Academic literature on the topic 'SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA RIPRODUZIONE - indirizzo MEDICINA MATERNO INFANTILE PERINATOLOGIA'

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Dissertations / Theses on the topic "SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA RIPRODUZIONE - indirizzo MEDICINA MATERNO INFANTILE PERINATOLOGIA"

1

De, Rocco Daniela, and Rocco Daniela De. "STUDIO CLINICO E MOLECOLARE DELLA SINDROME DI BERNARD-SOULIER." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10848.

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Abstract:
2013/2014
2013/2014
La sindrome di Bernard-Soulier (BSS) è una rara piastrinopenia ereditaria causata da alterazioni a livello del complesso glicoproteico GPIb-IX-V, presente sulla membrana piastrinica e responsabile della adesione delle piastrine in seguito a danno vascolare. La BSS si trasmette come malattia autosomica recessiva (BBSA1) e i pazienti affetti presentano piastrine giganti e severi episodi di sanguinamento. Tuttavia in tempi recenti sono state descritte delle famiglie con una forma dominante nota come BSSA2. In questi pazienti la piastrinopenia è moderata e le piastrine presentano un volume leggermente aumentato. Finora sono state individuate solo 5 varianti in eterozigosi nel BSSA2:, 4 nel gene GP1BA e 1 in GP1BB. Fatta eccezione per p.Ala172Val del gene GP1BA che è relativamente frequente nella la popolazione Italiana, le altre 4 sono state descritte in singole famiglie. I pochi casi di cui disponiamo, soprattutto per la forma recessiva non ci permettono di avere informazioni sui meccanismi patogenetici e sulla sua evoluzione nel tempo. Per questo motivo è stato istituito un Consorzio Internazionale per lo studio della BSS grazie al quale è stato possibile raccogliere i dati clinici e molecolari di 132 famiglie. Tutte le informazioni sono state inserite in un database (BSS Consortium database) attualmente gestito dal nostro laboratorio e consultabile dai gruppi di studio che hanno aderito al Consorzio. Inoltre per aumentare le informazioni sulle varianti identificate nel BSSA1 abbiamo incrementato i dati molecolari delle famiglie del Consorzio con i dati di altre 79 famiglie descritte in letteratura, raggiungendo un totale di 211 famiglie. Tutte le mutazioni identificate in queste famiglie sono state poi inserite in un database pubblico disponibile in rete (LOVD: Leiden Open Variation Database). La raccolta e l’elaborazione dei dati ci ha permesso di chiarire alcuni aspetti clinici e molecolari della malattia. Tuttavia data l’eterogeneità genetica e l’elevata espressione fenotipica gli studi genotipo-fenotipo si sono rivelati difficili da eseguire. Nonostante le molte informazioni acquisite, il database risulta ancora incompleto e limitato; per questo motivo è necessario raccogliere nuovi casi e inserire assieme alle varianti anche i relativi studi funzionali che si rivelano indispensabili per poter definire l’effetto delle varianti sul complesso GPIb-IX-V. Nell’ambito invece dello studio e caratterizzazione della forma meno grave di BSS (BSSA2) sono stati selezionati 120 pazienti piastrinopenici senza diagnosi caratterizzati da piastrine grandi. In questi pazienti sono stati analizzati i geni GP1BA, GP1BB e GP9 e sono state identificate 11 diverse varianti: 1 nonsense, 2 mutazioni di framshift, 1 mutazione nel codone di inizio e 5 varianti missense. Gli studi funzionali eseguiti sulle varianti missense per stabilire il loro ruolo patogenetico sono ancora in corso. Tuttavia se gli studi dovessero confermare la loro patogenicità 11 pazienti su 120 risulterebbero BSSA2 e questa forma dovrebbe essere considerata una tra le piastrinopenie ereditarie più frequenti in Italia. In conclusione grazie a questo studio è stato possibile raccogliere la più ampia casistica di pazienti affetti da BSSA1 fin’ora descritta e ottenere numerose informazioni sia sulla clinica che sulle mutazioni coinvolte. Il BSS Consortium database permetterà ai clinici che hanno partecipato allo studio di osservare nel tempo l’andamento della malattia nei pazienti e di ottenere informazioni utili per stabilire un corretto protocollo per la presa in carico dei pazienti. Infine la caratterizzazione di nuove forme di BSSA2 rappresenta il punto di partenza per descrivere al meglio la malattia BSSA2 sia dal punto di vista clinico che molecolare. In futuro sarà quindi indispensabile estendere il BSS Consortium database anche alla forma BSSA2.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1979
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2

Londero, Margherita. "Sviluppo di strategie farmacologiche per la personalizzazione della terapia della leucemia linfoblastica acuta nel bambino." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10852.

