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1

Gephart, Werner. "Senso. Sull’estetica sociologica dei sensi o sulla sociologia ontologica applicata." Rivista di estetica, no. 55 (March 1, 2014): 213–29. http://dx.doi.org/10.4000/estetica.1016.

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2

Bagnasco, Arnaldo. "Per una sociologia ragionevole nel cambiamento sociale. Considerazioni sul lavoro dei sociologi." Sociología del Trabajo, no. 100 (May 13, 2022): 33–44. http://dx.doi.org/10.5209/stra.81998.

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Abstract:
L’articolo propone una breve ricostruzione delle vicende economiche e sociali negli anni di Sociologia del Trabajo. Il primo paragrafo è un riassunto del cambiamento economico, elaborato dal punto di vista della sociologia economica, vale a dire con riferimento agli assetti istituzionali che hanno regolato l’interazione degli interessi in gioco in momenti successivi; il secondo paragrafo prova invece a rendere conto di come è cambiata in quel processo la società, mostra l’evoluzione della sua struttura con riferimento alla ricerca sulla disuguaglianza sociale. L’ultima parte è una riflessione sul tipo di sociologia utile da praticare oggi, nel cambiamento descritto in precedenza. Con la scelta di alcuni riferimenti disponibili in una vasta letteratura di ricerca, cercati come segnavia o indizi, è proposto un percorso in direzione di una sociologia ragionevole, vale a dire una sociologia che ha senso della misura, è realista, riformista, impegnata. In un momento in cui ci sono segni ovunque di arretramento istituzionale, compito dei sociologi è collaborare al rafforzamento e rinnovamento delle istituzioni democratiche costruite con fatica, e a contribuire, per la loro parte, al progetto di assetti condivisi di regolazione nel cambiamento.
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3

Floriani, Sonia. "I movimenti del ritorno nell’esperienza dei migranti italiani in Canada." Italian Canadiana 35 (August 18, 2021): 79–93. http://dx.doi.org/10.33137/ic.v35i0.37219.

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Abstract:
Ai fini di un’interpretazione dei modi in cui la migrazione si trasforma nel tempo biografico, in questo saggio concentro l’attenzione sull'esperienza del nóstos. Infatti, analizzando sia i modi in cui cambiano la rappresentazione e la pratica del ritorno nella biografia del migrante, sia le forme in cui si dissolve e si ricostruisce il senso di dimora, propongo alcune ipotesi di lettura dell'esperienza della migrazione. La costruzione delle ipotesi si è avvalsa del ‘dialogo’ con alcune figure di straniero proposte dalla sociologia classica, in particolare da Alfred Schutz, Georg Simmel e Robert Park, e delle narrazioni biografiche raccolte nel corso di una ricerca sulla migrazione italiana del secondo dopoguerra in Canada.
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4

Passigli, Stefano. "RIFORME ISTITUZIONALI E GOVERNO: UN COMMENTO." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 21, no. 3 (December 1991): 419–40. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200017846.

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Abstract:
IntroduzioneIl dibattito sulle riforme istituzionali, dopo molti anni di andamento “carsico” con improvvise emersioni ed altrettanto rapide scomparse, sembra avere trovato con le campagne referendarie del Comitato promosso dall'on. Segni la via maestra per giungere ad un qualche sbocco. I promotori del referendum si propongono di modificare i sistemi elettorali in senso maggioritario con il triplice obiettivo di aumentare la governabilità, sottraendo la scelta dei governi al gioco dei partiti e rimettendone la formazione a forme più dirette di investitura popolare; favorire un più diretto rapporto tra eletti ed elettori; e migliorare la qualità della classe politica. Un evidente filo rosso lega questi obiettivi: la convinzione che ilparty governmentabbia fatto il suo tempo e che la nostra società richieda una democrazia meno mediata. Le concrete alternative sollevate nel dibattito e dai quesiti referendari sottendono dunque questioni più ampie, cui non possiamo dedicarci nel breve spazio di questorejoinder, e cui accenniamo solo per sottolineare che esse non potevano non destare l'attenzione di uno studioso che, come Sartori, ha fatto nella democrazia, e dei partiti e sistemi di partito, il focus principale dei suoi interessi. Nell'esaminare il saggio di Sartori va dunque innanzitutto detto che il suo è un contributo non solo estremamente topico, ma anche che discende direttamente da molte sue affermazioni teoriche.
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Rossi Sciumè, Giovanna. "Problemi sociologici emergenti nel merito del dibattito sulla procreazione assistita." Medicina e Morale 42, no. 1 (February 28, 1993): 165–81. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1993.1074.

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Abstract:
Il contributo si propone di analizzare sotto il profilo sociologico alcuni dei principali nodi problematici evidenziatisi in seguito alla diffusione delle tecniche di procreazione assistita. Il punto di partenza di questa analisi è costituito dal superamento della definizione strettamente medica della sterilità e della considerazione di tale fenomeno come "questione sociale totale", che coinvolge l'individuo nella sua interezza, vale a dire nella sua dimensione fisica, psichica, affettiva e relazionale. L'assunzione di tale prospettiva implica inevitabilmente un'attenta valutazione dell'impatto delle tecniche di procreazione assistita sulla specifica configurazione della famiglia e della coppia che a tali tecniche si rivolge; inoltre, la diffusione di queste procedure, che, come si può intuire, ha comportato un mutamento di segno problematico del significato della genitorialità, richiede, al fine di evitare un ripiegamento in senso puerocentrico e narcisistico della cultura familiare, la delineazione dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento di procreazione assistita - ed in primo luogo di quelli del bambino nato tramite queste tecniche - ed un leale confronto tra i diritti stessi.
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6

Serpieri, Roberto. "Leadership educativa: prendere sul serio l'etica." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 160 (August 2021): 67–87. http://dx.doi.org/10.3280/sl2021-160004.

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Abstract:
Lo scopo di questo articolo è dimostrare come le politiche educative che hanno ristrutturato i sistemi educativi dagli anni '80 e che si sono diffuse in tutto il mondo occidentale, puntato sulla leadership come leva per il cambiamento. Discorsi, paradigmi e ‘nuovi' esperti hanno infatti rimodellato il ruolo dei dirigenti scolastici in senso managerialista, per implementare nelle scuole tecnologie, metodi, strumenti e perfino teorie e valori provenienti dai settori privati ed imprenditoriali. Qui sono presentate le teorie che hanno sostenuto tali cambiamenti, impattando perciò sulla leadership educativa come professione. Una mappa concettuale distingue i discorsi, welfarista, managerialista e ‘critici', così come le premesse ontologiche ed epistemologiche che sostengono le teorie della leadership. Con questa cornice, le ricerche empiriche sulla leadership educativa, condotte di recente sia a livello internazionale che italiano, sono criticamente discusse alla luce di questo scivolamento della dirigenza scolastica verso un ethos neoliberale.
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7

Cazzola, Franco. "LA CORRUZIONE POLITICA IN ITALIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 18, no. 2 (August 1988): 223–58. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200012193.

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Abstract:
IntroduzioneIn altra sede ho già avuto modo di ricordare come intorno al problema «corruzione politica» (un fenomeno difficile da afferrare) sia venuta fuori una miriade babelica di esercizi denotativi riconducibile a tre grandi filoni, a seconda del criterio che vi viene posto a base. Se si assume il criterio legalistico corruzione è «un comportamento che devia dai doveri formali di un ruolo pubblico (una carica elettiva o dovuta a nomina) per ottenere vantaggi legati a questioni private (personali, di famiglia, di clan privato) relative al denaro o allo status; oppure che viola delle regole stabilite per impedire indebite forme di influenza privata». Se, invece, si pone a fondamento della definizione il criterio dell'interesse pubblico si allarga notevolmente il concetto di corruzione: «Un sistema di ordine pubblico e civile esalta l'interesse comune ponendolo al di sopra di interessi particolari; trasgredire l'interesse comune per interessi particolari è corruzione». Se, infine, si cerca nel criterio dell'opinione pubblica il fondamento della definizione abbiamo che è corruzione ciò che viene considerato tale dal peso dell'opinione pubblica: un atto è presumibilmente corrotto solo se la società lo condanna come tale, e se chi lo compie sente dei sensi di colpa nel compierlo.
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8

Cucci, Giovanni. "RELIGIONE E SECOLARIZZAZIONE. DUE REALTÀ ANTITETICHE?" Síntese: Revista de Filosofia 47, no. 149 (December 20, 2020): 535. http://dx.doi.org/10.20911/21769389v47n149p535/2020.

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Abstract:
La secolarizzazione in Europa nasce da lontano. Nell’articolo se ne mostrano le radici filosofiche e teologiche, legate alla rigorizzazione della problematica di Dio e alla pensabilità della sua presenza nel mondo. La crisi della scolastica, accentuata dal sorgere della scienza moderna, porta all’esclusione della problematica teologica dalle università, dal vivere civile (a motivo della guerre di religione e dell’inquisizione, cattolica e protestante) e dalla riflessione filosofica (Kant). La problematica religiosa ritrova interesse in sede culturale a partire dagli anni ’70 del ‘900, in sociologia (Berger, Casanova), in filosofia (Wittgenstein, Plantinga), in psicologia (Bruner, Gardner). Ciò che accomuna queste prospettive è la pluralità di approcci possibili al mondo e alla vita, nessuna delle quali ha la pretesa di ritenersi di dominio esclusivo. Il ripensamento del rapporto tra religione e secolarizzazione è sempre più ricorrente anche in sede socio/politica, con l’esplodere dei problemi legati al pluralismo religioso, alle migrazioni e alla crisi di senso, che pongono problemi enormi in ordine alla sopravvivenza stessa delle società occidentali.
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9

Rebon, Julian, and Rodrigo Salgado. "Le imprese recuperate dai lavoratori nella cittŕ di Buenos Aires: un bilancio in prospettiva emancipatoria." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 123 (September 2011): 150–62. http://dx.doi.org/10.3280/sl2011-123009.

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Abstract:
L'articolo si interroga sulla capacitŕ di trasformazione sociale in un senso emancipatorio dell'esperienza legata al recupero di imprese da parte dei lavoratori nella Ciudad Autónoma de Buenos Aires. In questo senso, gli autori analizzano diverse dimensioni riferite agli elementi constituenti del processo, cosě come alla natura sociale dell'ordine socio- produttivo emergente.
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Costantini, Eleonora. "Mobilitŕ e invisibilitŕ. Le principali trasformazioni nel mondo della prostituzione migrante esercitata in luoghi chiusi." MONDI MIGRANTI, no. 1 (September 2010): 83–102. http://dx.doi.org/10.3280/mm2010-001004.

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Abstract:
Negli ultimi dieci anni il mercato della prostituzione ha suběto costanti mutamenti, alcuni dei quali particolarmente complessi da indagare a causa delle sempre piů frequenti strategie di mascheramento della vendita di sesso e del conseguente sfruttamento, in appartamenti o in locali di intrattenimento, soprattutto della componente migrante. L'analisi - utilizzando i principali concetti della sociologia dalle migrazioni - si propone di ripercorrere queste trasformazioni a partire dai concetti di mobilitŕ e visibilitŕ, utilizzando i dati e le informazioni provenienti da due ricerche realizzate negli anni 2003-2005 e 2007-2008, sul territorio della regione Emilia Romagna. Oggi la prostituzione si presenta come un mercato altamente differenziato al proprio interno, con almeno tre segmenti prevalenti, funzionalmente interrelati tra loro: quello della strada, quello degli appartamenti e quello dei locali. Riguardo alle soggettivitŕ coinvolte la componente migrante rappresenta ancora quella piů significativa, sia in termini di genere femminile che transessuale. L'esercizio della prostituzione in luoghi chiusi, inoltre, ha favorito la trasformazione e la proliferazione delle reti di supporto necessarie al buon funzionamento del mercato: la prostituzione in appartamento, ad esempio, richiede agenzie e intermediari immobiliari, figure di protezione e/o controllo, o agenzie sovra-locali in grado di gestire spostamenti di lavoro tra cittŕ diverse. I locali, d'altra parte, si stanno evolvendo verso forme sempre piů simili a pub o birrerie, discoteche o disco-pub, in cui si accede prevalentemente per bere, ascoltare musica e in cui si puň assistere agli spettacoli delle intrattenitrici. In un mercato con queste nuove caratteristiche, la prostituzione rappresenta oggi per la componente migrante un lavoro redditizio che permette una certa mobilitŕ sociale anche in patria; da qui l'idea di realizzare percorsi migratori ripetuti nel tempo, il cui obiettivo č l'accumulo di risorse economiche in tempi rapidi. Il meccanismo del debito contratto per il viaggio e per il supporto logistico una volta a destinazione, rende tuttavia l'esercizio della prostituzione una risorsa logorante, ossia una risorsa che nel lungo periodo puň imbrigliare il percorso migratorio verso il basso. Le principali ragioni che connotano in questo senso l'esercizio sono la sempre forte concorrenza verso il basso che si registra nel mercato; l'investimento individuale richiesto in termini di risorse economiche e fisiche; la pericolositŕ dell'esercizio che si lega alla natura deviante del mercato; infine, la raggiunta competenza e specializzazione delle reti criminali nelle molte attivitŕ che l'esercizio in appartamento e nei locali richiedono
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Filippi, Davide. "Il curriculum accademico e la professione del ricercatore. Pratiche di adattamento strategico all'interno del CV." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 160 (August 2021): 157–77. http://dx.doi.org/10.3280/sl2021-160008.

