Dissertations / Theses on the topic 'SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN NEUROSCIENZE E SCIENZE COGNITIVE - indirizzo NEUROBIOLOGIA'

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1

Jarmolowska, Joanna. "Nuovi sistemi per la comunicazione alternativa basati su Brain Computer Interface." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10149.

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Abstract:
2011/2012
La comunicazione alternativa attraverso le BCIs può risultare uno strumento per agevolare le condizioni di vita di pazienti affetti dai disturbi neurologici. La comunicazione via BCI è ancora molto più lenta rispetto alla comunicazione con il linguaggio naturale. L’obiettivo di questo lavoro di tesi si inserisce in tale ambito, consistendo nello sviluppo di nuove applicazioni in grado di migliorare la velocità di comunicazione con utilizzo delle BCIs. Sono stati sviluppati due sistemi di comunicazione alternativa basati sulla componente P300. Il primo sistema chiamato ‘Multimenu’ permette una selezione veloce di messaggi e di comandi impostati in una struttura gerarchica. Il secondo sistema di tipo predittivo, denominato PolyMorph, grazie ad algoritmi appositamente sviluppati, predice i caratteri e/o le parole successivi a quelli già selezionati in precedenza.
XXV Ciclo
1980
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2

Sgubin, Donatella. "Cellule Staminali di Glioblastoma: Terapia Oncolitica con Vettori Erpetici Ingegnerizzati." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10157.

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Abstract:
2012/2013
Il Glioblastoma (GBM), nonostante i migliori standard terapeutici, rimane una patologia a prognosi infausta. L’ipotesi delle Glioma Stem-like Cells (GSCs) prevede che, nella massa tumorale, sia presente una popolazione di cellule resistenti alla chemio e radioterapia e che tali cellule siano quindi le possibili responsabili della recidiva di malattia. Le GSCs, che possiedono caratteristiche comuni alle cellule staminali fisiologicamente presenti nel cervello adulto, sono cellule a lenta crescita, capaci di self-renewal, esprimono marker di staminalità, sono multipotenti e sono tumorigeniche quando vengono impiantate in vivo in modelli murini, formando lesioni istologicamente identiche a quelle originarie. Il relativo fallimento delle terapie ad oggi in uso ha portato a studiare nuove strategie dirette verso le GSCs e non soltanto verso le cellule a rapida divisione. Le terapie con virus oncolitici rappresentano, in questi termini, un approccio promettente. L’Herpes Simplex Virus di tipo 1 (HSV-1) è uno dei vettori più studiati e, nelle sue forme mutate, risulta sicuro ed efficace in vitro e in vivo. Questo studio dimostra come G47!, forma multimutata dell’HSV-1, sia in grado di infettare, replicarsi e uccidere le GSCs derivanti da linee primarie di GBM in vitro e in vivo sia in normossia, che in ipossia, condizione che, oltre ad essere comune in questo tumore, arricchisce la popolazione cellulare con caratteristiche stem-like. In questo progetto si descrive inoltre una nuova forma mutata di G47! denominata G47!Us11fluc, in cui il virus esprime luciferasi come gene late del ciclo di replicazione virale, offrendo una stima precisa del virus yield, nonchè un metodo di visualizzazione in tempo reale, con sistemi a bioluminescenza, della replicazione virale in vivo.
XXVI Ciclo
1980
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3

Riggi, Margherita. "Correlati anatomici, neurochimici e funzionali di eventi neurodegenerativi nel ratto." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10155.

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Abstract:
2012/2013
La malattia di Parkinson (PD) e quella di Alzheimer (AD) appartengono entrambe ad una famiglia di patologie neurologiche, caratterizzate da neurodegenerazione, i cui deficit funzionali (motori, sensitivi e psicologici) sono progressivi, e la cui insorgenza si presenta tipicamente dopo la quinta o la sesta decade di vita. Diversi studi ipotizzano che esse possano essere la diversa manifestazione di uno stesso processo disfunzionale, poichè presentano vari aspetti neuropatologici in comune. Ambedue infatti sono caratterizzate da una deplezione massiva dei sistemi neurotrasmettitoriali a proiezione diffusa (quali ad esempio il colinergico, il dopaminergico ed il noradrenergico) e dalla presenza, nei tessuti coinvolti, di aggregati di proteine con alterata conformazione in sede intra- od extracellulare. Inoltre, entrambe sono associate all’insorgenza di disturbi cognitivi ed allo sviluppo di demenza. Il lavoro di questa tesi è stato volto ad indagare alcuni aspetti che caratterizzano queste patologie, per approfondire in che modo la comparsa di determinate disfunzioni anatomiche e neurochimiche influenzi il processo patologico, ed in particolare determini lo sviluppo di deficit cognitivi. Nello specifico abbiamo indagato i contributi rispettivamente del sistema colinergico del prosencefalo di base, di quello dopaminergico mesocorticolimbico e del sistema noradrenergico ascendente, nella regolazione della reference e della working memory, usando il ratto come animale modello. Attraverso l’iniezione neonatale di due immunotossine (192-IgG-saporina e anti-DBH-saporina) e di una neurotossina (6-OHDA) in età adulta, abbiamo osservato le conseguenze funzionali ed anatomiche della deplezione, singola o combinata, dei corrispettivi sistemi neurali, tramite appropriati test comportamentali (quali il Morris Water Maze ed il Radial Arm Water Maze) e procedure istologiche ad hoc. Alla luce dei risultati ottenuti è emerso che il sistema noradrenergico svolge un ruolo importante nel regolare i processi ippocampo-dipendenti, interagendo con gli altri due sistemi e, ove necessario, compensando funzionalmente alla loro mancanza. Inoltre abbiamo indagato gli effetti derivanti dalla deplezione del sistema colinergico del prosencefalo di base con, o senza, l’aggiunta dell’infusione di beta-amiloide 25-35 pre-aggregata in ippocampo, sull’apprendimento e la memoria spaziale di ratti così trattati; e le conseguenze neurochimiche di questi trattamenti sui tessuti prelevati post-mortem, soprattutto per quanto riguarda le alterazioni del metabolismo delle proteine APP, TAU e TDP-43, indagate tramite tecniche istologiche specifiche ed analisi con Western Blot. In questo modo è stato visto che c’è un’interazione sinergica tra l’ipofunzione colinergica e l’infusione di beta-amiloide esogena pre-aggregata nel determinare deficit cognitivi, sia nella reference che nella working memory; e che la deplezione colinergica riesce di per sè sia ad incrementare la fosforilazione della proteina Tau, e quindi di provocarne il distacco dai microtubuli e favorirne l’aggregazione a livello del soma cellulare, che sia a provocare delle alterazioni nel metabolismo della proteina TDP-43, che rispetto ad animali di controllo risulta sovraespressa e localizzata anche a livello del citoplasma. Mentre l’influenza dell’aggregazione della beta-amiloide in questi processi appare marginale o comunque avere una comparsa più tardiva. Il lavoro svolto propone quindi di considerare delle terapie farmacologiche e ristorative che hanno come target il sistema noradrenergico per la cura dei disturbi cognitivi che accomunano la malattia di Alzheimer e quella di Parkinson; e di approfondire maggiormente l’interazione che lega il sistema colinergico alla TDP-43, perchè potrebbe essere importante per capire i meccanismi che conducono alla comparsa di neurodegenerazione e di demenza.
XXVI Ciclo
1984
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4

Mastropasqua, Chiara. "In vivo characterization of cerebral networks with functional and structural magnetic resonance techniques." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10129.

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Abstract:
2012/2013
Lo studio delle connessioni anatomiche e funzionali del cervello risulta essere un passo essenziale per comprendere i meccanismi alla base del funzionamento cerebrale. Diverse tecniche di Neuroimmagini sono state sviluppate negli ultimi anni al fine di approfondire la conoscenza della connettività cerebrale umana in vivo. Il presente studio si articola in quattro differenti esperimenti condotti su gruppi di soggetti sani e non, per valutare la validità di differenti tecniche e della loro combinazione nella caratterizzazione della connettività anatomica e funzionale e delle alterazioni che essa subisce nell'ambito di differenti patologie.
XXVI Ciclo
1985
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5

Abate, Ilaria. "Chronic intracellular Ca2+ buffering shapes Ca2+ oscillations in developing spinal interneurons." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8546.

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Abstract:
2011/2012
During the development of spinal cord, the maturation of neuronal circuits is a complex process, involving genetic and epigenetic mechanisms cooperating for the maturation of motor control (Jessell, 2000; Kiehn, 2006). Variations in the concentration of intracellular Ca2+ are crucial signals in this process of maturation; in fact, Ca2+ signals may lead to the emergence of specific neuronal phenotypes or guide the formation of cellular connectivity. The organotypic cultures of embryonic mouse spinal cord represent an ideal experimental approach to study the maturation and physiology of the individual neurons and spinal networks. In fact, this experimental model reproduces in vitro the heterogeneous populations of cells, the three dimensional connections between these cells and the basic cytoarchitecture of the spinal cord observed in in vivo development (Avossa et al., 2003). In this experimental model, three different types of Ca2+ activity have been identified and characterized: waves, bursts and oscillations (Fabbro et al., 2007; Sibilla et al., 2009). These Ca2+ signals are all generated by ventral interneurons, but each of them shows a specific pattern of expression during development and has different underlying mechanisms. In this thesis, I focused my attention on the most peculiar of these Ca2+ signals: the electrical activity-independent Ca2+ oscillations. The main aim of my thesis was to better clarify the mechanisms underlying the generation and role of Ca2+ oscillations in spinal neurons, by investigating the effects of pharmacological manipulation of intracellular Ca2+ buffering on Ca2+ oscillations behavior, neuronal biophysical properties and neuronal network activity in organotypic spinal cultures. To this aim, I treated spinal cord slices with two different intracellular Ca2+ buffers, BAPTA-AM and EGTA-AM, and I monitored their impact using both Ca2+-imaging and single cell patch-clamp techniques. Initially, I investigated the effects on Ca2+ oscillations induced by both chronic and acute treatment with BAPTA-AM. For the first time I described a change in the activity of oscillating neurons. In particular, after chronic incubation with BAPTA-AM, I reported a significant increase in the number of neurons recruited to generate Ca2+ oscillations, which was accompanied by a modulation of oscillations kinetic. Ca2+ oscillations recorded after chronic incubation with BAPTA-AM maintained their peculiar features (Fabbro et al., 2007; Sibilla et al., 2009), in particular their Ca2+-dependence, thus supporting the idea that the BAPTA-induced oscillations represent an amplification of the true oscillations phenomena, amplified by a prolonged intracellular Ca2+ buffering. Despite a potentiating effect of chronic BAPTA-AM treatment on Ca2+ oscillations, its acute application completely blocked Ca2+ oscillations in all neurons. The next step was to verify whether the observed effects could be related to changes in the biophysical properties of neurons or in neuronal network electrical activity. By patch clamp experiments I showed that the chronic BAPTA-AM treatment induces a significant enhancement in the frequency of heterogeneous (GABA-glycine and AMPA mediated) spontaneous post-synaptic currents (PSCs) when compared to untreated cultures. Neuronal membrane capacitance and input resistance were comparable to those of control neurons, thus confirming neuronal health. As the reported results pointed to an increased excitability at the level of single neuron, I analyzed the impact of BAPTA treatment on the functional expression of a family of channels extremely important in the regulation of neuronal excitability: voltage-gated K+ channels. I observed the presence of a significant increase in the amplitude of K+ currents (IK) in slices chronically treated with BAPTA-AM. To analyze the type of IK involved I separated the different IK components (Ca2+-dependent -IK(Ca)- , transient -IK(A)- and delayed-rectifier -IK(DR)-), demonstrating that, in BAPTA-AM treated cultures, the IK(Ca) and IK(A) components were similar to control cultures. Conversely, I found a potentiation of IK(DR), i.e. an increase in its maximal current amplitude. Furthermore, I found that acute application of BAPTA-AM partially reduces the magnitude of total IK. Action potentials are other critical players reflecting neuronal excitability. Chronic BAPTA-AM treatment did not affect action potential kinetic; however, I found that BAPTA-treated neurons show a different distribution profile of excitability, with a widening of the population of ventral spinal interneurons displaying a tonic firing pattern and a decrease in the one showing an adapting firing behavior. To explore the specificity of BAPTA-AM effects I employed another intracellular Ca2+ chelator: EGTA-AM. I reported, as a consequence of a chronic EGTA-AM treatment of spinal neurons, an increase in the population of oscillating neurons (similarly to BAPTA treatment), but, without changes in oscillations kinetic. However, the study of synaptic activity in EGTA-AM treated slices did not reveal any change in the frequency or kinetic of spontaneous or miniature PSCs. Interestingly, in contrast to BAPTA treatment, EGTA-AM had no effect on IK. Overall, the results reported in this thesis show, on one hand, a specific effect of BAPTA-AM on K+; most importantly, on the other hand, they support the needing of a correct intracellular Ca2+ homeostasis for the genesis of Ca2+ oscillations and indicate the presence of a homeostatic adaptation as a rebound effect of chronic manipulation of intracellular Ca2+.
XXV Ciclo
1982
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6

Rauti, Rossana. "Electrophysiological and Morphological Characterization of Potentiated Synapses at the Micro and Nanoscale." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10154.