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Abstract:
2012/2013
L'attività dell'enzima tiopurina-S-metil transferasi (TPMT) è un determinante importante di eventi avversi severi durante il trattamento della leucemia linfoblastica acuta (LLA) con l'antimetabolita mercaptopurina. Recentemente è stato dimostrato che la proteina PACSIN2 modula l'attività di TPMT e la tossicità indotta da mercaptopurina, mediante un meccanismo molecolare che si ipotizza riguardi la regolazione dell'autofagia. Nell’ambito del protocollo italiano per il trattamento della LLA AIEOP 2009, si vogliono sviluppare strategie farmacologiche (farmacogenetiche, farmacocinetiche e farmacodinamiche) in vitro da integrare agli attuali parametri di risposta del paziente per personalizzare la terapia. Queste strategie comprendono la valutazione dell’attività e di polimorfismi genetici di enzimi importanti per la biotrasformazione della mercaptopurina, ovvero TPMT ed inosina trifosfato-pirofosfatasi (ITPA), della concentrazione dei metaboliti attivi della mercaptopurina e della sensibilità in vitro dei blasti dei pazienti raccolti alla diagnosi e trattati con diversi farmaci antitumorali. Si vuole poi validare l’effetto dei polimorfismi di PACSIN2 sull’attività dell’enzima TPMT. I dati preliminari ottenuti sostengono il ruolo dei polimorfismi d’interesse sulla farmacocinetica della mercaptopurina. In particolare, la casistica considerata finora valida un contributo dello SNP di PACSIN2 rs2413739 sull’attività enzimatica di TPMT. Lo studio è in continuo aggiornamento. Il suo ampliamento e l’integrazione dei dati farmacologici con i dati clinici dei pazienti contribuiranno a comprendere l’impatto di queste variabili farmacocinetiche/farmacogenomiche sull’efficacia e la tossicità del trattamento con tiopurine. Per determinare se PACSIN2 e l'autofagia contribuiscono alla variabilità interindividuale nell'attività di TPMT e nella suscettibilità alla tossicità da mercaptopurina abbiamo eseguito degli esperimenti in cellule con meccanismo di autofagia alterato (ovvero fibroblasti murini embrionali, MEF, da topi con ATG7 disattivato) e alterazione di PACSIN2 (cellule NALM6 con silenziamento di PACSIN2). Le cellule con meccanismo di autofagia alterato esprimono costitutivamente livelli più alti di PACSIN2 endogeno; questo avviene anche per altre proteine correlate all'autofagia come p62. Il trattamento con rapamicina induce la degradazione di PACSIN2 nelle cellule con autofagia funzionante, ma non in quelle con meccanismo di autofagia alterato. Il silenziamento dell'espressione di PACSIN2 ha indotto un aumento nel livello basale di autofagia, come documentato dall'accumulo di LC3-II e autofagosomi. La sequenza proteica di PACSIN2 contiene due siti di legame per LC3 e la co-immunoprecipitazione di PACSIN2 e LC3 dimostra l'interazione delle due proteine nelle linee cellulari NALM6. La stabilità di TPMT è diminuita quando l'espressione di PACSIN2 è alterata, in confronto a cellule con livelli normali di PACSIN2. Qui dimostriamo che PACSIN2 è bona fide una proteina dell'autofagia e che il suo ruolo come modulatore dell'autofagia influenza la variabilità interindividuale nell'attività di TPMT.
XXVI Ciclo
1980
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3

Girardelli, Martina, and Martina Girardelli. "Ricerca di nuove varianti geniche associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10849.

