Academic literature on the topic 'SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE UMANISTICHE - indirizzo ANTICHISTICO'

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Dissertations / Theses on the topic "SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE UMANISTICHE - indirizzo ANTICHISTICO"

1

Grion, Anna. "Martiani Capellae De Nuptiis Philosopiae et Mercurii liber VII. Introduzione, traduzione e commento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/9141.

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Abstract:
2011/2012
La tesi verte sul settimo libro del De Nuptiis Philologiae et Mercurii del cartaginese Marziano Capella, dedicato all'aritmetica. Il lavoro presenta il testo latino, stabilito sulla base delle edizioni critiche esistenti, la traduzione e puntuali note di commento di tipo filologico e contenutistico. L'introduzione fornisce un inquadramento del libro all'interno dell'opera e presenta le fonti e i caratteri dell'Aritmetica di Marziano.
XXV Ciclo
1984
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2

Visentini, Sara. "Problemi di trasmissione e ricezione della letteratura greca nei 'papiri scolastici' di età ellenistica e romana." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10008.

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Abstract:
2012/2013
Questo lavoro si concentra sull’analisi dei papiri di età ellenistica e romana nei quali ho individuato ‘libri di scuola’, che contengono passi di letteratura greca e che sono riconducibili all’istruzione superiore. I ritrovamenti papiracei e i più recenti contributi nei congressi di papirologia (Cassino nel 1996 e nel 2004, Salamanca nel 2008) dimostrano come nella comunità scientifica il tema dell’istruzione sia sempre vivo. Gli studi di Guglielmo Cavallo sulla readership, gli apporti di Lucio Del Corso sulle pratiche didattiche antiche e gli studi sulla scuola condotti da Raffaella Cribiore hanno avuto il merito di provocare nuovi spunti di riflessione su temi di grande interesse per la ricostruzione della cultura dei milieux di livello medio-alto nell’Egitto greco e romano. Come testimoniato dai papiri, l’aumento dell’alfabetizzazione e del commercio librario in epoca romana nelle aree urbane, ma non solo, provano che qualche forma di letteratura veniva diffusa a scuola e circolava anche al di fuori di essa. Lo studio del testi di scuola di livello superiore offre un contributo considerevole alla nostra conoscenza sul pubblico dei lettori e dei redattori di questi sussidi per lo studio. Il dossier dei ‘libri di scuola’ raccoglie i frammenti che contengono differenti tipologie di passi letterari più o meno brevi. La raccolta si compone di 158 papiri.
XXVI Ciclo
1972
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3

De, Franzoni Annalisa. "Culti gentilizi a Roma tra III e II secolo a.C." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11119.

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Abstract:
2013/2014
Con questo lavoro ci si è proposti di indagare le caratteristiche costitutive e le eventuali modificazioni dello statuto dei culti gentilizi nel quadro della politica della classe dirigente a Roma in età medio-repubblicana attraverso l'adozione di un approccio interdisciplinare alla ricerca.
XXVI Ciclo
1981
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4

Zulini, Ella. "I pavimenti in cementizio di Pompei: cronologia, contesti, funzioni." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8550.

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Abstract:
2011/2012
Questa ricerca ha avuto come obiettivo lo studio dei pavimenti cementizi a base fittile di Pompei in ambito privato. Dopo una prima verifica dei piani noti in letteratura, integrata con i dati provenienti da scavi stratigrafici recenti, e in seguito a una ricognizione sul campo, si è scelto di selezionare un campione e di analizzare i pavimenti cementizi della Regio VI. Questa zona è apparsa quella più valida per intraprendere un’analisi sistematica dei pavimenti cementizi: si è dimostrata, infatti, la parte della città che presenta il maggior numero di testimonianze di questo tipo di pavimenti; inoltre, si sono sviluppate numerose ricerche sulle singole abitazioni e su alcune insulae e gli scavi stratigrafici recenti hanno permesso di arricchire i dati a disposizione, soprattutto per le fasi più antiche. Sono state così esaminate e catalogate 55 domus nelle quali sono presenti complessivamente 243 ambienti ospitanti piani in cementizio, a volte con casi di sovrapposizione di livelli di calpestio all’interno dello stesso vano. Il lavoro si è prefisso due obiettivi principali: il primo è stato quello di cercare di stabilire per questi pavimenti una cronologia il più possibile affidabile e precisa; tra i sistemi a disposizione si è cercato, in particolare, di utilizzare come indicatore cronologico un metodo non tradizionalmente impiegato, ossia l’analisi dei frammenti ceramici presenti sulla superficie del cementizio e nei suoi strati preparatori al fine di stabilire un terminus post quem per il momento della sua costruzione; è stato considerato un criterio altrettanto valido anche l’analisi dei dati stratigrafici. In mancanza di questi dati sono stati anche presi in considerazione il rapporto del pavimento con le murature della stanza e con le eventuali decorazioni pittoriche del vano. I piani cementizio datati sono stati suddivisi in cinque grandi fasce cronologiche: età sannitica (III secolo a.C.), età tardo-sannitica (II secolo a.C.), età tardo-repubblicana (I secolo a.C.), età giulio-claudia (fine I secolo a.C. - prima metà I secolo d.C.) e infine età post-sismica (62-79 d.C.); all’interno di queste cinque divisioni si è tentato, il più possibile, di specificare la datazione. Contestualmente sono stati anche evidenziati 12 motivi decorativi, nei quali sono state inserite tutte le decorazioni presenti nei pavimenti cementizi a base fittile, per verificare l’occorrenza degli ornati in rapporto alla loro cronologia e stabilire se sussistono delle costanti tra i decori e il tipo di ambiente. Il secondo obiettivo di questa indagine è stato quello di analizzare i pavimenti cementizi a base fittile sia nel loro specifico contesto sia in rapporto con gli altri piani di calpestio della casa nella quale essi sono presenti. Per questa parte del lavoro si è scelta, all’interno dell’ampia Regio VI che ospita 16 insulae, l’insula 2 come quartiere campione. Per ognuna delle dimore di questo isolato sono stati, quindi, considerati tutti i tipi di pavimento presenti nell’apparato decorativo ed è stata, contestualmente, redatta una planimetria a colori con l’attestazione dei diversi livelli di calpestio noti in modo da poter cogliere, anche visivamente, la totalità dei piani pavimentali di ogni singola abitazione. Si sono, inoltre, studiate allo stesso modo anche due domus che permettevano di leggere aspetti importanti per la ricerca in questione: una dimora di grandi dimensioni come la Casa del Centauro (VI, 9, 3/5), nella quale sono stati effettuati recenti scavi stratigrafici che hanno permesso di collegare i pavimenti alle diverse fasi edilizie dell’abitazione, e una domus nella quale sono attestati esclusivamente pavimenti cementizi come la Casa degli Scienziati (VI, 14, 43).
XXIV Ciclo
1976
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5

