Academic literature on the topic 'SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE UMANISTICHE - indirizzo STORICO E STORICO ARTISTICO'

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Dissertations / Theses on the topic "SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE UMANISTICHE - indirizzo STORICO E STORICO ARTISTICO"

1

Diklic, Olga. "AMBIENTI NATURALI, PROGETTI STATALI E PROPOSTE DI RIFORMA NEL TERRITORIO DI TRAÙ DI FINE SETTECENTO E PRIMA METÁ DELL’OTTOCENTO." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9957.

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Abstract:
2012/2013
Tutt’altro che selvaggio o immodificato era l’ambiente naturale tragurese di fine Settecento e della prima metà dell’ Ottocento. Il territorio ed il suo ambiente in termini ecostorici lo contrassegnavano le economie e le società preindustriali della tarda età moderna e i modelli tradizionali dell’uso della terra. La dimensione che li rendeva “selvaggi” erano i modelli percettivi occidentali di un “barbarico” ed economicamente arretrato “Adriatic empire” e le forme aspre dell’assetto naturale, che nella visione dei contemporanei risultavano indomabili, insufficentemente sfruttate o poco usufruibili. Di conseguenza, a dominare l’area si presentava proprio il fattore naturale, cui conseguentemente era da associarsi la genuinità e la potenzialità dell’area. Risultato di queste visioni del tempo e dello spazio, accompagnate dalle accurate mappature e statistiche statali sul suo assetto e sulle sue potenzialità (eseguite ai fini del consolidamento del potere), era l’apertura ad un’ ulteriore esplorazione delle terre sconosciute della “mythical Illyria” e ad un’ ulteriore modifica dell’ambiente naturale. Un tale rapporto con l’ ambiente naturale ben si inquadrava nella visione antropocentrica dell’ ambiente che rievocava l’utilizzo deliberato ed incondizionato della natura che in età moderna avrebbe trovato la sua articolazione naturale nell’emergere dello stato territoriale e del capitalismo. Questà è un analisi ecostorica che come l’ idea aveva rilevare i diversi aspetti dell’ impatto umano sull’ ambiente naturale in un relativamente breve e transitorio periodo storico, caratterizzante i forti avvenimenti di guerra e modifiche di governi, i nuovi paradigmi di società e politiche, ma ancora non immodificati i rapporti sociali ed economici e gli effetti di accumulata pressione antropica storica sull’ ambiente. In tale contesto sono appunto i diversi elementi dell’ambiente naturale a raccontare di un momento storico segnato da un ambiente naturale fortemente trasformato, ma anche di una lunga storia dell’ impatto umano sull’ ambiente incisa sulla sua parte geografica e fisica così come su quella storica e di evento.
XXV Ciclo
1970
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2

Dato, Gaetano. "L'uso delle memorie: il caso di Trieste, confine culturale e ideologico nel cuore dell'Europa 1945-1965." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8647.

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Abstract:
2011/2012
I studied the relationships between politics and religion around the sites of memory in North Adriatic border region in late modern age. This means that I have discovered how the National tradition developed in German and Austrian culture in 19th century, synthetically defined by G. Mosse’s category Nationalization of the Masses, became a foundamental paradigm both in Italian and Slovenian civil religions of the region, until the second half of 20th century. Using both Italian and Slovenian sources, I am trying to analyze the relation of Italian and Slovenian border society with their history and memory, and how these influences had affected public opinion and collective conscience.
XXV Ciclo
1981
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3

Bencich, Marco. "Protagonisti e correnti del sionismo italiano fra Otto e Novecento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10010.

