti di diversi ospedali d’Italia. Il nostro studio ha messo in evidenza che il danno epatico da farmaci riguarda numerose classi farmacologiche e che la segnalazione di tali reazioni risulta essere statisticamente significativa per numerosi principi attivi. I dati preliminari hanno mostrato un valore di odds ratio significativo statisticamente per la nimesulide, i FANS, alcuni antibiotici come i macrolidi e il paracetamolo.
Drug-induced liver injury (DILI) is a term that describes abnormalities in liver function tests related to medication intake. Acetaminophen is the most common cause of DILI followed by antibiotics, NSAIDs, and antitubercular medications. NSAIDs represent one of the most widely used classes of drugs. Numerous case reports have described patients who develop fatal liver injury while taking NSAIDs. Several NSAIDs were withdrawn from the market because of hepatic ADRs. The latest warning signal for hepatotoxicity induced by a NSAID is related to nimesulide. In some European countries, Finland, Spain, and Ireland, nimesulide was suspended from the market because of an associated high frequency of hepatotoxicity. In contrast, a recent referral of the EMEA concluded that the benefits of the drug outweigh its risks. However, the full extent of the risk of nimesulide-induced liver injury is still a much debated issue within the EMEA. Primary objectives was to estimate the relative risk of liver injury induced by drugs with a prevalence of use in the Italian population > or = 6% This study is designed as a multicenter case–control study where cases and controls will all be recruited among patients seen in a hospital context in various parts of Italy. Information regarding demographic data, medical history, coexisting illnesses, lifestyles and dietary habits, alcohol, tobacco and coffee intake, use of herbal products, and drug use (including doses taken and indication for use on each day of exposure) will be collected directly from all patients through a structured interview. Preliminary results of this study confirm a significant relative risk (Odds Ratio) of liver injury associated with the use of nimesulide, NSAIDs, some antibiotics like macrolides and paracetamol. The results of this study could strongly affect regulatory decisions within the National Health Service.
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Tiani, Carolina <1981&gt. "Dati preliminari dello studio multicentrico caso-controllo "Grave danno epatico acuto indotto da farmaci"." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6387/.

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Abstract:
Il danno epatico indotto dall'assunzione di farmaci viene comunemente indicato con il termine inglese DILI (Drug-Induced Liver Injury). Il paracetamolo rappresenta la causa più comune di DILI, seguito da antibiotici, FANS e farmaci antitubercolari. In particolare, i FANS sono una delle classi di farmaci maggiormente impiegate in terapia. Numerosi case report descrivono pazienti che hanno sviluppato danno epatico fatale durante il trattamento con FANS; molti di questi farmaci sono stati ritirati dal commercio in seguito a gravi reazioni avverse a carico del fegato. L'ultimo segnale di epatotossicità indotto da FANS è associato alla nimesulide; in alcuni paesi europei come la Finlandia, la Spagna e l'Irlanda, la nimesulide è stata sospesa dalla commercializzazione perché associata ad un'alta frequenza di epatotossicità. Sulla base dei dati disponibili fino a questo momento, l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha recentemente concluso che i benefici del farmaco superano i rischi; un possibile aumento del rischio di epatotossicità associato a nimesulide rimane tuttavia una discussione aperta di cui ancora molto si dibatte. Tra le altre classi di farmaci che possono causare danno epatico acuto la cui incidenza tuttavia non è sempre ben definita sono gli antibiotici, quali amoxicillina e macrolidi, le statine e gli antidepressivi.Obiettivo dello studio è stato quello di determinare il rischio relativo di danno epatico indotto da farmaci con una prevalenza d'uso nella popolazione italiana maggiore o uguale al 6%. E’ stato disegnato uno studio caso controllo sviluppato intervistando pazienti ricoverati in reparti di diversi ospedali d’Italia. Il nostro studio ha messo in evidenza che il danno epatico da farmaci riguarda numerose classi farmacologiche e che la segnalazione di tali reazioni risulta essere statisticamente significativa per numerosi principi attivi. I dati preliminari hanno mostrato un valore di odds ratio significativo statisticamente per la nimesulide, i FANS, alcuni antibiotici come i macrolidi e il paracetamolo.
Drug-induced liver injury (DILI) is a term that describes abnormalities in liver function tests related to medication intake. Acetaminophen is the most common cause of DILI followed by antibiotics, NSAIDs, and antitubercular medications. NSAIDs represent one of the most widely used classes of drugs. Numerous case reports have described patients who develop fatal liver injury while taking NSAIDs. Several NSAIDs were withdrawn from the market because of hepatic ADRs. The latest warning signal for hepatotoxicity induced by a NSAID is related to nimesulide. In some European countries, Finland, Spain, and Ireland, nimesulide was suspended from the market because of an associated high frequency of hepatotoxicity. In contrast, a recent referral of the EMEA concluded that the benefits of the drug outweigh its risks. However, the full extent of the risk of nimesulide-induced liver injury is still a much debated issue within the EMEA. Primary objectives was to estimate the relative risk of liver injury induced by drugs with a prevalence of use in the Italian population > or = 6% This study is designed as a multicenter case–control study where cases and controls will all be recruited among patients seen in a hospital context in various parts of Italy. Information regarding demographic data, medical history, coexisting illnesses, lifestyles and dietary habits, alcohol, tobacco and coffee intake, use of herbal products, and drug use (including doses taken and indication for use on each day of exposure) will be collected directly from all patients through a structured interview. Preliminary results of this study confirm a significant relative risk (Odds Ratio) of liver injury associated with the use of nimesulide, NSAIDs, some antibiotics like macrolides and paracetamol. The results of this study could strongly affect regulatory decisions within the National Health Service.
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Balducci, Anna <1978&gt. "Effetto dell’allenamento fisico sulla capacità cardiopolmonare in pazienti adulti con ventricolo destro sistemico: studio europeo multicentrico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3868/1/Balducci_Anna_tesi.pdf.

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Balducci, Anna <1978&gt. "Effetto dell’allenamento fisico sulla capacità cardiopolmonare in pazienti adulti con ventricolo destro sistemico: studio europeo multicentrico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3868/.

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Salsi, Ginevra <1986&gt. "Ruolo della risonanza magnetica prenatale in feti con ventricolomegalia isolata nell'era della neurosonografia: uno studio multicentrico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amsdottorato.unibo.it/9618/1/Tesi%20dottorato%20Ginevra%2020_10%20con%20abstract%20e%20frontespizio%20giusto.pdf.

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Abstract:
Obiettivi: Analizzare, in feti con riscontro all’ecografia prenatale di ventricolomegalia isolata, il ruolo della risonanza magnetica fetale (RM) nell’identificazione di ulteriori anomalie cerebrali associate. Determinare se l’incidenza di tali anomalie associate sia correlata al grado ed alla lateralità della ventricolomegalia; stimare l’incidenza di anomalie associate diagnosticabili solo dopo la nascita e non identificate dalle metodiche di diagnostica prenatale (RM ed ecografia). Metodi: Studio multicentrico, retrospettivo, di coorte, in 15 centri in Italia, Regno Unito e Spagna. su gravide sottoposte a RM dopo riscontro alla neurosonografia multiplanare di ventricolomegalia isolata, fra gennaio 2010 e marzo 2019. Scopo principale: stabilire la prevalenza di anomalie del sistema nervoso centrale (SNC) individuabili esclusivamente tramite RM. Scopo secondario: stimare l’incidenza di anomalie aggiuntive identificate esclusivamente alla nascita. Risultati: sono stati inclusi 556 feti con diagnosi ecografica di ventricolomegalia isolata. Epoca gestazionale media al momento della RM: 26.7±4.4 settimane. Dei feti inclusi nello studio, il 36.5% (95% CI 32.6-40.4; 203/556) era affetto da VM bilaterale, il 63.5% (95% CI 59.4-67.4; 353/556) monolaterale. La VM è apparsa lieve (10-12 mm) nell’80.0% dei casi (95% CI 76.5-83.2; 445/556) e moderata (13-15 mm) nel 20.0% (95% CI 16.9- 23.5; 111/556). I risultati della regressione logistica hanno evidenziato che BMI materno (OR: 0.85, 95% CI 0.7- 0.99, p= 0.030), presenza di VM moderata (OR: 5.8, 95% CI 2.6-13.4, p<0.001) ed esecuzione di RM dopo la 24^ settimana (OR: 4.1, 95% CI 1.1-15.3, p= 0.038) correlano in maniera indipendente con l’individuazione di anomalie aggiuntive alla RM. Conclusioni: Fra i feti con ventricolomegalia apparentemente isolata valutati mediante neurosonografia, la percentuale di anomalie associate riscontrate esclusivamente alla risonanza magnetica fetale è risultata più bassa di quanto riportato finora. La maggior parte dei difetti evidenziati tramite RM rientra nelle categorie dei disordini della migrazione neuronale e delle emorragie, particolarmente difficili da diagnosticare all’ecografia.
Objectives: To assess the role of fetal magnetic resonance imaging (MRI) in detecting associated anomalies in fetuses presenting with mild and moderate isolated ventriculomegaly (VM) undergoing multiplanar ultrasound (US) evaluation of fetal brain. Methods: Multicenter, retrospective, cohort study involving 15 referral fetal medicine centers in Italy, United Kingdom, and Spain. Inclusion criteria: fetuses affected by isolated VM on US, undergoing detailed assessment of fetal brain via a multiplanar approach. Primary outcome: to report the rate of additional CNS anomalies detected exclusively at prenatal MRI and missed at US; secondary aim: to estimate the incidence of additional anomalies detected exclusively after birth and missed at prenatal imaging. Results: 556 fetuses with a prenatal diagnosis of isolated fetal VM on US were included. Additional structural anomalies were detected at prenatal MRI and missed at US in 5.4% (95% CI 3.8-7.6) of cases. Fetuses with an associated anomaly detected only at MRI were more likely to have moderate compared to mild VM (60.0% vs 17.7%, p<0.001), while there was no significant difference between the proportion of cases with bilateral VM between the two groups (p=0.2). The results of the logistic regression analysis showed that maternal body mass index (OR: 0.85, 95% CI 0.7-0.99, p= 0.030), presence of moderate VM (OR: 5.8, 95% CI 2.6-13.4, p<0.001) and gestational age at MRI ≥24 weeks of gestation (OR: 4.1, 95% CI 1.1-15.3, p= 0.038) were independently associated with the probability of detecting associated anomalies at MRI. Associated anomalies were detected exclusively at birth and missed at prenatal imaging in 3.8% of cases. Conclusions: The rate of associated fetal anomalies missed at US and detected only at fetal MRI in fetuses with isolated mild and moderate VM undergoing neurosonography is lower than that previously reported. The large majority of these anomalies are difficult to detect on ultrasound
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FUMAGALLI, SIMONA. "STUDIO OSSERVAZIONALE MULTICENTRICO SUL RICORSO ALLE PROCEDURE DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO E/O DI DIAGNOSI PRENATALE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2012. http://hdl.handle.net/2434/202944.

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Abstract:
Multicenter observational study using the procedures for risk assessment and / or prenatal diagnosis BACKGROUND The increased use of the screening test and prenatal diagnosis is closely correlated with the perception of risk. Often the perception of risk is adjusted according to the choice, some already made, even according to their family history and socio-cultural context. The causal relationship between real and perceived risk is very difficult to determine and many factors of different nature interfere. Often the lack of knowledge and understanding prevail in generating those feelings that lead women to make unconscious choices. OBJECTIVE The aim of the study was to evaluate the factors influencing choice of invasive techniques (CVS, amniocentesis) for prenatal diagnosis (PD) in a population of women, after childbirth, that delivery in S.Gerardo Hospital (Monza) and V.Buzzi Hospital (Milano). METHOD Structured interview in an unselected population of consecutive women (after childbirth) administered by 2 trained interviewers. The interview included social variables and clinical history, type of care during pregnancy, use of screening tests, and VAS (visual analogue scale, range from 1 to 10) of perceived risk of miscarriage due to amniocentesis (using risk of 1/200), and of a child with Down Syndrome (DS) (using a risk of 1/350). Both VAS investigated the perceived risk in term of intensity and acceptability (0 least risk and least acceptable to 10 most risk and more acceptable). Statistical analysis included logistic regression, in which all variables significant at univariate were entered, with p<0.01 or 95% CI not inclusive of unit considered significant. RESULTS 60% of women underwent screening test and 22% underwent invasive procedures. At logistic regression factors affecting the choice of screening test were: to have already had at least one miscarriage (OR=2,72 p=0,0016), to have received a consulance (OR=3,13 p=0,0017), number of visits during pregnance (OR=1,29 p=0,0003), wrong knowledge about test(OR=1,83 p=0,039). At logistic regression factors affecting the choice of invasive PD were: maternal age (OR 11,58 p<.0001),to be married (OR=0,23 p=0,005) to have received a consulance (OR=3,53 p=0,001) ,to be assisted in a public service (p=0,06), considering low the risk of miscarriage after amniocentesis (p=0,08). CONCLUSIONS: The choices regarding screening test and invasive PD are influenced by type of assistance, while social variables are less involved. The counselling should consider factors involved in perceiving risks.
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Conte, Carmina <1975&gt. "Studio multicentrico sulla prevalenza e sulle principali caratteristiche cliniche e biochimiche nei pazienti in dialisi paratiroidectomizzati in italia." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6572/1/Conte_C-dottorato.pdf.