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Abstract:
Il presente contributo analizza la relazione che intercorre tra il percorso professionale dei ricercatori universitari e le forme e i significati che questi assegnano al proprio Curriculum Vitae. L'autore si concentra nel collocare dal punto di vista teorico il dispositivo rappresentato dal Curriculum Vitae all'interno dei paradigmi governamentali istituiti dal neoliberalismo e delle relazioni sociali da essi determinati. In questo senso, l'emergere di quello che in letteratura è definito come un Self Neoliberale è particolarmente visibile all'interno delle strutture standardizzate che organizzano un "buon CV", il quale agisce in modo performante nel dare una specifica forma alle soggettività accademiche. Dal punto di vista empirico, l'autore mette in relazione le informazioni raccolte attraverso ventiquattro interviste in profondità a ricercatori e ricercatrici precari italiani con l'analisi dei CV che gli stessi soggetti avevano inviato prima dell'intervista stessa.
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Góralski, Wojciech. "Ewolucja ustawodawstwa Kościoła łacińskiego w przedmiocie małżeństwa katolika z nieochrzczonym." Prawo Kanoniczne 49, no. 1-2 (June 15, 2006): 139–70. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2006.49.1-2.06.

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Abstract:
La Chiesa fin dall’inizio della sua attività ha ritenuto, per salvare la fede dei propri credenti, di proibire il matrimonio di un cattolico con una persona non battezzata. Questa proibizione abbracciava del resto anche il matrimonio di un cattolico con la parte battezzata appartenente pero all’eresia o alla scisma. Solo nel XIII secolo nella dottrina si è cominciato a distinguere fra l’impedimento dirimente esistente fra cattolico e non battezzato (disparitas cultus) e l’impedimento proibente esistente fra cattolico e un battezzato non cattolico (chiamato poi mixta religio). La disciplina giuridica della Chiesa Latina relativa all’impedimento di disparità di culto, come del resto a quella mixta religio, nel medioevo, quindi dopo il Trento e nei secoli seguenti incluso il periodo della vigenza del Codice di Diritto Canonico del 1917 era improntata da un rigore e ad una intransigenza assolutamente incompatibili con quell’atteggiamento di apertura e di comprensione verso le altre forme di credenza che ha iniziato il Concilio Vaticano II. Il nuovo clima ecumenico ha permesso di cambiare assai sostanzialmente la disciplina tradizionale nel campo dei matrimoni misti, tra l”altro per quanto riguarda l’unione di un cattolico con un non battezzato. Una riforma su questa materia apparve pertanto urgente. L’Istruzione „Matrimonii Sacramentum” della S. Congregazione per la Dottrina della Fede del 18 marzo 1966 è stato il primo passo nella strada verso gli ulteriori cambiamenti. Il papa Paolo VI per cui il problema dei matrimoni misti era uno dei più scottanti e urgenti ha proposto ai membri della prima assamblea generale del Sinodo dei Vescovi (nel ottobre 1967) un fascicolo dal titolo „Argmumenta de quibus disceptabitur in primo generali coetu Synodi Episcoporum, pars altera”, nel quale sono state inserite fra l’altro le questioni dei matrimoni misti. Come il frutto di questa consultazione si è mostrato il motu proprio dello stesso pontefice „Matrimonia mixta” del 31 marzo 1970. Il documento paolino ha rivelato un notevolo sforzo di adeguamento ai principi conciliari e ha segnato in tal senso un notevole progresso rispetto al precedente regime giuridico. Con la promulgazione il 25 gennaio 1983 dal papa Giovanni Paolo II del nuovo Codice di Diritto Canonico, in cui si codifica quasi ad litteram la legislazione del motu proprio di Paolo VI, resta invariato l’impedimento di disparità di culto. L’evoluzione della disciplina della Chiesa Latina in materia dei matrimoni fra cattolici e non battezzati, pur rivelando un significativo progresso rispetto al passato, dovrebbe continuare ad essere più adatta ai fattori sociologici caratteristici dalla cultura occidentale moderna.
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Paltrinieri, Roberta. "L'uso dei beni: il rapporto tra consumi e felicitŕ." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 116 (April 2010): 118–31. http://dx.doi.org/10.3280/sl2009-116011.

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Abstract:
Il saggio discute sull'attualitŕ dell'homo oeconomicus e sulla teoria del consumo di matrice economica, proponendo alcune riflessioni sociologiche sui modelli di consumo nella societŕ globale alternative a quelle proposte dall'economia. A partire dai processi di individualizzazione si profila una nuova soggettivitŕ capace di scegliere responsabilmente, che fonda una teoria dell'azione valida per l'economia della responsabilitŕ sociale. Il cittadino-consumatore come homo civicus, cioč come soggetto dotato di senso morale diventa il presupposto per modelli di sviluppo economici e sociali sostenibili e comprensivi.
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Lodigiani, Rosangela. "I nuovi termini della socializzazione (alla cittadinanza) lavorativa." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 117 (May 2010): 59–73. http://dx.doi.org/10.3280/sl2010-117005.

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Abstract:
La transizione al lavoro dei giovani si realizza attraverso percorsi lunghi, flessibili, individualizzati. Ciň influisce sulla socializzazione lavorativa nonché sulla cultura e sull'etica del lavoro dei giovani, rendendo piů difficile la costruzione di una carriera occupazionale stabile e di una solida identitŕ professionale. I processi di socializzazione lavorativa divengono ricorsivi, discontinui, frammentati; non riescono piů a trasmettere il senso di una appartenenza, ma - inquadrati nel paradigma europeo dell'attivazione e dell'occupabilitŕ - richiamano a una cittadinanza occupazionale nei fatti difficile da conquistare e mantenere e spesso incapace di rispondere ai bisogni di realizzazione di sé e riconoscimento sociale. Ne derivano nuove disuguaglianze tra i giovani e una ridefinizione del significato del lavoro nel corso di vita. Emerge dunque la necessitŕ di politiche tese a supportare le transizioni lavorative affinché conservino un profilo professionalizzante, consentano la capitalizzazione di competenze, siano sostenibili dentro la biografia individuale. Occorre perň ridare valore al lavoro dei giovani, integrando l'obiettivo dell'occupabilitŕ con quello della capability di scegliere un lavoro che abbia valore per sé.
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Addante, Luca. "TRA SARTORI E LIJPHART: UNA TIPOLOGIA DELLE FORME DI GOVERNO DEMOCRATICHE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 33, no. 2 (August 2003): 225–55. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200027167.

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Abstract:
IntroduzioneUno dei fenomeni più evidenti nell'evoluzione della scienza politica dell'ultimo ventennio è il ritorno alle tematiche istituzionali. Le forme di governo, i tipi di Stato, in breve — con tasso d'astrazione più elevato — le istituzioni politiche nel senso più classico del temine, hanno riacquistato status privilegiato nell'orizzonte dell'analisi politologica dopo un disinteresse durato diversi decenni (Linz e Valenzuela 1994; Pasquino 2001).
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Lombardini, Giampiero, and Paolo Rosasco. "Trasformazione urbana tra convenienze private ed interessi pubblici. Il waterfront di Genova." ARCHIVIO DI STUDI URBANI E REGIONALI, no. 129 (March 2021): 160–82. http://dx.doi.org/10.3280/asur2020-129-s1008.

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Abstract:
Nei recenti processi di trasformazione urbana i margini di redditività per gli investitori si so-no ridotti e le decisioni di investimento devono trovare un equilibrio tra le istanze del sog-getto pubblico, che cerca di trarre il massimo vantaggio dalla trasformazione urbana in termini di servizi pubblici e il soggetto privato orientato alla massimizzazione dei profitti e alla riduzione del rischio. In questo senso, il caso del waterfront genovese costituisce un in-teressante caso di studio. .
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Sobański, Remigiusz. "Znaczenie pojęcia osoby w kanonicznym porządku prawnym." Prawo Kanoniczne 40, no. 3-4 (December 10, 1997): 3–13. http://dx.doi.org/10.21697/pk.1997.40.3-4.01.

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Abstract:
Nel concetto cristiano ogni uomo è una persona, cioè un essere dotato dell’intelletto e della volontà, e questo lo rende il soggetto dei diritti e dei doveri i quali hanno origine nella sua „natura” (in questo chi è) e percio universali, intangibili e inalienabili. L’uomo - la persona umana - nella immagine cristiana dei mondo creato prende il posto centrale e per questo „la persona umana è e deve essere il principio, il soggetto e l’obbiettivo di tutte le organizzazioni sociali”. Questa dignità personale si deve a tutti gli esseri umani - l’essere umano è ,,l’unica creatura sulla terra il quale Dio voleva per lui stesso”, è „un segno particolare dell’immagine Divina”, è capace dell’autodecisione e non si puó trattarla come un mezzo per raggiungere (un qualsiasi) scopo, ma sempre come un obiettivo in sé stesso („la norma personalistica”). Nella filosofia cristiana la persona è un concetto dinamico, comprendente sia la costituzione biopsichica che la realizzazione esistenziale della natura umana. Il diritto canonico riconosce e presume che ogni essere umano è una persona, ma li dove si parla semplicemente della persona umana indipendentemente dal fatto se essa è battezzata, di solito si usa la parola homo (ma nel c. 1086 § 1 la „persona” significa anche una persona non battezzata), invece la „persona” è un termine tecnico che significa il soggetto della capacità giuridica. In questo significato è stato usato il termine persona nel c. 96 CIC/1983 e (indipendentemente dalle differenze tra c. 87 CIC/1917 e c. 96 CIC/1983) bisogna notare il complementare c. 204. Ci si presenta una domanda: perché due volte si dice lo stesso? Nei documenti della Commissione per la revisione del Codice troviamo la spiegazione che nel secondo libro CIC si parla delle persone come dei membri del Popolo di Dio e non delle persone nel senso giuridico. Allora ci si presenta la domanda: in che senso - se non nel senso giuridico - si parla delle persone nel Codice del diritto? Gli autori che difendono quella doppia - diciamo: a doppio aspetto - presentazione fanno notare che il termine „persona” un termine giuridico, statico e formale, il suo punto di riferimento è l’ordine giuridico, invece „christifidelis” un termine teologico, dinamico, contenente i diritti e i doveri dei fedeli e il suo punto di riferimento è populus Dei. Secondo questo concetto la „persona” - diversamente da „christifidelis” - non sarebbe in grado di esprimere adeguatamente uguale, in quanto riguarda la dignità e l’azione, posizione giuridica dei fedeli nella Chiesa, della quale nel c. 208. „Christifidelis” costituisce - secondo questo concetto - il fondamento per la „persona”. Si ammette invero che la „persona” puó essere sostituita con „christifidelis”, ma meglio lasciare la „persona” perché (1) la „persona” riguarda anche le situazioni regolate non risultanti dal fatto del battesimo e (2) rende più facile la comunicativa e la compatibilità con il diritto secolare. Bisogna perô notare che nella Chiesa un uomo diventa una persona proprio tramite il battesimo e da questo punto di vista questi termini sono intercambiabili, nel c.96 non si parla della capacità giuridica in genere, ma si parla della capacità giuridica nella Chiesa, cio non esclude la capacità giuridica dei non battezzati. La capacità, della quale nel c. 96, è l’effetto del battesimo ed è inseparabile dall’incorporazione nella Chiesa, ma per questa capacità il fondamento costituisce la persona umana: la „personalità” canonica si fonda su quella naturale, non la distrugge - un battezzato non ha la doppia personalità (una naturale e altra cristiana), ma corne un uomo (battezzato) è una persona nella Chiesa. Un uomo diventa cristiano tramite il donare che si effettua nel momento di esprimere la fede e di ricevere il battesimo. Questo dono lo rende capace di agire -lo rende capace e anche destina. Questa ontica capacità di agire poi diventa approfondita e indirizzata tramite altri sacramenti. Nella Chiesa la capacità di agire non è un aggiunta alle altre caratteristiche e attributi dell’uomo, ma caratterizza lo status ecclesiastico di un fedele in cui i doni del battesimo e le predisposizioni congenite si uniscono in un insieme. Nella nuova situazione, risultante dal battesimo, si trova un singolo, concreto uomo - e in questo senso essa ha il carattere personale. Ma nello stesso tempo essa ha anche il carattere comunitario - non solo perché con il battesimo l’uomo entra nella comunità, ma soprattutto perché questa situazione risulta dall’esistenza e dall’azione della comunità. L’uomo non avrebbe provato i frutti della redenzione, se la Chiesa non avesse funzionato come uno strumento della salvezza. Nella Chiesa e tramite la Chiesa si realizza la storica e sociale realtà della partecipazione di Dio nel mondo tramite Cristo, nella Chiesa l’uomo prova le grazie redentrici e ricevendole viene coinvolto nell’attività della comunità la quale da la prova della verità e dell’amore. Entrato nel communio, grazie ai doni che aveva ricevuto e con questi doni è diventato il soggetto dell’attività della Chiesa. Proprio questo fatto si cerca di esprimere nel diritto con il concetto della persona. Christifidelis non è che la „persona in Ecclesia”. Questi termini non devono essere differenziati perché altrimenti la riflessione sull‘uomo nella Chiesa seguirebbe il doppio corso, uno giuridico e altro teologico. Senza dubbio, per quanto riguarda l’imagine dell’uomo nella Chiesa, bisogna prendere in considerazione tutto ció che sull’uomo pue dirci la filosofia, psicologia, biologia e sociologia, ma non si pué perdere dalla vista le teologiche conseguenze del battesimo e trattarle come se non meritassero l’attenzione giurudica.
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Martinelli, Monica, and Mauro Magatti. "Autorità, potere e spirito del capitalismo. Stili di leadership in impresa." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 162 (March 2022): 98–120. http://dx.doi.org/10.3280/sl2022-162005.

