Dissertations / Theses on the topic 'SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA RIPRODUZIONE'

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1

De, Rocco Daniela, and Rocco Daniela De. "STUDIO CLINICO E MOLECOLARE DELLA SINDROME DI BERNARD-SOULIER." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10848.

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Abstract:
2013/2014
2013/2014
La sindrome di Bernard-Soulier (BSS) è una rara piastrinopenia ereditaria causata da alterazioni a livello del complesso glicoproteico GPIb-IX-V, presente sulla membrana piastrinica e responsabile della adesione delle piastrine in seguito a danno vascolare. La BSS si trasmette come malattia autosomica recessiva (BBSA1) e i pazienti affetti presentano piastrine giganti e severi episodi di sanguinamento. Tuttavia in tempi recenti sono state descritte delle famiglie con una forma dominante nota come BSSA2. In questi pazienti la piastrinopenia è moderata e le piastrine presentano un volume leggermente aumentato. Finora sono state individuate solo 5 varianti in eterozigosi nel BSSA2:, 4 nel gene GP1BA e 1 in GP1BB. Fatta eccezione per p.Ala172Val del gene GP1BA che è relativamente frequente nella la popolazione Italiana, le altre 4 sono state descritte in singole famiglie. I pochi casi di cui disponiamo, soprattutto per la forma recessiva non ci permettono di avere informazioni sui meccanismi patogenetici e sulla sua evoluzione nel tempo. Per questo motivo è stato istituito un Consorzio Internazionale per lo studio della BSS grazie al quale è stato possibile raccogliere i dati clinici e molecolari di 132 famiglie. Tutte le informazioni sono state inserite in un database (BSS Consortium database) attualmente gestito dal nostro laboratorio e consultabile dai gruppi di studio che hanno aderito al Consorzio. Inoltre per aumentare le informazioni sulle varianti identificate nel BSSA1 abbiamo incrementato i dati molecolari delle famiglie del Consorzio con i dati di altre 79 famiglie descritte in letteratura, raggiungendo un totale di 211 famiglie. Tutte le mutazioni identificate in queste famiglie sono state poi inserite in un database pubblico disponibile in rete (LOVD: Leiden Open Variation Database). La raccolta e l’elaborazione dei dati ci ha permesso di chiarire alcuni aspetti clinici e molecolari della malattia. Tuttavia data l’eterogeneità genetica e l’elevata espressione fenotipica gli studi genotipo-fenotipo si sono rivelati difficili da eseguire. Nonostante le molte informazioni acquisite, il database risulta ancora incompleto e limitato; per questo motivo è necessario raccogliere nuovi casi e inserire assieme alle varianti anche i relativi studi funzionali che si rivelano indispensabili per poter definire l’effetto delle varianti sul complesso GPIb-IX-V. Nell’ambito invece dello studio e caratterizzazione della forma meno grave di BSS (BSSA2) sono stati selezionati 120 pazienti piastrinopenici senza diagnosi caratterizzati da piastrine grandi. In questi pazienti sono stati analizzati i geni GP1BA, GP1BB e GP9 e sono state identificate 11 diverse varianti: 1 nonsense, 2 mutazioni di framshift, 1 mutazione nel codone di inizio e 5 varianti missense. Gli studi funzionali eseguiti sulle varianti missense per stabilire il loro ruolo patogenetico sono ancora in corso. Tuttavia se gli studi dovessero confermare la loro patogenicità 11 pazienti su 120 risulterebbero BSSA2 e questa forma dovrebbe essere considerata una tra le piastrinopenie ereditarie più frequenti in Italia. In conclusione grazie a questo studio è stato possibile raccogliere la più ampia casistica di pazienti affetti da BSSA1 fin’ora descritta e ottenere numerose informazioni sia sulla clinica che sulle mutazioni coinvolte. Il BSS Consortium database permetterà ai clinici che hanno partecipato allo studio di osservare nel tempo l’andamento della malattia nei pazienti e di ottenere informazioni utili per stabilire un corretto protocollo per la presa in carico dei pazienti. Infine la caratterizzazione di nuove forme di BSSA2 rappresenta il punto di partenza per descrivere al meglio la malattia BSSA2 sia dal punto di vista clinico che molecolare. In futuro sarà quindi indispensabile estendere il BSS Consortium database anche alla forma BSSA2.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1979
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2

Londero, Margherita. "Sviluppo di strategie farmacologiche per la personalizzazione della terapia della leucemia linfoblastica acuta nel bambino." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10852.

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Abstract:
2012/2013
L'attività dell'enzima tiopurina-S-metil transferasi (TPMT) è un determinante importante di eventi avversi severi durante il trattamento della leucemia linfoblastica acuta (LLA) con l'antimetabolita mercaptopurina. Recentemente è stato dimostrato che la proteina PACSIN2 modula l'attività di TPMT e la tossicità indotta da mercaptopurina, mediante un meccanismo molecolare che si ipotizza riguardi la regolazione dell'autofagia. Nell’ambito del protocollo italiano per il trattamento della LLA AIEOP 2009, si vogliono sviluppare strategie farmacologiche (farmacogenetiche, farmacocinetiche e farmacodinamiche) in vitro da integrare agli attuali parametri di risposta del paziente per personalizzare la terapia. Queste strategie comprendono la valutazione dell’attività e di polimorfismi genetici di enzimi importanti per la biotrasformazione della mercaptopurina, ovvero TPMT ed inosina trifosfato-pirofosfatasi (ITPA), della concentrazione dei metaboliti attivi della mercaptopurina e della sensibilità in vitro dei blasti dei pazienti raccolti alla diagnosi e trattati con diversi farmaci antitumorali. Si vuole poi validare l’effetto dei polimorfismi di PACSIN2 sull’attività dell’enzima TPMT. I dati preliminari ottenuti sostengono il ruolo dei polimorfismi d’interesse sulla farmacocinetica della mercaptopurina. In particolare, la casistica considerata finora valida un contributo dello SNP di PACSIN2 rs2413739 sull’attività enzimatica di TPMT. Lo studio è in continuo aggiornamento. Il suo ampliamento e l’integrazione dei dati farmacologici con i dati clinici dei pazienti contribuiranno a comprendere l’impatto di queste variabili farmacocinetiche/farmacogenomiche sull’efficacia e la tossicità del trattamento con tiopurine. Per determinare se PACSIN2 e l'autofagia contribuiscono alla variabilità interindividuale nell'attività di TPMT e nella suscettibilità alla tossicità da mercaptopurina abbiamo eseguito degli esperimenti in cellule con meccanismo di autofagia alterato (ovvero fibroblasti murini embrionali, MEF, da topi con ATG7 disattivato) e alterazione di PACSIN2 (cellule NALM6 con silenziamento di PACSIN2). Le cellule con meccanismo di autofagia alterato esprimono costitutivamente livelli più alti di PACSIN2 endogeno; questo avviene anche per altre proteine correlate all'autofagia come p62. Il trattamento con rapamicina induce la degradazione di PACSIN2 nelle cellule con autofagia funzionante, ma non in quelle con meccanismo di autofagia alterato. Il silenziamento dell'espressione di PACSIN2 ha indotto un aumento nel livello basale di autofagia, come documentato dall'accumulo di LC3-II e autofagosomi. La sequenza proteica di PACSIN2 contiene due siti di legame per LC3 e la co-immunoprecipitazione di PACSIN2 e LC3 dimostra l'interazione delle due proteine nelle linee cellulari NALM6. La stabilità di TPMT è diminuita quando l'espressione di PACSIN2 è alterata, in confronto a cellule con livelli normali di PACSIN2. Qui dimostriamo che PACSIN2 è bona fide una proteina dell'autofagia e che il suo ruolo come modulatore dell'autofagia influenza la variabilità interindividuale nell'attività di TPMT.
XXVI Ciclo
1980
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3

Scomodon, Omar. "STUDIO DELLE MUTAZIONI DI STAT1 NEI PAZIENTI CON CANDIDIASI MUCOCUTANEA." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10856.

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Abstract:
2013/2014
La candidiasi muco-cutanea cronica (CMC) costituisce una condizione caratterizzata da infezioni persistenti di cute e mucose causata da Candida albicans. Fra le cause genetiche responsabili di questa patologia sono note mutazioni gain of function (GOF) del gene STAT1. Abbiamo condotto l’analisi genetica su una coorte di pazienti con CMC e abbiamo identificato otto portatori di mutazioni in eterozigosi di STAT1: due pazienti con L351F,due pazienti con L283M e un paziente con L400V.Queste mutazioni non sono ancora state descritte in letteratura. In tre pazienti abbiamo identificato mutazioni già note: T385M e A267V. Per confermare il carattere gain of function di queste mutazioni abbiamo analizzato la fosforilazione di STAT1 su sangue intero in risposta a IFN-γ e IFN-α, la capacità dei linfociti T CD4+ di polarizzare in Th17 e, per le nuove mutazioni, l’efficienza di attivazione di un gene reporter (Luciferasi) posto sotto il controllo della sequenza promotore GAS, in seguito a stimolazione con IFN-γ e IL-27. Tutti i pazienti mostrano una iperfosforilazione di STAT1, un deficit di Th17 e una capacità di attivazione di sequenze GAS maggiore rispetto ai controlli analizzati. Dallo studio della storia clinica di questi pazienti è emerso che alcuni soggetti soffrivano di infezioni virali e infezioni causate da patogeni intracellulari come Criptococco e Leishmania. Questo complesso quadro clinico, non può essere spiegato dal solo deficit di Th17, ma suggerisce un possibile coinvolgimento di altre popolazioni cellulari del sistema immunitario. I linfociti Natural Killer (NK) giocano un ruolo fondamentale nella difesa contro le infezioni sostenute da virus e da microorganismi intracellulari e sono importanti produttori di IFN-γ, citochina fondamentale nel contrastare questi patogeni. Per questo motivo abbiamo valutato la capacità citotossica delle cellule NK dei pazienti con l’espressione del marcatore di degranulazione CD107a e la capacità di produzione di IFN-γ. In questo modo, nei pazienti è stato possibile apprezzare una lieve riduzione della citotossicità e una ridotta produzione di IFN-γ in presenza di IL15. Inoltre, le difficoltà riscontrate nel differenziare in vitro le cellule NK dei pazienti ci ha fatto sospettare un deficit di crescita di queste cellule. L’ ipotesi è stata confermata dalla riduzione dell’ espressione del marcatore di proliferazione Ki67 anche dopo stimolazione con IL2 e IL15. Queste due citochine hanno un ruolo fondamentale nella proliferazione delle cellule NK attraverso l’ azione sul mediatore STAT5. Per questo motivo abbiamo valutato l’ attivazione di STAT5 attraverso l’induzione delle cellule NK con IL2 e IL15 e in questo modo abbiamo osservato una riduzione dei livelli di fosforilazione di STAT5 nei pazienti rispetto ai controlli sani. Queste evidenze ci hanno permesso di confermare che le mutazioni da noi identificate possono essere considerate causative di CMC, le mutazioni non note hanno carattere GOF e che l’alterazione della funzionalità di STAT1 può interferire negativamente sulla attività delle cellule NK attraverso l’inibizione della capacità di fosforilazione di STAT5.
XXVII Ciclo
1983
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4

Sorcaburu, Cigliero Solange. "Identificazione di linee guida per l'analisi genetico-forense mediante utilizzo di DNA degradati in vitro." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10857.

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Abstract:
2013/2014
Nel corso di questo lavoro e stato ottimizzato un metodo per ottenere –mediante idrolisi acquosa- campioni di DNA danneggiati in maniera controllata (r2= 0.997). Uno di questi campioni, denominato trial sample (TS), veniva sottoposto ad un esperimento interlaboratorio (n=25) nel corso del quale ogni partecipante doveva fornire dati relativi alla quantificazione del campione ed al suo l’assetto genotipico. L’impiego della qPCR ha dimostrato che, in campioni danneggiati, e possibile fornire solo una indicazione che e relativa (ed inversamente proporzionale) alla lunghezza (r2=0.891) della regione target. Circa i genotipi forniti, veniva osservato che, a causa di un’elevata frequenza di artefatti di PCR, l’esecuzione di un basso numero di tre repliche(≤ 3)puo portare ad errori(n=4. Lo sviluppo del metodo “consensus TSPV", invece,eliminava tali errori di genotipizzazione. L’utilizzo di tale metodo di “consensus” ha dimostrato che, per campioni degradati ed in condizione di Low Copy Number (≤ 96 pg/PCR), neanche l’esecuzione di sette repliche mette totalmente al riparo da errori di genotipizzazioni.Anche la tecnologia Illumina di Next Generation Sequencing e stata testata mediante un set di campioni danneggiati. Pure la fedeltà di questa tecnologia e stata molto influenzata dalla qualità del templato. Il“consensus TSPV”, inoltre, evidenziava che errori di genotipizzazione possono emergere quando vengono eseguite due sole repliche. Il maggiore limite dell’analisi forense sembra derivare proprio dall’elevatissima sensibilità analitica oggi ottenibile.
In the course of this work has been optimized a method to obtain -by hydrolysis in water- damaged DNA samples in a controlled manner (r2=0.997). One of these samples, called trial sample (TS), was subjected to an inter-laboratory experiment (n=25)during which each participant had to provide data on the quantification of the sample and its trim genotype. The use of the qPCR showed that, in damaged samples, it is possible to provide only an indication that is relative (and inversely proportional) to the length (r2=0891)of the target region. About the genotypes provided, was observed that, due to a high frequency of PCR artifacts, the execution of a low number of three replicates (≤3)may lead to errors (n=4). Method development "consensus TSPV", instead, eliminated these errors genotyping. The use of this method "consensus" has shown that, for degraded samples and under Low Copy Number conditions (≤96pg/PCR),even the execution of seven replicas puts totally immune from errors in genotyping. Even Illumina technology of Next Generation Sequencing was tested using a set of damaged samples. Even the fidelity of this technology has been very influenced by the quality of the template. The "consensus TSPV" also showed that genotyping errors can arise when running only two replicas. The major limitation of the forensic analysis seems to derive just by the very high analytical sensitivity obtainable today.
XXVII Ciclo
1973
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5

Girardelli, Martina, and Martina Girardelli. "Ricerca di nuove varianti geniche associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10849.

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Abstract:
2013/2014
2013/2014
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), sono un gruppo di malattie eterogenee ad eziologia multifattoriale. Sono caratterizzate da uno stato infiammatorio a carico della mucosa del tratto gastrointestinale e comprendono il Morbo di Crohn (MC), la Rettocolite ulcerosa (RCU) e la Colite indeterminata (CI) i cui quadri istopatologici differiscono tra loro per tipo di lesione, localizzazione della malattia e complicanze associate. Le MICI insorgono tipicamente durante l’adolescenza o in età adulta come il risultato della combinazione di tutti i fattori predisponenti che concorrono in egual misura nella determinazione della malattia. L’insorgenza delle MICI può avvenire anche in età molto precoce, entro i 10 anni ma anche entro i 2 anni e in maniera ancora più grave. In questi casi di esordio precoce si ipotizza che il peso maggiore sia da attribuire alla componente genetica piuttosto che a fattori ambientali e microbici. Solitamente i pazienti con esordio precoce sono caratterizzati da un fenotipo malattia più severo e difficilmente controllabile con le terapie convenzionali. Per gli aspetti differenti che si osservano in termini di predisposizione, caratteristiche fenotipiche, fattori coinvolgenti e geni interessati, le MICI possono essere contestualizzate da una parte come malattie multifattoriali e dall’altra come patologie “monogeniche". Nel contesto della multifattorialità, i numerosi studi di associazione son stati importantissimi in quanto hanno individuato numerosi geni relativi a distinte pathway (barriera intestinale, regolazione dell’immunità innata dell’epitelio, autofagia, sistema fagocitario e stress) coinvolte nella patogenesi delle MICI (ad oggi 163 loci). Nel lavoro di dottorato l’attenzione e l’interesse si è focalizzato sullo studio delle MICI ad insorgenza precoce e uno dei primi obiettivi della tesi è stato quello di indagare in 36 pazienti pediatrici, geni noti dalla letteratura per essere associati alla malattia (NOD2, ATG16L1, IL23R, IL10, IL10RA, IL10RB e XIAP), con il fine di identificare una possibile correlazione genotipo-fenotipo. Anche se non è stato possibile identificare un unico filo conduttore che ci ha permesso di correlare il fenotipo dei pazienti ai genotipi individuati, sono state identificate nuove varianti missenso e introniche. Tutte le varianti individuate sono state analizzate da un punto di vista bioinformatico per valutare la predizione di patogenicità: in base alle predizioni ottenute l’attenzione si è focalizzata su due varianti nel gene NOD2 sulle quali sono stati allestiti saggi funzionali per valutare il loro impatto sulla corretta sintesi e funzionamento della proteina. Un importante dato che emerge sempre più spesso dalla letteratura è l’evidenza che lesioni infiammatorie a carico del tratto gastrointestinale e il fenotipo tipico delle MICI, possono presentarsi molto precocemente (entro i 2 anni di vita) come prime o a volte anche come uniche manifestazioni cliniche in un contesto patologico più ampio che sottende allo sviluppo di gravi immunodeficienze (MICI-like). In questi casi le mutazioni a carico del gene malattia sono molto rare e generalmente considerate come mutazioni “private” e causative del fenotipo malattia che si osserva. Nell’ambito delle MICI in un contesto che possiamo definire monogenico, sono stati analizzati pazienti pediatrici con una sintomatologia MICI-like mediante analisi di sequenza di nuova generazione “Whole Exome Sequencing (WES)”. Sono state ricercate specificamente mutazioni in un determinato set di geni accuratamente selezionati (60 geni) in quanto responsabili di patologie monogeniche che presentano, all’esordio della malattia, una sintomatologia MICI-like. L’obiettivo è quello di riuscire ad effettuare in tempi rapidi l’identificazione di mutazioni in specifici geni malattia, per permettere al clinico di diagnosticare altrettanto rapidamente la malattia e poter intraprendere la terapia più adeguata e specifica per ciascun paziente. Così come sono state individuate numerose varianti presenti nei database e note per la loro associazione alle MICI, sono state identificate anche nuove varianti, mai descritte prima in letteratura. Alcune varianti sono state analizzate con saggi funzionali in vitro in modo da poter comprendere il rispettivo effetto sulla proteina. Per testare l’effetto della variante intronica rs104895421 (c.74-7T>A), situata a monte dell’esone 2 del gene NOD2, è stato allestito il saggio del minigene ibrido. L’esperimento ha messo in evidenza che tale sostituzione nucleotidica altera il corretto funzionamento del meccanismo di splicing, provocando, anche se non con una efficienza del 100% l’esclusione dell’esone. Nel contesto di MICI come malattie monogeniche, sono state individuate due importanti mutazioni, in due pazienti con sintomatologia MICI-like ad esordio molto precoce. La prima è una mutazione, ovvero una delezione di due nucleotidi, identificata nel gene XIAP (c.1021_1022delAA fs p.N341fsX7). Questa delezione determina la sintesi di una proteina tronca provocando un’alterazione strutturale della proteina che ne la funzionalità. Il risultato di tale lavoro ha permesso al clinico di fare finalmente la corretta diagnosi e il paziente è stato curato grazie ad un trapianto di midollo. La seconda mutazione degna di interesse è una mutazione missenso identificata in omozigozi nel gene NOD2 (c.G1277A p.R426H), in seguito all’analisi dell’esoma. Dalle indagini funzionali si evince che tale mutazione altera il normale funzionamento del recettore intracellulare NOD2, e quindi potrebbe spiegare il fenotipo malattia osservato nel giovane paziente (“gain of function”). In questo caso, il confronto con il clinico, in base alle evidenze ottenute dai test eseguiti, deve ancora avere luogo ma sarà di fondamentale importanza per fare una diagnosi e iniziare la terapia idonea. Questa tesi ha incrementato, seppur con piccoli tasselli, le conoscenze riguardo alcuni varianti in geni conosciuti dalla letteratura per la loro associazione con le MICI. I risultati ottenuti hanno avuto inoltre un impatto traslazionale molto importante permettendo ai clinici di fare la corretta diagnosi e iniziare la terapia idonea per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita del paziente.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1985
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6

Kumar, Rajesh. "Valutazione della via di trasduzione del recettore CXCR4 in pazienti affetti da sindrome WHIM." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10850.

Full text
Abstract:
2013/2014
La sindrome WHIM è un’immunodeficienza rara che si manifesta nei pazienti affetti con neutropenia cronica, verruche, ipo-gammaglobulinemia ed infezioni ricorrenti batteriche e virali. La neutropenia è la diretta conseguenza dell’incapacità da parte dei neutrofili di migrare dal midollo osseo verso la periferia (Mielochetassi). Dal punto di vista genetico le cause della malattia sono da associarsi a mutazioni in eterozigosi nel gene CXCR4 con trasmissione autosomica dominante. Questo gene codifica per una proteina a sette domini trans-membrana. La porzione extra-cellulare è specializzata nel riconoscimento del ligando specifico CXCL-12 (SDF-1α) mentre la porzione intracellulare è associata alle proteine-G e quindi deputata alla trasduzione del segnale. Nei pazienti affetti da sindrome WHIM è possibile identificare mutazioni che causano la formazione di un codone di stop prematuro in CXCR4. Tali mutazioni determinano la perdita di gran parte della porzione citoplasmatica con conseguente alterazione della funzionalità della proteina, una mancata down-regolazione di CXCR4 ed una incrementata risposta al suo ligando specifico CXCL12 (SDF-1). La ragione principale di questa alterazione è la perdita di regioni ricche in serine e treonine, siti di fosforilazione importanti per il corretto funzionamento di CXCR4. L’attività di CXCR4 può essere regolata, tramite trans-attivazione, dal recettore CXCR7. Lo studio di quest’interazione è di notevole interesse dato che sono state riscontrate malformazioni cardiache simili a quelle osservate nella Tetralogia di Fallot sia in modello murino mutato in CXCR7 sia in alcuni pazienti WHIM. Caratterizzare le diverse mutazioni di CXCR4 può aumentare la comprensione genetico-molecolare dei meccanismi che causano la sindrome WHIM. Durante il corso di dottorato di ricerca, mi sono occupato della caratterizzazione di una nuova mutazione in CXCR4 e dello studio di mutazioni già note mediante esperimenti in vitro. Grazie al contatto diretto con i pazienti è stato possibile analizzare le mutazioni e i relativi effetti su cellule linfocitarie attivate (PHA-T blasti) provenienti da campioni di sangue periferico. Questi studi hanno compreso sia saggi funzionali, come la chemotassi e il flusso del calcio intracellulare, sia biologici e molecolari, come lo studio della fosforilazione delle proteine ERK. Tutti gli esperimenti sono stati effettuati dopo stimolo del recettore CXCR4 mediante un ligando specifico, la chemochina SDF-1α. Le analisi eseguite sulle cellule dei pazienti con mutazioni fino ad ora note hanno sempre mostrato un comportamento gain of function del recettore CXCR4: gli effetti evidenti in seguito ad esposizione al suo ligando specifico CXCL12 sono l’iper-fosforilazione delle proteine ERK1/2, l’aumentato flusso del calcio intracellulare e l’aumentata risposta chemotattica. Oltre a questo abbiamo trovato e caratterizzato una nuova mutazione di CXCR4 (L317fsx3) non descritta in letteratura, che genera un codone stop situato più a monte delle mutazioni finora descritte. Questa mutazione genera un recettore CXCR4 completamente privo della porzione citoplasmatica contenente tutti i siti di fosforilazione del recettore. Sulle cellule di questi pazienti abbiamo valutato per primo la via di segnale delle MAP chinasi, in particolare la fosforilazione di ERK1 ed ERK2, ed in seguito il flusso del calcio intracellulare e la chemotassi in risposta dose-dipendente a SDF-1. Al contrario delle altre mutazioni già note, le analisi condotte sulle cellule T attivate dei pazienti con mutazione L317fsx3 hanno mostrato una ridotta capacità di fosforilazione delle proteine ERK1/2, una ridotta chemotassi e diminuzione del flusso del calcio intracellulare in risposta allo stimolo con SDF-1α. Il risultato della fosforilazione delle proteine ERK1/2 si è ripetuto anche sulle cellule della linea B immortalizzate con il vius Epstein Barr (EBV) dei pazienti in questione. Per confermare i risultati ottenuti sulle cellule dei pazienti, cellule HEK293 sono state trasfettate con un vettore eucariotico wild-type, un vettore eucariotico mutagenizzato L317fsx3 o con un vettore eucarotico mutagenizzato per la mutazione più frequente e rappresentativa (R334X). Su queste cellule è stata valutata la fosforilazione delle proteine ERK1/2. In accordo con i risultati ottenuti sulle cellule dei pazienti, la trasfezione con il vettore mutagenizzato L317fsx3 riduce la capacità di CXCR4 di fosforilare le proteine ERK e di mediare il flusso del calcio intracellulare rispetto alle cellule trasfettate con il plasmide wild-type o il plasmide contenente la più frequente mutazione R334X. I risultati che abbiamo visualizzato in questi esperimenti hanno mostrato un effetto differente della nuova mutazione rispetto a quelli causati dalle mutazioni precedentemente caratterizzate; questo comportamento potrebbe essere dato dalla perdita dell’intera coda citoplasmatica dal parte del recettore CXCR4. Questo troncamento della coda citoplasmatica comporta la perdita di tutti i siti di fosforilazione del recettore in grado di associarsi alle proteine G e necessari alla corretta trasduzione delle diverse vie di segnale. Questa incapacità di legare le proteine G da parte del recettore CXCR4 comporta una riduzione della funzionalità recettoriale.
XXVII Ciclo
1983
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7

Cavagna, Elsa. "Il colloquio nel counselling medico delle gravidanze gemellari." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9983.