Murgia, Emanuela. "Culti romani e non-romani nella fase di romanizzazione dell'Italia nord-orientale: resistenze e sopravvivenze, strutture, rituali e funzioni." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7401.

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Abstract:
2010/2011
Rispetto alle premesse di una ricerca, nata con l’obiettivo di indagare i processi di interazione tra cultualità indigena e religio romana nell’Italia nord-orientale, nelle possibili forme di “resistenza”, “sopravvivenza”, “integrazione”, i risultati sono, in un certo senso, controcorrente rispetto alle più recenti riflessioni sulle forme del sacro in fase di romanizzazione. La possibilità di comprendere le modalità attraverso le quali la romanizzazione modificò l’esistente comporta, inevitabilmente, una conoscenza della religiosità preesistente peraltro non riconducibile ad una sola facies etnico-culturale. Gli esempi in tal senso sono numerosi: dal caso macroscopico del frazionamento delle tribù celtiche e liguri nell’Italia nord-occidentale, a quello più difficilmente percepibile del comprensorio territoriale dove fu dedotta Aquileia, che al momento della calata dei Galli Transalpini, nel 186 a.C., si presentava quasi come una zona “cuscinetto”, tra Veneti ed Istri. La restituzione di un sistema religioso “di sostrato” unitario si è confermato, quindi, gravida di rischi di genericità. Un’attenta analisi dei contesti e dell’evoluzione storica dei diversi centri nel venetorum angolus ha rivelato con immediatezza quanto questa presunta unitarietà sia, nella realtà dei fatti, apparente: il “sostrato” etnico di Verona, in cui confluiscono elementi veneti, cenomani e retici, non è certo quello di Altino, così come il ruolo assunto da Padova nei confronti di Roma non è in alcun modo assimilabile a quello di Este, che continuò a essere percepita come “veneticità”. In questo senso, quindi, concludere che “nell’ambito della Gallia Cisalpina la zona veneta è quella in cui sono maggiormente attestati culti non romani, conseguenza del fatto che la penetrazione romana avvenne in modo pacifico e non a seguito di una conquista”, ovvero in virtù di una corroborata amicitia, non permetterebbe di cogliere criticità e complessità dei fenomeni cultuali in fase di romanizzazione. L’aver contestualizzato l’evidenza documentaria riferibile al sacro in senso geografico, etnografico e poleografico si è rivelato, dunque, ineludibile. Questo approccio ha permesso di constatare, per esempio, come le modalità di trasformazione dei culti a Padova ed Este siano state, per così dire, antitetiche benché entrambe nell’ottica di una innovazione. Il principale santuario extraurbano di competenza patavina, S. Pietro Montagnon, fu abbandonato proprio nel corso del III secolo a.C., quando, secondo la storiografia moderna, fu avviata la romanizzazione del comparto veneto. Più in generale, da Padova non proviene alcuna testimonianza epigrafica relativa a teonimi indigeni in forma latinizzata. Si tratta di un elemento di estremo rilievo della cosidetta Selbstromanisierung. Ad Este, invece, la romanizzazione non comportò un abbandono generalizzato dei luoghi di culto. Il santuario di Reitia, per esempio, mantenne il suo primato e se ci fu un adeguamento al modello romano, questo fu soprattutto in termini architettonico-monumentali. Per entrambe i centri veneti, quindi, un’adesione al nuovo ma con evidenti sfumature. Un’analisi di questo tipo, volta cioè a ricondurre le fonti disponibili ad un contesto comune, ha dovuto tenere conto, fin dal suo avvio, di un condizionamento, ovvero che l’evidenza documentaria disponibile corrisponde quasi esclusivamente alla fase di romanizzazione compiuta. Per questo motivo, comprendere “dove-quando-come si verificano i meccanismi di trasformazione; dove-quando-come si sovrappongono, o si impongono, alla tradizione locale; dove-quanto-come si integrano le diverse componenti” ha imposto inevitabilmente una prospettiva “romana”. In considerazione del valore politico della religione romana, la continuità di un determinato culto indigeno non è stata interpretata secondo parametri di “persistenza”, ”resistenza” o “mediazione”, ma piuttosto di “ufficialità” o “non ufficialità”. Laddove si è potuta cogliere, la dimensione ufficiale di un culto epicorico è emersa nelle fonti attestanti l’intervento più o meno diretto di una magistratura civica, o si è dedotta dalla presenza di santuari organizzati di natura pubblica o, ancora, da riferimenti al calendario locale che, come noto, era