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Abstract:
2012/2013
Col termine generale di “plasticità sinaptica” si intendono tutti i meccanismi che stanno alla base della capacità del sistema nervoso di plasmarsi a seguito della sua maturazione e a fronte di stimoli esterni. Variazioni nella forma e nelle dimensioni oltre che l’instaurazione di nuove sinapsi o l’eliminazione di altre (sinaptogenesi) sono i meccanismi che regolano la plasticità sinaptica. Il sistema nervoso centrale è in grado di mettere in atto fenomeni di plasticità sinaptica in grado di modificarne la struttura e la funzionalità sia a corto che a lungo termine. Uno dei più studiati meccanismi cellulari alla base della memoria e dell’apprendimento è il potenziamento a lungo termine (Long Term Potentiation – LTP), una forma di plasticità neuronale che porta a un incremento dell’efficienza della trasmissione sinaptica durevole nel tempo. A livello cellulare, l’LTP aumenta la capacità di due neuroni di comunicare attraverso le sinapsi. Il meccanismo molecolare alla base di tale aumento dell’efficienza della trasmissione sinaptica non è univocamente stabilito, questo in parte è dovuto al fatto che l’LTP è determinato da diversi meccanismi che variano in base alla specie e alla regione del cervello in cui viene indotto. Una volta innescato, l’LTP conduce a varie modificazioni postsinaptiche, tra cui sintesi di nuovi recettori, nascita di nuove sinapsi (in particolare a livello del recettore glutamatergico NMDA) e cambiamenti a livello delle spine dendritiche (Engert and Bonhoeffer, 1999). Ragionevolmente, per indurre potenziamento a lungo termine è necessario che la membrana postsinaptica sia depolarizzata nell’intervallo di tempo in cui il terminale presinaptico libera glutammato: la depolarizzazione rimuove il blocco degli ioni magnesio dai recettori NMDA consentendo il passaggio (oltre al sodio e al potassio) anche agli ioni calcio. Il calcio è l'elemento centrale del processo perché, una volta raggiunta una certa concentrazione nella cellula, è in grado di attivare un processo per cui i recettori AMPA presenti nella cellula vengono trasferiti sulla membrana e i recettori già presenti lasciano passare una maggiore quantità di ioni. La sinapsi risulta così rinforzata. Questa condizione è stata sperimentalmente dimostrata su campioni di fettine di ippocampo usando una stimolazione elettrica (tetanica) (Nishi et al., 2001). Dopo la stimolazione tetanica, il neurone bersaglio rafforzato dall’LTP è molto più responsivo e produce un aumento dell’ampiezza delle correnti eccitatorie post-sinaptiche (Excitatory Post Synaptic Currents – EPSC) che perdura nel tempo. Questo comportamento trova spiegazione in una modificazione delle spine dendritiche sia nella forma, sia nel numero e dimensione. L’attività del mio dottorato di ricerca è stata condotta nell’ambito del progetto NanoMosquito, il cui scopo prinicipale consiste nell’indurre fenomeni di plasticità neuronale in cellule dissociate d’ippocampo di ratto e, successivamente, nel caratterizzare le mutazioni funzionali (tramite la tecnica elettrofisiologica del patch-clamping) e morfologiche, in scala micro e nanometrica, utilizzando tecniche quali la microscopia confocale e la microscopia a forza atomica (Atomic Force Microscopy – AFM). Diverse stimolazioni sono state testate per carcare di capire quali potessero indurre potenziamento della rete. Studi di plasticità vengono condotti in genere su fettine organotipiche, ma queste rendono impossibile studiare i cambiamenti che avvengono a livello delle spine dendritiche con tecniche in scala nanometrica, quali l’AFM. Diversi protocolli di stimolazione (treni a bassa frequenza, theta burst) sono stati utilizzati in esperimenti a doppio patch (due elettrodi usati in simultanea) su due cellule neuronali vicinali. Questo tipo di stimolazione ha portato però solo a un numero limitato di sinapsi potenziate e per questo motive abbiamo deciso di uitlizzare una particolare forma di plasticità sinaptica che prende il nome di Spike-Timing Dependent Plasticity (STDP). In questo tipo di plasticità il preciso ordine temporale tra i potenziali d’azione presinaptici e postsinaptici determina i cambiamenti che avverrano a livello della sinapsi stessa; per ottenere un potenziamento a livello del contatto sinaptico, il potenziale d’azione a livello postsinaptico deve seguire la depolarizzazione a livello presinaptico in una finestra temporale che va dai 5 ai 20 millisecondi (Bi and Poo, 1998). Anche in questo caso, monitorando successivamente l’ampiezza delle EPSCs, solo poche sinpasi andavano incontro a plasticità e il meccanismo che sta alla base di questo deve essere ancora determinato. Al contrario, il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), membro della famiglia delle neurotrofine e abbondantemente espresso nel sistema nervoso centrale (SNC), sta emergendo come un importante mediatore nella sopravvivenza, sviluppo e funzione dei neuroni (Lu, 2003). Colture embrionali dissociate di ippocampo sono state per la prima volta trattate cronicamente con BDNF promuovendo la formazione di nuove sinapsi, sia a livello eccitatorio che inibitorio, con conseguente aumento dell’attività spontanea dell’intera rete. Il BDNF inoltre si pensa induca modificazioni morfologiche sia nella complessità dell’albero dendritico che nel promuovere la crescita delle terminazioni assonali (Vicario-Abejon et al., 1998). Registrazioni elettrofisiologiche sono state effettuate per monitare l’attività spontanea della rete: nel dettaglio sono state misurate le EPSC e le IPSC tra neuroni incubati in BDNF e campioni di controllo mentre registrazioni doppie sono state effettuate per confrontare la percentuale di accoppiamento. Abbiamo così visto come il BDNF rafforzi l’attività sinaptica della rete e aumenti il numero di connessioni sinaptiche eccitatorie. Registrazioni paired-pulse ed esperimenti di imaging con FM1-43 hanno invece dimostrato come il BDNF induca anche delle modificazioni nella probabilità di rilascio vescicolare, in quanto, anche in questo caso l’ampiezza della risposta risulta aumentata nelle colture incubate. Marcando i neruoni (β-tubulin III) abbiamo visto anche come il BDNF aumenti la sopravvivenza neuronale, sopratutto a carico delle cellule piramidali, riconosciute dalla loro forma. Inoltre, eseprimenti condottti su cellule transfettate con cds-BDNF hanno confermato ulteriormente i nostril dati su come il BDNF aumenti la trasmissione sinpatica. La caratteristica comune di tutti questi diversi approcci è stata quella di indurre modifiche funzionali nelle connessioni sinaptiche eccitatorie. Successivamente l'induzione della plasticità sinaptica, la microscopia a scansione sarà utilizzata per seguire in tempo reale i cambiamenti morfologici delle sinapsi.
The brain is programmed to drive behaviour by exactly wiring the appropriate neuronal circuits. Wiring and rewiring of neuronal circuits widely depends on the orchestrated changes in the strengths of synaptic contacts. For many years, neuroscientists believed that neurogenesis - the generation of new neurons – and establishment of new neuronal connections was restricted to early brain development (Segal et al, 2005). New findings have challenged this view and currently many neuroscientists believe that the capacity for circuitry rearrangement is maintained throughout life. However the mechanisms that controls plasticity in the adult brain are still not entirely clear. The connection between neurons is named synapse. The synapse is the most fundamental unit of information transmission in the nervous system. Information storage, including all forms of memory and behavioural adaptation, are believed to come out from changes in neuronal transmission, both in the short-term and the long-term, a property known as synaptic plasticity. Synaptic plasticity is a highly regulated process, refers to all the mechanisms that underlie the ability of the nervous system to adapt to external stimuli. Variations in the shape and size as well as establishment of new synapses or the elimination of others (synaptogenesis) are the mechanisms that regulate synaptic plasticity. Thus, understanding the mechanisms underlying synaptic plasticity may help to apprehend general learning and memory processes. Changes in synaptic plasticity are achieved by changes in inhibitory or excitatory neurotransmission or both. This thesis deals with the modulation of excitatory neurotransmission. The principal excitatory neurotransmitter in the brain is glutamate. The regulation of glutamate-mediated excitatory neurotransmission has been shown to play a critical role in many aspects of synaptic plasticity. One of the most studied cellular mechanisms is the long-term potentiation (LTP), a form of synaptic plasticity that leads to an increase in the efficiency of synaptic transmission (Engert et al., 1999). The induction of LTP is classically achieved by tetanic stimulation but it is also possible to induce chemically a long-term potentiation of the synaptic efficacy, thus enhancing a larger number of synapses compared to electrical stimulation. The work of this thesis has been conducted in the wider framework of the NanoMosquito project, whose major aim was to combine electrophysiological measurements, scanning probe microscopy (AFM-Atomic Force Microscopy) and fluorescence microscopy in order to develop new generation neurophysiological tool to understand neuronal plasticity at the nanoscale. Studies of synaptic plasticity are often carried out in slices of hippocampus, but these prevent to study change in nanoscale with a surface-microscopy technique such is AFM: dissociated hippocampal neurons lend themselves well for this purpose. Understanding in detail the mechanism of action of these processes may be of critical importance not only for a detailed view of memory related processes but also in the case of some diseases: being able to control synaptic plasticity may help to restore a functional connectivity lost, for example, in the case of brain lesions. The first part of this thesis handles the setting of an electrophysiological stimulation to induce neuronal plasticity, starting from the stimulations trains usually performed in hippocampal slices, such as slow frequency stimulation and theta burst. Long-term synaptic modifications can be induced also by a particular form of synaptic plasticity named Spike-Timing Dependent Plasticity (STDP) where the precise timing and the order of presynaptic and postsynaptic action potentials determine the magnitude and the direction of the changes in synaptic strength (Bi and Poo, 1998). I have tested trains of with a delay of 5, 10 and 20 milliseconds between pre- and postsynaptic neuron. By monitoring the amplitude and frequency of the EPSCs, responses varied from no changes to potentiation but just in a small sample of coupled neurons where we measured a strong increase in the amplitude and frequency of spontaneous EPSCs after the stimulation. The cellular basis that gives rise to the induction of such synaptic modifications remains to be determined. On the other hand, BDNF ability to mediate activity-dependent modifications in synaptic strength (Bolton et al., 2000; Vicario-Abejón et al., 1998) has recently received considerable attention; in particular the acute BDNF effects on excitatory synapses have been the object of an increasing amount of studies. On the contrary, the role of BDNF in regulating long-lasting changes in synaptic function is comparably less investigated and may have large impact on post injury alteration of synaptic networks and neuronal rescue. To address this issue, during my PhD, I studied the long-term (chronic) effects of BDNF on AMPA receptor mediated excitatory synaptic transmission and on neuronal survival in vitro. Dissociated rat (P2-P3) hippocampal cultures were chronically treated (4 days) with BDNF between 4 and 8 days in vitro (DIV). Single and dual patch-clamp recordings in whole-cell configuration were used to monitor spontaneous and evoked post synaptic currents (IPSCs and EPSCs) in hippocampal network grown in culture for 8-10 DIV. Excitatory PSCs (EPSC) were identified by their kinetic (fast decay τ) and pharmacology (CNQX sensitivity). EPSCs recorded from BDNF-treated cultures show a strong increase in their mean frequency and amplitude when compared to controls untreated sister cultures. In the presence of TTX, miniature excitatory PSCs (mEPSCs) in BDNF treated networks still displayed an increase in both frequency and amplitude. In BDNF-treated cultures pair recordings showed an increased probability of finding coupled pairs. Paired pulse (20 Hz) experiments and FM1-43 fluorescence imaging suggested that BDNF treatment increased the probability of release. Immunofluorescence (β-tubulin III) visualization of neurons allowed to quantify neuronal density and showed that BDNF mediated an increase (40%) in neuronal survival, when compared to controls, together with an increase in the pyramidal neuron/interneuron ratio (0.33 for BDNF, 0.19 for controls). Additionally, neuronal cells were transfected with different BDNF-GFP expressing vectors to gain insights in the specific molecular mechanisms involved in long term BDNF effects on synapses. However the common feature of all these functional modifications is in the direction of a pronounced potentiation of excitatory synaptic connections. Subsequently to the induction of synaptic plasticity, scanning probe microscopy would be used to follow in real time morphological changes of synapses undergoing potentiation or neuronal processes development with submicrometrical resolution in all 3 dimensions. Final goal of the entire project, whereof this thesis is the fundamental initial step, will be the development of new paradigms to evaluate and induce synaptic plasticity on specific synapses to govern in a controlled way neuronal outgrowth and synaptogenesis.
XXVI Ciclo
1985
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
7

Mastrangelo, Rosa. "Roles of different glial populations in neuronal maturation: implications in Rett syndrome and Alzheimer’s disease." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11016.