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Abstract:
2013/2014
2013/2014
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), sono un gruppo di malattie eterogenee ad eziologia multifattoriale. Sono caratterizzate da uno stato infiammatorio a carico della mucosa del tratto gastrointestinale e comprendono il Morbo di Crohn (MC), la Rettocolite ulcerosa (RCU) e la Colite indeterminata (CI) i cui quadri istopatologici differiscono tra loro per tipo di lesione, localizzazione della malattia e complicanze associate. Le MICI insorgono tipicamente durante l’adolescenza o in età adulta come il risultato della combinazione di tutti i fattori predisponenti che concorrono in egual misura nella determinazione della malattia. L’insorgenza delle MICI può avvenire anche in età molto precoce, entro i 10 anni ma anche entro i 2 anni e in maniera ancora più grave. In questi casi di esordio precoce si ipotizza che il peso maggiore sia da attribuire alla componente genetica piuttosto che a fattori ambientali e microbici. Solitamente i pazienti con esordio precoce sono caratterizzati da un fenotipo malattia più severo e difficilmente controllabile con le terapie convenzionali. Per gli aspetti differenti che si osservano in termini di predisposizione, caratteristiche fenotipiche, fattori coinvolgenti e geni interessati, le MICI possono essere contestualizzate da una parte come malattie multifattoriali e dall’altra come patologie “monogeniche". Nel contesto della multifattorialità, i numerosi studi di associazione son stati importantissimi in quanto hanno individuato numerosi geni relativi a distinte pathway (barriera intestinale, regolazione dell’immunità innata dell’epitelio, autofagia, sistema fagocitario e stress) coinvolte nella patogenesi delle MICI (ad oggi 163 loci). Nel lavoro di dottorato l’attenzione e l’interesse si è focalizzato sullo studio delle MICI ad insorgenza precoce e uno dei primi obiettivi della tesi è stato quello di indagare in 36 pazienti pediatrici, geni noti dalla letteratura per essere associati alla malattia (NOD2, ATG16L1, IL23R, IL10, IL10RA, IL10RB e XIAP), con il fine di identificare una possibile correlazione genotipo-fenotipo. Anche se non è stato possibile identificare un unico filo conduttore che ci ha permesso di correlare il fenotipo dei pazienti ai genotipi individuati, sono state identificate nuove varianti missenso e introniche. Tutte le varianti individuate sono state analizzate da un punto di vista bioinformatico per valutare la predizione di patogenicità: in base alle predizioni ottenute l’attenzione si è focalizzata su due varianti nel gene NOD2 sulle quali sono stati allestiti saggi funzionali per valutare il loro impatto sulla corretta sintesi e funzionamento della proteina. Un importante dato che emerge sempre più spesso dalla letteratura è l’evidenza che lesioni infiammatorie a carico del tratto gastrointestinale e il fenotipo tipico delle MICI, possono presentarsi molto precocemente (entro i 2 anni di vita) come prime o a volte anche come uniche manifestazioni cliniche in un contesto patologico più ampio che sottende allo sviluppo di gravi immunodeficienze (MICI-like). In questi casi le mutazioni a carico del gene malattia sono molto rare e generalmente considerate come mutazioni “private” e causative del fenotipo malattia che si osserva. Nell’ambito delle MICI in un contesto che possiamo definire monogenico, sono stati analizzati pazienti pediatrici con una sintomatologia MICI-like mediante analisi di sequenza di nuova generazione “Whole Exome Sequencing (WES)”. Sono state ricercate specificamente mutazioni in un determinato set di geni accuratamente selezionati (60 geni) in quanto responsabili di patologie monogeniche che presentano, all’esordio della malattia, una sintomatologia MICI-like. L’obiettivo è quello di riuscire ad effettuare in tempi rapidi l’identificazione di mutazioni in specifici geni malattia, per permettere al clinico di diagnosticare altrettanto rapidamente la malattia e poter intraprendere la terapia più adeguata e specifica per ciascun paziente. Così come sono state individuate numerose varianti presenti nei database e note per la loro associazione alle MICI, sono state identificate anche nuove varianti, mai descritte prima in letteratura. Alcune varianti sono state analizzate con saggi funzionali in vitro in modo da poter comprendere il rispettivo effetto sulla proteina. Per testare l’effetto della variante intronica rs104895421 (c.74-7T>A), situata a monte dell’esone 2 del gene NOD2, è stato allestito il saggio del minigene ibrido. L’esperimento ha messo in evidenza che tale sostituzione nucleotidica altera il corretto funzionamento del meccanismo di splicing, provocando, anche se non con una efficienza del 100% l’esclusione dell’esone. Nel contesto di MICI come malattie monogeniche, sono state individuate due importanti mutazioni, in due pazienti con sintomatologia MICI-like ad esordio molto precoce. La prima è una mutazione, ovvero una delezione di due nucleotidi, identificata nel gene XIAP (c.1021_1022delAA fs p.N341fsX7). Questa delezione determina la sintesi di una proteina tronca provocando un’alterazione strutturale della proteina che ne la funzionalità. Il risultato di tale lavoro ha permesso al clinico di fare finalmente la corretta diagnosi e il paziente è stato curato grazie ad un trapianto di midollo. La seconda mutazione degna di interesse è una mutazione missenso identificata in omozigozi nel gene NOD2 (c.G1277A p.R426H), in seguito all’analisi dell’esoma. Dalle indagini funzionali si evince che tale mutazione altera il normale funzionamento del recettore intracellulare NOD2, e quindi potrebbe spiegare il fenotipo malattia osservato nel giovane paziente (“gain of function”). In questo caso, il confronto con il clinico, in base alle evidenze ottenute dai test eseguiti, deve ancora avere luogo ma sarà di fondamentale importanza per fare una diagnosi e iniziare la terapia idonea. Questa tesi ha incrementato, seppur con piccoli tasselli, le conoscenze riguardo alcuni varianti in geni conosciuti dalla letteratura per la loro associazione con le MICI. I risultati ottenuti hanno avuto inoltre un impatto traslazionale molto importante permettendo ai clinici di fare la corretta diagnosi e iniziare la terapia idonea per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita del paziente.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1985
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4

Fabbro, Nerina. "Prevalenza e fattori di rischio della depressione post-parto. Genetica, attaccamento e variabili psicosociali in uno studio in Friuli Venezia Giulia." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9985.

