Academic literature on the topic 'Spazi intermedi'

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Journal articles on the topic "Spazi intermedi"

1

Luca, Mori. "Esperimenti mentali e altri "terzi spazi" dell'apprendimento." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 17 (December 2011): 89–102. http://dx.doi.org/10.3280/eds2012-017008.

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Abstract:
Partendo dal ruolo cruciale giocato dagli esperimenti mentali nella ricerca filosofica e scientifica, l'obiettivo di questo articolo č mostrare le implicazioni del loro utilizzo come strumenti per la formazione e l'apprendimento: l'ipotesi č che gli esperimenti mentali consentano di accedere ad un "terzo spazio" nel quale diventano percepibili nessi, relazioni e anelli intermedi che normalmente sfuggono. In questo senso, gli esperimenti mentali sono correlabili ad altre tipologie di "terzo spazio", in cui gli esseri umani evolvono scoprendo e sfidando la propria ambiguitŕ: dalla terza area di Winnicott allo "spazio di gioco" di Bettelheim, dai "mondi intermedi" dell'illusione studiati da Iacono alle esperienze formative che fanno riferimento alla mindfulness o al sogno.
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2

Manno, Daniela. "L'educazione al cosmopolitismo nella Comunità di Ricerca Filosofica: imparare ad abitare gli spazi intermedi." EDUCATIONAL REFLECTIVE PRACTICES, no. 2 (January 2018): 86–106. http://dx.doi.org/10.3280/erp2017-002007.

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3

Bassanelli, Miche, and Imma Forino. "Lavoro immateriale e pandemia. Dalla worksphere all'Ho-Wo in-between." TERRITORIO, no. 97 (February 2022): 17–26. http://dx.doi.org/10.3280/tr2021-097-supplementooa12923.

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Abstract:
La pandemia da Covid-19 ha trasformato le esistenze dei lavoratori che si occupano di beni immateriali con il forzato telelavoro e la riconfigurazione degli spazi abitativi in uffici operativi. D'altra parte, le difficoltà del presente si innestano su pregresse fragilità del lavoro terziario, rispetto alle quali organizzazioni manageriali e strutture spaziali si sono continuamente adattate, mentre i lavoratoriassumevano come sistemica l'incertezza della propria occupazione e dei luoghi dove svolgerla. L'articolo traccia un panorama delle debolezze del lavoro immateriale nei primi vent'anni del XXI secolo e indaga lo scenario diffuso dei luoghi di lavoro durante l'emergenza sanitaria. Di seguito, sonda le possibili modalità di lavorare e organizzare gli ambienti (il flipped workplace), mentre dal confinamento fra le pareti domestiche fa derivare altre opportunità di svolgere l'home working, non solo nell'abitazione, ma in ambiti intermedi fra la casa e gli ambienti semi-pubblici.
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Tagliagambe, Silvano. "Il Covid19.Tra la zona grigia e lo spazio intermedio." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 33 (September 2020): 28–36. http://dx.doi.org/10.3280/eds2020-033006.

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Abstract:
La "zona grigia" è un termine coniato da Primo Levi nella sua raccolta di saggi I sommersi e i salvati, l'ultimo libro che ha completato prima della sua morte. Nel secondo capitolo, il più lungo del libro, Levi riconosce la necessità umana di dividere il campo sociale in "noi" e "loro", due gruppi chiaramente distinti e identificabili, ma sottolinea che questa coppia opposizionale del pensiero è inadeguata di fronte alla complessità della vita nei campi. La rete di relazioni umane all'interno dei Lagers non era semplice e non poteva essere ridotta ai due estremi di vittime e persecutori. Lo "spazio intermedio" è un termine coniato dal filosofo, teologo e matematico russo, in un'epoca di culto della razionalità, per indicare che ci sono altri percorsi più alti verso la verità e che quando l'intelletto rifiuta le emozioni e i sentimenti non può riuscire a conoscere la verità. È lo spazio dell'invisibile che il progetto rende visibile, cioè un mondo intermedio tra soggettivo e oggettivo. È un'unità binomica, unità nella diversi-tà, che è inseparabile dalla presenza dello skacok, la zona intermedia, cioè dove si dovrebbe realizzare la concettualizzazione del mistero dell'invisibile. Il riferimento a questa "zona" rappresenta una delle questioni più problematiche, in quanto difficile da definire con gli strumenti razionali a nostra disposizione. Tuttavia, abbiamo a che fare con un'entità essenziale per l'interazione tra le due dimensioni, apparentemente inconciliabili, dell'esistenza dell'uomo, il visibile e l'invisibile. Il Covid19 è un test per la società, i governi, le comunità e gli individui. È tempo di solidarietà e cooperazione per combattere il virus e mitigare gli effetti, spesso involontari, di misure volte a fermare la diffusione di questa pandemia globale. Il presente articolo utilizza i concetti di "zona grigia" e di "spazio intermedio" come chiavi per analizzare l'impatto improvviso e sostanziale di Covid19 sulla cultura e sulla società.
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5