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Abstract:
Autorità, potere e spirito sono tre categorie che vengono diversamente comprese e articolate. Nello sviluppo dei modelli di capitalismo e nelle varie forme di leadership, la dimensione trascendente (evocata dall'autorità) arretra a favore di quella immanente (che contrassegna il potere), lasciando tuttavia irrisolte questioni cruciali per le organizzazioni e il modello di sviluppo socio-economico, nei loro (imprescindibili) nessi con la dimensione antropologica che il termine ‘spirito', in senso weberiano, manifesta. Il testo ripercorre l'evoluzione dei modelli gestionali nelle imprese dentro le diverse forme di capitalismo attorno a tre passaggi temporali: gli albori del capitalismo occidentale moderno, le trasformazioni avvenute nel ‘900 e soprattutto a inizio del XXI secolo con il capitalismo delle piattaforme, le possibili alternative verso un nuovo spirito del capitalismo. In questi passaggi, l'articolazione ‘autorità-potere', nonostante apparentemente irrilevante, in realtà sopravvive mettendo in luce la cruciale questione del riferimento a una dimensione ‘spirituale' che riguarda le forme organizzate.
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Gallina, Vittoria. "Bisogni formativi e politiche di welfare." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 120 (February 2011): 139–52. http://dx.doi.org/10.3280/sl2010-120007.

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Abstract:
Il lifelong learning č la risposta che le politiche educative hanno saputo costruire alla fine del secolo scorso di fronte ai processi di mondializzazione del lavoro ed ai fenomeni migratori. La durezza e la complessitŕ dei processi sociali indotti dal cambiamento produttivo nel mondo globale chiedono uno sforzo di conoscenza ed un impegno di risorse inedito, per contrastare processi di disgregazione sociale e per sostenere gli individui che "rischiano" nel mondo del lavoro flessibile. Le prospettive educative sono chiamate a inventare percorsi che aiutino gli individui a vedere lontano e a progettarsi al di lŕ della occupazioneche il mercato del lavoro presenta oggi come unica, quasi, opportunitŕ di inserimento sociale. Sistemi formativi/ istruttivi efficaci dovranno progressivamente abbandonare la illusoria valenza dei percorsi interdisciplinari, valorizzando invece la trasversalitŕ di saperi e competenze e esplicitando le finalitŕ di ogni fase del processo di apprendimento, al fine di attribuire a questo senso e valore per il soggetto che apprende.
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Bartolini, Stefano. "COSA È «COMPETIZIONE» IN POLITICA E COME VA STUDIATA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, no. 2 (August 1996): 209–67. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024230.

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Abstract:
I termini «competizione politica», «elettorale» o «partitica» figurano nei titoli e nei testi di ricerca politica con crescente frequenza, ma con significati molto diversi. Per lo più, il termine è generico e si riferisce all'intero processo elettorale e parlamentare. Nei modelli formali esso indica le strategic dei partiti nei quadro ristretto di assunti sulle motivazioni, preferenze e informazioni. Nella letteratura sulla teoria democratica la competizione politica figura sovente come caratteristica essenziale, quando non definitoria, della democrazia stessa. In questo articolo voglio chiarire il senso dell'applicazione alla politica della categoria «competizione» partendo da cinque considerazioni critiche.
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Cartocci, Roberto. "INDIZI DI UN INVERNO PRECOCE: IL VOTO PROPORZIONALE TRA EQUILIBRIO E CONTINUITÀ." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, no. 3 (December 1996): 609–53. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024527.

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Abstract:
Non solo un correttivoLa riforma elettorale del 1993, pur nella sua architettura bifronte e ambigua1, modifica in maniera decisiva il sistema elettorale in senso maggioritario. La quota di seggi assegnata con il sistema proporzionale, pensata per attutire i verdetti, prevedibilmente perentori, della competizione maggioritaria a turno unico, rispetto a quest'ultima assume un peso numericamente subordinato.In conformità allo spirito e alla lettera della legge sia nel 1994 sia nel 1996 il confronto elettorale è stato centrato sulla competizione maggioritaria, in cui le coalizioni e i candidati nei collegi uninominali hanno giocato il ruolo degli attori principali. Nel 1996, poi, il rilievo della competizione maggioritaria è stato ulteriormente accresciuto in virtù del processo di apprendimento istituzionale degli attori2. In particolare, nel 1996 un adeguamento decisivo al formato maggioritario è passato attraverso la contrapposizione di due leader di coalizione, designati come capi del futuro esecutivo. Questa personalizzazione dello scontro, così congeniale alle esigenze di semplificazione e drammatizzazione dei media, ha di conseguenza accentuato il rilievo delle due coalizioni principali, che hanno allargato la loro ombra sugli altri attori (la Lega, i candidati di collegio, ecc.), e soprattutto a danno dei contendenti dell'arena proporzionale.
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Finer, Samuel E. "LO STATO IN PROSPETTIVA STORICA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 20, no. 1 (April 1990): 3–28. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008935.

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Abstract:
IntroduzioneNonostante l'opinione dei revisionisti, dal mio punto di vista l'Impero romano d'Occidente é veramente crollato; i secoli bui del Medio Evo sono stati veramente bui e iregnache da questo periodo sono faticosamente emersi non erano «stati» nel senso che noi oggi diamo a questo termine. Dopo la caduta dell'Impero romano dovevano passare un migliaio di anni prima che apparisse il «moderno stato europeo». Vorrei sottolineare come, contrariamente a quanto molti ritengono, l'Europa non abbia ‘inventato’ lo Stato. L'Europa lo hareinventatodopo un lungo periodo in cui al crollo era seguita una condizione di quasi anarchia e successivamente il feudalesimo.
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Santoro, Carlo M. "MODELLI DI SICUREZZA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 18, no. 1 (April 1988): 3–39. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200017251.

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Abstract:
IntroduzioneL'impiego di modelli consente di ordinare concettualmente una teoria, oppure una pre-teoria, nel senso che per le sue caratteristiche di rappresentazione schematica (e talvolta anche grossolana) della realtà facilita l'identificazione di tutti gli elementi necessari alla sua impostazione. D'altra parte opera un raccordo fra classi o idealtipi la cui affinità affiora indirettamente, per metodo comparativo, proprio nel quadro della loro diversità. Infine, attraverso la loro potenza esplicativa, per le proprietà di raffigurare una teoria, nonché per la loro semplicità, riduzione di scala, e omissione dei dettagli, i modelli possono far da crocicchio, ovvero da intersezione, anche in seno all'analisi delle Relazioni Internazionali.
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Stewart, Fiona M. "The interaction of methodology with an impegno del dopo in Nuto Revelli's collections of oral testimonies." Modern Italy 13, no. 1 (February 2008): 51–68. http://dx.doi.org/10.1080/13532940701765932.

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Abstract:
Among his varied publications, Nuto Revelli (1919–2004) produced three collections of oral testimonies gathered from the contadini (peasants) of Piedmont: La strada del davai, Il mondo dei vinti and L’anello forte. This article argues that these collections were the product of the same specific impegno del dopo (‘obligation of afterwards’) as his initial autobiographical writings, which had arisen from his experiences as an officer on the Russian Front during the Second World War. From this premise, the article then examines the interaction of Revelli's sense of impegno del dopo with the methodology he developed. The article concludes with an assessment of Revelli's stated aims and his actual achievements.
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Dubet, François, Marie Duru-Bellat, and Antoine Vérétout. "Le diseguaglianze scolastiche a monte e a valle. Organizzazione scolastica e influenza dei titoli di studio." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 120 (February 2011): 50–79. http://dx.doi.org/10.3280/sl2010-120004.

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Abstract:
Ovunque la scuola riproduce la disuguaglianza sociale risultando piů favorevole per gli studenti socialmente e culturalmente avvantaggiati. Tuttavia questa "legge" č troppo generica per spiegare le forti variazioni del livello di riproduzione sociale rilevata tramite confronti internazionali. Sulla base di tali indagini, il saggio illustra innanzitutto che tali variazioni non sono spiegate direttamente dalla portata delle disuguaglianze sociali, ma occorre fare riferimento ad altri due fattori. Il primo ha a che fare con l'organizzazione dei sistemi scolastici, la quale incrementa o attenua gli effetti della disuguaglianza sociale sulle disuguaglianze scolastiche. Il secondo si colloca a valle della scuola ed ha a che fare con l'intensitŕ dell'influenza dei titoli di studio sull'accesso alle diverse posizioni sociali; in tal senso si mostra che tanto piů tale influenza č forte, tanto piů sono marcate le diseguaglianze di istruzione e rigida la riproduzione delle diseguaglianze sociali. In definitiva č il ruolo assegnato alla scuola dalle varie societŕ che determina il livello della riproduzione sociale. A partire dalle risultanze dello studio illustrato, condotto su un campione di paesi, che analizza dati a livello aggregato sarebbe molto utile effettuare approfondimenti qualitativi complementari per comprendere come opera la riproduzione sociale.
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Ndinda, Lucia. "The Church as the “People of God”." Journal of Sociology, Psychology & Religious Studies 4, no. 1 (May 8, 2022): 20–31. http://dx.doi.org/10.53819/81018102t6010.

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Abstract:
The Church as “People of God” is a term that has gained prominence since the Vatican II Council although the term has been in use since the times of the Old Testament (OT). In the OT the Israelites were referred to as People of Yahweh, In Exodus Moses conducts a covenant between the “People of God” and God himself; “You shall be my people and I will be your God” (Deut 32:9). Today we have some theologians who argue that all humankind is indeed the “People of God” (Osei-Bonsu) since they were created by the same God who is our Father. Others think that the term “People of God” refers to all Christians in the NT context where it involves the community of believers (1 Peter 2:9) “You are a chosen race, a royal priesthood, a people set apart to sing God’s Praises.” The limitations of the image “Populi Dei” (or People of God) arises in two ways; first, that of understanding the unity that is demanded by core concepts such as ‘Body of Christ,” and secondly, the more sociological meaning that risks the mystery aspect of Christ’s mission in the world. In comparing the Catholic and evangelical conceptualization about the image of the Church, the evangelicals often tend to focus more on the virtual or spiritual unity, while the Catholic understanding refers to both physical and spiritual unity of the Church. Therefore, the term “People of God” is greatly accepted among evangelicals than Corpus Christ that is often more popular in the Catholic circles. Lumen Gentium (Vat. II) used the term “People of God” in direct reference to the Church as an image hence giving it a deeper meaning. The second chapter of Lumen Gentium bears the title ““People of God”.” This title does not refer to the laity in contra-distinction to the “hierarchy,” but rather it applies to all members of the Church. First it was used to refer to the Church as a body of the New covenant in Christ’s blood and in the sense of Koinonia or communion of the Christ’s faithful. Therefore the “People of God” refers to the Corpus Christi (i.e., Body of Christ) that is united in one faith and one love and moving towards the soteriological calling by Christ their head. The aim of this paper is to shed light on the Populi Dei concept that underscores the practical implications of the term Populi Dei in continuous self-awareness of the Church in the increasing roles to be taken up by the lay faithful. Keywords: Church, People of God, Lumen Gentium, Body of Christ
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Battegazzorre, Francesco. "L'INSTABILITÀ DI GOVERNO IN ITALIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 17, no. 2 (August 1987): 285–317. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200016695.