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Abstract:
2012/2013
Sotto studio 1°. Screening dei sintomi depressivi nel postparto in alcuni Punti Nascita del Friuli Venezia Giulia. Prevalenza e identificazione precoce Introduzione. Il tasso di prevalenza dei sintomi depressivi variano dal 10% al 15% delle donne dopo il parto. Le severe conseguenze di questo disturbo sulla madre, sulla relazione madre-figlio, sulla relazione di coppia e sulla famiglia rendono indispensabile identificare precocemente le madri a rischio, per suggerire strumenti preventivi di screening e aiuti sanitari per madri a rischio. Diversi studi utilizzando l’EPDS come baseline nei primi 2 o 3 giorni dopo il parto, durante la degenza ospedaliera, hanno mostrato che il maternity blues si associa ad un aumentato rischio di depressione maggiore e di disturbi d’ansia nei tre mesi dal parto. Obiettivo. Conoscere la prevalenza del fenomeno della DPP in Friuli Venezia Giulia, considerato che non esistono dati in tal senso, attraverso una rilevazione in alcuni Punti Nascita della regione, anche in rapporto al ruolo di fattori demografici e psicosociali. Verificare se possibile identificare durante la degenza ospedaliera, madri a rischio di DPP nel post-parto successivo. Metodo. A un campione di 1110 puerpere, raccolto in 6 Punti Nascita del FVG, 2,3 giorno dopo il parto, durante la degenza ospedaliera (T0), sono stati somministrati l’EPDS (cut-off≥9) (Cox et al.1987; Carpiniello et al. 1999), per rilevare l’umore materno e una scheda sociodemografica; durante il follow-up telefonico a tre mesi dal parto (T1) proposti l’EPDS e alcune domande per cogliere eventuali fattori di rischio. Risultati. A T0: la prevalenza EPDS è 16.7% (media è 4.58, s.d.=4.02, range 0-22); a T1 è 14.3% (media 4.59, s.d.=3.62, range 0-23). A T1 sono non cliniche (EPDS<9) il 90% delle donne non cliniche a T0 e sono cliniche il 35% di quelle cliniche a T0 (OR=4.93, Wald Chi Quadrato=66.307, p=0.00). La regressione logistica mostra che l’EPDS ≥ 9 si associa a T0 con: tipo di parto (Wald Chi quadrato=8.1, p=0.004; OR= 1,76), livello economico (Wald Chi quadrato=9.54, p=0.002, OR= 3,04); life events (Wald Chi quadrato=8,80, p=0.003, OR= 2,03); stress per la cura del bambino (Wald Chi quadrato=6,01, p=0.014, OR= 1,76); a T1 con: eventi di stress (Wald Chi quadrato=43.7, p=0.00, OR= 5,21), stress nella cura del bambino (Wald Chi quadrato=24.03, p=0.00, OR=3,5), aiuti dal marito (Wald Chi quadrato=4.0, p=0.045, OR=2,03), problemi nell’allattamento (Wald Chi quadrato=5.57, p=0.02, OR=1,96). L’ansia (items EPDS 3+4+5: cut-off >4) a T0 è 18.5% (media: 2.44,ds=2.1), a T1: 14.3% (media 2.39,ds=1.9). Discussione. La prevalenza di sintomi depressivi si attesta sui valori individuati da altri studi; la gran parte delle donne depresse ha comorbilità con sintomi ansiosi. Il maternity blues a T0 ha una probabilità di mantenenimento cinque volte maggiore e circa un terzo/metà delle donne rilevate resta clinica a T1; si associa con: parto cesareo, life events, stress nella cura del neonato, problemi di allattamento. A T1 i sintomi depressivi si associano a: life events, carenza di supporto, da parte del partner e/o dai familiari, difficoltà di allattamento e stress nella gestione del neonato. Fattori protettivi risultano: alta scolarità e livello economico medio-alto/alto. Conclusione. I risultati indicano l’utilità di effettuare screening di routine dell’umore materno già durante la degenza post-parto, per individuare precocemente donne a rischio di DPP e avviare percorsi di aiuto. Sotto-Studio n°2 Titolo. Ruolo di varianti geniche (geni OXTR, SLC6A4, BDF) e dello stile di attaccamento materno nella