Full text
Abstract:
2012/2013
INTRODUZIONE La gravidanza gemellare è da sempre argomento di grande fascino, mistero, ma anche preoccupazione per le numerose problematiche materne e fetali che comporta. Infatti, nonostante i progressi della medicina, essa continua a presentare un maggior rischio rispetto alle gravidanze singole a tutte le epoche gestazionali, una maggiore incidenza di morbilità e mortalità perinatale, di patologie gravidiche e di complicanze al parto. Nonostante il grande interesse verso il “fenomeno gemelli”, la letteratura sull’argomento non è particolarmente ricca e questo deficit d’informazione costituisce un aspetto problematico per le famiglie, che talvolta rischiano di far prevalere sugli aspetti positivi del “mettere al mondo una coppia”, gli aspetti di stress e di fatica. Uno strumento fondamentale in grado da un lato di arginare il senso di smarrimento delle coppie in attesa di gemelli e dall’altro, di incrementare il loro livello di conoscenza, è rappresentato da un’adeguata formazione ed informazione rispetto a tutti gli aspetti connessi alla gemellarità. Numerosi contributi scientifici dimostrano, infatti come una buona comunicazione centrata sul paziente, caratterizzata da chiarezza e completezza delle informazioni, e da uno stile relazionale accogliente, contribuisca a mantenere l’ansia entro livelli contenuti e favorisca la compliance delle pazienti ai vari trattamenti. Il management della gravidanza gemellare rappresenta quindi un argomento molto controverso della moderna ostetricia e il momento del counseling medico si contraddistingue come un aspetto cruciale del percorso dell’intera gravidanza. Tra i motivi della necessità di una gestione specialistica accurata e personalizzata vi è anche il costante incremento delle gravidanze gemellari frutto spesso di metodiche di fecondazione assistita che contraddistinguono la genitorialità come risultato di una scelta consapevole ma che allo stesso tempo vede i futuri genitori costretti a prendere decisioni impegnative che riguardano il ricorso a metodiche invasive per intervenire sulle varie complicanze che, come accennato in precedenza, possono presentarsi a qualsiasi epoca gestazionale. LA RICERCA Nell’ideare e nel realizzare la ricerca, si è cercato di mettere in luce la complessità della comunicazione medico-paziente come un aspetto che contribuisce alla creazione di una delle relazioni sociali più complicate poiché riguarda il rapporto tra individui che si trovano in posizioni non paritarie, è connotata emotivamente e richiede una stretta collaborazione tra gli attori coinvolti (Ong et al.,1995). Oggetto principale di questo studio è la “Pragmatica della comunicazione medico-paziente”, ovvero degli effetti che la comunicazione esercita sul comportamento dei pazienti, in uno specifico ambito: il colloquio medico nel counselling delle gravidanze gemellari. Presupposto fondamentale in questa concezione è l’idea che la relazione tra medico e paziente sia costruita attraverso la loro interazione e attraverso la comunicazione che hanno luogo in un contesto che è “matrice dei significati” e contribuisce a dare forma e senso alla comunicazione. La ricerca di una modalità comunicativa sempre più efficace ed attenta alle esigenze dei pazienti in questo ambito così particolare e carico anche di profondi aspetti emotivi, nasce dalla sensibilità dei medici dell’ambulatorio delle gravidanze gemellari che accettano la sfida dell’apprendimento di una nuova modalità di comunicare, per migliorare sempre di più il rapporto medico-paziente. In particolare il lavoro si è focalizzato sul modello della medicina “Patient centred” (Moja, Vegni, 2000) che sottolinea l’importanza degli aspetti della comunicazione e della relazione all’interno della consultazione clinica e più in generale, nei percorsi di cura. Numerosi lavori sulla medicina centrata sul paziente si focalizzano sul raggiungimento di una comunicazione efficace (Stein, 2005), poiché è ormai stabilito chiaramente che specifici comportamenti comunicativi dei medici sono associati ad un incremento dello stato di salute dei pazienti, all’aderenza al trattamento e alla loro soddisfazione. L’influenza delle modalità comunicative e comportamentali dei medici sui pazienti è un punto centrale di questo lavoro in cui si è cercato di mettere a confronto gli effetti di due modalità comunicative su due gruppi di coppie in attesa di gemelli. Lo studio ipotizza che una pertinente formazione dei medici alla comunicazione centrata sul paziente produca, rispetto a un gruppo di controllo, un cambiamento nel livello d'ansia, una maggiore soddisfazione della coppia al termine delle visite ed una migliore memorizzazione delle informazioni ricevute. Si sono presi in considerazione questi indicatori, in quanto le ricerche in letteratura riportano un alto livello d'ansia, una scarsa soddisfazione e un'inadeguata memorizzazione delle informazioni dopo i colloqui con i medici; questi indicatori a breve termine sono variabili attraverso le quali può essere definita e valutata l'efficacia della comunicazione tra medico e paziente. La connessione tra comunicazione e aderenza ai trattamenti, tra comunicazione e soddisfazione dei pazienti, e l’analisi degli stili comunicativi del medico, sono alcuni dei temi che sono stati al centro dell’attenzione degli studi condotti in quest’ambito poiché è sempre più chiaramente dimostrato che le variazioni nei processi di comunicazione influenzano in modo rilevante proprio gli atteggiamenti e i comportamenti del paziente (la sua soddisfazione circa la visita medica, l’attenersi alle prescrizioni del medico e la riduzione delle sue preoccupazioni) (si vedano ad esempio Ong et al., 1995; Brédart et al., 2005). La vasta letteratura specialistica mette in evidenza che migliorare la comunicazione tra medico e paziente ha un impatto favorevole sulla soddisfazione dei pazienti circa la visita, il trattamento e la relazione stessa con il medico (Bredart et al., 2005; McDonagh et al., 2004; Eide et al., 2003; Ong et al., 2000a). ARTICOLAZIONE DELLA RICERCA FASE 1: OSSERVAZIONE DELL’INTERAZIONE COMUNICATIVA TRA MEDICO E PAZIENTE IN UN SETTING NON MODIFICATO. Lo studio si compone di più fasi. Nella prima fase sono stati osservati per tre sessioni nell’arco di due mesi i sette medici che si occupano del counselling delle gravidanze gemellari con l’ausilio della scheda Osce, “Objective Structured Clinical Examination” (OSCE-esame clinico strutturato Harden 1975), che analizza tutte le parti salienti della comunicazione medico-paziente. La presenza dell’osservatore era stata introdotta dalla responsabile dell’Unità Operativa spiegando che era in corso una ricerca sui gemelli. L’osservatore era presente durante il couselling e non veniva percepito come elemento di disturbo né per i medici, né per le coppie. Contemporaneamente è stata verificata l’autopercezione delle proprie competenze comunicative, nel gruppo dei medici coinvolti nello studio, attraverso un questionario “Percs” The Program to Enhance Relational and Communication Skills (PERCS). L’osservazione dello “stato dell’arte” della comunicazione è stata condotta con un campione di controllo di 35 coppie in attesa di gemelli, durante la prima visita ecografica a cui è stata somministrata una serie di strumenti di valutazione che verranno discussi nel paragrafo relativo agli strumenti. Come accennato in precedenza, ogni medico è stato osservato in tre sessioni separate, a distanza di tempo, compatibilmente con i turni di ambulatorio. Per “sessione” si intende l’intera mattinata dedicata all’ambulatorio delle gravidanze gemellari, e quindi anche 7-8 colloqui per mattinata. Si è stabilito un numero di tre osservazioni per cercare di ridurre quanto più possibile il bias dell’osservatore e ogni colloquio di ogni sessione era codificato con la griglia Osce. L’utilizzo di questa checklist ha permesso l’individuazione di alcune aree critiche (identificate con un numero elevato di presenza di “comportamenti mancanti”) e la predisposizione di un percorso di formazione mirata al comparto medico che compensasse tali aree critiche e il cui obiettivo era verificare se un setting modificato, ovvero un nuovo modo di condurre il counselling, producesse effettivamente delle differenze statisticamente significative nel livello di ansia, nella soddisfazione della coppia verso il colloquio e nella qualità del ricordo. Per le sue caratteristiche peculiari, il modello di “medicina centrata sul paziente” (Moja e Vegni, 2000) è il modello che si è deciso di introdurre, con la speranza di verificare gli eventuali cambiamenti prodotti sugli indicatori che sono stati ritenuti importanti nella gestione ottimale delle gravidanze gemellari. FASE 2 : IL POST FORMAZIONE A formazione completata, tutte le osservazioni della fase precedente sono state ripetute con le stesse modalità, partendo dall’osservazione dei medici attraverso la griglia Osce, proseguendo con una nuova verifica della loro autopercezione delle competenze comunicative e terminando con il reclutamento di altre 35 coppie durante la visita del primo trimestre. La natura dello studio, il suo carattere descrittivo, e gli obiettivi di ricerca hanno comportato, dal punto di vista metodologico, la scelta di metodi di ricerca sia di natura qualitativa, più adatti a rilevare e a descrivere i processi comunicativi, sia quantitativi, rispondenti alla necessità di misurare i risultati del processo. IL CAMPIONE Più in particolare, la ricerca prevede l'utilizzo di due condizioni di osservazione e valutazione: nella prima fase pre-formazione sono state osservate 35 coppie di genitori in attesa di gemelli, e nella fase successiva alla formazione, un analogo gruppo sperimentale, con le stesse caratteristiche del primo. Le prime 35 coppie di genitori hanno ricevuto un colloquio informativo in un setting non modificato (corrispondente allo studio di come avvengono abitualmente i colloqui). Al contrario, il gruppo sperimentale, formato da 35 coppie di genitori in attesa di gemelli ha ricevuto lo stesso colloquio in un setting modificato dalla formazione dei medici verso un modello di visita “centrata sul paziente”. Particolare cura è stata dedicata nella selezione del secondo campione in modo da ottenere due gruppi quanto più omogenei per età, livello di scolarità e tipo di gravidanza (indotta o spontanea) . La ricerca prevede quindi tre gruppi di soggetti: 1. Il gruppo dei medici che si occupano del counselling delle gravidanze gemellari; 2. Il gruppo di genitori reclutati prima della formazione dei medici; 3. Il gruppo dei genitori reclutati dopo la formazione dei medici. GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE Per valutare l'esito del colloquio , gli strumenti individuati sono: • STAY-Y (C.D. Spielberger): per la misurazione dello stato d'ansia prima e dopo il colloquio • HCCQ “Health Care Communication Questionaire” (P. Gremigni, M. Sommaruga): per la valutazione della soddisfazione dei genitori rispetto al colloquio appena terminato • “Scala dello stile di coping” (A.L. Comunian): per l'individuazione dello stile di coping dei genitori • Questionario per il ricordo: da compilare entro due settimane dopo il colloquio Per i medici, sono stati utilizzati i seguenti strumenti. • GRIGLIA OSCE: scheda di osservazione della consultazione medico/paziente e valutazione delle abilità comunicative • Questionario PERCS (Program to Enhance Relational and Communication Skills): per verificare le convinzioni di autoefficacia comunicative dei medici ANALISI STATISTICHE Al fine di valutare l’eventuale differenza tra i gruppi, sono stati applicati test parametrici (t test) e non parametrici (Mann Whitney), in funzione della distribuzione dei dati. Si è considerato un valore di p<.01quale indicatore di significatività statistica. Per valutare l’eventuale presenza di associazioni tra le variabili (ansia di stato post colloquio e soddisfazione verso il colloquio; ansia di stato post colloquio e stili di coping) è stato calcolato il coefficiente di Pearson, ad un livello di significatività di 0.05 e 0.01. L’analisi statistica dei dati è stata effettuata con il programma SPSS versione 18.0 per Windows. PRINCIPALI CONCLUSIONI Per verificare come i medici che si occupano del counselling delle gravidanze gemellari gestiscono la conversazione clinica, la relazione con le coppie che afferiscono all’ambulatorio, vi è stata una fase preliminare di osservazione di ogni medico da parte di un osservatore esterno che, con l’uso di un’articolata check-list guida di osservazione, ha segnato tutti i comportamenti che il medico mette in atto durante le varie fasi del colloquio. In particolare questo strumento di osservazione divide ogni consultazione clinica nei suoi momenti salienti: l’inizio della sessione, la raccolta delle informazioni, la costruzione del rapporto e la chiusura della sessione. Le osservazioni svolte ai medici prima che essi ricevessero la formazione hanno messo in luce uno stile comunicativo molto chiaro, orientato alla risoluzione del problema. Le osservazioni dei medici prima della formazione evidenziano anche che essi usano un comportamento verbale appropriato, mantanendo una posizione di neutralità anche davanti a prese di posizione forti dei pazienti. Ciò che invece nella fase pre-formazione risultava essere molto meno frequente erano le parti maggiormente connesse agli aspetti emotivi del counselling. Con la formazione vi sono state delle leggere modifiche come dimostra l’incremento delle frequenze registrate per alcuni item della checklist. Da quanto osservato emerge che lo stile comunicativo prevalente dei medici che si occupano del counselling delle gravidanze gemellari è orientato al problema: si tratta cioè di una comunicazione strumentale (Ong.et. al, 1995) attraverso la quale i medici forniscono informazioni utilizzando un linguaggio chiaro, specialistico ma comunque accessibile ai pazienti. Numerosi studi mettono in evidenza che la quantità ed il dettaglio delle informazioni fornite durante le visite, migliorano sia il ricordo che la soddisfazione dei pazienti (Ong.et.al, 1999). La ricerca in oggetto è strutturata come un’osservazione a più livelli, in diversi momenti; la verifica dell’efficacia della formazione, o meglio, la verifica degli eventuali cambiamenti prodotti dalla formazione è stata effettuata sia attraverso questionari di autovalutazione dei medici, sia con osservazioni dirette con l’ausilio di apposite checklist, che attraverso la misurazione di outcome accuratamente selezionati come il livello di ansia di stato dei pazienti dopo il colloquio medico e la loro soddisfazione rispetto al counselling ricevuto. Uno degli obiettivi centrali dello studio era verificare se la formazione al comparto medico avesse prodotto dei cambiamenti nello stato d’animo dei pazienti, se cioè il loro livello di ansia dopo il colloquio medico, fosse diverso nei due gruppi di pazienti testati. Dall’osservazione dei dati che abbiamo elaborato è stato possibile osservare che in entrambi i gruppi di genitori in attesa di gemelli, sia le mamme che i papà sono caratterizzati da un’ansia di tratto molto bassa, addirittura inferiore al livello medio della popolazione di riferimento, il che sta ad indicare che queste persone, generalmente non dovrebbero presentare disturbi di tipo ansioso nella loro quotidianità. Tuttavia, il livello medio di ansia (di stato) di tutti i soggetti testati nel momento immediatamente precedente il counselling, aumenta, in particolare nelle coppie che hanno una gravidanza gemellare indotta. Questo dato conferma quanto affermato dalla letteratura che descrive il colloquio medico come un evento stressante, caratterizzato da una disparità di livello tra medico e paziente. Le donne, sia del gruppo di controllo che del gruppo sperimentale, mostrano un livello di ansia più elevato rispetto agli uomini di entrambi i gruppi. Il dato veramente sorprendente deriva dalla misurazione del livello dell’ansia di stato immediatamente dopo il colloquio. Tutti i soggetti, infatti, erano stati invitati a compilare lo Stai-Y anche dopo la visita medica, unitamente agli altri questionari utilizzati per la valutazione della soddisfazione dei pazienti verso il colloquio medico e per l’identificazione dello stile di coping utilizzato dalle coppie in un momento emotivamente cosi importante. Osservando i dati relativi al gruppo delle mamme, si è potuto evidenziare che il livello medio di ansia misurato subito dopo il colloquio, si è significativamente ridotto, attestandosi addirittura sotto il livello medio di ansia della popolazione generale. Questo trend è stato rilevato sia per le mamme del gruppo di controllo, quelle cioè che hanno ricevuto il counselling da medici non formati, che per le mamme che hanno ricevuto il counselling dai medici formati. Il medesimo trend si è verificato nei gruppi dei padri: sia i futuri papà del gruppo di controllo che quelli del gruppo sperimentale, vivono una significativa diminuzione del livello medio dell’ansia di stato dopo aver ricevuto il counselling. Un altro importante obiettivo, suggerito dallo studio della letteratura era verificare se vi potesse essere una correlazione tra il livello dell’ansia dei pazienti subito dopo il colloquio e la soddisfazione verso il colloquio stesso. I dati che abbiamo analizzato mostrano come nel gruppo delle mamme che ricevono il colloquio dai medici non formati, il livello di ansia correli negativamente sia con dimensione “problem solving “ che con la dimensione “respect”, nonché alla “non verbal immediacy”. Queste tre dimensioni fanno riferimento rispettivamente alla capacità del medico di mettere in atto comportamenti orientati alla risoluzione dei problemi, alla loro competenza nel fornire informazioni chiare ed appropriate che consentono ai pazienti di prendere decisioni importanti in maniera consapevole ed autonoma e al comportamento affiliativo mostrato dal medico che riesce ad avere un dialogo chiaro ma non distanziante da un punto di vista psicologico. la modalità del “colloquio strumentale”, caratteristica del gruppo dei medici non formati, è in grado di assolvere a ben due importanti funzioni: in primo luogo, non solo contiene, ma addirittura riduce sensibilmente il livello di ansia percepita dai pazienti. In secondo luogo, tali pazienti, sentendosi rassicurati dalle informazioni ricevute e dalla modalità comunicativa, esprimono la loro soddisfazione verso il colloquio stesso. Per quanto riguarda le mamme del gruppo sperimentale, ovvero del gruppo che riceve il counselling dai medici formati, l’analisi dei dati non ha rilevato delle significatività statistiche nelle correlazioni tra il livello dell’ansia e la soddisfazione verso il colloquio, espresso attraverso il testi HCCQ. Ciò nonostante, dobbiamo però ricordare che anche l’ansia di stato misurata nel gruppo sperimentale delle mamme, si riduce in maniera significativa e quindi un effetto terapeutico è comunque raggiunto. L’ipotesi relativa alla verifica di una eventuale correlazione tra il livello d’ansia e l’utilizzo di determinate strategie di coping da parte dei pazienti, ha evidenziato come le mamme del primo gruppo, quelle che hanno ricevuto il counselling dai medici non formati, usino strategie di coping sia razionali che relazionali per tener sotto controllo lo stress del momento. Attraverso le strategie di coping relazionale le mamme usano le proprie skill di socializzazione per ridurre lo stress, così come succede anche per le strategie di coping razionale. Nel gruppo delle mamme che ricevono il counselling dai medici formati, è maggiormente diffuso un coping di tipo difensivo per tener sotto controllo il livello di stress generato dalla situazione. La sensibilità dei padri che ricevono il colloquio dai medici non formati orienta la loro preferenza verso il fattore della “Non verbal Immediacy” che risulta essere l’aspetto maggiormente coinvolto nel contenimento della loro ansia. Tale dimensione fa specifico riferimento all’atteggiamento empatico del medico che si dimostra in grado di gestire questa relazione così complessa. Contemporaneamente questo gruppo di pazienti utilizza strategie di coping di tipo difensivo nella direzione della gestione dell’emotività, probabilmente escludendo dal proprio orizzonte cognitivo ciò che è ritenuto troppo pericoloso e inaccettabile. Nel gruppo dei papà che ricevono il counselling dei medici formati sul modello “Patient centred”, l’aspetto che viene ritenuto più importante risulta essere la dimensione del “Problem solving” che fa riferimento all’abilità dei medici di gestire efficacemente una comunicazione complessa. Se si riconsidera quanto era emerso dalle osservazioni dei colloqui attraverso la griglia Osce, la perizia dei medici nella gestione degli aspetti tecnici e clinici era ineccepibile in entrambi i gruppi. Sembra quindi che l’aspetto della comunicazione strumentale correli significativamente con la soddisfazione di questi pazienti, come peraltro suggerisce una parte degli studi ai quali si è fatto più volte riferimento (Ong et al.,1995). L’interesse verso un modello ed uno stile comunicativo che mettesse il paziente al centro dell’attenzione del clinico deriva ancora una volta dallo studio della letteratura che evidenzia come la patient-centredness sia significativamente correlata alla compliance ai trattamenti nonché alla comprensione e memorizzazione delle informazioni. Questo aspetto è particolarmente importante in comunicazioni in cui possono esservi aspetti forieri di stress che potrebbe interferire con la memorizzazione ed il ricordo delle informazioni ascoltate (Ong et al., 1995). L’insufficiente memorizzazione può comportare a sua volta nei pazienti la percezione di disporre di una quantità insufficiente di informazioni, percezione che può peggiorare ulteriormente i vissuti di incertezza e di ansia. Gli studi indicano che è soprattutto la quantità di informazioni mediche fornite ad essere correlata al ricordo, mentre l’atteggiamento “affettivo” del medico risulta più debolmente collegato al ricordo (Ong et al.,2000). Attraverso un questionario di dieci domande che facevano riferimento al contenuto del counselling, si è tentato di esplorare il ricordo delle pazienti ad una settimana circa dalla visita. Purtroppo solo un numero molto limitato di pazienti sia del primo che del secondo gruppo hanno risposto al nostro questionario; ciò che abbiamo potuto verificare è che non vi sono differenze significative nella qualità del ricordo tra i gruppi, ad eccezione della domanda che faceva riferimento al ricordo del nome del medico che aveva condotto il colloquio; coerentemente da quanto evidenziato dalla griglia Osce, le pazienti del primo gruppo non ricordano il nome del medico, poiché prima della formazione, nessun dottore si presentava per nome. Risposte errate in entrambi i gruppi riguardano il significato clinico di esami di screening proposti durante il counselling e la gestione di alcune complicanze, come le infezioni batteriche, argomenti ampiamente discussi durante il colloquio. Emerge quindi che sebbene la comunicazione sia gestita in maniera ottimale, alcuni aspetti importanti non vengono adeguatamente memorizzati, forse a causa dell’elevato livello di ansia provato prima del colloquio o per l’elevato numero di informazioni trasmesse. Non è quindi lo stile comunicativo ad essere ostacolo alla memorizzazione e comprensione delle informazione, ma lo stato d’animo nel qui ed ora delle pazienti. A tal proposito ci è sembrata una strategia efficace quella di dedicare ai genitori in attesa di gemelli una pubblicazione dal titolo “Arrivano i gemelli: tutto quello che ti può essere utile sapere sulla gravidanza gemellare”, che viene consegnata ad ogni coppia in occasione del counselling del primo trimestre. Ultimamente l’Unione Europea sta puntando alla dissemination delle informazioni e alla Health Literacy che potrebbe essere letteralmente tradotta come “Istruzione o alfabetizzazione alla salute”. Tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità, definendo il ruolo della Health Literacy, fa riferimento a “competenze sociali e cognitive che determinano la motivazione e l’abilità degli individui di ottenere accesso, comprendere e usare l’informazione in modo da promuovere e mantenere un buono stato di salute”. Un prezioso aspetto della Health Literacy riguarda la possibilità di migliorare l’accesso delle persone all’informazione sulla salute e la loro capacità di usarla con efficacia, per cui la Health Literacy è una forma cruciale di empowerment. Proprio in quest’ottica si è sviluppata l’idea di scrivere un compendio informativo cartaceo da consegnare a tutte le coppie che si rivolgono all’ambulatorio delle gravidanze gemellari per la consulenza del primo trimestre. Questo opuscolo è quindi in linea con un nuovo trend europeo che sposta gli investimenti sul piano della salute, dalla pubblicazione scientifica alla formazione della popolazione generale e alla sua crescita culturale e conoscitiva sui temi della salute. L’opuscolo è frutto della collaborazione di ginecologi, genetisti, neonatologi, psicologhe ed ostetriche che si sono impegnati per aiutare le coppie in attesa di gemelli a meglio comprendere la loro esperienza di genitori di gemelli e rispondere ai loro bisogni. La brochure non intende sostituire la comunicazione con i medici; essa rappresenta invece uno strumento chiaro che può essere utilizzato dalla coppia ogni volta che sorge un dubbio, non si ricorda un’informazione, si desidera approfondire un aspetto della gravidanza gemellare. La pubblicazione contiene informazioni riguardo ai vari tipi di gravidanza gemellare, a come viene fatta la diagnosi e quali sono i principali rischi dei diversi tipi di gravidanza. Viene descritta la sindrome della Trasfusione feto fetale e le modalità di intervento attuate presso gli Spedali Civili di Brescia. Vi è un capitolo dedicato alla gestione del parto e alla descrizione del reparto di Terapia intensiva neonatale, all’interno della guida vi sono anche fotografie e disegni per aumentare al massimo la chiarezza di quanto trattato. Una sezione è dedicata ai corretti stili di vita per avere una buona gravidanza e, considerando il profondo impatto emotivo della gemellarità, sono stati trattati anche alcuni importanti aspetti psicologici della relazione tra genitori e gemelli. Alla luce di questo ampio lavoro di “osservazione sistemica” possiamo concludere ribadendo ancora una volta come la comunicazione tra medico e paziente abbia un ruolo fondamentale all’interno del processo di cura e sia lo strumento principale attraverso cui si costruiscono le singole relazioni .
XXV Ciclo
1973
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8

Leon, Luca. "Le bevande alcoliche: dalla definizione dei bisogni le indicazioni per la realizzazione di un ospedale promotore di salute." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10851.

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Abstract:
2013/2014
Diverse fonti autorevoli concordano che una parte rilevante dei decessi registrati nella popolazione generale e fra i giovani adulti siano riconducibili allo stile di vita agito - all’alimentazione, all’attività fisica, al fumo di tabacco ed alle bevande alcoliche - e da tempo le Istituzioni socio-sanitarie consapevoli del problema stanno promuovendo azioni di prevenzione e promozione della salute finalizzate alla riduzione del rischio ad essi correlato. Tuttavia, l’interpretazione di queste azioni di prevenzione e promozione della salute sono molteplici, frammentarie, poco verificate e verificabili ed a volte discordanti con la conseguenza che è difficoltoso riconoscere chiaramente le ricadute in termini di efficacia, efficienza e trasferibilità degli interventi proposti. Infatti, il più delle volte, contravvenendo alle indicazioni proposte dal Piano Nazionale della Prevenzione, risulta deficitaria, talvolta poco affidabile, l’analisi della situazione sulla quale si vuole intervenire con la conseguenza che: - la scelta degli interventi da mettere in atto viene lasciata all’interpretazione dei singoli operatori afferenti alle diverse istituzioni o strutture; - non viene resa possibile, qualora prevista, una corretta valutazione della efficacia degli interventi. Infine, le contraddizioni - culturali, professionali, di competenza…– condizionano la comunicazione e le relazioni tra gli operatori medici e non medici attori dell’intervento - medici, infermieri, assistenti sociali, educatori, insegnanti, psicologi…- ed i destinatari dell’azione - popolazione generale, in età pediatrica, adolescenti, gravide, genitori….- con il risultato che la mancata condivisione di saperi, comportamenti e atteggiamenti può, di fatto, limitare pesantemente l’efficacia dell’azione preventiva e di promozione della salute. Fra gli stili di vita l’uso delle bevande alcoliche viene riconosciuto da più parti15,16 come il più diffuso dei fattori di rischio evitabili per la salute, coinvolge la stragrande maggioranza della popolazione generale17 , una parte della quale consuma alcolici quotidianamente e il loro consumo “non eccessivo”, decisamente sottovalutato e confuso, è accettato e condiviso. A tal proposito questo studio si propone di descrivere, a partire dalla letteratura di riferimento, l’impatto delle bevande alcoliche sulla salute della popolazione italiana, le evidenze in merito ai modelli di consumo alcolico ed i rischi ad esso correlati, le politiche di contrasto e le buone pratiche messe in atto al fine di dar risposta a questo bisogno di salute. Così come consiglia il Piano Nazionale per la Prevenzione la ricerca sperimentale ha come obiettivo la definizione dei bisogni in merito alle abitudini alcoliche delle donne in gravidanza, della popolazione giovanile nell’arco di un ventennio (1989 -2013) e dei futuri operatori della salute in modo da definire le possibili linee di intervento attuabili nel contesto dell’ospedale promotore di salute. Vale la pena di puntualizzare che i programmi di prevenzione e promozione della salute si caratterizzano per un’iniziazione precoce, un’azione continua e monitorata nel tempo e supportata da conoscenze scientifiche aggiornate. Pertanto la scelta di coinvolgere nella ricerca le donne in gravidanza è motivata dal fatto che già dalla programmazione di una genitorialità responsabile genitori e famiglia devono rendersi conto, in maniera critica e responsabile, che il loro stile di vita condizionerà quello del nascituro e che uno stile di vita scorretto è un rischio sia per loro che per i figli. Per quanto riguarda gli adolescenti questi risentono dei comportamenti degli adulti significativi e sono i possibili utenti di un intervento di promozione della salute. Si può pertanto ipotizzare che la valutazione dei bisogni di questa popolazione consenta di definire l’eventualità di un intervento di prevenzione e promozione della salute mirato a correggere conoscenze comportamenti, abitudini ed atteggiamenti scorretti e/o mantenere e potenziare uno stile di vita più favorevole alla salute. In fine, avendo chiaro che i futuri operatori della salute, nell’ambito dell’esercizio della loro professione, saranno chiamati a programmare ed attuare interventi di prevenzione e promozione della salute è richiesto loro, per il fatto che ricoprono un ruolo educativo, di possedere competenze – sapere - coerenti con i loro comportamenti – saper fare e saper essere -. La ricerca su questa particolare popolazione - futuri operatori della salute - darà risposte in merito al loro back ground culturale, ai comportamenti ed agli atteggiamenti nei confronti delle bevande alcoliche e fornirà indicazioni sulle specifiche competenze e le eventuali criticità presenti al termine del percorso di formazione. Queste informazioni costituiranno il patrimonio culturale di base da spendere al fine di intervenire in maniera mirata sulla programmazione didattica dei Corsi di Laurea per rispondere ai bisogni culturali evidenziati. Lo studio vuole descrivere le caratteristiche delle popolazioni contattate - gravide, adolescenti, futuri promotori della salute -, i bisogni rilevati in merito alle bevande alcoliche e la correlazione tra le abitudini alcoliche delle popolazioni coinvolte e quelle del contesto famigliare di provenienza. Tutto ciò per comprendere le eventuali azioni di promozione della salute che si potrebbero proporre per rispondere in maniera efficace e verificabile nell’ambito di un ospedale promotore di salute.
XXVII Ciclo
1983
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9

Bottega, Roberta. "Sviluppo di una strategia per la diagnosi molecolare dell'anemia di Fanconi." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9981.

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Abstract:
2012/2013
L’anemia di Fanconi (FA) è una malattia genetica rara caratterizzata da malformazioni congenite, pancitopenia, predisposizione al cancro e aumentata sensibilità ad agenti, quali diepossibutano e mitomicina C, che formano legami tra i due filamenti di DNA. La FA è causata da almeno 16 geni che costituiscono, insieme ad altri componenti, un pathaway di riparazione del DNA. L’eterogeneità è uno dei principali motivi che complica la diagnosi molecolare della FA. E’ pertanto necessario un processo a più livelli che implica lo screening di molti esoni o, in alternativa, l’allestimento di linee cellulari e l’analisi di complementazione per la caratterizzazione del gene candidato. Gli scopi di questa tesi pertanto sono diretti a: • Ridurre i tempi per l’identificazione del gene mutato sostituendo l’analisi di complementazione con quella di espressione delle proteine FA basandosi sul presupposto che prodotti mutati siano rapidamente degradati; • Caratterizzare dal punto di vista molecolare gli effetti delle varianti identificate dall’analisi di sequenza. Per quanto riguarda il primo obiettivo, ci siamo focalizzati sullo studio della proteina FANCA in 44 linee cellulari linfoblastoidi appartenenti ai diversi gruppi di complementazione. E’ emerso che, fatta eccezione per FA-G, l’espressione di FANCA non è alterata da mutazioni nei geni FANCB, FANCC e FANCD2. Per quanto riguarda i pazienti con mutazioni in FANCA, invece, abbiamo osservato una correlazione tra il tipo di mutazione e il livello di espressione della proteina che può quelli essere paragonabile a quella dei controlli nel caso di mutazioni missenso o ampie delezioni in frame. In accordo con l’ipotesi invece, in presenza di mutazioni nonsenso e frameshift in entrambi gli alleli del gene, non si ha produzione di proteina. Sulla base di questi dati possiamo concludere che l’analisi di FANCA non è soddisfacente per assegnare ai pazienti il corrispondente gruppo di complementazione. Tuttavia, da questo studio è emersa l’ipotesi di un’associazione tra l’espressione stabile delle proteine FANCA mutate e un fenotipo meno grave nei pazienti. I dati preliminari dimostrano che queste proteine non sono traslocate nel nucleo e che quindi un’eventuale attività residua non sia da attribuire al processo di riparazione del DNA. Un potenziale ruolo andrebbe forse indagato a livello citoplasmatico dove, come sta emergendo dalla letteratura, almeno FANCG e FANCC, svolgono una funzione all’interno del mitocondrio tale da giustificare l’elevato grado di stress ossidativo delle cellule FA. Per il secondo obiettivo, lo studio dei casi arruolati nell'ambito dell'AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica) ha consentito l'identificazione delle mutazioni in 100 famiglie. Dall’analisi dei dati emerge che la maggior parte delle mutazioni colpisce il gene FANCA (85%), seguito da FANCG (9%), FANCC (3%), FANCD2 (2%) e FANCB (1%). In assenza del dato di complementazione e/o in presenza di varianti alle quali non è sempre possibile attribuire un chiaro effetto patogenetico, sono state eseguite ulteriori indagini. Si citano a titolo di esempio la caratterizzazione delle ampie delezioni intrageniche mediante MLPA, l’analisi bioinformatica e a livello di RNA delle alterazioni di splicing che, qualora in frame, sono state ulteriormente confermate anche a livello proteico e, infine, lo studio bioinformatico di patogenicità delle sostituzioni aminoacidiche. La formulazione di un algoritmo efficace e rapido per la diagnosi molecolare della FA, nonché la chiara definizione del significato patogenetico delle varianti identificate, è molto importante per corretta presa in carico del paziente e della famiglia sia per l’identificazione dei portatori che per la diagnosi prenatale.
XXVI Ciclo
1984
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10

Traglia, Michela. "Identification of novel loci affecting human disorders of iron homeostasis and their effect on lipid metabolism." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10858.

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Abstract:
2013/2014
Il ferro è un elemento fondamentale per molti processi di cellule e tessuti ma è potenzialmente tossico e un eccesso può danneggiare diversi componenti cellulari. A livello fisiologico il ferro circolante è regolato da segnali da pathway che lo consumano e da cellule che lo forniscono. Il principale ormone regolatore epcidina agisce insieme al recettore cellulare ferroportina nel controllare l’assorbimento con la dieta, l’immagazzinamento e la distribuzione del ferro nel flusso sanguigno. Disturbi genetici che colpiscono i componenti del pathway così altamente regolato possono causare serie malattie nell’uomo come l’emocromatosi ereditaria e l’anemia sideropenia refrattaria al ferro (IRIDA) principalmente causate da mutazioni note nei geni HFE e TMPRSS6. Gli studi descritti in questa tesi hanno lo scopo di evidenziare varianti nuove e causative che hanno un ruolo nella regolazione del pathway di ecpidina-ferroportina per spiegare l’effetto delle variazioni di ferro e le basi molecolari dell’insorgenza dei disturbi genetici del ferro nell’uomo. Studi di associazione sull’intero genoma (GWAS) sono stati condotti sui valori quantitativi di epcidina, parametri del ferro e tratti eritroidi misurati nell’ampia popolazione della Val Borbera che include 1785 individui genotipizzati da un isolato genetico italiano. Il principale risultato mostra che l’associazione di HFE e TMPRRS6 ai tratti eritroidi dipendono in maggior parte dal totale di ferro disponibile e non da un effetto diretto di HFE e TMPRSS6. I livelli di epcidina sono stati associati alle variazioni in HFE e TMPRSS6 e una prima ampia meta-analisi condotta su circa 6,000 individui VBI e olandesi ha evidenziato 2 nuovi loci associati significativamente (p<5x10-8) all’epcidina: il primo sul cromosoma 10 vicino al gene FOXI2 e il secondo sul cromosoma 2 nel gene EML6 e vicino a SPTBN1 (alias ELF). SPTBN1 è un gene interessante in quanto essenziale nel signaling TGF-β mediante le proteine SMAD, una delle quali svolge un ruolo anche nella regolazione della trascrizione dell’epcidina. Per identificare ulteriori loci che hanno un ruolo nell’omeostasi del ferro è stata condotta un’ampia meta-analisi sui marcatori clinici dello stato del ferro su 48,000 individui di origine europea in collaborazione con il consorzio australiano per lo studio genetico del ferro (GIS): lo studio mostra associazioni più significative ed effetto pleiotropico dei geni noti del ferro HFE, TF, TFR2 and TMPRSS6 e cinque nuovi geni associati a livello Bonferroni (ABO, ARNTL, FADS2, NAT2, TEX14). In particolare la trasferrina è associata a NAT2 precedentemente associato a disturbi dei lipidi e a rischio cardiovascolare e FADS2 le cui variazioni hanno un effetto su diversi fenotipi come gli acidi grassi, il glucosio nel sangue e gli enzimi del fegato. I risultati mostrano una forte correlazione tra omeostasi del ferro e metabolismo dei lipidi nell’uomo e quindi il ferro potrebbe avere un ruolo nell’insorgenza dei disturbi cardiovascolari. I risultati confermano che l’isolato della Val Borbera ha costituito un modello della popolazione generale adatto a studi genetici su malattie comuni. Per aumentare la possiblità di trovare varianti rare e causative sfruttando i vantaggi e le caratteristiche delle popolazioni isolate, la coorte della Val Borbera e gli altri isolati genetici italiani si sono riuniti in un progetto che utilizza le tecniche innovative di sequenziamento dell’intero genoma allo scopo di creare un pannello di riferimento ricco di sequenze italiane rare e di altà qualità per ulteriori studi genetici sul ferro, epcidina e altri tratti di rischio.
Iron is a key element for cellular and tissue processes. It is also potentially toxic and excess iron can damage various cellular components. At physiological levels circulating iron is regulated by signals from pathways that use iron and from cells that supply iron. The main iron-regulatory hormone hepcidin and its receptor iron channel ferroportin play a critical role controlling the dietary absorption, storage, and tissue distribution of iron through the bloodstream. Genetic disorders that affect the components of the tightly regulated hepcidin-ferroportin pathway could cause severe pathologies in humans as hereditary hemocromatosis and iron-refractory iron-deficiency anemia or IRIDA mainly caused respectively by mutation in two known loci, HFE and TMPRSS6. The studies described in this thesis aimed at highlighting novel and causative variants in loci that have a role in the regulation of hepcidin-iron pathway to explain the effect of unbalanced iron in humans and the molecular basis of the onset of genetic iron disorders. First, genome-wide association studies (GWAS) have been carried out on quantitative hepcidin, iron parameters and erythrocyte traits measured in the population of Val Borbera (VBI) that includes 1785 genotyped individuals from an Italian genetic isolate. The main result showed that association of HFE and TMPRSS6 to erythroid traits is mostly dependent on the amount of iron available and not a direct effect of HFE and TMPRSS6 variants. Hepcidin levels have been associated to HFE and TMPRSS6 variations and a first large meta-analysis, performed on 6,000 VBI and Dutch individuals, revealed two novel loci associated to hepcidin at genome-wide significance (p<5x10-8): the first on chromosome 10, near the gene FOXI2 and the second signal on chromosome 2 in the EML6 gene and near SPTBN1 (alias ELF). SPTBN1 is an interesting gene as it is essential in TGF-β signaling by SMAD proteins and one of the SMADs is involved in hepcidin transcription regulation. To identify additional loci affecting iron homeostasis, a large international meta-analysis on the serum biomarkers commonly used to determine the clinical iron status has been carried out in 48,000 European ancestry individuals in collaboration with Australian Genetic Iron Status (GIS) Consortium: the study showed more significant associations and pleiotropic effect for known loci as HFE, TF, TFR2 and TMPRSS6 and five novel associated loci at significant levels (ABO, ARNTL, FADS2, NAT2, TEX14). In particular, transferrin is associated to NAT2, previously associated to lipids affections and cardiovascular risk, and to FADS2 that affects several phenotypes as lipids fatty acids, fasting glucose and liver enzyme. The results highlighted a strong correlation between iron homeostasis and lipid metabolism in humans that could have implication on the onset of cardiovascular disorders. The Val Borbera genetic isolate has represented a suitable model for genetic study on common disease. To increase the power of detection of rare and causative variants and to take advantage of the characteristics of genetic isolates, VBI and other Italian isolated populations are now involved in an innovative whole-genome sequencing (WGS) project with the aim to create an Italian specific panel enriched in lower-frequency high-quality variants to be used in further genetic analysis on iron parameters, hepcidin and other traits.
XXVII Ciclo
1981
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11

Vuckovic, Dragana. "Identification of the genetic determinants of hearing loss by means of genetic isolates." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10847.

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Abstract:
2013/2014
Il sistema uditivo è uno degli organi sensoriali più complessi e coinvolge cellule ciliate, neuroni cocleari, e molti altri elementi regolati da basi molecolari. L'analisi genetica dei tratti complessi/malattie come la funzione uditiva e la presbiacusia potrebbe far luce su questi meccanismi molecolari. Fino ad ora solo pochi geni sono noti per contribuire alla variabilità della funzione uditiva. Capirla dal punto di vista genetico può essere molto interessante e può anche fornire indizi importanti per individuare le cause genetiche della presbiacusia. La questione è di fondamentale importanza per la nostra società che invecchia sempre più. La presbiacusia è la perdita sensoriale più diffusa negli anziani e colpisce il 30 % delle persone di età superiore ai 60 anni. La malattia non dà direttamente pericolo di vita, ma contribuisce alla perdita di autonomia ed è associata all'ansia, alla depressione e alla perdita di funzioni cognitive che compromettono seriamente la qualità della vita. Inoltre, le interazioni con fattori ambientali dovrebbero essere prese in considerazione. Per tenere conto di questi fattori, ci siamo concentrati su popolazioni isolate, dove le persone condividono lo stesso ambiente e occupazioni/abitudini analoghe. L'obiettivo principale della tesi è la comprensione delle basi molecolari della variazione della funzione uditiva utilizzando: a) Genome-Wide Association Studies (GWAS) per identificare nuovi geni/loci; b) l'associazione statistica per replicare i candidati identificati; c) studi di espressione per valutare il ruolo dei candidati nella coclea di topo. In primo luogo abbiamo replicato 9 geni precedentemente pubblicati (CSMD1, ANK2, CDH13, DCLK1, ARSG, EVI5, GRM8, RIMBP2, SLC16A6) con un’analisi di associazione per geni candidati nella coorte della Silk Road (SR) che comprende diverse comunità isolate nel Caucaso e in Asia centrale. In seguito, una grande collaborazione con la coorte britannica TwinsUK ha portato ad una nuova meta-analisi di GWAS, in cui abbiamo identificato uno SNP significativo nel gene SIK3. Infine, con la disponibilità dei dati del progetto 1000Genomes per l’imputazione, un’ulteriore meta-analisi ci ha permesso di individuare altri due loci vicino ai geni PCDH20 e SLC28A3, che siamo stati in grado di replicare in due coorti indipendenti dal Regno Unito (B58C) e dalla Finlandia (FITSA). Tutti i geni identificati sono risultati espressi nella coclea. Per quanto riguarda contributi originali alla metodologia GWAS, abbiamo sviluppato un pacchetto R chiamato MultiMeta. Si tratta di un metodo statisticamente efficace per eseguire la meta-analisi in un contesto multivariato, con un approccio flessibile e strumenti per gestire facilmente la visualizzazione dei risultati. Il metodo può essere applicato a qualsiasi insieme di risultati multivariati e sarà molto utile per analizzare i dati uditivi e possibilmente per individuare nuove associazioni, sfruttando la correlazione tra fenotipi.
The auditory system is one of the most complex sensory organs, involving hair cells, cochlear neurons and many other components, strongly regulated by the underneath molecular bases. The genetic analysis of complex traits/diseases such as normal hearing function (NHF) and Age-Related Hearing Loss (ARHL) could shed light on these molecular mechanisms. Until now, only few genes are known to contribute to the variability of NHF. Understanding NHF from the genetic point of view can be very interesting and also provide important clues to solving ARHL genetic causes. This issue is of fundamental importance for our ageing society. In fact, Age-Related Hearing Loss is the most prevalent sensory impairment in the elderly affecting 30% of people aged over 60. The disease is not directly life threatening but it contributes to loss of autonomy and is associated with anxiety, depression, and cognitive decline largely compromising the quality of life. Moreover, interactions with lifestyle and environmental determinants should be taken into account. In order to overcome these confounding factors, we focused on isolated populations, where people share the same environment and similar occupations/habits. The main aim of the thesis is the understanding of the molecular bases of variation of normal hearing function using: a) Genome Wide Association Studies (GWAS) to identify new genes/loci; b) Statistical association to replicate new candidate findings; c) expression studies to evaluate their role in the mouse cochlea. Firstly we replicated 9 previously published genes (CSMD1, ANK2, CDH13, DCLK1, ARSG, EVI5, GRM8, RIMBP2, SLC16A6) by running a candidate association analysis in the Silk Road cohort (SR) including several isolated communities in Caucasus and Central Asia. Afterwards a large collaboration with the TwinsUK cohort led to a GWAS meta-analysis, which identified a significant SNP in SIK3 gene. Finally, with the availability of 1000Genomes Project imputation data another GWAS meta-analysis allowed us to identify two more loci close to PCDH20 and SLC28A3 genes, which we were able to replicate in two independent cohorts from UK (B58C) and Finland (FITSA). All the identified genes were expressed in mouse cochlea. As regards new contribution in GWAS methodology, we developed an R package software called MultiMeta. It is a novel statistically efficient method to perform meta-analysis in a multivariate setting with a flexible approach and tools for easily visualizing results. The method can be applied to any multivariate set of results and will be very useful for analysing hearing data and hopefully leading to novel association discovery, by taking into account the underlying correlations between phenotypes.
XXVII Ciclo
1987
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12

Robino, Antonietta. "GENETIC VARIATION IN TASTE PERCEPTION AND ITS ROLE IN FOOD LIKING AND HEALTH STATUS." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9988.