Full text
Abstract:
2013/2014
It is well established that in healthy brain, the interplay between neurons and glia play a very important role in the maintenance of a correct physiological activity. Recent studies have shown the existence of an active involvement of glia in both the formation and function of the synapse (Araque et al. 1999; Parpura et al. 2012). These findings have led to reconsider the role of glia also in the case of pathological situations. Indeed, beyond its fundamental implication in healthy brain, glia has been found to play a critical role in several neurological disorders. It is now clear (Nguyen at al. 2012, Maezawa and Jin, 2010) that glial cells are involved not only in neurodegenerative diseases such as Alzheimer's disease (Angelova PR at al. 2014), but also in diseases characterized by intellectual disability. In this regard, recent evidence has shown the involvement of glial cells in Rett Syndrome (Ballas et al., 2009, Maezawa et al., 2009, Derecki et al., 2012 Okabe 2012). The purpose of my thesis is to investigate the role of different populations of astrocytes in the development and survival of neurons using in vitro models of both neurodegenerative and neurodevelopmental disorders. To this aim, in the first part of my project I participated in the setting up of a microfluidic system, an experimental model aim at studying the interconnections between different brain cells, focusing my attention on the contribution of glial cells derived from different brain areas in these pathological states. Secondly, through the use of the microfluidic system, we have shown that astrocytes derived from distinct brain areas have different effects on neurons if exposed to several harmful stimuli. Specifically I have evaluated both the development and viability of hippocampal neurons co-cultured with either cortical or hippocampal astrocytes in a neuroinflammatory context represented by the stimulation of beta amyloid peptide (Aß) together with several proinflammatory cytokines. Taking advantage of the microfluidic system, we showed that hippocampal and cortical astrocytes exposed to these stimuli were able to significantly increase neuronal cell death. Interestingly, hippocampal astrocytes induced an elevated neuronal cell death if compared to cortical astrocytes. (Bianco F, N Tonna, Lovchik RD, Mastrangelo R, Morini R, Ruiz A, E Delamarche, Matteoli M. Anal. Chem. 2012). To assess whether neuronal death was due to soluble factors released by astrocytes, we monitored the neuronal calcium responsiveness upon the exposure of astrocytes to Aß and IL 1ß. We found that both cortical and hippocampal astrocytes elicited a specific calcium transient in neurons upon stimulation, however, the calcium transients were higher in neurons exposed to stimulated hippocampal rather than cortical astrocytes. Such calcium transient were blocked by the specific NMDA receptor antagonist APV, thus highlighting that the calciumtransients were mediated by the activation of these receptors following the release of astrocytic glutamate. More importantly, hippocampal astrocytes exposed to neuroinflammatory environment induced higher cell death and neuronal calcium transient compared to cortical astrocytes (Bianco F, N Tonna, Lovchik RD, Mastrangelo R, Morini R, Ruiz A, E Delamarche, Matteoli M. Anal. Chem. 2012) We also used the microfluidic system to perform a pharmacological study in an experimental model of Alzheimer's disease. In particular, we evaluated the effectiveness of the drug FTY720 (Fingolimod, normally used for the treatment of multiple sclerosis) to prevent cell death in neurons cultured alone or co-cultured with microglia upon the stimulation with either fibrillar or oligomeric Aß form. The results showed that the drug prevented cell death in neurons exposed to Aß oligomers, both in the presence and absence of microglia. (Ruiz A, Joshi P, R Mastrangelo, Francolini M, Verderio C, Matteoli M Lab Chip. 2014). In the second part of my PhD thesis, I have focused my attention on the role of different populations of astrocytes in supporting neuronal development in a model of Rett Syndrome. Observations made by Prof. Tongiorgi's lab, showed a different neuronal atrophy at the level of cortex and hippocampus in mouse model of Rett Syndrome, thus prompting us to investigate the effects of glial cells derived from these two different brain areas on neurons. Neurons were grown in conditioned medium obtained from hippocampal or cortical astrocytes established from WT or KO mouse, and the growth in terms of neurites length was evaluated. The morphological analysis showed that neurons grown in conditioned medium derived from hippocampal astrocytes displayed longer neuritic processes than those grown in cortical astrocytes-derived medium. In contrast, the growth of hippocampal neurons in conditioned medium from wt cortical astrocytes, hippocampal and cortical astrocytes Rett not significantly different compared to neurons cultured alone. This suggests that hippocampal astrocytes have a higher trophic effect on neuronal development than cortical astrocytes. In light of these results, we can assume that the atrophy observed in cortical region of Rett Syndrome mouse model may be due to a lower trophic capability of cortical astrocytes compared to hippocampal in supporting neuronal development. Taken together these data suggest that astrocytic populations belonging to distinct brain areas have different capability in supporting neuronal growth, thus opening the possibility that region-specific atrophy observed in RETT mouse model may stem from a different release of trophic factors from glial cells.
XXVII Ciclo
1984
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
8

Zulian, Stefania. "Autoanticorpi nelle malattie neurologiche." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7737.

Full text
Abstract:
2010/2011
Esistono più di 50 diverse patologie neurologiche che hanno una confermata o sospetta eziologia autoimmune e che si stima colpiscano 75 milioni di persone nel mondo. Sebbene negli ultimi anni sia cresciuto l’interesse per i meccanismi immunopatologici anticorpo-mediati, le evidenze di un ruolo primario degli autoanticorpi nella patogenesi delle malattie autoimmuni del SNC sono ancora poche. La maggior parte di queste patologie è rara e per molte di esse non esiste un metodo di diagnosi in quanto l’antigene (o gli antigeni) bersaglio della risposta autoimmune sono sconosciuti. A tale scopo risulta fondamentale il supporto di un test diagnostico che aiuti ad identificare la presenza di tali anticorpi nel siero dei pazienti. Lo scopo del mio progetto di Dottorato è stato la messa a punto di un metodo di identificazione di anticorpi anti-neurali caratteristici di diverse patologie che utilizza l’immunoistochimica su sezioni di cervello di ratto. Questo metodo è stato quindi testato per la rilevazione di autoanticorpi antineurali in particolare in 4 gruppi di patologie neurologiche: le sindromi Paraneoplastiche, la Neuromielite Ottica, le Neuropatie periferiche e Sclerosi Laterale Amiotofica (SLA). La ricerca di questa tesi di dottorato si è sviluppata seguendo tre obbiettivi specifici: 1. Creare un metodo di controllo qualità per il saggio di analisi immunoistochimica TABA e valutare la sua validità diagnostica. 2. Sviluppare un test che permetta l’analisi della reattività dei sieri di pazienti che presentano neuropatie non ancora classificate perché ad antigene ignoto. 3. Testare con la metodica TABA di immunoistochimica semi-quantitativa su sezioni di cervello di ratto sieri di pazienti affetti da SLA al fine di individuare un disegno di marcatura specifico. Il metodo utilizzato riguarda lo screening di anticorpi anti sistema nervoso basato su un’analisi immunoistochimica (IHC) semi quantitativa (metodo TABA) su sezioni di cervello di ratto al fine di descrivere e quantificare la reattività contro particolari regioni del cervello (Boscolo et al. 2007) e di discriminare le specifiche marcature associate alle differenti neuropatologie. L’innovazione di questa ricerca è stato quello di creare un metodo di controllo qualità per il saggio di analisi immunoistochimica mediante l’ideazione di un protocollo standard che si avvale dell’utilizzo di un controllo positivo (siero a reattività nota), la cui stabilità viene monitorata nel tempo tramite l’utilizzo di un algoritmo statistico. E’ stato scelto all’interno della sieroteca presente in laboratorio, un siero fortemente positivo all’analisi TABA e sono state marcate 80 sezioni di cervello con questo anticorpo. E’ stata quindi eseguita la densitometrie su 3 aree cerebrali: il midollo allungato, il V° strato della corteccia e le cellule del Purkinjie. Quindi è stato possibile definire un intervallo di confidenza densitometrico per standardizzare l’uso dell’ IHC, da utlizzare come protocollo di controllo qualità. L’identificazione di un metodo di controllo qualità per l’analisi immunoistochimica rappresenta un grande passo avanti nella diagnostica di laboratorio in quanto permette la standardizazzione di un metodo da molti sottovalutato ma indispensabile nell’identificare la reattività di un siero verso antigeni ignoti, nel caso in cui i kit attualmente in uso non ne identifichino l’antigene. Infine, grazie al confronto tra la diagnosi basata sul metodo TABA e i kit diagnostici è stato possibile valutare i parametri qualitativi del metodo TABA in termini di predittività e specificità. La seconda parte di questo lavoro è focalizzata allo sviluppo di un test che permetta l’analisi della reattività dei sieri di pazienti che presentano neuropatie non ancora classificate perché ad antigene ignoto. Attualmente in commercio esistono kit diagnostici per l’individuazione degli antigeni target delle neuropatie periferiche, tuttavia il numero di neuropatie autoimmuni non identificate è ancora alto. Pertanto abbiamo deciso di sfruttare la tecnica dell’IHC su nervo sciatico di ratto per individuare la presenza di un’autoimmunità nel caso in cui i kit commerciali risultino negativi. Questo studio prevede l’analisi di 25 sieri di pazienti affetti da neuropatie e il successivo confronto tra i vari protocolli al fine di individuare un metodo per l’analisi immunoistochimica su nervo sciatico di ratto utilizzando anticorpi secondari specifici anti IgG ed IgM umane. E’ stato effettuato quindi uno studio in relazione ai diversi disegni di marcatura delle sezioni, al fine di trovare una correlazione tra la patologia e il pattern di marcatura (sugli assoni, sull’endonevrio ed un pattern misto). I risultati ottenuti con questo nuovo approccio “home made” sono stati in seguito paragonati con quelli riscontrati utilizzando un kit diagnostco commerciale Euroimmun Italia. Tuttavia, la metodica di IHC non è risultata in nessun caso idonea per la rilevazione di autoanticorpi IgG o IgM nelle neuropatie periferiche. Paralellamente è stato svolto uno studio riguardante un gruppo di pazienti afferri da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), per cui vi sono evidenze di una possibile componente autoimmune (Pagani et al. 2006). Sono stati analizzati 14 sieri di pazienti con confermata diagnosi di SLA e 9 sono risultati positivi all’esame immunoistochmico TABA per le IgG di cui 2 erano positivi kit per autoanticorpi paraneoplastici. Pertanto in 7 pazienti, si è riscontrata una reazione anti-neurale non spiegata da anticorpi noti. E’ stato possibile inoltre identificare un pattern di marcatura comune nei sieri affetti da SLA che corrisponde ad una marcatura del nucleolo (Parker et al. 2009). Quattro di questi sieri sono risultati positivi per l’antigene Ro52 con il metodo line blot. Questi risultati supportano l’ipotesi autoimmune nella SLA e confermano l’uso della IHC con il metodo TABA come con importante strumento di diagnosi e di ricerca di nuovi autoanticorpi.
XXIV Ciclo
1983
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9

Perin, Alessandro. "Controllo del self-renewal e della tumorigenicità delle glioblastoma “stem-like” cells ad opera di FOXG1." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7398.

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Abstract:
2010/2011
Glioblastoma (GBM) is the most common and malignant primary brain tumour. GBM prognosis remains dismal despite available treatments, be- cause of tumour recurrence. According to the "Glioma Stem-like Cell" (GSC) hypothesis, GBM recurrence is sustained by a fraction of cells that share similarities with normal Neural Stem Cells / Neural Precursors (NSCs). In potential agreement with this possibility, primary cell cultures with characteristics of GSCs can be established from GBM. These cells display typical hallmarks of NSCs, namely unlimited self-renewal and ability to differentiate into different neural lineages in vitro. Most importantly, GSCs are highly tumorigenic when transplanted intracranially in vivo and their in vitro self-renewal potential correlates positively with tumorigenicity and negatively with prognosis in Glioma patients. We hypothesize that the tumour-forming potential of GSCs may result from the deregulation of molecular mechanisms normally involved in NSC self-renewal, proliferation and/or differentiation. In this regard, the fork-head transcription factor, FOXG1, promotes the self-renewal of both embryonic and adult NSCs. Here we show that FOXG1 mRNA and protein are up-regulated in human Gliomas and that elevated FOXG1 expression is a bad prognostic factor in GBM patients. We show further that FOXG1 is expressed in a sub-population of GBM cells with NSC-like characteristics, as well as in cultured GSCs. More importantly, knockdown of FOXG1 significantly decreases GSC self-renewal, with a concomitant increase of the cell-cycle inhibitor, p21Cip1. We also show that FOXG1 is co-expressed in GBM and GSCs with the transcriptional co-repressor TLE, a protein known to work together with FOXG1 during forebrain development. The effect of FOXG1 knockdown on GSC self-renewal is phenocopied by TLE knockdown, as well as by the forced over-expression of the previously characterized TLE:FOXG1 antagonist, GRG6, a protein with little or no expression in GBM. More importantly, mouse orthotopic implantations of human GSCs, which were either silenced for FOXG1 or over-expressing GRG6, gave rise to smaller tumours when compared to control condition; this tumor size reduction resulted in prolonged mice survival. Together, these results suggest that FOXG1 and TLE are important regulators of GBM tumorigenesis.
XXIV Ciclo
1977
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10

Villari, Ambra. "Neuron networking with nano bridges via the synthesis and integration of funcionalized carbon nanotubes." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8548.

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Abstract:
2011/2012
Regenerative medicine is a broad interdisciplinary field, tremendously grown in the last decades, which encompasses several different research areas, such as biomaterial sciences and tissue engineering, whose unifying concept holds an enormous therapeutic potential, being that of restoring impaired organs or tissue functions, resulting from congenital defects, trauma or disease (Greenwood et al.; 2006; Mason and Dunnill, 2008). The main challenge faced by tissue engineering is the need to have a renewable source of cells and biomaterials possessing the right mechanical, chemical and biological features, to create constructs resembling native tissues. The design of scaffolds able to support and promote tissue regeneration and/or functional restore, in particular, is a critical step for the success of an implant, as it should recapitulate the complex architecture of the physiological microenvironment, e.g. the appropriate extracellular matrix, which has been shown to actively direct the behaviour of cells, through both chemical and physical cues (Daley et al., 2008; Place et al., 2009; Rozario and DeSimone, 2010). In this context, nanotechnology tools may greatly enhance the success of tissue engineering strategies, by providing the chance of producing surfaces and materials with topographical features that mimic the natural ones, in addition to the possibility to functionalize nanomaterials with bioactive molecules (Gelain et al., 2008; Zhang and Webster , 2009; Dvir et al., 2011; Koh et al., 2008). Among nanomaterials, carbon nanotubes (CNTs) stood out, since their discovery, for their outstanding mechanical, electrical and thermal properties, like their extraordinary strength coupled with remarkable flexibility, or their high electrical conductivity, which make them a well-suited platform technology for biomedical applications. Recently, several works have been published, which support the use of CNT-based scaffolds to promote neuronal attachment, differentiation and growth (Mattson et al., 2000; Hu et al., 2004; Hu et al., 2005; Galvan-Garcia et al., 2007). Moreover, in the last decade, our group showed that CNT/neuronal hybrid networks show a boost in synaptic transmission (Lovat et al., 2005; Mazzatenta et al., 2007) and that the direct contact established between single CNT and neuronal membranes affect single neuron integrative abilities (Cellot et al., 2009), besides promoting network connectivity and synaptic plasticity phenomena in cortical cultured circuits (Cellot et al., 2011). Here, to extend our knowledge about interactions between CNT and neurons, we long-term cultured organotypic spinal explants, possessing a complex multilayered cytoarchitecture, with highly purified MWCNT scaffolds and then investigated, via a multidisciplinary approach, their growth and synaptic activity. Our aim was to verify whether and how a CNT-induced effect on neuronal performance could be transferred to network locations, which are far from the neuronal/MWCNT layer of interaction, but sinaptically communicating with it. We documented, via TEM investigations, the presence of tight connections established between the neuronal membranes of neurons belonging to the bottom layer of the spinal tissue and the CNT meshwork underlying it. By means of confocal microscopy, SEM and AFM techniques, we showed, for the first time, that the long-term interfacing of spinal cord explants to CNTs induced an increase in the number and length of peripheral neuronal fibres outgrowing the spinal tissue, associated to changes in growth cone activity and in fibre elastomechanical features. We also demonstrated, via patch-clamp recordings performed from interneurons in the ventral (premotor) area of the explants, that both spontaneous and evoked synaptic currents displayed a potentiation in the presence of the CNT scaffold, detected as an increase in current amplitude in neurons which were as far as 5 cell layers from the tissue/substrate site of interaction. We speculate that these two effects (the increased fibres growth and the boosting in synaptic activity) rely upon two different mechanisms, a direct and a remote one, by which CNTs affect the spinal tissue development. Indeed, the first exerted on fibres directly adhering to the CNT substrate, while the second is likely to be mediated by alterations occurring at the tissue layer integrated with CNTs, which are transmitted, through a remote effect, to distant network locations, synaptically communicating with such a layer. These results support the hypothesis that CNTs may be employed to boost spinal neurite re-growth and functional spinal performance, in the perspective of re-establishing the physical and functional communication between disconnected spinal segments, We therefore decided to implement a model in which two organotypic spinal explants grow together on the same support, as a useful model for neuronal reconnection investigations and to test the possibility that a CNT-based scaffold, interposed between the two explants, may act as a bridge to promote the physical and electrical communication between the two spinal segments. By means of immunostaining experiments and confocal microscopy we reported the presence of a huge amount of fibres, projecting from the two spinal slices and integrating in a complex network, especially localized in the DRG regions, while very few fibres seemed to directly connect the two explanted tissues at the level of the explants cores. When, via voltage-clamp pair recordings, we looked for the presence of an electrical reconnection between explants, we found a small percentage of co-cultured explants displaying a complex coupled behaviour, detected as a strongly correlated bursting activity. These preliminary data seem to confirm the goodness of such an in vitro model to investigate the intrinsic reparative potential of spinal cord tissue and to improve such ability via nanotechnological tools.
XXV Ciclo
1982
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11