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Abstract:
IntroduzioneIn un noto contributo sul tema della stabilità governativa pubblicato una quindicina d'anni orsono M. Taylor e V. Herman esprimevano incertezza sul significato della capacità di persistenza dei ministeri, asserendo la necessità di «un ampio studio empirico prima di poter dire che la stabilità governativa è indicatore diuna qualsiasi cosa». In tal modo gli autori intendevano prendere le distanze da un assunto largamente diffuso nella letteratura specialistica sull'argomento, secondo cui la capacità di durata dell'esecutivo è legata significativamente al rendimento del sistema politico e, più in generale, alla stabilità del regime. Benché l'assunto in questione compaia, esplicitamente o implicitamente, anche in alcuni dei più recenti studi sulla stabilità ministeriale, restano comunque dubbi — in assenza dell'analisi empirica suggerita da Taylor e Herman — circa i legami intercorrenti tra persistenza del governo eperformancedel sistema, e non è mancato chi, nell'ambito della disciplina, di tali dubbi si è fatto portavoce. Sartori, per esempio, ha negato in diverse occasioni che un governo stabile (nel senso di duraturo) possa per ciò stesso essere considerato efficiente: «un esecutivo può durare (essere stabile) nell'immobilismo, e anzi durare proprio perché non si muove e non smuove le acque». A questa critica, di natura essenzialmente logica, si aggiunge ora quella — fondata empiricamente — di A. Lijphart, che utilizza dati tratti dal caso francese (IV Repubblica) e da quello nord-irlandese per contestare la tesi secondo cui «la capacità di durata dell'esecutivo è un buon indicatore dell'efficacia del governo e della stabilità del regime democratico». Il punto è quindi tutt'altro che chiarito, e di conseguenza non può sottrarsi all'attenzione dello studioso anche quando l'oggetto d'analisi viene affrontato da un'altra angolatura. Nel nostro caso va detto che indagare sul significato della stabilità o instabilità dell'esecutivo non costituisce l'obiettivo che ci si è proposti qui; tuttavia, data la salienza di questo aspetto del problema per il senso complessivo del lavoro, esso sarà oggetto di una breve trattazione nella parte conclusiva dell'esposizione.
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Bartole, Sergio. "SCIENZA POLITICA E DIRITTO: COMMENTO." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 21, no. 1 (April 1991): 129–36. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200009849.

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Abstract:
IntroduzioneL'invito a intervenire sull'importante contributo di Leonardo Morlino (1989) mi consente di ritornare su un argomento — quello dei rapporti fra la scienza politica e la scienza del diritto costituzionale — cui ho già dedicato in altre occasioni una qualche riflessione (1985, 1986). Debbo confessare di guardare con un po’ di invidia all'iniziativa che Morlino ha preso di tracciare una sorta di bilancio dello stato della sua disciplina. Sono, in effetti, convinto che molto spesso gli studi di diritto costituzionale stiano procedendo senza una precisa consapevolezza della direzione da prendere, delle manchevolezza che li connotano e delle risposte di ordine scientifico che da essi si attendono: mancano adeguate meditazioni di ordine teorico e metodologico, e troppo spesso contributi monografici e saggistici nascono in obbedienza a quella che Morlino chiama una «logica esterna», e quindi senza una seria attenzione alla «logica interna» alla disciplina ed alle connesse preoccupazioni di ordine sistematico. Né vale rispondere che le preoccupazioni metodologiche e teoriche rappresentano fughe in avanti rispetto all'analisi e considerazione dei problemi concreti, di fronte ai quali soltanto ha senso proporre questioni di teoria e metodo, che, se formulate in astratto, restano nel limbo delle pie dichiarazioni di intenti, senza trovare adeguato riscontro nella attività pratica di ricerca. La mancanza di un bagaglio metodologico e teorico solo in apparenza allevia le fatiche del viaggiatore e, in realtà, lo obbliga a rifare il punto astronomico ad ogni giro di strada, anche al di là delle normali e corrette esigenze di una responsabile autocritica e di un doveroso autocontrollo.
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Morlino, Leonardo, and José Ramon Montero. "LEGITTIMITÀ, CONSOLIDAMENTO E CRISI NELL'EUROPA MERIDIONALE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 24, no. 1 (April 1994): 27–66. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200022681.

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Abstract:
IntroduzioneNei primi anni novanta gli effetti politici della crisi economica si fanno sentire in tutti i paesi occidentali, e soprattutto in quelli caratterizzati da economie più deboli, come i paesi del Sud Europa. Crescono gli atteggiamenti di critica e protesta, e in questo senso diminuisce la legittimità governativa. Tutto ciò si manifesta in Grecia, innanzi tutto, con la sconfitta del governo conservatore nelle elezioni dell'ottobre 1993, in Spagna con la diminuzione dei voti socialisti nel giugno dello stesso anno e la perdita della maggioranza assoluta in parlamento, in Portogallo con più forti dissensi e critiche al governo in assenza di elezioni. In Italia i fenomeni di protesta sono più profondi, al punto di poter parlare – in questo stesso periodo – di crisi e transizione di regime. L'Italia, dunque, presenta un «differenziale» rispetto agli altri paesi che va spiegato.
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Petrosino, Silvano. "Su ciň che non si riesce quasi piů a intendere parlando di lavoro." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 117 (May 2010): 15–28. http://dx.doi.org/10.3280/sl2010-117002.

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Abstract:
A partire da un'analisi dei primi capitoli del Genesi, il saggio arriva ad individuare nel "coltivare e custodire" il senso piů profondo del lavoro che il testo biblico, prima ancora della caduta e dell'espulsione dell'Eden, assegna all'uomo. All'interno di questa analisi la creazione viene fatta emergere come un evento perfetto ma incompiuto, perfetto proprio perché incompiuto, e incompiuto perché in attesa del lavoro, unico e insostituibile, di ogni singolo uomo. Delineata questa logica di fondo, il contributo prende in esame i principali equivoci che affliggono l'attivitŕ umana quando essa smarrisce la sua complessa articolazione antropologica: si tratta della separazione del "coltivare" dal "custodire", e soprattutto di quella "estrema specializzazione" del concetto stesso di lavoro che non a caso finisce per essere semantizzato solo in riferimento alla lotta per la sopravvivenza e alla fatica ad essa connessa.
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Pulignano, Valeria. "E-democrazia al lavoro: effetti e problematicità dell'era digitale." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 160 (August 2021): 7–23. http://dx.doi.org/10.3280/sl2021-160001.

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Abstract:
Questo contributo mette in evidenza le problematicità derivanti dagli effetti della tecnologia digitale sulla democrazia. Tre sono i temi principali che vengo affrontati. Il primo è legato al controllo di sistemi tecnologici avanzati nelle mani di una élite che rischia di aumentare il suo potere e la sua influenza sulle masse di utenti e consumatori che utilizzano le nuove tecnologie. Il secondo tema, direttamente connesso al primo, riguarda la fiducia del pubblico verso le istituzioni democratiche a seguito dell'entrata in campo di sistemi di comunicazione digitale di massa, che spesso sono portatori di disinformazione e notizie false (‘fake news'). Il terzo tema, è quello del ‘capitalismo della sorveglianza', che si lega alle relazioni industriali e di lavoro, nel senso che esamina le implicazioni che questo comporta per la democrazia, intesa come partecipazione diretta e indiretta dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
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Giannetti, Daniela. "MODELLI TEORICI DI FEDERALISMO." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 25, no. 2 (August 1995): 307–41. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200023595.

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Abstract:
IntroduzioneTutti gli studiosi concordano nel considerare l'unione degli stati americani creata con la Costituzione del 1787 il primo esempio di federalismo in senso moderno. Qual è la novità storica del federalismo americano? In sintesi, si può affermare che essa consiste in un rafforzamento del potere centrale che si accompagna a un insieme di garanzie costituzionali circa le sfere di autorità o la ripartizione di funzioni tra differenti livelli di governo. La Costituzione di Filadelfia viene inoltre generalmente considerata un esempio di deliberata progettazione istituzionale e i vari saggi che compongono ilFederalist –scritti da Hamilton, Jay e Madison allo scopo di illustrare i vantaggi che sarebbero derivati da un'organizzazione federale degli stati indipendenti allora uniti nella confederazione nordamericana –sono considerati la prima articolazione compiuta della teoria federalista. Dall'«invenzione» del sistema americano, che introduce un'innovazione sostanziale nella storia delle istituzioni occidentali, poi ampiamente imitata in numerosi paesi, il federalismo è diventato una delle realtà politiche più importanti e uno dei temi più dibattuti nella letteratura.
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Capezzone, Leonardo. "La colpa del bevitore: iṯm e riǧs nelle interpretazioni classiche e moderne dei passi relativi al ḫamr nel Corano e nella Sunna." Oriente Moderno 100, no. 3 (April 23, 2021): 277–321. http://dx.doi.org/10.1163/22138617-12340232.

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Abstract:
Abstract In contemporary Muslim world, wine and its condemnation have acquired a particular importance in the processes of re-Islamisation. Compared to the classical period, the referential value – in terms of Muslim identity and belonging to the Islamic community – of the term ḫamr has taken a restrictive meaning. This article deals with the intellectual production related to the Islamic interdiction of wine. Firstly, it examines the evidence in the Qurʾān, its exegesis, and the canonical traditions, and then in Sunni and Shiite traditions. It privileges a permanent form of normative reference to the sense of revelation, found as much in the classical period as in the modern one. It is within this permanence, and with a sort of “sampling technique”, that this study aims at evaluating the cultural change at the turn of the contemporary period. It examines the works of authors such as al-Ṭabarī, Rašīd Riḍà, Sayyid Quṭb, al-Buḫārī, al-Kulaynī, Ibn Taymiyyah, Muḥammad Šalṭūṭ and ʿAbd al-Wahhāb ʿAbd al-Salām Ṭawīlah.
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Mattei, Franco. "OLSON E LA “ LEGGE FERREA ” DELLA PARTECIPAZIONE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 16, no. 1 (April 1986): 81–115. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200015720.

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Abstract:
IntroduzioneNella vastissima letteratura esistente sulla partecipazione politica, un tema ricorrente degli ultimi trent'anni (cioè, almeno dalla seconda edizione diCapitalism, Socialism and Democracydi J. Schumpeter nel 1954) è costituito dal dibattito tra teorici « élitisti » e « partecipazionisti » attorno ai livelli possibili e desiderabili di coinvolgimento politico di massa ai fini di un corretto funzionamento dei regimi democratici. Tra le diverse questioni oggetto di confronto e — a volte — di polemica — c'è stata e c'è tutt'ora quella riguardante gli obiettivi del cittadino nei quali rintracciare i motivi ed il senso della partecipazione politica. Le note che seguono sono dedicate ad un'analisi di questo tema basata sul paradigma interpretativo di Olson. Nel suo famoso libro Olson elabora e propone una teoriageneraledi comportamento razionale per l'affermazione di “ obiettivi comuni ” ed il conseguimento di beni pubblici in cui vengono individuate le ragioni sia della partecipazione che dell'astensione politica. Infatti, le definizioni oggi piò in uso di ‘partecipazione’ rimandano alle attività volontarie di privati cittadini rivolte ad influenzare, piò o meno direttamente, le decisioni politiche, ma soprattutto, in ultima analisi, le decisioni ‘governative’ ed i loro ‘esiti’. Ambedue coincidono con gli « obiettivi comuni » di Olson, la cui realizzazione richiede politiche governative e realizzazioni legislative.
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Watan, Taufik Hidayat. "Analysis of Cultural Content Represented in “Bahasa Inggris Untuk Siswa Smp – Mts , Written By Debi Karmila And Ratna Juwita Ningsih” for Seventh Grade Students of Junior High School School." RiELT Journal 7, no. 2 (March 25, 2022): 110–16. http://dx.doi.org/10.15548/rielt.v7i2.4023.

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Abstract:
Language and culture are interrelated. Having communicative competence may require students to understand the culture. Textbooks can effectively teach students cultural knowledge because it is easy to say that textbooks had a crucial role in EFL teaching. The study investigates the cultural content of the English textbook “Bahasa Inggris Untuk Siswa Smp – Mts, Written By Debi Karmila And Ratna Juwita Ningsih” for seventh-grade students of junior high school. The purpose of this study is to explore which culture is expressed and how it is expressed in textbooks. In this study, descriptive qualitative methods for textbook analysis used content analysis in particular. The study additionally used the two frameworks of cultural types Cortazzi and Jin (1999) and the frameworks of Adaskou, Britten, and Fahsi (1990) on cultural sensitivity. As a result of analyzing the textbook, the researcher finds two things. First, Bahasa Inggris Untuk Siswa Smp-Mts., Which is predominantly shown through the source culture (39%) compared to the target (6%) and international culture (9%(. Second, culture was mostly being expressed by a pragmatic sense (36%) compared to the aesthetic (3%), semantic (2%), and sociological (24%) senses of the textbook. Based upon the findings, this study suggests that authors of English textbooks include a presentation of a balance between source culture, target culture, and international culture.
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Chiodo, Emanuela. "Generare legami. Inclusione sociale ed educativa in una periferia del Mezzogiorno." WELFARE E ERGONOMIA, no. 1 (June 2020): 29–38. http://dx.doi.org/10.3280/we2020-001004.