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Abstract:
Lo studio CAVE PTX ha lo scopo di valutare la reale prevalenza della paratiroidectomia nei pazienti dializzati in Italia, verificare l’aderenza ai targets ematochimici proposti dalle linee guida internazionali K/DOQI e ricercare la presenza di fratture vertebrali e calcificazioni vascolari. Al momento attuale riportiamo i dati preliminari sulla prevalenza e le caratteristiche cliniche generali dei pazienti finora arruolati. Il nostro studio ha ricevuto contributi da 149 centri dialisi italiani, su un totale di 670, pari al 22%. La popolazione dialitica dalla quale sono stati ottenuti i casi di paratiroidectomia è risultata pari a 12515 pazienti;l’87,7% dei pazienti effettuava l’emodialisi mentre il 12,3% la dialisi peritoneale. Cinquecentoventotto, pari al 4,22%, avevano effettuato un intervento di paratiroidectomia (4,5%emodializzati, 1,9% in dialisi peritoneale;p<0.001). Abbiamo considerato tre gruppi differenti di PTH: basso (<150 pg/ml), ottimale (150 -300 pg/ml) ed elevato (>300 pg/ml). I valori medi di PTH e calcemia sono risultati significativamente diversi (più alti) tra casi e controlli nei due gruppi con PTH basso (PTX = 40±39 vs controllo = 92±42 pg/ml; p<.0001) e PTH alto (PTX= 630 ± 417 vs controllo 577 ±331; p<.05). La percentuale di pazienti con PTH troppo basso è risultata più elevata nei pazienti chirurgici rispetto al resto della popolazione (64vs23%; p<0.0001), mentre la percentuale dei casi con PTH troppo alto è risultata significativamente più alta nel gruppo di controllo (38%vs19%; p<0.003). Il 61% dei casi assumeva vitamina D rispetto al 64 % dei controlli; l’88% vs 75% un chelante del fosforo ed il 13%vs 35% il calciomimentico. In conclusione, la paratiroidectomia ha una bassa prevalenza in Italia, i pazienti sono più spesso di sesso femminile, in emodialisi e con età relativamente giovane ma da più tempo in dialisi.
CAVE PTX study aims to evaluate, in dialysis patients submitted to PTX, the control and therapies of divalent ions (phase I), and the prevalence of aortic calcifications and vertebral fractures (phase II). We report here the phase I results. Biochemistries and therapies of PTX patients were collected by means of an electronic data sheet from 149 Italian dialysis Units. A control group (C), comparable for age, sex and dialysis duration, was selected from the whole cohort. From a total of 12515 patients (HD = 87.7%;PD = 12.3%), 528(4.22%) had received PTX. Prevalence of PTX was definitely higher in HD(4.5%) compared to PD(1.9%). Respectively in PTX and C, PTH was low(<150) in 64 vs 23%; optimal (150-300) in 17 vs 39%; and high(>300) in 19 vs 38%. Ca, P and PTH values in the three K/DOQI PTH range groups are in table 2. Prescribed drugs, respectively in PTX and C, were: Vitamin D (61 vs 64%); Phosphate binders (88 vs 75%) and Calcimimetic (13 and 35%). Notably, Calcitriol and Ca based binders in PTX, and Paricalcitol and Sevelamer in C, were the most frequently prescribed drugs. PTX has a low prevalence in Italy, and mainly involves relatively young, females and long-term haemodialysis patients. In these patients PTH values are mostly low and therapeutic choices are accordingly different. Different hard outcomes can be hypothesized
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Conte, Carmina <1975&gt. "Studio multicentrico sulla prevalenza e sulle principali caratteristiche cliniche e biochimiche nei pazienti in dialisi paratiroidectomizzati in italia." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6572/.

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Abstract:
Lo studio CAVE PTX ha lo scopo di valutare la reale prevalenza della paratiroidectomia nei pazienti dializzati in Italia, verificare l’aderenza ai targets ematochimici proposti dalle linee guida internazionali K/DOQI e ricercare la presenza di fratture vertebrali e calcificazioni vascolari. Al momento attuale riportiamo i dati preliminari sulla prevalenza e le caratteristiche cliniche generali dei pazienti finora arruolati. Il nostro studio ha ricevuto contributi da 149 centri dialisi italiani, su un totale di 670, pari al 22%. La popolazione dialitica dalla quale sono stati ottenuti i casi di paratiroidectomia è risultata pari a 12515 pazienti;l’87,7% dei pazienti effettuava l’emodialisi mentre il 12,3% la dialisi peritoneale. Cinquecentoventotto, pari al 4,22%, avevano effettuato un intervento di paratiroidectomia (4,5%emodializzati, 1,9% in dialisi peritoneale;p<0.001). Abbiamo considerato tre gruppi differenti di PTH: basso (<150 pg/ml), ottimale (150 -300 pg/ml) ed elevato (>300 pg/ml). I valori medi di PTH e calcemia sono risultati significativamente diversi (più alti) tra casi e controlli nei due gruppi con PTH basso (PTX = 40±39 vs controllo = 92±42 pg/ml; p<.0001) e PTH alto (PTX= 630 ± 417 vs controllo 577 ±331; p<.05). La percentuale di pazienti con PTH troppo basso è risultata più elevata nei pazienti chirurgici rispetto al resto della popolazione (64vs23%; p<0.0001), mentre la percentuale dei casi con PTH troppo alto è risultata significativamente più alta nel gruppo di controllo (38%vs19%; p<0.003). Il 61% dei casi assumeva vitamina D rispetto al 64 % dei controlli; l’88% vs 75% un chelante del fosforo ed il 13%vs 35% il calciomimentico. In conclusione, la paratiroidectomia ha una bassa prevalenza in Italia, i pazienti sono più spesso di sesso femminile, in emodialisi e con età relativamente giovane ma da più tempo in dialisi.
CAVE PTX study aims to evaluate, in dialysis patients submitted to PTX, the control and therapies of divalent ions (phase I), and the prevalence of aortic calcifications and vertebral fractures (phase II). We report here the phase I results. Biochemistries and therapies of PTX patients were collected by means of an electronic data sheet from 149 Italian dialysis Units. A control group (C), comparable for age, sex and dialysis duration, was selected from the whole cohort. From a total of 12515 patients (HD = 87.7%;PD = 12.3%), 528(4.22%) had received PTX. Prevalence of PTX was definitely higher in HD(4.5%) compared to PD(1.9%). Respectively in PTX and C, PTH was low(<150) in 64 vs 23%; optimal (150-300) in 17 vs 39%; and high(>300) in 19 vs 38%. Ca, P and PTH values in the three K/DOQI PTH range groups are in table 2. Prescribed drugs, respectively in PTX and C, were: Vitamin D (61 vs 64%); Phosphate binders (88 vs 75%) and Calcimimetic (13 and 35%). Notably, Calcitriol and Ca based binders in PTX, and Paricalcitol and Sevelamer in C, were the most frequently prescribed drugs. PTX has a low prevalence in Italy, and mainly involves relatively young, females and long-term haemodialysis patients. In these patients PTH values are mostly low and therapeutic choices are accordingly different. Different hard outcomes can be hypothesized
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DASSO, NICOLETTA. "L’esperienza di ricovero dei caregivers familiari in ambito pediatrico e le relazioni con l’assistenza infermieristica: uno studio osservazionale multicentrico." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2021. http://hdl.handle.net/11567/1046204.

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Abstract:
ABSTRACT Background: la soddisfazione dell’utenza in merito all’assistenza ricevuta in ambito sanitario è un aspetto che negli anni ha assunto sempre maggiore rilevanza, non solo in ambito infermieristico, in quanto viene annoverato tra i nursing sensitive outcomes, ma anche a livello economico e politico. In ambito pediatrico, la filosofia maggiormente abbracciata nel mondo occidentale è la Family Centered Care, che prevede la centralità del bambino e del suo nucleo familiare nell’intero processo di cura. Pochi sono gli studi che hanno valutato le relazioni tra l’esperienza dei caregivers familiari in merito all’assistenza ricevuta e gli aspetti più organizzativi dell’assistenza infermieristica. Obiettivi: Esaminare l’esperienza dei caregivers familiari relativamente al ricovero ospedaliero che hanno vissuto con il loro bambino e valutare le relazioni con l’assistenza infermieristica ricevuta e il setting di cura. Metodi: Studio osservazionale trasversale, con raccolta dati a tre livelli (amministrativo, infermiere e caregivers) tramite campionamento di convenienza. La partecipazione è sempre stata preceduta da accettazione alla partecipazione allo studio in seguito alla lettura del consenso informato. per queste analisi è stato estrapolato un sotto-campione paragonabile con gli studi presenti in letteratura. Nella raccolta dati a livello caregivers sono state coinvolte 9 Aziende ospedaliere affiliate all’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani situate in diverse regioni italiane. I dati sono stati raccolti attraverso una web survey, a livello infermiere, e attraverso il Child HCAHPS, appositamente adattato e validato per il contesto italiano (S-CVI 0.91; ICC 0.90; Alpha di Cronbach 0.90). I dati sono stati analizzati a livello di unità operativa attraverso analisi di statistica descrittiva, per descrivere il campione e le variabili oggetto di indagine con indici di tendenza centrale, frequenze e percentuali; in seguito è stato costruito un modello di regressione lineare per studiare le relazioni tra gli esiti estrapolati dai dati della survey caregivers e le variabili infermieristiche (workload) e di setting (ospedale pediatrico VS ospedale generale). Per quanto riguarda i dati relativi alla survey caregiver è stato applicato l’approccio Top Box come indicato dalla letteratura, è stata quindi calcolata la percentuale di risposte date alle singole domande tenendo in considerazione la scelta qualitativamente migliore (es. “Si, assolutamente”, “sempre, o “voto 9-10”) Tutte le analisi sono state condotte tramite il software statistico IBM SPSS, versione 22. Risultati: Sono state coinvolte 96 unità operative, 1472 infermieri e 635 caregivers. Gli ambiti in cui sono stati raggiunti valori percentuali più alti sono stati quelli relativi al dolore e alla comunicazione con medici e infermieri. I valori più bassi, invece, erano relativi alla sicurezza, alla preparazione alla dimissione e il comfort. Complessivamente le risposte date dai caregivers riferite agli ospedali pediatrici erano migliori rispetto a quelle riferite agli ospedali generici. Dal modello di regressione lineare è emerso che all’aumentare di un punto nel punteggio di workload diminuisce di 2.12 punti l’overall rating dell’ospedale; aggiungendo al modello la tipologia di ospedale è risultato che l’essere in un ospedale pediatrico aumenta di 0.28 punti l’overall rating dell’ospedale. Conclusioni: questo è il primo studio condotto in Europa che indaga l’esperienza dei caregiver in ambito pediatrico attraverso lo strumento gold standard per la valutazione della Family Centered Care, ed è anche il primo a mettere in relazione questi esiti con le caratteristiche dell’organico infermieristico. Questi dati confermano ancora una volta come l’assistenza infermieristica possa influenzare l’esperienza di ricovero impattando sulla qualità e le cure erogate. Inoltre, questi dati possono essere molto utili nell’individuare interventi migliorativi per rendere l’assistenza infermieristica pediatrica sempre più centrata sulla famiglia ed efficace.
ENGLISH ABSTRACT Background: patients’ satisfaction for nursing care in the healthcare is an aspect that has become increasingly important over the years, not only for the nursing -as it is counted among nursing sensitive outcomes- but also at in economic and political issues. In Pediatrics, the philosophy most embraced in the Western world is Family Centered Care, which envisages the centrality of the child and his or her family unit in the entire care process. Few studies have evaluated the relationships between the experience of family caregivers regarding the care received and the organizational aspects of nursing care. Objectives: To examine the experience of family caregivers in relation to the hospitalization they have lived with their child and evaluate the relationship with the nursing care received and the care setting Methods: Cross-sectional study; multi-level data (administrative, nurses and caregivers) through convenience sampling. Participation has always been preceded by acceptance to participate in the study following the reading of the informed consent. For these analyses a sub-sample comparable with the studies in the literature was extrapolated. Nine hospitals affiliated with the Italian Pediatric Hospitals Association, located in different Italian regions, were involved in the data collection at the caregivers level. The data were collected through a web survey, at the nurse level, and through the Child HCAHPS, specially adapted and validated for the Italian context (S-CVI 0.91; ICC 0.90; Cronbach's Alpha 0.90). The data were analysed at the unit level through descriptive statistical analysis, to describe the sample and the variables of interest with central trend indices, frequencies and percentages; then, a linear regression model has been built to study the relationships between caregivers’ outcomes and the nursing (workload) and setting (pediatric hospital vs general hospital) variables. Data from to the caregivers’ survey, the Top Box approach was applied as indicated in the literature: each item was recoded as an indicator variable of whether respondents selected the most positive response option (eg "Yes, absolutely", “Always, or “rate 9-10”). All analyses were conducted using IBM SPSS statistical software, version 22. Results: Ninety-six units, 1472 nurses and 635 caregivers were involved in the study. The areas in which the highest percentage values ​​were achieved were those relating to pain and communication with doctors and nurses. The lowest values, on were related to safety, preparation for discharge and comfort. Overall, the responses given by caregivers in pediatric hospitals were better than those reported by caregivers in general hospitals. The linear regression model showed that increasing the workload score by one point decreases the hospital's overall rating by 2.12 points; adding the type of hospital to the model, it was found that being in a pediatric hospital increases the hospital's overall rating by 0.28 points. Conclusions: this is the first study conducted in Europe that investigates the experience of caregivers in the Pediatrics through the gold standard tool for evaluating Family Centered Care, and is also the first to relate these outcomes with the characteristics of the nursing staff. These data confirm once again how nursing care can influence the hospitalization experience by impacting on the quality and care provided. In addition, these data can be very useful in identifying improvements to make pediatric nursing care increasingly family-centered and effective.
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Salvan, Elisa. "L'efficacia del trattamento in rapporto al rischio nella sindrome da antifosfolipidi in corso di gravidanza. Studio retrospettivo multicentrico europeo." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3422649.