predisposizione alla depressione postparto Introduzione. Il modello interpretativo della DPP, che la considera come un disturbo a origine multifattoriale, vede interazioni tra genetica, aspetti psicologico-relazionali e aspetti socio-ambientali. Fino ad oggi numerose sono le ricerche che si sono focalizzate prevalentemente sui fattori psicosociali che possono contribuire alla DPP, mentre restano relativamente scarse le conoscenze su vulnerabilità predisponenti, sia circa le basi genetiche, che lo stile di attaccamento insicuro, fattore di rischio ormai ampiamente validato per la depressione maggiore. Obiettivo. Approfondire alcuni fattori di predisposizione nello sviluppo della DPP, di tipo psicologico-relazionale e di tipo biologico-genetico. Si vuole indagare, se uno stile di attaccamento materno insicuro (legame parentale precoce, stile di attaccamento adulto e sentimentale) sia fattore di vulnerabilità dell’umore materno nel puerperio. Il sotto studio di genetica vuole indagare se nell’etiologia della DPP possano essere implicati aspetti genetici, connessi al genotipo del polimorfismo 5-HTT del gene SLC6A4, trasportatore della serotonina; del polimorfismo Val66Met del gene BDNF; del polimorfismo SNP rs53576 del gene OXTR. Metodo. A un campione di 251 madri, a 2,3 giorni post-parto (T0) sono proposti: scheda socio-demografica; EPDS e BDI-II; PBI; ASQ, ECR, Ca-Mir per rilevare lo stile di attaccamento e sentimentale. E’ stato fatto prelievo per la genetica. Al follow-up a tre mesi (T1) proposti EPDS, BDI-II e alcune domande per fattori di rischio. Risultati. A TO i punteggi EPDS si associano significativamente con i punteggi a T1 (p=0.00, OR 7.26); il BDI-II si associa significativamente con EPDS a T0 (p 7=0.00; OR= 17.9) e a T1 (p=0.00, OR=80.42) e con BDI-II a T1(p=0.00, OR 15.73). I sintomi depressivi (EPDS≥9) si associano significativamente a T0 con PBI padre (p=0.012, OR= 3.9) e cura paterna (p=0.001, OR=5); con ASQ: evitamento (p=0.023, OR=5.7), fiducia (p=0,007, OR=0,02), disagio nell’intimità (p=0.04, OR= 4), secondarietà delle relazioni (p=0,04, OR=4,7), bisogno di approvazione (p=0.001,OR= 12); con ECR: ansia (=0.001, OR =10.1). Il BDI-II a T0 si associa altresì con PBI tipo di legame materno (p=0.031, OR= 3.6) e cura materna (p=0.031, OR= 2.86), con ASQ ansia (p=0,004, OR=31), preoccupazione nelle relazioni (p= 0,025, OR=7,6), con ECR evitamento (p,003, OR=6,7). A T1 l’EPDS≥9 si associa con PBI madre bassa cura (p=0,011, =R=3,3), con PBI padre legame insicuro (p=0,034, OR 2,6) e bassa cura (p=0,014, =R=3,3), con ASQ: bisogno di preoccupazione (p=0,05, OR=12,8); con ECR ansia (p=0,05, OR=3,9). A T1 il BDI-II: con PBI bassi livelli di cura materna (p=0,031, =R=3,3) e paterna (p=0,014, OR=3,6); con ASQ: bisogno di approvazione (p=0,01) e preoccupazione per le relazioni (0,05, OR=5); con ECR ansia (p=0,01, OR=7,5). L’analisi di regressione logistica evidenzia associazione tra EPDS e PBI cura paterna (p.005) e con ECR Ansia (p.013). A T1 con ASQ Disagio Intimità (p.017), Bisogno Di Approvazione (p.013) e ECR Ansia (p.001). Le difficoltà di allattamento associano ai sintomi depressivi a T0 (EPDS: OR=3.62; BDI-II: OR= 5.2) e a T1 (EPDS: OR=3.5; BDI-II: OR= 4.7) Discussione. I sintomi depressivi a T0 associano con storia di scarsa cura e di legame paterno precoce carente; con evitamento e disagio nell’intimità, scarsa fiducia negli altri e nell’importanza delle relazioni interpersonali; necessità di approvazione; con legame di coppia insicuro-ansioso. La diagnosi formale di DPP aggiunge: scarsa cura materna nell’infanzia, relazioni in età adulta evitanti e ansiose, necessità di approvazione e preoccupazione per le