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Abstract:
La povertà di bambini e adolescenti in famiglie deprivate del Mezzogiorno è sia la più invisi-bile, perché spesso occultata dalla più generale condizione di svantaggio del nucleo di appar-tenenza, sia la più estrema, per l'intensità con cui essa si lega a radicate disuguaglianze nella sfera dell'istruzione, della cultura e, in generale, nelle loro chances di vita al presente e nel futuro. In particolare, la povertà educativa è quella che meglio rappresenta lo svantaggio cumulativo che si genera a partire da condizioni di deprivazione materiale ed economica e trova nell'esclusione dall'accesso ad una formazione e a competenze adeguate, ma anche a spazi e ambienti di vita degni, a opportunità ludiche, culturali e di socializzazione più ampia le sue espressioni più evidenti. Napoli e le sue periferie più disagiate costituiscono un caso paradigmatico di tale scenario sia per la povertà multi-generazionale da cui sono interessate sia per l'elevata incidenza del-la popolazione minorile proprio nei quartieri più difficili. Ed è proprio nel contesto urbano e sociale della periferia est della città che l'articolo si cala per definire i contorni di quella «comunità educante» volta al contrasto della vulnerabilità sociale e dei rischi di esclusione per i tanti bambini e adolescenti in condizione di svantaggio economico e sociale. Alla luce della direttrice teorica sui legami sociali come fonte di protezione e riconoscimento (Paugam, 2008) e sulla base di un approccio di ricerca micro-sociologico basato su studi di caso, l'articolo descrive la qualità delle relazioni di social support (Meo, 1999) create, promosse, rafforzate da alcuni enti di terzo settore (associazioni e cooperative sociali) provando a sotto-linearne il valore embedded nel contrasto della povertà educativa. Già a partire dal recupero di spazi vuoti o abbandonati in cui le attività socio-educative promosse si radicano e realiz-zano le loro attività, i centri socioeducativi considerati nella ricerca appaiono in grado di ri-pristinare relazioni e significati plurimi. A partire dalle rappresentazioni raccolte tramite la voce e le parole degli attori intervistati la comunità educante prende forma nei vincoli e nelle risorse, nei limiti e nelle opportunità evidenziate da enti di terzo settore (associazioni e coo-perative sociali) che realizzano advocacy, affiancamento scolastico dei minori, accompagna-mento sociale per le loro famiglie. In particolare, nel testo si evidenzia come, non solo rico-noscendo la «responsabilità educativa» come principio cardine ma anche "agendo" tale principio come orientamento nella prassi concreta di intervento, organizzazioni diverse che abitano e animano la periferia est sono in grado di rendere permeabili tra loro sfere di inclu-sione diverse (culturale, educativa, sociale). Intervenendo nel contrasto della povertà minorile ed educativa tramite azioni di bridging con la famiglia, la scuola, i servizi sociali, le esperien-ze di affiancamento socio-educativo descritte interrogano e allo stesso tempo costruiscono il senso di quella «comunità educante e generativa», capace di «agire in comune» adottando «un modo di fare le cose inclusivo, integrativo e abilitante» (Magatti e Giaccardi, 2014).
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Elbaz-Luwisch, Freema. "Review: Issues in Education: George J. Sefa Dei and Arlo Kempf, eds, Anti-Colonialism and Education: The Politics of Resistance. Rotterdam/Taipei: Sense Publishers, 2006, 314 pp., ISBN 9077874186 (hbk), US$147.00, (pbk) US$49.00." International Sociology 23, no. 2 (March 2008): 311–14. http://dx.doi.org/10.1177/02685809080230021302.

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Dewandre*, Nicole, and Orsolya Gulyás. "Sensitive economic personae and functional human beings." Journal of Language and Politics 17, no. 6 (December 14, 2018): 831–57. http://dx.doi.org/10.1075/jlp.17068.dew.

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Abstract:
AbstractThis study is aimed at unveiling the implicit assumptions underlying the language of EU policy-making, drawing on Hannah Arendt’s critique of modernity. It conducts a critical metaphor analysis of strategic EU policy documents from 1985 to 2014 to reveal the extent to which EU policy-making, by relentlessly focusing on the ‘competitiveness, growth, and jobs’ narrative, relies on modern conceptual frameworks. These are characterized by the prominence of rationality and causality, at the expense of sense of purpose, reality and meaning, which is revealed through the validation of four metaphorical keys. These are (i)sensitive inversion, i.e.economic agents are sensitiveandhumans are functional; (ii)size matters, i.e.big is better than smallandone is better than many; (iii)deficit framing, i.e.potential is lockedandpresent is broken/future is bright; and (iv)speed is of the essence, i.e.the world moves fastandwe must hurry up.
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Rae, Gavin. "Agency and will in Agamben’s coming politics." Philosophy & Social Criticism 44, no. 9 (April 26, 2018): 978–96. http://dx.doi.org/10.1177/0191453718771115.

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Abstract:
Those commentators who accept that Agamben offers an affirmative political project tend to hold that its realization depends upon pre-personal messianic or ontological alterations. I argue that there is another option based around the notion of individual agency that has received relatively little attention, but which clarifies whether or not Agamben holds that the transition is one that agents can participate in. By engaging with the texts “On Potentiality,” “Bartleby, or On Contingency,” and Opus Dei, I first show that he develops a notion of potentiality that he claims not only underpins willing, but is also defined by an indeterminate contingency between action and non-action that undermines the binary opposition between willed action and non-action that sustains biopolitics. I then turn to the discussions of praxis, work, and poiesis in The Man without Content to determine whether Agamben thinks that other non-will-based forms of activity can contribute to the deactivation of biopolitics and, indeed, highlight his apparent support for thought-as-poiesis. This, however, seems to establish a binary opposition between thought-as-poiesis and will that, by way of conclusion, I question by claiming that Agamben relies upon a reductionist conception of will that fails to distinguish between “will-as-instrument” and “will-as-impetus” and, as a consequence, is unable to recognize that whereas thought-as-poiesis breaks with the former sense of will, it depends on the latter. An act of will, therefore, contributes to the transition to the coming politics and given the intimate bond between thought-as-poiesis and the coming politics and, indeed, the diachronic nature of the latter, will, so I argue, be carried over into the coming politics.
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Hirschman, Albert O. "IL CONCETTO DI INTERESSE: DALL'EUFEMISMO ALLA TAUTOLOGIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 17, no. 1 (April 1987): 3–22. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200016415.

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Abstract:
IntroduzioneIl concetto di «interesse» o «interessi» è uno dei piò centrali e controversi in economia e, piò in generale, nelle scienze sociali e nella storia. è anche un concetto con molti sensi, per non dire ambiguo, e il suo significato ha subito via via grossi spostamenti. Da quando è entrato nel linguaggio comune di diversi paesi europei, attorno alla metà del XVI secolo, come termine di derivazione latina (intérêt, interest, ecc.), il concetto ha indicato le forze fondamentali, basate sulla spinta dell'autoconservazione e all'auto-accrescimento, che motivano o dovrebbero motivare le azioni del principe o dello Stato, dell'individuo, e poi di gruppi di persone che occupano una posizione sociale o economica omogenea (classi, gruppi d'interesse). Quando è riferito all'individuo, il concetto ha assunto talvolta un significato assai ampio, inglobando per esempio l'interesse per l'onore, la gloria, l'amor proprio, e persino per l'aldilà. In altre epoche, al contrario, si è limitato ad indicare esclusivamente la ricerca di un vantaggio economico. In maniera analoga, l'espressione « perseguire i propri interessi» può ricoprire — fino ad essere una tautologia — tutto l'insieme delle azioni umane, ma spesso servirà, piò utilmente, ad indicare un modo specifico o stile di condotta, variamente concepito come azione « razionale » o « strumentale». Anche la stima in cui è tenuto il comportamento motivato dall'interesse ha subito considerevoli variazioni. Il termine entrò originariamente in uso, già alla fine del Medioevo, come eufemismo inteso a rendere rispettabile una data attività, quella di percepire un interesse sui prestiti, da tempo considerata contraria alla legge divina e conosciuta come il peccato dell'usura. Nella sua accezione piò ampia, ha acquistato talvolta un grande prestigio come chiave di un ordine sociale realizzabile, pacifico e progressista. E tuttavia è stato anche attaccato come concetto che degrada lo spirito umano ed è suscettibile di distruggere e di corrodere pericolosamente le fondamenta della società. Indagare su questi molteplici significati e su queste molteplici valutazioni significa di fatto esplorare buona parte della storia economica e in particolare della storia delle dottrine economiche e politiche occidentali nell'arco degli ultimi quattro secoli.
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Phillipson, Robert. "Claude Piron, Lé defi des langues: Du gâchis au bon sens [The challenge of languages: From mess to common sense]. Paris: L'Harmattan, 1994. Pp. 336." Language in Society 26, no. 1 (March 1997): 143–47. http://dx.doi.org/10.1017/s0047404500019448.

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Vu, Ngoc Tung, and Duc An Nguyen. "“Minority Students’ Experiences are Part of Our Life of Teaching”: Hierarchical Multiple Regressions of Vietnamese Teacher Autonomous Motivation and Teacher Engagement." Journal of Ethnic and Cultural Studies 9, no. 2 (May 21, 2022): 20–48. http://dx.doi.org/10.29333/ejecs/949.

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Abstract:
This article seeks to understand teacher autonomous motivation and teacher engagement of Vietnamese in-service teachers of English working with Vietnamese ethnic minority students, by presenting their voices and experiences as a hierarchical multiple regression analysis. Relying on the Self-Determination theory (Deci & Ryan, 1985), this quantitative study draws insights into Vietnamese K-12 English teachers of ethnic minority groups, when it comes to intrinsic, external, introjected, and identified motivation in support of their continuation of daily teaching activities and their further teaching professions. These aspects are likely to be translated into their sense of engagement in their professional contexts to different extents. Applying purposeful sampling for quantitative data collection, we primarily focus on drawing from the teachers’ self-rated competence to better explore a wide range of Vietnamese education insights regarding Vietnamese minority groups. Our findings, based on the multiple rounds of hierarchical multiple regression, suggest that teacher autonomous motivation and teacher engagement appear to be closely associated. Some relevant associations are found to occur under the influence of the teachers’ demographic backgrounds, including personal, familial, and educational experiences. Pedagogical implications are also presented at the end of our study, making way for future research to continue this important scholarship.
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Vincenzini, Vincenzini. "El nacionalcatolicismo fascista de José Pemartín: entre el monarquismo circunstancial franquista y el monarquismo institucional tradicionalista." Vínculos de Historia Revista del Departamento de Historia de la Universidad de Castilla-La Mancha, no. 11 (June 22, 2022): 498–513. http://dx.doi.org/10.18239/vdh_2022.11.24.

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Abstract:
En este estudio analizaremos el recorrido de los católicos reaccionarios a partir de la Guerra de Independencia y su cambio de antinacionales a nacional-católicos hasta convertirse en fascistizados en el periodo entre la Guerra Civil y el estallido de la Segunda Guerra Mundial. En ese sentido cabe destacar la labor de José Pemartín. La centralidad del estudio la ocupan tres temas contenidos en su obra más importante, Qué es lo Nuevo: la diferencia de matices con respecto a los valores expresados por otros intelectuales nacional-católicos anteriores y contemporáneos a él; la tentativa de conciliar el ideario nacional-católico con las ideas falangistas; y la doctrina fascista. Palabras clave: nacional-catolicismo, fascismo, monarquismo, institucional, circunstancial, tradicionalismo.Topónimo: EspañaPeríodo: Siglo XX ABSTRACTThis study analyses the path traversed by Catholic reactionaries after the War of Independence and their transition from antinational to National Catholic until they converted to Fascism during the period between the Civil War and the outbreak of World War Two. In this respect, it is worth highlighting the work of José Pemartín. This study mainly focuses on three themes in his most important creation, Qué es lo Nuevo: the differences in tone in comparison with the values expressed by both earlier and coetaneous National-Catholic intellectuals; the attempt to reconcile National-Catholic ideology with Falangist thinking; and Fascist doctrine. Keywords: Nacional-Catholism, Fascism, monarchism, institutional, circumstantial, traditionalismPlace names: SpainPeriod: Siglo XX REFERENCIASÁlvarez Junco, J. 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Boyce, Ayesha S., Tiffany L. S. Tovey, Onyinyechukwu Onwuka, J. R. Moller, Tyler Clark, and Aundrea Smith. "Exploring NSF-Funded Evaluators’ and Principal Investigators’ Definitions and Measurement of Diversity, Equity, and Inclusion." American Journal of Evaluation, November 30, 2022, 109821402211086. http://dx.doi.org/10.1177/10982140221108662.