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Abstract:
Background. The optimal treatment for obstetric Antiphospholipid Syndrome (APS) has yet to be established. Therapy based on Low Dose Aspirin (LDA) alone or in combination with heparin is considered conventional treatment for the disorder, although approximately 20% of pregnancies thus treated have nevertheless negative outcomes. Additional risk factors for pregnancy loss were recently identified during a multicentre study conducted by us on APS pregnant women treated with conventional treatment. Objectives. To compare pregnancy outcomes in APS patients following different treatment strategies and to define risk profiles depending on additional risk factors in order to utilize risk stratification methods to identify subsets of patients who would most likely benefit from one strategy or another. Materials and Methods. An European, multicentre, retrospective, follow-up study was conducted. Basal and pregnancy data were collected from pregnant APS patients, diagnosed on the basis of the Sidney Criteria. The recruitment criteria for our study were at least one of the following additional risk factors for pregnancy loss: Systemic lupus erythematosus, triple positivity for antiphospolipid antibodies (aPL), previous thrombosis. Patients being treated with the following therapies were considered: LDA, prophylactic dose heparin ± LDA, therapeutic dose heparin ± LDA, second-line treatment protocols (plasmapheresis/immunoabsorption and/or intravenous immunoglobulins). Anticardiolipin and anti-beta2glycoprotein I antibodies of IgG and IgM isotypes were determined by an ELISA method utilizing different home-made or commercial procedures. Lupus Anticoagulants were assessed by a series of coagulation tests using platelet-poor plasma samples and following internationally accepted guidelines. Univariate and logistic regression analyses were carried out. Results. Two hundred two pregnancies in 158 APS patients were assessed. The women’s mean age when the pregnancy began was 32.5 years ± 4.6 SD (range 20-44) and the mean disease duration was 5.2 years ± 4.5 SD (range: 0-22). Pregnancy outcome was positive in 149 cases (73.8%), which produced 150 (there was a twin delivery) viable infants (78 males = 52% and 72 females = 48%), born at 36.2 ± 3 SD mean gestational weeks. The infants’ mean Apgar score at 5 minutes was 9.1 ± 1.3 SD and their percentile weight was 55.8 ± 24.9 SD. There were 53 (26.2%) pregnancy losses. When pregnancy outcome was assessed without taking additional risk factors into consideration, there were no significant differences in the live birth rate in the women treated with different therapies. Pregnancy outcome was then assessed in relation to the risk profiles defined on the basis of the three additional risk factors considered. The only risk profile which led to significant differences in outcomes depending on the treatment utilized was the “triple positivity aPL and previous thrombosis” subset: the live birth rate in that subset was 92.9% in the patients treated with second line therapy compared to 58.3% in those treated with conventional therapy (Fisher test, p-value < 0.05; OR=9.3, CI 95%: 1.3–65.6). Those results were confirmed when a logistic regression analysis adjusted for confounding variables was conducted (OR=9.6; 95% CI: 1.1-84.3). Discussion. This study identified a subset of APS women with “triple aPL positivity + previous thrombosis”, in whom the second line treatment seemed to be more effective than the conventional treatments. It can be concluded that treatment of obstetric APS should be differentiated on the basis of the additional risk factors outlined here. In particular, the best treatment for patients with “triple aPL positivity + previous thrombosis” seems to be second line treatment in addition to the conventional therapy.
Background. Il trattamento ottimale della Sindrome da Antifosfolipidi (APS) ostetrica è attualmente sconosciuto. La terapia con aspirina a basso dosaggio (LDA) da sola o associata all’eparina rappresenta il trattamento convenzionale per l’APS ostetrica. Nonostante questo trattamento, circa il 20% delle gravidanze hanno esito sfavorevole. Recentemente abbiamo individuato alcuni fattori di rischio aggiuntivi di perdita gravidica in corso di gravidanza trattata con terapie convenzionali. Scopo della Tesi. Confrontare gli outcomes di gravidanza ottenuti a seguito dei diversi trattamenti e definire dei precisi profili di rischio al fine di analizzare l’efficacia della terapia sulla base della stratificazione del rischio. Materiali e Metodi. E’ stato condotto uno studio europeo di tipo retrospettivo e multicentrico. Sono stati raccolti i dati basali e quelli in corso di gravidanza di donne affette da APS, diagnosticata sulla base dei Criteri di Sydney, che presentavano almeno uno dei seguenti tre fattori di rischio aggiuntivi: associazione con il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), triplice positività per Antifosfolipidi (aPL) e pregressa trombosi. Sono state prese in considerazione le pazienti trattate con le seguenti terapie: LDA, eparina a dose profilattica ± LDA, eparina a dose terapeutica ± LDA, protocolli di II livello (plasmaferesi/immunoassorbimento e/o immunoglobuline endovena) e nessuna terapia. Le determinazioni degli anticardiolipina e anti-Beta2 Glicoproteina I sono state eseguite presso i singoli Centri con il metodo ELISA seguendo procedure diverse sia “home-made” che commerciali, mentre il Lupus Anticoagulant è stato testato con una serie di metodi emocoagulativi in accordo con la corrente letteratura. I metodi statistici utilizzati sono stati l’analisi univariata e la regressione logistica. Risultati. Il numero di gravidanze considerate nello studio è stato complessivamente 202, relative a 158 pazienti. L’età media delle donne al momento della gravidanza era 32,5 anni ± 4,6 DS (range: 20-44) con una durata media di malattia di 5,2 anni ± 4,5 (range: 0-22). L’esito favorevole è stato osservato in 149 gravidanze (73,8%), che si sono concluse con la nascita di 150 neonati (un parto gemellare), di cui 78 (52%) maschi e 72 femmine (48%), nati mediamente alla 36,2^ SG ± 3 DS, con un Apgar medio a 5 minuti di 9,1 ± 1,3 DS e un peso in percentili di 55,8 ± 24,9 DS. Ci sono state 53 perdite (26,2%). In assenza della considerazione del rischio non si sono osservate differenze significative nelle prevalenze dei nati vivi tra le donne che assumevano le diverse tipologie di trattamento prese in considerazione. L’outcome primario è stato analizzato in relazione ai 7 profili di rischio definiti sulla base delle combinazioni di: pregressa trombosi, LES e triplice positività aPL. Accorpando i trattamenti convenzionali, l’unico profilo su cui è stata rilevata una differenza statisticamente significativa è stato quello caratterizzato dai fattori “triplice positività aPL + pregressa trombosi”, dove si è osservata una prevalenza di bambini nati vivi pari al 92,9% nei trattamenti di II livello versus il 58,3% nei trattamenti convenzionali (Fisher test, p-value < 0,05 e OR 9,3; 95% CI:1,3 - 65,6). Questi risultati sono stati confermati dall’analisi di regressione logistica che ha fornito una stima dell’odds ratio aggiustata per le variabili confondenti (OR 9,6; 95% CI: 1,1-84,3). Discussione. Da questo studio è emerso un sottogruppo di donne caratterizzato dalla presenza di “triplice positività aPL + pregressa trombosi”, dove la terapia di II livello è risultata più efficace per numero di nati vivi rispetto al trattamento convenzionale. In particolare si è messa in evidenza l’importanza dell’uso del trattamento di II livello nell’APS ostetrica. Possiamo concludere che la terapia dell’APS ostetrica andrebbe differenziata sulla base del rischio. In particolare, nelle donne con “triplice positività aPL + pregressa trombosi” il trattamento di elezione potrebbe essere quello di II livello associato alla terapia convenzionale.
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MARGONI, MONICA. "Quantificazione del danno microstrutturale nella sclerosi multipla attraverso il rapporto delle sequenze pesate in T1 e T2: uno studio multicentrico." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2022. http://hdl.handle.net/11577/3450308.

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Abstract:
Introduzione. Il rapporto tra le sequenze pesate in T1 (T1w) e T2 (T2w), ossia il T1w/T2w, è stato proposto come un metodo applicabile clinicamente per studiare l'integrità della sostanza bianca e della sostanza grigia nella sclerosi multipla (SM). Tuttavia, la sua rilevanza clinica e l'applicabilità in un contesto multicentrico devono ancora essere completamente indagate. Obiettivi. Quantificare il rapporto T1w/T2w nella sostanza bianca e nella sostanza grigia in un'ampia coorte multicentrica di pazienti affetti da SM e controlli sani, e la sua associazione con la disabilità clinica. Metodi. Le sequenze T1w e T2w dell’encefalo di 434 pazienti con SM (57 con sindrome clinicamente isolata, 196 recidivante-remittente [RR], 106 secondariamente progressiva [SP], 75 primariamente progressiva [PP]) e 270 controlli sani sono state identificate retrospettivamente in 7 centri europei. Le mappe del rapporto T1w/T2w sono state ottenute dopo aver calibrato le intensità del segnale utilizzando gli occhi ed il muscolo temporale. Nei controlli sani, l’andamento del rapporto T1w/T2w con l’età è stato stimato in diverse strutture cerebrali aggiustando per sesso e centro, utilizzando modelli lineari misti. Sono stati quindi derivati i punteggi z del rapporto T1w/T2w specifici per età, sesso e centro nei pazienti con SM e confrontati tra i diversi fenotipi clinici e livelli di disabilità. Infine, sono state studiate le associazioni con le variabili cliniche e di risonanza magnetica. Risultati. Nei controlli sani, il rapporto T1w/T2w aumentava con l'età fino ai 50-60 anni sia nella sostanza bianca che nella sostanza grigia. Rispetto ai controlli sani, il rapporto T1w/T2w risultava significativamente più basso nelle lesioni della sostanza bianca di tutti i fenotipi clinici della SM e nella sostanza bianca apparentemente normale e nella corteccia dei pazienti con SMRR e SMSP (p≤0.026). Al contrario, il rapporto T1w/T2w era significativamente più alto nello striato e nel pallido dei pazienti con SMRR, SMSP e SMPP rispetto ai controlli sani (p≤0.042). Inoltre, rispetto ai controlli sani, il rapporto T1w/T2w era significativamente più basso nelle lesioni della sostanza bianca e della sostanza bianca apparentemente normale nei pazienti con esordio a ricadute e basso livello di disabilità (Expanded Disability Status Scale [EDSS] <3.0) e nella corteccia dei pazienti con esordio a ricadute ed EDSS≥3.0 (p≤0.023). Al contrario, il rapporto T1w/T2w era significativamente più alto nello striato e nel pallido nei pazienti con esordio a ricadute ed EDSS≥4.0 (p≤0.005). Nei pazienti con SMPP, il rapporto T1w/T2w era significativamente più alto nello striato e nel pallido solo con EDSS≥6.0 (p≤0.001). Nei pazienti con SM, una durata di malattia più lunga, un EDSS ed un volume di lesioni della sostanza bianca più elevati, ed un volume cerebrale normalizzato più basso, risultavano essere associati ad un rapporto T1w/T2w più basso nelle lesioni della sostanza bianca e nella corteccia, e ad un rapporto T1w/T2w più elevato nello striato e nel pallido (β da -1.168 a 0.286, p≤0.040). Conclusioni. Rispetto ai controlli sani, nei pazienti affetti da SM abbiamo osservato alterazioni eterogenee del rapporto T1w/T2w nelle diverse regioni cerebrali ed in base al fenotipo clinico ed al grado di disabilità. Vari substrati patologici, tra cui la demielinizzazione, l’infiammazione, la neurodegenerazione e l’accumulo di ferro, possono spiegare le alterazioni di questo indice e la loro rilevanza clinica.
Background. The T1-weighted (w)/T2w-ratio has been proposed as a clinically feasible method to investigate white matter (WM) and gray matter (GM) integrity in multiple sclerosis (MS). However, its clinical relevance and suitability in a multicenter setting still need to be fully explored. Objective. To evaluate WM and GM T1w/T2w-ratio in a large multicenter cohort of healthy controls (HC) and MS patients, and its association with clinical disability. Methods. Brain T2w and T1w scans were identified retrospectively at 7 European sites from 434 MS patients (57 clinically isolated syndrome, 196 relapsing-remitting [RR], 106 secondary progressive [SP], 75 primary progressive [PP]) and 270 HC. T1w/T2w-ratio maps were obtained after calibrating signal intensities to eyes and temporal muscle. Sex- and site-adjusted lifespan trajectories of T1w/T2w-ratio were estimated in different brain structures of HC using linear mixed models. Then, sex-, age- and site-specific T1w/T2w-ratio z-scores were derived in MS patients and compared among different clinical phenotypes and levels of disability. The associations with clinical and MRI variables were investigated. Results. In HC, T1w/T2w-ratio increased with age until 50-60 years both in WM and GM. Compared to HC, T1w/T2w-ratio was significantly lower in WM lesions of all MS phenotypes, and in normal-appearing (NA) WM and cortex of RRMS and SPMS patients (p≤0.026), but it was significantly higher in the striatum and pallidum of RRMS, SPMS and PPMS patients (p≤0.042). Furthermore, compared to HC, T1w/T2w-ratio was significantly lower in WM lesions and NAWM in relapse-onset MS patients with mild levels of disability (Expanded Disability Status Scale [EDSS]<3.0) and in the cortex in relapse-onset MS patients with EDSS≥3.0 (p≤0.023). Conversely, T1w/T2w-ratio was significantly higher in the striatum and pallidum in relapse-onset MS patients starting at EDSS≥4.0 (p≤0.005). In PPMS, T1w/T2w-ratio was significantly higher in the striatum and pallidum beyond EDSS≥6.0 (p≤0.001). In MS, longer disease duration, higher EDSS, higher brain T2-hyperintense lesion volume, and lower normalized brain volume were associated with lower T1w/T2w-ratio in WM lesions and cortex and a higher T1w/T2w-ratio in the striatum and pallidum (β from -1.168 to 0.286, p≤0.040). Conclusions. Compared to HC, heterogeneous T1w/T2w-ratio abnormalities were detected in specific brain compartments according to MS clinical phenotypes and disability. Various pathological substrates, including demyelination, inflammation, neurodegeneration, and iron accumulation may explain alterations of this index and their clinical relevance.
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Ciprian, Manuela. "Fattori di rischio per il primo evento trombotico in soggetti positivi per anticorpi antifosfolipidi. Studio multicentrico, prospettico, di follow-up." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3423201.