Carla, Weber. "Accogliere l'ambiguitŕ. Risonanze ambigue nella relazione psicoterapeutica." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 17 (December 2011): 56–74. http://dx.doi.org/10.3280/eds2012-017005.

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Abstract:
Il contributo muove dall'ipotesi che le risonanze relazionali sono per loro stessa natura ambigue, non essendo mai l'uno riducibile del tutto all'altro. Esplora alla luce della base naturale della stessa relazione psicoterapeutica la "pars costruens". Accettare un certo compromesso con la vischiositŕ delle posizioni ambigue, implica, di conseguenza, l'approfondimento della capacitŕ di contenimento dell'ambiguitŕ in una determinata relazione psicoterapeutica e l'apprendimento al contatto con l'ignoto e l'indifferenziato. Il riferimento agli apporti teorici di Ferenczi, Bion, Winnicott, Bleger, consente di approfondire come co-evolve la risonanza nella relazione psicoteraputica e le possibilitŕ di attivazione di un'area intermedia, generativa di cambiamento. La clinica, inoltre, puň godere delle esperienze dei poeti e degli artisti per comprendere quanto l'ambiguitŕ sia fonte della creazione, e perciň della vita stessa. Oltre all'esplorazione dei vincoli e delle possibilitŕ di utilizzo della rilevanza generativa dell'ambiguitŕ nella relazione psicoterapeutica, il contributo esplora la natura stessa dell'ipotesi dello spazio intermedio nel setting della cura e la natura ambigua di quello stesso spazio.
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6

Berlingieri, Fabrizia. "Prossimità, tempi e transizione. Due indirizzi progettuali per la città." TERRITORIO, no. 97 (February 2022): 27–34. http://dx.doi.org/10.3280/tr2021-097-supplementooa12924.

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Abstract:
Una sfida centrale, tra quelle che le città affronteranno nel futuro post-pandemico, consisterà nel riconciliare la sfera dell'abitare individuale con quella collettiva agendo sull'ossatura degli spazi pubblici attraverso una consistente modificazione dei suoi modelli.In questa prospettiva, la riflessione che il contributo propone si concentra sul necessario ripensamento di una scala intermedia per il disegno degli spazi aperti, e su modalità di intervento sempre più caratterizzate da una permanente temporalità nelle dinamiche ditrasformazione dei sistemi urbani e metropolitani.Si tratta di pratiche discrete e incrementali all'interno di un orizzonte incerto, non solo per le conseguenze della pandemia in atto, che diventa oggi un referente costitutivo dell'azione progettuale.
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Condello, Angela. "Per esempio." Revista do Direito, no. 35 (January 22, 2011): 37–54. http://dx.doi.org/10.17058/rdunisc.v0i35.2451.

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Abstract:
Analogia, paradigma ed esemplarità condividono un’origine comune e suggestiva. Aristotele usa il termine “paradigma” per descrivere ciò che in seguito la tradizione filosofica ha chiamato “analogia”. Questi tre dispositivi argomentativi sono da collocare nello spazio intermedio fra pratica e teoria nel diritto. In questo articolo discuto il fatto che si possa stabilire definitivamente se essi dimostrino la prevalenza della teoria sulla pratica o viceversa –il che richiama il dibattito diffuso nel contesto del realismo giuridico americano sulla questione se il diritto consista in esperienza (practice) o in logica. La tesi conclusiva é che sia pressoché impossibile stabilire l’origine della paradigmaticità.
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Remotti, Francesco. "Antropologia. Riflessioni su un sapere trans-culturale e trans-disciplinare." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 35 (September 2021): 72–78. http://dx.doi.org/10.3280/eds2021-035005.