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Abstract:
2012/2013
Questo lavoro ha avuto come oggetto di studio l'attività del movimento sionista nella penisola italiana tra Otto e Novecento, e più nello specifico sono stati analizzati il processo di diffusione della sua ideologia e i suoi maggiori esponenti a livello nazionale. Nel contempo è stato esaminato il particolare ruolo propagandistico della stampa ebraica attraverso un continuo confronto delle differenti opinioni e posizioni delle singole riviste sioniste e filo-sioniste italiane riguardo ad alcune delle principali questioni messe in campo dal movimento ebraico di rinascita nazionale. I periodici sono stati altresì utilizzati per esaminare quelle che furono le reazioni dei sionisti italiani di fronte ai maggiori eventi che toccarono direttamente o indirettamente la comunità ebraica (italiana e internazionale) tra Otto e Novecento. Un lavoro dunque sulle idee e gli atteggiamenti, sulle polemiche e le contraddizioni, che contraddistinsero il sionismo italiano tra la fine dell'Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Il periodo esaminato è senz'altro fra i più interessanti, ma difficili e convulsi, della storia ebraica italiana. All'inizio del Novecento l'ebraismo italiano era immerso nel clima liberale dell'epoca post-emancipazionista: in gran parte della popolazione ebraica l'uscita dai ghetti fu intesa e vissuta come libertà da se stessi, ovvero dal mondo ebraico. La conseguenza più evidente di questa nuova condizione dell'ebraismo italiano fu la disgregazione del concetto unitario e globale della vita ebraica e la sua riduzione ad un mero fenomeno religioso, ovvero di coscienza personale. Il movimento sionista ebbe il merito di mettere a nudo le contraddizioni che erano emerse all'interno delle Comunità italiane in seguito ai processi di emancipazione e integrazione. Nella ricerca si sono impiegate e confrontate tre differenti tipologie di fonti: pubblicazioni a stampa (articoli e opuscoli), lettere private e documenti ufficiali della Federazione Sionistica Italiana e dei vari Circoli locali (corrispondenza del Presidente della Federazione, verbali, volantini di propaganda). Il lavoro si articola in otto capitoli, di cui i primi quattro sono organizzati in prevalenza su base tematica mentre gli ultimi seguono lo sviluppo prettamente cronologico del sionismo italiano. Il primo capitolo ha carattere introduttivo: vi presento una problematizzazione storiografica sulla questione dell'identità ebraica dopo l'emancipazione. Il secondo capitolo contiene uno studio sui periodici sionisti e filo-sionisti in lingua italiana, la fonte principale di questo lavoro, e i loro principi ispiratori, che per molti versi furono dissimili gli uni dagli altri; nel terzo cerco invece di estrinsecare le varie declinazioni che il concetto di «sionismo» assunse nelle riflessioni dei sionisti italiani. I capitoli dal quarto all'ottavo analizzano lo sviluppo del sionismo italiano fino alla prima Guerra Mondiale, con particolare attenzione ai suoi rapporti con il movimento internazionale (capitolo IV) e le conseguenze che su di esso ebbero i conflitti bellici dello Stato italiano (capitolo VIII); uno dei punti nodali del presente lavoro è rappresentato dall'ascesa e crisi dell'attivismo sionista in Italia (capitoli V e VI).
XXV Ciclo
1981
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4

Miklic, Vanja. "Le Comunità greca e illirica di Trieste: dalla separazione ecclesiastica alla collaborazione economica (XVIII - XIX secolo)." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10079.

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Abstract:
2012/2013
Nel XVIII secolo, in seguito alla dichiarazione del Porto franco, Trieste si trasformò in una città-porto cosmopolita. Le nuove comunità etnico-religiose, e in particolar modo i greci, gli illirici e gli ebrei usufruirono della favorevole politica economica, dei privilegi commerciali ma soprattutto dell’alto livello di tolleranza religiosa garantiti dal governo asburgico. Questo atteggiamento imperiale contribuì a consolidare la fiducia delle comunità immigrate nel governo centrale, e a diminuire la sensazione di estraneità favorendo la loro integrazione. I greci e gli illirici parteciparono attivamente allo sviluppo di tutti i rami dell’economia triestina. Si occuparono prevalentemente del commercio al minuto e all’ingrosso monopolizzando quasi esclusivamente il commercio con il Levante grazie alla creazione delle reti intra-famigliari basate sulla fiducia, reputazione e reciprocità. I greci furono più propensi verso il settore commerciale mentre il settore armatoriale rappresentava il punto di forza degli illirici. Come conseguenza diretta dell’aumento dei commerci marittimi con il Levante, dello sviluppo del settore armatoriale e dell’accumulo di capitale, sorsero le prime società assicurative. Anche in questo settore l’intensa collaborazione greco-illirica, condusse all’accentramento del potere nelle mani dell’élite commerciale ortodossa. Il benessere economico dei greci e degli illirici, risultato delle fiorenti attività imprenditoriali, si concretizzò anche in cultura, mecenatismo e possesso immobiliare.
In the eighteenth century, following the declaration of the Free Port, Trieste became a cosmopolitan port-city. The new ethno-religious communities, and especially the Greeks, the Illyrians and the Jews took advantage of the favorable economic policy, trade privileges, and especially the high level of religious tolerance guaranteed by the Habsburg government. This imperial attitude helped to consolidate the trust of immigrant communities in the central government, and reduce the feeling of alienation by fostering their integration. The Greeks and Illyrians participated actively in the development of all branches of the economy of Trieste. They were involved mainly in retail trade and wholesale almost exclusively monopolizing trade with the Levant through the creation of intra-family networks based on trust, reputation and reciprocity. The Greeks were more prone to the commercial sector while the Illyrians were more prone to the shipping. As a direct result of increased maritime trade with the Levant, the development of the shipping sector and the accumulation of capital, first insurance companies were founded. The intense Greek-Illyrian collaboration, in this sector resulted with the centralization of power by the Orthodox commercial élite. The economic prosperity of the Greeks and Illyrians as result of the flourishing business activities, found its expression in culture, patronage and real estate possession.
XXV Ciclo
1983
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5

Bullian, Enrico. "La sicurezza sul lavoro e la navalmeccanica dal secondo dopoguerra a oggi. Il caso del cantiere di Monfalcone." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/10260.