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Abstract:
More evaluators have anchored their work in equity-focused, culturally responsive, and social justice ideals. Although we have a sense of approaches that guide evaluators as to how they should attend to culture, diversity, equity, and inclusion (DEI), we have not yet established an empirical understanding of how evaluators measure DEI. In this article, we report an examination of how evaluators and principal investigators (PIs) funded by the National Science Foundation's Advanced Technological Education (ATE) program define and measure DEI within their projects. Evaluators gathered the most evidence related to diversity and less evidence related to equity and inclusion. On average, PIs’ projects engaged in activities designed to increase DEI, with the highest focus on diversity. We believe there continues to be room for improvement and implore the movement of engagement with these important topics from the margins to the center of our field's education, theory, and practice.
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Gündüz, Ferhan. "Sociological Foundations of Success of Turkish Tv Soap Operas in the Balkans." Propósitos y Representaciones 8, SPE2 (2020). http://dx.doi.org/10.20511/pyr2020.v8nspe2.797.

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Abstract:
For the last decade, Turkish TV series particularly soap operas have been alluring an increasing rate of viewers both in Turkey and 76 countries around the world, spreading from Latin America to the Far East. This article examines the sociological foundations of high levels of interest in Turkish TV series in the Balkan region since relationships between the Turks and other people in this geographic area have a long history. As well, today’s reflections of this historical relationship date back to the fifth century in so many ways. Turkish TV series have thus captured the social and cultural proximity of individuals living in these two geographies in the best sense and have also raised their awareness in this respect. A total of 15 out of 76 TV series released in Turkey until 2016 have been so far exported to Balkan countries and they have received enough attention. Accordingly, it is of utmost importance to determine the sociological foundations of this development.
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"Joshua Meyrowitz, No Sense of Place. The Impact of Electronic Media on Social Behavior, New York, Oxford University Press, 1985 (trad. it. Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Bologna, Baskerville, 1993)." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 25, no. 1 (April 1995): 160. http://dx.doi.org/10.1017/s004884020002339x.

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Russo, Maria Teresa. "Corporeità e qualità dell’abitare tra etica ed ecologia." Medicina e Morale 65, no. 6 (December 20, 2016). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2016.464.

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Abstract:
L’antropologia filosofica sviluppatasi nella prima metà del XX secolo ha tematizzato in particolare la questione del rapporto tra uomo e ambiente, sottolineando le specificità della modalità umana di abitare il mondo. Abitare rappresenta una struttura antropologica che fa riferimento non soltanto alla capacità tecnica dell’uomo, ma soprattutto alla sua esistenza incarnata e all’esigenza di radicamento e di relazione, che trovano un’espressione privilegiata nella categoria della casa. Si tratta di un tema su cui oggi si confrontano vari saperi: la psicologia ambientale, l’architettura, la sociologia, per citarne solo alcuni. L’articolo analizza la funzione ma anche le nuove criticità dello spazio-casa e del correlato assetto urbano nello sviluppo e nell’espressione dell’identità personale e relazionale, nonché nella promozione di uno stile di vita sostenibile. Data la diretta interrelazione tra spazio domestico, spazi urbani e comportamento umano, la qualità dell’abitare riguarda direttamente la bioetica, come ambito di quella “ecologia umana” inseparabile dalla riflessione sui significati dei comportamenti e sulle categorie di identità e qualità della vita, che implicano un éthos condiviso. ---------- The philosophical anthropology which had developed in the first half of the 20th century has focused in particular on the question of the relationship between man and environment, underlining the specific human modality of living in the world. Living represents an anthropological structure which refers not only to human technical capacity but above all to his incarnate existence and to the need of roots and relationship, which find a privileged expression in the category of the home. This argument is confronted today by various knowledges: environmental psychology, architecture, sociology, just to mention some of them. The article analyzes the function but also the new critical situations of space/home and of the related urban planning within the development and expression of personal and relational identity, as well as within the promotion of a sustainable lifestyle. Considering the direct interrelation between domestic space, urban spaces and human behavior, the quality of living is straightly bound to bioethics, as being the field of that “human ecology” which is inseparable from reflecting on the sense of ways of behavior and on the categories of identity and quality of life which imply a common éthos.
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Rorato, Laura. "‘New Italians’ and intercultural citizenship: Challenging hegemonic visions of migration, childhood and identity through fiction." European Journal of Cultural Studies, February 17, 2020, 136754942090280. http://dx.doi.org/10.1177/1367549420902807.

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Abstract:
This article explores how representations of migration in 21st-century Italian fiction, including texts aimed at children and adolescents, can foster intercultural communication and contribute to the creation of a more tolerant society. Children represent a large proportion of the number of migrants arriving in Italy every year. However, since immigration is a relatively recent phenomenon, and Italians are still struggling to accept their homeland’s transition from emigrant to immigrant nation, Italian fiction offers a useful platform for exploring and challenging stereotypes about childhood, migration, identity and multiculturalism. This article presents a close reading of four semifictional works selected for their child-centric perspective, and their authors’ desire to use storytelling as a contact zone, that is a tool for sharing memories and creating a community spirit capable of promoting a sense of belonging, even in the absence of a single physical place to call home. The texts in question are Sumaya’s Abdel Qader’s Porto il velo, adoro i Queen. Nuove italiane crescono [I wear a headscarf, I love Queen. New Italian women are growing up]; Giuseppe Caliceti’s Italiani, per esempio. L’Italia vista dai bambini immigrati [Italians, for instance. Italy seen through the eyes of immigrant children]; Fabrizio Gatti’s Viki che voleva andare a scula [Viki who wanted to go to School], and Carmine Abate’ La festa del ritorno [The homecoming party]. All four authors have either direct or indirect experience of migration and particularly of the impact that migration has on children. They also share a sense of commitment and engagement and particularly in Caliceti’s and Abate’s case, an interest in language as a form of resistance. Their works are clear examples of the power of literature in challenging some of the more problematic sociological and media discourses about childhood and migration that tend to represent children as vulnerable victims or potential criminals.
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Arvanitakis, James. "The Heterogenous Citizen: How Many of Us Care about Don Bradman’s Average?" M/C Journal 11, no. 1 (June 1, 2008). http://dx.doi.org/10.5204/mcj.27.