Bittolo, Tamara. "Pharmacological approches for the treatment of the Rett syndrome." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10258.

Full text
Abstract:
2012/2013
RIASSUNTO La syndrome di Rett (RTT) è una patologia dello sviluppo neuronale postnatale causata dalle mutazioni del gene MeCP2, situato nel cromosoma X, codificante per la Methyl CpG binding protein 2, un modulatore della trascrizione. La forma classica si manifesta in 1:10,000 bambine ed è caratterizzata da una progressiva regressione generale fisica e mentale, in seguito ad un normale sviluppo nei primi 2 anni di vita. Molti degli aspetti della patologia sono stati riprodotti in diversi modelli murini deleti per il gene MeCP2 (MeCP2-/y), inclusi la riduzione della massa cerebrale, l’atrofia neuronale e le disfunzioni cardiorespiratorie, che costituiscono i parametri più robusti e riproducibili tra i diversi modelli murini, accanto ai meno conservati parametri comportamentali, come l’ansia, la socievolezza e l’aspetto motorio. Il fenotipo Rett è caratterizzato inoltre da una riduzione dei livelli di espressione della serotonina (5HT), norepinefrina (NE) e del BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor). Tuttavia, è noto che i farmaci antidepressivi sono in grado di modulare i livelli di BDNF in parte regolando il sistema monoaminergico. Lo scopo di questo lavoro consiste perciò nel valutare gli effetti del trattamento cronico con antidepressivi in un modello della sindrome di Rett. Abbiamo scelto la Desipramina (DMI) come farmaco di controllo, dal momento che è già stata precedentemente utilizzata per un trial clinico della sindrome di Rett. La Desipramina è un antidepressivo che blocca il recupero di 5HT e NE a livello dello spazio sinaptico, tuttavia presenta delle complicanze cliniche a livello cardiaco. Per evitare tale effetto collaterale della DMI, abbiamo selezionato un antidepressivo altamente tollerabile, la Mirtazapina (MIR), un antagonista degli α2 autorecettori ed eterorecettori centrali e uno specifico inibitore dei recettori 5HT2 e 5HT3. Il lavoro si divide in 4 fasi: Fase 1: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sul peso del corpo e del cervello ed analisi della morfologia dei neuroni piramidali della corteccia somatosensoriale in un modello murino della sindrome di Rett Fase 2: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sui parametri vitali, inclusi il battito cardiaco e la frequenza respiratoria nel modello murino della sindrome di Rett Fase 3: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sul comportamento nel modello murino della sindrome di Rett Fase 4: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sul livello di espressione del BDNF Fase 1: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sul peso del corpo e del cervello ed analisi della morfologia dei neuroni piramidali della corteccia somatosensoriale in un modello murino della sindrome di Rett Prima di tutto abbiamo valutato le caratteristiche generali del modello murino della sindrome di Rett (MeCP2-/y), osservando che il peso del corpo e del cervello dell’animale era significativamente ridotto a 42 giorni dalla nascita. Inoltre, come osservato in precedenza (Kishi and Macklis, 2004, Fukuda et al., 2005), abbiamo confermato la significativa riduzione dello spessore totale della corteccia somatosensoriale (la più compromessa in questa patologia), in particolare degli strati II-III e VI a 42 giorni dalla nascita. Abbiamo quindi trattato gli animali per due settimane a partire dal 28° giorno dalla nascita con DMI alla concentrazione 10 mg/Kg e con MIR a due differenti concentrazioni (10 o 50 mg/Kg) ed analizzato gli effetti del trattamento sul peso del corpo e del cervello. Non abbiamo riscontrato differenze per quanto riguarda il peso del corpo dopo trattamento farmacologico, tuttavia abbiamo notato un significativo aumento del peso del cervello in topi MeCP2-/y dopo 2 settimane di trattamento con MIR 50 mg/Kg, confrontato con il peso del cervello di topi MeCP2-/y della stessa età non trattati. Per meglio definire le strutture coinvolte nel recupero del peso cerebrale dopo trattamento con MIR 50 mg/Kg, abbiamo effettuato una colorazione Nissl su sezioni coronali di cervello di topo e abbiamo analizzato l’ippocampo e la corteccia somatosensoriale. Abbiamo osservato che non c’erano differenze nelle proporzioni di ogni strato ippocampale rispetto allo spessore totale dell’ippocampo lungo l’asse rostro-caudale. Tuttavia, l’analisi della corteccia somatosensoriale ha rivelato che il trattamento con DMI 10 mg/Kg e MIR 50 mg/Kg fa recuperare lo spessore totale della corteccia in topi MeCP2-/y a 42 giorni dalla nascita ed in particolare lo spessore degli strati II-III e VI che sono principalmente compromessi nel modello murino della sindrome di Rett (Kishi and Macklis, 2004, Fukuda et al., 2005). Per avere maggiori informazioni sull’effetto della MIR 50 mg/Kg a livello dei neuroni corticali, abbiamo esaminato la morfologia dei neuroni piramidali dello strato II-III della corteccia somatosensoriale in topi MeCP2-/y a 42 giorni dalla nascita utilizzando la colorazione di Golgi. Abbiamo osservato che il trattamento con MIR 50 mg/Kg induce un recupero dei deficit morfologici presenti nel modello murino (Kishi and Macklis, 2004, Fukuda et al., 2005) inclusi, la ridotta area del soma, il diametro ridotto dei dendriti apicali, l’atrofia dell’albero dendritico apicale ed in particolare quello basale, il numero delle spine “stubby” sia nei dendriti secondari apicali che basali. Infine, dal momento che è stato precedentemento osservato un deficit di rilascio del GABA in topi MeCP2-/y (Chao et al., 2010), abbiamo deciso di valutare se la MIR 50 mg/Kg era in grado di recuperare questo deficit. Abbiamo quindi dimostrato che le correnti GABA sono parzialmente recuperate dopo trattamento con MIR 50 mg/Kg nella corteccia di topi MeCP2-/y a 42 giorni dalla nascita. Fase 2: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sui parametri vitali, inclusi il battito cardiaco e la frequenza respiratoria nel modello murino della sindrome di Rett I pazienti Rett e i topi MeCP2-/y presentano alterazioni cardiache e un respiro anomalo allo stato avanzato della patologia. Attraverso uno strumento non invasivo (MouseOX), abbiamo raccolto i dati relativi alla saturazione dell’ossigeno (percentuale di siti dell’emoglobina occupati dalle molecole di ossigeno), il battito cardiaco e la frequenza respiratoria (numero di battiti e respiri al minuto) e la distensione dell’arteria in base al battito cardiaco in topi Wild Type e MeCP2-/y non trattati e trattati con DMI 10 mg/Kg or MIR 50 mg/Kg. Abbiamo osservato che non ci sono alterazioni nella saturazione dell’ossigeno, tuttavia la frequenza dei battiti cardiaci e del respiro, che è ridotta nei topi MeCP2-/y non trattati, viene recuperata in seguito a trattamento con gli antidepressivi, in particolare con la MIR. Inoltre, l’effetto negativo sulla distensione dell’arteria osservato per la DMI 10 mg/Kg, non viene alterato dal trattamento con MIR 50 mg/Kg. Fase 3: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sul comportamento nel modello murino della sindrome di Rett I topi MeCP2-/y sono caratterizzati dal disturbi motori e una ridotta ansia (Chahrour and Zoghbi, 2007), cosi abbiamo deciso di testare gli effetti degli antidepressivi sul comportamento del modello murino della sindrome di Rett. Attraverso il test dell’”open field”, abbiamo dimostrato che i topi MeCP2-/y trattati con i farmaci trascorrono la maggior parte del tempo del test immobili, e la loro attività in termini di capacità di alzarsi e tenersi sulle zampe posteriori e di cura personale è ridotta. Queste osservazioni sono probabilmente dovute all’effetto sedativo indotto dal trattamento con antidepressivi. Tuttavia, l’ansia che è ridotta nei topi MeCP2-/y non trattati osservata nel test dell’”elevated plus maze”, ritorna a valori normali dopo trattamento con gli antidepressivi. Fase 4: analisi degli effetti del trattamento con antidepressivi sul livello di espressione del BDNF Precedenti studi hanno dimostrato che il livello di espressione del BDNF totale è significativamente ridotto nel cervello dei topi MeCP2-/y (Chang et al., 2006, Wang et al., 2006). In questo lavoro abbiamo dapprima dimostrato come i livelli delle diverse isoforme del BDNF variano sulla base della mutazione del gene MeCP2 nei pazienti Rett. Successivamente abbiamo valutato le diverse isoforme del BDNF nel prosencefalo di topi MeCP2-/y dimostrando come esse siano significativamente ridotte a 42 giorni dalla nascita. Tuttavia, il trattamento con DMI 10 mg/Kg e MIR 50 mg/Kg non è in grado di recuperare in modo significativo il livello di mRNA. Abbiamo quindi valutato il livello proteico del BDNF, dimostrando un aumento della neurotrofina a livello corticale e una diminuzione a livello ippocampale in topi MeCP2-/y non trattati ma non statisticamente significativo. Tuttavia il trattamento con MIR 50 mg/Kg sembra recuperare il livello del BDNF, sebbene non sia significativo.
ABSTRACT Rett syndrome (RTT) is an X-linked postnatal neurodevelopmental disorder caused by the mutations on MeCP2 gene which encodes for the Methyl CpG binding protein 2, a transcriptional regulator. The classical form manifests in girls with an incidence of 1:10,000 with a progressive general physical and mental regression after a normal development during the first two years of age. Several clinical features are recapitulated in MeCP2-/y mice, including the reduced brain mass, neuronal atrophy and the cardiorespiratory abnormalities, which are considered the most robust and reproducible parameters among the Rett mouse models and the less conserved alterations on mice behavior. Rett phenotype was characterized by a reduction on serotonin, norepinephrine (5HT; NE) and BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) expression level. However, it is known that the antidepressants drugs modulate BDNF expression level partly by regulation of monoamine systems. The aim of the project is to evaluate the effects of repeated antidepressant treatments in a Rett mouse model. We choose Desipramine (DMI) as control drug because it was previously used in a clinical trial of Rett syndrome. DMI blocks the reuptake of 5HT and NE, but it has some cardiac complications. To overcame the cardiac side effect of DMI, we selected the highly tolerable antidepressant Mirtazapine (MIR), which is an antagonist of central α2 autoreceptors and α2 heteroreceptors and a specific blocker of 5HT2 and 5HT3 receptors. The project comprises four phases: Phase1: Analysis of the effects of antidepressant treatments on body and brain weight, including the morphology of the somatosensory pyramidal neurons in a model of Rett syndrome (MeCP2-/y) Phase2: Analysis of the effects of antidepressant treatments on the vital signs parameters, including heart and breath rate in MeCP2-/y mice Phase3: Analysis of the effects of antidepressant treatments on the behavior of the mice (open field and plus maze test) in MeCP2-/y mice Phase4: Analysis of the effects of antidepressant treatments on brain derived neurotrophic factor (BDNF) expression level Phase1: Analysis of the effects of the drugs on body and brain weight, including the morphology of the somatosensory pyramidal neurons in a model of Rett syndrome (MeCP2-/y) First of all, we evaluated the general features of the Rett mouse model, observing that the body and the brain weight of MeCP2-/y mice were reduced at postnatal day 42 (p42). We found also that there is a significant reduction on total cortical thickness, in particular of layers II-III and VI at p42 as observed in previous studies (Kishi and Macklis, 2004, Fukuda et al., 2005). Then, we analyzed the effects of DMI 10 mg/Kg and MIR (at two different concentration: 10 or 50 mg/Kg) treatments on body and brain weight. No difference was observed for body weight, while an increase in brain weight was noticed after treatment with MIR 50 mg/Kg in p42 MeCP2-/y mice compared to MeCP2-/y untreated mice. To better define the brain structures involved in the rescue of the brain weight after MIR 50 mg/Kg treatment, we performed a Nissl staining and we analyzed the hippocampus and the somatosensory cortex. We found that among p42 MeCP2-/y treated mice, there were no differences in the proportion of each hippocampal layer to the total thickness along the rostro-caudal axis. However, the analysis of the somatosensory cortex revealed that DMI 10 mg/Kg and MIR 50 mg/Kg rescued the total cortical thickness in p42 MeCP2-/y mice and in particular the layers II-III and VI which are principally compromised in Rett mouse model (Kishi and Macklis, 2004, Fukuda et al., 2005). To gain further insight regarding the effect of Mirtazapine treatment on cortical neurons, we investigated the morphology of layer II-III pyramidal neurons of the somatosensory cortex in MeCP2-/y mice using Golgi staining. We observed that MIR 50 mg/Kg treatment was able to recover the neuronal morphology deficits of p42 MeCP2-/y mice (Kishi and Macklis, 2004, Fukuda et al., 2005), including, the small soma area, the reduced diameter of apical dendrites, the atrophy of apical and, in particular, the basal dendritic arborization, the number of secondary basal dendrites, the number of stubby spines both in secondary apical and basal dendrites. Finally, as a deficit on GABA release in MeCP2-/y mice was previously described (Chao et al., 2010), we investigatd if Mirtazapine could rescue this deficit. Indeed, we found that GABA currents were rescued by MIR 50 mg/Kg treatment in the cortex of p42 MeCP2-/y mice, although without reaching full recovery. Phase2: Analysis of the effects of the drugs on the vital signs parameters, including heart and breath rate in MeCP2-/y mice Rett patients and MeCP2-/y mice presents cardiac alterations and breathing abnormalities in a later stage of the disorder. Through a non-invasive instrument (MouseOX) we collected the data regarding the Oxygen Saturation (percentage of sites of arterial hemoglobin occupied by oxygen molecules), the Hearth and the Breath Rate (number of beats or breaths per minute) and the Pulse Distention (change in distension of the arterial blood vessels due to a cardiac pulse) on Wild Type and MeCP2-/y mice untreated or treated with DMI 10 mg/Kg or MIR 50 mg/Kg. We found that no alterations was observed for the oxygen saturation, however the frequency of heart and breath are rescued after drug treatments. A negative effect of Desipramine was observed in pulse distention which is not affected with Mirtazapine treatment. Phase3: Analysis of the effects of the drugs on the behavior of the mice (open field and plus maze test) MeCP2-/y mice are characterized by motor abnormalities and a decreased anxiety (Chahrour and Zoghbi, 2007), thus, we tested the effects of the antidepressant drugs on the behavior of MeCP2-/y mice. Through an open field test, we found that the MeCP2-/y mice treated with the drugs spent more of the time immobile, and their activity in terms of number of rearing and grooming was reduced. These observations are probably due to the sedative effect of antidepressant treatments. However, the anxiety was recover to normal levels in MeCP2-/y mice treated with the antidepressants in the elevated plus maze. Phase4: Analysis of the effects of treatments on BDNF expression level Previous studies showed that total BDNF expression level was significantly reduced in the brain of MeCP2-/y mice (Chang et al., 2006, Wang et al., 2006). First of all, we demonstrated that the levels of BDNF isoforms depend on mutations in MeCP2 gene in Rett patients. Then, we evaluated the BDNF splice variants in the forebrain of MeCP2-/y mice and we demonstrated that they were significantly reduced at p42. However, treatments with DMI 10 mg/Kg or MIR 50 mg/Kg not rescue significantly the mRNA of BDNF. Therefore, we evaluated the protein level of BDNF and we demonstrated a no statistically significant increase of the neurotrophin in the cortex and a decrease in the hippocampus in MeCP2-/y untreated mice. However, the treatment with MIR 50 mg/Kg seemed to rescue the protein level of BDNF, even if no statistically significant.
XXVI Ciclo
1985
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12