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Abstract:
2012/2013
Taste has been described as the body's “nutritional gatekeeper”, affecting the identification of nutrients and toxins and guiding food choices. Genetic variation in taste receptor genes can influence perception of sweet, umami and bitter tastes, whereas less is known about the genetics of sour and salty taste. Differences in taste perception, influencing food selection and dietary behavior, have also shown important long-term health implications, especially for food-related diseases such as obesity, diabetes, cardiovascular diseases. To date, a lot of studies are focused on taste receptor genes and function but further investigations are needed to better understand which factors, including genetic ones, are involved in influencing taste and food preferences and the corresponding connections with health status. The aim of this thesis is to understand the genetic bases of taste perception and its relationship to food preferences and health outcomes. Data from ~3500 subjects coming from isolated villages located in Italy, Caucasus and Central Asia were collected. The ability to taste PROP (6-n-propylthiouracil) bitterness and NaCL saltiness, food liking and intake were measured. Additional information such as clinical parameters, professional activity, lifestyle, eating habits and family history were also collected. To learn more about taste biology the following steps were performed in this thesis: 1) genome-wide association studies (GWAS) of bitter and salty taste perception; 2) analysis of the possible impact of bitter taste perception on food preferences; 3) investigation of the relationship between differences in taste perception genes, food preferences and dental caries, as example of health outcome. The main specific results emerging from this PhD thesis work are: 1) GWAS revealed two SNPs closed to TRPV7 and KCNA5 genes associated to salty perception; 2) always through GWAS a SNP closed to GHRL gene, encoding for ghrelin and obestatin, was found to be associated to PROP bitter perception. An additional SNP closed to the 5’ region of the T2R38 gene showed association to the same phenotype; 3) ability to perceive PROP could be a marker for general perception of taste stimuli suggesting that differences in taste perception may be a driver of food liking; 4) the risk to develop dental caries is associated to genetic differences in sweet taste genes. In addition, sweet food liking but not sugar intake results linked to dental caries prevalence, suggesting that food preferences may predictive of health outcomes better than food intake. Overall, these data represent a starting point to better understand how chemosensory differences may interact to influence and predict food choices and human nutritional behavior.
Il gusto può essere considerato il “guardiano alimentare” del corpo, permettendo l’identificazione di sostanze nutritive o tossiche e guidando le scelte alimentari. Variazioni genetiche nei geni che codificano per i recettori del gusto possono influenzare la percezione del gusto dolce, umami e amaro, mentre poco conosciuta è la genetica del gusto acido e salato. Differenze nella percezione gustativa, incidendo sulla scelta del cibo e sul comportamento alimentare, hanno anche mostrato importanti implicazioni a lungo termine per la salute, specialmente per malattie relate alla dieta come l’obesità, il diabete e le malattie cardiovascolari. Finora, molti studi si sono focalizzati sui geni e la funzione dei recettori del gusto, ma ulteriori indagini sono necessarie per comprendere meglio, quali fattori, inclusi quelli genetici, possono influenzare gusto e preferenze alimentari e il corrispondente legame con lo stato di salute. Lo scopo di questa tesi è di comprendere le basi genetiche della percezione del gusto e la sua connessione con le preferenze alimentari e lo stato di salute. Sono stati raccolti dati su ~3500 soggetti provenienti da villaggi isolati situati in Italia, Caucaso e Asia centrale. Sono stati misurati la capacità di percepire l'amarezza del PROP (6-n-propylthiouracile) e il gusto salato del NaCL, le preferenze e i consumi alimentari. Sono stati anche raccolti ulteriori informazioni come parametri clinici , attività professionale, stile di vita, abitudini alimentari e storia familiare. Per comprendere meglio la biologia del gusto in questa tesi sono stati svolti i seguenti steps: 1) studi di associazione su tutto il genoma (GWAS) volti a identificare nuovi geni coinvolti nella percezione del gusto amaro e salato; 2) analisi del possibile impatto della percezione del gusto amaro sulle preferenze alimentari; 3) studio della relazione tra differenze genetiche nella percezione del gusto, preferenze alimentari e carie dentale, come esempio di relazione con lo stato di salute. Le principali scoperte emerse da questa tesi sono: 1) uno studio GWA ha identificato due SNPs vicini ai geni TRPV7 e KCNA5 associati alla percezione del gusto salato; 2) sempre attraverso GWAS uno SNP vicino al gene GHRL, che codifica per la grelina e l’obestatina, è stato trovato associato alla percezione amara del PROP. Un ulteriore SNP localizzato vicino alle regione 5' del gene T2R38 mostra, inoltre, associazione con lo stesso fenotipo PROP; 3) la capacità di percepire il PROP potrebbe essere un marker per la percezione generale degli stimoli gustativi, suggerendo che le differenze nella percezione del gusto possono rappresentare un “driver” del gradimento del cibo; 4) il rischio di sviluppare carie dentali è associato a differenze nei geni che codificano per il gusto dolce. Inoltre, la preferenza per i cibi dolci, ma non il consumo di zuccheri, risulta associata alla prevalenza di carie dentale, suggerendo che le preferenze alimentari possano risultare migliori predittori dello stato di salute rispetto ai consumi alimentari. Complessivamente, questi dati rappresentano un punto di partenza per capire meglio come le differenze chemio-sensoriali possono interagire nell’influenzare e prevedere le scelte alimentari e il comportamento alimentare nell’uomo.
XXVI Ciclo
1983
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13

Rossi, Andrea. "FUNZIONE VISIVA E NEUROSVILUPPO: NUOVO APPROCCIO METODOLOGICO E RIFLESSIONI CLINICHE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10855.

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Abstract:
2013/2014
In letteratura è nota l'importanza della funzione visiva ed il suo ruolo cruciale per lo sviluppo neuromotorio, cognitivo ed emotivo del bambino. Dati recenti sottolineano come la funzione visiva possa essere un indicatore dello stato neurologico del soggetto in età evolutiva. Scopo dello studio è stato valutare la funzione visiva nei neonati a termine e pretermine mediante un nuovo strumento clinico chiamato "NAVEG" (Neonatal Assessment Visual European Grid), specificamente progettato per la valutazione della funzione visiva nel neonato. NAVEG si compone di tre sezioni: oculare, oculomotoria e percettiva, in grado di valutare i diversi livelli di coinvolgimento della via visiva. Abbiamo quindi valutato l'applicabilità di NAVEG in 80 neonati a termine sani (37-42 EG) e in 80 neonati pretermine (≤ 34 EG) selezionati c/o la Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale degli Spedali Civili di Brescia. NAVEG si è rivelato uno strumento rapido, riproducibile e non invasivo. I dati raccolti hanno messo in luce tra i due gruppi diverse caratteristiche del profilo visivo e NAVEG ha inoltre mostrato un buon potere discriminatorio tra pretermine sani e patologici. Questi dati preliminari sottolineano come una precoce valutazione della funzione visiva non solo sia possibile ma anche auspicabile per favorire l’identificazione di neonati a rischio neurologico.
XXVII Ciclo
1978
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14

Prandini, Alberto. "Identificazione e caratterizzazione di una nuova sindrome da immunodeficienza primaria associata ad albinismo oculocutaneo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 1985. http://hdl.handle.net/10077/8569.

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Abstract:
2011/2012
La sindrome di Hermansky-Pudlak definisce un gruppo di immunodeficienze primarie rare caratterizzate da albinismo parziale, di tipo autosomico recessivo che si presentano con un quadro di infezioni ricorrenti e predisposizione ad emorragie. I geni causativi di queste patologie codificano proteine coinvolte nella biogenesi e nel trasporto di organelli intracellulari correlati a endosomi e lisosomi. Il caso giunto alla nostra attenzione presentava solo alcuni dei sintomi caratteristici di queste immunodeficienze. Escluse le malattie genetiche più note tramite sequenziamento diretto si è ricorso ad exome sequencing in modo da poter rilevare anche nuove variazioni non note. E' stata infatti riscontrata una mutazione in omozigosi sul gene PLDN (BLOC1S6), codificante una proteina chiamata Pallidina, una componente del complesso BLOC-1. La condizione risultante è stata identificata con il nome di “sindrome di Hermansky-Pudlak di tipo 9” (HPS-9). In questo studio dimostriamo che tale mutazione è associata alla patologia e che compromette la funzionalità del reparto immunitario sia citotossico (linfociti Natual Killer e CD8+) sia presentante l'antigene (cellule dendritiche).
XXV Ciclo
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15

Catamo, Eulalia. "Genetic variation in hla-g: its influence in autoinflammatory autoimmune and viral diseases." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9982.

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Abstract:
2012/2013
L'antigene leucocitario umano (HLA)-G presenta, in condizioni fisiologiche, una ristretta espressione tessuto-specifica ed ha funzione immuno-tollerogenica. Però, la presenza della molecola HLA-G è stata associata a diverse patologie autoimmuni e virali. In questo progetto di dottorato di ricerca abbiamo analizzato la possibile associazione tra la varianti genetiche nel gene HLA-G, che si suppone regolino l'espressione di HLA-G, e la suscettibilità allo sviluppo e al decorso della malattia celiaca, del lupus eritematoso sistemico, dell'artrite reumatoide e dell'infezione dal virus dell'epatite C. Inoltre, abbiamo analizzato se variazioni all'interno del promotore di HLA-G possano alterare la sua trascrizione genica, a questo scopo è stato condotto il saggio della luciferasi. Per gli studi di associazione sono stati analizzati 800 bp del promotore, l’intero 3’UTR e la delezione di una citosina all’esone 3 (ΔC, allele HLA-G*0105N) in 402 pazienti celiaci e 509 controlli italiani; 114 pazienti con lupus eritematoso sistemico e 128 controlli sani provenienti dal Nord -Est del Brasile, 127 pazienti con artrite reumatoide e 128 controlli dal Nord-Est del Brasile, e 286 pazienti caucasici HCV positivi e 285 controlli provenienti dalla stessa area geografica. Il saggio della luciferasi è stato condotto su 9 diversi aplotipi al promotore del gene HLA-G: CCTAGGACCG, CGTAGGACCG, CTTAGGACCG, TCGGTACGAA, TGGGTACGAA, TTGGTACGAA, CCTAGGAGCG, CGTAGGAGCG, e CTTAGGAGCG. Numerosi SNPs e aplotipi del gene HLA-G sono stati associati con le malattie analizzate. Inoltre, il saggio della luciferasi ha permesso di constatare che la presenza di polimorfismi, nel promotore del gene HLA-G, altera la trascrizione genica; nello specifico, in condizioni di stress, l’allele -725 C era significativamente associato ad un aumento della trascrizione del gene rispetto agli alleli -725 G e T. I nostri i risultati indicano un'associazione tra i polimorfismi del gene HLA-G e la suscettibilità allo sviluppo delle malattie studiate, suggerendo che molecola HLA-G è coinvolta nella patogenesi di queste malattie. Inoltre, possiamo ipotizzare che il gene HLA-G sia un gene stress-inducibile e che la presenza di SNPs al promotore alterati i livelli di trascrizione del gene
The Human Leukocyte Antigen (HLA)-G present a physiological restricted tissue-specific expression and an immuno-tolerogenic functions. The HLA-G expression has been associated with various autoimmune and viral diseases. In this PhD project we analyzed the possible association between genetic variant in the HLA-G gene, supposed to regulate HLA-G expression, and the susceptibility to develop celiac disease, systemic lupus erythematosus, rheumatoid arthritis and hepatitis C virus infection. Furthermore, we analyzed if variations within the HLA-G promoter could alter its transcription, and for this reason luciferase reporter gene assays was conducted. The HLA-G 5’ upstream regulatory region (URR), 3’ untranslated region (UTR) and a cytosine deletion at exon 3 (ΔC, HLA-G*0105N allele) were analyzed in 402 celiac patients and 509 controls from Italy; 114 systemic lupus erythematosus patients and 128 healthy controls from North East Brazil; 127 rheumatoid arthritis patients and 128 controls from North East Brazil; and 286 Hepatitis C virus Caucasian patients and 285 controls from the same geographical area. The luciferase reporter gene assay was used for the HLA-G promoter CCTAGGACCG, CGTAGGACCG, CTTAGGACCG, TCGGTACGAA, TGGGTACGAA, TTGGTACGAA, CCTAGGAGCG, CGTAGGAGCG, and CTTAGGAGCG haplotypes. Several HLA-G SNPs and haplotypes were associated with the diseases analyzed. By luciferase reporter gene assay, we found that the presence of polymorphisms in the HLA-G promoter altered gene transcription, specifically -725 C allele was significantly associated with an increased of the HLA-G transcription with respect to -725 G and T alleles in stress condition. Our findings indicate an association between HLA-G gene polymorphisms and susceptibility to diseases development, suggesting that HLA-G molecule is involved in the pathogenesis of the diseases. Also, we can hypothesize that HLA-G gene is a stress-inducible gene and that the presence of SNPs to the promoter alter levels of transcription of the gene
XXVI Ciclo
1980
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16

Fabbro, Nerina. "Prevalenza e fattori di rischio della depressione post-parto. Genetica, attaccamento e variabili psicosociali in uno studio in Friuli Venezia Giulia." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9985.

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Abstract:
2012/2013
Sotto studio 1°. Screening dei sintomi depressivi nel postparto in alcuni Punti Nascita del Friuli Venezia Giulia. Prevalenza e identificazione precoce Introduzione. Il tasso di prevalenza dei sintomi depressivi variano dal 10% al 15% delle donne dopo il parto. Le severe conseguenze di questo disturbo sulla madre, sulla relazione madre-figlio, sulla relazione di coppia e sulla famiglia rendono indispensabile identificare precocemente le madri a rischio, per suggerire strumenti preventivi di screening e aiuti sanitari per madri a rischio. Diversi studi utilizzando l’EPDS come baseline nei primi 2 o 3 giorni dopo il parto, durante la degenza ospedaliera, hanno mostrato che il maternity blues si associa ad un aumentato rischio di depressione maggiore e di disturbi d’ansia nei tre mesi dal parto. Obiettivo. Conoscere la prevalenza del fenomeno della DPP in Friuli Venezia Giulia, considerato che non esistono dati in tal senso, attraverso una rilevazione in alcuni Punti Nascita della regione, anche in rapporto al ruolo di fattori demografici e psicosociali. Verificare se possibile identificare durante la degenza ospedaliera, madri a rischio di DPP nel post-parto successivo. Metodo. A un campione di 1110 puerpere, raccolto in 6 Punti Nascita del FVG, 2,3 giorno dopo il parto, durante la degenza ospedaliera (T0), sono stati somministrati l’EPDS (cut-off≥9) (Cox et al.1987; Carpiniello et al. 1999), per rilevare l’umore materno e una scheda sociodemografica; durante il follow-up telefonico a tre mesi dal parto (T1) proposti l’EPDS e alcune domande per cogliere eventuali fattori di rischio. Risultati. A T0: la prevalenza EPDS è 16.7% (media è 4.58, s.d.=4.02, range 0-22); a T1 è 14.3% (media 4.59, s.d.=3.62, range 0-23). A T1 sono non cliniche (EPDS<9) il 90% delle donne non cliniche a T0 e sono cliniche il 35% di quelle cliniche a T0 (OR=4.93, Wald Chi Quadrato=66.307, p=0.00). La regressione logistica mostra che l’EPDS ≥ 9 si associa a T0 con: tipo di parto (Wald Chi quadrato=8.1, p=0.004; OR= 1,76), livello economico (Wald Chi quadrato=9.54, p=0.002, OR= 3,04); life events (Wald Chi quadrato=8,80, p=0.003, OR= 2,03); stress per la cura del bambino (Wald Chi quadrato=6,01, p=0.014, OR= 1,76); a T1 con: eventi di stress (Wald Chi quadrato=43.7, p=0.00, OR= 5,21), stress nella cura del bambino (Wald Chi quadrato=24.03, p=0.00, OR=3,5), aiuti dal marito (Wald Chi quadrato=4.0, p=0.045, OR=2,03), problemi nell’allattamento (Wald Chi quadrato=5.57, p=0.02, OR=1,96). L’ansia (items EPDS 3+4+5: cut-off >4) a T0 è 18.5% (media: 2.44,ds=2.1), a T1: 14.3% (media 2.39,ds=1.9). Discussione. La prevalenza di sintomi depressivi si attesta sui valori individuati da altri studi; la gran parte delle donne depresse ha comorbilità con sintomi ansiosi. Il maternity blues a T0 ha una probabilità di mantenenimento cinque volte maggiore e circa un terzo/metà delle donne rilevate resta clinica a T1; si associa con: parto cesareo, life events, stress nella cura del neonato, problemi di allattamento. A T1 i sintomi depressivi si associano a: life events, carenza di supporto, da parte del partner e/o dai familiari, difficoltà di allattamento e stress nella gestione del neonato. Fattori protettivi risultano: alta scolarità e livello economico medio-alto/alto. Conclusione. I risultati indicano l’utilità di effettuare screening di routine dell’umore materno già durante la degenza post-parto, per individuare precocemente donne a rischio di DPP e avviare percorsi di aiuto. Sotto-Studio n°2 Titolo. Ruolo di varianti geniche (geni OXTR, SLC6A4, BDF) e dello stile di attaccamento materno nella predisposizione alla depressione postparto Introduzione. Il modello interpretativo della DPP, che la considera come un disturbo a origine multifattoriale, vede interazioni tra genetica, aspetti psicologico-relazionali e aspetti socio-ambientali. Fino ad oggi numerose sono le ricerche che si sono focalizzate prevalentemente sui fattori psicosociali che possono contribuire alla DPP, mentre restano relativamente scarse le conoscenze su vulnerabilità predisponenti, sia circa le basi genetiche, che lo stile di attaccamento insicuro, fattore di rischio ormai ampiamente validato per la depressione maggiore. Obiettivo. Approfondire alcuni fattori di predisposizione nello sviluppo della DPP, di tipo psicologico-relazionale e di tipo biologico-genetico. Si vuole indagare, se uno stile di attaccamento materno insicuro (legame parentale precoce, stile di attaccamento adulto e sentimentale) sia fattore di vulnerabilità dell’umore materno nel puerperio. Il sotto studio di genetica vuole indagare se nell’etiologia della DPP possano essere implicati aspetti genetici, connessi al genotipo del polimorfismo 5-HTT del gene SLC6A4, trasportatore della serotonina; del polimorfismo Val66Met del gene BDNF; del polimorfismo SNP rs53576 del gene OXTR. Metodo. A un campione di 251 madri, a 2,3 giorni post-parto (T0) sono proposti: scheda socio-demografica; EPDS e BDI-II; PBI; ASQ, ECR, Ca-Mir per rilevare lo stile di attaccamento e sentimentale. E’ stato fatto prelievo per la genetica. Al follow-up a tre mesi (T1) proposti EPDS, BDI-II e alcune domande per fattori di rischio. Risultati. A TO i punteggi EPDS si associano significativamente con i punteggi a T1 (p=0.00, OR 7.26); il BDI-II si associa significativamente con EPDS a T0 (p 7=0.00; OR= 17.9) e a T1 (p=0.00, OR=80.42) e con BDI-II a T1(p=0.00, OR 15.73). I sintomi depressivi (EPDS≥9) si associano significativamente a T0 con PBI padre (p=0.012, OR= 3.9) e cura paterna (p=0.001, OR=5); con ASQ: evitamento (p=0.023, OR=5.7), fiducia (p=0,007, OR=0,02), disagio nell’intimità (p=0.04, OR= 4), secondarietà delle relazioni (p=0,04, OR=4,7), bisogno di approvazione (p=0.001,OR= 12); con ECR: ansia (=0.001, OR =10.1). Il BDI-II a T0 si associa altresì con PBI tipo di legame materno (p=0.031, OR= 3.6) e cura materna (p=0.031, OR= 2.86), con ASQ ansia (p=0,004, OR=31), preoccupazione nelle relazioni (p= 0,025, OR=7,6), con ECR evitamento (p,003, OR=6,7). A T1 l’EPDS≥9 si associa con PBI madre bassa cura (p=0,011, =R=3,3), con PBI padre legame insicuro (p=0,034, OR 2,6) e bassa cura (p=0,014, =R=3,3), con ASQ: bisogno di preoccupazione (p=0,05, OR=12,8); con ECR ansia (p=0,05, OR=3,9). A T1 il BDI-II: con PBI bassi livelli di cura materna (p=0,031, =R=3,3) e paterna (p=0,014, OR=3,6); con ASQ: bisogno di approvazione (p=0,01) e preoccupazione per le relazioni (0,05, OR=5); con ECR ansia (p=0,01, OR=7,5). L’analisi di regressione logistica evidenzia associazione tra EPDS e PBI cura paterna (p.005) e con ECR Ansia (p.013). A T1 con ASQ Disagio Intimità (p.017), Bisogno Di Approvazione (p.013) e ECR Ansia (p.001). Le difficoltà di allattamento associano ai sintomi depressivi a T0 (EPDS: OR=3.62; BDI-II: OR= 5.2) e a T1 (EPDS: OR=3.5; BDI-II: OR= 4.7) Discussione. I sintomi depressivi a T0 associano con storia di scarsa cura e di legame paterno precoce carente; con evitamento e disagio nell’intimità, scarsa fiducia negli altri e nell’importanza delle relazioni interpersonali; necessità di approvazione; con legame di coppia insicuro-ansioso. La diagnosi formale di DPP aggiunge: scarsa cura materna nell’infanzia, relazioni in età adulta evitanti e ansiose, necessità di approvazione e preoccupazione per le relazioni stesse. A T1 con storia di scarsa attenzione sia materna che paterna, bisogno di approvazione nelle relazioni, legame di coppia ansioso-preoccupato. Nell’accudimento del piccolo si associa con difficoltà nell’allattamento e alto stress nella gestione del figlio. Conclusione. Nella comparsa di sintomi depressivi nel post-parto si conferma il ruolo predisponente di vulnerabilità di relazioni genitoriali infantili insicure, di stili di attaccamento e di coppia ansiosi. Sotto studio di genetica3°. Analisi di varianti geniche nella predisposizione allo sviluppo di depressione post-partum Risultati. Pur evidenziandosi differenze tra i punteggi statistici totalizzati, emerge assenza di differenze statisticamente significative tra casi e controlli per le variazioni di frequenza allelica (p =SLC6A4: 0.3429, BDNF:0.2027, OXTR:0.3787) e di frequenza genotipica (p=SLC6A4: 0.1639, BDNF:0.3307, OXTR: 0.5758). Discussione. L’analisi di fattori genetici predisponenti a sintomi depressivi nel post-parto esclude il coinvolgimento dei polimorfismi 5-HTT del gene SLC6A4, Val66Met del gene BDNF; SNP rs53576 del gene OXTR nella vulnerabilità per depressione post-parto. Conclusione. L’assenza di differenze significative non esclude l’eventuale predisposizione genetica verso la depressione post-parto, dovuta presumibilmente a geni che non sono stati analizzati nella presente ricerca. sotto-Studio n°4. Titolo. Ruolo di fattori psicosociali di rischio dei sintomi depressivi nell’ ante-postparto Introduzione. Come per molti altri disturbi psichiatrici, anche per l’eziologia della DPP la letteratura sostiene la presenza di più variabili co-causative, che agiscono non solo dopo la nascita del figlio, ma già in gravidanza, con la comparsa di sintomi depressivi, che possono condizionare la formazione del legame materno-fetale. Obiettivo. L’obiettivo è di indagare la relazione tra alcune variabili psicosociali e la comparsa di sintomi depressivi in gravidanza e dopo il parto, per verificare l’andamento dell’umore ed evidenziare il ruolo dei fattori di rischio, anche nello sviluppo del legame materno-fetale. Metodo. A un campione di quarantasei gravide, al terzo trimestre di gravidanza (T1), sono stati somministrati l’EPDS (Cox et al.1987; Carpiniello et al. 1999), per rilevare l’umore materno; la scheda dei fattori di rischio psicosociale; il PBI (Parker et al.1979), per rilevare il legame precoce di attaccamento; il PAI (Muller 1993), per misurare il legame materno-fetale. A una settimana dal parto (T2) e a tre mesi (T3) sono stati effettuati i follow-up telefonici e riproposto l’EPDS, per verificare la comparsa di sintomi depressivi Risultati. La percentuale di EPDS ≥9 aT1:17,8% (media: 5.09, d.s..=4.18, range=0-21); aT2: 20,5%,(media: 6.07, d.s.=4.62, range=0-23); a T3: 18,2% (media 5.21, d.s.=3.74, range=0-14). L’EPDS ≥9 si associa con: basso sostegno a T1 e a T2 (p=0.04, OR = 6.04; p = 0.04, OR = 5.85); scarso aiuto a T1 e a T3 (p = 0.059, OR = 6.37, p = 0.06, OR = 6.19), sindrome premestruale a T2 (p = 0.02, OR = 15.37); minore soddisfazione di coppia a T1, T2 e T3 (T1: p = 0.02, OR = 0.15, T2:p = 0.001, OR = 0.07, T3:p = 0.04, OR = 0.18); eventi di stress prima della gravidanza a T1 e T2 (p = 0.05, OR = 5.74; p = 0.02, OR = 6.96); ansia prima della gravidanza a T1, T2 e T3 (p = 0.015, OR = 0.13) e durante la gravidanza a T1 (p = 0.06, OR = 0.21), bassa autostima a T3 (p = 0.015, OR = 18.62); istruzione a T1 e T3 (p = 0.034, OR = 0.19). Alti punteggi al PAI (media 61,65; d.s.8,22 ) si associano con età minore di 35 anni (t=3.01, p=0.007) ed essere primipare (t=2.090, p=0.046). Discussione. I fattori psicosociali di rischio, associati ai sintomi depressivi in gravidanza sono: eventi di vita stressanti; ansia in gravidanza; basso sostegno pratico ed emozionale; una settimana dopo il parto: eventi di vita stressanti; sindrome premestruale; tre mesi dopo il parto: bassa autostima; scarso sostegno e aiuto; disordini d’ansia prima e in gravidanza. Fattori protettivi sono risultati: scolarità avanzata (universitaria), buona soddisfazione di coppia. L’attaccamento materno-fetale è risultato più intenso con più bassa età e nelle primipare e tra coloro con cura materna adeguata nell’infanzia. Conclusione. I risultati individuati confermano il ruolo centrale che alcuni fattori psicosociali di rischio hanno nella comparsa di sintomi depressivi già in gravidanza e poi nel post-parto.
XXV Ciclo
1957
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17

Badina, Laura. "Immunoterapia orale (OIT) nei lattanti: potenzialità terapeutiche e di prevenzione dell'allergia alimentare IgE-mediatanull." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10859.

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Abstract:
2012/2013
Introduzione: A fronte della diagnosi di allergia alimentare IgE-mediata le Linee Guida internazionali International raccomandano una scrupolosa dieta di eliminazione dell’alimento in causa e l’esecuzione di un test di provocazione orale (TPO) non prima dei 9-12 mesi dalla diagnosi, volto a verificare l’eventuale risoluzione spontanea dell’allergia. La sensibilizzazine allergica ad alimenti come il latte e l’uovo inizia nel primo anno di vita e raggiunge il suo massimo nel secondo anno di vita; in seguito in molti soggetti si verifica una riduzione dei livelli di IgE specifiche. Di fatti un elevato numero di bambini rimane a dieta per diversi anni e un numero sempre crescente di allergie alimentari divengono persistenti. D’altro canto numerose evidenze della letteratura evidenziano come il prerequisito fondamentale per l’ecquisizione della tolleranza orale sia la persistente e ripetuta esposizione all’allergene. Obiettivo: verificare l’ipotesi che l’assunzione graduale controllata dell’alimento offendente iniziata subito dopo la diagnosi di allergia alimentare possa accelerare lo sviluppo della tolleranza orale. Metodi: un TPO a basse dosi (10 ml of latte vaccino or 2 ml di emulsione di uovo crudo) è stato effettuato in 211 lattanti (119 maschi; età < 18 mesi) con storia di allergia certa al latte vaccino o all’uovo (reazione immediata da ingestione e provata sensibilizzazine ai test allergometrici) o con allergia potenziale agli stessi alimenti (dermatite atopica and prick-test or IgE sp > VPP 95%). La dose tollerata al TPO è stata assunta giornalmente a domicilio con periodici aumenti di dosaggio fino al raggiungimento della dieta libera per l’alimento in causa. Risultati: Venti lattanti (10%) sono stati esclusi perché già altamente reattivi al primo TPO a basse dosi. Lo studio è stato attualmente completato da 146 bambini e 91% hanno completato il protocollo di desensibilizzazione con successo. In un tempo mediano di 155 giorni (range IQ: 123-217) and 181 giorni (range IQ: 136-275). Nel corso del programma di desensibilizzazione si sono verificate in media 1,1 reazioni avverse per paziente, tutte di grado lieve-moderato. Un aumento significativo delle IgG4 sp e una importante parallela diminuzione delle IgE sp si è verificata alla fine del protocollo di immunoterapia orale (OIT). Conclusions: L’OTI iniziata all’esordio dell’allergia per latte e uovo sembra essere un approccio promettente capace di modificare l’andamento ingravescente della sensibilizzazione allergica nei primi anni di vita. Inoltre appare di più facile e sicura esecuzione rispetto a esperienze analoghe nel bambino più grandicello.
XXVI Ciclo
1979
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18

Di, Lorenzo Giovanni. "Analisi dei movimenti fetali come indicatore relazionale in gravidanze gemellari mono e bicoriali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9984.

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Abstract:
2012/2013
Lo studio ecografico 4D dei movimenti fetali in gravidanze singole dimostra patterns cinematici con finalità d’azione a partire dalla 22a settimana di gestazione. Un successivo studio su gravidanze gemellari dimostra non solo l’anticipazione della pianificazione motoria dalla 14a settimana, ma anche che il movimento verso il co-gemello non è accidentale, suggerendo che la propensione all’azione socialmente orientata è presente prima della nascita. La presente ricerca è rivolta al confronto ecografico 4D dei movimenti fetali in gravidanze gemellari mono versus bicoriali fino alla 20a settimana (limite tecnico per osservare i movimenti presi in considerazione) e al successivo follow up dei profili di movimento delle stesse coppie di gemelli fino al sesto mese di vita. È stata inoltre valutata la nascita della genitorialità in base all’analisi delle rappresentazioni genitoriali durante e dopo la gravidanza. I partecipanti sono 20 feti: 10 gemelli monocoriali e 10 gemelli bicoriali, con stato clinico di buona salute e 10 madri sane. Lo studio è composto da 2 parti: 1) Osservazione di movimenti fetali videoregistrati secondo un campionamento a frequenze ripetute e fisse, ogni 15 giorni per un periodo di 30 minuti dalla 14a alla 20a settimana di gestazione e poi dopo la nascita fino al sesto mese di vita; 2) Interviste semi strutturate alla coppia con differenti test psicologici. Le videoregistrazioni hanno permesso di rilevare la frequenza dei movimenti dei feti verso se stessi, verso il co-gemello e verso l’esterno (parete uterina e cordone ombelicale). Diversamente, le interviste ed i test psicologici sono stati esaminati nei contenuti emotivi e relazionali dei futuri genitori ai fini di stabilire la qualità del modo di stare in relazione con i propri bambini e lo stile di attaccamento manifestato prima e dopo la nascita. Lo studio è stato finalizzato all’identificazione di eventuali differenze dei profili di movimento tra i co-gemelli in base alla corionicità al fine di fornire importanti informazioni nella comprensione dei fattori che in utero influenzano lo sviluppo dell’intenzionalità e della motricità finalizzata. Una risposta all’obiettivo principale dello studio è stata trovata dimostrando l’esistenza di una reale differenza d’interazione tra i co-gemelli mono e bi-coriali tra la 14a e la 20a settimana di gestazione. Inoltre, abbiamo dimostrato come la nascita della socializzazione in utero nasca già dalla 14a settimana, mostrando una maggior propensione al “movimento sociale” da parte delle gravidanze monocoriali, mantenendo un comportamento costante durante le settimane osservate. Non altrettanto fanno i gemelli bicoriali, questi ultimi, infatti, mostrano uno sviluppo costante del movimento sociale tra la 14a e le 20a settimana di gestazione sovrapponendosi ai fratelli monocoriali solo dalle 20 settimane, come se lo sviluppo di un piano motorio volto all’interazione sociale si sviluppi più tardivamente nei gemelli bicoriali. Sarà importante chiarire questi aspetti sullo sviluppo della socializzazione poiché i modelli sociali, anche pre-natali, potrebbero essere marcatori precoci della comparsa di disturbi dello sviluppo che riguardano la dimensione sociale del comportamento, come ad esempio i disturbi pervasivi dello sviluppo. Per tali motivi è importante continuare e approfondire questo filone integrandolo con studi di cinematica fetale, per imparare a conoscere meglio e a riconoscere precocemente tali marcatori.
XXVI Ciclo
1978
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19

Molinaro, Anna. "INFLUENZA DELL’OSSERVAZIONE DEL MOVIMENTO SULL’APPRENDIMENTO MOTORIO NELLA RIABILITAZIONE DI SOGGETTI IN ETÀ EVOLUTIVA AFFETTI DA PARALISI CEREBRALE INFANTILE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10853.