relazioni stesse. A T1 con storia di scarsa attenzione sia materna che paterna, bisogno di approvazione nelle relazioni, legame di coppia ansioso-preoccupato. Nell’accudimento del piccolo si associa con difficoltà nell’allattamento e alto stress nella gestione del figlio. Conclusione. Nella comparsa di sintomi depressivi nel post-parto si conferma il ruolo predisponente di vulnerabilità di relazioni genitoriali infantili insicure, di stili di attaccamento e di coppia ansiosi. Sotto studio di genetica3°. Analisi di varianti geniche nella predisposizione allo sviluppo di depressione post-partum Risultati. Pur evidenziandosi differenze tra i punteggi statistici totalizzati, emerge assenza di differenze statisticamente significative tra casi e controlli per le variazioni di frequenza allelica (p =SLC6A4: 0.3429, BDNF:0.2027, OXTR:0.3787) e di frequenza genotipica (p=SLC6A4: 0.1639, BDNF:0.3307, OXTR: 0.5758). Discussione. L’analisi di fattori genetici predisponenti a sintomi depressivi nel post-parto esclude il coinvolgimento dei polimorfismi 5-HTT del gene SLC6A4, Val66Met del gene BDNF; SNP rs53576 del gene OXTR nella vulnerabilità per depressione post-parto. Conclusione. L’assenza di differenze significative non esclude l’eventuale predisposizione genetica verso la depressione post-parto, dovuta presumibilmente a geni che non sono stati analizzati nella presente ricerca. sotto-Studio n°4. Titolo. Ruolo di fattori psicosociali di rischio dei sintomi depressivi nell’ ante-postparto Introduzione. Come per molti altri disturbi psichiatrici, anche per l’eziologia della DPP la letteratura sostiene la presenza di più variabili co-causative, che agiscono non solo dopo la nascita del figlio, ma già in gravidanza, con la comparsa di sintomi depressivi, che possono condizionare la formazione del legame materno-fetale. Obiettivo. L’obiettivo è di indagare la relazione tra alcune variabili psicosociali e la comparsa di sintomi depressivi in gravidanza e dopo il parto, per verificare l’andamento dell’umore ed evidenziare il ruolo dei fattori di rischio, anche nello sviluppo del legame materno-fetale. Metodo. A un campione di quarantasei gravide, al terzo trimestre di gravidanza (T1), sono stati somministrati l’EPDS (Cox et al.1987; Carpiniello et al. 1999), per rilevare l’umore materno; la scheda dei fattori di rischio psicosociale; il PBI (Parker et al.1979), per rilevare il legame precoce di attaccamento; il PAI (Muller 1993), per misurare il legame materno-fetale. A una settimana dal parto (T2) e a tre mesi (T3) sono stati effettuati i follow-up telefonici e riproposto l’EPDS, per verificare la comparsa di sintomi depressivi Risultati. La percentuale di EPDS ≥9 aT1:17,8% (media: 5.09, d.s..=4.18, range=0-21); aT2: 20,5%,(media: 6.07, d.s.=4.62, range=0-23); a T3: 18,2% (media 5.21, d.s.=3.74, range=0-14). L’EPDS ≥9 si associa con: basso sostegno a T1 e a T2 (p=0.04, OR = 6.04; p = 0.04, OR = 5.85); scarso aiuto a T1 e a T3 (p = 0.059, OR = 6.37, p = 0.06, OR = 6.19), sindrome premestruale a T2 (p = 0.02, OR = 15.37); minore soddisfazione di coppia a T1, T2 e T3 (T1: p = 0.02, OR = 0.15, T2:p = 0.001, OR = 0.07, T3:p = 0.04, OR = 0.18); eventi di stress prima della gravidanza a T1 e T2 (p = 0.05, OR = 5.74; p = 0.02, OR = 6.96); ansia prima della gravidanza a T1, T2 e T3 (p = 0.015, OR = 0.13) e durante la gravidanza a T1 (p = 0.06, OR = 0.21), bassa autostima a T3 (p = 0.015, OR = 18.62); istruzione a T1 e T3 (p = 0.034, OR = 0.19). Alti punteggi al PAI (media 61,65; d.s.8,22 ) si associano con età minore di 35 anni (t=3.01, p=0.007) ed essere primipare (t=2.090, p=0.046). Discussione. I fattori psicosociali di rischio, associati ai sintomi