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Abstract:
RISK FACTORS FOR A FIRST THROMBOTIC EVENT IN ANTIPHOSPHOLIPID ANTIBODY CARRIERS. A MULTICENTRE, PROSPECTIVE, FOLLOW-UP STUDY Background. Antiphospholipid syndrome (APS) is defined by the persistent presence of antiphospholipid antibodies (aPL) in the blood in association with thrombotic events and/or pregnancy morbidity. Several studies have recently endeavoured to identify the predictors of thrombotic events in aPL carriers, but substantial differences in study designs, patient selection criteria, aPL profiles and risk factors make it is difficult to draw any conclusions. Objectives. To asses risk factors for first thrombotic events in aPL positive carriers and to evaluate the efficacy of prophylactic treatments. Methods. The study included patients/subjects attending 11 Rheumatologic Centres belonging to the network of the APS Study Group of the Italian Society of Rheumatology. The inclusion criteria were the following: age between 18 and 65 years and no history of thrombosis. The laboratory criteria were: two consecutive, positive aPL tests carried out, in accordance with the Sydney criteria, at least 12 weeks apart. Women with APS-related pregnancy morbidity were also included. Demographic, laboratory and clinical parameters were collected at enrolment and once a year during the follow-up period. Testing was also carried out at the time of the thrombotic event. Anticardiolipin and anti-beta2 Glycoprotein I antibodies were measured in 5 Centres by “in-house” ELISAs and in the remaining 6 Centres by commercial kits. Lupus Anticoagulant (LA) was tested using platelet-poor plasma following internationally accepted guidelines. Results. Two hundred fifty-eight patients/subjects (223 women and 35 men; mean age: 40.9 years ± 11.1 SD) were recruited between October 2004 and October 2008. The mean follow-up was 35.0 months ± 11.9 SD. Fourteen patients (5.4%, with an annual incidence rate of 1.86%) developed a first thrombotic event (9 venous and 5 arterial) during the follow-up period. Seven of these were receiving prophylactic treatment at the time of the event (6 continuous and 1 during pregnancy prophylaxis). Five of the first-time events occurred during high risk periods (pregnancy/puerperium, immobilization or surgery). Hypertension and LA activity were identified by multivariate logistic regression analysis as independent risk factors for thrombosis (OR=3.6 with 95% CI= 1.2-11, p<0.05 and OR=3.7 with 95% CI= 1-13.8, p<0.05, respectively). It was found, moreover, that thromboprophylaxis with low dose aspirin (100 mg) and/or heparin during high risk periods was significantly protective (OR=0.1 with 95% CI= 0.01-0.9, p<0.05), whereas .prophylaxis continuously administered was not protective Conclusions. The findings of this prospective, follow-up study is in line with those of our previous retrospective one as hypertension was found to be a risk factor for first thrombotic events in asymptomatic aPL carriers. LA was found to be a risk factor for thrombosis, and thromboprophylaxis, administered during high risk periods, was, indeed, protective.
FATTORI DI RISCHIO PER IL PRIMO EVENTO TROMBOTICO IN SOGGETTI POSITIVI PER ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI. STUDIO MULTICENTRICO, PROSPETTICO, DI FOLLOW-UP Introduzione. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è definita dalla persistente presenza di anticorpi antifosfolpidi (aPL) nel sangue in associazione a manifestazioni trombotiche e/o impegno ostetrico. Alcuni studi hanno recentemente tentato di identificare gli elementi predittivi dell’evento trombotico negli aPL carriers, ma differenze sostanziali nel disegno degli studi, nei criteri di selezione dei pazienti, nei profili anticorpali e nei fattori di rischio considerati rendono difficile trarre delle conclusioni definitive. Obiettivi. Identificare i fattori di rischio per il primo evento trombotico nei pazienti positivi per aPL e valutare l’efficacia della profilassi. Metodi. Lo studio ha incluso pazienti/soggetti provenienti da 11 Centri Reumatologici facenti parte del Gruppo di Studio sulla APS della Società Italiana di Reumatologia. I criteri di inclusione erano i seguenti: età compresa tra 18 e 65 anni, anamnesi negativa per trombosi. I criteri di laboratorio erano: due positività consecutive per aPL, in accordo con i criteri di Sidney, ad almeno 12 settimane di distanza l’una dall’altra. Le donne con l’impegno ostetrico della APS erano incluse. I dati demografici, di laboratorio e clinici erano raccolti all’arruolamento e una volta all’anno durante il follow-up. Il profilo anticorpale era determinato anche al momento dell’evento trombotico. Gli anticorpi anti-cardiolipina e anti-beta2glicoproteina I sono stati determinati da 5 Centri con metodo Elisa “in-house” e dai rimanenti 6 Centri con kits commerciali. Il Lupus Anticoagulant (LA) è stato testato secondo i criteri dell’ International Society of Thrombosis and Haemostasis. Risultati. Duecentocinquantotto pazienti/soggetti (223 donne e 35 uomini di età media 40.9 anni ± 11.1 SD) sono stati reclutati tra l’Ottobre 2004 e l’Ottobre 2008. Il follow-up medio è stato di 35 mesi ± 11.9 SD (range 1-48). Quattordici pazienti (5.4%, annual incidence rate 1.86%) hanno sviluppato il primo evento trombotico (in 9 casi venoso, in 5 arterioso) durante il follow-up. Sette di questi stavano assumendo un trattamento profilattico al momento dell’evento (6 in modo continuativo ed 1 in corso di gravidanza). In 5 casi il primo evento trombotico si è verificato durante un periodo ad alto rischio (gravidanza/puerperio, immobilizzazione o chirurgia). L’ipertensione ed il LA sono stati identificati dall’analisi multivariata come fattori di rischio indipendenti per la trombosi (OR=3.6 con 95% CI= 1.2-11, p<0.05 e OR=3.7 con 95% CI= 1-13.8, p<0.05, rispettivamente). E’ risultato inoltre che la profilassi con aspirina a basso dosaggio (100 mg) e/o eparina durante i periodi ad alto rischio è significativamente protettiva (OR=0.1 con 95% CI= 0.01-0.9, p<0.05), mentre la profilassi data in modo continuativo non è protettiva. Conclusioni. Da questo studio prospettico di follow-up è risultato, in linea con quanto emerso nel nostro precedente studio retrospettivo, che l’ipertensione è un fattore di rischio per il primo evento trombotico in aPL carriers asintomatici. Inoltre anche il LA è risultato un fattore di rischio per trombosi e la profilassi, somministrata nei periodi ad alto rischio, è risultata, infine, protettiva.
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GHAZANFAR, MARIA. "STUDIO LONGITUDINALE MULTICENTRICO PER LA VALUTAZIONE DI FATTORI PRENATALI E POSTNATALI PRECOCI CORRELABILI AL RISCHIO DI SOVRAPPESO E OBESITÀ INFANTILE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2015. http://hdl.handle.net/2434/344729.

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Abstract:
Title: longitudinal and multicentre study and evaluation of the pre and early postnatal factors associated with the risk of childhood overweight and obesity. Location: Italy, Lombardia, centres for the monitoring of infants' body weight in Monza e Brianza ASL. Aim: evaluation of the anthropometric variations in children up to 6-7 months of life and their association with pre and postnatal factors. Study design and duration: multicentre cohort study. Subjects enrolled between March and October 2013 had been measured until the seventh month of life in four occasions. Inclusion criteria: mothers with children within 60 days of life, who attended the centres to monitor the growth of their children; the only exclusion criterion was the ignorance of the Italian language. Data collection: weight and length assessment, self-administration of a questionnaire. Statistical methods: 171 mother-child dyads. The anthropometric prenatal and parental data had been expressed as standard deviation score with the aim of removing the effects of age, sex and number of previous deliveries. The role of a set of covariates on the evolution of parental roles, breastfeeding and weaning has been analyzed with a generalised linear mixed model, based on binomial distribution and link logit. Weight growth (expressed as SDS) has been analyzed with an analogous linear mixed model, based on Gaussian distribution and identity link. Conclusions: the analysis showed that some prenatal factors and obstetrical variables, such as BMI and weight gain, have a direct role in determining the growth trends. These factors may be modified by the preventive approach that caracterises midwifery. Birthweight affects both maternal feeding choices for their children and growth trends. The study highlighted the role of father and health professionals of family care health centers, who can affect growth trend or growth related feeding choices, such as weaning timing.
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Magnano, Michela <1984&gt. "Allungamento del tempo di somministrazione dei farmaci biologici in pazienti con psoriasi stabilizzata come raggiungimento della "sensazione di guarigione": studio multicentrico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amsdottorato.unibo.it/8995/1/tesidefinitivadottoratopersito.pdf.

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Abstract:
La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica cutanea che, a seconda della gravità, può essere classificata in lieve, moderata e severa. Per le forme severe, sono stati recentemente introdotti i farmaci biologici, che determinano un’ottima clearance delle lesioni cutanee, aumentando quindi la sensazione di guarigione del paziente. Tali farmaci hanno regimi di somministrazione ben stabiiti, tuttavia, alcuni studi hanno proposto schemi di somministrazione dilazionati per migliorare la qualità di vita del paziente psoriasico. Sono stati arruolati soggetti con diagnosi di psoriasi cutanea moderata-grave e/o artropatica in trattamento con uno dei quattro principali farmaci biologico (infliximab, etanercept, adalimumab e ustekinumab), che avessero raggiunto un PASI100, mantenuto per almeno 12 mesi consecutivi, presso 3 centri italiani. Per tali pazienti, è stato allungato il tempo di somministrazione. È stata valutata la percentuale di recidive e l’associazione con ipertensione, diabete mellito, artropatia psoriasica o con l’abitudine al tabagismo. La sensazione di guarigione è misurata con un questionario somministrato a 3 mesi dal baseline. Sono stati analizzati in totale 199 pazienti in terapia con farmaco biologico da gennaio 2005 a giugno 2018. Sono stati confrontati 96 pazienti che hanno effettuato una riduzione della dose con 103 trattati secondo foglietto illustrativo. La differenza nell’incidenza di recidive tra i due gruppi è apparsa essere trascurabile (p-value 0,445). L’ipertensione arteriosa appariva essere correlata a una più alta percentuale di recidive (p-value<0.05). I farmaci biologici determinano un’ottima risposta terapeutica, associata spesso a una completa remissione della malattia. Il nostro studio ha dimostrato come la somministrazione dilazionata dei farmaci biologici mantenga la medesima efficacia della somministrazione standard e trovi anche ampio consenso da parte del paziente stesso. Ulteriori studi su più ampie casistiche per valutare l’efficacia a lungo termine del trattamento con farmaco biologico ad intervalli di tempo dilazionati e per determinare il parametro qui introdotto della “sensazione di guarigione”.
Psoriasis is a cutaneous chronic inflammatory disease which can be classified in mild, moderate or severe, according with the skin involvement. For the severe forms, biological therapies have been recently introduced. These therapies often cause a complete clearance of the skin lesions, but they have specific and rigid dose administration regimens. Recently, some studies have proposed a dose tapering to improve the patient's quality of life and reduce the health costs. We considered in this study 199 patients treated with one biological therapy among infliximab, etanercept, adalimumab or ustekinumab, from January 2005 through June 2018. Of them, 96 reached a complete clearance of the lesions (PASI100) maintained for at least 12 months. In this group, we elongated the administration period of the used biologic and we administered a questionnaire about the “healing sensation”. In the other 103 patients, who did not reach the PASI100, we maintained the therapy at the standard dose. We also evaluated the percentage of relapses among the two groups and the association between the incidence of relapses and hypertension, diabetes, psoriatic arthritis or smoking habits. The difference in terms of relapses between the two groups appeared negligible (p-value 0.445) while hypertension has been related to a higher percentage of psoriasis recurrence in both groups. In the group of dose tapering, most patients (61,70%) reported high satisfaction and “healing sensation” after the dose tapering of the biologic. Biological therapies cause often a good therapeutic response or, in most cases, a complete remission of the disease. Our study demonstrated that a dose tapering of biologics maintain good results in terms of efficacy and it is well accepted by the psoriatic patients. More studies are needed to evaluate the long-term efficacy of these new therapeutic regimens of biologics and to study the newly introduced parameter of “healing sensation”.
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VALENTE, ALESSIA. "Multicentre translational Trial of Remote Ischaemic Conditioning in acute ischaemic Stroke (TRICS)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2023. https://hdl.handle.net/10281/403045.