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Abstract:
2011/2012
La tesi ha l’obiettivo di indagare l’evoluzione della gestione della sicurezza sul lavoro nell’Italia del Novecento e in particolare del secondo dopoguerra. L’attenzione viene focalizzata sul caso specifico della navalmeccanica e del Cantiere di Monfalcone, anche in chiave comparata con un approfondimento sul periodo fra gli anni Sessanta e Ottanta. I primi 3 capitoli si occupano della sicurezza sul lavoro in Italia nella seconda metà del Novecento, mentre i capp. 4-6 trattano della salute operaia nel Cantiere di Monfalcone e negli altri stabilimenti navali. In ogni capitolo si affronta il problema in termini riferibili sia agli infortuni sia alle malattie professionali, svolgendo approfondimenti specifici sull’esposizione all’amianto.
XXIV Ciclo
1983
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6

Stopper, Francesca. "Per una storia dell'oreficeria veneziana: le suppellettili liturgiche tra 1680 e 1797." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11125.

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Abstract:
2013/2014
Il presente studio pone l’attenzione sulla stagione barocca e rococò dell’oreficeria veneziana. Si prefissa di tracciare una storia dell’evoluzione dell’oreficeria sacra a Venezia, partendo dall’analisi delle opere a carattere sacro che si conservano nelle chiese della città lagunare. Sulla scorta dell’intreccio tra la ricerca sulle fonti manoscritte, a stampa e sui documenti d’archivio, l’analisi dei punzoni e lo studio diretto dei manufatti (si sono catalogati più di 250 oggetti), si è cercato di descrivere il periodo che dall’affermazione del gusto barocco ha portato al Rococò. A tal fine, si sono esaminate le vicende artistiche di alcuni tra i principali orefici e botteghe, operanti nella lavorazione delle suppellettili liturgiche. Tra questi si ricordano Antonio Bonacina, Pietro Bortoletto, Andrea Zambelli e le botteghe al Coraggio, al Trofeo, al Trionfo di Santa Chiesa e al San Lorenzo Giustinian, di cui è stato possibile riunire un corpus di opere significative. Lo studio ha inoltre approfondito il tema delle interferenze e delle interrelazioni tra le arti. Oltre alle affinità stilistico-formali evidenti dal confronto tra oreficerie, bronzetti e sculture, riconducibili alla diffusione dei medesimi prototipi e alla partecipazione dello stesso sentire artistico, si è fatta luce su più occasioni in cui orefici hanno collaborato con architetti, pittori, scultori e intagliatori nelle commissioni di apparati processionali e di arredi d’altare.
XXVII Ciclo
1984
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7

Gobet, Andrea. "La socialdemocrazia austriaca e la riflessione politica sul primo dopoguerra italiano (1918-1927)." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10011.

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Abstract:
2012/2013
La ricerca ha per oggetto la riflessione della socialdemocrazia austriaca sulle vicende politiche del primo dopoguerra italiano, segnate dall’imposizione del regime fascista, e le sue ripercussioni sulla vita della Repubblica austriaca, nell’arco di tempo compreso tra la fine della prima guerra mondiale e il 1927, significativo momento di passaggio nella storia della Prima Repubblica austriaca. Il lavoro ha permesso di osservare le prime fasi dello sviluppo del fascismo italiano attraverso la lente di un Paese straniero, valutandone in questo modo, attraverso il caso di studio rappresentato dal partito socialdemocratico austriaco, la percezione esterna e gli effetti politici al di fuori dell’Italia. Sul piano delle fonti, è stata esaminata principalmente la pubblicistica socialdemocratica dell’epoca, integrando il materiale edito con le fonti d’archivio relative al partito socialdemocratico conservate presso il Verein für Geschichte der Arbeiterbewegung di Vienna. La ricerca ha incluso inoltre l’analisi di una parte ben delimitata delle fonti diplomatiche attinenti al rapporto tra Austria e Italia, vale a dire i materiali delle rappresentanze diplomatiche austriache in Italia, conservati presso l’Österreichisches Staatsarchiv, e gli incartamenti della rappresentanza diplomatica italiana a Vienna dell’Archivio storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri italiano. In entrambi i casi l’attenzione è stata rivolta agli aspetti prettamente politici presenti nella documentazione, con l’obiettivo di recuperare gli elementi fondamentali della comunicazione diplomatica ufficiale, come termine di confronto rispetto alle informazioni e alle interpretazioni offerte dai socialdemocratici austriaci a proposito delle vicende italiane. Dal punto di vista tematico, l’interesse principale ha riguardato il problema della democrazia nel periodo infrabellico, nei suoi aspetti istituzionali e politico-culturali, con particolare attenzione al ruolo dei movimenti socialisti, del fascismo italiano e dei fascismi, della violenza politica e delle diverse forme di pensiero antidemocratico.
XXVI Ciclo
1985
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8

Londero, Igor. "Felice Ippolito intellettuale e grand commis - La ricerca nucleare in Italia dal dopoguerra al primo centrosinistra." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8618.