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Abstract:
Transitare da un ambito disciplinare all'altro è presentato come qualcosa di ine-ludibile. La buona antropologia che è stata in grado di compiere operazioni di attraversamento da una cultura all'altra, allo stesso modo diviene consapevole di compiere operazioni trans da una disciplina all'altra. L'antropologia, quando è buona, non è soltanto il recettore di una molteplicità di saperi disciplinari; essa ha anche la capacità di produrre un effetto di ritorno sulle discipline di cui è co-stretta ad avvalersi determinando un dialogo trans-disciplinare e un dialogo trans-culturale. L'oscillazione tra "individuo" e "dividuo" conduce allo spazio intermedio del "condividuo", proposto come nozione trans-disciplinare, luogo di incontro nello stesso tempo inter-disciplinare e inter-culturale.
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Caporuscio, Flavia. "In sonno e in veglia: l’esperienza della soglia e la scrittura del dormiveglia." Quaderni d'italianistica 41, no. 2 (June 11, 2021): 115–33. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v41i2.36774.

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Abstract:
Nel panorama delle rielaborazioni novecentesche dell’immaginario purgatoriale può senz’altro collocarsi In sonno e in veglia (1987) di Anna Maria Ortese, il cui richiamo al luogo intermedio dell’aldilà cattolico è presente tanto nell’oggetto della narrazione quanto nella scrittura stessa. La raccolta di racconti è in realtà un libro-manifesto che svela il segreto della scrittura in un titolo programmatico: il binomio ossimorico di sonno e veglia circoscrive infatti sia la tecnica narrativa visionaria, sia la Weltanschauung dell’opera ortesiana che, qui come altrove, accoglie “storie tra mondo e sottomondo, tra giorno e notte.” La scrittura di apparizioni e visioni, tipica della narrativa ortesiana, abitando la soglia tra sogno e realtà, che è poi lo spazio liminale tra visibile e invisibile, autorizza all’uso della definizione di scrittura del dormiveglia.
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Anna Manfredi, Rita. "Gioco nei limiti - Gioco dei limiti." PSICOTERAPIA PSICOANALITICA, no. 1 (June 2021): 56–71. http://dx.doi.org/10.3280/psp2021-001004.

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Abstract:
L'autrice prende in esame il gioco nei limiti e sottolinea l'importanza del senso di libertà che il soggetto deve vivere e provare perché questa attività risulti ri-creativa e possa permettere la distinzione fra realtà interna e realtà esterna. Nello spazio intermedio che si crea l'Io raggiunge così una identità rappresentativa e sublimatoria. Il gioco dei limiti, invece, appare una attività che cerca, attraverso rischi esterni, di negare un vuoto profondo. Il gioco diventa un feticcio che viene usato per nascondere il "mancante" e che procura al soggetto una sensazione di estasi, di vitalità e una convinzione di eternità. Il gioco d'azzardo viene presentato attraverso un caso clinico. L'autrice utilizza tecniche non classiche dal punto di vista psicoanalitico al fine di relazionarsi con il paziente e aiutarlo a uscire dalla compulsione di ripetizione.
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Dissertations / Theses on the topic "Spazi intermedi"

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OGGIANO, FRANCESCA. "La dimensione intermedia.Gli spazi transitivi, i limiti dell’uso, i confini dialettici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Cagliari, 2013. http://hdl.handle.net/11584/266113.