Montalbano, Alberto. "Synaptic plasticity regulation mediated by BDNF: functional and morphological study." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7404.

Full text
Abstract:
2010/2011
The long-term potentiation (LTP) represents a widely studied form of synaptic plasticity related to learning and memory processes, which involves a long-lasting strengthening of synaptic connections through changes of their transmission and cytoarchitecture. The induction of LTP is classically achieved by tetanic stimulation of presynaptic components but it is also possible to in- duce chemically a long-term potentiation of the synaptic efficacy, thus enhancing a larger number of synapses compared to electrical stimulation and facilitating the biochemical and morphological study. The first part of this thesis is a methodological study of glycine and tetraethylammonium (TEA) induced chemical LTP (cLTP) in cultured hippocampal cells. Brief glycine (in Mg2+-free) application activate NMDA receptors, whereas TEA blocks of K+ channels inducing a depolariza- tion responsible for Ca2+ influx. Both drugs were briefly superfused and mEPSCs were monitored for all the duration of the experiments (≃60 min). This was considered as a necessary step to detect later the role of the Brain Derived Neurophic Factor (BDNF) in cLTP. Healthy hippocampal cells were dissected from rats of postnatal day 1-2. After a period of 10-12 days in vitro the cells reached optimal density, a typical mature pyramidal neuron morphology, and an extended dendritic arborization which facilitates synaptic contacts. At this stage patch-clamp technique in the whole-cell configuration was used to study the electrophysiological properties of pyramidal hippocampal neurons, able to produce spontaneous electrical activity. cLTP was tested recording miniature excitatory postsynaptic currents (mEPSCs) in voltage-clamp mode focusing on changes in their amplitude and frequency. A significant decrease in mEPSCs inter-event intervals was observed after glycine and TEA application, without significant changes in aptitudes. Therefore 20 min after glycine application an increase (≃ 61.6 %) in mEPSCs frequency was observed. A similar result was obtained also after TEA application (≃ 66 %). Following cLTP we observed also morphological changes such as an increase in density and a remodeling of different classes of dendritic spines. The role of BDNF in this cLTP model was assessed testing by ELISA assay the total BDNF expres- sion on cell lysate and by blocking Tropomyosin Receptor Kinase (Trk) with K252A. A significant increase in BDNF levels (≃ 120 %) was observed 50 min after cLTP induction. A switch from cLTP into cLTD was observed blocking Trk receptors. Moreover, confocal images collected before and after chemical potentiation in the presence of K252A showed a significant reduction (≃10%) in the average spine density both at the proximal and distal level. A significant reduction of the p-TrkB/TrkB ratio, after both gly- and TEA-LTP, was observed in distal dendrites compared to the soma. This therefore suggests a translocation of the activated receptor from periphery to the soma.
XXIV Ciclo
1983
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13

Marson, Lorena. "Phage-display epitope library development for biomarkers identification in autoimmune diseases of the Central Nervous System." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7405.

Full text
Abstract:
2010/2011
The principal aim of my PhD was the setting of a protocol for the creation of phage libraries to display cDNA fragments encoding real ORF sequences, that could correspond to potential epitopes. A similar phage display library contains all the potential ORF repertoire of a cell or tissue. This tool can be specially used in the study of autoimmune diseases to perform different kind of analysis, such as the identification of epitopes involved in pathological reaction, the comparison between healthy and pathological conditions, or between different pathological conditions. A complex protocol was developed. It provides for: cDNA normalization, cDNA fragmentation to obtain peptides with useful size, and ORF enrichment to obtain really coding fragments. With this system we have created a epitopes library from Human brain mRNA.
Il principale obiettivo del mio lavoro di ricerca è la messa a punto di un protocollo per la costruzione di librerie fagiche di frammenti di cDNA codificanti per frammenti ORF, e che quindi potrebbero corrispondere a potenziali epitopi. Questo tipo di librerie contengono, potenzialmente, tutto il repertorio ORF di una cellula o di un tessuto e possono quindi essere utilizzate nello studio di malattie autoimmuni al fine di identificare nuovi epitopi coinvolti nella risposta immunitaria, di fare un confronto tra lo stato patologico e quello sano o tra diverse condizioni patologiche. Abbiamo quindi messo a punto un complesso protocollo che prevede: la normalizzazione del cDNA, la sua frammentazione per ottenere peptidi di dimensioni opportune, e l'arricchimento in frammenti realmente codificanti. Con questo sistema abbiamo realizzato una libreria di epitopi a partire da mRNA di cervello umano.
XXIV Ciclo
1984
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
14

Medelin, Manuela. "Degenerative processes in organotypic spinal slices: challenging pre-motor network with stress conditions." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10130.

Full text
Abstract:
2012/2013
My PhD project concerns neurodegenerative processes in the mouse spinal cord, with a particular attention to amyotrophic lateral sclerosis (ALS). During my PhD I have used as a model the organotypic spinal slice cultures and I have focused my studies on: early changes in spinal tissue excitability in an ALS genetic model; spinal network activity changes induced by oxidative stress in wild type (WT) and synaptic activity in premotor circuits when challenged by neuroinflammation in WT. The principal aim of my work was to understand the dialogue between a general stress condition and the spinal premotor network. To this aim, I combined electrophysiological techniques and immunofluorescence analysis to characterized the ventral interneurones located in spinal microcircuits. For that purpose I exploited the organotypic cultures developed from embryonic mouse spinal cord that are generally accepted as a good model to study the neuronal premotor activity and provide high experimental access to interneurones (Avossa et al., 2003). In the first part of my research I compared WT cultures with SOD1G93A transgenic cultures, one of the more investigated ALS model. In cultured spinal networks, as described in acute preparation collected at different stages of development, there is a progressive fastening of glycinergic currents, represented by the reduction of the decay time constant (tau value) of synaptic currents along with the slices growth. WT and SOD1G93A cultures display a different maturation profile since in transgenic slices this developmental process is significantly steeper not only in glycinergic post synaptic currents (PSCs) but also in miniature PSCs (mPSCs). This difference in the glycinergic PSCs kinetic properties can be strongly reduced by the presence of TBOA that lowers the GABA synthesis. These results support the hypothesis that in SOD1G93A cultures there is an increase amount of glycine and GABA co-release leading to the conclusion that the synaptic release is conditioned by the presence of the mutation at an early stage of development, before any evident neuronal degeneration. Moreover, I supported this data also with preliminary results regarding the co-staining of GlyT2 and GAD65 (markers for presynaptic glycine and GABA, respectively). In fact, SOD1G93A spinal organotypic slices seem to display an higher amount of mixed synapses. Next, I tested other stress processes of the tissue that could potentially affect synaptic activity and, ultimately, alter network activity. I tested chronic incubations of the spinal slices, since they are long-term preparations, with stress key players: hydrogen peroxide (H2O2) to create an oxidative stress and lipopolysaccharide (LPS) or a mixture of cytokines (CKs: TNF-α, IL-1β and GM-CSF) to mimic neuroinflammation. For these sets of experiments I have used another strain of mice with no genetic manipulation. All these chronic treatments increase the AMPA receptor mediated PSCs frequency; moreover, a neuroinflammation state is able to enhance the overall network activity; LPS treatment increases also the amplitude of AMPA-mediated synaptic currents in both spontaneous and miniature events, while CKs accelerate the disinhibited burst rhythm induced by the pharmacological removal of the synaptic inhibition that switch on the rhythmogenic centre contained in the spinal network. Summarizing, I detected that the treatments with these environmental cues affected the synaptic component, in this case the excitatory one, of the premotor network. Altogether, my work highlighted that a genetic predisposition (in the case of familial ALS) and environmental factors of different kind (oxidative and inflammatory factors or an alterate SOD1) trigger changes in synaptic transmission and we may speculate that these alterations in the premotor circuit could cooperate in synergy leading to the development of misconnected networks that contribute to induce motoneuronal neurodegeneration. Riassunto Il mio progetto di dottorato riguarda processi neurodegenerativi del midollo spinale, con una particolare attenzione verso la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Durante il mio dottorato ho usato come modello le fettine organotipiche di midollo spinale e ho concentrato i miei studi su: cambiamenti precoci nell’eccitabilità del tessuto spinale in un modello genetico di SLA; cambiamenti nell’attività del network spinale indotti da stress ossidativo in wild type (WT) e cambiamenti nell’attività sinaptica dei circuiti premotori sottoposti ad uno stress infiammatorio in WT. Il fine principale del mio lavoro era quello di capire il dialogo tra una condizione di stress generale ad il network spinale premotorio. A questo scopo, ho unito tecniche elettrofisiologiche e analisi di immunofluorescenza per caratterizzare gli interneuroni ventrali localizzati nel microcircuito spinale. Per raggiungere questo obiettivo ho sfruttato le colture organotipiche derivate dal midollo spinale di embrioni di topo che sono generalmente accettate come un buon modello per studiare l’attività premotoria neuronale e garantiscono un facile accesso sperimentale agli interneuroni (Avossa et al., 2003). Nella prima parte della mia ricerca ho confrontato colture WT con colture transgeniche SOD1G93A, uno dei modelli di SLA maggiormente studiati. Nei network spinali in coltura, come già descritto in preparazioni acute ottenute a diversi stadi di sviluppo, c’è una progressiva velocizzazione delle correnti glicinergiche, rappresentata dalla riduzione del decay time constant (valore di tau) delle correnti sinaptiche durante la crescita delle fettine. Le colture WT e SOD1G93A presentano un diverso profilo di maturazione dato che nelle colture transgeniche questo processo di sviluppo è significativamente più marcato non solo nelle correnti postsinaptiche (PSCs) ma anche negli eventi in miniatura (mPSCs). Questa differenza nelle proprietà cinetiche delle correnti glicinergiche può essere fortemente ridotta dalla presenza di TBOA che diminuisce la sintesi del GABA. Questi risultati supportano l’ipotesi che nelle colture SOD1G93A ci sia un aumento del co-rilascio GABA/glicina portando alla conclusione che il rilascio sinaptico sia condizionato dalla presenza della mutazione ad uno stadio precoce dello sviluppo, prima di qualsiasi degenerazione neuronale evidente. Inoltre, ho supportato questo dato anche con risultati preliminari riguardanti la marcatura di GlyT2 e GAD65 (due marker per la glicina ed il GABA presinaptici rispettivamente). Infatti, le fettine spinali organotipiche SOD1G93A sembrano caratterizzate da un aumento delle sinapsi miste. Successivamente, ho testato altri processi di stress del tessuto che potrebbero interferire con l’attività sinaptica e, conseguentemente, alterare l’attività del network. Dato che le fettine spinali sono preparazioni a lungo termine, ho testato incubazioni croniche con molecole chiave nei processi di stress: perossido di idrogeno (H2O2) per creare uno stress ossidativo e lipopolisaccaride (LPS) o una miscela di citochine (CKs: TNF-α, IL-1β and GM-CSF) per mimare uno stato infiammatorio. Per questo set di esperimenti ho usato un altro ceppo di topi privo di manipolazione genetica. Tutti questi trattamenti cronici aumentano la frequenza delle correnti mediate dai recettori AMPA; inoltre, uno stato infiammatorio è in grado di incrementare l’attività globale del network; il trattamento con LPS aumenta anche l’ampiezza delle correnti sinaptiche AMPA-mediate, sia spontanee che in miniatura, mentre le CKs accelerano il ritmo dei burst indotto dall’eliminazione farmacologica dell’inibizione sinaptica che accende il centro ritmogenico presente nel network spinale. Riassumendo, ho dimostrato che i trattamenti con questi fattori ambientali alterano la componente sinaptica, in questo caso eccitatoria, del network premotorio. Nel complesso il mio lavoro ha evidenziato che una predisposizione genetica (nel caso della SLA familiare) e fattori ambientali di varia natura (ossidativi, infiammatori o di alterata SOD1) inducono cambiamenti nella trasmissione sinaptica e possiamo speculare sul fatto che queste alterazioni nel circuito premotorio possono cooperare in sinergia causando lo sviluppo di network inefficienti che concorrono a determinare la neurodegenerazione motoneuronale.
XXVI Ciclo
1985
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
15

Polacchini, Alessio. "Neurotrophic factors and other humoral mediators in chronic stress." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11017.