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Abstract:
2011/2012
Lo studio della fisica nucleare in Italia ebbe il suo mito fondativo nelle vicende dei “ragazzi di via Panisperna”, dal nome della via romana in cui sorgevano i laboratori diretti da Enrico Fermi. Dopo aver raggiunto la fama mondiale (in particolare con il Nobel per la fisica di Fermi nel 1938), il gruppo fu disperso a causa della politica (sia razziale che scientifica) del regime fascista. Mentre Fermi ed altri, espatriati in America, davano il proprio determinante contributo alla realizzazione della bomba atomica, in Italia rimase il solo Edoardo Amaldi che, nel dopoguerra, si trovò ad essere, nel Paese e fuori, un fondamentale punto di riferimento per la fisica italiana. Nell’immediato dopoguerra, a fronte di un sostanziale disinteresse del Governo italiano in materia di ricerca, furono le industrie elettriche private a muovere i primi passi verso la ricerca e lo sviluppo della tecnologia nucleare, concedendo il proprio appoggio ad alcuni giovani ricercatori del Politecnico di Milano che diedero vita al CISE (Centro Informazioni Studi Esperienze). Parallelamente, la “comunità dei fisici” iniziava a ritagliarsi un proprio spazio autonomo di manovra. Nel 1951 i gruppi universitari che si occupavano di fisica fondamentale diedero vita all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) mentre l'anno successivo, non senza attriti con il CISE, il Ministero dell'Industria appoggiò la creazione del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN), incaricato di promuovere e occuparsi della fisica nucleare applicata. Alla presidenza fu nominato Francesco Giordani, chimico napoletano legato all'IRI ed agli ambienti del neo meridionalismo. Il Comitato, che solo nel 1960 fu mutato in CNEN (Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare) ottenendo la necessaria personalità giuridica, dovette costantemente far fronte alle difficoltà derivanti dalla propria fragilità istituzionale e dalle continue tensioni con l'industria elettrica privata. Ciononostante, sotto la guida del suo Segretario Generale Felice Ippolito, riuscì a dar vita ad importanti realizzazioni (come il Sincrotrone di Frascati o il Centro di ricerche nucleari di Ispra) e diede l'impulso fondamentale che portò alla costruzione, nei primi anni '60, delle prime centrali nucleari in Italia. Questo “periodo aureo” della fisica nucleare applicata iniziò a finire nell’agosto del 1963 quando una dura campagna stampa prese a mettere in discussione le gestione di Ippolito che si ritrovò al centro di un “caso” che da mediatico si fece ben presto giuridico e portò, nel marzo del 1964, all'arresto del Segretario Generale del CNEN per irregolarità amministrative. “Il caso Ippolito”, lungi dall’essere solo un processo per un isolato caso di malversazione, di fatto sancì la fine della ricerca e dello sviluppo del nucleare in Italia, facendo piazza pulita non solo dei progetti di nuove centrali atomiche, ma anche di un certo tipo di gestione degli enti pubblici che aveva fatto dell’elasticità amministrativa il proprio punto di forza, laddove in seguito si impose la burocratizzazione e la lottizzazione politica. Nella tesi in esame ho tentato di individuare, all'interno di un campo di ricerca così vario e così ricco di spunti collocati a cavallo di più discipline storiche (storia e filosofia della scienza, dell'economica e dell'industria, della cultura e della politica, delle relazioni internazionali), alcuni snodi focali ed emblematici che permettessero di sviluppare un percorso di indagine su quello che appariva come un meraviglioso tentativo di far recuperare all'Italia il tempo perduto a causa del regime fascista, in termini di sviluppo tecnologico e scientifico, ma anche culturale e politico. Tale tentativo ottenne risultati di rilievo mondiale nel dopoguerra ma andò incontro ad una nuova sconfitta, nei primi anni '60, quando emerse l'incapacità dello Stato di riformare se stesso per tener dietro ai rapidi mutamenti, non solo tecnici, che la tecnologia d'eccellenza pretende per mantenersi tale. Fin dall'inizio ho individuato in Felice Ippolito il trait d'union tra i fatti caratterizzanti le vicende trattate. Interessato alla ricerca nucleare quale geologo esperto in prospezioni minerarie, in seguito venne nominato Segretario Generale del CNRN e si trovò a rivestire un ruolo chiave, emblematico e rappresentativo, all'interno di un complesso ambiente culturale composto da intellettuali, scienziati ed alti funzionari che