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Abstract:
Rational thought interpreted architecture simply as a container for activities, a machine that absorbed energy from within, different separated pieces of a single mechanism. Rational urban planning is thus rooted in Elementarism and the separation of functions. Modern architecture dismantles the rigid relationship between interior space and walls, modern urban planning considered the urban space, releasing it from the ties of dependency that governed the relationship between roads, streets and the constructed block. (…)the traditional compact city, where every part assumed a form in relation to its neighbour, creating squares and urban fabrics, went on dangerously subdividing and breaking up on account of an over simplistic application if the principles of modern urban planning. (cit. Josep Maria Montaner, Sistemas arquitectònicos contemporaneous, Editorial Gustavo Gili, SL, Barcellona, 2008). The additive approach had served to dissolve, or separate the urban space, raising planning to an abstract state which distanced the architect’s attention from the authentic, and conceiving of the city as a mere composition of volumes within the space according to the territorial scale, where the space of the lived-in area was an almost discounted consequence, perhaps substituting the notion of neutral space to that of place. The heated argument since the post-World War II period, which resulted in an affirmation of the crisis at the CIAM 9, refocuses attention on the idea of habitat as a system of spaces, an articulation of the private, the public and the semi-public; connected to spaces by the limits created by flexibility of use, by unclear borders, by complex extensions. The habitat is a system only inasmuch as it is a union of heterogeneous elements on a different scale which are inter-related according to an internal organization which results in the strategic adaptation to the complexity of the context and which creates, or builds a whole which can’t be explained by the sum of its parts. There are no isolated objects within, but all the elements are assimilated and melt into the fabric; every part is present and acts according to a role and in continuity with the others. The house is a “half-open, half-closed ” being, a continuous threshold, a space that is in transition in which exchanges take place and a labyrinthine style complexity appears. A topological labyrinth, the place for living is thus an individual organization wherein the dweller appropriates the space. The logical progression of this phenomenological concept of the house leads us to the relationship between public and private where we find a scaled reproduction mechanism which from the microcosm of the variety of the house Abstract recalls genuine and authentic planning models. This is what the architects at CIAM at Dubrovnik (’56) meant when they sparked polemics by comparing the vitality of the Kasbah with its labyrinthine spatial organization to the purity of modern prismically-limited visions. The Kasbah, its traditional fabric, the rural villages of the Mediterranean demonstrate the imprecision and mingling of limits and functions, the compact nature and continuity of the mass of blocks of houses that surrounds and combines spaces of different types and creates relationships of osmotic permeability, density and porosity in complicated ways. In Modern architecture, the urban matrix experiments with a radical transformation in which one passes from a constructed fabric which functions as a continuous solid, in which open spaces appear as sculpted figures extracted from a mouldable mass, to a creation based on isolated convex, which generate a continuous void, in which the open space ceases to have a precise form and which instead becomes a background, while the role of the figure or shape is taken over by buildings that appear as isolated fragments. Therefore we are faced with a radical topological transformation of the urban space. The lesson of the traditional fabrics and their systematic clarity, their irrational components that are in a certain way spontaneous in defining dimensions, proportions and filters, is revealed as a determining factor in offering consolidated solutions entirely appropriate to everyday needs and functions. From a rationalistic approach which breaks down into clearly defined and juxtaposed sections and elements, one passes towards a more intuitive approach (phenomenological) which interprets and reads in the mixture of the system (that is, within the compact and solid system of the settlement) those elements that go to make it up and which express it even though there is no sense or solution of continuity. The Kasbah - whose continuous evolution derives from no rational control or logic in any way - is a compact system, a porous mass, an organism made up of penetrating micro-systems, transits and stasis. It is an authentic machine for living, where the term machine is meant in its widest sense as an organized and perfectly functioning unit. If within the Athens Charter a clear call was made for the definition of clearly defined spaces in terms of limits and functions, the position of Team 10 underlines imprecision as the added value of space and place. A concept of new and radical space is thus defined, the threshold, a spatiality of intermediate scale which becomes enriched through the possibility of usage, of personalization and colonization by virtue of its “middle space” nature, its functional vagueness, its measured yet informal character, by its encircling and deceiving urban dimension. Thresholds are the spaces that regulate the permeability of compact and dense fabrics, they are identifiable where urban solidity opens itself up to possibilities of penetration, where the pores of the building become shadowy places favourable to the dialectic stasis between individual and collective; where the characteristics of the semi-closed, half-closed and filtered spaces create relational balances, dynamics of controlled sharing, discreet dialogues with that which is outside the private family microcosm. The threshold is the structure of space that regulates the dialogue with the rest (the complex) and itself becomes a place for living, a spatial device at the centre of the family background and a hinge between individual and collective. An intermediate space, a void for transition and meeting. The threshold is an imprecise limit, it is a space marked out for use, from the private fixtures, an expressed yet empty area; it is a third party that is neither private nor public, it has an in-between nature. Once again the Smithsons state that architectural reflection should start from the smallest scale, which means starting from the relationship between house and street, home and road, and thus this research is aimed at reflecting on the architectural and urban devices which make up the basis of this relationship. With the intervention of Team X it is now clear that living is not a fact confined to an apartment or dwelling, a private and individual space, but that it is exactly that by virtue of its extension and presence within the urban context, its links with public spaces. A reading of urban fabrics, and the Kasbahs in particular as organized systems reveals them as design tools in the conception of places for living not as individual architectural facts, building events in which the exclusive nature of the house and its external projections are detailed, but as systems for and of places, environments, objects that on different scales articulate the context of the habitat.
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2

ROSSI, MADDALENA. "Geografie inquiete. Gli spazi intermedi nel territorio postmetropolitano." Doctoral thesis, 2015. https://hdl.handle.net/2158/1003645.