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Abstract:
L’ictus rappresenta la seconda causa di morte a livello globale e la prima causa di disabilità negli anziani. A causa di alcuni limiti di impiego, le principali terapie disponibili, volte a ripristinare il flusso sanguigno attraverso fibrinolisi e/o trombectomia meccanica, possono essere usate solo nel 60% dei pazienti con eziologia ischemica. Per tale motivo, la ricerca preclinica cerca di identificare target terapeutici utili per definire nuovi trattamenti ed estendere l’accesso alle cure. Nessuna nuova strategia terapeutica identificata negli studi preclinici ha però confermato la sua efficacia nei trial clinici. I problemi di traslazionalità dipendono da alcuni limiti degli studi preclinici, come l’uso di un ridotto numero di animali, che non rappresentano le condizioni reali dei pazienti o la mancata replicazione dei risultati ottenuti dai singoli laboratori, introducendo così bias metodologici, tra cui la mancanza di protocolli armonizzati. Il presente studio origina dalla necessità di migliorare il valore traslazionale della ricerca preclinica nell’ictus ischemico attraverso la definizione di un multicentre preclinical randomised controlled trial (pRCT), il progetto TRICS, che ha l’obiettivo di valutare l’azione neuroprotettiva del remote ischemic conditioning (RIC) dopo l’evento ischemico. Perché il RIC raggiunga una neuroprotezione significativa, l’outcome primario è che induca un miglioramento dei deficit sensorimotori a 48 ore dall’evento ischemico, calcolati attraverso il De Simoni neuroscore. Lo score valuta i deficit generali, che indicano lo stato di salute dell’animale e i deficit focali selettivamente associati alle conseguenze neurologiche dell’ischemia. Per ridurre al minimo i bias tecnici, il nostro studio ha previsto una prima fase di armonizzazione della valutazione comportamentale tra i centri, mediante analisi della concordanza tra i rater che eseguivano la misura, definita come interrater agreement. Questo è stato calcolato come intraclass correlation coefficient, ICC=0, nessun accordo, a ICC=1, accordo perfetto. Ci siamo posti l’obiettivo di raggiungere un interrater agreement con un ICC≥ 0.60. Una buona concordanza tra i centri è infatti una condizione indispensabile per garantire che tutti applichino lo stesso metodo di valutazione, assicurando l’oggettività, la trasparenza e la riproducibilità dei risultati. Dopo un training sull’esecuzione del De Simoni neuroscore, ogni centro ha indotto l’ischemia cerebrale nell’animale mediante l’occlusione transiente dell’arteria cerebrale media (tMCAo). A 48 ore dall’operazione, tutti gli animali sono stati filmati durante l’esecuzione del test e i video sono stati inviati al centro coordinatore, che li ha randomizzati e inoltrati ai centri. Un rater per ogni centro ha eseguito in cieco il De Simoni neuroscore sui video e sulle valutazioni è stata eseguita l’analisi statistica. Il risultato ottenuto dall’interrater agreement è stato di ICC=0.50 (0.22-0.77) per i topi e ICC=0.49 (0.210.77) per i ratti; non siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato. Questi risultati sono dipesi da alcuni errori nell’esecuzione del test e dall’attribuzione sbagliata dei punteggi. È stata organizzata una seconda fase di training per superare le differenze di valutazioni più evidenti e preparati nuovi animali ischemici con cui sostituire i video che presentavano errori. Il risultato ottenuto dall’interrater agreement del secondo trial è stato di ICC=0.64 (0.37 – 0.85) per i topi e ICC=0.69 (0.44 - 0.88) per i ratti, soddisfacendo quindi il criterio per iniziare la fase interventistica dello studio. La fase di armonizzazione rappresenta un nuovo ed originale approccio nella ricerca preclinica e dovrebbe rappresentare lo schema di lavoro di base per pianificare uno studio pRCT al fine di renderlo solido e predittivo.
In view of fostering transferability of pre-clinical data on the efficacy of remote ischemic conditioning (RIC) in acute ischemic stroke, we designed two multi-centre translational trials in mice and rats of both sexes. We defined to model ischaemic stroke by the transient occlusion of the middle cerebral artery (tMCAo). The improvement of sensorimotor deficits at 48h after tMCAo in RIC-treated animals was defined as the primary outcome. This work presents the harmonization phase relative to the evaluation of sensorimotor deficits by De Simoni neuroscore. Each centre performed different tMCAo durations - 30, 45, 60 min - allowing sufficient variability in the outcome. Animals were monitored post-surgery according to the ARRIVE and IMPROVE guidelines and data was registered into an electronic case report form on RedCap. All animals were video recorded during the neuroscore and the videos (n=11 per species) were distributed and evaluated blindly by raters at all centres. The interrater agreement of neuroscore was described using intraclass correlation coefficient (ICC), ranging between ICC=0 (equivalent to chance) and ICC=1 (perfect agreement), setting a target of ICC≥0.60 as satisfactory. We obtained moderate agreement for mice (ICC=0.50 [0.22-0.77]) and rats (ICC=0.49 [0.21-0.77]). Errors were identified in animal handling and test execution. We thus performed a second training followed by a new blind evaluation replacing the videos with poor experimental execution. The interrater agreement improved for mice (ICC=0.64 [0.37-0.85]) and rats (ICC=0.69 [0.44-0.88]). In conclusion, two dedicated training on the neuroscore allowed us to reach the agreement target for both species and thus next proceed with the interventional phase of the project.
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BUFFELLI, FRANCESCA. "Vasculogenesi, anomalie di crescita vascolari della placenta e cardiopatie congenite: uno studio sperimentale, multidisciplinare e multicentrico volto ad individuare una correlazione ad oggi non nota." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1010298.

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Abstract:
Introduzione: Le Cardiopatie Congenite (CC), sono le anomalie congenite più frequenti alla nascita, con un'incidenza di 1 su 100 nati vivi. La placenta è l'organo fetale più complesso, in grado di garantire lo sviluppo e la crescita fetale durante la gravidanza. Sebbene lo sviluppo della placenta e del cuore avvenga in parallelo, il rapporto tra questi due organi risulta sconosciuto e trattato solo di recente. Metodi: Abbiamo condotto uno studio osservazionale retrospettivo, includendo i pazienti nati esclusivamente presso l'ospedale G. Gaslini, tra gennaio 2014 e marzo 2018 con una diagnosi prenatale di CC e un’analisi anatomopatologica della placenta, per un totale di 151 pazienti. I feti affetti da CC sono stati divisi in 5 categorie, basate sulla fisiologia cardiovascolare, come segue: (1) ventricolo singolo con ostruzione aortica, (2) ventricolo singolo con ostruzione polmonare, (3) due ventricoli emodinamicamente instabili, (4) trasposizione delle grandi arterie, (5) due ventricoli emodinamicamente stabili. Per ogni paziente, sono stati considerati i seguenti dati: peso placentare assoluto, alterazioni macroscopiche e vascolari del cordone ombelicale, indice di massa corporea materna (BMI), genere, restrizione di crescita intrauterina fetale e neonatale (IUGR), anomalie extracardiache, procedura chirurgica o percutanea nel periodo neonatale. Per l’analisi statistica è stato utilizzato il test esatto di Fisher, con il quale abbiamo studiato il rapporto di dipendenza fra una specifica variabile e le CC; un p <0,05 è stato ritenuto significativo per la dipendenza. Risultati: Solo quattro variabili hanno mostrato una significatività scientifica: l'intervento neonatale (p = 0,000008), le anomalie associate extracardiache (p = 0,012), l'edema del cordone ombelicale (p = 0,007) e il genere (p = 0,015). Nonostante avessimo riscontrato un'alta incidenza di inserimento anomalo del cordone ombelicale nelle placente di neonati cardiopatici, il risultato dell’analisi di Fisher non ha dimostrato alcuna dipendenza tra i gruppi CC e questa variabile (p = 0,379). Conclusione: Dallo studio dei nostri risultati, non riteniamo che il peso della placenta possa predire la diagnosi di CC, come precedentemente riportato in letteratura. Sulla base della nostra esperienza, non possiamo considerare l'inserimento anormale del cordone come un fattore ad alto rischio per CC. Pertanto, non riteniamo necessario ampliare la metodica di screening ecografico mediante l’analisi della modalità di inserimento del cordone. Contrariamente, la presenza di edema del cordone ombelicale è risultata dipendente dalle CC quindi, potrebbe essere ritenuto un fattore di rischio per CC. Analogamente, anche il genere è risultato dipendente dalle CC, con una forte associazione fra il sesso maschile e le CC Mayor. Per il futuro, riteniamo necessario implementare lo studio con l’inserimento di un gruppo di controllo e con l’inclusione di altre variabili cliniche e strumentali del feto e della placenta.
Introduction: Congenital heart diseases (CHD) are the most frequent congenital anomalies at birth, with an incidence of 1 in 100 live births. The placenta is the most complex fetal organ, responsible of fetal development and growth during pregnancy. Although the development of the placenta and heart occurs in parallel, the relationship between these two organs is unknown and only recently elucidated. Methods: We conducted a retrospective observational study, including patients born exclusively at the G. Gaslini hospital, between January 2014 and March 2018 with a prenatal diagnosis of CHD and an anatomopathological analysis of the placenta, for a total of 151 patients. Fetuses with CHD Mayor were divided into 5 categories, based on cardiovascular physiology, as follows: (1) single ventricle with aortic obstruction, (2) single ventricle with pulmonary obstruction, (3) two hemodynamically unstable ventricles, (4) transposition of the great arteries, (5) two hemodynamically stable ventricles. For each patient, the following data were considered: absolute placental weight, macroscopic and vascular alterations of the umbilical cord, maternal body mass index (BMI), gender, fetal and neonatal intrauterine growth restriction (IUGR), extracardiac anomalies, surgical procedure or percutaneous in the neonatal period. For statistical analysis, the Fisher test was used, with which we studied the dependency ratio between a specific variable and the CHD; a p <0.05 was considered significant. Results: Only four variables showed scientific significance: neonatal surgery (p = 0.000008), associated extracardiac anomalies (p = 0.012), umbilical cord edema (p = 0.007) and gender (p = 0.015). Although we had found a high incidence of abnormal insertion of the umbilical cord in the placentas of heart disease infants, the result of Fisher's analysis showed no dependence between the CHD groups and this variable (p = 0.379). Conclusion: From the analysis of our results, we do not believe that the weight of the placenta can predict the diagnosis of CHD, as previously reported in the literature. Based on our experience, we cannot consider abnormal cord insertion as a high risk factor for CHD. Therefore, we do not consider it necessary to expand the ultrasound screening method by analyzing the cord insertion method. Conversely, the presence of edema of the umbilical cord was found to be CHD dependent therefore, it could be considered a risk factor for CHD. Similarly, gender was also dependent on CHD, with a strong association between the male sex and CHD Mayor. For the future, we believe it is necessary to implement the study with the inclusion of a control group and with the inclusion of other clinical and instrumental variables of the fetus and placenta.
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Paolini, Stefania <1978&gt. "L'associazione Tipifarnib-Bortezomib nel trattamento delle leucemie acute mieloidi: risultati di uno studio multicentrico di fase I/II e validazione di un profilo genico predittivo di risposta." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3559/1/paolini_stefania_tesi.pdf.

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Abstract:
Background. Outcome of elderly acute myeloid leukemia (AML) patients is dismal. Targeted-therapies might improve current results by overcoming drug-resistance and reducing toxicity. Aim. We conduced a phase II study aiming to assess efficacy and toxicity of Tipifarnib (Zarnestra®) and Bortezomib (Velcade®) association in AML patients >18 years, unfit for conventional therapy, or >60 years, in relapse. Furthermore, we aimed to evaluated the predictive value of the RASGRP1/APTX ratio, which was previously found to be associated to treatment sensitivity in patients receiving Zarnestra alone. Methods. Velcade (1.0 mg/m2) was administered as weekly infusion for 3 weeks (days 1, 8, 15). Zarnestra was administered at dose of 300-600 mg BID for 21 consecutive days. Real-time quantitative-PCR (q-PCR) was used for RASGRP1/APTX quantification. Results. 50 patients were enrolled. Median age was 71 years (56-89). 3 patients achieved complete remission (CR) and 1 partial response (PR). 2 patients obtained an hematological improvement (HI), and 3 died during marrow aplasia. 10 had progressive disease (PD) and the remaining showed stable disease (SD). RASGRP1/APTX was evaluated before treatment initiation on bone marrow (BM) and/or peripheral blood (PB). The median RASGRP/APTX value on BM was higher in responder (R) patients than in non responders (NR) ones, respectively (p=0.006). Interestingly, no marrow responses were recorded in patients with BM RASGRP1/APTX ratio <12, while the response rate was 50% in patients with ratio >12. Toxicity was overall mild, the most common being febrile neutropenia. Conclusion. We conclude that the clinical efficacy of the combination Zarnestra-Velcade was similar to what reported for Zarnestra alone. However we could confirm that the RASGPR1/APTX level is an effective predictor of response. Though higher RASGRP1/APTX is relatively rare (~10% of cases), Zarnestra (±Velcade) may represent an important option in a subset of high risk/frail AML patients.
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Paolini, Stefania <1978&gt. "L'associazione Tipifarnib-Bortezomib nel trattamento delle leucemie acute mieloidi: risultati di uno studio multicentrico di fase I/II e validazione di un profilo genico predittivo di risposta." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3559/.

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Abstract:
Background. Outcome of elderly acute myeloid leukemia (AML) patients is dismal. Targeted-therapies might improve current results by overcoming drug-resistance and reducing toxicity. Aim. We conduced a phase II study aiming to assess efficacy and toxicity of Tipifarnib (Zarnestra®) and Bortezomib (Velcade®) association in AML patients >18 years, unfit for conventional therapy, or >60 years, in relapse. Furthermore, we aimed to evaluated the predictive value of the RASGRP1/APTX ratio, which was previously found to be associated to treatment sensitivity in patients receiving Zarnestra alone. Methods. Velcade (1.0 mg/m2) was administered as weekly infusion for 3 weeks (days 1, 8, 15). Zarnestra was administered at dose of 300-600 mg BID for 21 consecutive days. Real-time quantitative-PCR (q-PCR) was used for RASGRP1/APTX quantification. Results. 50 patients were enrolled. Median age was 71 years (56-89). 3 patients achieved complete remission (CR) and 1 partial response (PR). 2 patients obtained an hematological improvement (HI), and 3 died during marrow aplasia. 10 had progressive disease (PD) and the remaining showed stable disease (SD). RASGRP1/APTX was evaluated before treatment initiation on bone marrow (BM) and/or peripheral blood (PB). The median RASGRP/APTX value on BM was higher in responder (R) patients than in non responders (NR) ones, respectively (p=0.006). Interestingly, no marrow responses were recorded in patients with BM RASGRP1/APTX ratio <12, while the response rate was 50% in patients with ratio >12. Toxicity was overall mild, the most common being febrile neutropenia. Conclusion. We conclude that the clinical efficacy of the combination Zarnestra-Velcade was similar to what reported for Zarnestra alone. However we could confirm that the RASGPR1/APTX level is an effective predictor of response. Though higher RASGRP1/APTX is relatively rare (~10% of cases), Zarnestra (±Velcade) may represent an important option in a subset of high risk/frail AML patients.
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Ghisleni, D. "EFFETTO DELLA DIETA PRIVA DI GLUTINE SU ADIPOSITA', PROFILO LIPIDICO E METABOLISMO GLUCIDICO IN BAMBINI AFFETTI DA MALATTIA CELIACA: STUDIO MULTICENTRICO CONDOTTO IN ITALIA E IN ISRAELE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2013. http://hdl.handle.net/2434/217717.