definito annualmente dai magistrati iurisdicenti con una notevole autonomia rispetto alle regole dell’Urbe e in sintonia con le caratteristiche specifiche del corpo civico di riferimento. Un caso significativo è quello dell’aedes Belini a Iulium Carnicum restaurata nella seconda metà del I secolo a.C. con il consenso dell’autorità vicana e grazie al contributo finanziario di un collegium. Un culto, quindi, pienamente romanizzato nella forma benché celtico sia Belenus: più che di una religiosità epicoria, la sua presenza si rivela espressione della celticità stessa della comunità carnica. Un esempio altrettanto interessante è quello del santuario altinate in località Fornace: alla divinità di tradizione venetica Altnoi sarebbe subentrato nel I secolo a.C., nel segno di una continuità funzionale, ovvero di divinità poliadica, Iuppiter Altinatis. Se la dimensione “pubblica” costituisce l’osservatorio privilegiato per l’analisi dei culti in fase di romanizzazione, ciò non toglie che anche la permanenza di una religiosità indigena o, al contrario, l’adattamento ai culti romani nello spazio personale in alcuni casi è stato considerato quale indicatore dei fenomeni di acculturazione. Un esempio efficace è quello dei noti dischi bronzei “di schietta cultura veneta”, raffiguranti la cosiddetta dea clavigera o figure maschili/militari per i quali si è pensato ad un programmatico “recupero di culti di sostrato”. Una delle questioni più interessanti affrontate in questo studio è stata quella della cosiddetta interpretatio, ovvero del rapporto tra divinità “importate” e personalità divine preesistenti. Ciò che sembra accomunare la maggior parte degli studi sulle forme di cultualità in Italia settentrionale, è la ricerca sistematica di radici “celtiche”, ma anche “venetiche”, “retiche”, “etrusche”, a divinità tipicamente italiche, quali Minerva, Fortuna, Neptunus, Hercules, che si sarebbero sovrapposte, per analogia di funzioni, a numi locali. L’analisi della documentazione epigrafica, tuttavia, ha dimostrato che spesso la tipologia delle offerte e i formulari votivi sono coerenti con quelli di tradizione italica e che la presenza di onomastica indigena, spesso considerata indicativa di una persistenza di cultualità di sostrato, sembra allinearsi con quella riscontrata anche in altri tituli sacri compresi quelli alla triade capitolina. La persistenza di teonimi non-romani, come Reitia, Leituria, Temavus, è stata spesso valutata spia di “resistenza” da parte degli indigeni alla nuova religio o, di contro, “tolleranza” dei Romani. I dati emersi da questa ricerca hanno consentito di integrare questo quadro rendendolo, per quanto possibile, meno schematico. Un esempio per tutti: a Brixia il dio locale Bergimus, associato al Genius Coloniae Civicae Augustae, sembra assumere una dimensione poliadica assurgendo a punto di riferimento per la componente cenomane del centro ormai romanizzato. In altri contesti, infine, la presenza di culti non romani, considerati in genere sinonimo di tenace resistenza alla romanizzazione è risultata, piuttosto, frutto di una devozione successiva, il più delle volte con specifico valore politico. Di questo processo fa parte anche il fenomeno di “reviviscenza delle divinità celtiche o, più in generale, indigene” che ebbe “la connotazione di un’opposizione di tipo politico all’accentramento di potere effettuato a Roma, a cui le aree periferiche, almeno a partire dall’età antonina, si ribellarono facendo leva sulla riappropriazione di una cultura religiosa autoctona, quando non addirittura della nuova religione cristiana”. Molta documentazione della piena età imperiale andrebbe riconsiderata in ragione di questi aspetti. Da ultimo si è cercato di valutare il peso delle élites romane nella gestione dei sacra. Questo fenomeno era già noto per i centri coloniari, come ad esempio ad Aquileia, Ariminum, Cremona, Piacenza, Luna, dove l’intervento delle aristocrazie romane è particolarmente evidente nella scelta di motivi allusivi alla difesa dal “barbaro” attraverso la diffusione dell’Apollo Liceo. Anche a Patavium l’introduzione del culto di Iuno, connotato in senso “trionfale”, è sembrato ascrivibile ai più alti livelli di committenza, se l’ipotesi di un coinvolgimento di M. Aemilius Lepidus coglie nel segno. Un ruolo non secondario, a Patavium e non solo, riveste l’intervento augusteo, che introduce, nella grande risistemazione del pantheon, il culto dei Lares e quello a Concordia.
XXIV Ciclo
1979
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6