parteciparono ad una rete di rapporti all'interno della quale si elaborarono delle organiche strategie di sviluppo per il Paese. Ippolito divenne referente e portavoce di una comunità scientifica che si caratterizzava in quegli anni per il suo rapporto estremamente dialettico e consapevole con tutte le componenti della società, dalla classe politica al mondo dell'industria e dell'economica, dal mondo della cultura alle classi subalterne. Per comprendere l'incontro tra Ippolito e la comunità dei fisici, ho ritenuto di iniziare la tesi con un accenno all'esperienza dei “ragazzi di via Panisperna” e di Enrico Fermi, in particolare. La partenza in treno di Fermi per Stoccolma, il 6 dicembre 1938, dove avrebbe ritirato il premio Nobel prima di espatriare negli Stati Uniti (in fuga dalle leggi razziali ma soprattutto dall'incapacità del regime fascista di comprenderne e sostenerne le iniziative), è stata presentata come evento simbolico e metaforico della perdita di un primo “treno per la modernità” da parte dell'Italia. L'attenzione è stata posta soprattutto su chi rimase sulla banchina di quella stazione, ovvero Edoardo Amaldi, che pur con molti dubbi alla fine scelse di rimanere in Italia diventando il punto di riferimento per eccellenza, in virtù del suo carisma scientifico ed umano, della comunità dei fisici italiani nel dopoguerra. In particolare ho messo in evidenza il rafforzarsi in Amaldi di un punto di vista autonomo su quello che doveva essere il rapporto tra la ricerca scientifica ed il mondo della politica e dell'industria. Mentre oltreoceano Fermi delegava al Governo la valutazione etica e la gestione dei risultati del proprio lavoro scientifico, in Italia il suo allievo Amaldi fin dal dopoguerra iniziò a tessere una rete di rapporti, con l'industria e le aziende controllate dallo Stato, caratterizzati da alcuni principi imprescindibili. Quando gli industriali elettrici privati lo chiamarono al CISE, Amaldi pose perentorie condizioni alla propria partecipazione, come la difesa della sua autonomia scientifica, il rifiuto di ogni principio di segretezza, ed il fatto che la ricerca doveva andare a beneficio dell'intera collettività e non a vantaggio di pochi gruppi privati. Dopo aver delineato alcuni elementi della figura di Amaldi, ho concentrato il mio interesse su Ippolito e sui suoi rapporti con l'ambiente culturale napoletano, liberale e meridionalista, di cui anche Francesco Giordani faceva parte. Attraverso la bibliografia e gli archivi dell'ente, ho esaminato la nascita del CNRN sull'asse Ippolito-Giordani-Pietro Campilli (il Ministro dell'Industria che sostenne il progetto) e di seguito l'insorgere delle tensioni con il CISE e l'industria privata. L'obiettivo è stato di mettere in evidenza l'estrema “coerenza” dell'incontro tra i fisici rappresentati da Amaldi e la politica scientifica portata avanti da Ippolito e Giordani, capaci di soddisfarne sia le ambizioni tecnico scientifiche che etiche e politiche. Con un capitolo intermedio, su tematiche di politica nucleare internazionale, ho introdotto il tema dell'iniziatica Atoms for peace, lanciata dal Presidente americano Eisenhower, che prospettava una politica di disarmo atomico fondata sulla socializzazione della tecnologia nucleare ad uso civile. Rinunciando a proporre un inquadramento storiografico e critico complessivo, ho scelto di render conto della rappresentazione offerta da uno dei protagonisti di quegli anni, ovvero il francese Bertrand Goldschmidt, che influenzò grandemente il punto di vista di Ippolito e degli Amici del Mondo (cui Ippolito si legò) e che oggi testimonia in maniera particolarmente efficace il clima di “euforia atomica” che determinò allora fondamentali scelte di politica energetica europea. L'iniziativa Atoms for Peace diede l'occasione ad Ippolito di avviare un'intesa collaborazione con l'ambiente culturale che ruotava attorno alla rivista «Il Mondo» diretta da Mario Pannunzio e che in quel momento si presentava come la fucina, di stampo liberale radicale, dei progetti politici che portarono in seguito al Centrosinistra. Ripercorrendo le pagine della rivista ho messo in evidenza un percorso di progressiva presa di coscienza sulla questione nucleare. Se fino all'iniziativa Atoms for Peace erano considerate solo le applicazioni militari di tale tecnologia, in seguito e anche grazie all'intervento di Ippolito, il dibattito sul nucleare venne connesso alla questione della produzione energetica vista nella prospettiva della lotta contro i monopoli e per la nazionalizzazione del