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Abstract:
EFFECT OF A GLUTEN FREE DIET ON ADIPOSITY, LIPID PROFILE AND GLUCIDIC METABOLISM IN A COHORT OF CELIAC CHILDREN: MULTICENTRIC STUDY COMPARING ITALY AND ISRAEL Introduction. The classic symptoms of failure to thrive and diarrhea nowadays are infrequently seen in celiac disease (CD). Many patients present with normal or elevated body mass index (BMI) at diagnosis. Cardiovascular disease (CVD) have their roots in childhood. The evidences of an association between CD, gluten free diet (GFD) and CVD risk factors in children are limited. Aims and methods. Our aims were to define the trend of BMI z-scores in pediatric CD adhering to a GFD and to clarify the relationship between CD, GFD and CVD risk factors. We prospectively enrolled 114 CD children on GFD in remission, from Italy and Israel. At enrollment anthropometric measurements, blood lipids and glucose levels were assessed and compared to values at the time of diagnosis. HOMA-IR was calculated as a measure for insulin resistance. Results. Italian and Israeli patients had comparable anthropometry and lipid profiles. Trends towards the increase in overweight (from 8,8% to 11,5%) and obesity (from 5,3% to 8,8%) were seen in the total population after GFD. Furthermore, there were significant (p=0,013) increase in the percentage of children with borderline (from 11,3% to 29,8%) and elevated blood cholesterol (from 4,2% to 7%). At enrollment fasting insulin and HOMA-IR were significantly higher in the Italian cohort and 4 children fulfilled criteria for insulin resistance. Three or more CVD risk factors (BMI, waist circumference, LDL cholesterol, triglycerides, blood pressure and insulin resistance) were found in 14% of CD patients. Conclusion. This is the first study to report a high prevalence of CVD risk factors as well as insulin resistance in CD children on GFD. This study concurs with reports showing increasing percentages of overweight and obesity in patients adhering to GFD. These findings highlight the importance of dietary counseling over time, targeting obesity and CVD risk factors, in addition to monitoring adherence to a GFD.
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QUAQUARINI, ERICA. "FATTORI CLINICI DI EFFICACIA DELLE TERAPIE IMMUNOTERAPICHE ANTI-PD-1/PD-L1 IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA POLMONARE NON A PICCOLE CELLULE IN STADIO AVANZATO: STUDIO REAL-LIFE MULTICENTRICO." Doctoral thesis, Università degli studi di Pavia, 2021. http://hdl.handle.net/11571/1434016.

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Abstract:
Numerosi studi clinici hanno valutato l’efficacia e la tollerabilità del trattamento con inibitori dei checkpoint immunitari nei pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule in fase avanzata. Esistono, tuttavia, ancora molte incertezze in merito alla selezione del paziente che potrebbe trarre il maggiore beneficio da questo trattamento. In un contesto in cui si assiste ad un lento ma costante miglioramento della prognosi di una malattia tradizionalmente considerata infausta nel breve termine, si accresce il peso di quelle variabili, innanzitutto “cliniche”, legate al paziente e alla sua anamnesi non oncologica, che possono contribuire alla predizione del beneficio dei trattamenti così come dei loro potenziali effetti tossici. Il presente studio si propone di valutare in una popolazione non selezionata il peso prognostico e predittivo di diverse variabili umorali (istologia e valore di PD-L1 su pezzo tumorale, presenza di anemia, valore di LDH, rapporto neutrofili/linfociti) e cliniche (performance status, età, stato di fumatore, tipo di correzioni dell’anemia, sedi di malattia, carico di comorbidità) in pazienti affetti da NSCLC avanzato candidati a immunoterapia secondo indicazioni AIFA. Sono stati arruolati un totale di 166 pazienti provenienti da due Ospedali universitari di Pavia. L'età mediana dell'intera popolazione era di 68.5 anni. Il 71% dei pazienti erano maschi e il 29% femmine. Il 92% erano fumatori attivi o ex fumatori. Circa la metà dei pazienti (45-18%) aveva un punteggio ECOG PS pari a 0, mentre il 43.37% aveva un punteggio ECOG PS di 1 e l’11.45% di 2-3. Il 25.3% dei pazienti erano affetti da NSCLC squamoso, mentre il 74.7% avevano un carcinoma non squamoso, istotipo adenocarcinoma. Il 27.16% dei pazienti aveva un’espressione immunoistochimica su tessuto tumorale di PD-L1 < 1%, il 45.68% tra 1 e il 49%, il 44% ≥ al 50%. All’avvio del trattamento immunoterapico, la maggior parte dei pazienti (76.51%) presentava una malattia in stadio IV. Nivolumab è stato somministrato al 50% dei pazienti, pembrolizumab al 34%, atezolizumab a meno del 4% e durvalumab al 12% dei pazienti. Nella maggior parte dei casi, i pazienti hanno ricevuto il trattamento immunoterapico in 2° (57.23%) o 3° (13.86%) linea di trattamento. Poco meno del 50% dei pazienti presentava anemia all’avvio del trattamento e nella maggior parte dei casi la causa dell’anemia era rappresentato dalla malattia cronica sottostante. In merito alle sedi di malattia interessante, circa 12% dei pazienti presentavano metastasi a livello encefalico, 11% malattia a livello epatico, 23% a livello scheletrico, 87% a livello linfonodale e 9% a livello pleurico. I risultati di questa tesi hanno mostrato come l’immunoterapia si conferma un trattamento efficace e ben tollerato in una popolazione non selezionata di pazienti con neoplasia polmonare avanzata non a piccole cellule. Il nostro studio suggerisce come alcune variabili cliniche siano particolarmente influenti sulla probabilità di risposta al trattamento nonché sul rischio di progressione a 6 mesi e sul rischio di morte a 6 e 12 mesi. Tali variabili sono rappresentate dal performance status del paziente, dal valore di espressione immunoistochimica di PDL 1 sul pezzo tumorale, dalla presenza di anemia prima dell’avvio del trattamento e dai valori di LDH e rapporto neutrofili/linfociti su siero. In un’epoca in cui le ricerche si stanno concentrando sulle alterazioni molecolari tumorali prognostiche o predittive di risposta nonché sul carico mutazionale del tumore, questo studio evidenzia come le caratteristiche cliniche del paziente siano ancora una base influente per poter predire la risposta alle cure antiblastiche e la prognosi, a maggior ragione con un trattamento come quello con inibitori dei checkpoint immunitari, in cui è proprio il sistema immunitario del paziente a dover guidare la risposta al trattamento.
Several clinical studies have evaluated the efficacy and tolerability of treatment with immune checkpoint inhibitors in patients with advanced stage non-small cell lung cancer. However, there are still many uncertainties regarding the selection of the patients who could benefit the most from this treatment. In a context in which there is a slow but constant improvement in the prognosis of a disease traditionally considered poor in the short term, the weight of those variables, above all "clinical" ones, linked to the patient and his non-oncological anamnesis, can contribute to predicting the benefit of treatments as well as their potential toxic effects. The present study aims to evaluate in an unselected population the prognostic and predictive weight of different humoral variables (histology and PD-L1 value on tumour biopsy, presence of anemia, LDH value, neutrophil/lymphocyte ratio) and clinical ones (performance status, age, smoking status, type of anemia corrections, disease sites, comorbid burden) in patients with advanced NSCLC candidates to receive immunotherapy according to AIFA indications. A total of 166 patients from two University Hospitals of Pavia were enrolled. The median age of the entire population was 68.5 years. 71% of the patients were male and 29% female. 92% were active smokers or former smokers. About half of the patients (45-18%) had an ECOG PS score of 0, while 43.37% had an ECOG PS score of 1 and 11.45% of 2-3. 25.3% of patients had squamous NSCLC, while 74.7% had non-squamous carcinoma, histotype adenocarcinoma. 27.16% of patients had an immunohistochemical expression of PD-L1 on tumour biopsy <1%, 45.68% between 1 and 49%, 44% ≥ 50%. At the start of immunotherapy treatment, most of the patients (76.51%) presented with stage IV disease. Nivolumab was administered to 50% of patients, pembrolizumab to 34%, atezolizumab to less than 4% and durvalumab to 12% of patients. In most cases, patients received immunotherapy treatment in the 2nd (57.23%) or 3rd (13.86%) line of treatment. About 50% of patients had anemia at the start of treatment and in most cases the cause of the anemia was the underlying chronic disease. Concerning the sites of disease of interest, about 12% of patients had brain metastases, 11% liver disease, 23% skeletal metastasis, 87% lymph node metastasis and 9% pleural metastasis. The results of this study show that immunotherapy is confirmed to be an effective and well tolerated treatment in an unselected population of patients with advanced non-small cell lung cancer. Our study suggests that some clinical variables are particularly influencing the probability of response to treatment as well as the risk of progression at 6 months and the risk of death at 6 and 12 months. These variables are represented by the patient's performance status, the immunohistochemical expression value of PDL 1 on the tumour piece, the presence of anemia before starting treatment and the LDH values ​​and the neutrophil/lymphocyte ratio. In an era in which research is focusing on prognostic or predictive tumour molecular alterations as well as tumour mutational burden, this study highlights how the clinical characteristics of the patient are still an influential basis for predicting the response and the prognosis to oncological treatments, even more with immune checkpoint inhibitors, in which patient's immune system must guide the response to the treatment itself.
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Kovalčík, Tomáš. "Neuroinformatika: metody kalibrace v multicentrické MR studii." Master's thesis, Vysoké učení technické v Brně. Fakulta elektrotechniky a komunikačních technologií, 2010. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-218769.

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Abstract:
Work deals with methods of calibration of multi-center study of magnetic resonance imaging. Magnetic resonance is the phenomenon of the substance in a magnetic field of induction B0 delivers energy in the form of RF pulse with the Larmor frequency and thus to excite particles to higher energy levels. Calibration can be performed using the distinctive and homogeneous RF phantoms. Furthermore, we can perform calibration using image registration. To calibrate the images by registering the work described in the classical linear (affine) and nonlinear. Listed below are the simulators, which are also useful for modeling various artifacts.
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NUGARA, Cinzia. "Effetti della Terapia con Sacubitril/Valsartan sulla Capacità di Esercizio dei pazienti con Scompenso Cardiaco a Frazione di Eiezione Ridotta (HFrEF) nel Follow-up a Breve, Medio e Lungo Termine e Ruolo della percentuale di Delayed Enhancement (DE) alla Risonanza Magnetica Cardiaca (CMR) sulla risposta alla terapia: uno Studio Multicentrico." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2021. http://hdl.handle.net/10447/477048.