Zanatta, Elisabetta. "L’antilabe melica tra teorie metriche e performance: Aristofane." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10009.

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Abstract:
2012/2013
Questa tesi concerne lo studio delle antilabai (cambi di interlocutore che incidono sequenze comunemente considerate unitarie dal punto di vista metrico-ritmico) contenute nei mele della produzione aristofanea superstite: un campo d’indagine prima d’ora non esplorato. Gli esempi di tale fenomeno sono stati raccolti attraverso la consultazione di un cospicuo numero di edizioni critiche e studi che hanno per oggetto la metrica dei canti aristofanei. Si tratta di opere in cui la ripartizione in unità discrete delle masse meliche segue i criteri di individuazione dei confini del verso melico, sanciti definitivamente da Böckh nel De metris Pindari (1811), con una palese ricaduta sulla disposizione dei cambi di parte e, in particolare, sull’occorrenza delle antilabai. La disamina di tale materiale bibliografico ha consentito di isolare una quarantina di casi di cambio di interlocutore all’interno di sequenze liriche. Essi scaturiscono dalle diverse opzioni colometriche o dalle differenti interpretazioni metriche adottate dagli studiosi in 27 passi della produzione aristofanea. Talvolta, in relazione a determinate impaginazioni o a una diversa disposizione dei cambi di parte, il fenomeno è del tutto assente presso alcuni interpreti. Delle istanze reperite, solamente 6 vedono la critica concorde sulla colometria e sull’analisi delle successioni metriche contenenti antilabe. Le varie mises en page e distribuzioni delle battute, nonché le eventuali divergenze nelle interpretazioni metriche del medesimo assetto colometrico sono state registrate e quindi illustrate in un commento accluso a ciascun passo comico interessato da scambio antilabico. Nell’ambito del presente lavoro si è inoltre inteso verificare se la presenza di alternanze interlocutive all’interno di sequenze liriche vada esclusivamente ricondotta alle peculiari opzioni colometriche elaborate sulla scorta della teoria böckhiana, o se il fenomeno si rintracci anche nelle impaginazioni che i testimoni antichi e medievali hanno riservato alle masse meliche del teatro aristofaneo. Per tutti gli esempi di antilabe melica rintracciati nelle edizioni e nelle analisi metriche correnti si è pertanto proceduto alla disamina delle colometrie nei due principali codici della tradizione di Aristofane (Ravennas Cl. 429, e Ven. Marc. gr. 474); in un caso (Ra. 241) si è potuto fare riferimento anche a una testimonianza papiracea (P.Berol. inv. 13231 D). Dal raffronto tra i layouts moderni e quelli dei manoscritti sono emerse sia significative analogie che considerevoli differenze nella mise en page delle sequenze interessate da antilabe. Non di rado in R e in V le battute che concorrono a formare una successione interessata da cambio interno di interlocutore sono disposte sullo stesso rigo, una adiacente all’altra, secondo l’uso grafico invalso nelle edizioni contemporanee. Ciò deporrebbe inequivocabilmente a favore dell’occorrenza dell’antilabe in ambito melico anche nelle colometrie manoscritte. Tuttavia, per buona parte delle istanze di questo fenomeno rinvenute presso gli interpreti contemporanei la mise en page che entrambi i codici e il frammento papiraceo mostrano di prediligere è quella che distribuisce su un diverso rigo di scrittura ciascuna singola battuta, che può variare nell’estensione dalla misura del piede a quella del dimetro. In tali casi gli studiosi sono propensi a credere che l’impaginazione manoscritta corrisponda alla pratica di disporre in colonna le porzioni di testo che, separate da un cambio di interlocutore, concorrono alla formazione di una sequenza metrica unitaria incisa da antilabe. Ciononostante, non parrebbe prudente escludere che la ripartizione dei testimoni antichi e medievali risponda invece a criteri metrico-ritmici; in altre parole vi sarebbe la possibilità di intendere l’intervento di ciascun personaggio come un’unità metrica discreta. Pertanto, in questi casi, almeno per quanto attiene alla paradosis, si dovrebbe ipotizzare l’assenza di antilabe. Infine, si è voluto riflettere sui risvolti performativi implicati dalla presenza di cambi di interlocutore all’interno di cola o versi lirici, sequenze che secondo l’opinione invalsa vengono ritenute unitarie sia dal punto di vista metrico che ritmico. Si tratta di una problematica affatto ignorata dai seguaci della teoria böckhiana che nelle analisi metriche di successioni contenenti al loro interno un’alternanza interlocutiva prevedono un’incontrastata azione della sinafia prosodica, anche laddove si verifichi un’antilabe. Tuttavia, a stento, in sua occorrenza, si direbbe ammissibile, almeno sul piano performativo, una liaison tra la sillaba finale di una battuta e la sillaba iniziale di quella successiva, pronunciata da un altro personaggio. Piuttosto invece, nella performance, nel passaggio da un intervento all’altro, si sarebbe verosimilmente verificata un’interruzione nella catena verbale. Pur senza giungere al rifiuto delle letture metriche finora proposte per le sequenze ospitanti al loro interno cambi di parte, nondimeno la loro manifesta discrepanza rispetto all’ambito della messa in scena invita a richiamare l’attenzione sulla necessità di una distinzione tra differenti livelli di analisi: uno che concerna il piano metrico-prosodico, l’altro la performance. La lettura in sinafia prosodica va indubbiamente mantenuta, in quanto imprescindibile per riconoscere le caratteristiche metriche della successione a cui viene applicata. Tuttavia, si potrebbe supporre, sulla base di un principio di verosimiglianza, che essa venga meno nel momento della messa in scena, là dove il testo poetico contenga un’antilabe, in quanto questa parrebbe postulare uno scioglimento del legame prosodico. Tale fenomeno non avrà comunque compromesso, nella prospettiva degli uditori, la percezione del ritmo che doveva caratterizzare, negli intenti del poeta, la sequenza all’interno della quale occorre il cambio di parte.
XXVI Ciclo
1985
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7

Fiorillo, Matilde. "I segni nel PHerc. 1004 (Filodemo, Retorica, VII libro)." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8549.