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Abstract:
2013/2014
INTRODUZIONE: Sulla base delle evidenze del coinvolgimento del sistema dei Neuroni Mirror (MN) nei processi di apprendimento motorio, è stato ipotizzato un ruolo della terapia di osservazione delle azioni (Action Observation Treatment, AOT) nella riabilitazione di pazienti con Paralisi Cerebrale (PC). L’ipotesi è che l’AOT, già applicata con successo nei soggetti adulti per il recupero delle funzioni motorie dopo stroke o chirurgia ortopedica e nei soggetti affetti da morbo di Parkinson, in età evolutiva vada ad agire su un sistema di neuroni specchio ancora “intatto”, promuovendo l’apprendimento di abilità attraverso una modalità di scomposizione di attività complesse osservate in atti semplici, e nella loro ricomposizione in sequenze nuove. SCOPO DELLO STUDIO: Obiettivo principale dello studio è quello di dimostrare l’efficacia dell’Action Observation Treatment nel migliorare la performance motoria dell’arto superiore in una coorte di bambini affetti da Paralisi Cerebrale Infantile. MATERIALI E METODI: Studio randomizzato controllato, in cieco, multicentrico. I criteri di reclutamento e le procedure metodologiche sono state approvate dal Comitato Etico degli Spedali Civili di Brescia. I pazienti arruolati vengono assegnati in modo casuale al gruppo sperimentale o al gruppo di controllo per mezzo di un software dedicato. I criteri di inclusione sono: diagnosi di Paralisi Cerebrale Infantile; età compresa tra i 5 ed i 12 anni; QI verbale ≥ 70; integrità sistema visivo/uditivo; Modified Ashworth scale(MAS) ≤2; Manual Ability Classification System (MACS) <4. Ai bambini del gruppo sperimentale viene chiesto di osservare video-clip che mostrano azioni quotidiane appropriate all'età, e poi di imitarli. I bambini appartenenti al gruppo controllo sono invitati ad osservare video-clip senza contenuti motori e in seguito ad eseguire le stesse azioni presentate al gruppo sperimentale, dopo descrizione verbale standardizzta.. La valutazione dell'efficacia del trattamento viene eseguita utilizzando la scala Assisting Hand Assessment, la scala Melbourne e il questionario ABILHAND-Kids. I bambini sono valutati due volte prima dell'inizio del trattamento (a distanza di due settimane), alla fine del trattamento e dopo 8 settimane dal termine della terapia.. Allo scopo di confermare in modo indipendente la presenza di una influenza della visione delle azioni sul sistema dei MN, i soggetti partecipanti allo studio hanno effettuato pre- e post- trattamento un indagine di Risonanza Magnetica funzionale (fMRI) che prevede l’impiego di uno specifico paradigma di stimolazione corticale, appositamente disegnato per attivare il circuito dei neuroni mirror. Per la messa a punto di questo studio e per una preliminare valutazione delle aree di attivazione interessate dalla manipolazione, il protocollo fMRI è stato applicato a un gruppo di bambini sani, dimostrando l’esistenza di un circuito fronto-parietale, attivato durante compiti di manipolazione, anche nei soggetti in età pediatrica. L’utilizzo del DTI ha consentito di dimostrare, in maniera probabilistica, la presenza di fasci di connessione tra le aree somatosensoriali primarie e secondarie, il lobo parietale superiore ed inferiore, e la corteccia premotoria ventrale e dorsale. RISULTATI: I risultati presentati si riferiscono a un campione di 12 soggetti (F=7), con età media di 8 anni e 6 mesi; dopo randomizzazione, 6 pazienti sono stati assegnati al gruppo sperimentale e 6 al gruppo di controllo. Al momento attuale, tutti i 12 pazienti descritti hanno effettuato le valutazioni conclusive previste al termine del ciclo di terapia (T2), e 9 pazienti sono stati sottoposti alle valutazioni di follow-up a 8 settimane dalla fine del trattamento (T3). Pur non essendo possibile considerare i risultati conclusivi in considerazione della numerosità attuale del campione (50% dell’atteso), i dati ottenuti hanno consentito di mettere in luce una differenza tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo. Confrontando i punteggi ottenuti dai soggetti al termine del trattamento (T2) con quelli ottenuti alle scale di valutazione ad inizio trattamento (T1) è possibile evidenziare nel gruppo sperimentale un miglioramento dei punteggi in entrambe le scale di valutazione dell’arto superiore, che risulta invece nettamente meno significativo nel gruppo di controllo. Questa differenza quantitativa evidenziabile tra il periodo pre- e post- trattamento confermerebbe l’efficacia dell’applicazione dell’ Action Observation Treatment. I diversi risultati ottenuti nel gruppo sperimentale e nei controlli non possono essere spiegati dall’attività motoria svolta durante la sessione di riabilitazione, poiché in entrambi i gruppi è stata programmata la stessa quantità di movimento, ma la spiegazione più plausibile di questi risultati è che l’osservazione dell’azione abbia portato ad un attivazione specifica a livello centrale delle strutture neurali normalmente attive durante l’esecuzione dell’azione. Inoltre, nella verifica del risultato a lungo termine dell’intervento terapeutico, il miglioramento del gruppo sperimentale si è mantenuto costante ed è incrementato nelle valutazioni di follow-up (T3), mentre il gruppo di controllo è rimasto invariato, suggerendo la possibilità di un meccanismo di miglioramento della riorganizzazione funzionale cerebrale nei pazienti sottoposti ad AOT. Considerando i risultati del solo gruppo sperimentale, in questi bambini è evidente come gli effetti ottenuti grazie all’applicazione dell’AOT siano più significativi in termini di promozione dell’utilizzo spontaneo dell’arto trattato, misurato dalla scala AHA, piuttosto che di miglioramento dei parametri cinematici rilevati dalla scala MUUL, ad indicare che, nei bambini, l'osservazione suscita una propensione a preservare la competenza nell’eseguire il compito, selezionando i movimenti che garantiscono il risultato, a prescindere dalla somiglianza cinematica con il modello osservato.Il protocollo di studio RM nei bambini con PCI ha permesso di dimostrare un coinvolgimento del medesimo circuito fronto-parietale evidenziato nei volontari sani, e un aumento della rappresentazione corticale delle aree coinvolte nella manipolazione a livello dell’emisfero lesionato. In particolare, il confronto delle acquisizioni fra gruppo di controllo e gruppo sperimentale ha mostrato per quest’ultimo un incremento statisticamente significativo di attivazioni nelle aree parietali, frontali precentrale e opercolare, corrispondenti alla localizzazione del sistema dei neuroni mirror. Limite del presente studio è sicuramente il piccolo numero di bambini attualmente arruolati, tuttavia l'omogeneità del campione, ottenuta con criteri di inclusione selettivi, garantisce una elevata affidabilità dei risultati ottenuti. Infine, i risultati forniscono informazioni indirette anche sulla ontogenesi del sistema dei neuroni specchio. Non è ancora stato chiarito se la presenza dei neuroni mirror sia innata o se si sviluppi in parallelo con l'esperienza motoria; i risultati attuali mostrano chiaramente che, almeno per l'età della scuola primaria, il network dei neuroni mirror può diventare il bersaglio di AOT e, quindi, indirettamente, suggeriscono la maturità del sistema a questa età. CONCLUSIONI: I risultati ottenuti nel presente studio, anche se non definitivi, forniscono la prova dell’efficacia dell’AOT nel migliorare l’utilizzo spontaneo dell’arto superiore in bambini con PCI.
XXVII Ciclo
1982
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20

Merla, Giuseppe. "Insights into the pathogenic mechanisms of Williams Beuren syndrome through the functional analysis of TRIM50." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9987.

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Abstract:
2012/2013
La microdelezione della regione cromosomica 7q11.23, che comprende circa 30 geni causa la sindrome di Williams-Beuren (WBS, OMIM 194050), una patologia genomica neurocomportamentale. Accanto ai sintomi cardiovascolari e ai dismorfismi facciali, il segno distintivo di questa sindrome è costituito dal profilo comportamentale e cognitivo unico che è caratterizzato da una forma moderata-grave di ritardo mentale associato a delle compromesse capacità visivo-spaziali. La dissezione genetica dei fenotipi associati a questa sindrome è effettuata mediante diverse strategie tra cui l’analisi clinica, psicologica e molecolare di pazienti con delezioni definite “atipiche” (più corte o più lunghe), modelli animali (soprattutto murini) e studi funzionali e biochimici sui singoli geni associati alla sindrome. In questo studio, utilizzando una combinazione di approcci biochimici e cellulari mostriamo che TRIM50 forma delle strutture citoplasmatiche (TRIM50 bodies) che rappresentano dei precursori degli Aggresomi. L’Aggresome è una struttura citoplasmatica che si forma a ridosso della membrana nucleare, in cui proteine danneggiate, misfolded e tossiche vengono conservate e modificate prima di essere degradate ed eliminate attraverso il Proteasoma o l’Autofagia. Noi dimostriamo che la proteina TRIM50, mediante la sua attività di E3 ubiquitina ligasi, promuove il reclutamento di proteine poliubiquitinate all’aggresoma e partecipa alla loro eliminazione. Inoltre abbiamo identificato e preliminarmente caratterizzato due proteine che interagiscono con TRIM50, HDAC6 e p62, entrambe coinvolte nei processi di ubiquitinazione e degradazione proteica. Inoltre abbiamo dimostrato che TRIM50 è acetilata da PCAF e p300 e deacetilata da HDAC6 e che l'acetilazione e ubiquitinazione competono per lo stesso residuo di lisina regolando l'attività e la stabilità di TRIM50. Nel complesso i dati ottenuti nel corso di questo progetto di dottorato suggeriscono che TRIM50 è una nuova proteina coinvolta nei processi cellulari di aggregazione ed eliminazione delle proteine danneggiate e non più utili alla cellula. Questo progetto di tesi, anche se studi più approfonditi sono necessari, apre la strada all’interessante ipotesi che la ridotta espressione di TRIM50, osservata nelle linee cellulari di pazienti con Sindrome di Williams, potrebbe causare alcuni fenotipi della Sindrome attraverso l’accumulo all’interno della cellula di proteine danneggiate e tossiche che non possono essere più degradate in modo corretto.
Interstitial deletion of 7q11.23 encompassing approximately 30 transcribed genes causes Williams-Beuren syndrome (WBS; OMIM 194050), a neurodevelopmental genomic disorder. Alongside cardiovascular symptoms and facial dysmorphism, the hallmark is a unique behavioural and cognitive profile that combines hypersociability with a form of mental retardation characterized by a severe impairment in visuospatial processing, counting and planning, pointing to this gene cluster as a central regulator of social behaviour and cognition. The genetic dissection of the phenotypes associated with WBS syndrome have been inferred with complementary strategies including clinical, psychological and molecular analysis of affected individuals with atypical (shorter or larger) deletions, knockout mice model, and functional and biochemical studies on single gene(s). Here we report insights on the function of TRIM50, one of the genes associated to WBS. By using a combination of biochemical and cellular approaches we show that TRIM50 forms cytoplasmic bodies that are aggresome precursors. Aggresome is an inclusion cytoplasmic body where damaged proteins are stored before being degraded through Proteasome or Autophagy-lysosome pathways. We demonstrate that the E3 ubiquitin ligase TRIM50 promotes the recruitment and aggregation of polyubiquitinated proteins to the aggresome and participates to their clearance. In addition we identified and preliminarily characterize the first two interactors of TRIM50 protein, HDAC6 and p62, both involved in protein ubiquitination and degradation processes. Furthermore we report that TRIM50 is acetylated by PCAF and p300 and de-acetylated by HDAC6 in a microtubule-dependent manner and that acetylation and ubiquitination compete for the same lysine residue regulating the activity and stability of TRIM50. Overall the data obtained during this PhD project suggest that TRIM50 is an emerging player of aggregation processes involving polyubiquitinated proteins and in the regulation of misfolded protein aggregates clearance. Interestingly enough, although extensive studies are required, this study opens the way to the interesting hypothesis that the proven haploinsufficiency of TRIM50 could account for certain WBS phenotypes through the accumulation of ubiquitinated proteins otherwise degraded.
XXVI Ciclo
1970
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21

Giacomelli, Mauro Simone. "I pazienti con Sindrome di DiGeorge e delezione di Crkl mostrano una sbilanciata risposta proliferativa legata alla riduzione del fattore trascrizionale c-Fos." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9986.

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Abstract:
2012/2013
La sindrome di DiGeorge (o del22q11.2) è una immunodeficienza primitiva, avente una incidenza di 1 / 5000 nati vivi. Essa è causata da una delezione, in eterozigosi, di un tratto del braccio lungo del cromosoma 22, di circa 3 MB. La sindrome si accompagna a malformazioni cardiache e del tronco aortico, oltre che ad anomalie del volto e dell’arco palatino, con ipoplasia/aplasia del timo e delle paratiroidi. Oltre alle patologie cardiache gli individui affetti soffrono di tetania e convulsioni, dismorfismi facciali e immunodeficienze con infezioni ripetute sia batteriche che virali, in particolare alle vie aeree sia alte che basse. Spesso sono frequenti episodi di autoimmunità. In generale la sindrome mostra una ampia variabilità fenotipica, anche fra individui della stessa famiglia. Le basi delle alterazioni immunologiche di questa sindrome non sono ancora pienamente comprese e restano anzi assai vaghe. Fra le proteine delete vi è la proteina Crkl, una proteina appartenente alla più ampia famiglia degli adattatori Crk. Crkl prende parte ad importanti processi biologici quali chemotassi, adesione, apoptosi e proliferazione. Crkl è una proteina coinvolta infatti nel signaling di svariati fattori di crescita e citochine come SDF-1α, interferoni di tipo I, GM-CSF ed IL-2. Il nostro scopo è stato quello di comprendere se le alterazioni funzionali dei linfociti T, osservabili in questa sindrome, siano correlabili alla aplo-insufficienza di Crkl. Noi abbiamo analizzato, in un gruppo di pazienti affetti da del22q11.2 la proliferazione, l’apoptosi e l’espressione di vari markers di attivazione, nei linfociti T dopo stimolazione con IL-2 o dopo ingaggio del TCR. Successivamente abbiamo valutato i cambiamenti nei principali fattori chiave della proliferazione, quali le cicline, nonché l’andamento di fattori trascrizionali come c-Fos e stat5, in seguito ad attivazione dei linfociti T. Tutti i pazienti osservati presentavano una evidente riduzione della proteina totale Crkl, cosi come una marcata riduzione della sua forma fosforilata. La fosforilazione di Crkl è indotta principalmente da IL-2 la quale è il principale fattore proliferativo dei linfociti T. IL-2 modula anche l’espressione di Crkl sia a livello di proteina che a livello di mRNA. In aggiunta, in questi soggetti, la proliferazione dei linfociti T dopo triggering del TCR appare anch’essa ridotta, se comparata a soggetti sani di controllo. Noi abbiamo anche osservato un decremento della fosforilazione di stat5 sempre a carico dei linfociti T dei pazienti, dopo stimolazione con IL-2. Stat5 è peraltro noto formare complessi trascrizionali con Crkl i quali complessi sono attivi in sede nucleare nella espressione di geni bersaglio. La successiva analisi dell’andamento dei fattori chiave che regolano il processo proliferativo ha rivelato un decremento nei livelli del fattore trascrizionale c-Fos, facente parte del complesso trascrizionale AP-1 e un calo, variabile nei livelli, della ciclina D3. Questi risultati si sono anche confermati su linee Jurkat dopo silenziamento specifico di Crkl. In conclusione la diminuita proliferazione, benchè solo parziale, osservata nei linfociti T dei pazienti si accompagna a decrementati livelli di Crkl, e fosfo-Crkl con conseguente riduzione anche del fattore trascrizionale c-Fos, e della ciclina D3. Nonché ad una ridotta fosforilazione di stat5, dopo stimolo con IL-2. Il nostro dato suggerisce un ruolo potenziale, ancorché non unico, di Crkl e della sua aploinsufficienza nelle alterazioni funzionali dei linfociti Te in particolare nel deficit proliferativo, in pazienti affetti da del22q11.2.
XXVI Ciclo
1974
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22

Qualizza, Gabriele. "Giovani e nuovi media: dinamiche relazionali e pratiche di consumo digitali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8566.

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Abstract:
2011/2012
Il rapporto tra giovani consumatori e nuovi media è un tema di stringente attualità. La generazione emergente dei Millennials (Howe e Strauss, 2000; Id., 2007) – termine utilizzato per denominare quanti sono entrati, o stanno per entrare, nel mondo degli adulti in data successiva all’inizio del nuovo millennio – è cresciuta infatti in un ambiente segnato dalla presenza pervasiva delle nuove tecnologie digitali, sempre più integrate nelle diverse forme di comunicazione mediata. Spesso marginalizzati come semplici “eco” dei Boomers, i giovani di questa generazione – identificati anche come Nativi digitali (Prensky, 2001a; Id, 2001b), Net Generation (Tapscott, 1998; Id., 2009; Junco e Mastrodicasa, 2007), Generazione Y (Kotler e Armstrong, 2006), Generation Me o iGeneration (Twenge, 2006), Thumb Generation (Tréguer e Segati, 2003) – si muovono in un contesto in continuo cambiamento, segnato per un verso dalla convergenza tra piattaforme tecnologiche diverse, che creano un ambiente comunicativo integrato, senza soluzioni di continuità tra online e offline (Mascheroni, 2010), per un altro verso dalla diffusione di culture partecipative, caratterizzate dal crescente protagonismo degli utenti (Jenkins, 2006; Boaretto, Noci e Pini, 2007; Ritzer e Jurgenson, 2010; Anderson, 2012), un trend che trova riscontro online nello sviluppo del web 2.0 (O’Reilly, 2005). Il richiamo al termine “generazione” non è casuale: senza prescindere dal dato anagrafico e biologico (l’età e la fase del corso della vita), tale concetto pone l’accento su variabili socio-culturali, ossia sulle vicende storiche di cui si è testimoni e sui consumi culturali di cui si fruisce negli anni della giovinezza, nella convinzione che l’elaborazione di tali esperienze risulti decisiva nel creare un “nesso”, una mutua identificazione, tra persone che, una volta entrate a pieno titolo nella vita adulta, continuano a coltivare valori, ideali, aspettative comuni (Mannheim, 1928; Sciolla, 2002; Gnasso e Parenti, 2003; Fabris, 2008). La generazione non è quindi un anonimo aggregato di individui appartenenti alla medesima fascia di età, ma un costrutto socio-antropologico, contrassegnato da specifici “indicatori” o “marcatori” (vissuti comuni, fatti memorabili, riti e miti): nel caso dei “Millennials” tali elementi sembrano identificabili nel definitivo avvento di Internet e nel trionfo della cultura digitale (Fabris, 2008). A partire da una rilettura in chiave socio-antropologica della nozione di “consumo”, inteso come linguaggio, repertorio simbolico, sistema per organizzare valori e relazioni sociali (Douglas e Isherwood, 1979; Bourdieu, 1979; McCracken, 1988), incessante lavoro di “fabbricazione” di significati personali (de Certeau, 1980), il presente lavoro si è proposto dunque di chiarire in che modo le giovani generazioni, utilizzando i nuovi media, si muovono nell’ambiente, organizzano i tempi e gli spazi, attraversano i confini tra online e offline, danno forma al loro universo simbolico e relazionale. In questo percorso la prospettiva teorica della “domestication” ha rappresentato un punto di riferimento costante, sia nella fase di definizione del disegno di ricerca, sia nella fase di analisi e interpretazione dei dati raccolti: si tratta di un quadro concettuale, elaborato da Silverstone, Hirsch e Morley (1992), che orienta l’attenzione sui vissuti sociali e simbolici che caratterizzano il processo di integrazione e consumo delle tecnologie comunicative nel contesto della vita quotidiana. In particolare, per la parte empirica del presente lavoro ci si è avvalsi di un questionario semi-strutturato, somministrato a un campione di 514 soggetti di età compresa tra 15 e 24 anni, residenti nella città di Trieste e nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia. L’ampia base di dati raccolti tramite questionario è stata successivamente integrata da interviste in profondità, che hanno coinvolto sia soggetti appartenenti alla fascia d’età interessata alla rilevazione, con l’obiettivo di approfondire lo studio dei vissuti esperienziali connessi alle attività di comunicazione mediata dalle tecnologie, sia educatori, formatori, esperti di comunicazione, per il commento dei risultati della ricerca. Nello specifico, le aree di indagine sottoposte a rilevazione sono riconducibili a cinque nuclei tematici fondamentali: dotazioni tecnologiche, percorso di adozione dei nuovi media e delle principali device digitali, tempi e spazi della vita quotidiana dedicati alla fruizione di contenuti mediali; pratiche di consumo digitali, con particolare attenzione per i valori e i significati attribuiti alle nuove tecnologie comunicative, come cellulare/smartphone, web e social network; reti di relazione (tanto online, quanto offline) in cui si insediano le pratiche comunicative riferite ai nuovi media; territori socio-culturali che svolgono un ruolo significativo nella costruzione di una specifica identità generazionale; declinazione delle logiche di rete, partecipative e interattive, in riferimento a molteplici contesti della vita quotidiana (media, relazioni interpersonali, consumi culturali, marche, ambienti formativi). L’indagine ha messo in luce i numerosi elementi problematici connessi ad un’applicazione acritica dell’etichetta di “nativi digitali” ai giovani delle ultime generazioni. I dati raccolti confermano l’ampia diffusione delle nuove tecnologie comunicative, ma mettono anche in evidenza il ruolo centrale svolto da altri elementi - variamente riconducibili al tema della “connettività ubiqua” - nella costruzione del senso di appartenenza generazionale. L’elaborazione dei dati ha inoltre consentito di portare l’attenzione su gruppi omogenei di fruitori, riconducibili a differenti profili di consumo, che sono risultati corrispondenti ad altrettante strategie comunicative, in ciascuna delle quali si esprime un coerente progetto di senso: in ogni caso, gli intervistati non deducono, in maniera deterministica, le regole che governano i comportamenti e le relazioni in rete dalle caratteristiche e dalle funzionalità delle diverse piattaforme tecnologiche, ma esprimono piuttosto forme di “adattamento creativo” all’ambiente, per cui è sempre più la finalità relazionale a dare forma allo spazio digitale. Di conseguenza, l’ingresso nella rete non viene vissuto come attraversamento di una soglia, fuga dalla realtà, sostituzione della propria identità quotidiana con un’identità fittizia e virtuale, ma come espansione delle proprie possibilità di presenza. Nel complesso, dall’indagine è emersa la trasformazione di carattere “social”, che ha investito il web in questi anni: da archivio digitale a catalizzatore di relazioni, da deposito di informazioni ad ambiente comunicativo integrato. In questo senso, la rete permette di valicare i confini tra interiorità personale e condivisione conviviale, generando forme inedite di tattilità sociale, cementate da emozioni, passioni e sentimenti condivisi.
XXV Ciclo
1962
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23

Mezzavilla, Massimo. "The genetics along the Silk Road: structure and evolutionary history of the populations." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10846.

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Abstract:
2013/2014
The understanding of the genetic structure of a population is important to describe its population history, as well as designing studies of complex biomedical traits, including disease susceptibility. The Marco Polo expedition gave us the possibilities to explore several different populations in the Caucasus and Central Asia from Georgia to Kazakhstan, obtain information on taste, and smell perception and several other phenotypes in order to identify the genetic variants implicated. Considering the stratification issue in genetic association studies the aim is to fully characterize the genetic diversity in each population in order to provide a useful array of information for future association studies. Chemosensory phenotypes like olfactory perception, taste perception, are different between and within populations and are probably the results of the combination of gene-environment interactions, for this reason finding new variants could be challenging due to the small number of individuals sampled, in addition it is worth pointing out that a large number of individuals are needed to detect genetic variants with a modest effect on the variability of a phenotype. However, as a large sample size is not always a feasible option, especially in these countries, a population-based approach is needed to take into account the population history and the genetic structure in describing phenotype variation. This thesis defines the population genetic landscape and migration pattern of the population sampled during the Marco Polo expedition and an implementation of a methodology to describe it. In addition, we used an approach based on the population to interpret and analyze the observed pattern of olfactory perception, the role of genetic variation in eye color and finally the relationship between taste perception and food preferences across different countries.
La conoscenza della struttura genetica di una popolazione è importante per descriverne la storia, e per la progettazione di studi di tratti biomedici complessi. La spedizione Marco Polo ci ha dato la possibilità di esplorare diverse popolazioni differenti in Caucaso e Asia Centrale, dalla Georgia al Kazakistan, e ottenere informazioni sul gusto, la percezione olfattiva e molti altri fenotipi, tutto questo al fine di esplorare le varianti genetiche implicate in questi ultimi Considerando il problema della stratificazione nell’analisi di associazione genetica, l'obiettivo è di caratterizzare la diversità genetica in ogni popolazione al fine di fornire una gamma di informazioni utili per gli studi futuri di associazione. Fenotipi chemosensoriali come la percezione olfattiva, la percezione gustativa, sono diversi tra e all'interno delle popolazioni e sono probabilmente il risultato della combinazione d’interazioni gene-ambiente, e la ricerca di nuove varianti genetiche implicate in essi potrebbe essere difficile a causa del modesto numero di individui campionati nelle diverse popolazioni della Via della seta, in aggiunta è bene precisare che un grande numero di individui sono necessari a rilevare le varianti genetiche con un effetto modesto sulla variabilità di un fenotipo. Tuttavia ottenere un campione numeroso, non è sempre una possibilità fattibile, soprattutto in questi paesi; dunque un approccio basato sulla popolazione è necessario per tener conto della struttura della stessa nel descrivere la variabilità fenotipica. Questa tesi descrive la variabilità genetica delle popolazioni campionata durante la spedizione di Marco Polo e l’implementazione di una metodologia per descriverla. Inoltre è stato utilizzato un approccio basato sulla popolazione per comprendere la variazione nella percezione olfattiva, il ruolo di varianti genetiche in colore degli occhi e, infine, il rapporto tra percezione del gusto e le preferenze alimentari in diversi paesi.
XXVII Ciclo
1986
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24

Nicchia, Elena. "Development of a new diagnostic algorithm for the study of diseases caractherized by high genetic heterogeneity." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10854.

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Abstract:
2013/2014
Next Generation Sequencing (NGS) technologies, such the Ion Torrent platform, could allow to simplify the diagnostic process of diseases characterized by an high genetic and phenotypic heterogeneity, because of the possibility to sequence simultaneously more genes and more patients in a single sequencing run. In order to develop a new diagnostic algorithm for rapid molecular diagnosis of these disorders, we have applied the Ion Torrent technology on two different genetically heterogeneous diseases, Fanconi anemia (FA) and inherited thrombocytopenias (IT). Since FA is a disorder better characterized than ITs, we first validated the Ion torrent technology on 30 samples (2 wild type and 28 FA), 25 of which were already analyzed with Sanger sequencing. Because of their low sequencing quality, we have excluded from this type of analysis 2 of the 28 FA samples. Then, comparing Ion Torrent and Sanger sequencing data, we have evaluated the sensitivity (95%) and the specificity (100%) of Ion Torrent technology. Moreover, in order to detect copy number variations (CNVs) in FA genes, we have improved a statistical analysis based on coverage sequencing data, confirming the presence of large intragenic deletions on FANCA in 5 patients. In summary we have characterized 25 of the 26 FA patients analyzed, identifying also 4 mutant alleles in the rare complementation group FANCL and FANCF and 10 mutations in loci different from genes causing the disease. Since we cannot exclude that new genes are involved in FA, the only patient without any mutation identified is suitable for whole exome analysis. Taking advantage from these good sequencing data, we have developed a diagnostic algorithm that combines the identification of both point mutations and CNVs. In order to verify if this new diagnostic process could be applied also to other genetically heterogeneous diseases, we have analyzed 21 IT patients, already characterized by Sanger sequencing. Among the 2225 variants identified by Ion torrent technology, using this new approach, we have select those (N=75, 56 different) potentially pathogenetic because of their frequency (MAF<0.01), or of their presence in IT mutation database o because of bioinformatics analysis. Thirty of these variants were confirmed by Sanger sequencing, 14 (12 different) of which localized in loci different from the gene causing the disease. It would be interesting to carry out functional studies on these additional variants to unravel the molecular basis of ITs. In summary we were able to characterized 17 of the 21 IT patients, including 2 patients with deletions in RBM8A (Thrombocytopenia and Absent Radii syndrome, TAR). The remaining 4 mutant alleles were not detected because of a low sequencing coverage. In conclusion, according to our data, we can consider the Ion Torrent technology and in particular the diagnostic algorithm proposed in our study, as a feasible approaches for the study of diseases characterized by high genetic and phenotypic heterogeneity. RIASSUNTO Le tecnologie di Next Generation Sequencing (NGS) consentono di analizzare più geni e più campioni contemporaneamente. In questo modo potrebbe essere possibile ridurre i tempi e i costi di analisi di tutte quelle patologie caratterizzate da elevata eterogeneità genetica e fenotipica, la cui caratterizzazione risulta essere spesso complessa e dispendiosa. Al fine di elaborare un nuovo algoritmo diagnostico che consenta la rapida elaborazione di una diagnosi molecolare di tali patologie, abbiamo deciso di validare una tra le più innovative tecnologie NGS attualmente in commercio, la metodica Ion Torrent, su due differenti malattie, entrambe caratterizzate da eterogeneità genetica. l’anemia di Fanconi (FA) e le piastrinopenie ereditarie (IT). Siccome la FA è una patologia meglio caratterizzata rispetto alle IT, durante la prima fase di questo lavoro di tesi abbiamo analizzato 30 campioni (25 dei quali già precedentemente analizzati con sequenziamento Sanger), di cui 2 wild type e 28 affetti. In seguito all’esclusione dalla nostra analisi di 2 campioni FA a causa di una bassa qualità di sequenziamento, abbiamo determinato la sensibilità (95%) e la specificità (100%) della nuova metodica confronto i dati di sequenziamento Ion Torrent e quelli Sanger a nostra disposizione. Inoltre, utilizzando i dati di copertura della sequenza, abbiamo messo a punto un’analisi statistica volta all’identificazione delle Copy Number Variation (CNV), confermando le delezioni a carico del gene FANCA presenti in 5 pazienti. Abbiamo quindi caratterizzato 25 dei 26 pazienti analizzati, identificando inoltre 2 casi con mutazioni nei rari gruppi di complementazione FANCF e FANCL e 10 mutazioni in loci differenti dai geni causativi. Poiché non escludiamo la possibilità che un nuovo gene possa essere coinvolto nella patologia, riteniamo che l’unico paziente ancora privo di diagnosi molecolare possa essere un buon candidato per lo studio dell’esoma. Infine, avvalendoci dei buoni risultati ottenuti, abbiamo elaborato un nuovo processo diagnostico con il quale identificare in modo semplice e rapido sia le mutazioni sia le CNV a carico dei 16 geni coinvolti nella FA. Nella seconda parte del nostro studio, abbiamo verificato se l’applicazione di tale algoritmo possa essere estesa anche ad altre patologie ad elevata eterogeneità genetica. Per questo motivo abbiamo analizzato 21 campioni affetti da piastrinopenie ereditarie, già precedentemente analizzati mediante sequenziamento Sanger. Grazie all’algoritmo proposto abbiamo potuto selezionare tra le 2225 varianti identificate le 75 (56 differenti) che sono risultate essere potenzialmente patogenetiche in base alla loro frequenza nella popolazione (MAF<0.01), alla loro presenza nei database di mutazione e all’analisi bioinformatica di patogenicità. Trenta (27 differenti) di queste varianti sono state confermate mediante sequenziamento Sanger, di cui in particolare 14 (12 differenti) presenti in geni diversi da quelli causativi. Alla luce di questo dato si rendono necessari studi funzionali su tali varianti al fine di comprendere i meccanismi molecolari alla base delle piastrinopenie ereditarie. Infine, utilizzando l’algoritmo proposto, è stato possibile confermare la diagnosi molecolare in 17 dei 21 pazienti IT, compresi i 2 affetti da trombocitopenia con assenza del radio (TAR) e portatori di una delezione sul cromosoma 1q21.1. I restanti 4 alleli mutati non sono stati identificati a causa di una bassa copertura di sequenziamento. In conclusione, in base ai dati raccolti sui campioni affetti da FA e IT, possiamo affermare che la tecnologia di sequenziamento Ion Torrent e l’algoritmo diagnostico da noi proposto sono degli strumenti utili per ottenere una diagnosi molecolare completa, veloce ed economica.
XXVII Ciclo
1984
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25

Battistutta, Sara. "INTERVENTI PER FAVORIRE L'ADESIONE ALLE TERAPIE DELLE MALATTIE CRONICHE INFANTILI- Fibrosi Cistica, Diabete, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Celiachia -." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9980.