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Abstract:
Processi di urbanizzazione regionale multi-scalare sono in corso a livello mondiale: essi presentano caratteristiche che li distinguono profondamente da quelli studiate e poste al centro della riflessione teorica dagli studi urbani nel XIX e XX secolo. Essi infatti producono territori e spazi diversi, per forma e funzione, da quelli studiati facendo riferimento prima alla idea di città e poi a quella di metropoli (Soja 2011).Tra di essi assumono particolare rilevanza i territorio in-between. Spazi residuali, indecisi, privi di scelte e funzioni formali. Luoghi inquieti, sui quali è difficile posare un nome. La tesi sostenuta è che nella nuova realtà urbana contemporanea questi spazi sono ‘esplosi’ quantitativamente e qualitativamente. Tali spazi, divenuti, quindi, uno dei tratti caratteristici dell’urbanizzazione contemporanea, possono avere un ruolo fondamentale nel rinnovare il lessico e gli strumenti analitici e intrepretativi degli studi urbani.
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CANGELLI, Eliana. "Lo sviluppo sostenibile dei sistemi insediativi. Criteri e strumentazioni per una progettazione bioecologica degli spazi intermedi." Doctoral thesis, 1997. http://hdl.handle.net/11573/412075.

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Abstract:
La ricerca ha avuto come oggetto il processo di programmazione e progettazione di unità insediative secondo strategie che ne assicurino la sostenibilità. L'obiettivo dell'elaborazione svolta è, fornire agli operatori i riferimenti culturali e di metodo necessari per intervenire in forma diretta e indiretta nell'indirizzare e controllare la realizzazione di nuove unità insediative. L’ambito di ricerca da cui muove il lavoro svolto è quello inerente la Normativa Tecnica Prestazionale, riferendosi in particolare ai contenuti prestazionali espressi dalla definizione del livello normativo del C.I.R. (Complesso Insediativo Residenziale), e rinvenendo in essi il contesto più appropriato entro cui collocare il tema della tesi. Il CIR, infatti, raccorda il livello pianificatorio ed urbanistico - che sta a monte - con il livello edilizio-tecnologico - che sta a valle - del processo di progettazione. In ragione di questa sua centralità può rappresentare il livello in cui far confluire le informazioni inerenti le variabili ambientali, e da cui far uscire gli input normativi verso il livello più alto (eco - pianificatorio), e verso il livello più basso (bioedilizio). Si evince infatti, dalla ricerca regionale, una sensibilità verso le problematiche delle trasformazioni ambientali nell’ottica di un controllo complessivo della qualità. (…) L’obiettivo specifico della tesi è stato la messa a punto di una strumentazione di guida per la stesura di programmi e progetti per la realizzazione di un quartiere a conformità ecologica. Ovvero l’individuazione di obiettivi ed azioni progettuali che possano essere di supporto per la programmazione, la stesura e la verifica di un progetto redatto con finalità ambientali in contesto mediterraneo. (…) Il lavoro arriva alla definizione di diversi contributi riconoscibili ed originali. Il primo è individuabile nella sistematizzazione delle conoscenze e delle ricerche circa la sostenibilità in ambito urbano individuate nell’area Nord Americana (…) Il secondo consiste nella messa a punto di un sistema di valutazione, che in forza della sua strutturazione, consente non soltanto la comparazione delle sperimentazioni progettuali, ma una rilettura dell’articolazione delle singole componenti del sistema urbano evidenziandone le variazioni dimensionali, le influenze derivate dalla loro diversa collocazione all’interno del sistema stesso, ed i reciproci legami ed interdipendenze. Uno strumento, cioè, di interpretazione funzionale dei modi di sviluppo e funzionamento delle unità insediative. Il terzo ed ultimo risultato, più propriamente operativo, è la stesura delle linee guida per la programmazione/progettazione di insediamenti sostenibili, che possono trovare la loro applicazione sia come supporto conoscitivo strutturato per i progettisti che si cimentano nell’impostare un progetto di tale tipo di insediamenti ; sia nell’adozione da parte di amministrazioni ed enti pubblici che si vogliono dotare di strumento di guida nella fase di programmazione degli interventi di realizzazione di nuovi unità insediative. [Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell'Architettura, UdS "La Sapienza" - VIII ciclo]
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4

SPIRITO, Gianpaola. "Buchi e interstizi. forme dello spazio intermedio nell'architettura contemporanea." Doctoral thesis, 2006. http://hdl.handle.net/11573/439910.