Full text
Abstract:
2011/2012
La tesi pubblica i risultati del censimento dei segni critici presenti nel papiro ercolanese 1004, contenente il settimo libro della Retorica di Filodemo di Gadara. L’introduzione è dedicata a una riflessione sull’importanza filologica e documentaria dei segni attestati nei papiri greco-egizi ed ercolanesi, a cui ha fatto da contraltare, per lungo tempo, la scarsa attenzione degli studiosi, il cui interesse primario era lo studio critico del testo tramandato. Il capitolo I offre una presentazione a tutto tondo del PHerc. 1004: del papiro viene offerta una descrizione tecnica (dimensioni del rotolo, tipologia libraria, paleografia) e contenutistica (struttura del libro e organizzazione del contenuto), a cui si accompagna una rassegna dei principali studi di cui il rotolo è stato oggetto negli oltre duecento anni trascorsi dalla data del suo svolgimento a oggi. Il capitolo II riassume i risultati del censimento dei segni in due serie di tabelle: la prima, denominata ‘tabella per colonna’, presenta i dati organizzati in ordine topografico progressivo, a partire dai frammenti fino all’ultima colonna del rotolo; la seconda serie di tabelle, invece, ordina i risultati ‘per segno’, in modo da offrire uno strumento di consultazione più rapido a chi sia interessato a una ricognizione dei segni presenti nel papiro in base alla loro tipologia. Il capitolo III espone in maniera discorsiva i risultati della ricerca: per ogni tipologia di segno riscontrata (paragraphos, spatium, paragraphos associata a spatium, diplé obelismene, stigmai, segni di correzione) vengono offerti una rapida descrizione e, successivamente, una casistica delle occorrenze più significative. Il testo delle colonne prese in esame per illustrare il valore dei segni è stato sempre controllato autopticamente, con l’ausilio delle immagini multispettrali; nel caso in cui l’autopsia abbia dato risultati diversi rispetto alle edizioni di riferimento, se ne è dato conto nell’apparato critico che accompagna alcune colonne. Le conclusioni, infine, riassumono in un’ottica complessiva i dati emersi dal censimento. La maggior parte dei segni è stata rilevata per la prima volta nel corso di questa ricerca: il miglioramento è stato possibile anche grazie all’impiego delle immagini multispettrali, che hanno permesso di evidenziare con maggiore chiarezza tracce di scrittura prima invisibili a causa della carbonizzazione subita dal rotolo e dello sbiadimento subito dall’inchiostro. I risultati emersi dallo studio consentono di identificare il PHerc. 1004 come un prodotto librario di buona qualità, destinato alla consultazione da parte di Filodemo stesso e dei suoi seguaci riuniti nel circolo epicureo di Ercolano.
XXV Ciclo
1985
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8

Redaelli, Davide. "I veterani delle milizie urbane in Italia e nelle province di lingua latina. Indagine storico-epigrafica." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11103.

Full text
Abstract:
2013/2014
Le coorti pretorie, le coorti urbane e gli equites singulares Augusti costituivano i corpi d'élite dell'esercito romano per via di un reclutamento selezionato e di un trattamento privilegiato rispetto alle altre unità. Lo studio si propone di indagare il fenomeno del veteranato di queste tre formazioni in un arco di tempo che va da Augusto all'ascesa di Diocleziano e in uno spazio che copre l'Italia, con l'esclusione di Roma e del suo suburbio fino al X miglio, e le province di lingua latina. L'indagine si basa sull'esame della documentazione epigrafica nella quale lo status di veterano di uno o più personaggi menzionati nel testo è sicuro e l'appartenenza ad uno dei tre corpi analizzati è certa o molto probabile. Il lavoro si divide in due parti: nella prima vi è un commento ad ogni singola testimonianza, nella seconda vengono svolte considerazioni di carattere generale sui veterani delle milizie urbane. Tali considerazioni scaturiscono da una visione complessiva della documentazione. Si vuole tentare in questo modo di rispondere a interrogativi riguardanti i rapporti sociali e l'integrazione di questi veterani nelle comunità scelte come residenza dopo il congedo, la loro partecipazione alla vita civica e le attività economiche cui si dedicavano. Una particolare attenzione è rivolta a riconoscere quanti veterani decidevano di rientrare in patria o di stabilirsi in località diverse da quelle natie e le motivazioni che guidavano tale scelta, la loro provenienza e la loro estrazione sociale.
Due to a preferential treatment and special recruitment among the military units, praetorian guard, urban cohorts and equites singulares Augusti were the élite troops of ancient roman army. This research aims to investigate the social and material life of the veterans of this élite troops, in a period of time included between Augustan age and Diocletian rise. It also considers a territory including Italy, except Rome and its suburbs until the tenth mile, and latin speaking provinces. This work is based on an epigraphic documentation in wich the veteran status of one or more subjects is proven and the belonging to one of the three élite corps is certain or probable. The research is divided into two parts. In the first part an analysis and a description is made for each documentary source. In the second part, general considerations are expressed about the veterans of urban militias. These considerations stem from an accurate documentation overview. The purpose is to answer questions regarding the integration and social relations between veterans and the community chosen to live with after the disbandment or, for example, the activities and the role of a veteran in civic and economical life. Specific attention is also paid to the territorial origin, social background and about the choice, made by a veteran, to return home or settle elsewhere after the service.
XXVII Ciclo
1986
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9

Cigaina, Lorenzo. "La formazione dell’identità regionale di Creta (III sec. a.C. - IV sec. d.C.): il ruolo costitutivo della religione." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/9487.