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Abstract:
2012/2013
Il Progetto di Dottorato “Interventi per favorire l'adesione alle terapie delle malattie croniche infantili - Fibrosi Cistica, Diabete, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Celiachia” prende origine dalla consapevolezza dell’importante impatto della presenza di una malattia cronica, anche e soprattutto in età evolutiva, per il paziente e la sua famiglia. Le patologie croniche incidono infatti sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari, “interrompendone” la quotidianità. Il programma terapeutico può influire sulla qualità di vita percepita, in quanto può causare dolore ed essere difficoltoso per la complessità e la durata. Tali aspetti influenzano la treatment adherence, che può essere ostacolata anche da problematiche di tipo psicologico spesso difficilmente comunicabili. La famiglia del paziente gioca un ruolo molto importante, ed è pertanto necessario tenere in considerazione l’impatto che la diagnosi e la malattia hanno anche sul genitore e sulla coppia coniugale. Gli studi più recenti, propongono un modello di cura “patient centered”, così definito da Bardes (2012): “As a form of practice, it seeks to focus medical attention on the individual patient's needs and concerns, rather than the doctor's”. Utilizzare un modello di cura che dedichi attenzione a conoscere e accogliere i bisogni dei pazienti e coinvolga gli stessi nel care management della patologia si è dimostrato funzionale ed efficace nei casi di malattia cronica. Il progetto si è pertanto focalizzato sugli aspetti psicologici (preoccupazioni di salute, bisogni, adherence al trattamento) dei pazienti seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo per Fibrosi Cistica (FC), Diabete Mellito di Tipo 1 (D), Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) e Celiachia (C), e alla luce di queste riflessioni si è posto l’obiettivo di implementare un percorso di cura che integri le necessità di carattere medico con i vissuti dei pazienti e i loro principali bisogni, al fine di favorire l’adesione al trattamento e quindi la loro qualità di vita. A tale scopo si è ritenuto importante: 1. Conoscere i bisogni, le preoccupazioni e le priorità di salute, le difficoltà e l’impatto del trattamento nei pazienti con malattia cronica, con attenzione anche al profilo emotivo e comportamentale per una eventuale identificazione precoce dei soggetti a rischio psicopatologico. Si è ritenuto importante confrontare il punto di vista del paziente e quello dello specialista, per valutarne il grado di comprensione ed eventualmente offrire degli spunti di riflessione al fine di migliorare l’alleanza terapeutica. 2. Favorire l’elaborazione della diagnosi di malattia cronica e l’adattamento alla nuova condizione (creazione di uno spazio di ascolto e supporto psicologico); 3. Favorire la comunicazione famiglia-staff e famiglia-territorio per promuovere un raccordo tra i diversi attori in campo (collaborazione con le associazioni). Per raggiungere tali obiettivi, il progetto ha previsto sia una attività di ricerca di tipo quantitativo, realizzata tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei loro risultati, che una di tipo qualitativo, in cui sono stati analizzati i dati relativi ai colloqui clinici effettuati nell’ambito dello spazio psicologico offerto ai pazienti. Allo studio hanno partecipato i pazienti seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste per le patologie FC, D, MICI e C, sia in regime di controllo ambulatoriale, che di day-hospital o ricovero da gennaio 2011 a luglio 2013. Oltre alla compilazione della scheda socio demografica, il progetto ha previsto la somministrazione sia di questionari generali adatti a tutti i partecipanti (1. Need Evaluation Questionnaire di Tamburini; 2. Adherence, ad hoc; 3. SDQ-Ita, Strenght and Difficulties Questionnaire, di Goodman), sia di questionari patologia-specifici (Health Priorities, adattamento da Loonen). I risultati sono stati suddivisi nelle fasce di età 0-10 anni (compilazione del questionario da parte del genitore che descrive se stesso e il figlio); 11-18 anni (compilazione del questionario da parte del paziente, del genitore e, per una parte, del medico); >18 anni (compilazione del questionario da parte del paziente). Hanno aderito al progetto di ricerca 205 pazienti per quanto concerne la raccolta dei dati tramite questionari, mentre 174 hanno usufruito della consulenza psicologica offerta (1028 colloqui, durata media di un’ora). Infine 60 medici hanno aderito al progetto compilando il questionario riguardante le preoccupazioni di salute in età 11-18 anni. In questa sintesi non si riportano i risultati specifici ottenuti, essendo numerosi, ma si evidenziano sinteticamente le loro ricadute operative, ribadendo la necessità di individualizzare tali indicazioni per ogni paziente. In linea con un approccio patient-centered, si ritiene infatti importante indirizzare gli sforzi dei curanti a dedicare il tempo e le energie necessarie per conoscere gli specifici bisogni, le peculiari preoccupazioni e lo stato psicologico di quel paziente e di quella famiglia. 1. Favorire la comunicazione. Alla luce delle divergenze emerse nei questionari tra l’opinione dei pazienti, dei genitori, che per esempio tendono a proiettare i bisogni personali sui figli, e dei medici, è importante “far circolare” le informazioni e contribuire a esplicitare pensieri ed emozioni, consapevoli dei possibili fraintendimenti che ne potrebbero altrimenti derivare. In questo modo può trovare adeguato spazio anche la condivisione dei vissuti e delle preoccupazioni, generali e patologia-specifiche, rilevanti nel campione dei partecipanti allo studio. 2. Offrire informazioni e supporto. È stato riscontrato che la quantità e la qualità delle informazioni trasmesse al paziente e alla sua famiglia e la modalità con le quali vengono trasmesse giocano un ruolo fondamentale nel processo di accettazione a adattamento alla malattia cronica. I partecipanti allo studio hanno sottolineato in particolare la necessità di offrire maggiori informazioni sulla diagnosi, ma soprattutto sulla prognosi e sul trattamento. Tali informazioni possono aiutare i pazienti e i genitori a comprendere cosa attendersi nel futuro prossimo o a lungo termine, e a riconoscere pertanto con più facilità gli eventuali progressi nelle cure o i benefici derivanti (non percepiti dai partecipanti alla ricerca). I pazienti adulti e i genitori hanno inoltre dichiarato il bisogno di essere supportati, sia tramite un lavoro di tipo psicologico, sia tramite il confronto con altre persone con la stessa esperienza. A tale scopo può essere importante promuovere le informazioni sulle associazioni di pazienti presenti sul territorio. Da non trascurare infine anche l’importanza delle informazioni economico-assicurative per i genitori. 3. Empatizzare con la fatica del trattamento. I pazienti non sempre riescono percepire i benefici del trattamento che stanno facendo, mentre ne colgono bene i costi, che si traducono in trasgressioni al regime terapeutico, non solo in adolescenza ma anche in età adulta. Può essere importante, ancor prima di sottolineare durante i controlli medici periodici “le cose che non sono andate bene”, empatizzare con la fatica e i costi per quel paziente di quel trattamento per capire quali sono le specifiche difficoltà provate e come potrebbero essere affrontate, e rinforzare gli aspetti in cui il paziente si sta attivando in modo efficace. Questo alla luce anche delle fragilità emotive riscontrate nello studio e dell’influenza della patologia sullo sviluppo della propria identità, come per esempio testimoniato dal sentimento di diversità riferito dai pazienti nei questionari, alimentato o confermato da una quotidianità scandita dalle cure piuttosto che dalle attività tipiche dell’età. Lo stesso vale per coloro che, con i bambini più piccoli, sono i garanti dell’adherence al trattamento, ovvero i genitori, che possono provare difficoltà sia concrete che emotive. 4. Fare attenzione se le famiglie non sono coese. Lo studio conferma l’influenza della coesione familiare sull’adattamento alla patologia; nel caso di famiglie non coese sono infatti stati riscontrati livelli più elevati di preoccupazione. È dunque importante tenerne conto nella presa in carico di pazienti con patologia cronica, poiché potrebbero andare incontro a maggiori difficoltà, coinvolgendo nella cura anche il contesto familiare. 5. Organizzare la transizione. Una fase particolare nella cura delle patologie croniche è quella della transizione dal servizio pediatrico a quello dell’adulto, un processo che richiede gradualità e accortezza da parte di tutti gli attori in gioco. È importante che i curanti si attivino in modo tale da rispondere ai bisogni, sia di informazione che relazionali segnalati dagli adolescenti della ricerca, e alle preoccupazioni dei pazienti in questo particolare passaggio. 6. Tenere gli occhi aperti sugli aspetti emotivi, sociali e comportamentali. Lo studio conferma la percezione, soprattutto da parte dei genitori, di fragilità psicologiche nei pazienti con malattia cronica. È importante che i sanitari ne siano consapevoli e le tengano in considerazione (ad esempio somministrando strumenti di indagine rapidi e validi), in modo da poter prevenire se possibile lo sviluppo di psicopatologie franche o inviare a chi di competenza per gli interventi del caso. 7. Essere consapevoli che ogni patologia può attivare preoccupazioni specifiche e richiede considerazioni su aspetti peculiari. Nello studio è per esempio emersa l’importanza di tenere in considerazione la gravità delle manifestazioni cliniche nella FC; il controllo glicemico, la paura dell’ipoglicemia e l’importanza delle restrizioni alimentari nel D; le preoccupazioni sulle conseguenze prossime, come i ricoveri o gli interventi chirurgici, per le MICI; e infine l’impatto della dieta glutinata nei pazienti con C, con attenzione alla presenza o meno di sintomi. 8. Offrire la possibilità di un supporto di tipo psicologico dedicato. L’esperienza clinica del dottorato e i risultati della ricerca hanno fatto emergere l’importanza di un tempo sufficientemente ampio dedicato all’ascolto e al lavoro psicologico con le persone con malattie croniche e con i loro familiari, al fine di stimolare la comunicazione e favorire l’accettazione e l’adattamento alla patologia, in un processo di cura che permetta il passaggio dal “to cure” al “to care”. Nel Capitolo 1 “Le Malattie Croniche”, viene data una definizione sintetica del concetto di “malattia cronica” e una breve descrizione delle patologie considerate nello studio. La conoscenza di tali caratteristiche è necessaria per gli operatori sanitari, anche non medici, per poter comprendere il quadro di riferimento del bambino, dell'adolescente o dell'adulto con patologia cronica, potervi empatizzare e attivarsi di conseguenza. Nel Capitolo 2 “Gli Aspetti Psicologici Nelle Malattie Croniche”, dopo una breve introduzione sull’importanza di studiare gli aspetti psicologici, è stata delineata una panoramica dell’evoluzione di questi studi nel tempo. Di seguito, in una prima parte sono stati descritti gli aspetti psicologici generali, in considerazione sia della fase di sviluppo sia della fase di malattia; in una seconda parte si sono analizzati alcuni aspetti peculiari delle specifiche patologie. Nel Capitolo 3 “Interventi per favorire l’adesione alle terapie delle malattie croniche infantili” viene infine descritto lo studio realizzato e i principali risultati ottenuti, con particolare attenzione alle ricadute in ambito clinico di tale lavoro. Sono stati analizzati sia i dati quantitativi, ricavati dalla somministrazione dei questionari e dall’analisi dei loro risultati, sia i dati di tipo qualitativo, ricavati dall’analisi delle informazioni inerenti il lavoro clinico con i pazienti (colloquio clinico). Verrà sinteticamente descritto anche l’approccio teorico seguito.
XXVI Ciclo
1979
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26

Muroni, Alessandro Franco. "FUNZIONI COGNITIVE E COMPORTAMENTO DI GUIDA: EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE DI SONNO, DEL CONSUMO DI ALCOLICI E DELLA CAFFEINA." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10070.

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Abstract:
2012/2013
Il presente lavoro nasce da una riflessione in merito ad un problema di forte attualità: gli incidenti sonno e alcol correlati. Deprivazione di sonno e consumo di alcolici rappresentano una combinazione abbastanza comune, specialmente tra i giovani automobilisti (Banks et al., 2004). Diversi ricercatori, con lo scopo di dare un contributo alla soluzione di questo problema, hanno focalizzato il loro interesse nel settore della sicurezza stradale. Numerose ricerche (Brown, 1994) (Marcus et al., 1996) (Horne et al., 1995) (Horne et al., 1999) (Connor et al., 2001) si sono occupate di studiare la relazione tra deprivazione di sonno e prestazione di guida ed è ormai universalmente riconosciuto che questa variabile rappresenta un fattore di rischio per la sicurezza stradale. Così come gli effetti negativi indotti dalla deprivazione di sonno sulla prestazione di guida, anche quelli dell’alcol sono universalmente riconosciuti e anch’esso è considerato un fattore di rischio per la sicurezza stradale (Liguori et al., 1999) (Lenne et al., 1999) (Shults et al., 2001). Diversi altri ricercatori (Roehrs et al., 1994) (Arnedt et al., 2000) (Horne et al., 2003) (Banks et al., 2004) (Barret et al., 2004) (Barret et al., 2005) (Vakulin et al., 2007) (Howard et al., 2007) si sono invece focalizzati oltre che sullo studio dei singoli effetti di questi fattori anche sul loro effetto combinato, trovando generalmente che sia la deprivazione di sonno che l’alcol, singolarmente, producono un peggioramento della prestazione di guida e che il loro effetto combinato sembra causare un più importante peggioramento. La guida è un comportamento complesso e multifattoriale che richiede il possesso di numerose abilità, alcune delle quali si svolgono coscientemente ed altre attraverso processi automatici; nell’esecuzione di questo comportamento i processi cognitivi giocano un ruolo centrale (Weaver et al., 2009). Poche ricerche si sono occupate di valutare gli effetti combinati di questi due fattori sugli aspetti cognitivi sottostanti al comportamento di guida. Partendo da tale background, nel presente lavoro si è ritenuto potesse essere interessante approfondire questo aspetto. Ci si è posti quindi come primo obiettivo quello di valutare gli effetti, singoli e combinati, della deprivazione di sonno e del consumo di alcolici sull’attenzione e sui processi di inibizione, due variabili considerate di estrema importanza per esecuzione del comportamento di guida (Brown, 1994). In merito al concetto di attenzione, tra i tanti modelli che lo hanno teorizzato si è scelto di fare riferimento a quello di Posner (Posner e Raichle, 1994); in merito al concetto di inibizione si è scelto invece di fare riferimento al modello di Logan (Logan e Cowan,1984a). Oltre a questi aspetti oggettivi si è scelto di valutare l’effetto di questi fattori anche su alcuni aspetti soggettivi, in particolare sul vigore, sull’umore e sulla sonnolenza percepita. Oltre a ciò, tenendo in considerazione che alcuni studi presenti in letteratura (Horne et al., 1996) (Reyner et al., 2000) (De Valk et al., 2000) (Horne et al., 2001) (Reyner et al., 2002) (Biggs et al., 2007) (Gershon et al., 2009) (Mets et al., 2011) suggeriscono che gli energy drink, o la caffeina in essi contenuta, sembrano essere una buona contromisura per contrastare gli effetti della deprivazione di sonno sulla prestazione al simulatore di guida e su alcuni indici dell’attenzione, nel presente lavoro ci si è posti come secondo obiettivo quello di valutare se questa sostanza può essere una valida contromisura anche per contrastare gli effetti singoli e combinati di questi due fattori, sulla prestazione attentiva e sui processi di inibizione. Si è scelto di studiare questi aspetti cognitivi in determinate fasce orarie, considerate potenzialmente rappresentative di alcune situazioni reali. Nello specifico, si è scelto di studiare la prestazione cognitiva alle 5:00 del mattino, orario di chiusura delle discoteche invernali, e alle 9:00 del mattino, orario di chiusura delle discoteche estive. Inoltre si è scelto di valutare la performance cognitiva alle 12:30, orario dell’aperitivo precedente al pranzo, e alle 20:00, orario dell’aperitivo precedente alla cena. In estrema sintesi i risultati sembrano indicare un’influenza selettiva della deprivazione di sonno e del consumo di alcolici, sia singolarmente che in forma combinata, sulle componenti cognitive indagate. Le componenti di Alerting fasico e Orienting sembrano non risentire, o risentire minimamente, degli effetti di questi fattori. A differenza, sembrerebbe che lo stato di allerta e il controllo esecutivo siano le componenti cognitive maggiormente influenzate negativamente da questi fattori, sia singolarmente che in associazione. Un aspetto interessante, che merita di essere enfatizzato, è che l’associazione tra deprivazione di sonno, sia parziale che totale, ed un tasso alcolemico superiore a quello consentito dalla legge per poter guidare sembra avere un effetto, o in alcuni casi una tendenza, che porta a sovrastimare i livelli di vigore percepiti soggettivamente, facendoli percepire superiori a quelli realmente osservati. Considerata da questo punto di vista, l’associazione tra deprivazione di sonno e consumo di alcolici risulta essere ancora più preoccupante. Infatti sembrerebbe che, durante una nottata insonne, consumare alcolici fino a superare il limite legale consentito per poter guidare potrebbe essere alla base della scelta di mettersi comunque alla guida di un veicolo, pur non avendo uno stato psicofisico adatto per poterlo fare in sicurezza. Relativamente all’assunzione di caffeina quale contromisura per contrastare gli effetti della deprivazione di sonno e dell’alcol sul sistema cognitivo, sembrerebbe che una bassa quantità, circa pari a quella assunta con un caffè o altri alimenti comuni, non sia sufficiente per ripristinare né lo stato di allerta né tantomeno la velocità e l’accuratezza della risoluzione dei conflitti cognitivi. Sembrerebbe invece che 100 milligrammi di questa sostanza possano avere un effetto positivo che sembra migliorare la capacità di inibizione di una risposta dominante, quando compromessa dalla deprivazione totale di sonno o dalla deprivazione totale di sonno associata al consumo di alcolici. Tuttavia, risulta opportuno mantenere una certa prudenza nel trarre conclusioni e ricercare ulteriori conferme scientifiche.
XXV - Ciclo
1980
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27

Visentini, Sara. "Problemi di trasmissione e ricezione della letteratura greca nei 'papiri scolastici' di età ellenistica e romana." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10008.

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Abstract:
2012/2013
Questo lavoro si concentra sull’analisi dei papiri di età ellenistica e romana nei quali ho individuato ‘libri di scuola’, che contengono passi di letteratura greca e che sono riconducibili all’istruzione superiore. I ritrovamenti papiracei e i più recenti contributi nei congressi di papirologia (Cassino nel 1996 e nel 2004, Salamanca nel 2008) dimostrano come nella comunità scientifica il tema dell’istruzione sia sempre vivo. Gli studi di Guglielmo Cavallo sulla readership, gli apporti di Lucio Del Corso sulle pratiche didattiche antiche e gli studi sulla scuola condotti da Raffaella Cribiore hanno avuto il merito di provocare nuovi spunti di riflessione su temi di grande interesse per la ricostruzione della cultura dei milieux di livello medio-alto nell’Egitto greco e romano. Come testimoniato dai papiri, l’aumento dell’alfabetizzazione e del commercio librario in epoca romana nelle aree urbane, ma non solo, provano che qualche forma di letteratura veniva diffusa a scuola e circolava anche al di fuori di essa. Lo studio del testi di scuola di livello superiore offre un contributo considerevole alla nostra conoscenza sul pubblico dei lettori e dei redattori di questi sussidi per lo studio. Il dossier dei ‘libri di scuola’ raccoglie i frammenti che contengono differenti tipologie di passi letterari più o meno brevi. La raccolta si compone di 158 papiri.
XXVI Ciclo
1972
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28

Caporusso, Grazia. "Influenze fenomeniche nella mislocalizzazione della posizione iniziale di uno stimolo in movimento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8667.

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Abstract:
2011/2012
In questo lavoro di tesi si prenderà in esame un effetto legato alla percezione del movimento e conosciuto con il nome di Effetto Fröhlich in onore di colui che nel 1923 lo studiò per la prima volta in maniera sistematica. Percepire la posizione degli oggetti nell’ambiente è senza dubbio uno degli scopi più importanti del sistema visivo. Tuttavia, quando gli oggetti sono in movimento la localizzazione della loro posizione può risultare più difficoltosa e può essere caratterizzata da piccoli ma consistenti errori definiti mislocalizzazioni spazio-temporali. Tali errori possono coinvolgere sia la localizzazione della posizione iniziale dello stimolo in movimento (Onset) sia la posizione finale dello stesso (Offset). Nel 1930 uno studioso, Fröhlich, osserverò che se a degli osservatori si chiedeva di identificare la posizione iniziale di uno stimolo in movimento questi tendevano a identificarla non nella posizione reale, ma in una posizione spostata nella direzione del movimento. Tale errore di localizzazione fu definito Fröhlich effect. Tutte le interpretazioni prevedevano l’influenza di fattori fisiologici nella spiegazione del fenomeno. Tuttavia ciò che emerge dai risultati degli esperimenti presentati in questo lavoro è che anche fattori fenomenici possono avere una qualche influenza sulla grandezza dell’errore. L’effetto sembra essere influenzato dalle caratteristiche dell’oggetto in movimento e dalle caratteristiche del contesto all’interno del quale gli stimoli si spostano.
XXV - Ciclo
1984
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29

Poh'siè, Guillaume Hervè. "ANALISI DELLA DUTTILITÀ DI EDIFICI MULTIPIANO IN LEGNO E MITIGAZIONE DELLA RISPOSTA SISMICA MEDIANTE L'USO DI MASSE ACCORDATE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11110.

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Abstract:
2013/2014
Le tecniche di analisi numeriche in campo non lineare delle strutture in legno sulla base delle prove sperimentali su singoli componenti, elementi strutturali e interi edifici si sono molto evolute nell'ultimo decennio. Numerosi ricercatori si sono dedicati a sviluppare modelli per simulare il comportamento ciclico in campo non lineare (chiodi, hold down, viti e squadrette a taglio) e i risultati di numerosi modelli numerici sono stati confrontati con i risultati sperimentali in termini di forza massima, degrado di rigidezza ,resistenza, spostamento massimo e ultimo, energia dissipata. Questo lavoro di tesi segue la linea della progettazione basata sul Performance Based Design. Nella prima parte della stessa viene approfondita l’analisi statica non lineare per determinare la curva di capacità degli elementi e dei sistemi strutturali a telaio leggero e X-Lam. Nella seconda parte si analizza il problema del miglioramento delle performance delle strutture in X-Lam mediante l'uso delle masse accordate (Tuned Mass Dampers). Queste vengono progettate con tecniche di ottimizzazione, allo scopo di ridurre al meglio le accelerazioni massime che in genere accompagnano questa tipologia strutturale.
XXVII Ciclo
1979
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30

Martinuzzi, Paolo. "Isolamento e determinazione strutturale di composti ad attività inibitoria della trombina da gloeophyllum odoratum e amanita virosa." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3736.

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Abstract:
2008/2009
Le malattie cardiovascolari e specialmente le varie forme di trombosi rappresentano la principale causa di morte nelle società occidentali. La formazione di un trombo occlusivo può essere il risultato di disordini del normale flusso sanguigno o di un’eccessiva attivazione delle piastrine, o di un’attivazione fuori norma dei meccanismi di coagulazione del sangue. Il sistema emostatico è responsabile della prevenzione dell’eccessiva perdita di sangue e del ripristino nel minor tempo possibile del normale torrente circolatorio dopo un danno tissutale. Le reazioni a cascata che permettono il meccanismo della coagulazione del sangue coinvolgono delle reazioni di proteolisi catalizzate da diverse serino-proteasi che stanno alla base dell’equilibrio che permette l’emostasi. Si ritiene, quindi, che intervenendo sui meccanismi che presiedono l’azione di queste molecole si possa avere anche un maggior controllo sulle cause che spesso portano ad eventi patologici. La trombina è una glicoproteina appartenente alla classe delle serino-proteasi, che svolge un ruolo centrale nella fase plasmatica del processo di emostasi. Le serino-proteasi coinvolte nel complesso meccanismo di coagulazione del sangue, come la trombina e il fattore Xa sono emerse quindi come nuovi ed importanti target per un diverso approccio alla terapia antitrombotica. I funghi del phylum Basidiomycota, pur essendo oggetto di notevole interesse scientifico per le loro molteplici proprietà farmacologiche, sono stati finora scarsamente investigati quali inibitori della trombina. Uno studio preliminare, condotto su 95 specie selezionate di funghi, ha evidenziato che gli estratti dei funghi Gloeophyllum odoratum e Amanita virosa presentavano significativa attività inibitoria della trombina e della tripsina. Nell’ambito di uno studio volto ad isolare ed identificare nuovi composti ad attività inibitoria della trombina i funghi Gloeophyllum odoratum e Amanita virosa sono stati oggetto di approfondimento da un punto di vista fitochimico, ed a tale scopo sono stati sottoposti ad una serie di frazionamenti che prevedevano il parallelo monitoraggio dell’attività inibitoria (Bioassay oriented fractionation) . Nel caso del fungo Gloeophyllum odoratum, le procedure di purificazione hanno portato all’isolamento di quattro frazioni significativamente attive per quanto riguarda l’inibizione della trombina. Sulla base di dati spettroscopici (NMR ; FT-IR) e di spettrometria di massa sono state isolate ed identificate principalmente delle molecole a struttura triterpenica tetraciclica. Tra queste gli acidi 3α-idrossi-12β-acetossi-lanosta-8,24-dien-29-oico e l’acido3α-idrossi-12β-acetossi-lanosta-24-metilen-8-en-29-oico sono nuovi, mentre l’acido trametenolico (acido 3β-idrossi-lanosta-8,24-dien-21-oico) e l’acido 15α-idrossitrametenolico (acido 3β,15α-diidrossi-lanosta-8,24-dien-21-oico) sono già noti in letteratura. Gli acidi trametenolico, 3α-idrossi-12β-acetossi-lanosta-8,24-dien-29-oico e 3β,15α-diidrossi-lanosta-8,24-dien-21-oico sono stati poi considerati per il docking sulla trombina ed è stata valutata sperimentalmente, per ciascuno di essi, la costante di equilibrio per l’inibizione. Le energie libere stimate sono piuttosto simili e correlano con l’attività inibitoria osservata ed i valori di Ki . Sebbene la loro capacità di inibizione non sia così efficace, gli studi di docking suggeriscono come lo scheletro triterpenico potrebbe risultare un utile frammento per la progettazione e la sintesi di potenti inibitori della trombina. Nel caso del fungo Amanita virosa, le procedure di purificazione hanno portato all’isolamento di quattro frazioni, di cui tre con significativa attività inibitoria della trombina. Sempre sulla base di dati spettroscopici (NMR ; FT-IR) e di spettrometria di massa sono state isolate ed identificate delle miscele di trigliceridi, miscele di acidi grassi liberi e miscele di monoacilgliceroli. Inoltre è stato isolato ed identificato l’Ergosterolo, uno sterolo ubiquitario nei funghi, ancora caratterizzato da un’attività inibitoria nei confronti della trombina, sebbene non elevata.
1958
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31

Marcon, Claudia. "Illegale al 90%. Forme instabili della strada." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7395.

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Abstract:
2010/2011
Lo spazio della strada è da sempre uno dei luoghi dotati di maggiore vivacità all’interno delle strutture urbane; questa sua costante importanza è dovuta soprattutto al frequente mutare delle sue caratteristiche formali e spaziali, così come alla sua capacità di accogliere differenti funzioni. Ma dalla fine del XIX secolo uno dei caratteri che dalla sua nascita l’hanno caratterizzata, essere uno spazio necessario per la vita quotidiana, dove ci si può incontrare e interagire, è venuto progressivamente ad impoverirsi, fino a mancare. Se un tempo la strada era considerata come uno spazio collettivo, oggi la crescente disparità nel rapporto tra auto e pedoni ne fa un luogo conteso e, per questi ultimi, spesso non agevolmente “abitabile”. Mediamente il 30% del suolo pubblico all’interno dei centri urbani europei, è occupato dalle automobili; in alcuni casi, soprattutto nelle città americane, le superfici allestite o progettate appositamente per le automobili e da esse occupate sfiorano percentuali che si avvicinano al 60%2 dello spazio aperto fruibile dai cittadini. L’aumento della superficie territoriale “sacrificata” alle necessità di circolazione e sosta dell’automobile è cresciuto in modo direttamente proporzionale al ruolo acquisito da questa modalità di trasporto, causando problemi rilevanti non solo ai pedoni, ma anche a coloro che ogni giorno rimangono bloccati nel traffico, sopraffatti dall’inquinamento dell’aria e acustico, preda della tensione causata dagli ingorghi, come ci viene narrato in tanti film, come Il sorpasso di D. Risi o American Graffiti di S. Lucas3. Intraprendendo un percorso di lettura riferito allo spazio delle strade come fenomeni urbani, ai modi d’uso dello spazio strada e ai progetti informali di riappropriazione dello stesso da parte dei suoi diversi utenti, anche attraverso modalità non codificate e non istituzionali, ho immaginato di individuare e seguire, tra le molte possibili, quelle tracce generate da “procedure multiformi, resistenti, scaltre e ostinate che sfuggono alla disciplina senza essere tuttavia al di fuori del campo in cui essa si esercita”.4 Ciò ha significato compiere un esercizio che permette di capire come differenti gruppi e individui agiscano, nel momento in cui i modi d’uso di uno spazio appaiono a una parte consistente dei suoi utenti come non totalmente adeguati, se in modo dialettico o (più spesso) in contrapposizione alla struttura esistente degli spazi della città contemporanea. Comprendere le dinamiche di questo tipo di situazioni e di pratiche, azioni, progetti di trasformazione può permettere di individuare e definire modi innovativi di intervento sullo spazio della strada, facendo diventare (o tornare ad essere) questo luogo uno spazio abitabile esterno, prolungamento e complemento di quello interno domestico; un luogo in cui eventi auto-organizzati, nuove forme di occupazione del suolo pubblico ed esperienze di microprogettualità diffusa innovative mettono in luce la vitalità e il grado di flessibilità di questo manufatto e degli spazi che con esso si relazionano. L’osservazione di queste azioni ha permesso a questa tesi di porre in luce strategie e processi 27 attivabili per favorire una nuova configurazione del rapporto tra strada e città, assegnando un ruolo importante, nella definizione di questo spazio, ai suoi protagonisti.
XXIV Ciclo
1981
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32

Marzaro, Mattia. "Idea/Processo/Architettura. Fenomenologia di un procedere pratico nella progettazione architettonica." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7412.

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Abstract:
2010/2011
Nel corso del XXI secolo, nel progetto di architettura si sono sviluppate attitudini volte a rispondere alle esigenze dettate dall’evoluzione tecnica, sociale, economica, ambientale, artistica e culturale, che hanno permeato fortemente l’evoluzione del pensiero del Novecento. Gli sviluppi di questa rivoluzione permanente hanno condotto ad uno svolgimento sperimentale del fare architettura, spostando la visione del progetto verso approcci legati al divenire e non come metodi legati a una prassi. L’uomo, e quindi l’architetto, vive quello che Agamben definisce lo stato di eccezione, in cui la logica e la prassi non si determinano. Un’assenza di pensiero pretende di attuare un enunciato senza riferimenti alla realtà, o meglio giungendoci in un secondo momento, a posteriori, a volte inconsciamente. In questo quadro d’incoscienza ciò che ne deriva è un modo diverso di stare al mondo, o meglio la nascita di modi e visioni individuali, personalistiche. Si assiste così alla fine delle certezze e quindi alla fine della univocità di dati sui quali fondare ogni possibile concatenamento, ogni possibile continuità. Questo disordine generale, questo quadro d’incertezza, costituisce la nascita di quelle che nel corso della tesi andranno a definirsi come le processualità; esse costituiscono la necessaria volontà di definire in modo determinato ciò che in realtà è espresso dall’infinita varietà e possibilità dello spazio. Assumiamo come inizio della ricerca questo dualismo tra realtà instabile e infinita, da un lato, e necessaria determinazione di elementi concatenati dall’altro, che reggano i principi su cui fondare lo sviluppo progettuale nell’intento di stabilire dei principi di verità. Un sistema in questo senso processuale che garantisca di volta in volta nella prefigurazione dell’idea il controllo della forma, nell’intento di affermarla nel tutto reale, e non rendendola fine a se stessa e quindi in grado di smentirsi. Necessariamente il discorso si muove su diversi ambiti, tra i quali quello filosofico, perché in esso si fonda il pensiero dell’uomo, quello architettonico, artistico e tecnico, perché in essi vi sono le più alte forme di espressione e di linguaggio. In particolare, rispetto alla questione progettuale, nello scorso secolo la ricerca si è mossa tra forma, struttura, contenuto, previsione, ideazione, composizione; e ancora tra standard, economicità, velocità di produzione. Aspetti che hanno assunto all’interno del progetto di architettura un valore del tutto differente da prima, determinandone le condizioni stesse. L’architetto, pertanto, ha dovuto cambiare la sua prospettiva nelle procedure creative e compositive, affrontando la necessaria convivenza all’interno del progetto di una pluralità di attori, e mettendo da parte la sua attitudine progettuale individuale, perdendo la propria innocenza. In assenza di precedenti, nascono autonomie progettuali in grado di controllare e coordinare tutti o alcuni dei fattori culturali e tecnici di innovazione interni al progettare, e di coordinare i diversi attori che concorrono alla realizzazione dell’opera. Tale evoluzione non ha tuttavia tralasciato la parte più intima della composizione architettonica e del suo linguaggio, che ha dovuto adeguarsi con una serie di declinazioni e mutazioni, destinate a esplorare anche il campo dell’informe. In questa complessità d’azione diviene necessaria la costruzione di sistemi processuali di sviluppo progettuale; la composizione svolge in questo quadro del dubbio un ruolo chiave di chiarificazione e di verificazione, in quanto una parte dell’atto compositivo è legata alla ragione e una parte al mondo dell’intuizione, dell’istinto, del sensibile, anche se quest’ultima in un secondo momento viene posta nel dubbio. In tal senso questa tesi ha lo scopo di porre in evidenza alcune problematiche della progettazione, che oggi si manifesta attraverso quello che definiamo processo. La composizione, a differenza di quanto può apparire, ancora conserva un valore all’interno del progetto; essa ha solamente cambiato aspetto e diversificato i sui fattori operativi, in un certo senso si è evoluta. La composizione assume il ruolo di esperienza dell’indeterminazione progettuale, di medium, di strumento di ricerca di un senso tra ciò che determina relazioni tra soggetti e figure e le sue brusche rotture. Anche in architettura si assiste a un fenomeno simile a quello che riguarda i fenomeni linguistici, che nel tempo mutano a causa di influenze esterne di carattere sociale, storico, o di contaminazioni. Il progetto e il suo linguaggio necessariamente sono in un continuo divenire, in mutamento, nel senso di questa tesi, in processo. Riconosciamo il principio di mutazione a partire dalla nascita del Movimento Moderno, e in particolare dalla nascita di due scuole di pensiero, l’una facente capo alle sperimentazioni in ambito europeo e l’altra alla scuola americana, entrambe legate da un quadro culturale fondato sulla ricerca delle regole nell’intento di coniugare, attraverso la razionalità tecnica, il particolare con l’universale, lo standard con l’unico, il caos con l’ordine. Le sperimentazioni del moderno hanno giocato un ruolo cardine d’influenza e di propulsione introducendo il concetto di standard funzionale nel metodo e scardinando le teorie consolidate legate agli stili, in funzione di una maggiore libertà progettuale, legata ai materiali, al processo di produzione dell’architettura e alla ricerca dell’unità minima di vita. Quest’ultimo aspetto ha generato una specifica formulazione teorica e progettuale indirizzata alla risoluzione delle problematiche inerenti la questione funzionalista. Questo ha comportato una sovrapposizione di visioni rispetto alla questione della standardizzazione e la ricerca di un’unità universale di misura. Assistiamo così alla nascita di una diversa posizione linguistica nell’atto progettuale, attribuendo al termine standard non solamente la sua declinazione produttiva, ma la ricerca di regole valide atte a sostenere e verificare il progetto moderno, ricondotte all’uomo, alla sua dimensione biologica. L’attenzione è quindi posta sul pro-getto, sulle modalità del procedere, momento in cui la ricerca si fa espressione della propria tesi, configurandosi essa stessa quale progetto di esperienza. In un certo senso il processo è parte della visione, “e la visione è ciò che il linguaggio scientifico chiama verificazione o falsificazione della previsione. (…) Proprio perché il divenire è l’incominciare ad esistere, il divenire è l’irruzione dell’inatteso e dell’inaudito, ossia di ciò che per la sua radicale novità e imprevedibilità minaccia ogni cosa esistente. (…) Per salvarsi è necessario arginare la minaccia del divenire, cioè controllarla, sottoporla ad una legge e quindi dominarla.” In questo senso, l’atto progettuale s’identifica e si determina con il processo creativo. Assume il ruolo di elemento della formulazione, dalla visione nel controllo di uno spazio certo, entro il quale sia possibile cadere in una verificazione o meglio in un processo di verificazione. I movimenti artistici e le avanguardie hanno contribuito a scardinare l’esplorazione figurativa, portando a paralleli sviluppi in campo architettonico l’assunzione di sistemi compositivi e di prefigurazione innovativi grazie alla trasposizione in arte dei concetti di temporalità e di serialità. Il rapporto tra arte e architettura trova una nuova dimensione attraverso l’acquisizione di sistemi espressivi e di ricerca figurativa del tutto simili. La progettazione in questo quadro evolutivo ha dovuto appropriarsi di apposti strumenti, utili allo svolgimento processuale. S’introducono così nell’atto progettuale una serie di strumenti specifici, tra i quali possiamo individuare la geometria, i diagrammi, il modello. Questi strumenti, non nuovi al campo progettuale, assumono nella questione processuale specifiche manifestazioni. La geometria si è evoluta grazie all’uso del computer, che ha permesso un più radicale controllo del progetto architettonico e delle esplorazioni delle sue nuove forme. I modelli figurativi e prefigurativi hanno assunto una duplice funzionalità: come fonti di astrazione e concettualizzazione dei principi compositivi, e come vere e proprie manifestazioni della verifica e della composizione diretta e “materiale”. Il diagramma diventa fonte di sintesi funzionale, distributiva, d’interazione fra le parti e sistema per la figurazione dell’opera, assumendo addirittura il ruolo di “arbitro determinante” di una nuova definizione compositiva. La manifestazione processuale s’instaura in quanto “abbiamo cominciato a intendere che modellare il nostro ambiente fisico non significa applicarvi uno schema formale fisso, ma vale piuttosto un continuo, interno sviluppo, una convinzione che va continuamente ricercando il vero, al servizio dell’umanità.” D’altro canto, la sperimentazione si spinge verso una chiave di lettura del progetto architettonico e del suo processo creativo inteso come sistema processuale generalizzabile e sempre valido. Il luogo dell’analisi è costituito dai fenomeni evolutivi che hanno accompagnato la progettazione nel corso del XX secolo, dalla posizione del Movimento Moderno alla contemporaneità. Fasi queste in cui il processo è continua mutazione e i cui fattori creativi subiscono un continuo riposizionamento rispetto all’idea architettonica. Di fronte a fenomeni progettuali sempre più sconnessi da teorie, frutto di elaborazioni pluri-disciplinari, la produzione letteraria critica tende a descriverne i risultati anziché analizzarne in profondità i contenuti processuali. A noi interessa, invece, capirne i meccanismi di formulazione e le diverse manifestazioni. In luogo di un’analisi di tipo storico, cercheremo di leggere alcuni progetti significativi concentrandoci sugli aspetti funzionali alla tesi, con particolare attenzione ai processi di verificazione e controllo. Si tratta, in altre parole, di individuare una lingua e un suo ordine strutturale, che utilizzi le evoluzioni geometriche come punti assoluti, e l’uso dei diagrammi e dei modelli come fonti esplorative. Attraverso l’esposizione di atteggiamenti progettuali, si cercherà di chiarire il rapporto tra architettura, forma, funzione, e da tale analisi istituire un catalogo di processualità progettuali attraverso una fenomenologia definita. La nostra analisi, d’altra parte, non vuole diventare la ricerca di una teoria o di un metodo attraverso il quale accedere alla formulazione di un progetto. Diversamente, essa cerca di mettere in luce la chiara e incontrollabile capacità evolutiva e rigeneratrice del sistema delle idee, della prefigurazione e della creazione. Ci interessa l’analisi degli strumenti che costituiscono il processo architettonico contemporaneo e le sue declinazioni, attraverso lo studio di casi particolari classificati per tipologia di approccio processuale, secondo quello che possiamo definire processo lineare, processo continuo e processo stocastico o probabilistico. Quello che si cercherà di fare è di fotografare una situazione in continuo divenire, studiandone i sistemi principali e cercando di capirne i fenomeni scatenanti, il luogo in cui l’architettura si tramuta nella risoluzione di un problema, metafora presa dalla matematica, attraverso quello che possiamo definire “processo risolutivo”.
XXIII Ciclo
1980
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33

Perin, Alessandro. "Controllo del self-renewal e della tumorigenicità delle glioblastoma “stem-like” cells ad opera di FOXG1." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7398.