depressivi in gravidanza sono: eventi di vita stressanti; ansia in gravidanza; basso sostegno pratico ed emozionale; una settimana dopo il parto: eventi di vita stressanti; sindrome premestruale; tre mesi dopo il parto: bassa autostima; scarso sostegno e aiuto; disordini d’ansia prima e in gravidanza. Fattori protettivi sono risultati: scolarità avanzata (universitaria), buona soddisfazione di coppia. L’attaccamento materno-fetale è risultato più intenso con più bassa età e nelle primipare e tra coloro con cura materna adeguata nell’infanzia. Conclusione. I risultati individuati confermano il ruolo centrale che alcuni fattori psicosociali di rischio hanno nella comparsa di sintomi depressivi già in gravidanza e poi nel post-parto.
XXV Ciclo
1957
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5

Badina, Laura. "Immunoterapia orale (OIT) nei lattanti: potenzialità terapeutiche e di prevenzione dell'allergia alimentare IgE-mediatanull." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10859.

Full text
Abstract:
2012/2013
Introduzione: A fronte della diagnosi di allergia alimentare IgE-mediata le Linee Guida internazionali International raccomandano una scrupolosa dieta di eliminazione dell’alimento in causa e l’esecuzione di un test di provocazione orale (TPO) non prima dei 9-12 mesi dalla diagnosi, volto a verificare l’eventuale risoluzione spontanea dell’allergia. La sensibilizzazine allergica ad alimenti come il latte e l’uovo inizia nel primo anno di vita e raggiunge il suo massimo nel secondo anno di vita; in seguito in molti soggetti si verifica una riduzione dei livelli di IgE specifiche. Di fatti un elevato numero di bambini rimane a dieta per diversi anni e un numero sempre crescente di allergie alimentari divengono persistenti. D’altro canto numerose evidenze della letteratura evidenziano come il prerequisito fondamentale per l’ecquisizione della tolleranza orale sia la persistente e ripetuta esposizione all’allergene. Obiettivo: verificare l’ipotesi che l’assunzione graduale controllata dell’alimento offendente iniziata subito dopo la diagnosi di allergia alimentare possa accelerare lo sviluppo della tolleranza orale. Metodi: un TPO a basse dosi (10 ml of latte vaccino or 2 ml di emulsione di uovo crudo) è stato effettuato in 211 lattanti (119 maschi; età < 18 mesi) con storia di allergia certa al latte vaccino o all’uovo (reazione immediata da ingestione e provata sensibilizzazine ai test allergometrici) o con allergia potenziale agli stessi alimenti (dermatite atopica and prick-test or IgE sp > VPP 95%). La dose tollerata al TPO è stata assunta giornalmente a domicilio con periodici aumenti di dosaggio fino al raggiungimento della dieta libera per l’alimento in causa. Risultati: Venti lattanti (10%) sono stati esclusi perché già altamente reattivi al primo TPO a basse dosi. Lo studio è stato attualmente completato da 146 bambini e 91% hanno completato il protocollo di desensibilizzazione con successo. In un tempo mediano di 155 giorni (range IQ: 123-217) and 181 giorni (range IQ: 136-275). Nel corso del programma di desensibilizzazione si sono verificate in media 1,1 reazioni avverse per paziente, tutte di grado lieve-moderato. Un aumento significativo delle IgG4 sp e una importante parallela diminuzione delle IgE sp si è verificata alla fine del protocollo di immunoterapia orale (OIT). Conclusions: L’OTI iniziata all’esordio dell’allergia per latte e uovo sembra essere un approccio promettente capace di modificare l’andamento ingravescente della sensibilizzazione allergica nei primi anni di vita. Inoltre appare di più facile e sicura esecuzione rispetto a esperienze analoghe nel bambino più grandicello.