settore. Su questi temi centrali in quella fase politica (sulla nazionalizzazione del settore elettrico si giocò la battaglia fondamentale per il Centrosinistra), Ippolito in particolare, a metà degli anni '50, iniziò a tessere un discorso unitario tra crescente richiesta energetica, sviluppo della tecnologia nucleare e necessaria nazionalizzazione. Coerenti a questa linea iniziarono ad apparire su «Il Mondo» i “Dialoghi plutonici” di Ernesto Rossi che testimoniavano i rapporti sempre più stretti tra Ippolito e la rivista, nel contesto delle vicissitudini politiche che portarono alla nascita del Partito Radicale ed ai convegni degli Amici del Mondo “La lotta contro i monopoli” e “Atomo ed elettricità”. Usando gli atti dei convegni e analizzando i molti articoli in merito apparsi sulla rivista, ho messo in evidenza il processo che portò, a partire dalle posizioni antistataliste sempre sostenute sulle pagine di «Il Mondo» in particolare da Rossi, al definirsi della presa di posizione nazionalizzatrice espressa durante il convegno “La lotta contro i monopoli”. Del seminario “Atomo ed elettricità” ho ritenuto di particolare interesse l'identificazione operata dai relatori tra esigenze tecnico-scientifiche dell'energia nucleare e opzione nazionalizzatrice che portò ad una lettura prettamente politica delle scelte tecniche da operare in materia di filiere tecnologiche. Lettura che, come evidenzieremo, Ippolito non condividerà a favore di un approccio che preferisce le soluzioni particolari alle analisi universali. Atoms for Peace comporta un rilancio generale della politica nucleare italiana anche in termini di “gara atomica” tra ricerca e sviluppo pubblici e privati. In particolare, ho esaminato il crescente clima di ostilità tra il CNRN e l'industria privata (l'Edison in particolare) e le cause che portarono alle dimissioni di Giordani dalla Presidenza del Comitato. In un capitolo titolato “Come Mattei all'Agip” ho delineato le difficoltà istituzionali che dovette affrontare Ippolito da segretario plenipotenziario del CNRN ed il conseguente sviluppo di un modus operandi problematico che ebbe importanti conseguenze nella creazione del “caso” che sarebbe esploso. Tra le molte vicissitudini del CNRN ho seguito soprattutto il processo che portò alla costruzione delle prime centrali atomiche in Italia con particolar attenzione alla collaborazione tra CNRN e Banca Mondiale che portò alla costruzione della centrale di Garigliano e che sintetizzò istanze meridionaliste e nucleariste. Con il capitolo “Dal CNRN al CNEN” ho esaminato il percorso politico che portò alla nascita del CNEN nel contesto delle trattative per il primo Governo di Centrosinistra e della nazionalizzazione dell'energia elettrica. L'obiettivo è stato in particolare mettere in evidenza le tensioni che andarono delineandosi all'interno del nuovo ente elettrico, l'ENEL, tra le posizioni rappresentate dal Direttore Generale Angelini ed il consigliere Ippolito. Negli ultimi due capitoli ho riassunto in modo antologico l'aspetto più ampiamente trattato dalla storiografia esistente sul tema, ovvero il “caso” mediatico e giuridico che prese il nome del Segretario Generale del CNEN e che portò alla sua incarcerazione. Oltre alla fase processuale, ho ricostruito il quadro politico e gli avvenimenti che portarono alla messa in stato di accusa di Ippolito, nell'estate del 1963, ed alla sua incarcerazione l'anno successivo, che ebbero come diretta conseguenza il drastico ridimensionamento dei programmi nucleari del CNEN. Infine ho proposto un'analisi delle ipotesi interpretative date al “caso Ippolito” evidenziando anche alcuni aspetti che, per varie ragioni, non sono stati ancora indagati. In ultima analisi il presente studio tenta di mettere in luce la complessità della materia trattata che, pur prestandosi per molte ragioni alle semplificazioni complottistiche e dietrologiche di stampo giornalistico, risulta incomprensibile senza una contestualizzazione capace di connettere il percorso della fisica nucleare italiana (che a partire dall'esperienza dei “ragazzi di via Panisperna” tende a pensarsi e muoversi come una “comunità” portatrice di propri interessi e ideali), il dibattito filosofico, culturale e tecnico sulle ragioni e sui mezzi dell'intervento dello Stato nell'economia e sul ruolo di intellettuali e scienziati nella società, ed infine la storia politica italiana, europea ed internazionale che portò alla nascita del Centrosinistra.
XXIV Ciclo
1975
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9