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Abstract:
One of the first challenges faced by new Australian Prime Minister, Kevin Rudd, was what to do with the former government’s controversial citizenship test. While a quick evaluation of the test shows that 93 percent of those who have sat it ‘passed’ (Hoare), most media controversy has focussed less on the validity of such a test than whether questions relating to Australian cricketing legend, Don Bradman, are appropriate (Hawley). While the citizenship test seems nothing more that a crude and populist measure imposed by the former Howard government in its ongoing nationalistic agenda, which included paying schools to raise the Australian flag (“PM Unfurls Flag”), its imposition seems a timely reminder of the challenge of understanding citizenship today. For as the demographic structures around us continue to change, so must our understandings of ‘citizenship’. More importantly, this fluid understanding of citizenship is not limited to academics, and policy-makers, but new technologies, the processes of globalisation including a globalised media, changing demographic patterns including migration, as well as environmental challenges that place pressure on limited resources is altering the citizens understanding of their own role as well as those around them. This paper aims to sketch out a proposed new research agenda that seeks to investigate this fluid and heterogenous nature of citizenship. The focus of the research has so far been Sydney and is enveloped by a broader aim of promoting an increased level of citizen engagement both within formal and informal political structures. I begin by sketching the complex nature of Sydney before presenting some initial research findings. Sydney – A Complex City The so-called ‘emerald city’ of Sydney has been described in many ways: from a ‘global’ city (Fagan, Dowling and Longdale 1) to an ‘angry’ city (Price 16). Sarah Price’s investigative article included research from the University of Western Sydney’s Centre of Culture Research, the Bureau of Crime Statistics and interviews with Tony Grabs, the director of trauma at St Vincent’s Hospital in inner city Darlinghurst. Price found that both injuries from alcohol and drug-related violence had risen dramatically over the last few years and seemed to be driven by increasing frustrations of a city that is perceived to be lacking appropriate infrastructure and rising levels of personal and household debt. Sydney’s famous harbour and postcard landmarks are surrounded by places of controversy and poverty, with residents of very backgrounds living in close proximity: often harmoniously and sometimes less so. According to recent research by Griffith University’s Urban Research Program, the city is becoming increasingly polarised, with the wealthiest enjoying high levels of access to amenities while other sections of the population experiencing increasing deprivation (Frew 7). Sydney is often segmented into different regions: the growth corridors of the western suburbs which include the ‘Aspirational class’; the affluent eastern suburb; the southern beachside suburbs surrounding Cronulla affectionately known by local residents as ‘the Shire’, and so on. This, however, hides that fact that these areas are themselves complex and heterogenous in character (Frew 7). As a result, the many clichés associated with such segments lead to an over simplification of regional characteristics. The ‘growth corridors’ of Western Sydney, for example, have, in recent times, become a focal point of political and social commentary. From the rise of the ‘Aspirational’ voter (Anderson), seen to be a key ‘powerbroker’ in federal and state politics, to growing levels of disenfranchised young people, this region is multifaceted and should not be simplified. These areas often see large-scale, private housing estates; what Brendan Gleeson describes as ‘privatopias’, situated next to rising levels of homelessness (“What’s Driving”): a powerful and concerning image that should not escape our attention. (Chamberlain and Mackenzie pay due attention to the issue in Homeless Careers.) It is also home to a growing immigrant population who often arrive as business migrants and as well as a rising refugee population traumatised by war and displacement (Collins 1). These growth corridors then, seem to simultaneously capture both the ambitions and the fears of Sydney. That is, they are seen as both areas of potential economic boom as well as social stress and potential conflict (Gleeson 89). One way to comprehend the complexity associated with such diversity and change is to reflect on the proximity of the twin suburbs of Macquarie Links and Macquarie Fields situated in Sydney’s south-western suburbs. Separated by the clichéd ‘railway tracks’, one is home to the growing Aspirational class while the other continues to be plagued by the stigma of being, what David Burchell describes as, a ‘dysfunctional dumping ground’ whose plight became national headlines during the riots in 2005. The riots were sparked after a police chase involving a stolen car led to a crash and the death of a 17 year-old and 19 year-old passengers. Residents blamed police for the deaths and the subsequent riots lasted for four nights – involving 150 teenagers clashing with New South Wales Police. The dysfunction, Burchell notes is seen in crime statistics that include 114 stolen cars, 227 burglaries, 457 cases of property damage and 279 assaults – all in 2005 alone. Interestingly, both these populations are surrounded by exclusionary boundaries: one because of the financial demands to enter the ‘Links’ estate, and the other because of the self-imposed exclusion. Such disparities not only provide challenges for policy makers generally, but also have important implications on the attitudes that citizens’ experience towards their relationship with each other as well as the civic institutions that are meant to represent them. This is particular the case if civic institutions are seen to either neglect or favour certain groups. This, in part, has given rise to what I describe here as a ‘citizenship surplus’ as well as a ‘citizenship deficit’. Research Agenda: Investigating Citizenship Surpluses and Deficits This changing city has meant that there has also been a change in the way that different groups interact with, and perceive, civic bodies. As noted, my initial research shows that this has led to the emergence of both citizenship surpluses and deficits. Though the concept of a ‘citizen deficits and surpluses’ have not emerged within the broader literature, there is a wide range of literature that discusses how some sections of the population lack of access to democratic processes. There are three broad areas of research that have emerged relevant here: citizenship and young people (see Arvanitakis; Dee); citizenship and globalisation (see Della Porta; Pusey); and citizenship and immigration (see Baldassar et al.; Gow). While a discussion of each of these research areas is beyond the scope of this paper, a regular theme is the emergence of a ‘democratic deficit’ (Chari et al. 422). Dee, for example, looks at how there exist unequal relationships between local and central governments, young people, communities and property developers in relation to space. Dee argues that this shapes social policy in a range of settings and contexts including their relationship with broader civic institutions and understandings of citizenship. Dee finds that claims for land use that involve young people rarely succeed and there is limited, if any, recourse to civic institutions. As such, we see a democratic deficit emerge because the various civic institutions involved fail in meeting their obligations to citizens. In addition, a great deal of work has emerged that investigates attempts to re-engage citizens through mechanisms to promote citizenship education and a more active citizenship which has also been accompanied by government programs with the same goals (See for example the Western Australian government’s ‘Citizenscape’ program ). For example Hahn (231) undertakes a comparative study of civic education in six countries (including Australia) and the policies and practices with respect to citizenship education and how to promote citizen activism. The results are positive, though the research was undertaken before the tumultuous events of the terrorist attacks in New York, the emergence of the ‘war on terror’ and the rise of ‘Muslim-phobia’. A gap rises, however, within the Australian literature when we consider both the fluid and heterogenous nature of citizenship. That is, how do we understand the relationship between these diverse groups living within such proximity to each other overlayed by changing migration patterns, ongoing globalised processes and changing political environments as well as their relations to civic institutions? Further, how does this influence the way individuals perceive their rights, expectations and responsibilities to the state? Given this, I believe that there is a need to understand citizenship as a fluid and heterogenous phenomenon that can be in surplus, deficit, progressive and reactionary. When discussing citizenship I am interested in how people perceive both their rights and responsibilities to civic institutions as well as to the residents around them. A second, obviously related, area of interest is ‘civic engagement’: that is, “the activities of people in the various organisations and associations that make up what scholars call ‘civil society’” (Portney and Leary 4). Before describing these categories in more detail, I would like to briefly outline the methodological processes employed thus far. Much of the research to this point is based on a combination of established literature, my informal discussions with citizen groups and my observations as ‘an activist.’ That is, over the last few years I have worked with a broad cross section of community-based organisations as well as specific individuals that have attempted to confront perceived injustices. I have undertaken this work as both an activist – with organisations such as Aid/Watch and Oxfam Australia – as well as an academic invited to share my research. This work has involved designing and implementing policy and advocacy strategies including media and public education programs. All interactions begin with a detailed discussion of the aims, resources, abilities and knowledge of the groups involved, followed by workshopping campaigning strategies. This has led to the publication of an ‘activist handbook’ titled ‘From Sitting on the Couch to Changing the World’, which is used to both draft the campaign aims as well as design a systematic strategy. (The booklet, which is currently being re-drafted, is published by Oxfam Australia and registered under a creative commons licence. For those interested, copies are available by emailing j.arvanitakis (at) uws.edu.au.) Much research is also sourced from direct feedback given by participants in reviewing the workshops and strategies The aim of tis paper then, is to sketch out the initial findings as well as an agenda for more formalised research. The initial findings have identified the heterogenous nature of citizenship that I have separated into four ‘citizenship spaces.’ The term space is used because these are not stable groupings as many quickly move between the areas identified as both the structures and personal situations change. 1. Marginalisation and Citizenship Deficit The first category is a citizenship deficit brought on by a sense of marginalisation. This is determined by a belief that it is pointless to interact with civic institutions, as the result is always the same: people’s opinions and needs will be ignored. Or in the case of residents from areas such as Macquarie Fields, the relationship with civic institutions, including police, is antagonistic and best avoided (White par. 21). This means that there is no connection between the population and the civic institutions around them – there is no loyalty or belief that efforts to be involved in political and civic processes will be rewarded. Here groups sense that they do not have access to political avenues to be heard, represented or demand change. This is leading to an experience of disconnection from political processes. The result is both a sense of disengagement and disempowerment. One example here emerged in discussions with protesters around the proposed development of the former Australian Defence Industry (ADI) site in St Marys, an outer-western suburb of Sydney. The development, which was largely approved, was for a large-scale housing estate proposed on sensitive bushlands in a locality that resident’s note is under-serviced in terms of public space. (For details of these discussions, see http://www.adisite.org/.) Residents often took the attitude that whatever the desire of the local community, the development would go ahead regardless. Those who worked at information booths during the resident protests informed me that the attitude was one best summarised by: “Why bother, we always get stuffed around any way.” This was confirmed by my own discussions with local residents – even those who joined the resident action group. 2. Privatisation and Citizenship Deficit This citizenship deficit not only applies to the marginalised, however, for there are also much wealthier populations who also appear to experience a deficit that results from a lack of access to civic institutions. This tends to leads to a privatisation of decision-making and withdrawal from the public arena as well as democratic processes. Consequently, the residents in the pockets of wealth may not be acting as citizens but more like consumers – asserting themselves in terms of Castells’s ‘collective consumption’ (par. 25). This citizenship deficit is brought on by ongoing privatisation. That is, there is a belief that civic institutions (including government bodies) are unable or at least unwilling to service the local community. As a result there is a tendency to turn to private suppliers and believe that individualisation is the best way to manage the community. The result is that citizens feel no connection to the civic institutions around them, not because there is no desire, but there are no services. This group of citizens has often been described as the ‘Aspirationals’ and are most often found in the growth corridors of Sydney. There is no reason to believe that this group is this way because of choice – but rather a failure by government authorities to service their needs. This is confirmed by research undertaken as early as 1990 which found that the residents now labelled Aspirational, were demanding access to public infrastructure services including public schools, but have been neglected by different levels of government. (This was clearly stated by NSW Labor MP for Liverpool, Paul Lynch, who argued for such services as a way to ensure a functioning community particularly for Western Sydney; NSWPD 2001.) As a result there is a reliance on private schools, neighbourhoods, transport and so on. Any ‘why bother’ attitude is thus driven by a lack of evidence that civic institutions can or are not willing to meet their needs. There is a strong sense of local community – but this localisation limited to others in the same geographical location and similar lifestyle. 3. Citizenship Surplus – Empowered Not Engaged The third space of citizenship is based on a ‘surplus’ even if there is limited or no political engagement. This group has quite a lot in common with the ‘Aspirationals’ but may come from areas that are higher serviced by civic institutions: the choice not to engage is therefore voluntary. There is a strong push for self-sufficiency – believing that their social capital, wealth and status mean that they do not require the services of civic institutions. While not antagonistic towards such institutions, there is often a belief is that the services provided by the private sector are ultimately superior to public ones. Consequently, they feel empowered through their social background but are not engaged with civic institutions or the political process. Despite this, my initial research findings show that this group has a strong connection to decision-makers – both politicians and bureaucrats. This lack of engagement changes if there is a perceived injustice to their quality of life or their values system – and hence should not be dismissed as NIMBYs (not in my backyard). They believe they have the resources to mobilise and demand change. I believe that we see this group materialise in mobilisations around proposed developments that threaten the perceived quality of life of the local environment. One example brought to my attention was the rapid response of local residents to the proposed White City development near Sydney’s eastern suburbs that was to see tennis courts and public space replaced by residential and commercial buildings (Nicholls). As one resident informed me, she had never seen any political engagement by local residents previously – an engagement that was accompanied by a belief that the development would be stopped as well as a mobilisation of some impressive resources. Such mobilisations also occur when there is a perceived injustice. Examples of this group can be found in what Hugh Mackay (13) describes as ‘doctor’s wives’ (a term that I am not wholly comfortable with). Here we see the emergence of ‘Chilout’: Children out of Detention. This was an organisation whose membership was described to me as ‘north shore professionals’, drew heavily on those who believed the forced incarceration of young refugee children was an affront to their values system. 4. Insurgent Citizenship – Empowered and Engaged The final space is the insurgent citizen: that is, the citizen who is both engaged and empowered. This is a term borrowed from South Africa and the USA (Holston 1) – and it should be seen as having two, almost diametrically opposed, sides: progressive and reactionary. This group may not have access to a great deal of financial resources, but has high social capital and both a willingness and ability to engage in political processes. Consequently, there is a sense of empowerment and engagement with civic institutions. There is also a strong push for self-sufficiency – but this is encased in a belief that civic institutions have a responsibility to provide services to the public, and that some services are naturally better provided by the public sector. Despite this, there is often an antagonistic relationship with such institutions. From the progressive perspective, we see ‘activists’ promoting social justice issues (including students, academics, unionists and so on). Organisations such as A Just Australia are strongly supported by various student organisations, unions and other social justice and activist groups. From a reactionary perspective, we see the emergence of groups that take an anti-immigration stance (such as ‘anti-immigration’ groups including Australia First that draw both activists and have an established political party). (Information regarding ‘anti-refugee activists’ can be found at http://ausfirst.alphalink.com.au/ while the official website for the Australia First political part is at http://www.australiafirstparty.com.au/cms/.) One way to understand the relationship between these groups is through the engagement/empowered typology below. While a detailed discussion of the limitations of typologies is beyond the scope of this paper, it is important to acknowledge that any typology is a simplification and generalisation of the arguments presented. Likewise, it is unlikely that any typology has the ability to cover all cases and situations. This typology can, however, be used to underscore the relational nature of citizenship. The purpose here is to highlight that there are relationships between the different citizenship spaces and individuals can move between groups and each cluster has significant internal variation. Key here is that this can frame future studies. Conclusion and Next Steps There is little doubt there is a relationship between attitudes to citizenship and the health of a democracy. In Australia, democracy is robust in some ways, but many feel disempowered, disengaged and some feel both – often believing they are remote from the workings of civic institutions. It would appear that for many, interest in the process of (formal) government is at an all-time low as reflected in declining membership of political parties (Jaensch et al. 58). Democracy is not a ‘once for ever’ achievement – it needs to be protected and promoted. To do this, we must ensure that there are avenues for representation for all. This point also highlights one of the fundamental flaws of the aforementioned citizenship test. According to the Department of Immigration and Citizenship, the test is designed to: help migrants integrate and maximise the opportunities available to them in Australia, and enable their full participation in the Australian community as citizens. (par. 4) Those designing the test have assumed that citizenship is both stable and, once achieved, automatically ensures representation. This paper directly challenges these assumptions and offers an alternative research agenda with the ultimate aim of promoting high levels of engagement and empowerment. References Anderson, A. “The Liberals Have Not Betrayed the Menzies Legacy.” Online Opinion 25 Oct. 2004. < http://www.onlineopinion.com.au/view.asp?article=2679 >. Arvanitakis, J. “Highly Affected, Rarely Considered: The International Youth Parliament Commission’s Report on the Impacts of Globalisation on Young People.” Sydney: Oxfam Australia, 2003. Baldassar, L., Z. Kamalkhani, and C. 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APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
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Arvanitakis, James. "The Heterogenous Citizen." M/C Journal 10, no. 6 (April 1, 2008). http://dx.doi.org/10.5204/mcj.2720.