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Abstract:
Introduzione: La terapia con Sacubitril/Valsartan nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (HFrEF) si è dimostrata superiore alla singola terapia con Enalapril nella riduzione del rischio di morte ed ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Obiettivo del presente studio è stato quello di valutare, nei pazienti con HFrEF, gli effetti della terapia con sacubitril/valsartan sulla capacità di esercizio valutata mediante Test Cardiorespiratorio e l’eventuale correlazione con il grado di fibrosi miocardica valutata mediante Risonanza Magnetica Cardiaca (CMR). Metodi: E’ stato condotto uno studio osservazionale, prospettico. 134 pazienti ambulatoriali con HFrEF sono stati sottoposti a Test Cardiorespiratorio seriati dopo inizio della terapia con Sacubitril/Valsartan. Di questi, 54 pazienti sono stati sottoposti a CMR. I rimanenti 80 pazienti non hanno eseguito la CMR poiché erano stati sottoposti ad impianto di ICD prima dell’arruolamento nel suddetto studio. Risultati: Dopo un follow-up medio di 13,3 ± 6,6 mesi è stata osservata una riduzione della pressione arteriosa sistolica (p <0.0001), un miglioramento della FE (p=0.0003), una riduzione del rapporto E/A (p=0,007), delle dimensioni della vena cava inferiore (p= 0,009) e dei livelli di NT-proBNP (p= 0,007). Durante il follow-up si è osservato, altresì, un incremento del VO2 picco del 16 % (Δ = + 5 mL/Kg/min; p<0,0001) e del polso di O2 del 13 % (Δ = +1,7 ml/battito; p 0,0002), nonché un miglioramento della risposta ventilatoria associato ad una riduzione pari al 7% del VE/VCO2 slope (Δ = 2,5; p=0,0009). Il VO2 alla soglia anaerobica (AT-VO2) è passato da 11,5 +2,6 a 12, 5 +3,3 mL/kg/min (p= 0,021); inoltre, si è ottenuto un incremento del 8 % del rapporto Δ VO2/ Δ Work (Δ = +0,8 mL/beat; p 0,0001) e del 18 % della tolleranza all’ esercizio fisico (Δ = +16 Watt; p<0,0001). All’analisi di regressione logistica multivariata i principali predittori di eventi durante il follow-up erano il VE/VCO2 > 34 [OR: 3,98 (IC 95%: 1,59 10,54); p-value=0,0028]; la presenza di oscillazione ventilatoria [OR: 4,65 (IC 95%: 1,55 1 6,13); p value=0,0052] e il valore di emoglobina [OR: 0,35 (IC 95%: 0,21 0,55); p value <0,0001]. Nel sottogruppo di pazienti sottoposti a CMR, in presenza di un Delayed Enhancement (DE) > 4,6% è stata osservata una minore risposta dopo terapia con sacubitril/valsartan in termini di miglioramento del delta del VO2 picco (+2,1 vs. + 4,7), del Polso di O2 (+1,4 vs. +4,2), della FE (+4,1 vs.+10) e dell’ NT-proBNP (760 vs. 810). Non sono state osservate significative differenze in termini di Δ VO2/ ΔWork e di VE/VCO2. Conclusioni: Dai risultati dello studio si evince che la terapia con Sacubitril/valsartan migliora la tolleranza all’esercizio fisico, la frazione di eiezione del ventricolo sinistro, il VO2 picco e alla soglia anaerobica e l’efficienza ventilatoria. La presenza di DE a livello cardiaco condiziona la risposta alla terapia con sacubitril/valsartan. Infatti, in presenza di fibrosi miocardica gli effetti del farmaco sulla capacità funzionale e sui parametri cardiorespiratori, seppur mantenuti, sono ridotti. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi al fine di comprendere meglio il meccanismo d’azione del farmaco e gli effetti sul rimodellamento cardiaco.
Introduction: Sacubitril/valsartan in heart failure (HF) with reduced ejection fraction (HFrEF) was shown to be superior to enalapril in reducing the risk of death and hospitalization for HF. The aim of this study was to evaluate cardiopulmonary effects of sacubitril/valsartan in patients with HFrEF and the possible correlation with the degree of myocardial fibrosis assessed with cardiac magnetic resonance (CMR). Methods: An observational, prospective study was conducted. 134 outpatients with HFrEF underwent serial cardiorespiratory tests after initiation of therapy with Sacubitril / Valsartan. Of these, 54 patients underwent CMR. The remaining 80 patients did not perform CMR as they had undergone ICD implantation prior to enrollment in the aforementioned study. Results: After a mean follow-up of 13.3 ± 6.6 months, a reduction in systolic blood pressure (p <0.0001), an improvement in FE (p = 0.0003), a reduction in the E/A ratio (p = 0.007), inferior vena cava size (p = 0.009) and NT-proBNP levels (p = 0.007) was observed. During the follow-up, we observed an increase in peak VO2 of 16% (Δ = + 5 mL / Kg / min; p <0.0001) and in O2 pulse of 13% (Δ = +1, 7 mL / beat; p 0.0002), as well as an improvement in ventilatory response associated with a 7% reduction in the VE/VCO2 slope (Δ = 2.5; p = 0.0009). VO2 at the anaerobic threshold (AT-VO2) went from 11.5 +2.6 to 12.5 +3.3 mL / kg / min (p = 0.021); furthermore, an 8% increase in the Δ VO2 / Δ Work ratio (Δ = +0.8 mL / beat; p 0.0001) and an 18% increase in the tolerance to physical exercise (Δ = +16 Watt; p <0.0001). In multivariate logistic regression analysis, the main predictors of events during follow-up were the VE/VCO2> 34 [OR: 3.98 (95% CI: 1.59 10.54); p-value = 0.0028]; the presence of ventilatory oscillation [OR: 4.65 (95% CI: 1.55 1 6.13); p value = 0.0052] and the hemoglobin value [OR: 0.35 (95% CI: 0.21 0.55); p value <0.0001]. In the subgroup of patients undergoing CMR, a lower response after sacubitril/valsartan therapy was observed in the presence of Delayed Enhancement (DE) > 4.6% in terms of improvement in peak VO2 delta (+2.1 vs. + 4.7), pulse of O2 (+1.4 vs. +4.2), FE (+4.1 vs. + 10) and NT-proBNP (760 vs. 810). No significant differences were observed in terms of ΔVO2/ΔWork and VE / VCO2. Conclusions: The results of the study show that therapy with Sacubitril/valsartan improves exercise tolerance, left ventricular ejection fraction, peak VO2 and anaerobic threshold and ventilatory efficiency. The presence of myocardial fibrosis conditions the response to therapy with sacubitril/valsartan. In fact, in these patients, the effects of the drug on the functional capacity and cardiorespiratory parameters, even if maintained, are reduced. However, further studies are needed in order to better understand the mechanism of action of the drug and the effects on cardiac remodelling.
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RELLA, VALERIA. "AMILOIDOSI CARDIACA ANALISI DI PREVALENZA IN DUE STUDI MULTICENTRICI ITALIANI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2022. http://hdl.handle.net/10281/366496.

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Abstract:
Tra i pazienti con diagnosi iniziale di cardiomiopatia ipertrofica afferiti a Centri di Riferimento per le Cardiomiopatie, l’AC è la malattia non riconosciuta più comune con una prevalenza complessiva del 9%, e che aumenta con l'età (dall'1% nella fascia di età tra i 40-49 anni al 26% sopra gli 80 anni). Nella popolazione generale ≥55 anni più del 7% ha almeno un reperto ecocardiografico suggestivo di AC e l’ispessimento del setto interatriale è quello più frequente. I pazienti con elevato sospetto di AC (≥3 reperti) rappresentano l’1% della popolazione generale e il 4,9% di quelli con cuore non dilatato, ipertrofico e con FE normale.
Among patients with initial diagnosis of HCM, cardiac amiloidosis has a prevalence of 9% and it increases with age. In the general population > 55 yo more than 7% has echocardiographic suspicion of the disease and echocardiography has an important role in the early diagnosis of the disease
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Saracino, Laura. "Coordinamento di Trial Clinici multicentrici finalizzati allo studio e all'ottimizzazione dell'outcome del trapianto epatico." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3423830.

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Abstract:
Introduction. Despite being recognized a clinical application for almost thirty years, data are very scarce regarding liver transplant patients’ long term health issues. Patient survival surpasses the 10 year threshold in increasing numbers, exposing this population to risks from chronic use of immunosuppressive drugs. Methods. The Liver Transplantation Centre of Padua coordinated two spontaneous multricentric studies: a longitudinal observational retrospective multicentre (12 Italian Liver Transplant Centres,) assessing long term survival and main characteristics of the recipient population; and EPOCAL, a spontaneous Phase II Interventional Multicentric (7 Italian Liver Transplantation Centres) Open-label Randomized Control Trial, assessing acute rejection and graft loss within 3 months of liver transplantation, renal function, incidence of adverse events. Results. Data on 3008 liver transplantations performed in Italy between 1983–1999 were documented by an eCRF. Data of 2846 patients with sufficient follow-up were used for further analysis. 20 years patient survival was estimated at 51 %. A total of 139 patients were enrolled in the EPOCAL study, 92 in the study group and 47 in control group. We did not find any significant difference between the two groups prior intervention. The primary end-point in the study group was achieved: biopsy-proven acute rejection was under 25 % (under 14 %) (p < 0.05). Renal function was significantly better in the study group at 3 months (p < 0.05). Conclusion. These studies show an Italian long term liver transplantation cohort with excellent survival profiles. We show efficacy and safety of an immunosuppressive protocol with minimization of calcineurin inhibitor (tacrolimus) and early introduction of everolimus. Together, we have a path towards long term survival of patients with sustainable immunosuppressive protocols.
Introduzione. Nonostante sia un'applicazione clinica da quasi trent'anni, i dati relativi allo stato di salute a lungo termine dei pazienti trapiantati di fegato sono scarsi. Il numero dei pazienti che raggiungono la soglia di sopravvivenza a 10 anni è in aumento, esponendo questa popolazione al rischi associati all'uso cronico degli immunosoppressori. Metodi. Il Centro Trapianti di Fegato di Padova ha coordinato due studi multicentrici spontanei: uno studio retrospettivo, osservazionale, longitudinale, multicentrico (12 Centri Trapianto di Fegato italiani) che valuta la sopravvivenza a lungo termine e le principali caratteristiche della popolazione ricevente; e EPOCAL uno studio spontaneo di Fase II, interventistico, multicentrico (7 Centri Trapianto di Fegato italiani), in aperto, randomizzato, controllato che valuta il rigetto e la perdita del graft a 3 mesi dal trapianto, la funzione renale e l'incidenza degli eventi avversi. Risultati. I dati su 3008 trapianti di fegato effettuati in Italia dal 1993 al 1999 sono stati registrati in un eCRF. I dati di 2846 pazienti con un sufficiente follow-up sono stati usati per le analisi successive. La sopravvivenza a 20 anni dal trapianto è stata stimata al 51%. Un totale di 139 pazienti è stato arruolato nello studio EPOCAL, 92 nel gruppo di studio e 47 nel gruppo di controllo. Non abbiamo trovato differenze significative tra i due gruppi prima all'arruolamento. L'end-point primario dello studio è stato raggiunto: i rigetti acuti confermati da biopsia erano meno del 25 % (sotto 14 %) (p < 0,05). La funzione renale a tre mesi era significativamente migliore nel gruppo di studio (p < 0,05). Conclusioni. Questi studi presentano un profilo di sopravvivenza eccellente della coorte di pazienti italiani trapiantati di fegato da lungo tempo. Mostriamo sicurezza ed efficacia di un protocollo immunosoppressivo con minimizzazione degli inibitori della calcineurina (tacrolimus), e l'introduzione precoce di everolimus. L'insieme dei risultati mostra una strada verso la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con protocolli immunosoppressivi sostenibili.
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DIANA, MASSIMO. "Pancreati acute da farmaci: risultati del primo studio italiano prospettico multicentrico." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11573/917940.

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Abstract:
I fattori eziopatogenetici della PA sono molteplici, ma i meccanismi attraverso cui tali fattori scatenano l’infiammazione non sono ancora ben noti. Tra le cause più importanti ricordiamo la litiasi biliare e l’eccessivo consumo di alcool che insieme costituiscono circa l‘80% dei casi; altri fattori rilevanti includono iperlipidemia, ipercalcemia, tumori pancreatici, e tra le causee iatrogene ricordiamo la colangiopancreatografia retrograda endoscopica, interventi chirurgici e traumi. Sebbene sino a pochi anni or sono, la genesi farmacologica delle PA veniva considerata evenienza assai rara (1-2%), ultimamente si stà assistendo ad una inversione di tendenza certamente determinata alla maggiore attenzione che viene dedicata alla problematica sino a raggiungere un incremento di circa 4 volte secondo le stime più recenti. Ciò grazie anche all’esponenziale numero di segnalazioni di cui progressivamente si arricchisce la letteratura internazionale, con associata netta riduzione dei casi di pancreatite cosidetta idiopatica. In accordo con alcuni studi più recenti, nell’analisi da noi condotta abbiamo rilevato un’incidenza che si aggira attorno al 7%. Nei pazienti da noi osservati e quindi sottoposti alle più moderne tecniche di imaging radiografiche, ecotomografe, TC, ERCP, e recentemente con l’introduzione della CPRM con stimolo alla secretina, non è stata riscontrata la presenza di alcun tipo di alterazione morfologica o funzionale a carico del sistema dei dotti epato-bilio-pancreatici. Inoltre nei pazienti da noi arruolati, nessun fattore di rischio noto era stato anamnesticamente ed obiettivamente riscontrato.
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Filpo, Giuseppina De. "Feocromocitoma/paraganglioma ed altre neoplasie non cromaffini associate: uno studio multicentrico." Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/2158/1236027.

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Abstract:
Feocromocitoma (FEO) e paraganglioma (PGL) sono rari tumori derivati dalla cresta neurale la cui incidenza è di 0.8 casi/100.000/anno. Si distinguono lesioni simpatergiche (FEO e PGL toraco-addominali) e lesioni parasimpatergiche (PGL del distretto testa-collo, head and neck PGL, HNPGL). In circa il 50% dei casi di FEO/PGL si riconosce una base ereditaria. I geni di suscettibilità per FEO/PGL in base al profilo trascrizionale sono distinti in due clusters: cluster 1 (es. VHL, SDHx, NF1) e cluster 2 (es. RET, MAX, TMEM127). Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse sull’insorgenza di seconde neoplasie non cromaffini nei pazienti affetti da FEO/PGL. In particolare, i dati riportati in letteratura sono focalizzati sulle mutazioni del complesso SDHx, risultate più frequentemente associate ai tumori stromali gastrointestinali (GIST), ai carcinomi renali (RCC) e agli adenomi ipofisari (PA). Lo scopo di questo studio multicentrico è stato quello di identificare quali fossero le più frequenti seconde neoplasie maligne non cromaffini presenti nei pazienti con FEO/PGL, se vi fossero dei fattori predisponenti all’insorgenza di seconde neoplasie maligne e se la loro incidenza nella nostra popolazione fosse superiore a quella della popolazione generale, utilizzando i dati dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) relativi al 2019. Sono stati inclusi 741 pazienti affetti da FEO/PGL afferiti tra il 1962 al 2019 in 12 Centri italiani. Sono stati esclusi i FEO/PGL insorti nell’ambito di forme sindromiche, quali la sindrome di Von Hippen Lindau (VHL), la Neoplasia Endocrina Multipla di tipo 2 (MEN2) e la Neurofibromatosi di tipo 1 (NF1). L’analisi genetica è stata considerata solo se almeno SDHx, MAX e TMEM127 erano stati valutati. L’analisi dei dati è stata condotta con R, versione 3.5.0. La mediana dell’età alla diagnosi di FEO/PGL era di 49 anni [36-60]; lo 0.4% presentava lesioni parasimpatergiche, il 36.2% lesioni simpatergiche ed il 63.4% sia lesioni simpatergiche che parasimpatergiche. Il 66.3% aveva lesioni secernenti, una malattia metastatica è stata riportata nell’8.8% dei casi. La mediana del follow up è stata di 48 mesi [12-108]. Un’anamnesi familiare positiva per patologia oncologica era presente nel 36.3% dei pazienti, il 23.7% riferiva un’abitudine tabagica, il 4.7% consumava alcol abitualmente e il 4.6% presentava un’esposizione a fattori di rischio ambientali. Il 31.1% dei pazienti presentava una mutazione (16.2% SDHD, 8.3% SDHB, 2.3% MAX, 2.2% TMEM127, 1.3% SDHC, 0.6% SDHA, 0.2% SDHAF2). Novantacinque (12.8%) pazienti hanno sviluppato una seconda neoplasia maligna nel corso del follow up. Le tre neoplasie maligne più frequentemente riscontrate sono risultate il carcinoma della mammella (16.8%), il carcinoma tiroideo (11.6%) ed il melanoma (11.6%). L’età alla diagnosi di FEO/PGL si è mostrata un fattore di rischio per lo sviluppo di una seconda neoplasia maligna (p<0.001) così come l’assenza di mutazioni (p=0.003). Invece, tra i pazienti mutati quelli che hanno sviluppato una seconda neoplasia appartenevano meno frequentemente al cluster 1 (p=0.006). Dal confronto con i dati AIRTUM è emerso un rischio maggiore di 9.59 volte (IC 95% 5.46- 15.71) nei maschi e di 13.21 volte (IC 95% 7.52 – 21.63) nelle femmine con FEO/PGL rispetto alla popolazione generale. I dati derivati da questo studio multicentrico hanno dimostrato una maggiore incidenza di seconde neoplasie maligne nei pazienti affetti da FEO/PGL rispetto alla popolazione generale. In particolare, il rischio è risultato più elevato nel sesso femminile, dunque, questa classe di pazienti potrebbe beneficiare di una maggiore attenzione nella ricerca di altre neoplasie associate nel corso del follow up per la patologia cromaffine. Differentemente da quanto atteso, la presenza di mutazioni a carico dei geni di suscettibilità per FEO/PGL non si è mostrata un fattore di rischio per lo sviluppo di un secondo tumore non cromaffine. Tale risultato rafforza la necessità di uno stretto monitoraggio dei pazienti wild type al fine di diagnosticare precocemente l’insorgenza di una seconda neoplasia associata.
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LUMINI, ENRICO. "Indicatori di qualità per l'assistenza infermieristica in terapia intensiva: uno studio prospettico multicentrico." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/2158/781132.