Full text
Abstract:
2011/2012
L’unificazione politica di Creta si realizzò nel III sec. a.C. con la fondazione della «Federazione dei Cretesi» (koinon ton Kretaieon). Questa istituzione coordinava l’azione delle numerose città-stato dell’isola nei rapporti con le grandi potenze del Mediterraneo, Roma inclusa. Per quanto riguarda la politica interna, tuttavia, le città-stato mantenevano ampli margini di autonomia. Questa ricerca indaga i fattori extra-politici di coesione (etnici, culturali, religiosi) che contribuirono all’unificazione di Creta. La religione rivestì un ruolo determinante nella formazione di un polo identitario in cui i Cretesi poterono riconoscersi. Le due divinità locali principali, Zeus Kretagenés («Zeus nato a Creta») e Artemide-Diktynna, furono venerate sul piano federale dall’ellenismo fino a tutta l’epoca imperiale. Gli aspetti religiosi mostrano dunque un rilevante grado di continuità attraverso le diverse epoche. Grazie alla loro adattabilità, infatti, essi poterono essere declinati nelle diverse circostanze storiche e politiche. La storia del koinon cretese si articola in quattro fasi, ciascuna delle quali corrisponde a un capitolo della tesi: ellenismo (III sec. – 67 a.C.), epoca tardo-repubblicana (67-31 a.C.), età imperiale (31 a.C. – 297 d.C.) e tardo-antica (IV – inizio V sec. d.C.). L’istituzione ellenistica è stata recentemente definita come una mera “alleanza” per sottolineare la priorità degli interessi politico-militari delle città-stato che ne erano membri. La ricerca ha potuto mettere in evidenza alcuni aspetti in precedenza poco considerati, che indicano un livello di coesione maggiore e più profondo – se non di fatto, almeno nelle intenzioni dei Cretesi: i tentativi di sviluppare una monetazione comune, l’elaborazione di un’unità etnica attraverso l’idea di una Creta unitaria, l’esistenza di uno stadio per gli agoni federali a Gortina, la convergenza degli interessi religiosi attorno alla figura di Zeus Kretagenés già in questa fase. In epoca tardo-repubblicana si compì l’unificazione politica dell’isola, ma ciò avvenne a prezzo dell’indipendenza, poiché l’isola fu sottomessa a Roma e ridotta a provincia (67 a.C.). Il koinon fu trasformato in un’assemblea provinciale assimilabile per molti versi ad altri istituti analoghi dell’Impero. Zeus Kretagenés restò la divinità principale dell’isola e venne raffigurato su un cistoforo d’argento emesso a nome del koinon. In età imperiale si completò il processo di unificazione e di accentramento già avviato: Gortina si affermò come sede di riunione e di zecca del koinon, oltre che come capitale provinciale. L’agorà della città divenne il luogo di rappresentanza dei Cretesi e dei membri dell’amministrazione romana. Il koinon, infatti, si profila in questa fase come un organo complementare dell’amministrazione imperiale, con funzioni di rappresentanza della popolazione provinciale. Nel teatro dell’acropoli di Gortina si svolgevano le assemblee federali; le festività religiose comuni erano celebrate nel tempio (dedicato forse a Zeus) con l’annesso stadio presso il Pretorio. La fase originaria di questo tempio può essere datata all’epoca augustea e riferita alle rievocazioni imperiali della vittoria di Azio (31 a.C.). Il koinon imperiale era presieduto da un sommo sacerdote (archiereus), i cui compiti principali erano l’organizzazione delle attività di culto federale, il finanziamento di costose evergesie e la rappresentanza dei Cretesi di fronte alle autorità romane. L’esame delle immagini scelte per la monetazione del koinon dimostra una pluralità di interessi religiosi che si estendono ben oltre il culto imperiale, affondando le loro radici nella tradizione locale. Accanto alla venerazione del Divo Augusto risaltano in primo piano il culto di Zeus Kretagenés e quello di Diktynna, i cui maggiori santuari erano rispettivamente situati nella Grotta sul monte Ida e nella Creta occidentale, presso Capo Spatha nelle vicinanze di Kydonia. Nel I-II secolo emerge come santuario sovraregionale anche l’Asklepieion di Lebena. La cassa federale era probabilmente custodita nel tesoro sacro del Diktynnaion di Capo Spatha. Il culto dinastico ellenistico ebbe importanza limitata a Creta e rimase circoscritto al piano civico di singole poleis (Itanos in particolare), ma fu importante nel creare le premesse per il successivo sviluppo del culto imperiale. Dopo la morte di Augusto nel 14 d.C., fu istituito un culto federale dell’Imperatore divinizzato. Al suo santuario era associato il diritto di asilo, che era stato in precedenza abolito da Roma per i santuari locali probabilmente a causa di abusi da parte dei Cretesi durante il periodo tardoellenistico. L’aspetto delle statue di culto del Divo Augusto e di Zeus Kretagenés può essere ricostruito sulla base delle immagini monetali. Queste due divinità somme presentano diversi punti di contatto nell’iconografia, in particolare nell’associazione col motivo delle sette stelle dell’Orsa Maggiore, da leggersi come riferimento all’apoteosi imperiale e, insieme, ai miti locali connessi con la nascita di Zeus a