Full text
Abstract:
Introduction One of the first challenges faced by new Australian Prime Minister, Kevin Rudd, was what to do with the former government’s controversial citizenship test. While a quick evaluation of the test shows that 93 percent of those who have sat it ‘passed’ (Hoare), most media controversy has focussed less on the validity of such a test than whether questions relating to Australian cricketing legend, Don Bradman, are appropriate (Hawley). While the citizenship test seems nothing more that a crude and populist measure imposed by the former Howard government in its ongoing nationalistic agenda, which included paying schools to raise the Australian flag (“PM Unfurls Flag”), its imposition seems a timely reminder of the challenge of understanding citizenship today. For as the demographic structures around us continue to change, so must our understandings of ‘citizenship’. More importantly, this fluid understanding of citizenship is not limited to academics, and policy-makers, but new technologies, the processes of globalisation including a globalised media, changing demographic patterns including migration, as well as environmental challenges that place pressure on limited resources is altering the citizens understanding of their own role as well as those around them. This paper aims to sketch out a proposed new research agenda that seeks to investigate this fluid and heterogenous nature of citizenship. The focus of the research has so far been Sydney and is enveloped by a broader aim of promoting an increased level of citizen engagement both within formal and informal political structures. I begin by sketching the complex nature of Sydney before presenting some initial research findings. Sydney – A Complex City The so-called ‘emerald city’ of Sydney has been described in many ways: from a ‘global’ city (Fagan, Dowling and Longdale 1) to an ‘angry’ city (Price 16). Sarah Price’s investigative article included research from the University of Western Sydney’s Centre of Culture Research, the Bureau of Crime Statistics and interviews with Tony Grabs, the director of trauma at St Vincent’s Hospital in inner city Darlinghurst. Price found that both injuries from alcohol and drug-related violence had risen dramatically over the last few years and seemed to be driven by increasing frustrations of a city that is perceived to be lacking appropriate infrastructure and rising levels of personal and household debt. Sydney’s famous harbour and postcard landmarks are surrounded by places of controversy and poverty, with residents of very backgrounds living in close proximity: often harmoniously and sometimes less so. According to recent research by Griffith University’s Urban Research Program, the city is becoming increasingly polarised, with the wealthiest enjoying high levels of access to amenities while other sections of the population experiencing increasing deprivation (Frew 7). Sydney, is often segmented into different regions: the growth corridors of the western suburbs which include the ‘Aspirational class’; the affluent eastern suburb; the southern beachside suburbs surrounding Cronulla affectionately known by local residents as ‘the Shire’, and so on. This, however, hides that fact that these areas are themselves complex and heterogenous in character (Frew 7). As a result, the many clichés associated with such segments lead to an over simplification of regional characteristics. The ‘growth corridors’ of Western Sydney, for example, have, in recent times, become a focal point of political and social commentary. From the rise of the ‘Aspirational’ voter (Anderson), seen to be a key ‘powerbroker’ in federal and state politics, to growing levels of disenfranchised young people, this region is multifaceted and should not be simplified. These areas often see large-scale, private housing estates; what Brendan Gleeson describes as ‘privatopias’, situated next to rising levels of homelessness (“What’s Driving”): a powerful and concerning image that should not escape our attention. (Chamberlain and Mackenzie pay due attention to the issue in Homeless Careers.) It is also home to a growing immigrant population who often arrive as business migrants and as well as a rising refugee population traumatised by war and displacement (Collins 1). These growth corridors then, seem to simultaneously capture both the ambitions and the fears of Sydney. That is, they are seen as both areas of potential economic boom as well as social stress and potential conflict (Gleeson 89). One way to comprehend the complexity associated with such diversity and change is to reflect on the proximity of the twin suburbs of Macquarie Links and Macquarie Fields situated in Sydney’s south-western suburbs. Separated by the clichéd ‘railway tracks’, one is home to the growing Aspirational class while the other continues to be plagued by the stigma of being, what David Burchell describes as, a ‘dysfunctional dumping ground’ whose plight became national headlines during the riots in 2005. The riots were sparked after a police chase involving a stolen car led to a crash and the death of a 17 year-old and 19 year-old passengers. Residents blamed police for the deaths and the subsequent riots lasted for four nights – involving 150 teenagers clashing with New South Wales Police. The dysfunction, Burchell notes is seen in crime statistics that include 114 stolen cars, 227 burglaries, 457 cases of property damage and 279 assaults – all in 2005 alone. Interestingly, both these populations are surrounded by exclusionary boundaries: one because of the financial demands to enter the ‘Links’ estate, and the other because of the self-imposed exclusion. Such disparities not only provide challenges for policy makers generally, but also have important implications on the attitudes that citizens’ experience towards their relationship with each other as well as the civic institutions that are meant to represent them. This is particular the case if civic institutions are seen to either neglect or favour certain groups. This, in part, has given rise to what I describe here as a ‘citizenship surplus’ as well as a ‘citizenship deficit’. Research Agenda: Investigating Citizenship Surpluses and Deficits This changing city has meant that there has also been a change in the way that different groups interact with, and perceive, civic bodies. As noted, my initial research shows that this has led to the emergence of both citizenship surpluses and deficits. Though the concept of a ‘citizen deficits and surpluses’ have not emerged within the broader literature, there is a wide range of literature that discusses how some sections of the population lack of access to democratic processes. There are three broad areas of research that have emerged relevant here: citizenship and young people (see Arvanitakis; Dee); citizenship and globalisation (see Della Porta; Pusey); and citizenship and immigration (see Baldassar et al.; Gow). While a discussion of each of these research areas is beyond the scope of this paper, a regular theme is the emergence of a ‘democratic deficit’ (Chari et al. 422). Dee, for example, looks at how there exist unequal relationships between local and central governments, young people, communities and property developers in relation to space. Dee argues that this shapes social policy in a range of settings and contexts including their relationship with broader civic institutions and understandings of citizenship. Dee finds that claims for land use that involve young people rarely succeed and there is limited, if any, recourse to civic institutions. As such, we see a democratic deficit emerge because the various civic institutions involved fail in meeting their obligations to citizens. In addition, a great deal of work has emerged that investigates attempts to re-engage citizens through mechanisms to promote citizenship education and a more active citizenship which has also been accompanied by government programs with the same goals (See for example the Western Australian government’s ‘Citizenscape’ program ). For example Hahn (231) undertakes a comparative study of civic education in six countries (including Australia) and the policies and practices with respect to citizenship education and how to promote citizen activism. The results are positive, though the research was undertaken before the tumultuous events of the terrorist attacks in New York, the emergence of the ‘war on terror’ and the rise of ‘Muslim-phobia’. A gap rises, however, within the Australian literature when we consider both the fluid and heterogenous nature of citizenship. That is, how do we understand the relationship between these diverse groups living within such proximity to each other overlayed by changing migration patterns, ongoing globalised processes and changing political environments as well as their relations to civic institutions? Further, how does this influence the way individuals perceive their rights, expectations and responsibilities to the state? Given this, I believe that there is a need to understand citizenship as a fluid and heterogenous phenomenon that can be in surplus, deficit, progressive and reactionary. When discussing citizenship I am interested in how people perceive both their rights and responsibilities to civic institutions as well as to the residents around them. A second, obviously related, area of interest is ‘civic engagement’: that is, “the activities of people in the various organisations and associations that make up what scholars call ‘civil society’” (Portney and Leary 4). Before describing these categories in more detail, I would like to briefly outline the methodological processes employed thus far. Much of the research to this point is based on a combination of established literature, my informal discussions with citizen groups and my observations as ‘an activist.’ That is, over the last few years I have worked with a broad cross section of community-based organisations as well as specific individuals that have attempted to confront perceived injustices. I have undertaken this work as both an activist – with organisations such as Aid/Watch and Oxfam Australia – as well as an academic invited to share my research. This work has involved designing and implementing policy and advocacy strategies including media and public education programs. All interactions begin with a detailed discussion of the aims, resources, abilities and knowledge of the groups involved, followed by workshopping campaigning strategies. This has led to the publication of an ‘activist handbook’ titled ‘From Sitting on the Couch to Changing the World’, which is used to both draft the campaign aims as well as design a systematic strategy. (The booklet, which is currently being re-drafted, is published by Oxfam Australia and registered under a creative commons licence. For those interested, copies are available by emailing j.arvanitakis (at) uws.edu.au.) Much research is also sourced from direct feedback given by participants in reviewing the workshops and strategies The aim of tis paper then, is to sketch out the initial findings as well as an agenda for more formalised research. The initial findings have identified the heterogenous nature of citizenship that I have separated into four ‘citizenship spaces.’ The term space is used because these are not stable groupings as many quickly move between the areas identified as both the structures and personal situations change. 1. Marginalisation and Citizenship Deficit The first category is a citizenship deficit brought on by a sense of marginalisation. This is determined by a belief that it is pointless to interact with civic institutions, as the result is always the same: people’s opinions and needs will be ignored. Or in the case of residents from areas such as Macquarie Fields, the relationship with civic institutions, including police, is antagonistic and best avoided (White par. 21). This means that there is no connection between the population and the civic institutions around them – there is no loyalty or belief that efforts to be involved in political and civic processes will be rewarded. Here groups sense that they do not have access to political avenues to be heard, represented or demand change. This is leading to an experience of disconnection from political processes. The result is both a sense of disengagement and disempowerment. One example here emerged in discussions with protesters around the proposed development of the former Australian Defence Industry (ADI) site in St Marys, an outer-western suburb of Sydney. The development, which was largely approved, was for a large-scale housing estate proposed on sensitive bushlands in a locality that resident’s note is under-serviced in terms of public space. (For details of these discussions, see http://www.adisite.org/.) Residents often took the attitude that whatever the desire of the local community, the development would go ahead regardless. Those who worked at information booths during the resident protests informed me that the attitude was one best summarised by: “Why bother, we always get stuffed around any way.” This was confirmed by my own discussions with local residents – even those who joined the resident action group. 2. Privatisation and Citizenship Deficit This citizenship deficit not only applies to the marginalised, however, for there are also much wealthier populations who also appear to experience a deficit that results from a lack of access to civic institutions. This tends to leads to a privatisation of decision-making and withdrawal from the public arena as well as democratic processes. Consequently, the residents in the pockets of wealth may not be acting as citizens but more like consumers – asserting themselves in terms of Castells’s ‘collective consumption’ (par. 25). This citizenship deficit is brought on by ongoing privatisation. That is, there is a belief that civic institutions (including government bodies) are unable or at least unwilling to service the local community. As a result there is a tendency to turn to private suppliers and believe that individualisation is the best way to manage the community. The result is that citizens feel no connection to the civic institutions around them, not because there is no desire, but there are no services. This group of citizens has often been described as the ‘Aspirationals’ and are most often found in the growth corridors of Sydney. There is no reason to believe that this group is this way because of choice – but rather a failure by government authorities to service their needs. This is confirmed by research undertaken as early as 1990 which found that the residents now labelled Aspirational, were demanding access to public infrastructure services including public schools, but have been neglected by different levels of government. (This was clearly stated by NSW Labor MP for Liverpool, Paul Lynch, who argued for such services as a way to ensure a functioning community particularly for Western Sydney; NSWPD 2001.) As a result there is a reliance on private schools, neighbourhoods, transport and so on. Any ‘why bother’ attitude is thus driven by a lack of evidence that civic institutions can or are not willing to meet their needs. There is a strong sense of local community – but this localisation limited to others in the same geographical location and similar lifestyle. 3. Citizenship Surplus – Empowered Not Engaged The third space of citizenship is based on a ‘surplus’ even if there is limited or no political engagement. This group has quite a lot in common with the ‘Aspirationals’ but may come from areas that are higher serviced by civic institutions: the choice not to engage is therefore voluntary. There is a strong push for self-sufficiency – believing that their social capital, wealth and status mean that they do not require the services of civic institutions. While not antagonistic towards such institutions, there is often a belief is that the services provided by the private sector are ultimately superior to public ones. Consequently, they feel empowered through their social background but are not engaged with civic institutions or the political process. Despite this, my initial research findings show that this group has a strong connection to decision-makers – both politicians and bureaucrats. This lack of engagement changes if there is a perceived injustice to their quality of life or their values system – and hence should not be dismissed as NIMBYs (not in my backyard). They believe they have the resources to mobilise and demand change. I believe that we see this group materialise in mobilisations around proposed developments that threaten the perceived quality of life of the local environment. One example brought to my attention was the rapid response of local residents to the proposed White City development near Sydney’s eastern suburbs that was to see tennis courts and public space replaced by residential and commercial buildings (Nicholls). As one resident informed me, she had never seen any political engagement by local residents previously – an engagement that was accompanied by a belief that the development would be stopped as well as a mobilisation of some impressive resources. Such mobilisations also occur when there is a perceived injustice. Examples of this group can be found in what Hugh Mackay (13) describes as ‘doctor’s wives’ (a term that I am not wholly comfortable with). Here we see the emergence of ‘Chilout’: Children out of Detention. This was an organisation whose membership was described to me as ‘north shore professionals’, drew heavily on those who believed the forced incarceration of young refugee children was an affront to their values system. 4. Insurgent Citizenship – Empowered and Engaged The final space is the insurgent citizen: that is, the citizen who is both engaged and empowered. This is a term borrowed from South Africa and the USA (Holston 1) – and it should be seen as having two, almost diametrically opposed, sides: progressive and reactionary. This group may not have access to a great deal of financial resources, but has high social capital and both a willingness and ability to engage in political processes. Consequently, there is a sense of empowerment and engagement with civic institutions. There is also a strong push for self-sufficiency – but this is encased in a belief that civic institutions have a responsibility to provide services to the public, and that some services are naturally better provided by the public sector. Despite this, there is often an antagonistic relationship with such institutions. From the progressive perspective, we see ‘activists’ promoting social justice issues (including students, academics, unionists and so on). Organisations such as A Just Australia are strongly supported by various student organisations, unions and other social justice and activist groups. From a reactionary perspective, we see the emergence of groups that take an anti-immigration stance (such as ‘anti-immigration’ groups including Australia First that draw both activists and have an established political party). (Information regarding ‘anti-refugee activists’ can be found at http://ausfirst.alphalink.com.au/ while the official website for the Australia First political part is at http://www.australiafirstparty.com.au/cms/.) One way to understand the relationship between these groups is through the engagement/empowered typology below. While a detailed discussion of the limitations of typologies is beyond the scope of this paper, it is important to acknowledge that any typology is a simplification and generalisation of the arguments presented. Likewise, it is unlikely that any typology has the ability to cover all cases and situations. This typology can, however, be used to underscore the relational nature of citizenship. The purpose here is to highlight that there are relationships between the different citizenship spaces and individuals can move between groups and each cluster has significant internal variation. Key here is that this can frame future studies. Conclusion and Next Steps There is little doubt there is a relationship between attitudes to citizenship and the health of a democracy. In Australia, democracy is robust in some ways, but many feel disempowered, disengaged and some feel both – often believing they are remote from the workings of civic institutions. It would appear that for many, interest in the process of (formal) government is at an all-time low as reflected in declining membership of political parties (Jaensch et al. 58). Democracy is not a ‘once for ever’ achievement – it needs to be protected and promoted. To do this, we must ensure that there are avenues for representation for all. This point also highlights one of the fundamental flaws of the aforementioned citizenship test. According to the Department of Immigration and Citizenship, the test is designed to: help migrants integrate and maximise the opportunities available to them in Australia, and enable their full participation in the Australian community as citizens. (par. 4) Those designing the test have assumed that citizenship is both stable and, once achieved, automatically ensures representation. This paper directly challenges these assumptions and offers an alternative research agenda with the ultimate aim of promoting high levels of engagement and empowerment. References Anderson, A. “The Liberals Have Not Betrayed the Menzies Legacy.” Online Opinion 25 Oct. 2004. http://www.onlineopinion.com.au/view.asp?article=2679>. Arvanitakis, J. “Highly Affected, Rarely Considered: The International Youth Parliament Commission’s Report on the Impacts of Globalisation on Young People.” Sydney: Oxfam Australia, 2003. Baldassar, L., Z. Kamalkhani, and C. 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