Scopas, Sommer Rossella. "Giacomo Zammattio (Trieste 1855 - 1927) architetto e collezionista." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8593.

Full text
Abstract:
2011/2012
Analisi della collezione dell' architetto Giacomo Zammattio (Trieste 1855- 1955)conservata tuttora nella residenza familiare a Trieste attraverso l'accertamento delle modalità di formazione e la catalogazione delle opere presenti
XXV Ciclo
1958
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10

Moscarda, Oblak Orietta. "Il "potere popolare" in Istria (1945-1953)." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11008.

Full text
Abstract:
2013/2014
Studiare la costruzione del “potere popolare” da parte del nascente regime comunista jugoslavo in una realtà complessa come quella istriana, nel periodo che va dal 1945 al 1953, è la finalità della ricerca che viene qui presentata. Per far ciò, l’attenzione viene rivolta al complesso dei cambiamenti politici, sociali ed economici introdotti nell’area istriana con il passaggio all’amministrazione jugoslava, che coincise con l’instaurazione e l’organizzazione di un nuovo potere politico e civile. Si è preferito quindi evitare una ricostruzione particolareggiata dell’instaurazione del regime comunista in Istria e in Croazia/Jugoslavia, per concentrarsi piuttosto sull’esame di alcuni importanti centri del potere jugoslavo allo scopo di coglierne le caratteristiche principali e di proporre un quadro d’assieme circa la politica attuata nei confronti della popolazione istriana, sia quella italiana che quella croata, nel periodo compreso fra il 1945 e il 1953. Quattro sono i capitoli che compongono l’elaborato finale. Il primo capitolo, "La presa del potere" analizza i capisaldi del nuovo sistema comunista jugoslavo e del potere popolare, ovvero le strutture informative, quelle militari e giudiziarie nella regione istriana. Il periodo ottobre 1943 - maggio 1945, che corrisponde al periodo della guerra effettiva in Istria e dell’occupazione tedesca, viene trattato in questo capitolo, in riferimento all’origine e allo sviluppo delle strutture militari, informative e giudiziarie, specie per quanto concerne lo sviluppo e gli obiettivi della resistenza croata e italiana sul territorio istriano, il programma di liberazione nazionale croata-slovena e gli atti di annessione dell’Istria alla Jugoslavia, così come il programma di rivoluzione jugoslava con la violenza degli infoibamenti da parte del MPL jugoslavo e l’istituzione dei comitati popolari di liberazione, visti quali nuovi organismi del potere popolare. Il secondo capitolo, "Il nuovo ordine", prende in esame la struttura che rappresentò il vero centro del potere nel sistema jugoslavo, ovvero il partito comunista croato. Dopo aver delineato il ruolo del PCC in Istria e in Croazia, viene rappresentata la sua organizzazione e la struttura sociale e nazionale della classe politica a livello distrettuale e regionale nel periodo 1945-48. All’interno della politica del Fronte popolare, sono presi in esame i rapporti che il partito comunista sviluppò nel dopoguerra con i principali gruppi di alleanza, vale a dire i con i narodnjaci, il basso clero croato e quella che dopo l’annessione diventò minoranza italiana. Nel terzo capitolo, dal titolo "L’organizzazione del potere civile", vengono innanzitutto tracciati i principi di costruzione del potere popolare e i suoi organi rappresentativi i quali, alla base della scala territoriale-amministrativa, erano costituiti dai comitati popolari. Tuttavia, si evidenzia come la reale influenza politica fosse concentrata nelle organizzazioni politiche e nei loro organi dirigenti, dove le decisioni venivano prese all’interno delle organizzazioni medesime e, attraverso diversi organi di “trasmissione”, venivano poi riportate agli organi statali e all’amministrazione statale. Si passa poi sinteticamente a spiegare l’origine e lo sviluppo dei comitati popolari nella regione istriana, la legge e le sue diverse integrazioni che li regolarono. Ne viene evidenziato il ruolo di strumenti esecutivi della politica del partito comunista, risultando sin dall’inizio subordinati alla volontà e agli indirizzi del partito. E proprio attraverso le elezioni di tali organi del potere locale, che in Istria si tennero nel 1945, nel 1949, nel 1950 e nel 1952, il partito profuse il massimo sforzo per raggiungere il controllo e la maggioranza nella loro composizione politica. Nell’ambito dell’operato delle nuove autorità popolari regionali, si osserva l’elasticità dei confini tra interventi politici e amministrativi, evidenziando il potere d’intervento del Comitato regionale del PCC, che aveva l’autorità di bloccare e di censurare qualsiasi provvedimento operativo attuato dal massimo organo popolare istriano, il CPL regionale, che non fosse in linea con i principi e con i tatticismi del partito. In questo senso, si discute anche quanto il rapporto gerarchico tra istituzioni politiche e amministrative si riflettesse sulle persone che ricoprivano tali funzioni e, soprattutto, sulle modalità di attuazione delle misure a livello periferico. L’accentramento del processo decisionale a Zagabria, rispettivamente a Belgrado, assieme alla rigida imposizione dall’alto come metodo di lavoro, rappresentarono alcuni dei motivi che portarono a giudizi negativi da parte dei