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Abstract:
2010/2011
Glioblastoma (GBM) is the most common and malignant primary brain tumour. GBM prognosis remains dismal despite available treatments, be- cause of tumour recurrence. According to the "Glioma Stem-like Cell" (GSC) hypothesis, GBM recurrence is sustained by a fraction of cells that share similarities with normal Neural Stem Cells / Neural Precursors (NSCs). In potential agreement with this possibility, primary cell cultures with characteristics of GSCs can be established from GBM. These cells display typical hallmarks of NSCs, namely unlimited self-renewal and ability to differentiate into different neural lineages in vitro. Most importantly, GSCs are highly tumorigenic when transplanted intracranially in vivo and their in vitro self-renewal potential correlates positively with tumorigenicity and negatively with prognosis in Glioma patients. We hypothesize that the tumour-forming potential of GSCs may result from the deregulation of molecular mechanisms normally involved in NSC self-renewal, proliferation and/or differentiation. In this regard, the fork-head transcription factor, FOXG1, promotes the self-renewal of both embryonic and adult NSCs. Here we show that FOXG1 mRNA and protein are up-regulated in human Gliomas and that elevated FOXG1 expression is a bad prognostic factor in GBM patients. We show further that FOXG1 is expressed in a sub-population of GBM cells with NSC-like characteristics, as well as in cultured GSCs. More importantly, knockdown of FOXG1 significantly decreases GSC self-renewal, with a concomitant increase of the cell-cycle inhibitor, p21Cip1. We also show that FOXG1 is co-expressed in GBM and GSCs with the transcriptional co-repressor TLE, a protein known to work together with FOXG1 during forebrain development. The effect of FOXG1 knockdown on GSC self-renewal is phenocopied by TLE knockdown, as well as by the forced over-expression of the previously characterized TLE:FOXG1 antagonist, GRG6, a protein with little or no expression in GBM. More importantly, mouse orthotopic implantations of human GSCs, which were either silenced for FOXG1 or over-expressing GRG6, gave rise to smaller tumours when compared to control condition; this tumor size reduction resulted in prolonged mice survival. Together, these results suggest that FOXG1 and TLE are important regulators of GBM tumorigenesis.
XXIV Ciclo
1977
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34

Fornari, Maria. "La questione adriatica sui quotidiani in lingua italiana e in lingua serba alla vigilia della grande guerra." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8595.

Full text
Abstract:
2011/2012
L’obiettivo di questo lavoro di ricerca è operare un confronto tra le posizioni assunte dall’Italia e dalla Serbia in merito alla questione adriatica nei mesi che intercorrono tra l’eccidio di Sarajevo del 28 giugno 1914 e la dichiarazione di entrata in guerra dell’Italia del 24 maggio 1915. Le due nazioni erano state unite, nel corso del XIX secolo, dal comune desiderio di veder affermato il principio di nazionalità contro l’egemonia degli Imperi asburgico e ottomano. Questo legame si era concretizzato in una fitta rete di scambi culturali, ideologici e politici che aveva dato vita a un sentimento di reciproca stima e solidarietà tra i due popoli. Con l’inizio del conflitto, però, l’Italia e la Serbia vengono poste di fronte alla concreta possibilità che, con la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, oltre a una serie di trasformazioni a livello europeo, si venga anche a delineare una nuova mappa dei confini adriatici, tracciati secondo il criterio dell’autodeterminazione dei popoli. Di conseguenza, i territori dell’area adriatica nord-orientale, connotati da un carattere multietnico e multinazionale, si trovano al centro delle rivendicazioni di diversi Stati, tra cui spiccano l’Italia e la Serbia, entrambe decise ad affermare il diritto a estendere il proprio dominio su quelle terre secondo il principio di nazionalità. In questa prospettiva, è evidente che il rapporto quasi idilliaco che si era instaurato tra le due nazioni è destinato a cambiare la propria fisionomia. La presente ricerca intende presentare, attraverso una sorta di “istantanea”, questa trasformazione mediante un’analisi condotta su una serie di articoli apparsi, nel periodo di tempo preso in considerazione, su quattro giornali quotidiani. Si tratta del «Corriere della Sera», del «Politika» di Belgrado, del «Piccolo» di Trieste e del «Corriere delle Puglie» di Bari. Lo spoglio degli articoli del «Piccolo» viene affiancato anche dall’esame di alcuni testi tratti dal «Lavoratore», l’organo del partito socialista triestino. La tesi è composta da quattro capitoli, uno per ogni quotidiano, in modo tale da presentare in maniera parallela le diverse analisi ad essi dedicate. Ogni capitolo è idealmente suddiviso in due sezioni: cappello introduttivo e indagine sugli articoli. Il cappello introduttivo è volto a chiarire l’atteggiamento degli intellettuali e dei politici rispetto alla spartizione delle terre adriatiche nel contesto di riferimento e a ricordare in maniera sintetica l’origine e la storia della testata presa in esame. La riflessione sugli scritti giornalistici, condotta in ordine cronologico, viene presentata mediante ampie citazioni degli stessi, al fine di consentire un confronto immediato tra le ipotesi e le osservazioni che vengono proposte e la realtà dei testi effettivamente pubblicati. Ogni capitolo è chiuso da una breve conclusione in cui si cerca di individuare un ipotetico “punto della situazione” derivante dall’esame degli articoli. È presente, inoltre, un’appendice in cui vengono elencati i titoli di tutti gli articoli dei quotidiani a cui fa riferimento questo studio.
XXIV Ciclo
1980
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35

Mogorovich, Eliana. "Dalla realtà alla coscienza: il percorso della ritrattistica tra fine Ottocento e inizio Novecento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4516.

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Abstract:
2009/2010
Il recente e diffuso interesse suscitato dalla ritrattistica nell’ambito di esposizioni di carattere nazionale ha sollecitato una riflessione sull’accoglienza ad essa riservata in un periodo cruciale della sua evoluzione, quello situato a cavallo fra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo. Si tratta di un momento che – data l’ascesa di una classe bisognosa di conferme dello status appena acquisito come la borghesia – ha visto il proliferare di immagini destinate all’autocelebrazione e che proprio per rispondere a tale necessità imponevano l’adozione di uno stile strettamente realistico. Tuttavia il medesimo torno d’anni coincide anche con la nascita della psicoanalisi freudiana (al 1895 risale la pubblicazione degli Studi sull’isteria, al 1899 L’interpretazione dei sogni mentre risale al 1901 la prima edizione della Psicopatologia della vita quotidiana), una rivoluzione che finì col riguardare anche le discipline artistiche e che, potenzialmente, poteva condurre a uno stravolgimento dell’approccio fotografico fino allora imposto dai committenti per le loro effigi. Il presente progetto si propone dunque l’obiettivo di individuare eventuali punti di contatto fra due filoni di ricerca finora affrontati come binari paralleli, il primo coincidente con le richieste maturate dalla situazione sociale dell’epoca e, il secondo riguardante le possibili ripercussioni connesse all’apertura di un nuovo orizzonte culturale. La ritrattistica ha conosciuto nel periodo preso in esame il passaggio da forme ufficiali e borghesi, centrate solo sulla verosimiglianza fisica e su blandi accenni al carattere dell’effigiato, a una concezione rivolta principalmente allo scavo psicologico del personaggio. Tale premessa, che può essere confermata dall’esame del catalogo di singoli autori, non trova però alcun riscontro nella stampa esaminata; gli articoli monografici e le recensioni di mostre rintracciate in “Emporium”, “L’illustrazione Italiana”, “The Studio” e “Die Künst für Alle” hanno infatti portato alla luce un panorama completamente diverso evidenziando continue e mai sanate discrepanze fra l’effettiva produzione degli artisti e quanto veniva poi riportato dalla stampa tanto in termini iconografici che di semplice citazione o descrizione. Nonostante le continue lagnanze sull’arretratezza dell’arte italiana e la proclamata intenzione di aggiornare il gusto artistico del pubblico, i quattro periodici esaminati continuano infatti a propagandare e diffondere quello che si può definire un “tono medio” della pittura, che esclude da recensioni e interventi di vario tipo tanto movimenti come l’impressionismo, il cubismo e il futurismo quanto gli autori europei più aggiornati cui talvolta si accenna solo una volta tramontata l’ondata rivoluzionaria della loro arte e sempre limitatamente alle opere meno eversive. Dal punto di vista della ritrattistica si assiste dunque a una sorta di silenzioso passaggio dal solido realismo ottocentesco alle forme pacate e immobili di Novecento, tendenza cui sembrano uniformarsi tutti i pittori italiani del nuovo secolo. La ripresa di interesse verso la rappresentazione della figura umana che contraddistingue il gruppo milanese non ha comportato, purtroppo, un effettivo aumento di ritratti riproponendo anzi le problematiche già osservate per i decenni precedenti poiché alla labilità del confine fra ritratto e pittura di genere viene a sostituirsi quella fra ritratto e semplice rappresentazione di figure per le quali non è sempre possibile stabilire il riferimento a fisionomie e caratteri individuali. Quanto fin qui osservato ha avuto come conseguenza la revisione nell’impostazione del presente lavoro in cui il mancato sviluppo di alcune parti è compensato dall’ampliamento dell’orizzonte geografico di riferimento dal momento che tanto nelle appendici poste a margine della tesi quanto nella sua prima parte sono stati inseriti autori dell’intera Penisola e stranieri allo scopo di ricostruire il panorama storico-artistico e critico del periodo considerato. Dal punto di vista operativo, dunque, i capitoli seguono una scansione temporale su base quinquennale: all’interno di ognuno è stato analizzato ogni singolo anno partendo dall’iniziale confronto fra i periodici italiani e ampliando poi la visuale su quanto pubblicato dalle riviste straniere, fonte utilizzata soprattutto dal punto di vista dell’apparato iconografico presente. La sporadica presenza di monografie dedicate ad artisti che hanno svolto principalmente l’attività di ritrattisti (presenti per lo più su “Emporium”) ha fatto sì che l’attenzione si concentrasse sulla posizione assunta dai vari critici rispetto alle mostre recensite, messe fra l’altro a confronto con i cataloghi delle esposizioni stesse nel caso delle biennali veneziane e di eventi come la mostra del ritratto di Firenze del 1911, quella dell’Autoritratto organizzata dalla Famiglia Artistica di Milano nel 1916 e quella del Ritratto femminile contemporaneo ospitata nella villa Reale di Monza nel 1924. La marginalità di cui ha costantemente sofferto il filone pittorico cui ci si è dedicati si riverbera, naturalmente, su una presenza sporadica e poco significativa degli artisti veneto-giuliani ai quali, comunque, è interamente dedicato il catalogo in cui è organizzata la seconda parte della tesi. Basato sulle ricorrenze dei pittori nelle riviste esaminate, il catalogo segue la scansione in sezioni distribuite a seconda della tipologia di ritratto cui appartengono, cominciando da quelli di singoli personaggi (a loro volta distinti fra ritratti muliebri, virili e effigi di critici d’arte), ritratti di gruppo, ritratti di artisti e autoritratti, sezione quest’ultima che vede l’inclusione delle opere facenti parte della collezione di autoritratti della Galleria degli Uffizi, assunta come evidente certificato di importanza dell’autore cui l’opera è stata richiesta o da cui è stata donata. Ogni sezione è aperta da una breve introduzione che prevede, per la parte degli autoritratti, il riferimento ai più recenti studi inerenti la relazione fra arte e psicanalisi, anche in virtù del fatto che la destinazione eminentemente privata di questi lavori consentiva all’autore una maggiore libertà stilistica e un più sincero dialogo con il proprio modello. Il lavoro di tesi è completato dal catalogo delle opere ritenute più significative per ciascuna sezione e dalle appendici critiche tratte da “Emporium” e “L’Illustrazione Italiana”.
XXIII Ciclo
1978
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36

De, Bortoli Marco. "Studio della tossicità da palitossina e composti analoghi mediante modelli in vitro e in vivo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4502.

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Abstract:
2009/2010
La Palitossina (PLTX), una delle biotossine marine più tossiche finora note, è saltata agli onori della cronaca in seguito al suo frequente rilevamento in campioni di una microalga tropicale, Ostreopsis ovata, ormai diffusa anche in Mar Mediterraneo, dove sono stati segnalati più volte problemi respiratori in concomitanza alla sua presenza. La tossina è stata rilevata anche in molluschi ed altri prodotti ittici, che possono fungere da vettori per l’ultimo anello della catena alimentare, l’uomo. Poiché in paesi tropicali sono stati segnalati casi di intossicazione gravi, anche letali, in seguito all’ingestione di pesci e crostacei contaminati con PLTXs, si rende necessario monitorare la presenza di questi composti nei prodotti ittici e/o nelle microalghe produttrici, anche in assenza di una legislazione in merito. All’inizio di questo lavoro erano disponibili solo pochi dati relativi alla tossicità acuta di questo composto, spesso purificato con protocolli non perfezionati. Poiché anche i dati clinici disponibili non permettevano un’esatta definizione dell’Acute Reference Dose (ARfD), necessaria per determinare i livelli massimi di tossina ammissibili nei prodotti ittici, si è deciso inizialmente di studiare la tossicità acuta della PLTX (e di un analogo 42-OH-PLTX) dopo somministrazione orale nel topo. I sintomi e le analisi cliniche condotte sui topi hanno indicato un coinvolgimento del sistema neuromuscolare. Questo studio, insieme ad altri pubblicati nel frattempo, hanno permesso agli esperti dell’EFSA di definire la concentrazione di 30 μg di tossina per Kg di polpa di molluschi quale livello al di sopra del quale si possano manifestare effetti tossici nell’uomo. Si è proceduto poi alla messa a punto di due saggi per la determinazione di questi composti: un saggio strutturale di tipo ELISA ed uno funzionale, il saggio emolitico. Il saggio ELISA (sandwich indiretto) è stato messo a punto utilizzando l’anticorpo monoclonale 73D3, e un anticorpo policlonale di coniglio prodotto presso l’Università di Trieste. Il saggio rileva la PLTX in un range di concentrazioni che vanno da 1,25 a 40 ng/ml ed è in grado di quantificare con la stessa sensibilità anche la 42-OH-PLTX, isolata e caratterizzata dal punto di vista chimico durante questo periodo di dottorato dal gruppo del prof. E. Fattorusso (Università di Napoli Federico II), in un campione di palitossina gentilmente fornitoci dal dr. M. Poli (Maryland, USA). Il saggio ELISA è in grado di rilevare anche l’Ostreocina-d, un altro analogo della PLTX, ma a concentrazioni maggiori rispetto a quelle della PLTX (³40 ng/ml). Il mancato rilevamento di acido okadaico, acido domoico, brevetossina-3, saxitossina e yessotossina (tossine che possono essere presenti insieme alla PLTX nei prodotti ittici contaminati) indica la specificità del saggio. Siamo poi passati alla messa a punto del saggio emolitico, ampiamente usato in letteratura per il rilevamento di PLTX e di composti palitossino-simili. Questo saggio sfrutta la capacità della tossina di indurre emolisi tardiva probabilmente tramite l’alterazione della Na+/K+-ATPAasi (NAKA). In letteratura, però, non è disponibile un protocollo standardizzato e la variabilità dei risultati riportati è notevole. Si è pertanto proceduto a realizzare il saggio emolitico, esplorando le variabili che ne influenzano la performance, ottenendo una EC50 = 13,2 pM per la PLTX. Gli anticorpi monoclonale e policlonale anti-PLTX hanno inibito con equa potenza l’emolisi indotta da PLTX e possono quindi essere usati per verificare la specificità dell’emolisi in campioni incogniti. Dopo aver verificato che anche la 42-OH-PLTX condividesse lo stesso recettore della PLTX mediante un saggio di binding indiretto alla NAKA (EC50 di 28.2 nM e 29.4 nM rispettivamente per 42-OH-PLTX e PLTX), è stato eseguito il saggio emolitico anche sulla 42-OH-PLTX, ottenendo dei risultati analoghi (EC50 = 7.6 pM) a quelli della PLTX. Nell’ottica di un utilizzo di questo saggio in situazioni di monitoraggio si è valutata la possibilità di ridurre i suoi tempi di esecuzione e in tal senso, cambiando la concentrazione salina della soluzione tampone al 62 % di quella normale, si è riusciti a ridurre il tempo di incubazione di 4 volte (1 h anziché 4 h). La curva concentrazione-risposta ottenuta dopo incubazione di 1 h con la PLTX in tampone al 62 % è risultata perfettamente sovrapponibile a quella ottenuta dopo 4 h di incubazione della tossina in tampone 100%. Al contrario, nessuna delle concentrazioni di PLTX testate ha dato emolisi dopo incubazione di 1 h della tossina in tampone 100%. Questo aspetto è particolarmente interessante perché permetterebbe di distinguere l’emolisi dovuta a palitossina da una emolisi aspecifica, semplicemente conducendo il saggio in 1 ora in parallelo nei due tamponi 62 % e 100 %, evitando l’uso di anticorpi anti-PLTX. In particolare, nel caso di un campione ignoto che dia emolisi in PBS al 62 % e non in PBS al 100 %, il risultato fornirebbe un primo indizio della presenza di palitossina, da confermare con metodi di riferimento (LC-MS). Se invece l’emolisi avviene ad entrambe le concentrazioni di PBS, dopo incubazione per 1 ora, essa potrebbe dipendere da un’azione aspecifica non imputabile alla sola palitossina. La presenza di una proliferazione massiccia (6.700.000 di cellule/litro) di Ostreospis cf. ovata nel Golfo di Trieste, ci ha permesso di utilizzare gli anticorpi monoclonale e policlonale per la localizzazione immunocitochimica delle tossine nelle singole cellule di microalghe. Per la prima volta è stata così visualizzata la presenza delle palitossine in cellule di Ostreopsis cf. ovata, che risultano distribuite in tutto il citoplasma. La positività per le tossine è stata verificata in tutte le cellule di Ostreopsis analizzate, mentre nessuna cellule di Coolia monotis osservate è risultata positiva, a conferma della specificità verso la PLTX del segnale degli anticorpi. L’analisi HR LCMS ha evidenziato la presenza di ovatossine-a, -b, -c, -d/-e, con una forte prevalenza di ovatossinaa (circa 80%, 45-64 pg/cellula), mentre per la prima volta in un campione naturale non è stata rilevata la presenza di PLTX. Questi risultati ci hanno permesso di concludere che entrambi gli anticorpi utilizzati sono in grado di riconoscere anche le ovatossine, analoghi della palitossina preponderanti nel Mar Mediterraneo. Inoltre, la tecnica immunocitochimica eseguita direttamente sulle microalghe potrebbe permettere un’allerta precoce della presenza di palitossine, ad esempio prima del loro ingresso/accumulo nella catena alimentare, evitando eventuali problemi per la salute pubblica. Un altro approccio per il rilevamento della tossina è stato fatto utilizzando la spettroscopia Raman. La palitossina (il cui spettro Raman è stato qui registrato per la prima volta) è stata ricercata in singole cellule di Ostreospis, depigmentate con acetone-esano 1:1. Non sono stati riscontrati segnali univocamente attribuibili alle palitossine negli spettri Raman di Ostreopsis, probabilmente a causa della loro uniforme diffusione citoplasmatica, come visualizzato in immunocitochimica. Nelle cellule non depigmentate con acetone:esano 1:1 è stata confermata le presenza del carotenoide peridinina. L’analisi Raman di cellule in coltura di Ostreopsis cf. ovata nelle diverse fasi di crescita ha evidenziato forti segnali associabili ad acidi grassi polinsaturi, già riscontrati in Ostreopsis cf. ovata con altre tecniche. L’analisi HR LC-MS delle cellule in coltura nelle varie fasi di crescita ha mostrato, analogamente alle relative popolazioni naturali, un elevato contenuto di ovatossina-a (circa 55%, 7.5–19.7 pg/cellula) e minori quantità di altre ovatossine, con la palitossina presente in tracce (< 0,1 pg/cellula). Si è osservato che il contenuto di tossine aumenta con l’età della coltura, con le cellule in fase senescente (giorno 25 dall’avvio della coltura) contenenti circa il doppio di tossina delle cellule in fase stazionaria (giorno 18). Quindi, analogamente a quanto si verifica per altri metaboliti secondari negli organismi vegetali, l’accumulo di queste tossine raggiunge il massimo generalmente verso la fine del ciclo vitale.
XXIII Ciclo
1983
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37

Millo, Giovanni. "Some economic aspects of insurance." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3505.

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Abstract:
2008/2009
This dissertation is based on three papers concerning aspects of insurance market development, analyzed in the light of the economic function of insurance and with the methodological tools of Econometrics and based on evidence from Italy. The first deals with the development of the non-life market, the second analyzes the life market and the third a particular facet of, again, non-life: the influence of the legal environment. The abstracts for the three papers follow. In the first, we analyze the consumption of non-life insurance across 103 Italian provinces in 1998-2002 in order to assess its determinants, in the light of the empirical literature. Using sub-regional data we overcome an important limitation of cross-country analyses, i.e. the systemic heterogeneity due to country-specific characteristics. Individual heterogeneity is accounted for through panel data techniques. However, considering spatial units within a single market raises issues of cross-sectional or spatial dependence, either due to common nation-wide and/or regional factors or to spatial proximity. We carefully assess spatial dependence, employing recent diagnostic tests, finding out that the regressors included in our specification successfully account for spatial dependence. Insurance turns out to depend on income, wealth and some demographics, as already established, but also on trust, judicial efficiency and borrowing conditions. This finding helps in explaining the gap between Central-Northern Italy and the South of the country. In the second we analyze the consumption of life insurance across 103 Italian provinces in 1996-2002. Cross-country analyses of insurance development have suffered from the presence of too many idiosyncratic country-level determinants (like legal system, social security, taxation or inflation history). Panel studies in the field suffer from the curse of dimensionality as well. A regional analysis of Italy, a notoriously very diverse country, provides an environment with less unobserved heterogeneity while retaining a fair amount of variance in income, demographics etc.. An- other limitation of cross-country studies of life insurance, the difficulty of observing prices, may be overcome as average policy loadings tend to be uniform across regions. On the converse, a regional study raises issues of cross-sectional dependence, either due to common nationwide factors or to spatial proximity. We control for unobserved heterogeneity through macroregional and time fixed effects. We develop a new spatial random effects model including both spatial lags of the dependent variable and spatial and serial correlation in the errors; we estimate it by maximum likelihood through an algorythm implemented in the R language. Life insurance turns out to depend on economic development, savings and some demographics, as expected, but also on the general level of trust and the density of the distribution network. Life insurance is negatively correlated with education, supporting the view that better education fosters financial risk taking. In the third, we start from the consideration that civil trials take far too long in Italy compared to other countries. Inefficiency of civil law in enforcing property rights is recognized as a limiting factor for economic development at large and for that of financial markets in particular. Of the three main elements of judicial inefficiency: unfair judgment, costly procedures and lengthy procedures, we concentrate on the third analyzing its relevance for the insurance contract. We contend that the duration of civil trials is an important obstacle to non-life insurance, because it reduces the present value of the contingent claim held by the insured in case of litigation. Thus we expect non-life insurance consumption to be lower, all other things being equal, where judicial procedures are slower. We test our hypothesis on two datasets: a provincial panel dataset for the years 1998-2002 and a household survey comprising three waves for the years 1989, 1991 and 1993. We estimate a number of alternative specifications on the aggregate data, and probit and tobit models on household data, finding significant negative effects of judicial inefficiency on insurance consumption in both settings. We conclude that the excessive length of civil trials is a depressing factor for the development of the Italian non-life insurance market.
Questa tesi si basa su tre articoli riguardanti aspetti dello svilupo del mercato assicurativo, analizzato alla luce della funzione economica dell’assicurazione e con gli strumenti metodologici dell’Econometria, sulla base di dati italiani. Il primo si occupa dello sviluppo del mercato non-vita, il secondo analizza il mercato vita e il terzo un particolare aspetto del non-vita: l’influsso dell’ambiente legale. Nel primo articolo analizziamo il consumo di assicurazione non-vita in 103 province italiane nel 1998-2002 allo scopo di stabilirne le determinanti, alla luce della letteratura empirica. Usando dati provinciali superiamo un’importante limite degli studi sui paesi:l’eterogeneità sistemica. Teniamo conto di quella individuale tramite tecniche per dati panel. Comunque, considerare unità spaziali entro un singolomercato dà luogo a problemi di dipendenza sezionale o spaziale, dovuta a fattori comuni o alla prossimità nello spazio. Controlliamo la dipendenza spaziale per mezzo di recenti test diagnostici, scoprendo che i regressori da noi inclusi nella specificazione cntrollano efficacemente la dipendenza spaziale. Ne risulta che l’assicurazione dipende dal reddito, dalla ricchezza e da variabili demografiche, come già noto, ma anche dal livello di fiducia nel prossimo, dall’efficienza del sistema giudiziario e dalle condizioni del mercato del credito. Questi risultati aiutano a spiegare il divario tra il Centro-Nord e il Sud del paese. Nel secondo lavoro analizziamo il consumo di assicurazione vita in 103 province italiane nel 1996-2001. Le analisi sezionali su paesi dello sviluppo assicurativo hanno sofferto della presenza di troppi elementi idiosincratici (il sistema legale, quello di sicurezza sociale, quello fiscale o la storia inflazionistica). Anche le analisi panel soffrono del problema delle variabili incidentali. Un’analisi regionale dell’Italia, paese notoriamente vario, offre un ambiente con meno eterogeneità mantenendo una buona variabilità nelle caratteristiche osservabili. Un’ulteriore limitazione degli studi sui paesi, la difficoltà nel definire e nell’osservare i prezzi, viene superata constatando che gli stessi sono uniformi a livello nazionale. D’altra parte, uno studio regionale pone prob- lemi di dipendenza sezionale dovuta a fattori comuni o alla prossimità nello spazio. Controlliamo per l’eterogeneità non osservabile mediante effetti fissi macroregionali e temporali. Sviluppiamo un nuovo modello a effetti random comprendente sia ritardi spaziali della variabile dipendente che correlazione seriale e spaziale negli errori. Lo stimiamo a massima verosimiglianza tramite un algoritmo implementato nel linguaggio R. L’assicurazione vita risulta dipendere dallo sviluppo economico, dal risparmio e da alcune variabili demografiche, come ci si attendeva, ma anche dal livello generale di fiducia e dalla densità della rete agenziale. L’assicurazione vita è negativamente correlata con il livello di educazione, supportando l’ipotesi che una maggiore educazione aumenti la propensione al rischio finanziario. Nel terzo partiamo dalla constatazione che i processi civili sono troppo lunghi in Italia rispetto agli altri paesi. L’inefficienza della giustizia civile nel far valere i diritti di proprietà è riconosciuta come un fattore limitante per lo sviluppo economico in generale e per quello finanziario in particolare. Dei tre elementi del’inefficienza giuridica: giustizia, costo e tempo dei procedimenti, ci concentriamo sul terzo analizzando la sua rilevanza per il contratto assicurativo. Sosteniamo che la durata dei processi civili è un importante ostacolo per l’assicurazione non-vita, in quanto riduce il valore attuale del diritto condizionato detenuto dall’assicurato nel caso si vada in giudizio. Pertanto ci aspettiamo che a parità di altre condizioni il consumo di assicurazione sia minore dove le procedure giudiziarie sono più lente. Testiamo la nostra ipotesi su due basi dati: una provinciale relativa agli anni 1998-2002 e un’indagine campionaria sulle famiglie comprendente le tre ondate 1989,1991 e 1993. Stimiamo varie specificazioni alternative sui dati aggregati e modelli probit e tobit sui dati micro, trovando un significativo effetto negativo dell’ineficienza giudiziaria sul consumo di assicurazione in entrambi i casi. Ne concludiamo che l’eccessiva lunghezza dei processi civili deprime lo sviluppo del mercato assicurativo non-vita in Italia.
XXII Ciclo
1970
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38

Zanetti, Michelangelo. "Architetture di scarto. Riciclaggio e progetto da drop city a lot-ek." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3493.

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Abstract:
2008/2009
La pratica del riciclaggio, inteso come lavoro volto alla reinterpretazione creativa del già costruito nella composizione, occupa oggi un ruolo di primo piano, in ragione del rilievo che assume la questione della cosiddetta sostenibilità. Il fenomeno del “riciclaggio”, che negli ultimi anni ha interessato altri ambiti disciplinari oltre l’ecologia, costituisce una stimolante opportunità per ripensare il progetto di architettura a tutte le scale, da quella del singolo manufatto a quella del paesaggio. L’esplorazione, condotta su un campione di progetti esemplificativo delle varie esperienze che ho considerato, è circoscritta all’Occidente industrializzato; nel settore delle costruzioni del Terzo e Quarto mondo, infatti, il riciclaggio, prassi ampiamente consolidata, determinata essenzialmente da fattori economici, si distingue nettamente da pratiche analoghe condotte nei paesi più sviluppati, in cui sono presenti ulteriori istanze di natura etica o estetica. Attraverso esplorazioni teoriche di progetti e opere realizzate, la ricerca intende verificare quelle che sono le possibilità e gli eventuali vantaggi offerti dal ricorso alla pratica del riciclaggio nell’architettura della città e del paesaggio – relativamente ai contesti europeo e nord-americano e nell’arco di tempo degli ultimi quarant’anni (1968 – 2008).
XXII Ciclo
1974
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39

Bieker, Chiara Maria. "Letteratura e tradizione classica a Trieste e nella Venezia - Giulia: il fondo Therianò della Biblioteca Civica di Trieste." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4563.

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Abstract:
2009/2010
Il lavoro propone la ricostruzione della biografia, della biblioteca e della personalità di studioso di Dionysios Therianòs (Zante 1834-Trieste 1897). Il primo capitolo, di ricostruzione biografica, apporta contenuti inediti per quanto concerne la storia familiare e i primi anni di formazione del giornalista greco. Nel secondo capitolo, muovendo da una ricognizione completa del registro d’ingresso del lascito librario ora conservato nella Biblioteca Civica “A. Hortis” di Trieste, sono editate per la prima volta tutte le voci relative all’ambito delle lettere classiche, delle quali si dà anche un’analisi biblioteconomica. L’ultimo capitolo suggerisce una valutazione della figura intellettuale di Therianòs attraverso lo studio di tre esempi concreti dell’uso che egli fece di paradigmi della storia della letteratura antica nel contesto dello sviluppo del pensiero socio-politico moderno, relativamente a tre questioni puntuali che impegnavano gli studiosi coevi: le riflessioni attorno alla semantica del termine ‘ellenismo’; il giudizio sulla qualità della letteratura latina; l’atteggiamento nei confronti della letteratura bizantina.
XXIII Ciclo
1981
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40

Berto, Raul. "La salvaguardia ambientale in edilizia.Verifica della metodologia LCA attraverso l'applicazione a un caso di studio.Analisi critica e contributi per un possibile sviluppo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11014.