Full text
Abstract:
2013/2014
Lo stress è stato definito come "una risposta specifica del corpo a qualsiasi richiesta non specifica (stressor) su di esso". Quando lo stress, reale o percepito, è duraturo o la risposta non è appropriata (distress), i cambiamenti fisiologici di breve termine lasciano spazio ad alterazioni di lungo termine che possono causare condizioni patologiche, tra cui malattie mentali. Secondo questo modello di "carico allostatico", i mediatori primari come le catecolamine e gli ormoni steroidei, innescano alterazioni multi-sistemiche su mediatori secondari che portano a manifestazioni negative in diversi sistemi corporei, inclusi quello nervoso e immunitario. Neurotrofine, in particolare il Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF), e mediatori del sistema immunitario, come citochine e chemochine, sono possibili modulatori della risposta allo stress cronico. Pertanto, ci siamo posti l’obiettivo di valutare i loro livelli circolanti in soggetti sani in condizioni di stress lavoro-correlato. Prima di ciò, poiché la misurazione del BDNF circolante è di grande interesse per la sfera psichiatrica, ma soffre per inconsistenze probabilmente a causa della mancanza di procedure standard di selezione e valutazione, abbiamo cercato di superare queste limitazioni definendo una metodologia standardizzata sia per la raccolta dei campioni che per la misurazione di BDNF. Per fare ciò, abbiamo selezioniamo il siero come fluido elettivo per la quantificazione di BDNF e, utilizzando sieri di 40 soggetti adulti sani, abbiamo confrontato le prestazioni di sei kit di ELISA commerciali specifici per BDNF. Tutti i kit hanno mostrato la capacità di misurare il BDNF nel 100% dei campioni e, con una sola eccezione, range paragonabili. Tuttavia, essi hanno mostrato variazioni inter-assay molto diverse, dal 5% al 38%. Tali variazioni, erano superiori a quelle dichiarate dai produttori fatta eccezione per un kit, che nel complesso ha mostrato le prestazioni migliori. In aggiunta, l’analisi Dot-blot ha rivelato che due kit hanno riconosciuto selettivamente la forma matura di BDNF, mentre gli altri hanno reagito anche con il suo precursore, il pro-BDNF. Occorre notare che, avendo definito una procedura standardizzata che riduce l'elevata variabilità dovuta ai differenti passaggi tecnici nelle fasi pre-analitiche e analitiche, questo studio fornisce la base per ottenere una misura affidabile del BDNF nel siero umano, adatto per potenziali applicazioni cliniche future. Come accennato, il passo successivo è stato quello di valutare il BDNF e i mediatori immunitari circolanti in soggetti con stress lavoro correlato. Abbiamo quindi misurato il BDNF e, utilizzando la tecnologia ELISA multiplex, altri 48 analiti tra citochine, chemochine e fattori di crescita nel siero di 122 soggetti sani (87 femmine e 35 maschi). I partecipanti sono stati arruolati tra assistenti sanitari e valutati per lo stress lavoro-correlato con scale stress psicofisico e burnout estratte da un questionario di auto-valutazione standardizzato per il contesto italiano (test Qu-BO). Lo stress psicofisico è stato valutato con cinque elementi, vale a dire ansia, disturbi emotivi, gastrointestinali, cardiaci e disfunzioni ergonomiche sul posto di lavoro più uno stato generale di stress stimato come la media delle cinque dimensioni; il burnout è stato misurato con tre elementi adattati dal Maslach Burnout Inventory, nello specifico esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione personale. Alti punteggi di score sono associati a situazioni di stress cronico elevato, ad eccezione della scala di realizzazione personale. Abbiamo individuato che le donne avevano punteggi più elevati rispetto agli uomini per tutti gli elementi di stress psicofisico e per lo stato di esaurimento emotivo. Oltre a ciò, dopo aver corretto per sesso e indice di massa corporea (IMC), abbiamo cercato di correlare le variabili biologiche con i punteggi delle diverse scale di stress, utilizzando una combinazione di analisi univariate (correlazioni parziali) e multivariate (analisi dei minimi quadrati e fattoriale), per tener conto delle correlazioni tra analiti. Come risultato, non abbiamo trovato alcuna associazione tra le variabili biologiche e lo stato di burnout, mentre, d'altra parte, abbiamo rilevato associazioni negative tra elementi dello stress psicofisico e alcuni marcatori del pattern di chemochine. In particolare, abbiamo osservato che i livelli di MCP-1/CCL2, CTACK/CCL27, RANTES/CCL5 e Eotassina/CCL11 correlano negativamente con diverse scale di stress psicofisico quali ansia, problemi gastrici e cardiaci e disfunzioni ergonomiche sul posto di lavoro. Inoltre, abbiamo osservato che IL-17, una citochina caratteristica del sottotipo T-helper 17 (Th17) e associata a danni a diversi tessuti, incluso quello intestinale, correla positivamente con alti punteggi in soggetti che accusano problemi gastrici (r=0.280, p=0,010). Curiosamente, abbiamo rilevato anche una relazione positiva tra BDNF e il punteggio di disfunzione ergonomica sul posto di lavoro (r=0.284, p=0,009), potenzialmente a causa di meccanismi di compensazione protettivi. Nel loro insieme, i nostri risultati supportano l'ipotesi che lo stress cronico induce una generale soppressione sia risposta immunitaria cellulare e umorale. Tuttavia, le conseguenze sono difficili da prevedere in quanto lo stress è noto per avere un effetto sia soppressivo che stimolante sul sistema immunitario. Per esplorare ulteriormente il potenziale ruolo protettivo di BDNF in condizioni di stress cronico, a livello cellulare, ci siamo serviti di un modello di stress citotossico in-vitro, consistente in una linea di cellule di neuroblastoma umano, le SK-N-BE, trattata con cisplatino, un farmaco chemioterapico. Da ciò abbiamo osservato che il cisplatino, in particolare dopo 24 di trattamento, aumenta la produzione di BDNF sia a livello trascrizionale che proteico. In aggiunta, lo stimolo citotossico dato dal cisplatino aumenta anche il tasso di trasduzione BDNF. Abbiamo ipotizzato che l'induzione della traduzione di BDNF avvenga attraverso l'attività di Aurora chinasi, come avviene, ad esempio, per la chinasi II dipendente da α-Ca2+/calmodulina (αCaMKII), in quanto si tratta di un meccanismo conservato a partire dagli ovociti di Xenopus fino a livello delle sinapsi neuronali di ippocampo. Pertanto, bloccando l’attività di Aurora chinasi grazie al potente inibitore PHA-680.632, ci aspettavamo di osservare una riduzione nella traduzione di BDNF e un aumento della mortalità cellulare come risultato del diminuito supporto trofico. Sorprendentemente, nonostante un aumento della morte cellulare, ma solo in combinazione con cisplatino, abbiamo osservato una maggiore induzione della traduzione di BDNF, soprattutto da quei trascritti contenenti in particolare l’esone 6 di BDNF (una variante di splicinge della porzione 5’ non tradotta), il cui ruolo è già stato osservato essere cruciale in condizioni di stress citotossico. In conclusione, i nostri risultati delineano un meccanismo di induzione della traduzione degli mRNA di BDNF potenzialmente indipendente da Aurora chinasi, almeno in condizioni di stress citotossico. Sebbene non dimostrato per BDNF, tali meccanismi potrebbero includere il reclutamento dell’unità trascrizionale con modalità indipendenti dalla presenza del cap al 5’ non tradotto degli mRNA. Le suddette osservazioni potrebbero avere importanti implicazioni cliniche nell'uso di inibitori di Aurora come coadiuvanti nel trattamento del neuroblastoma in quanto, nonostante inducano un aumento della mortalità, facilitano la selezione di cellule resistenti che producono una maggiore quantità di BDNF.
Stress was defined as “a specific response of the body to any non-specific demand (stressor) made on it”. When the real or perceived stressor is lasting or the response is inappropriate (distress), the physiological short-term changes switch to long-term alterations driving to pathological conditions, including mental illness. According to this “allostatic load” model, primary mediators such as catecholamines and steroid hormones trigger multi-systemic alterations of secondary signaling mediators possibly causing adverse manifestation in different body systems, including nervous and immune ones. Neurotrophins, in particular the Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF), and immune mediators, like cytokines and chemokines, are possible modulators of the chronic stress response. Therefore, we aimed to assess their circulating levels in healthy persons in conditions of work-related stress. Before that, since measurement of peripheral BDNF is of great interest for psychiatrists but suffers for inconsistencies, possibly due to the lack of consistent procedures for BDNF samples collection and assessment, we aimed to overcome these limitations and defined a standardized methodology for both sample collection and BDNF measurement. Hence, we have selected the serum as the elective body fluid for BDNF quantification and, using sera from 40 healthy adult subjects, we compared the performance of six commercial BDNF ELISA kits. All kits showed 100% of sample recovery and, with one exception, comparable range. However, they exhibited very different inter-assay variations from 5% to 38%. Inter-assay variations, were higher than those declared by the manufacturers with only one exception which also had the best overall performance. Dot-blot analysis revealed that two kits selectively recognize mature BDNF, while the others reacted with both pro-BDNF and mature BDNF. Of note, having defined a standardized procedure which reduces the high variability due to technical, pre-analytical and analytical steps, this study provides the basis to obtain an accurate measure BDNF in human serum, suitable for future clinical applications. As mentioned, the next step was to assess circulating BDNF and immune mediators in subjects with job-related stress. We therefore measured BDNF and, using the multiplex ELISA technology, other 48 analytes among cytokines, chemokines and growth factors in the sera of 122 healthy subjects (87 female and 35 male). The participants were enrolled among healthcare assistants and evaluated for work-related stress using psychophysical stress and burnout scales extracted from a self-assessed questionnaire standardized for the Italian context (Qu-BO test). Psychophysical stress addressed five items, namely anxiety, emotion (depression-like), gastrointestinal disturbances, cardiac disturbances, ergonomic dysfunction at the workplace and an overall stress state as the average of the five items; burnout state has been measured using three cores adapted from the Maslach Burnout Inventory, specifically emotional exhaustion, depersonalization and personal accomplishment. Higher scores mean higher stress status, except for personal accomplishment. We found that female had higher scores than male for all psychophysical stress items and for the emotional exhaustion core. Then, after correcting for gender and body-mass index (BMI), we attempted to correlate the biological variables with the score scales, using a combination of univariate (partial correlations) and multivariate analysis (partial least square and factor analysis) which took in account correlations among analytes. As a result, we found no associations between burnout state and biological variables while, on the other hand, we detected negative associations between psychophysical stress items and some markers of the chemokine profile. In particular, we observed that levels of MCP-1/CCL2, CTACK/CCL27, RANTES/CCL5 and Eotaxin/CCL11 negatively correlate, with different grade, with the scores of anxiety, gastric and cardiac problems and ergonomic dysfunction at the workplace. In addition, we observed IL-17, a feature cytokine of the T-helper subtype 17 (Th17) which have been associated to tissue damage also at intestine level, to be positively associated with score in subjects reporting gastric problems (r=0.280, p=0.010). Intriguingly, we detected also a positive relationship between BDNF and score of ergonomic dysfunction at the workplace (r=0.284, p=0.009), potentially as a result of compensatory protective mechanisms. Taken together, our results support the hypothesis that chronic stress induces suppression of both cellular and humoral response. However, the consequences are hard to predict since stress is known to have both suppressive and enhancing effects on immune system. To further explore the potential protective role of BDNF in chronic stress conditions, we moved to an in-vitro cellular model of cytotoxic stress, consisting in SK-N-BE human neuroblastoma cell line treated with cisplatin, a chemotherapeutic drug. We found that cisplatin, in particular after 24 of treatment, enhances BDNF production at both transcriptional and protein levels. Of note, it induces also an increment in the transduction rate of BDNF mRNA transcripts. We hypothesized that BDNF translation induction occurs through the activity of Aurora kinase, like what happen for α-Ca2+/calmodulin-dependent protein kinase II (αCaMKII) mRNA, as it is a conserved mechanism from Xenopus oocytes to synapses of hippocampal neurons. Therefore, by blocking Aurora kinase activity thanks to the potent inhibitor PHA-680632, we were expecting to detect a reduction in BDNF translation and increased cell mortality as a result of the decreased trophic support. Surprisingly, despite an improved cell death only in combination with cisplatin, we observed an enhanced BDNF translation induction especially from those transcripts containing exon 6, a splice variant of the 5’ untranslated region, which have been already observed to be crucial in cytotoxic stress conditions. In conclusion, our results pointed toward a BDNF translation induction mechanism that is Aurora kinase independent, at least in conditions of cytotoxic stress. Although not investigated, some of these mechanisms may include 5’cap-independent recruitment of the translational machinery. Furthermore, our observations could have important clinical implications in the use of Aurora inhibitors as adjuvant in neuroblastoma treatment as, even if with a cell mortality increase, they facilitate the selection of resistant cells that further enhance BDNF production.
XXVII Ciclo
1985
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
16

Lavermicocca, Valentina. "New applications of neurofeedback techniques for cognitive rehabilitation in Parkinson's disease." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11018.