Creta. In questo caso si può constatare uno scambio di temi tra Roma e la provincia, con una collaborazione attiva della seconda all’elaborazione della propaganda imperiale. L’Imperatore divinizzato, inserendosi nel pantheon locale, si integrava nella vita religiosa dei Cretesi, promuovendo l’articolazione della provincia nella cornice dell’Impero. Nell’epoca tardo-antica si registra un declino dell’istituzione federale, la cui iniziativa politica viene notevolmente ridimensionata e subordinata all’amministrazione provinciale. Si rilevano comunque segnali di una continuità del culto di Zeus Kretagenés. La tradizione religiosa costituisce quindi l’asse portante dell’identità regionale cretese – poi evolutasi in identità «romano-cretese» – attraverso sette secoli densi di mutamenti storico-politici.
Die vorliegende Forschung untersucht die außerpolitischen Faktoren, die zu der politischen Vereinigung und der Bildung einer regionalen Identität Kretas beigetragen haben. Darauf wirkten von Anfang an religiöse Elemente der lokalen Tradition, die nicht nur städtisch, sondern auch regional verbindend für die ganze Insel aufgefasst wurden. Zwei Gottheiten spielten dabei eine wichtige Rolle: Zeus Kratagenes und Artemis/Diktynna. Bei der Bildung der regionalen Identität sind auch mythische, ethnische und verfassungsmäßige Elemente tätig. Die politische Struktur der kretischen Einheit bildete das s.g. koinon („Bund“) der Kreter, das tatsächlich eine lockere Institution war, jedoch nicht ein rein politisch-militärisches Bündnis wie neulich behauptet worden ist. Die außerpolitischen Faktoren, die sich im Rahmen der Kulte polarisieren, unterstützten nachweislich den Zusammenhalt des Bundes. Die Geschichte der kretischen Föderation gliedert sich chronologisch in vier Phasen, jeder von denen ein Kapitel der Dissertation gewidmet ist: die hellenistiche (3. Jh. – 67 v.Chr.), die spätrepublikanische (44-31 v.Chr.), die kaiserzeitliche (31 v.Chr. – 297 n.Chr.) und die spätrömische Zeit (4. – Anfang 5. Jh.). Mit der Übergangsphase von der hellenistischen in die römische Zeit hing eine markante Umformulierung der Ziele und Kompetenzen des Bundes, der nun seine politische Unabhängigkeit zugunst der Römer einbüßte. Nach wie vor diente die Institution grundsätzlich den Repräsentationszwecken der gesamten Insel gegenüber den Großmächten des Mittelmeerraumes, und zwar früher den hellenistischen Reichen und später Rom. Diesbezüglich sind in der Arbeit die literarischen, epigraphischen und archäologischen Quellen versammelt und kritisch dargelegt, um den organisatorischen Aufbau und die Zwecke der Einrichtung festzustellen. Daraus geht hervor, dass der Bund einen eigenen politischen Handlungsspielraum besaß, der während der Römerzeit in der Macht der Provinzialverwaltung seine Grenze hatte und sich gemäß den zeitgenössischen Bedingungen entwickelte. Trotz dieser Wandlungen zeigt der religiöse Rahmen der Institution von griechischer Zeit bis in die Kaiserzeit eine verwunderliche Beständigkeit. Es hat den Anschein, dass die Religion die grundlegende identitätsstiftende Aufgabe absolvierte, während den hellenistischen Versuch, eine ethnische Identität der Kreter zu gründen, die Römer wahrscheinlich hatten platzen lassen oder jedenfalls erheblich abgebaut. Das numismatische Material stellt eine wichtige Quelle dar, weil es uns über die wirtschaftliche Initiative sowie über die Selbstdarstellung und die religiösen Prioritäten des Bundes informiert. Das höchste Amt des koinon war dasjenige des Provinzialoberpriesters, der außer der Aufsicht über die Provinzialkulte anderen rein politischen Aufgaben nachkam und für die finanzielle Unterstützung des Bundes sorgte. Was das Finanzwesen angeht, verfügten die Kreter über einen Bundesschatz, den sie mit bestimmter Selbstständigkeit verwalten konnten. Daraus ergibt sich das Bild einer organischen komplementären Zusammenarbeit der Provinzialen neben der römischen Verwaltung. Durch den Kaiserkult wurde der römische Kaiser in die lokale Religion hineinbezogen und eng mit der Hauptgestalt des kretischen Pantheons, dem Zeus Kretagenes, verbunden. Auf Dauer bahnte sich ein Wechselspiel an, indem die auf Kreta entwickelten Elemente teilweise nach Rom zurückflossen. Das enge Nebeneinander römischer und einheimischer Instanzen spiegelte sich auch topographisch in der Hauptstadt Gortyn wider. Zusammenfassend, bot die Religion den Kretern eine aussichtsreiche Integrationsmöglichkeit im römischen Reich, ohne dass sie auf ihre historichen Wurzeln verzichten müssten. Das kretische Oberpriestertum konnte nämlich das Sprungbrett für eine politische Karriere in der römischen Verwaltung bilden. Die lokale mythologische bzw. religiöse Tradition brachte durch die Übernahme römischer Elementen und insbesondere des Kaiserkultes die Macht Roms in die unmittelbare Erfahrung der Kreter hinein. Die Identität der oberhalb der einzelnen Stadtstaate erreichten politischen Vereinigung stützte sich auf den konstituierenden und zusammenhaltenden Faktor der Religion.
XXV Ciclo
1979
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10