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Books on the topic "Spazi intermedi"

1

Erba, Luciano. Negli spazi intermedi: Poesie '96-'98. Milano: All'insegna del pesce d'oro, 1998.

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2

Anderlini, Fausto. Identità e spazio locale: Formazioni territoriali intermedie e reti istituzionali in Italia ed in Emilia-Romagna. Bologna: Editrice CLUEB, 1993.

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Book chapters on the topic "Spazi intermedi"

1

Collavini, Simone. "Spazi politici e irraggiamento sociale delle élites laiche intermedie (Italia centrale, secoli VIII-X)." In Haut Moyen Âge, 319–40. Turnhout: Brepols Publishers, 2007. http://dx.doi.org/10.1484/m.hama-eb.3.552.

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Conference papers on the topic "Spazi intermedi"

1

Fava, Federica. "Il progetto intermedio come luogo dell’empowerment: esempi di nuove pratiche nelle città europee." In International Conference Virtual City and Territory. Roma: Centre de Política de Sòl i Valoracions, 2014. http://dx.doi.org/10.5821/ctv.7904.

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Abstract:
‘Città in attesa’ sono il risultato fisico e concettuale dei profondi cambiamenti che coinvolgono la nostra società. Nel secolo dell’urbanità, lo spopolamento di molte città occidentali la mancanza delle risorse necessarie al completamento di grandi piani urbani producono un numero crescente di spazi vacanti. Rimandando la sua trasformazione ad un futuro indefinito, la città viene quindi ridotta a un paesaggio amorfo, riflesso dell’altrettanto disagio sociale che investe un’ampia fascia della cittadinanza media. In questo scenario di incertezza il progetto temporaneo diviene strumento efficace ad abilitare lo spazio urbano al suo uso evitandone un ulteriore degrado. Attraverso pratiche intermedie le ‘pause temporali’ in cui è costretta la città possono essere trasformate in momenti di sperimentazione diventando inoltre opportunità di riflessione sui mezzi e sulle modalità del progetto stesso. Questo lavoro propone dunque una riflessione sul concetto di tempo basata sull’idea di durata reale introdotta da Bergson. ‘Attivando’ sequenze temporali solitamente inutilizzate, il progetto intermedio diventa mezzo dinamico di riqualificazione urbana basato sull’’empowerment delle comunità locali. Obiettivo di questo scritto è infine sintetizzare le caratteristiche che rendono il progetto intermedio capace di innescare una trasformazione della città basata su un modo nuovo di partecipare, orientato al rafforzamento delle capacità resilienti degli abitanti coinvolti. A questo scopo vengono raccolti e classificati in quattro categorie dimensionali diversi progetti realizzati in ambito europeo dimostrandone l’adattabilità a tutti i livelli della pianificazione. The physical and conceptual result of the great changes which affect our society is a city in ‘stand-by’. Even if the XXI century is considered to be an ‘urban century’, many Western cities are shrinking and lack the resources which are necessary to complete planned masterplans. By postponing the transformation of the city to an indefinite future, the number of vacant spaces is increasing. This situation reduces the city into an amorphous landscape that also reflects the social problems concerning a wide number of citizens. In this uncertain scenario, the temporary project becomes an effective tool to open the urban space toward its use as well as to avoid a further degradation of the landscape. Through interim practices the 'forced breaks', to which the city is constrained, can be transformed into moments of experimentation, becoming an opportunity to reflect on the means and methods of the project itself. This work proposes a reflection on the concept of time based on the idea of real duration introduced by Bergson. 'Activating' usually unused sequences of time, the interim project works as a dynamic means of urban regeneration based on the empowerment of local communities. Finally, the aim of this paper is to summarize the features that make the intermediate project able to trigger a transformation of the city based on a new way to participate, attempting to strengthen the resilient capacity of the people involved. For this purpose several European projects are collected and classified into four dimensional categories, showing the adaptability of the temporary project at all scales and levels of planning.
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