Full text
Abstract:
2013/2014
Objective: Parkinson's disease (PD) is a neurodegenerative disorder characterized by dopamine depletion in the striatum. Clinical studies show that the main function of the basal ganglia is related to motor behavior. However, PD is characterized by a series of non-motor symptoms. In fact, basal ganglia establish important anatomical connections with prefrontal areas through dorsolateral, orbitofrontal and anterior cingulated circuits, respectively involved in executive functions, regulation of social behaviour and motivation. Although cognitive decline insidiously occurs, PD patients show cognitive slowing and executive dysfunction at early stages; this condition can evolve into mild cognitive impairment before and subcortical dementia later. While motor symptoms show a good response, cognitive symptoms do not seem to adequately respond to the drug therapy. Neurofeedback (NF) is a conditioning method for the self-regulation of brain activity based on real-time feedback of EEG/fMRI signal. During NF training, patients learn to modulate their brainwave pattern, in order to improve cognitive or motor performances. The study aims to investigate the possible effect of specific Neurofeedback techniques on cognitive performance (particularly attentive) of patients with idiopathic PD and their impact on daily activities, in terms of change in scores at the neurocognitive assessment. Methods: 20 patients were recruited affected by idiopathic PD staged according to the Hoehn & Yahr scale and previously cognitively evaluated. Patients were selected according to the following inclusion criteria: aged from 55 to 85, intact or correct auditory and visual functions, phase on of dopaminergic therapy. Patients with previous cerebrovascular insults, with psychosis, with severe dyskinesias and patients taking ChIs drug were excluded. The sample was divided into two groups of 10 patients homogeneous for age, education level, cognitive impairment and disease severity, randomized to the experimental protocol (NF training) and to the traditional protocol (conventional computerized cognitive training). The experimental protocol consists of 2 weekly sessions of 40 minutes each (30 minutes NF Attention Training/10 minutes muscle relaxation). The traditional protocol consists of 2 weekly sessions of 40 minutes each (30 minutes conventional cognitive training /10 minutes muscle relaxation). The rehabilitation program has planned, in both group, 24 sessions of training. Treatment efficacy have been evaluated through an ANOVA model with a factor between subject (treatment) and a factor within subject (before-after the treatment). All analysis have been performed with SAS Software V 9.4 for PC. Significance level have been stated as p<0.05. Results: At the end of treatment path, cognitive re-evaluation showed a significant increase in scores in both groups; PD patients significantly improved in all investigated cognitive functions (attention, set-shifting, executive functions, verbal fluency, immediate and delayed memory, and visuospatial reasoning) compared with their baseline assessments, with a positive impact on reaction time, processing speed and global cognition. The comparison between cognitive performances showed no significant differences between the two groups linked to the type of treatment carried out (NF or conventional computerized training). However, the degree of satisfaction for treatment was significantly greater in the NF group, in term of general satisfaction and technical quality. To notice that in both groups the 4 months after the end of treatment follow-up control put into evidence a decrease in scores to baseline levels. It’s probably due to the degenerative nature of the disease. Conclusions: Both approaches to cognitive training, classic computerized cognitive training and neurofeedback training, as long as applied for a long time seems to improve cognitive abilities in PD patients with mild cognitive impairment who have a higher risk of developing dementia. The increase in the satisfactory levels of the experimental group appears to be due to how patients perceive the control they have on their cognitive performance (assumption of NF training), thus increasing the sense of self-efficacy. However, our experience so far shows that patients periodically need reminder therapy, otherwise recurrence of cognitive dysfunction is observed.
Premesse Le tecniche di neurofeedback sono utilizzate con successo nel trattamento dei disturbi di attenzione nei bambini affetti da ADHD. Partendo da questo dato si è pensato di applicare tali tecniche nel trattamento dei disturbi cognitivi di marca attentiva nel paziente neurologico adulto. Per valutare la fattibilità e l’aderenza dei pazienti al trattamento, inizialmente lo studio è stato rivolto a 4 patologie neurologiche caratterizzate da disturbi attentivi: Sclerosi Multipla, Malattia di Parkinson, Insulto cerebro-vascolare, Atassia cerebellare. Preliminarmente i pazienti hanno effettuato 5 sessioni di neurofeedback. I pazienti che sono apparsi più motivati e che hanno mostrato una rapida risposta al trattamento sono stati i pazienti affetti da malattia di Parkinson. Si noti che la malattia di Parkinson è una condizione patologica che condivide circuiti neurotrasmettitoriali simili a quelli coinvolti nell’ADHD; quindi, verosimilmente, anche i meccanismi di apprendimento che rendono efficace il trattamento potrebbero essere sovrapponibili. Introduzione La Malattia di Parkinson (MP) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla deplezione di dopamina a livello striatale. Studi clinici evidenziano che la prevalente funzione dei gangli della base è correlata al comportamento motorio. Tuttavia, essi stabiliscono connessioni anatomiche con aree prefrontali attraverso i circuiti dorsolaterale, orbitofrontale e cingolato anteriore, coinvolti nei processi esecutivi, nella regolazione del comportamento sociale e nella motivazione. La bradifrenia è il disturbo cognitivo caratteristico della MP. Si manifesta attraverso perdita di concentrazione e lentezza nei processi di pensiero, obiettivati dal rallentamento del segnale EEG. Attraverso l’applicazione di tecniche di Neurofeedback (NF), modulazione e autoregolazione EEG-mediata, il paziente impara a modificare la propria attività cerebrale sotto la guida del terapeuta e del computer. Lo studio è volto ad indagare l’effetto di tali tecniche sulle performance cognitive di pazienti affetti da MP, in termini di variazioni dei punteggi testistici. Materiali e Metodi Dei 35 pazienti esaminati, ne sono stati reclutati 20 affetti da MP idiopatica stadiati secondo la scala di Hoen&Yahr e preventivamente valutati cognitivamente. Criteri di inclusione: età compresa tra 55-85 anni, funzioni visive e uditive integre, fase on della terapia farmacologica. Il campione è stato suddiviso in 2 gruppi di 10 pazienti ciascuno randomizzati per età, scolarità e stadio della patologia, sottoposti rispettivamente al protocollo sperimentale (NF training) e al protocollo tradizionale (training cognitivo convenzionale). Il percorso riabilitativo ha previsto 24 sedute di terapia cognitiva. Nel NF training, come interfaccia cervello-computer, si è utilizzata la cuffia MindWave (NeuroSky) con relativo software per il trattamento. Risultati Al termine del percorso terapeutico, la rivalutazione cognitiva ha evidenziato un significativo incremento nei punteggi in entrambi i gruppi; il confronto tra le performance cognitive non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi legate alla tipologia di trattamento effettuato. Tuttavia, il grado di soddisfazione per il trattamento è risultato significativamente maggiore nel gruppo sperimentale. Va segnalato che in entrambi i gruppi i controlli al follow-up hanno evidenziato un decremento dei punteggi ai livelli basali. Conclusioni L’applicazione di tecniche di NF per il trattamento cognitivo di pazienti affetti da MP, purchè erogate per tempi lunghi, è apparsa valida al pari dei trattamenti cognitivi convenzionali. L’incremento dei livelli di soddisfazione del gruppo sperimentale sembra imputabile alla percezione che il paziente ha di esercitare un controllo sulle proprie prestazioni cognitive (presupposto del NF training) aumentando così il senso di autoefficacia. Prospettive future Essendo il tracciato EEG nettamente rallentato nella MP, lo studio sarà ampliato indagando le modificazioni EEG eventualmente indotte dalla neuroriabilitazione in entrambi i gruppi. Data la rapida diffusione delle tecnologie informatiche e della comunicazione nell’ambito sanitario, parte delle attività riabilitative può essere erogata a distanza (Teleriabilitazione). Seppur ancora agli albori, le tecniche di Tele-neurofeedback consentono al paziente di ricevere un trattamento cognitivo all’interno del proprio domicilio mantenendosi in contatto continuo con il terapeuta via web. Data la necessità di proseguire il trattamento cognitivo nel tempo al fine di ritardare l’evoluzione del mild cognitive impairement in demenza conclamata, le tecniche di tele-neurofeedback potrebbero applicarsi al momento della interruzione del trattamento in presenza.
XXVII Ciclo
1985
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
17

Parato, Giulia. "Regulation of muscle satellite cell proliferation and differentiation by local trophic factors." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10153.

Full text
Abstract:
2012/2013
The skeletal muscle is a terminally differentiated tissue. Its capacity to repair following injury or disease depends on a population of myogenic precursors, named satellite cells. These cells are localized beneath the skeletal muscle fiber, in a specialized microenvironment, the niche. The niche preserves the homeostatic conditions of satellite cell quiescence, but at the same time, it ensures their responsiveness to mechanical, physical and chemical triggers from the surrounding environment. Therefore, the composition of the external milieu is critical in determining satellite cell behavior. As a matter of fact, during aging or under pathological conditions, alterations of the extracellular environment entail a severe impairment of satellite cell ability to sustain regeneration and repair of the skeletal muscle tissue. The general goal of this thesis was to focus on some of the trophic factors potentially present in the satellite cell niche in vivo and to characterize their role on the modulation of satellite cell functions in vitro. The first part of the research activity dealt with the study of the trophic effect of ATP on mouse myoblast proliferation. From literature, it emerged that ATP is a potential regulator of the skeletal muscle regenerative program, however the signalling mechanism remained partially unknown. We observed that ATP increased myoblast growth rate, effect that was mimicked by low concentrations of H2O2. Reactive oxygen species (ROS) imaging revealed that ATP induced H2O2 production, at concentrations comparable to those effective in triggering myoblast proliferation. Interestingly, the exposure to equimolar concentrations of adenosine did not mimic the effect of ATP, excluding any role for the main hydrolysis product of ATP in the control of cell cycling. This result was in agreement with data reporting that the specific enzymes responsible for ATP degradation are poorly expressed in myoblasts and become upregulated after cell differentiation. In line with the latter observation, it appeared reasonable that the differentiating skeletal muscle cells were more exposed to ATP-derived adenosine than proliferating myoblasts, and this suggested a potential physiological role for the nucleoside adenosine in the later phases of myogenesis. Taking into account that adenosine receptors (ARs) are present in mouse myotubes, in a second study we hypothesized a crosstalk between nAChRs and ARs. Using the Ca2+-imaging technique, we observed that the pharmacological modulation of ARs triggered variations in the nAChR-driven ([Ca2+]i) spikes. Moreover, our preliminary results suggest not only an interplay between the two receptors but also that endogenous adenosine is tonically released by twitching myotubes and activates its receptors. The third research project was aimed at exploring the role of neural agrin, a heparan sulphate proteoglycan, so far known as the key organizer of post-synaptic elements during skeletal muscle differentiation/regeneration. Besides agrin’s canonical effect on the maturation of the NMJ, novel roles have been discovered in the recent years, suggesting that the neurotrophic factor has pleiotropic effects. In this new context, we pursued the identification of potential new roles for neural agrin in the determination of satellite cell behaviour. Firstly, the analysis of different cell models, including C2C12 cell line and primary mouse and human cells, and revealed an increase in IL-6 secretion following exposure to agrin. Secondly, we addressed the hypothesis of agrin as a potential modulator of human myoblasts proliferation. Our preliminary results demonstrate that agrin enhances the proliferative capacity of human satellite cells and suggest the potential mechanism involved in the signaling cascade.
Il muscolo scheletrico è un tessuto terminalmente differenziato. La sua capacità rigenerativa in seguito a danno o patologia dipende da una popolazione di precursori miogenici, le cellule satelliti. Esse sono localizzate sulla superficie della fibra muscolare, racchiuse in un ambiente altamente specializzato, la nicchia. La nicchia assicura il mantenimento della quiescenza cellulare, ma allo stesso tempo fa sì che la cellula satellite risponda a stimoli meccanici, fisici o chimici, provenienti dall’ambiente esterno. Per questo motivo, la composizione dell’ambiente circostante condiziona altamente il comportamento della cellula satellite. Infatti, le alterazioni che si verificano con l’invecchiamento o in seguito a patologia compromettono la capacità dei precursori miogenici di sostenere la rigenerazione del tessuto. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di individuare e caratterizzare alcuni dei fattori trofici che compongono il microambiente della cellula satellite in vivo, per cercare di capire come essi modulino le funzioni dei precursori miogenici durante la rigenerazione in vitro. La prima parte dell’attività di ricerca ha riguardato lo studio dell’effetto trofico dell’ATP sulla proliferazione mioblastica. Studi in letteratura hanno fatto emergere il potenziale ruolo regolatore dell’ATP nella rigenerazione muscolare, anche se i meccanismi attraverso cui opera non sono ancora chiari. I risultati da noi ottenuti hanno dimostrato che l’ATP aumenta la proliferazione mioblastica e che un effetto simile si osserva in presenza di H2O2. L’imaging per le specie reattive dell’ossigeno (ROS) ha inoltre dimostrato che l’ATP induce la produzione di H2O2, a concentrazioni paragonabili a quelle capaci di aumentare la proliferazione. In presenza di concentrazioni equimolari di adenosina non è stato osservato alcun effetto sulla proliferazione cellulare, fatto che suggerisce che il ruolo dell’ATP non sia attribuibile all’adenosina, il suo principale prodotto di degradazione. Questo risultato è in accordo con quanto già riportato da altri Autori a proposito degli enzimi responsabili dell’idrolisi dell’ATP: essi sono poco espressi nei mioblasti in proliferazione, mentre la loro espressione aumenta notevolmente con il differenziamento cellulare. Alla luce di queste osservazioni, risultava verosimile che i miotubi fossero più esposti rispetto ai mioblasti all’adenosina derivante dall’ATP e che pertanto l’adenosina avesse un ruolo fisiologico preponderante nelle fasi avanzate della miogenesi. Dal momento che i recettori per l’adenosina (ARs) sono espressi nei miotubi murini, un secondo lavoro ha avuto come obiettivo quello di investigare un possibile “crosstalk” tra i ARs e i nAChRs. Esperimenti di Ca2+- imaging hanno dimostrato come la modulazione farmacologica dei ARs si traduca in una variazione nelle oscillazioni di [Ca2+]i indotte dall’attività del nAChR. Questi risultati, sebbene preliminari, suggeriscono non solo che i due recettori interagiscono tra loro, ma anche che l’adenosina è tonicamente secreta dai miotubi in contrazione e agisca attivando i suoi recettori. Il terzo progetto di ricerca è stato finalizzato allo studio del ruolo dell’agrina neuronale, un proteoglicano eparan solfato, già noto per la sua capacità di aggregare elementi sinaptici durante la fase di differenziamento e di rigenerazione del muscolo scheletrico. Accanto al ruolo canonico che la vede coinvolta nella maturazione della giunzione neuromuscolare, negli ultimi anni sono state descritte nuove funzioni per l’agrina neuronale, che la indicano come un fattore pleiotropico. In questo contesto, abbiamo esplorato nuove proprietà dell’agrina. In primo luogo, l’analisi di diversi modelli cellulari, incluse la linea cellulare C2C12 e cellule primarie murine e umane, ha dimostrato che il fattore neurotrofico potenzia il rilascio di IL-6. In un secondo studio, è stato ipotizzato un potenziale effetto di modulazione della proliferazione di mioblasti umani da parte dell’agrina neuronale. Risultati preliminari hanno dimostrato che l’agrina aumenta la capacità proliferativa delle cellule satelliti umane. Inoltre, sono stati individuati alcuni dei fattori molecolari che partecipano alla cascata di segnalazione.
XXVI Ciclo
1986
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18