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Abstract:
La misura in cui l'infermieristica contribuisce alla qualità dell'assistenza sanitaria sia in Italia che nel mondo e l'influenza che l'ambiente di lavoro esercita sulla cultura della sicurezza sono state centro di recenti e significative ricerche e di politica professionale e sanitaria. La scarsità di indicatori standardizzati della qualità delle prestazioni infermieristiche costituisce un vuoto importante nella garanzia della qualità del lavoro. La terapia intensiva è per eccellenza uno dei reparti ospedalieri con maggiori costi pur esprimendo un esiguo numero di posti letto. In questo studio, attraverso un meticoloso lavoro di ricerca bibliografica e selezione di indicatori sensibili alle attività infermieristiche in TI si è tentato di misurare una vasta scala di Kit di indicatori, ottenendo la collaborazione del Gruppo Italiano per la valutazione degli Interventi in terapia Intensiva ( GIVITI) e l'Agenzia regionale di Sanità toscana. Nel presente lavoro parlando di indicatori sensibili all'assistenza infermieristica si è inteso studiare processi, risultati ed elementi strutturali correlabili appunto a processi e risultati che sono condizionati e/o influenzati dal personale infermieristico, ma per i quali l'assistenza infermieristica non è esclusivamente respondabile. Il lavoro si conclude con l'analisi dei dati che dimostra la possibilità di misurare concretamente indicatori di qualità in terapia intensiva inserendosi in un contesto già ben consolidato di abitudine alla misurazione di esiti e indicatori aggiungendo la possibilità , a vari livelli, di interpretare i risultati anche dal punto di vista infermieristico.
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Nieri, Michele. "Comparazione di due tipi di vite da espansione del mascellare superiore. Studio clinico randomizzato multicentrico." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/2158/1190521.

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Abstract:
Background and Rationale: The expansion of the maxilla is a very common clinical procedure to treat latero-posterior cross-bite and more generally the transverse maxillary deficiency in growing patients. Recently, several studies have shown that pain could be reduced by changing the amount of force exerted during palatal expansion. Objective of the study: The objective of this study is to evaluate the efficacy of an expansion screw of the maxilla that uses moderate and continuous forces compared to a screw for rapid standard expansion, which uses heavy and intermittent forces. In particular, in this thesis the subjective variables, including pain, were compared in patients with prepubertal stage. Methods: This is a superiority, two-centre, two arms parallel balanced randomization trial with a blinded examiner. Patients in the prepubertal stage were included with a discrepancy between the two arches of at least 3 mm, for which an expansion of the maxilla was indicated. An expansion screw using moderate continuous forces (test group, expansion screw with leaf Ni-Ti springs) was compared to a traditional rapid expansion screw that uses intermittent heavy forces (control group, expansion screw with telescopic guides). The primary response variable was the VAS mean on pain calculated in the first 12 weeks of therapy. The VAS scales on speech, oral hygiene, patient satisfaction and complications were also evaluated. Results: Twenty-eight patients in the test group and 28 patients in the control group were randomized and included in the study. There were no dropouts. The mean of the VAS for pain was 0.3 ± 0.4 in the test group and 0.6 ± 0.5 in the control group. The difference was -0.3 (95% CI from -0.5 to -0.0; P = 0.017) in favor of the test group. The difference in pain was marked in the first week (test group 2.2 ± 2.3; control group 3.7 ± 2.6; difference -1.5; 95% CI from -2.7 to -0.3; P = 0.019). The mean of the VAS for phonation was 0.6 ± 0.7 in the test group and 0.9 ± 0.9 in the control group. The difference was -0.3 (95% CI from -0.8 to 0.1; P = 0.132) in favor of the test group. The average of the VAS for the oral hygiene was 1.2 ± 1.3 in the test group and 1.1 ± 1.0 in the control group. The difference was 0.1 (95% CI from -0.5 to 0.7; P = 0.802) in favor of the control group. The average of the VAS for satisfaction was 8.7 ± 1.9 in the test group and 8.9 ± 1.5 in the control group. The difference was -0.1 (95% CI -1.1 to 0.9; P = 0.813) in favor of the control group. Four patients in test group and 8 patients in control group showed complications (OR = 0.42, 95% CI 0.11 to 1.59, P = 0.200). For many variables, there was a difference between the two centers. Conclusions: Patients in the test group experienced a lower degree of pain, especially in reference to the first week following the application of the expander. For the other variables no significant differences were reported between the two treatments. The study was registered in the ISRCTN register on 08/11/2016 with the number ISRCTN18263886.
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GUARAGNA, MARIANA. "La Sindrome delle apnee ostruttive del sonno. Studio osservazionale multicentrico in un campione affetto da comorbilità, valutazione delle correlazioni tra parametri occlusali, antropometrici e otorinolaringoiatrici con la gravità dell'OSAS." Doctoral thesis, 2023. https://hdl.handle.net/11573/1663407.

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Abstract:
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome o OSAS) è un grave problema di salute che impatta notevolmente sulla qualità di vita di chi ne soffre e la cui importanza sta emergendo solo negli ultimi anni. Il piano d'Azione Globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili (2013-­‐2020) definisce tra i 9 obiettivi globali la riduzione relativa del 25% della mortalità precoce dovuta a malattie croniche entro il 2025. L’OSAS è una patologia cronica con importanti implicazioni economiche e sociali, ad elevata prevalenza, spesso sotto diagnosticata e sotto trattata. Il 12 Maggio 2016 è stato approvato in conferenza Stato Regioni il documento “La Sindrome delle Apnee ostruttive del sonno”, al fine di proporre, attraverso un approccio multidisciplinare, una strategia finalizzata alla prevenzione ottimale dell’OSAS e al controllo delle sue comorbilità, suggerendo la necessità di promuovere azioni preventive in grado di ridurre i rischi associati e di realizzare una diagnosi precoce per consentire un tempestivo intervento terapeutico. Questo elaborato di tesi ha avuto come obiettivo principale la ricerca della prevalenza dell’OSAS nella popolazione generale e nella popolazione lavorativa a rischio di incidentalità e di infortuni. Lo studio nasce nel 2018 dalla sinergia tra Sapienza Università di Roma e l’Istituto Nazionale per gli Infortuni e Assicurazioni sul Lavoro (INAIL) nell’ambito del progetto BRIC dal titolo: “SLeeP@SA: salute sul lavoro e prevenzione delle obstructive sleep apnea: un’epidemia silenziosa”. Nel primo capitolo sono descritte tutte le generalità riguardo la patologia OSAS quali l’epidemiologia, fisiopatologia, i fattori di rischio, diagnosi e trattamento. Nel secondo capitolo l’argomento trattato è la nascita e lo svolgimento del progetto articolato nelle sue diverse fasi ovvero gli obiettivi, la strutturazione dell’attività di ricerca di natura multicentrica, la formulazione del questionario, l’elaborazione del database atto alla raccolta dei dati, le metodologie della raccolta dei dati partendo dalla fase di pretest e la fase di raccolta vera e propria. Il terzo capitolo è dedicato ai fattori odontoiatrici con il ruolo dell’odontoiatra come sentinella epidemiologica. Nel quarto capitolo è descritta l’analisi dei dati basata sulla terza sezione del questionario relativa agli aspetti odontoiatrici, antropometrici e otorinolaringoiatrici correlati alla gravità dell’OSAS.
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MANNOCCI, ALICE. "A multicenter study on the appropriateness of hospitalization in obstetric wards: application of Obstetric Appropriateness Evaluation Protocol (Obstetric AEP). Studio multicentrico sul protocollo di revisione dell’uso dell’ospedale in ostetricia: applicazione dello PRotocollo dell’Uso dell’Ospedale in Ostetricia (PRUO ostetrico)." Doctoral thesis, 2014. http://hdl.handle.net/11573/917281.

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Abstract:
Objectives This study has been based on the implementation of the Obstetric Appropriateness Evaluation Protocol in 7 Italian hospitals to determine inappropriate hospital admissions and days of stay. Design A cross-sectional study. Methods The outcomes examined were: appropriateness/inappropriateness of admission and "percentage of inappropriateness". Results A total number of 2196 clinical records were reviewed. The mean percentage of inappropriateness for a hospitalization was 22%. The percentage of inappropriateness for the first ten days of hospitalization peaked in correspondence of the 4th and 5th (42%). The emergency admission was a protective factor of inappropriated admission, OR= 0.23 95%CI (0.16-0.35). To be hospitalized in a Teaching Hospital, in a hospital with ≥30 beds and to be admitted during the Winter/Autumn and in the workweek were risk factors of inappropriateness, respectively with OR=3.50 95%CI(2.30-5.34), OR=2.04 95%CI(1.41-2.97), OR=2.14 95%CI(1.41-2.97), OR=1.85 95%CI(1.12-3.04). The linear regression model underlined that the "percentage of inappropriateness" significantly increased in inappropriate admission and in obstetric wards with ≥30 beds; the admission in a Teaching Hospital and the hospitalization in South Italy was inversely associated to the percentage of inappropriateness. The R2 model was 0.367. Conclusions The present study suggests that the percentage of inappropriate admission depends especially on the inappropriate admission and the large number of beds in obstetric wards. This suggests that the management of big hospitals, which is very complex, needs improving the processes of support and coordination of health professionals. The obstetric AEP tool seems to be an useful instrument for the decision makers to monitor and manage the obstetric wards.
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Rafi, Moheb. "Přínos provedení mikrofraktur při artroskopické terapii chondrálních defektů acetabula u femoroacetabulárního impingement syndromu: dvouleté klinické výsledky multicentrické prospektivní randomizované studie." Doctoral thesis, 2021. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-441657.

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1 ABSTRACT Benefits of the Acetabular Microfracture Technique in Arthroscopic Treatment of Chondral Defects in Femoroacetabular Impingement Syndrome - Two-year(s)? Results of a Multicenter Prospective Randomized Study. Purpose of the study Two-year clinical results of a multicenter prospective randomized study in patients with arthroscopically treated Femoroacetabular Impingement syndrome and concurrently performed microfracture for grade IV chondral lesions of the acetabulum. Material and methods The study evaluated a group of 55 patients of the originally enrolled 92 patients with the underlying diagnosis of FAI syndrome with intraoperatively confirmed grade IV acetabular chondropathy of up to 4 cm2 in size, who had undergone a comprehensive hip arthroscopy (correction of structural cam-type and/or pincer-type deformity, labral refixation or partial labral resection etc.) performed by two experienced surgeons. The patients were randomized intraoperatively using a closed envelope method into two groups. In group 1 (31 patients), microfractures for chondral defects was performed, while in group 2 the patients underwent a defect debridement procedure only. The studied group included a total of 7 professional and 48 recreational athletes (33 men and 22 women), with the mean age of 34.4 in group 1 and 31.1 in...
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Wertzová, Veronika. "Randomizovaná, dvojitě zaslepená, placebem kontrolovaná, mezinárodní a multicentrická studie fáze IV, která má prokázat účinnost očkovací látky proti chřipce Fluarix podané nitrosvalově dospělým osobám." Doctoral thesis, 2009. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-273668.

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Abstract:
Influenza is the most common human infectious disease. Contrary to common upper tract respiratory infections influenza is a serious disease causing worldwide every year thousands of death. Influenza is always considered to be a trivial infection, not only by ordinary persons but even by specialists. Vaccination is the most effective possibility of prevention recently. However there are still doubts concerning influenza vaccine efficacy, clinical trials evaluating vaccine efficacy are not enough consistent. This work tries to evaluate the efficacy of GlaxoSmithKline Bilogicals' influenza vaccine Fluarix administrated intramuscularly in one dose scheme in healthy adults aged 18-64. 7652 subjects were enrolled in Finland and the Czech Republic during 2006/2007 influenza season to this clinical trial. The reactogenity, safety and immunogenicity of the vaccine are also presented in this work. According to obtained results the author demonstrates high vaccine efficacy, excellent immunogenicity, low reactogenity and high vaccine safety. The author tries to destroy a presumption concerning low efficacy and high adverse events frequency following influenza vaccination.
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