fori superiori all’istanze politiche inferiori (regionale, distrettuale, cittadino). Nell’ambito delle nuove autorità popolari regionali, viene evidenziata la figura di Dušan Diminić, uno dei primi dirigenti ad essere ritirato dall’Istria, prima dello scioglimento delle strutture regionali del partito e di quelle popolari (1947) e che, per le sue posizioni politiche vicine a Đilas, fu espulso dal partito agli inizi degli anni Cinquanta. Il quarto capitolo, "Consolidamento e omologazione politica e nazionale (1948-1953)", sviluppa il periodo della vera e propria fase di consolidamento del nuovo potere, quando l’Istria divenne territorio jugoslavo a tutti gli effetti, con l’introduzione di tutte le leggi jugoslave, comprese quelle repubblicane e federali. A livello politico-istituzionale, tale fase fu segnata dallo scioglimento della struttura regionale del partito e di quella politico-amministrativa precedente, per unire amministrativamente e politicamente il territorio istriano alla regione di Fiume e del Litorale croato. Era questo il segnale evidente di un processo di inclusione dell’Istria alla Croazia/Jugoslavia e di omologazione politica e nazionale, con la creazione di un nuovo centro politico ed economico di riferimento per l’Istria (Fiume), nonché la costituzione di un Ministero per i territori neoliberati a livello federale, che aveva il compito di gestire tale processo. L’istituzione ebbe anche il compito di progettare nuove direttrici d’intervento dello stato ed una serie di misure di breve e lungo periodo, per ricostruire un sistema economico in grado di assicurare uno standard di vita soddisfacente alla popolazione contadina, dal momento che agli occhi delle autorità regionali le pessime condizioni di vita rappresentavano il fattore scatenante che aveva portato la popolazione istriana a fuggire clandestinamente dalla penisola e a richiedere l’opzione per la cittadinanza italiana. Il ricorso alla mobilitazione forzata della manodopera, sia per il lavoro nelle miniere dell’Arsia, che per la costruzione della ferrovia Lupogliano-Stallie, con il prelievo della popolazione anche da parte della polizia, produsse un rifiuto e un netto distacco della popolazione nei confronti delle autorità e del partito, non soltanto nelle cittadine lungo la costa, ma anche e soprattutto nelle zone interne, ritenute dalle autorità espressamente croate, come nei distretti di Pinguente e di Pisino. L’organo esecutivo del Ministero (Direzione generale), che aveva sede a Volosca, svolse un ruolo di coordinamento tra il governo repubblicano/federale e i comitati popolari di base anche in fatto di opzioni per la cittadinanza italiana. Gli eventi più importanti di tale periodo furono infatti la rottura della Jugoslavia con il Cominform e la massa delle opzioni a favore della cittadinanza italiana. Il quarto capitolo esamina le durissime reazioni della autorità popolari nei confronti di questi due contemporanei fenomeni: reazioni che colpirono le varie componenti nazionali residenti sul territorio, ma le cui conseguenze negative risultarono evidenti soprattutto nei confronti di quella italiana. Strettamente connesso alle opzioni respinte fu il fenomeno delle fughe clandestine, che si manifestò via mare, in particolare dalle isole del Quarnero, ma di frequente anche via terra. Le fughe clandestine, ma anche il semplice sospetto di fuga, oppure il favoreggiamento, furono perseguiti con solerte impegno dalla polizia jugoslava, in quanto considerate reati di massima gravità, con pene che potevano arrivare a dieci anni di lavori forzati. Il problema delle opzioni è poi correlato alla questione del Cominform, che esplose in tutta la sua gravità proprio in quel periodo. La rottura con Mosca nel 1948 portò qui alla frattura definitiva fra i comunisti italiani e il comunismo jugoslavo. Nei confronti dei “cominformisti” le autorità jugoslave avviarono una violenta epurazione, che lasciò ai comunisti italiani schieratisi con Stalin la sola via dell’emigrazione, attraverso la richiesta d'opzione quale possibilità di scampare ai processi, alle condanne al “lavoro socialmente utile” e alla deportazione nel campo di prigionia dell’Isola Calva (Goli Otok). Man mano che i dirigenti jugoslavi ampliarono il terreno dello scontro, ritenendolo non più solo questione di partito, ma attacco alla sovranità nazionale, la repressione anticominformista toccò anche tutti coloro che esprimevano una posizione critica sulle dure condizioni economiche del paese o facevano resistenza nei confronti della politica degli ammassi e delle cooperative agricole; indipendentemente dalla nazionalità, ne furono coinvolti tutti i contadini che rifiutavano o che chiedevano di uscire dalle cooperative agricole, che dal 1949 avevano registrato uno sviluppo forzato con la politica della collettivizzazione delle campagne. E’ da rilevare infine la doppiezza dell’atteggiamento assunto dalle autorità che, da una parte cercarono di contenere l’esodo, mettendo in campo misure repressive per ostacolarlo che si rivelarono errate e controproducenti, e dall’altra, invece, lo favorivano attuando una politica che era chiaramente volta a espellere una componente nazionale la cui presenza avrebbe potuto, in futuro, mettere in discussione i nuovi confini.
XXIV Ciclo
1966
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