XXVI Ciclo
1979
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6

Giacomelli, Mauro Simone. "I pazienti con Sindrome di DiGeorge e delezione di Crkl mostrano una sbilanciata risposta proliferativa legata alla riduzione del fattore trascrizionale c-Fos." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9986.

Full text
Abstract:
2012/2013
La sindrome di DiGeorge (o del22q11.2) è una immunodeficienza primitiva, avente una incidenza di 1 / 5000 nati vivi. Essa è causata da una delezione, in eterozigosi, di un tratto del braccio lungo del cromosoma 22, di circa 3 MB. La sindrome si accompagna a malformazioni cardiache e del tronco aortico, oltre che ad anomalie del volto e dell’arco palatino, con ipoplasia/aplasia del timo e delle paratiroidi. Oltre alle patologie cardiache gli individui affetti soffrono di tetania e convulsioni, dismorfismi facciali e immunodeficienze con infezioni ripetute sia batteriche che virali, in particolare alle vie aeree sia alte che basse. Spesso sono frequenti episodi di autoimmunità. In generale la sindrome mostra una ampia variabilità fenotipica, anche fra individui della stessa famiglia. Le basi delle alterazioni immunologiche di questa sindrome non sono ancora pienamente comprese e restano anzi assai vaghe. Fra le proteine delete vi è la proteina Crkl, una proteina appartenente alla più ampia famiglia degli adattatori Crk. Crkl prende parte ad importanti processi biologici quali chemotassi, adesione, apoptosi e proliferazione. Crkl è una proteina coinvolta infatti nel signaling di svariati fattori di crescita e citochine come SDF-1α, interferoni di tipo I, GM-CSF ed IL-2. Il nostro scopo è stato quello di comprendere se le alterazioni funzionali dei linfociti T, osservabili in questa sindrome, siano correlabili alla aplo-insufficienza di Crkl. Noi abbiamo analizzato, in un gruppo di pazienti affetti da del22q11.2 la proliferazione, l’apoptosi e l’espressione di vari markers di attivazione, nei linfociti T dopo stimolazione con IL-2 o dopo ingaggio del TCR. Successivamente abbiamo valutato i cambiamenti nei principali fattori chiave della proliferazione, quali le cicline, nonché l’andamento di fattori trascrizionali come c-Fos e stat5, in seguito ad attivazione dei linfociti T. Tutti i pazienti osservati presentavano una evidente riduzione della proteina totale Crkl, cosi come una marcata riduzione della sua forma fosforilata. La fosforilazione di Crkl è indotta principalmente da IL-2 la quale è il principale fattore proliferativo dei linfociti T. IL-2 modula anche l’espressione di Crkl sia a livello di proteina che a livello di mRNA. In aggiunta, in questi soggetti, la proliferazione dei linfociti T dopo triggering del TCR appare anch’essa ridotta, se comparata a soggetti sani di controllo. Noi abbiamo anche osservato un decremento della fosforilazione di stat5 sempre a carico dei linfociti T dei pazienti, dopo stimolazione con IL-2. Stat5 è peraltro noto formare complessi trascrizionali con Crkl i quali complessi sono attivi in sede nucleare nella espressione di geni bersaglio. La successiva analisi dell’andamento dei fattori chiave che regolano il processo proliferativo ha rivelato un decremento nei livelli del fattore trascrizionale c-Fos, facente parte del complesso trascrizionale AP-1 e un calo, variabile nei livelli, della ciclina D3. Questi risultati si sono anche confermati su linee Jurkat dopo silenziamento specifico di Crkl. In conclusione la diminuita proliferazione, benchè solo parziale, osservata nei linfociti T dei pazienti si accompagna a decrementati livelli di Crkl, e fosfo-Crkl con conseguente riduzione anche del fattore trascrizionale c-Fos, e della ciclina D3. Nonché ad una ridotta fosforilazione di stat5, dopo stimolo con IL-2. Il nostro dato suggerisce un ruolo potenziale, ancorché non unico, di Crkl e della sua aploinsufficienza nelle alterazioni funzionali dei linfociti Te in particolare nel deficit proliferativo, in pazienti affetti da del22q11.2.
XXVI Ciclo
1974
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