D'Amelio, Diego. "Ritratto di un'élite dirigente. I democristiani di Trieste 1949-1966." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/30670.

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Abstract:
2009/2010
Questa tesi di dottorato si pone l’obiettivo di ricostruire la vicenda e il profilo del ceto dirigente politico-amministrativo espresso dalla Democrazia cristiana di Trieste, dal dopoguerra alla metà degli anni Sessanta. L’élite democristiana viene qui assunta come caso di studio: l’attenzione alla dimensione locale punta a contribuire, più generalmente, all’analisi storiografica rivolta negli ultimi anni alle classi dirigenti repubblicane; al ruolo dei partiti nella transizione tra fascismo e democrazia; al funzionamento dei meccanismi di rappresentanza e di integrazione fra centro e periferia. La tesi presenta linee interpretative e spunti metodologici innovativi, resi possibili da un approccio interdisciplinare che unisce storia e scienze sociali (statistica e sociologia). Il testo è diviso in due sezioni: la prima ripercorre la parabola della DC e del movimento cattolico politico di Trieste, la fase di formazione dei suoi protagonisti, le ragioni del consenso e il progetto di fondo perseguito. La seconda parte definisce in termini sociologici il profilo dell’élite – età, provenienza, studi e professione – considerando nel contempo estrazione sociale, preparazione, canali di reclutamento, fattori di legittimazione, risultati elettorali, schieramenti correntizi, ruolo degli istriani (insieme bacino di consenso e serbatoio di classe dirigente), processi di occupazione del «potere», ricambio politico-generazionale e sviluppo delle carriere. Informazioni dettagliate sono state raccolte su un campione di circa 200 persone, ovvero su coloro i quali diedero forma alla classe dirigente cattolica nell’arco cronologico prescelto. Questi elementi ricoprirono ruoli decisionali – con gradi di responsabilità diversi – nello scudo crociato, nelle realtà elettive e in quelle di nomina politica: la ricerca ha permesso di ricostruirne fisionomia socio-anagrafica, presenze negli enti locali e negli organi di partito, schieramento correntizio e reticoli collaterali. Sui detentori degli incarichi più rilevanti, circa 70 persone, è stata inoltre avviata una più approfondita analisi delle biografie e delle carriere. Le fonti utilizzate sono numerose: archivio provinciale del partito (recentemente messo a disposizione dall’Istituto Sturzo e mai utilizzato sistematicamente prima d’ora), stampa, anagrafe, archivio comunale e diocesano, fondi personali, memorialistica e interviste. La codifica e l’esame dei dati ha consentito di realizzare a supporto dell’esposizione circa 20 tabelle e oltre 70 biografie, contenute in due appendici poste alla fine del volume. Il testo mette in luce il quadro d’insieme del ceto democristiano: la composizione degli organismi elettivi e di partito, le caratteristiche individuali e di gruppo dell’élite, il rapporto tra militanza e ruoli pubblici, il profilo delle correnti e le proporzioni della geografia politica interna, il seguito elettorale, le forme di collateralismo (Azione cattolica, ACLI, sindacato e associazionismo istriano), le biografie e il processo di costruzione della nuova leadership. Particolare attenzione è stata prestata agli aspetti generazionali e correntizi: ciò ha consentito di mettere in connessione età, formazione e progetto politico; valutare il peso specifico delle singole correnti nel partito e negli enti; analizzare i criteri di suddivisione dei vari incarichi e i processi di ricollocamento prodotti dalla nascita di nuove tendenze. Si tratta di un approccio in parte inedito, generalmente non utilizzato in lavori simili a questo, ma allo stesso tempo fondamentale per fornire nuove chiavi di lettura alla storia politica e per avvicinarsi con rigore a un’organizzazione strutturata come la Democrazia cristiana. Il lavoro ha cercato infine, quando possibile, di assumere una prospettiva comparativa, per paragonare il contesto locale ai meccanismi funzionanti a livello nazionale e in altre aree del paese, individuando così uniformità e sfasamenti generazionali e politici. Il metodo utilizzato in questa sede è ormai affinato e potrebbe essere applicato alla DC triestina degli anni successivi, ai diversi partiti del teatro giuliano, a gruppi dirigenti cattolici di altre città oppure al livello nazionale dello scudo crociato e delle istituzioni, su cui le informazioni sono peraltro ben più abbondanti. Il sistema messo a punto permetterebbe infine di essere utilizzato – con gli adattamenti del caso – anche sulle più recenti generazioni politiche. I vantaggi che questi sviluppi promettono per un approccio comparativo sono evidenti. In conclusione, la tesi ricostruisce le vicende e le caratteristiche di un’élite periferica, affermatasi in assenza di una tradizione politico-culturale precedentemente radicata e capace di governare Trieste dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta. Il testo prende in esame la formazione, l’affermazione, i progetti, le scelte e le linee politiche di due differenti generazioni di cattolici, influenzate inevitabilmente dalla peculiare situazione del confine orientale e dalla necessità di ripensare la dimensione del confine, dopo la stagione liberal-nazionale e il fascismo. In un primo momento la Democrazia cristiana si assicurò il consenso, assumendo la responsabilità della «difesa dell’italianità» e dell’anticomunismo, in un territorio sottratto alla sovranità dello Stato, sottoposto ad amministrazione anglo-americana e oggetto di una dura contesa ideologica e statuale. Dopo il 1954 una nuova leva sostituì il ceto dirigente degasperiano, impegnandosi nel superamento dell’emergenza e nella «normalizzazione» della politica, dell’amministrazione, dell’economia e dei rapporti fra italiani e sloveni, nell’ambito del centro-sinistra. La DC giuliana propose insomma una strategia in due tempi, riassunta dalla storiografia con la formula di «cattolicesimo di frontiera»: esso fu impostato nel dopoguerra, venne radicalmente aggiornato dopo il ritorno all’Italia e si concluse alla fine degli anni Settanta, davanti alle reazioni suscitate dal trattato di Osimo. Tale periodo corrispose a importanti evoluzioni del quadro nazionale, con il superamento del centrismo e la maturazione dei fermenti di rinnovamento all’interno del mondo cattolico italiano. L’analisi dei nodi descritti è accompagnata dall’indagine sulle concrete ricadute della svolta politica e generazionale, avvenuta nel 1957, prima nel partito e di riflesso nell’ambito elettivo. L’ascesa della corrente di Iniziativa democratica e poi dell’area «doro-morotea» produssero infatti significative modifiche della linea e del personale politico, che corrisposero peraltro alla costruzione dell’egemonia democristiana nello spazio pubblico, grazie al definitivo controllo degli enti locali, della Regione autonoma a Statuto speciale e all’elezione dei primi deputati nel 1958. L’esame dei meccanismi di occupazione dei principali gangli dell’amministrazione è supportata dai dati statistici raccolti, i quali ben evidenziano le caratteristiche socio-anagrafiche, le reti di relazione e le dinamiche di potere che contraddistinsero il ceto politico democristiano di Trieste.
Introduzione Il panorama 9 Il dialogo fra storia e scienze sociali 14 Costruire le basi per una biografia collettiva 17 Le motivazioni di una proposta metodologica 22 Ringraziamenti 29 Sezione 1 Difesa nazionale e «normalizzazione». Il ceto dirigente cattolico nel dopoguerra triestino Antonio Santin, Edoardo Marzari e la «vecchia guardia»: la preparazione del domani 31 La difesa dell’italianità e la costruzione del consenso 56 Uomini nuovi: «normalizzazione» ed egemonia democristiana 77 Il progetto della terza generazione 104 Sezione 2 Correnti, generazioni e potere nella Democrazia cristiana di Trieste (1949-1966) La Democrazia cristiana, gli altri partiti e la prova del voto 126 Il nuovo corso della DC. Il «cambio della guardia» del maggio 195 140 Le correnti. Composizione e assetto del motore politico democristiano 158 Il Comune e la Provincia. Le ricadute istituzionali del «cambio della guardia» 176 L’«imprenditore politico». La Regione e il parlamento 195 La costruzione dell’egemonia. Gli enti di secondo grado 201 La creazione di un’élite. I processi di ricambio e le carriere 211 Conclusioni 253 Appendice A - Le tabelle 276 Appendice B - Le biografie 300 Abbreviazioni 464
XXII Ciclo
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