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Abstract:
2013/2014
A partire dallo studio della nascita e dello sviluppo delle riflessioni intorno alle questioni ambientali, nell’ambito del presente lavoro sono stati affrontati i temi relativi alla sostenibilità nel settore dell’edilizia introducendo l’approccio life cycle thinking e in particolare la metodologia life cycle assessment LCA. Dopo aver studiato la metodologia LCA a partire dalle sue origini e sviluppo fino alla sua codificazione, sono state illustrate le principali applicazioni di tale strumento. La parte successiva ha riguardato l’applicazione della metodologia ad un caso di studio rappresentato dai pannelli Cross Laminated Timber CLT prodotti dall’azienda Diemme Legno snc di Pontebba. In seguito all’applicazione della metodologia LCA al caso di studio è stata condotta un’analisi critica che ha permesso una migliore individuazione di pregi e criticità della stessa, soprattutto in riferimento al relativo utilizzo nell’ambito di materiali, prodotti e organismi edilizi. Quindi, sono stati analizzati passo passo tutti gli aspetti principali legati ad ogni fase della metodologia e dagli esiti di questa analisi è stato possibile individuare dei possibili ambiti di sviluppo della stessa. In particolare, essendo l’interpretazione dei potenziali impatti ambientali possibile solo attraverso la comparazione, è stata avanzata una proposta volta alla definizione di un sistema utile per poter definire dei livelli prestazionali, o benchmark, che permetta una contestualizzazione dei risultati degli studi LCA. Tali benchmark sono definiti per prodotto edilizio e in virtù del sistema proposto, sono continuamente aggiornati in funzione dell’evolversi del contesto tecnologico e ambientale. Tramite l’utilizzo dei benchmark inoltre, i progettisti potranno interpretare in modo più chiaro i risultati di studi LCA e quindi effettuare scelte ecologicamente consapevoli.
XXVII Ciclo
1988
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41

Coradazzi, Marino. "Regolazione monoaminergica della neurogenesi ippocampale adulta e dell' apprendimento spaziale." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3662.

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Abstract:
2008/2009
I neuroni del Locus Coeruleus (LC) sono la principale fonte di innervazione noradrenergica del sistema nervoso centrale. Le fibre ascendenti innervano principalmente l’ippocampo e la neocorteccia mentre quelle discendenti innervano diffusamente tutti i livelli del midollo spinale. Le fibre discendenti determinano un aumento tonico dell’eccitabilità motoneuronale da un lato e la regolazione delle afferenze sensoriali dall’altra. Le fibre ascendenti sembrano invece essere coinvolte in diversi processi, dalla regolazione dell’attività cardiovascolare e respiratoria alla regolazione di anche complesse come quelle cognitive. Nel corso degli ultimi decenni le funzioni del sistema noradrenergico sono state investigate attraverso approcci di lesone mediante neurotossine. Tuttavia nessuna di esse si è dimostrata selettiva per i neuroni noradrenergci. La recente introduzione dell’immunotossina anti-DBH-saporin (αDBHsap), che nel ratto adulto è stata vista indurre deplezioni pressoché complete e selettive dei neuroni noradrenergici del LC, ha rappresentato un utile strumento per lo studio di tale sistema. Nella presente serie di esperimenti si è voluto testare l’efficacia e la selettività della lesione mediante αDBHsap in animali immaturi. Ciò per osservare gli effetti della rimozione di questi neuroni in un sistema ancora in via di sviluppo, e quindi caratterizzato da una notevole plasticità intrinseca, e per esplorare il possibile ruolo del sistema noradrenergico nello sviluppo delle abilità cognitive. Negli studi iniziali sono stati valutati gli effetti della somministrazione intracerebroventricolare di dosi crescenti di αDBHsap ad animali nei primi giorni dopo la nascita. Si è osservato come la tossina, anche a dosi molto elevate, non abbia effetti su altri tipi neuronali (es. colinergici, adrenergici, serotoninergici e dopaminergici), e venga generalmente ben tollerata dagli animali. La lesione comunque porta ad una riduzione marcata e dose dipendente dell’innervazione noradrenergica sia nelle strutture superiori sia nel midollo spinale. Alla dose ottimale (0.5μg), questa riduzione dell’innervazione è pressoché totale, e rimane invariata fino a 40 settimane post-lesione. In contrasto, dosi più basse della tossina (0.25 µg) determinavano deplezioni più modeste a 5 settimane che apparivano recuperare siignificativamente nel lungo termine. Sono stati infatti osservati marcati fenomeni di sprouting assonale nelle fibre noradrenergiche discendenti tali da ripristinare quasi interamente l’innervazione noradrenergica spinale . In uno studio parallelo, lo stesso approccio di lesione è stato impiegato per investigare il contributo noradrenergico allo sviluppo delle abilità cognitive. Utilizzando test di apprendimento e memoria spaziali, quali il Morris Water Maze ed il Radial Arm Water Maze per valutare le funzioni di Reference e Working Memory in gruppi di controllo e di lesionati, sono stati osservati chiari deficit nella memoria di lavoro (Working Memory), mentre gli iniziali deficit di acquisizione nel reference memory test si risolvevano con l’addestramento. Deficit simili, anche se meno marcati, venivano osservati anche in animali con lesioni somministrate in età adulta. In un altro studio si è voluto anche investigare la possibilità di interazioni funzionali tra il sistema noradrenergico ed il sistema colinergico ascendente, anch’esso fortemente implicato nei processi di apprendimento e memoria. Come atteso, lesionando simultaneamente i due sistemi neurotrasmettitoriali in animali neonati si ottenevano deficit di memoria spaziale superiori a quelli ottenibili lesionando ciascun sistema separatamente. Ciò indica un’importante interazione tra il sistema noradrenergico e quello colinergico nella regolazione delle abilità cognitive e del loro sviluppo. Strettamente correlato ai processi di apprendimento e memoria è anche il processo di formazione di nuovi neuroni nel giro dentato dell’ippocampo. Tale possibilità è stata investigata in animali con lesione singola e/o doppia. I risultati non hanno rivelato differenze tra i gruppi nel numero totale dei neuroni in grado di sopravvivere per 3 settimane post-lesione. Tuttavia è stata osservata una una significativa eterogeneità nei pattern di presentazione cellulare dell’immunoreattivita per la Bromo-Deossiuridina. Alla localizzazione prevalentemente nucleare nei soggetti di controllo, si contrapponeva quella nucleare puntiforme o citoplasmatica nei soggetti sottoposti a lesione noradrenergica e/o colinergica neonatale. Il modello di deplezione noradrenergica neonatale, è stato inoltre utilizzato per valutare le capacità di sopravvivenza, sviluppo ed integrazione di precursori neuronali noradrenergici dopo impianto nel midollo spinale deafferentato. I risultati hanno mostrato una notevole capacità dei neuroblasti impiantati di ristabilire quasi completamente l’innervazione noradrenergica nelle regioni terminali deplete, con un grado di accuratezza superiore a quello riportato in precedenza dopo trapianto in soggetti adulti lesionati con altre procedure. Nel loro complesso, i risultati della presente tesi mettono in evidenza la grande importanza funzionale del sistema noradrenergico, in grado di regolare attività funzionalmente ed anatomicamente differenti. La possibilità di rimuovere selettivamente tale sistema, diversificando l’efficacia della deafferentazione risultante, rendo inoltre l’approccio di lesione immunotossica neonatale particolarmente indicato per studi mirati all’analisi delle potenzialità plastiche del sistema noradrenergico in via di sviluppo e anche per investigare la possibilità di restituzione funzionale dopo impianto di precursori noradrenergici.
XXII Ciclo
1981
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42

Verri, Marko. "Puntualizzazioni monumentali: elementi decorativi e piccole architetture nell'opera di Jože Plečnik." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4518.

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Abstract:
2009/2010
Nel 2007 ricorreva il cinquantenario della morte dell’architetto sloveno Jože Plečnik (1872 - 1957), figura discussa e controversa all’interno di un panorama architettonico e culturale in rapido e radicale mutamento. Si tratta di un artista attorno alla cui presa di posizione nei confronti dell’architettura si è spesso discusso, e proprio in questi anni si è tornato a discuterne in occasione della ricorrenza dell’anniversario della sua morte. Soprattutto in Slovenia, dove il 2007 è stato eletto ad “anno di Plečnik”, sono stati organizzati dibattiti e convegni e sono state edite alcune nuove pubblicazioni sull’architetto e la sua opera. L’opinione pubblica ha accettato Plečnik come il maggiore architetto sloveno di tutti i tempi, ma tuttavia “la teoretica e la storia dell’architettura non riescono ancora a inquadrarne in maniera coerente l’operato”1. Geniale interprete di forme antiche, rappresenta comunque con i suoi lavori, sviluppati soprattutto attorno alle città di Vienna, Praga e Lubiana, un personaggio di assoluto rilievo nel panorama architettonico e culturale sloveno ed europeo. Le sue ferme convinzioni in merito al ruolo dell’architetto e della sua arte, hanno portato a interpretazioni differenti riguardo la sua opera e spaziano dalla sfera mistica a quella di origine formalista, da quella storicista a quella classicista, da quella espressionismta2 a quella del modernismo. Non è obiettivo della presente tesi risolvere tale questione, piuttosto si è interessati alla lettura dell’opera dell’architetto sloveno in relazione a una parte del suo lavoro meno nota e meno indagata. Molto del materiale bibliografico inerente la sua opera riguarda infatti analisi e studi sul tema delle sue grandi architetture monumentali e del loro ruolo rivestito all’interno di un’ottica di trasformazione urbana ad esse legata o delle varie innovative varianti sul tema dell’architettura sacra. La bibliografia attorno all’opera di Plečnik è sufficientemente ricca per quanto riguarda questi argomenti, benché la maggior parte degli scritti sia edita in lingua slovena o ceca. Il materiale tradotto in altre lingue non è molto. inoltre va specificato che non esiste ancora un “opera omnia” sull’opera di Plečnik che contenga non solo la ingente quantità di architetture realizzate, ma anche le moltissime idee progettuali per soluzioni a temi mai realizzati. Nel corso della sua vita infatti, l’architetto sloveno progetta instancabilmente, riesce a seguire la realizzazione dei lavori e continuamente riflette su nuove soluzioni possibili e su nuove interpretazioni delle forme classiche, disegnando spesso ciò che gli viene in mente. Particolarmente ricca è infatti la collezione dei suoi disegni presso l’archivio del Museo di architettura e design di Lubiana. La mancanza di una pubblicazione che ne raccolga il prezioso materiale, è indice di quanto l’opera dell’architetto sloveno sia in parte relegata a un ambito marginale rispetto al panorama europeo, limitandosi a rivestire un ruolo quasi meramente locale. Ciò pare andare in contrasto con quanto invece è quello che Plečnik persegue attraverso l’architettura, ovvero qualcosa che è molto di più e va ben oltre la ricerca di un’architettura che sia meramente “locale” o “regionale”. Egli, di fatto, persegue l’idea di un’architettura o meglio di un metodo progettuale “universale”, ma non intessa come ricerca di uno stile o di un determinato materiale, bensì conseguita attraverso la volontà di creare una particolare “atmosfera”, un particolare “effetto” che ogni luogo è in grado di assumere attraverso l’architettura. Per conseguire tale fine egli è convinto della necessità del dover partire da elementi originari dell’architettura che non siano stati ancora “contaminati” o naturalizzati, perché solo attraverso essi sarà possibile reinventarli in una nuova condizione estetica che riesca a dar forma a una particolare atmosfera. Egli trova tali elementi primari nell’architettura classica e antica ed è proprio da qui che hanno origine le sue riflessioni attorno alle possibili reinterpretazioni delle forme e degli elementi antichi. Tali riflessioni vengono trasposte su carta in forma di schizzi e disegni. Plečnik infatti non scrive alcun trattato teorico e ritiene che le questioni teoriche debbano essere chiarite e presentate attraverso il progetto e la realizzazione, attraverso l’architettura. Le uniche frasi scritte di su pugno sono presenti all’interno della sua corrispondenza con amici, parenti e collaboratori. Il fatto, però, che non esista ancora un’opera completa riguardo l’ingente quantità di progetti, realizzati e non, dall’architetto sloveno, né tantomeno una completa edizione di tutta la sua corrispondenza, rappresenta in modo evidente il fatto che vi sia ancora molto da studiare attorno alla figura di Plečnik Obiettivo del presente lavoro vuole essere infatti quello di andare ad aggiungere un contributo all’analisi e alla presentazione di alcuni progetti dell’opera di Plečnik mai particolarmente approfondita. Si tratta infatti di una raccolta delle piccole architetture realizzate e progettate dal maestro sloveno che sono parte integrante del suo operato. Plečnik è infatti particolarmente legato al tema del “piccolo”, del “minuto” e se ne occupa infatti costantemente nel corso della sua vita. In ogni progetto egli cura anche il minimo dettaglio, compresi gli elementi d’arredo, per una progettazione che spazia “dal cucchiaio alla città”. Parallelamente alla progettazione dei grandi edifici pubblici o privati, egli progetta infatti anche un’ingente quantità di architetture “in scala ridotta”. Nella maggior parte dei casi si tratta di opere dall’importante significato simbolico e monumentale come ad esempio i monumenti ai caduti o opere di architettura sepolcrale, in altri casi invece, si tratta di piccole architetture urbane, al cui importanza all’interno dello spazio urbano stesso si rivela strategica. Vista la grande quantità di opere realizzate dal maestro sloveno, il campo di ricerca si limita a una parte delle piccole opere progettate. Trascurando gli elementi propri dell’architettura interna, i quali di per sé rappresentano un capitolo a sé grazie al vastissimo repertorio di oggetti prodotti da Plečnik e che indubbiamente necessiterebbero di un approfondimento specifico, la ricerca prende in considerazione tutti quegli elementi che fanno parte della sfera architettonica “non abitabile”, a partire dagli elementi primari dell’architettura, quali la colonna o il pilastro, per arrivare a quelle architetture che rappresentano il limite ultimo del tema di ricerca, ovverosia le architetture composte da una solo vano, ma senza offrire una vera e propria condizione “abitabile”, quali piccole edicole o cappelle. A corollario della presentazione della piccole architetture realizzate, vengono presentati anche alcuni disegni originali tratti dall’archivio del Museo di architettura e design di Lubiana, nonché due interviste con due dei massimi studiosi dell'opera di Plečnik.
XXII Ciclo
1976
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43

Kruml, Christina. "La seduzione dell'INvisibile: considerazioni sull'abitare attraverso l'architettura di Josef Frank." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4517.

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Abstract:
2009/2010
La seduzione dell’INvisibile è una ricerca che affronta il tema dell’Abitare secondo un approccio antropologico-filosofico per riflettere e ridefinire questioni attorno al rapporto tra spazio architettonico e corpo umano, ma anche tra intimità domestica e spettacolarità urbana.
Attraverso la poetica degli spazi amati descritti dal filosofo francese Gaston Bachelard - luoghi piccoli e raccolti in cui viene voglia di rannicchiarsi perché «solo chi ha saputo rannicchiarsi sa abitare con intensità” - la casa viene paragonata ad un utero materno che avvolge e protegge il suo abitante e il cui involucro al tempo stesso è una membrana osmotica che permette una comunicazione trasversale tra esterno ed interno, tra pubblico e privato, tra socializzazione ed intimità. Da qui deriva l’intendere la parete come Ge-wand, come sovrapposizione di veli che crea un effetto di trasparenza fenomenica, di profondità spaziale, spessore.
Secondo questo punto di vista dispute come quelle tra ornamento e delitto, forma e funzione, modernità e tradizione, virtuale e reale, trovano qui una riconciliazione: al posto di teorie esclusive si vuole lasciare spazio all’INclusione, alla molti-plica-zione delle relazioni e possibilità tra i vari termini che si oppongono, dove non esiste l’uno senza l’altro e sono anzi proprio gli intricati intrecci di trama e ordito, i nodi e le piegature, i simboli e gli archetipi, a rendere l’architettura così seducente.
L’applicazione pratica di questi concetti è stata analizzata nell’opera di Josef Frank, architetto viennese vissuto tra il 1885 e il 1967 e figura di primo piano nel panorama internazionale a cavallo tra le due guerre mondiali.
In un mondo incentrato sulla grande dimensione, sull’immagine di effetto e alla moda, a una prima vista l’architettura umile e modesta di Frank non colpisce. Eppure c’è qualcosa che ci incuriosisce, che ci fa pensare che dietro all’apparenza, al visibile, si nasconda un significato più profondo, un INvisibile che fa parte dell’intimità domestica, del valore simbolico dell’abitare. La sua architettura ci invita alla riflessione.
La tesi si compone di due volumi, di cui il secondo costituisce un compendio biografico sull’architetto Josef Frank.
XXII Ciclo
1981
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44

Faudale, Mariangela. "Studio dell'attività antinfiammatoria ed antimicrobica di prodotti vegetai derivati da Hippophae Rhamnoides L. e da Plantago Major L. per il controllo della mastite negli allevamenti biologici." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3522.

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Abstract:
2008/2009
L’attività di ricerca svolta durante l’attività di dottorato si colloca nell’ambito del progetto PhytoVet, finanziato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, volto ad individuare molecole ad attività antinfiammatoria ed antimicrobica, utili nel trattamento della mastite negli animali da reddito. Sono state studiate le proprietà antinfiammatorie ed antimicrobiche dei frutti di Hippophae rhamnoides (olivello spinoso) e delle foglie di Plantago major (piantaggine maggiore), due piante presenti sul territorio regionale. Lo scopo è stato quello di individuare frazioni o composti dotati di tali proprietà da utilizzare nella preparazione di formulazioni per il trattamento della mastite bovina anche negli allevamenti biologici. Il regolamento comunitario CE 1804/99 ha, infatti, introdotto il divieto dell’utilizzo di farmaci allopatici e i successivi interventi sulla normativa hanno confermato il provvedimento. Da qui è nata la necessità di prendere in considerazione metodi alternativi di cura. I frutti di olivello spinoso e le foglie di piantaggine maggiore sono stati sottoposti sia ad estrazioni con solventi organici a diversa polarità, che ad estrazioni acquose. Seguendo il metodo del frazionamento guidato dal saggio biologico, sono state analizzate le capacità antinfiammatorie ed antimicrobiche degli estratti ottenuti e solo quelli risultati attivi sono stati poi frazionati fino ad identificare i composti responsabili di tali attività. Nelle foglie di P. major è stato individuato l’acido ursolico, un triterpene dotato di notevoli proprietà antinfiammatorie ed antimicrobiche, evidenziate rispettivamente mediante il test di inibizione della dermatite da olio di Croton nel padiglione auricolare del topo e mediante saggi in vitro su ceppi microbici coinvolti nella mastite. Verificate tali proprietà, è stata messa a punto una formulazione per somministrazione intramammaria, contenente l’acido ursolico, da sperimentare in vivo negli ovini, a cui è stata indotta la mastite mediante un inoculo di Staphylococcus epidermidis, nei confronti del quale il triterpene ha mostrato una notevole attività battericida nel corso dei precedenti studi in vitro. Lo studio in vivo negli ovini con mastite è tuttora in corso.
XXII Ciclo
1976
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45

Vedovato, Donatella. "Gli impatti attesi derivanti dall'applicazione di una soluzione ICT per i trasporti e la logistica sull'efficenza delle imprese: il caso dell'intelligent cargo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/5366.

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Abstract:
2009/2010
Il presente lavoro si inserisce all’interno dello scenario socio-economico attuale in cui l’informazione, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, inizia a diventare sempre più accessibile e diffusa. Questo ha segnato l’inizio di una nuova era che studiosi e ricercatori definiscono “information society”. Il cambiamento è stato reso possibile grazie alla rapida espansione dell’Information and Communication Technology (ICT) che permette la veloce creazione, raccolta, elaborazione e diffusione delle informazioni (Duncombe e Heeks, 1999). L’economia non rimane immune da questo cambiamento ma, anzi, la knowledge economy diventa la controparte economica dell’information society. L’informazione diviene ancora più importante in ambito economico in quanto, nello stesso periodo, avviene un altro mutamento: una forte disintegrazione della produzione e la necessità di un altrettanto forte integrazione del commercio globale. Le imprese sono quindi chiamate a gestire delle catene globali del valore che diventano sempre più lunghe e tese. Il numero di attori all’interno della rete logistica diventa cospicuo: essi sono chiamati a condividere e a scambiare un elevato numero di informazioni relative ad unico oggetto, ovvero la merce. E’ in questo contesto che l’ICT inizia ad essere utilizzata in modo diffuso nel settore dei trasporti e della logistica merci. L’ICT permette l’aumento della produttività delle imprese, il miglioramento della qualità dei servizi e l’integrazione tra diverse modalità di trasporto con il fine ultimo di aumentare la crescita e lo sviluppo economico. La portata del fenomeno è talmente ampia da sensibilizzare anche le istituzione europee: la Commissione Europea inizia ad intervenire, soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per promuovere l’utilizzo dell’ICT nel settore dei trasporti e della logistica. In particolare, negli ultimi anni l’ICT applicata a questo settore diventa sempre più integrata, web-based, intelligente e trasversale a tutte le modalità di trasporto. Tra i progetti di ricerca applicata promossi dalla Commissione Europea in quest’ambito, una best practice è rappresentata dal progetto appartenente al Settimo Programma Quadro del bando ICT per i trasporti e la logistica, EURIDICE (EURopen Inter-Disciplinary research on Intelligent Cargo for Efficient, safe and environment-friendly logistics). Considerato “star project” da parte della Commissione Europea, il progetto ha l’obiettivo di sviluppare l’”Intelligent Cargo” (IC). Si tratta di un sistema ICT che permette di raccogliere, elaborare e trasmettere informazioni legate al cargo ai diversi players della filiera logistica per tutte le modalità di trasporto. Con l’utilizzo dei sistemi attuali l’informazione è gestita ed elaborata da sistemi proprietari collegati a mezzi di trasporto o alle infrastrutture (es. magazzino) facendo si che spesso flusso fisico ed informativo risultino disgiunti. Le relative informazioni, quando presenti, devono essere trasformate e tradotte per essere accessibili a terzi. Nel caso dell’Intelligent Cargo, invece, le informazioni “viaggiano” con il cargo: è in quest’ottica che un nuovo approccio alla gestione delle informazioni, definito “cargo-centrico” porta benefici sostanziali in grado di superare i limiti citati. Questo è l’aspetto innovativo dell’Intelligent Cargo. Alla data della scrittura della tesi si è sviluppato il prototipo e si è nella fase tecnica di deployment presso otto casi pilota, partner del progetto. E’ in questo quadro socio-economico che si inserisce l’obiettivo della tesi: lo studio degli impatti attesi derivanti da una soluzione ICT per i trasporti e la logistica sull’efficienza delle imprese utilizzatrici. La soluzione ICT è l’Intelligent Cargo sviluppato nel progetto EURIDICE. La motivazione che spinge questo studio è duplice. Da un lato, esso offre informazioni utili sui benefici attesi che serviranno all’impresa innovatrice nella fase di commercializzazione dell’Intelligent Cargo affinchè essa possa appropriarsi dei benefici economici derivanti dalla commercializzazione del prodotto (teoria Profiting From Innovation (PFI), Teece 1986). Il carattere innovativo della soluzione ICT fa si che si possano presentare alcuni rischi in una futura fase di distribuzione. E’ noto anche in letteratura che molte idee brillanti non trovano o non creano un mercato: molte imprese innovatrici non riescono ad appropriarsi dei benefici economici derivanti dalla vendita. Dall’altro, l’esplicitazione dei benefici attesi permetterà alla potenziale impresa utilizzatrice di ridurre l’incertezza sulle conseguenze attese (benefici e rischi) derivanti dall’adozione dell’innovazione (teoria Diffusion of Innovation, Rogers, 2003) e contribuirà quindi nella scelta della sua adozione. Inoltre, l’individuazione dei benefici attesi permetterà di realizzare un benchmark futuro tra essi e i benefici reali realizzando quindi un’analisi dell’investimento ICT ex-post (Paradosso della Produttività; Brynjolfsson, 1993 e Brynjolfsson e Yang, 1996). Per raggiungere l’obiettivo della tesi, si sono indagati i principali indicatori di performance e gli approcci metodologici tradizionalmente utilizzati per valutare l’impatto di un’innovazione ICT per i trasporti e la logistica sull’efficienza delle imprese. Dalla disamina della letteratura sul tema sono emerse due domande di ricerca aperte a cui la tesi intende dare una risposta. Da un lato la letteratura prevalente segnala la mancanza di studi empirici relativi alla valutazione degli impatti derivanti dall’applicazione di un’innovazione ICT per i trasporti e al logistica (Banister e Stead, 2003; Auramo et al. 2005; Pokharel, 2005; Feng e Yuan, 2006). Dall’altro, mancano dei modelli specifici per la valutazione dell’impatto di un’innovazione ICT per i trasporti e la logistica sull’efficienza delle imprese. Eccezione fatta per l’”Intelligent Cargo System Study” condotto nel 2009 da Planung Transport Verkehr AG (PTV) e ECORY che presenta tuttavia, alcune carenze. Appare invece cospicua la letteratura sui modelli di valutazione delle applicazioni ICT anche non innovative a cui si è fatto riferimento nella tesi (letteratura di Logistics management e di Management Information System) ma anche essa dimostra alcuni punti deboli come di seguito spiegato. Dalla disamina di questa letteratura emergono due tipologie di modelli: “Input-Output” e “Input-Process-Output”. La prima tipologia include l’analisi costi-benefici e quella microeconomica: secondo tali modelli un’applicazione ICT determina dei benefici per un’impresa se nel confronto tra input (costi dell’ICT) e output (obiettivi di carattere economico come costi e ricavi), gli output sono superiori agli input. Questi modelli, oltre a non chiarire esattamente che cosa si intenda per input e per output, presentano una visione piuttosto ristretta sulla tipologia di impatti che derivano dall’applicazione dell’ICT. Essi infatti tralasciano tutti quei benefici che l’ICT determina a livello di processo, ovvero ad un livello intermedio tra input ed output. Inoltre, se gli input sono superiori agli output, per questi modelli significa che l’applicazione ICT non è profittevole per l’impresa. Questa conclusione potrebbe non essere veritiera in quanto l’applicazione ICT potrebbe determinare un impatto positivo sui processi ma gli output potrebbero essere influenzati da elementi esterni esogeni all’ICT. Non indagando i processi, i modelli non forniscono gli strumenti necessari per capire se le cause di un andamento negativo degli output sono legate o meno all’applicazione dell’ICT. La seconda tipologia di modelli seguono uno schema logico definito “Input-Process-Output”. A differenza della tipologia precedente, questi modelli esaminano gli impatti delle applicazioni ICT anche a livello di processo. All’interno di questa tipologia si individuano due approcci così definiti: “per singoli impatti” e “con impatti a catena”. Il primo esamina gli impatti, intesi come benefici e barriere, sia a livello di processo che a livello di output. Tuttavia, pone sullo stesso piano impatti di processo e di output e non li lega tra di loro con rapporti di causa-effetto anche quando essi sono chiaramente presenti. Da qui emerge lo svantaggio nell’utilizzare questo approccio: non indica l’esistenza di legami di tipo “causa-effetto” tra impatti di processo e obiettivi dell’impresa anche quando essi sono presenti. Questa criticità è superata nell’approccio “con impatti a catena”. Rientra in questo modello l’approccio seguito nello studio ICSS (2009) in cui si individuano una serie di singoli impatti sia di processo che di output legati tra di loro da rapporti di causa-effetto. Tuttavia, nel modello non sono esplicitate le linee guida da utilizzare per individuare i legami di causa-effetto tra gli impatti: essi sono presentati come una successione estesa di impatti “a cascata”. Il punto critico del modello consiste quindi nella mancanza di linee guida per individuare la logica dei legami di causa-effetto tra gli impatti. Tale mancanza è superata nella letteratura MIS (Management Information System) e, in particolare, dalla metodologia Six Sigma e, nello specifico, da un’applicazione della metodologia nella logistica interna, definita “Metric Linkage Model” di Kapadia et al. (2003). Il modello stabilisce chiaramente le linee guida da seguire per individuare i legami di causa-effetto tra diversi impatti. In particolare, secondo il modello, un qualsiasi input determina dei cambiamenti nei processi interni all’impresa definiti “Working Processes”. Questi mutamenti condizionano i processi che determinano la soddisfazione del cliente, i “Customer Satisfaction Processes” e quindi le relative performance. I cambiamenti in questi processi influenzano il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa (output). Questi legami formano la spina dorsale di tutti i progetti Six Sigma (Kapadia et al., 2003). Tuttavia, questo modello non è stato ancora applicato al settore dei trasporti e della logistica esterna e in relazione ad una specifica applicazione ICT di tipo innovativo. Visto che questo modello supera le mancanze degli approcci metodologici precedentemente indicati, esso è stato adattato per la valutazione degli impatti dell’Intelligent Cargo sull’efficienza delle imprese. Il modello proposto nella tesi è stato definito “Three Pillars’ Model”. Secondo il modello una soluzione ICT innovativa provoca un impatto sui processi interni dell’impresa determinando dei miglioramenti di tipo “operativo” (es. tempo necessario per ottenere un’informazione). Essi causano delle conseguenze di tipo “tattico” (es. servizio al cliente) che si traducono in ritorni economici per l’impresa (es. costi/ricavi). A questi tre “passaggi” logici corrispondono tre tipologie di indicatori di performance legati tra di loro da rapporti di causa-effetto e così definiti: “Parametri di Processo”, “Performance di Processo” ed “Effetti di Business”. Da qui deriva il nome del modello, “Three Pillars’ Model”: le tre tipologie di indicatori rappresentano i “pilastri” della metodologia di valutazione dell’impatto. Il “Parametro di Processo” è un indicatore di performance di tipo operativo direttamente impattato dall’utilizzo dell’Intelligent Cargo. Il cambiamento del Parametro di Processo determina una variazione sul secondo pilastro, le “Performance di Processo”. Esse si distinguono dai Parametri di Processo in quanto non sono direttamente impattate dall’utilizzo dell’Intelligent Cargo, sono l’effetto dell’applicazione di uno o più Parametri di Processo e possono essere condizionate anche da elementi esterni all’applicazione dell’Intelligent Cargo. Esse rappresentano quindi le conseguenze dei Parametri di Processo e indicano un livello di impatto “tattico”. A loro volta, mutamenti nelle Performance di Processo determinano dei cambiamenti nei costi e nei ricavi. Questi sono definiti “Effetti di Business”. Il primo vantaggio nell’utilizzare il “Three Pillars’ Model”, rispetto a quelli precedentemente descritti, consiste nella capacità del modello di individuare gli impatti sia a livello di processo che a livello di output (costi/ricavi). In questo modo non sono tralasciati importanti benefici che si ottengono con l’applicazione ICT nel processo che, invece, uno schema “input-output” non considera. Inoltre, in questo modo è possibile capire se il mancato o parziale raggiungimento degli obiettivi economici dell’impresa (gli Effetti di Business) dipenda da cambiamenti dei processi derivanti dall’utilizzo dell’ICT o da cause esterne ed esogene. Il terzo vantaggio consiste nella possibilità di utilizzare anche solo alcune “parti” del modello, ovvero l’utilizzatore può scegliere ed escludere alcuni indicatori di performance proposti per ogni pilastro. Oltre a ciò, l’utilizzatore può decidere di aggiungere alcuni indicatori di performance che non sono proposti dal modello. Si tratta quindi di un modello “modulare” e flessibile. Inoltre, i legami di causa-effetto sono decisi a discrezione dell’utilizzatore in quanto gli stessi indicatori di performance possono avere legami diversi. Si lascia così ampia libertà e flessibilità nell’individuare i rapporti di causa-effetto. Una serie di vantaggi derivano anche dalla precisione e dalla chiarezza con la quale sono indicate le linee guida da seguire per applicare il modello. In particolare, la chiarezza abbinata alla semplicità del modello contribuiscono alla facile comprensione e alla sua veloce applicazione in casi reali. Il modello è stato applicato in otto casi pilota: si sono definiti i singoli indicatori di performance afferenti ai tre pilastri, le formule per il loro calcolo e i legami di causa-effetto. I casi pilota hanno individuato, complessivamente, 71 indicatori di performance impattati dall’utilizzo dell’Intelligent Cargo. Per ognuno di essi hanno misurato: - Valore attuale; - Valore atteso (con l’implementazione dell’IC); - Miglioramento atteso. Si sono raccolte, in totale, 197 osservazioni di cui 183 espresse in modo quantitativo e 14 in modo qualitativo. L’analisi dei dati ha permesso di giungere a delle conclusioni di tipo qualitativo e quantitativo. I risultati qualitativi indicano la tipologia di impatto che le imprese si attendono di ottenere con l’applicazione dell’Intelligent Cargo in relazione ai tre pilastri mentre quelli quantitativi stimano i valori dei miglioramenti attesi. Dall’analisi qualitativa emerge che gli impatti nei processi interni (Parametri di Processo) che le imprese si attendono sono relativi alla maggiore velocità con la quale le informazioni di loro interesse sono disponibili e nella migliore affidabilità (assenza di errori). Tali informazioni hanno per oggetto: 1. L’identificazione del cargo (es. tipologia, quantità). 2. Il controllo delle condizioni del cargo (es. temperatura). 3. Il monitoraggio del percorso (es. deviazione dall’itinerario stabilito). 4. Il monitoraggio dello status del cargo (es. arrivato, partito). Si precisa che le imprese hanno dichiarato di attendersi un impatto nella rapidità di invio di tutte le queste tipologie di informazioni fornite dall’Intelligent Cargo mentre l’affidabilità riguarda solamente l’identificazione del cargo e la corretta stima dell’orario di arrivo. Sembra quindi che le imprese abbiano già le informazioni di cui necessitano in modo preciso ed affidabile ma non veloce. Di conseguenza i Parametri di Processo individuati dalle imprese misurano il tempo necessario a ricevere l’informazione e la sua precisione. L’impatto dell’utilizzo dell’Intelligent Cargo sulla rapidità e affidabilità dell’informazione scambiata determina una serie di conseguenze a livello “tattico”, ovvero sulle Performance di Processo. I casi pilota si attendono un miglioramento su queste categorie di impatto: 1. Gestione degli asset, ovvero nella gestione delle scorte (rotazione delle scorte e quantità di prodotto finito stoccato a magazzino), dei mezzi di trasporto (viaggi addizionali per errata consegna e fattore di riempimento dei mezzi), dell’infrastruttura (ottimizzazione dell’utilizzo della capacità dell'infrastruttura) e delle risorse umane (pianificazione dell’utilizzo delle risorse umane). 2. Servizio al cliente, ovvero nell’evasione corretta degli ordini e nei tempi di risposta al cliente. 3. Tempo necessario per svolgere un’attività. 4. Gestione della security (diminuzione di furti). I miglioramenti attesi nelle Performance di Processo determinano degli impatti in questi “Effetti di Business”: 1. Costi relativi agli asset (costo del magazzino, del trasporto e delle scorte), al lavoro (costo per il dispatching, per il re-scheduling, per la risoluzione delle problematiche sulla temperatura, per la chiusura di un ordine di prenotazione e per la gestione dei controlli di sicurezza), costi finanziari (interessi bancari passivi), dei resi e assicurativi. 2. Ricavi; rientrano in questa categoria i ricavi di vendita, l’aumento della quota di mercato e il miglioramento del servizio al cliente. Gli impatti sopra descritti sono stati individuati complessivamente dai casi pilota i quali rappresentano i tipici attori di una supply chain, ovvero: imprese di produzione e di distribuzione, operatori logistici (trasportatori, imprese di logistica e di warehousing) e autorità pubbliche. Ciò detto, si può quindi affermare che l’analisi cross-pilot ha permesso di individuare i benefici apportati da una soluzione innovativa ICT alla filiera logistico-trasportistica, nel suo complesso. Si sono inoltre individuati gli impatti attesi comuni a più casi pilota. Da un punto di vista quantitativo, è emerso che le imprese hanno importanti aspettative nei confronti dell’applicazione dell’Intelligent Cargo. Relativamente ai Parametri di Processo, il valore massimo atteso di quasi tutti gli indicatori di performance riferiti alla “rapidità” con cui è trasmessa l’informazione è pari al 100%: questo significa che le imprese si attendono di eliminare i tempi di attesa per ricevere l’informazione grazie alle comunicazioni in real time fornite dall’Intelligent Cargo. In relazione alle Performance di Processo e agli Effetti di Business non si riscontrano delle tendenze omogenee di miglioramento all’interno delle categorie individuate date le specificità dei processi delle imprese e dei relativi obiettivi a livello di impresa. Tuttavia, vi è una certa tendenza, nelle Performance di Processo, a considerare dei possibili miglioramenti soprattutto nella categoria “Tempo per svolgere un’attività”. Negli Effetti di Business tale tendenza è relativa soprattutto nella riduzione dei valori dell’indicatore “Costo del lavoro”. In conclusione, la tesi ha apportato un contributo innovativo alla ricerca in quanto ha risposto a due importanti domande di ricerca aperte relative allo studio degli impatti delle applicazioni innovative ICT per i trasporti e la logistica: - la definizione di un modello per valutarne gli impatti; - la realizzazione di uno studio empirico che quantificasse i benefici. Un nuovo modello definito “Three Pillars’ Model” in grado di superare i limiti dei precedenti approcci metodologici è stato proposto ed applicato con successo. Lo studio empirico è stato condotto in relazione ad un’innovazione ICT per i trasporti e la logistica, ovvero l’Intelligent Cargo. Lo studio potrà continuare confrontando i benefici attesi individuati con quelli reali e commisurandoli anche con il prezzo di mercato dell’innovazione. Nel lungo periodo, si potrebbero individuare in modo più approfondito gli impatti anche a livello di Business Process Reengineering per individuare eventuali cambiamenti nei Business Model delle imprese. L’indagine potrebbe essere estesa anche ad altre tipologie di impatti come quella sull’ambiente, sulla sostenibilità, su safety e security. Inoltre, si potrebbe approfondire anche l’analisi dell’Intelligent Cargo come innovazione indagandone la forma di mercato, le barriere all’entrata e la domanda attesa per riuscire a catturare valore dall’innovazione in modo che essa non rimanga solamente un’idea.
XXIII Ciclo
1981
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46

Della, Puppa Marco. "I driver del Global logistics network design nel legame economia, trasporti e logistica - aspetti teorici e casi applicativi." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/6001.

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Abstract:
2009/2010
La tesi di dottorato si sviluppa avendo come punto di partenza un filone secondo il quale la ricerca scientifica nelle discipline del logistics management e dell’economia spaziale procede autonomamente facendo si che i due ambiti di ricerca risultano essere slegati pur essendovi alcuni elementi che li accomunano; per questo motivo viene proposta una agenda di ricerca finalizzata all’integrazione delle due al fine di creare un nuovo sistema di supporto alle decisioni per le politiche logistico/trasportistiche in capo al pianificatore pubblico. Più in particolare è posto l’accento principalmente su due specifici problemi di ricerca aperti dei quali il primo può essere considerato funzionale al secondo. In quest’ottica se il primo è volto all’ulteriore approfondimento dei principali driver firm level che stanno alla base delle configurazioni oggi assunte dalle reti logistiche globali (global logistics network design), l’altro filone è finalizzato allo sviluppo di nuovi modelli interpretativi dei legami tra la logistica in un’ottica aggregata (che supera quindi la visione puramente micro a favore dei livelli meta e macro) e l'economia regionale/spaziale. In altre parole essendo il logistics management focalizzato sulle dinamiche dell’impresa, la sfida proposta consiste nel capire ancora meglio le dinamiche logistico-trasportistiche micro indotte dai recenti fenomeni di globalizzazione in modo da poter elaborare, in step successivi, modelli logistici aggregati (meta e macro appunto, quali possono essere ad esempio quelli distrettuale/locale e regionale) che possano essere utili a meglio comprendere quale è il ruolo della logistica (e del logistics network design più precisamente), come evoluzione del trasporto, nell’ambito delle relazioni economiche a livello spaziale e quindi nella spatial economics. La tesi si è inserita all'interno del primo dei due ambiti di ricerca individuati, ossia quello finalizzato all'ulteriore approfondimento delle tematiche attinenti i trasporti e la logistica facendo particolare riferimento ai driver, cioè alle forze che determinano l'evoluzone globale della logistica, nonchè ai connessi aspetti decisionali e comportamentali che stanno alla base delle attuali configurazioni di logistics network design. Più in particolare obiettivo specifico della tesi è verificare, attraverso l'analisi di una serie di casi studio, quali sono i driver sottostanti i processi decisionali e comportamentali che hanno portano al (ri)disegno dei network logistici considerati. Dal punto di vista metodologico il lavoro si articola in quattro parti. Nella prima parte, muovendo da un’analisi della letteratura scientifica, sarà preso in esame il legame trasporti, logistica ed economia ed esplicitato perchè è opportuno progredire nella sua conoscenza sia a fini positivi che normativi. Per quanto riguarda la finalità positiva di approfondimento della conoscenza del legame, partendo dalla disamina di ciò che accomuna i trasporti e la logistica (come evoluzione del trasporto) con l'economia regionale/spaziale, sono analizzati i processi di evoluzione dei trasporti con particolare riferimento all'evoluzione del concetto di "costo del trasporto" ed esplicitati i punti di vista (gli approcci) dai quali il legame può essere analizzato. In relazione alla seconda, quella normativa, si va invece a verificare come una più approfondita conoscenza del legame economia-trasporti-logistica oltre alla finalità di arricchimento scientifico ha anche un risvolto normativo, ossia si configura quale elemento utile ai soggetti chiamati a pianificare le reti logistico-trasportistiche a livello territoriale. Nella seconda parte ci si concentra a livello micro e si entra nella c.d. black box della logistica prendendo in esame la letteratura sul logistics management. Più in particolare si va a vedere quali sono le principali problematiche logistico-trasportistiche generate dai recenti fenomeni di globalizzazione dell'economia, quali sono le forze (i driver) alla base dell'attuale evoluzione globale della logistica e più specificamente della (ri)configurazione globale dei network logistici. Nella terza parte del lavoro, ricorrendo ad un framework analitico che si basa su pecifiche metodologie proposte dal logistics management, vengono analizzati una serie di case study appartenenti sia al versante domanda che a quello dell'offerta logistico-trasportistica. Il framework applicato si sviluppa attorno due “sotto-metodologie” complementari che intendono descrivere i casi ponendosi in una prospettiva che abbraccia tanto le strategie e le soluzioni adottate in passato quanto quelle attuali in modo da evidenziare i processi di evoluzione delle configurazioni di network design implementate in risposta ai driver evolutivi. Più nello specifico la prima delle due “sotto-metodologie” si concretizza in uno schema di analisi dei processi e delle attività logistiche finalizzata alla ricostruzione della catena logistico-produttiva/supply chain nelle sue diverse componenti approvvigionamento, produzione e distribuzione; la seconda è invece finalizzata ad identificare le strategie, i modelli operativi e le pratiche operative (logistico-trasportistiche) contestualizzate rispetto l’ambiente in cui le imprese sono calate. Le evidenze emerse nella terza parte sono oggetto di elaborazione all'interno della quarta, quella il cui obiettivo (che è anche obiettivo della tesi) è fornire un contributo alla comprensione delle forze (cioè dei driver) che hanno determinato i processi di (ri)disegno delle reti logistiche globali. In altre parole ciò che si vuole ottenere è una maggiore chiarezza di quali sono i motivi che, in chiave del mantenimento o dell'accrescimento della competitività globale, hanno indotto una serie di imprese ad intraprendere dei percorsi di (ri)disegno delle proprie reti logistico-trasportistiche e di capire altresì quali sono le soluzioni logistico-trasportistiche concretamente implementate in risposta a tali forze.
XXII Ciclo
1975
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47

Salera, Antonio. "Policy evaluation e policy learning nella regione FVG: indicazioni dall' applicazione dell'approccio controfattuale alle politiche di sviluppo nel settore turistico della montagna marginale." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3628.

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Abstract:
2008/2009
Il tema centrale del progetto di ricerca riguarda la valutazione delle politiche pubbliche regionali di sviluppo mediante l’introduzione di un approccio di tipo quantitativo; la valutazione è intesa come un processo di policy learning in grado non solo di stimare se e quanto un set di interventi sia stato efficace, ma anche di restituire capacità cognitiva ai soggetti interessati in vista di applicazioni future. In particolare, si vuole valutare l’applicabilità di metodologie statistiche consolidate in ambito valutativo, quali quelle afferenti al cosiddetto “approccio controfattuale” su tematiche scelte in coerenza con il Piano Unitario di Valutazione (PUV) della Regione FVG. Tale approccio ha il pregio di fornire stime robuste senza dover esplicitare la forma funzionale utilizzata, come accade, invece, nel caso di metodologie che si basano su modelli di stima parametrica - ad esempio, i modelli di regressione. Il lavoro, attraverso una ricognizione della letteratura esistente in materia, espone, innanzitutto, le motivazioni che spingono le pubbliche amministrazioni a dotarsi di sistemi di valutazione e pone in evidenza come, a livello di Unione Europea, soggetto istituzionale che ha spinto le Regioni a dotarsi di un piano di valutazione unitario per la politica regionale di sviluppo, non ci sia una visione univoca del concetto di valutazione. La “confusione concettuale” che ne deriva comporta distorsioni nella portata e nella fruizione delle evidenze che emergono dai singoli rapporti di valutazione generalmente realizzati nel caso di programmi di politica regionale di sviluppo. Tra tutti gli interventi pubblici oggetto di ricognizione la ricerca prende in esame il Docup Ob2, asse 4, misura 3: la misura consiste in un set di interventi (contributi, compartecipazione al costo) per la valorizzazione turistica del territorio alpino della cosiddetta “montagna marginale”. Essendo la partecipazione al programma su base volontaria, esiste un’elevata probabilità di autoselezione dei partecipanti. Di conseguenza, la metodologia scelta per la valutazione è il Difference in Difference design con assunto di parallelismo nei trend. L’analisi viene condotta sui 59 Comuni della montagna marginale del FVG, di cui 33 beneficiari di almeno uno degli interventi previsti dalla misura e 26 non partecipanti. La domanda valutativa a cui si cerca risposta è se e in che misura aver beneficiato dei contributi previsti abbia avuto un effetto sui flussi turistici nei comuni beneficiari, ovviamente in ottica controfattuale. Le variabili outcome oggetto di analisi sono la variazione annuale del flusso degli arrivi, delle presenze e la permanenza media. Dall’analisi emerge che l’aver partecipato al programma ha contribuito in modo significativo al contenimento del calo dei flussi turistici registrati dal 2000 al 2006. Infatti, sia per quanto riguarda gli arrivi turistici che le presenze turistiche e la permanenza media si osserva, nonostante il calo generalizzato che ha colpito il settore turistico regionale nel periodo in analisi, una riduzione significativa dei differenziali esistenti tra i Comuni che hanno beneficiato degli interventi e quelli che non hanno partecipato alla politica. Tuttavia, i risultati più importanti non riguardano soltanto le evidenze empiriche; l’analisi consente, infatti, di porre in evidenza quali siano i diversi limiti organizzativi e operativi che riducono l’efficacia della valutazione di policy in ambito regionale. I problemi attengono al coordinamento tra i diversi attori, alla frammentazione, incompletezza e instabilità dei sistemi di monitoraggio ed alla assenza di integrabilità tra fonti dirette e fonti indirette di dati. Nelle conclusioni si sottolinea come la valutazione d’impatto potrà essere significativamente applicata in futuro a condizione che: ­ l’Amministrazione Regionale sia in grado di configurare la valutazione come una fase del processo di programmazione; ­ a livello organizzativo, il committente e i gestori delle informazioni riescano a condividere l’obiettivo valutativo e ad impostare un percorso di armonizzazione delle banche dati esistenti e di predisposizione di sistemi di raccolta dati ad hoc, anche prendendo spunto dalla letteratura in materia. La Regione FVG, attraverso il Piano di Valutazione Unitario e il Piano di Monitoraggio Unitario, sembra dare una risposta che va in questa direzione.
XXII Ciclo
1981
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48

Cigaina, Lorenzo. "La formazione dell’identità regionale di Creta (III sec. a.C. - IV sec. d.C.): il ruolo costitutivo della religione." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/9487.

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Abstract:
2011/2012
L’unificazione politica di Creta si realizzò nel III sec. a.C. con la fondazione della «Federazione dei Cretesi» (koinon ton Kretaieon). Questa istituzione coordinava l’azione delle numerose città-stato dell’isola nei rapporti con le grandi potenze del Mediterraneo, Roma inclusa. Per quanto riguarda la politica interna, tuttavia, le città-stato mantenevano ampli margini di autonomia. Questa ricerca indaga i fattori extra-politici di coesione (etnici, culturali, religiosi) che contribuirono all’unificazione di Creta. La religione rivestì un ruolo determinante nella formazione di un polo identitario in cui i Cretesi poterono riconoscersi. Le due divinità locali principali, Zeus Kretagenés («Zeus nato a Creta») e Artemide-Diktynna, furono venerate sul piano federale dall’ellenismo fino a tutta l’epoca imperiale. Gli aspetti religiosi mostrano dunque un rilevante grado di continuità attraverso le diverse epoche. Grazie alla loro adattabilità, infatti, essi poterono essere declinati nelle diverse circostanze storiche e politiche. La storia del koinon cretese si articola in quattro fasi, ciascuna delle quali corrisponde a un capitolo della tesi: ellenismo (III sec. – 67 a.C.), epoca tardo-repubblicana (67-31 a.C.), età imperiale (31 a.C. – 297 d.C.) e tardo-antica (IV – inizio V sec. d.C.). L’istituzione ellenistica è stata recentemente definita come una mera “alleanza” per sottolineare la priorità degli interessi politico-militari delle città-stato che ne erano membri. La ricerca ha potuto mettere in evidenza alcuni aspetti in precedenza poco considerati, che indicano un livello di coesione maggiore e più profondo – se non di fatto, almeno nelle intenzioni dei Cretesi: i tentativi di sviluppare una monetazione comune, l’elaborazione di un’unità etnica attraverso l’idea di una Creta unitaria, l’esistenza di uno stadio per gli agoni federali a Gortina, la convergenza degli interessi religiosi attorno alla figura di Zeus Kretagenés già in questa fase. In epoca tardo-repubblicana si compì l’unificazione politica dell’isola, ma ciò avvenne a prezzo dell’indipendenza, poiché l’isola fu sottomessa a Roma e ridotta a provincia (67 a.C.). Il koinon fu trasformato in un’assemblea provinciale assimilabile per molti versi ad altri istituti analoghi dell’Impero. Zeus Kretagenés restò la divinità principale dell’isola e venne raffigurato su un cistoforo d’argento emesso a nome del koinon. In età imperiale si completò il processo di unificazione e di accentramento già avviato: Gortina si affermò come sede di riunione e di zecca del koinon, oltre che come capitale provinciale. L’agorà della città divenne il luogo di rappresentanza dei Cretesi e dei membri dell’amministrazione romana. Il koinon, infatti, si profila in questa fase come un organo complementare dell’amministrazione imperiale, con funzioni di rappresentanza della popolazione provinciale. Nel teatro dell’acropoli di Gortina si svolgevano le assemblee federali; le festività religiose comuni erano celebrate nel tempio (dedicato forse a Zeus) con l’annesso stadio presso il Pretorio. La fase originaria di questo tempio può essere datata all’epoca augustea e riferita alle rievocazioni imperiali della vittoria di Azio (31 a.C.). Il koinon imperiale era presieduto da un sommo sacerdote (archiereus), i cui compiti principali erano l’organizzazione delle attività di culto federale, il finanziamento di costose evergesie e la rappresentanza dei Cretesi di fronte alle autorità romane. L’esame delle immagini scelte per la monetazione del koinon dimostra una pluralità di interessi religiosi che si estendono ben oltre il culto imperiale, affondando le loro radici nella tradizione locale. Accanto alla venerazione del Divo Augusto risaltano in primo piano il culto di Zeus Kretagenés e quello di Diktynna, i cui maggiori santuari erano rispettivamente situati nella Grotta sul monte Ida e nella Creta occidentale, presso Capo Spatha nelle vicinanze di Kydonia. Nel I-II secolo emerge come santuario sovraregionale anche l’Asklepieion di Lebena. La cassa federale era probabilmente custodita nel tesoro sacro del Diktynnaion di Capo Spatha. Il culto dinastico ellenistico ebbe importanza limitata a Creta e rimase circoscritto al piano civico di singole poleis (Itanos in particolare), ma fu importante nel creare le premesse per il successivo sviluppo del culto imperiale. Dopo la morte di Augusto nel 14 d.C., fu istituito un culto federale dell’Imperatore divinizzato. Al suo santuario era associato il diritto di asilo, che era stato in precedenza abolito da Roma per i santuari locali probabilmente a causa di abusi da parte dei Cretesi durante il periodo tardoellenistico. L’aspetto delle statue di culto del Divo Augusto e di Zeus Kretagenés può essere ricostruito sulla base delle immagini monetali. Queste due divinità somme presentano diversi punti di contatto nell’iconografia, in particolare nell’associazione col motivo delle sette stelle dell’Orsa Maggiore, da leggersi come riferimento all’apoteosi imperiale e, insieme, ai miti locali connessi con la nascita di Zeus a Creta. In questo caso si può constatare uno scambio di temi tra Roma e la provincia, con una collaborazione attiva della seconda all’elaborazione della propaganda imperiale. L’Imperatore divinizzato, inserendosi nel pantheon locale, si integrava nella vita religiosa dei Cretesi, promuovendo l’articolazione della provincia nella cornice dell’Impero. Nell’epoca tardo-antica si registra un declino dell’istituzione federale, la cui iniziativa politica viene notevolmente ridimensionata e subordinata all’amministrazione provinciale. Si rilevano comunque segnali di una continuità del culto di Zeus Kretagenés. La tradizione religiosa costituisce quindi l’asse portante dell’identità regionale cretese – poi evolutasi in identità «romano-cretese» – attraverso sette secoli densi di mutamenti storico-politici.
Die vorliegende Forschung untersucht die außerpolitischen Faktoren, die zu der politischen Vereinigung und der Bildung einer regionalen Identität Kretas beigetragen haben. Darauf wirkten von Anfang an religiöse Elemente der lokalen Tradition, die nicht nur städtisch, sondern auch regional verbindend für die ganze Insel aufgefasst wurden. Zwei Gottheiten spielten dabei eine wichtige Rolle: Zeus Kratagenes und Artemis/Diktynna. Bei der Bildung der regionalen Identität sind auch mythische, ethnische und verfassungsmäßige Elemente tätig. Die politische Struktur der kretischen Einheit bildete das s.g. koinon („Bund“) der Kreter, das tatsächlich eine lockere Institution war, jedoch nicht ein rein politisch-militärisches Bündnis wie neulich behauptet worden ist. Die außerpolitischen Faktoren, die sich im Rahmen der Kulte polarisieren, unterstützten nachweislich den Zusammenhalt des Bundes. Die Geschichte der kretischen Föderation gliedert sich chronologisch in vier Phasen, jeder von denen ein Kapitel der Dissertation gewidmet ist: die hellenistiche (3. Jh. – 67 v.Chr.), die spätrepublikanische (44-31 v.Chr.), die kaiserzeitliche (31 v.Chr. – 297 n.Chr.) und die spätrömische Zeit (4. – Anfang 5. Jh.). Mit der Übergangsphase von der hellenistischen in die römische Zeit hing eine markante Umformulierung der Ziele und Kompetenzen des Bundes, der nun seine politische Unabhängigkeit zugunst der Römer einbüßte. Nach wie vor diente die Institution grundsätzlich den Repräsentationszwecken der gesamten Insel gegenüber den Großmächten des Mittelmeerraumes, und zwar früher den hellenistischen Reichen und später Rom. Diesbezüglich sind in der Arbeit die literarischen, epigraphischen und archäologischen Quellen versammelt und kritisch dargelegt, um den organisatorischen Aufbau und die Zwecke der Einrichtung festzustellen. Daraus geht hervor, dass der Bund einen eigenen politischen Handlungsspielraum besaß, der während der Römerzeit in der Macht der Provinzialverwaltung seine Grenze hatte und sich gemäß den zeitgenössischen Bedingungen entwickelte. Trotz dieser Wandlungen zeigt der religiöse Rahmen der Institution von griechischer Zeit bis in die Kaiserzeit eine verwunderliche Beständigkeit. Es hat den Anschein, dass die Religion die grundlegende identitätsstiftende Aufgabe absolvierte, während den hellenistischen Versuch, eine ethnische Identität der Kreter zu gründen, die Römer wahrscheinlich hatten platzen lassen oder jedenfalls erheblich abgebaut. Das numismatische Material stellt eine wichtige Quelle dar, weil es uns über die wirtschaftliche Initiative sowie über die Selbstdarstellung und die religiösen Prioritäten des Bundes informiert. Das höchste Amt des koinon war dasjenige des Provinzialoberpriesters, der außer der Aufsicht über die Provinzialkulte anderen rein politischen Aufgaben nachkam und für die finanzielle Unterstützung des Bundes sorgte. Was das Finanzwesen angeht, verfügten die Kreter über einen Bundesschatz, den sie mit bestimmter Selbstständigkeit verwalten konnten. Daraus ergibt sich das Bild einer organischen komplementären Zusammenarbeit der Provinzialen neben der römischen Verwaltung. Durch den Kaiserkult wurde der römische Kaiser in die lokale Religion hineinbezogen und eng mit der Hauptgestalt des kretischen Pantheons, dem Zeus Kretagenes, verbunden. Auf Dauer bahnte sich ein Wechselspiel an, indem die auf Kreta entwickelten Elemente teilweise nach Rom zurückflossen. Das enge Nebeneinander römischer und einheimischer Instanzen spiegelte sich auch topographisch in der Hauptstadt Gortyn wider. Zusammenfassend, bot die Religion den Kretern eine aussichtsreiche Integrationsmöglichkeit im römischen Reich, ohne dass sie auf ihre historichen Wurzeln verzichten müssten. Das kretische Oberpriestertum konnte nämlich das Sprungbrett für eine politische Karriere in der römischen Verwaltung bilden. Die lokale mythologische bzw. religiöse Tradition brachte durch die Übernahme römischer Elementen und insbesondere des Kaiserkultes die Macht Roms in die unmittelbare Erfahrung der Kreter hinein. Die Identität der oberhalb der einzelnen Stadtstaate erreichten politischen Vereinigung stützte sich auf den konstituierenden und zusammenhaltenden Faktor der Religion.
XXV Ciclo
1979
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49

Agrusta, Andrea Antonio. "OPTIMISATION'S TECHNIQUES OF HULL SHAPES USING CFD RANSE SIMULATIONS WITH LOW NUMBER OF CELLS." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11116.

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Abstract:
2013/2014
Negli ultimi anni le tecniche di idrodinamica numerica CFD hanno permesso di effettuare simulazioni al computer riguardanti l’ interazione tra solidi e fluidi. L’utilizzo dei software CFD permette una simulazione assolutamente realistica dei fenomeni idrodinamici, permettendo al progettista/programmatore di analizzare in tempi relativamente brevi molteplici soluzioni, onde sceglierne la migliore e di conseguenza molteplici macro o micro modifiche sulla carena prescelta, per valutarne l’impatto in termini di resistenza al moto, assetto, tenuta al mare, comfort. Negli ultimi anni si è visto un crescente utilizzo di algoritmi matematici di ottimizzazione multiobiettivo associati a modellatori 3d parametrici e successivamente a solutori CFD BEM a potenziale. Tali applicazioni tipicamente consentono di trovare le forme ottimali che, nel rispetto dei vincoli imposti, generino la minima resistenza d’onda ad una o più determinate velocità. Associare un processo di ottimizzazione ad un solutore viscoso RANS consente invece, conoscendo una moltitudine di parametri fisici in più, di ottimizzare seguendo più obiettivi ed in particolar modo la capacità di poter valutare l’effetto dell’attrito consente di poter ottimizzare le forme al fine di ridurre la resistenza totale all’avanzamento. Fino a ieri però un processo di ottimizzazione associato a simulazioni CFD RANS, se pur teoricamente possibile, era di fatto raramente utilizzato in quanto sconveniente a causa dell’enorme mole di calcoli da eseguire per valutare la bontà di centinaia di soluzioni diverse, rendendo troppo lungo ed oneroso il processo. Minimizzando il numero di celle computazionali riducendo così i tempi ei costi di simulazioni in ogni caso risultati adeguati, si dimostra come il modo simulazioni RANS viscosi saranno molto più utili rispetto a potenziali metodi BEM . Scopo infatti di questo lavoro è stato quello di associare un processo di ottimizzazione di carena basato sulla riduzione della RESISTENZA TOTALE ALL’AVANZAMENTO valutata attraverso l’utilizzo di simulazioni CFD RANSE eseguite con un dominio di calcolo a basso numero di celle. Tale dominio di calcolo deriva dall’accurato sviluppo di una procedura standardizzata che permette di eseguire simulazioni RANSE con una griglia standard che garantisce la bontà del risultato anche se “COARSE”. La presente trattazione oltre a fornire una panoramica sullo stato dell’arte in letteratura, presenta lo sviluppo di una metodologia atta ad eseguire simulazioni a basso numero di celle in maniera standardizzata, sviluppando tre tipi di meshatura standard, suddividendo le carene da studiare in tre differenti famiglie raggruppate per similitudine di geometrie e velocità di funzionamento e pertanto accomunate da una similare formazione ondosa : Round Bilge Displacement Hull, Round Bilge and Hard Chine Semiplaning Hull (Single and Multi-Hull), Hard Chine Planing Hull. Si è successivamente passati alla determinazione dei metodi di ottimizzazione investigando le potenzialità ed i limiti dei diversi metodi noti per eseguire ottimizzazioni multi-obiettivo, compreso il metodo „Sherpa“ basato su un robusto algoritmo combinato e progressivo finalizzato al raggiungimento della soluzione ottima riducendo automaticamente il numero di casi da simulare. Il processo di ottimizzazione in oggetto è stato applicato ad una innovativa carena semi-planante a spigolo dotata di bulbo prodiero a lama: si è partiti da una carena di base che soddisfaceva tutti i requisiti di progetto e, nel rispetto dei vincoli imposti, parametrizzata la carena ed impostati i set-up di calcolo, al termine dell’ottimizzazione si è ottenuta la geometria ottimale della stessa al fine della riduzione della resistenza totale a due differenti velocità (crociera e massima). Al termine delle attività si è proceduto con l’esecuzione di test in vasca navale su modello in scala per validare i risultati ottenuti per via numerica. La possibilità di ottenere simulazioni viscose con domini “standardizzati” a basso numero di celle permette l’analisi comparativa di molteplici soluzioni progettuali contenendo tempi e costi e con la certezza che i risultati siano realistici ed affidabili. L’innovativa standardizzazione studiata permette inoltre una riduzione del tempo di preparazione del set-up permettendo all’operatore di lanciare una simulazione su una nuova carena in pochi minuti, senza dover effettuare laboriose meshature ad-hoc e controlli di grid-independence dei risultati. L’utilizzo di queste griglie standard permette inoltre, come spiegato, di utilizzare le simulazioni CFD RANSE anche per eseguire ottimizzazioni multi-obiettivo riguardanti, per esempio, la riduzione della resistenza totale all’avanzamento. Senza griglie di questo tipo, raffinate ottimizzazioni basate su solutori viscosi sarebbero spesso antieconomiche. Difatti i risultati cui il presente lavoro è pervenuto riguardano un sensibile abbattimento dei tempi di calcolo necessari all’esecuzione di un’ottimizzazione morfologica di carena basata sulla minimizzazione della resistenza a due differenti velocità: in meno di 700 ore di calcolo con un tradizionale server a 12 core, ovvero in circa 80 ore utilizzando un centro di calcolo a 100 core, si riescono ad ottenere risultati importanti validi per fare delle valutazioni in senso assoluto sulla potenza necessaria all’imbarcazione per raggiungere le velocità prestabilite. Una procedura di questo tipo permette da una parte la possibilità di lavorare sulla resistenza totale o su altre quantità fisiche espresse dal solutore RANSE, dall’altra per la sua velocità e la sua semplicità d’utilizzo, consente l’avvicinamento alla CFD anche a progettisti di piccole imbarcazioni che fino ad oggi per problematiche di tempo e di budget non potevano approcciare ad una tecnologia così raffinata per progettare le loro carene. Difatti in un prossimo futuro l’utilizzo diffuso di tecniche di ottimizzazione o anche semplicemente di comparazione ed analisi di carene destinate ad imbarcazioni grandi e piccole, potrà contribuire in maniera significativa al risparmio di Potenza motrice installata a bordo (es. Grazie alla riduzione della resistenza totale), consentendo da una parte risparmi economici di carburante e dall’altra, soprattutto, una riduzione delle emissioni nocive in atmosfera.
In recent years, the techniques of numerical hydrodynamic CFD allowed to perform computer simulations on the interaction between fluids and solids. The use of CFD software allows an absolutely realistic simulation of hydrodynamic phenomena, enabling the designer to analyze several solutions relatively quickly, in order to choose the best hull and therefore various macro or micro changes on the hull chosen, in order to evaluate its impact in terms of resistance, trim angle, seakeeping, comfort. In recent years we have seen an increasing use of mathematical algorithms for multi-objective optimisation related to 3D parametric modelers and then to potential CFD BEM solvers. Typically these applications allow you to find the optimal shape that, while respecting the constraints imposed, generate the minimum wave resistance to one or more certain speeds. The association of optimisation processes to a viscous RANSE solver enables to optimize following more targets, knowing a multitude of physical parameters in addition. In particular, the ability to assess the effect of friction on the hull’s shape, in order to reduce the total resistance. Until yesterday, however, an optimisation process associated with CFD RANSE simulations was in fact rarely used in the industrial sector, because it was considered quite inappropriate though theoretically possible. It was due to the large amount of calculations to be performed to evaluate the goodness of hundreds of different solutions, making the process too long and expensive. The present work demonstrates how viscous RANSE simulations methods can be easily used through number of computational cells minimization and the consequent reduction of time and costs of simulations. Indeed, the aim of this work has been to associate an hull optimisation process based on the reduction of total resistance, evaluated through the use of CFD RANSE simulations performed through computational domain with low number of cells. This calculation domain derives from the accurate development of a standardized procedure which allows to make RANSE simulations with a standard grid ensuring the accuracy of the result even if "COARSE". The present research, as well as providing an overview of the state of the art in literature, shows the development of an innovative methodology able to perform simulations with low number of cells in a standardized way, developing three types of standard meshing, dividing the hulls to be studied in three different families grouped by similarity of geometry and operation speed and having therefore in common a similar wave pattern: Round Bilge Displacement Hull, Round Bilge and Hard Chine Semiplaning Hull (Single and Multi-Hull), Hard Chine Planing Hull. The work subsequently involved the determination of the methods of optimisation investigating potentiality and limits of several already known methods to perform multi-objective optimisation, including the "Sherpa" one, based on a robust combined progressive algorithm aiming to achieve the optimal solution, automatically reducing the number of cases to be simulated. The optimization process has been applied to an innovative semi-planing hard-chine hull with blade bulbous bow: the process started from a basic hull matching all the project requirements and, respecting the imposed constraints, the hull has been parameterized and the calculation set-up has been established. At the end of the optimisation , the best hull geometry has been obtained in order to achieve the reduction of the total resistance at two different speeds (cruise and maximum). At the end of these activities, a towing tank tests on a scale model was carried out in order to validate the results numerically obtained. The chance to get viscous simulations with "standardized" domains with low number of cells allows comparative analysis of multiple design solutions by reducing time and cost, with the certainty that the results are realistic and reliable ones. The innovative process of standardization also makes a reduction in the time of preparation of the set-up allowing the operator to run a simulation on a new hull in a few minutes without having to make laborious ad-hoc meshing activities and grid-independence controls of results. The use of these standard grids also allows, as already said, the use of CFD RANSE simulations also to perform multi-objective optimizations relating to, for example, the reduction of the total resistance. Without such kind of grids, fine optimization based on viscous solvers would be often uneconomical. In fact, these work’s results concern a significant reduction in computation time necessary for the execution of a morphological hull optimization based on the resistance minimization at two different speeds. In less than 700 hours of calculation with a traditional 12 core server, or in about 80 hours using a to 100 cores computer-center, it is possible to achieve important results available to give some absolute assessments on the necessary power to the hull to reach the target speeds. A procedure like this, on one side, allows the opportunity to work on the total resistance or other physical quantities expressed by the RANSE solver, on the other side - thanks to its speed and its simplicity of use - enables the approach to the CFD also for small boats’ designers who, due to lack of time and budget, could not approach to a so refined hulls designing technology, up to now. In the near future the widespread use of optimization techniques, or even just comparative and analysis ones on hulls for large and small boats, will be able to significantly contribute to save engine power installed on board (i.e. by reducing the total resistance), allowing both economic fuel savings and, above all, a strong toxic emissions reduction in the atmosphere.
XXVII Ciclo
1984
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
50

Bisiani, Thomas. "Archigrafia,tra architettura e parola." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3492.

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Abstract:
2008/2009
La tesi indaga il rapporto originario tra architettura e parola attraverso una riflessione sulla scrittura archigrafica, ricollocata nel paesaggio della comunicazione contemporanea. In questo scenario eterogeneo e cacofonico, dominato dalla sistematica sovrapposizione di segni, linguaggi e significati, l’archigrafia grazie alle sue caratteristiche strutturali di concretezza e permanenza viene riscoperta prima, e verificata poi, ricomponendo a posteriori una geografia di contributi sia scritti che costruiti. Il percorso di ricerca è diviso in due parti: l’indagine si articola a partire dalle sperimentazioni delle avanguardie artistiche del ‘900 per comporre uno scenario teorico-critico che, stabilendo una possibile distinzione tra architettura e design, attribuisce all’archigrafia, nel percorso che porta dal moderno al contemporaneo, una dimensione progettuale autonoma. La seconda parte della tesi ricompone un atlante, che raccoglie e cataloga le esperienze significative in questo campo, individuando come area di indagine un corpus di progetti esemplari realizzati negli ultimi vent’anni.
XXII Ciclo
1974
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
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