Tamburini, Giorgia. "Il biofeedback di secondo ordine per la regolazione del battito cardiaco e del respiro." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10076.

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Abstract:
2012/2013
In questo elaborato viene presentato un percorso di ricerca in cui ci siamo posti l’obiettivo di andare a studiare come la presentazione di un modello acustico, rappresentativo di una determinata funzione fisiologica (nello specifico riferito al battito cardiaco o alla frequenza respiratoria) possa influenzare il sistema di autoregolazione dell’individuo a cui viene presentato andando ad agire da rinforzo. In questo percorso abbiamo sviluppato parallelamente due linee di ricerca: con la prima siamo andati ad indagare l’effetto dell’utilizzo del biofeedback cardiaco di secondo ordine sui parametri cardiaci e la differenza nella percezione del proprio battito cardiaco nelle persone con diagnosi di disturbo di panico. Con la seconda, invece, abbiamo condotto degli studi per indagare l’effetto dell’utilizzo del biofeedback respiratorio di secondo ordine sulla standardizzazione degli atti respiratori, mettendolo a confronto con un biofeedback di secondo ordine con tracce di natura artificiale e con un compito cognitivo. Dalle prime ricerche è emerso che le persone con diagnosi di disturbo di panico mostrano una miglior percezione del loro battito cardiaco sia in termini di precisione che di accuratezza, ovvero riescono con maggior facilità a riconoscere una traccia acustica rappresentativa della loro frequenza cardiaca. Nel secondo filone di ricerca, mediante l’utilizzo del biofeedback di secondo ordine, abbiamo messo a confronto suoni naturali rappresentativi della frequenza respiratoria del soggetto con suoni artificiali (ascendenti –inspirazione- e discendenti –espirazione-) basati sui suoi parametri fisiologici. I risultati mettono in evidenza come solo mediante l’utilizzo dei suoni naturali vi sia una riduzione della variabilità respiratoria e quindi una standardizzazione del respiro. Allo stesso modo la condizione che utilizza i suoni naturali è stata messa a confronto con una condizione in cui è stato chiesto al soggetto di svolgere un compito cognitivo di controllo del respiro, essendo questa una delle strategie che più spesso viene insegnata per raggiungere uno stato di rilassamento; anche in questo caso però, il biofeedback respiratorio di secondo ordine è risultato più efficace nella standardizzazione dell’attività respiratoria del soggetto. Le ricerche presentate hanno dimostrato che quando le tracce somministrate al partecipante vengono costruite sulla base di un suono naturale della funzione fisiologica da studiare, il soggetto può riconoscere la traccia presentata come self-related e come appartenente alla propria esperienza percettiva. Essendo la componente ritmica una caratteristica dei sistemi di autoregolazione, questi possono essere influenzati dalla traccia acustica presentata. In considerazione di quanto sopra possiamo dunque ipotizzare che l’utilizzo di una traccia acustica riesca influenzare le risposte fisiologiche del soggetto. Concludendo, si può affermare che è possibile migliorare la propria autoregolazione fisiologica senza alcun tipo di training poiché la tecnica presentata in questo elaborato non richiede nessun tipo di insegnamento né di monitoraggio online.
XXVI Ciclo
1984
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19

Turconi, Marcello Maria. "Development and testing of applications and algorithms to improve BCI systems performance." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11019.

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Abstract:
2013/2014
Sviluppo e validazione di nuove applicazioni di Interfaccia Cervello-Computer (Brain-Computer Interfaces, o BCIs) basati su elettroencefalografia. I sistemi sviluppati includono sia BCI di tipo comunicativo-assistenziale (basate su una risposta cognitiva conosciuta come P300), sia BCI di tipo riabilitativo (basate sulla modulazione volontaria dei cosiddetti ritmi sensorimotori) rivolte a pazienti affetti da Malattia di Parkinson.
XXVII Ciclo
1987
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20

Muroni, Alessandro Franco. "FUNZIONI COGNITIVE E COMPORTAMENTO DI GUIDA: EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE DI SONNO, DEL CONSUMO DI ALCOLICI E DELLA CAFFEINA." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10070.

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Abstract:
2012/2013
Il presente lavoro nasce da una riflessione in merito ad un problema di forte attualità: gli incidenti sonno e alcol correlati. Deprivazione di sonno e consumo di alcolici rappresentano una combinazione abbastanza comune, specialmente tra i giovani automobilisti (Banks et al., 2004). Diversi ricercatori, con lo scopo di dare un contributo alla soluzione di questo problema, hanno focalizzato il loro interesse nel settore della sicurezza stradale. Numerose ricerche (Brown, 1994) (Marcus et al., 1996) (Horne et al., 1995) (Horne et al., 1999) (Connor et al., 2001) si sono occupate di studiare la relazione tra deprivazione di sonno e prestazione di guida ed è ormai universalmente riconosciuto che questa variabile rappresenta un fattore di rischio per la sicurezza stradale. Così come gli effetti negativi indotti dalla deprivazione di sonno sulla prestazione di guida, anche quelli dell’alcol sono universalmente riconosciuti e anch’esso è considerato un fattore di rischio per la sicurezza stradale (Liguori et al., 1999) (Lenne et al., 1999) (Shults et al., 2001). Diversi altri ricercatori (Roehrs et al., 1994) (Arnedt et al., 2000) (Horne et al., 2003) (Banks et al., 2004) (Barret et al., 2004) (Barret et al., 2005) (Vakulin et al., 2007) (Howard et al., 2007) si sono invece focalizzati oltre che sullo studio dei singoli effetti di questi fattori anche sul loro effetto combinato, trovando generalmente che sia la deprivazione di sonno che l’alcol, singolarmente, producono un peggioramento della prestazione di guida e che il loro effetto combinato sembra causare un più importante peggioramento. La guida è un comportamento complesso e multifattoriale che richiede il possesso di numerose abilità, alcune delle quali si svolgono coscientemente ed altre attraverso processi automatici; nell’esecuzione di questo comportamento i processi cognitivi giocano un ruolo centrale (Weaver et al., 2009). Poche ricerche si sono occupate di valutare gli effetti combinati di questi due fattori sugli aspetti cognitivi sottostanti al comportamento di guida. Partendo da tale background, nel presente lavoro si è ritenuto potesse essere interessante approfondire questo aspetto. Ci si è posti quindi come primo obiettivo quello di valutare gli effetti, singoli e combinati, della deprivazione di sonno e del consumo di alcolici sull’attenzione e sui processi di inibizione, due variabili considerate di estrema importanza per esecuzione del comportamento di guida (Brown, 1994). In merito al concetto di attenzione, tra i tanti modelli che lo hanno teorizzato si è scelto di fare riferimento a quello di Posner (Posner e Raichle, 1994); in merito al concetto di inibizione si è scelto invece di fare riferimento al modello di Logan (Logan e Cowan,1984a). Oltre a questi aspetti oggettivi si è scelto di valutare l’effetto di questi fattori anche su alcuni aspetti soggettivi, in particolare sul vigore, sull’umore e sulla sonnolenza percepita. Oltre a ciò, tenendo in considerazione che alcuni studi presenti in letteratura (Horne et al., 1996) (Reyner et al., 2000) (De Valk et al., 2000) (Horne et al., 2001) (Reyner et al., 2002) (Biggs et al., 2007) (Gershon et al., 2009) (Mets et al., 2011) suggeriscono che gli energy drink, o la caffeina in essi contenuta, sembrano essere una buona contromisura per contrastare gli effetti della deprivazione di sonno sulla prestazione al simulatore di guida e su alcuni indici dell’attenzione, nel presente lavoro ci si è posti come secondo obiettivo quello di valutare se questa sostanza può essere una valida contromisura anche per contrastare gli effetti singoli e combinati di questi due fattori, sulla prestazione attentiva e sui processi di inibizione. Si è scelto di studiare questi aspetti cognitivi in determinate fasce orarie, considerate potenzialmente rappresentative di alcune situazioni reali. Nello specifico, si è scelto di studiare la prestazione cognitiva alle 5:00 del mattino, orario di chiusura delle discoteche invernali, e alle 9:00 del mattino, orario di chiusura delle discoteche estive. Inoltre si è scelto di valutare la performance cognitiva alle 12:30, orario dell’aperitivo precedente al pranzo, e alle 20:00, orario dell’aperitivo precedente alla cena. In estrema sintesi i risultati sembrano indicare un’influenza selettiva della deprivazione di sonno e del consumo di alcolici, sia singolarmente che in forma combinata, sulle componenti cognitive indagate. Le componenti di Alerting fasico e Orienting sembrano non risentire, o risentire minimamente, degli effetti di questi fattori. A differenza, sembrerebbe che lo stato di allerta e il controllo esecutivo siano le componenti cognitive maggiormente influenzate negativamente da questi fattori, sia singolarmente che in associazione. Un aspetto interessante, che merita di essere enfatizzato, è che l’associazione tra deprivazione di sonno, sia parziale che totale, ed un tasso alcolemico superiore a quello consentito dalla legge per poter guidare sembra avere un effetto, o in alcuni casi una tendenza, che porta a sovrastimare i livelli di vigore percepiti soggettivamente, facendoli percepire superiori a quelli realmente osservati. Considerata da questo punto di vista, l’associazione tra deprivazione di sonno e consumo di alcolici risulta essere ancora più preoccupante. Infatti sembrerebbe che, durante una nottata insonne, consumare alcolici fino a superare il limite legale consentito per poter guidare potrebbe essere alla base della scelta di mettersi comunque alla guida di un veicolo, pur non avendo uno stato psicofisico adatto per poterlo fare in sicurezza. Relativamente all’assunzione di caffeina quale contromisura per contrastare gli effetti della deprivazione di sonno e dell’alcol sul sistema cognitivo, sembrerebbe che una bassa quantità, circa pari a quella assunta con un caffè o altri alimenti comuni, non sia sufficiente per ripristinare né lo stato di allerta né tantomeno la velocità e l’accuratezza della risoluzione dei conflitti cognitivi. Sembrerebbe invece che 100 milligrammi di questa sostanza possano avere un effetto positivo che sembra migliorare la capacità di inibizione di una risposta dominante, quando compromessa dalla deprivazione totale di sonno o dalla deprivazione totale di sonno associata al consumo di alcolici. Tuttavia, risulta opportuno mantenere una certa prudenza nel trarre conclusioni e ricercare ulteriori conferme scientifiche.
XXV - Ciclo
1980
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21

Caporusso, Grazia. "Influenze fenomeniche nella mislocalizzazione della posizione iniziale di uno stimolo in movimento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8667.

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Abstract:
2011/2012
In questo lavoro di tesi si prenderà in esame un effetto legato alla percezione del movimento e conosciuto con il nome di Effetto Fröhlich in onore di colui che nel 1923 lo studiò per la prima volta in maniera sistematica. Percepire la posizione degli oggetti nell’ambiente è senza dubbio uno degli scopi più importanti del sistema visivo. Tuttavia, quando gli oggetti sono in movimento la localizzazione della loro posizione può risultare più difficoltosa e può essere caratterizzata da piccoli ma consistenti errori definiti mislocalizzazioni spazio-temporali. Tali errori possono coinvolgere sia la localizzazione della posizione iniziale dello stimolo in movimento (Onset) sia la posizione finale dello stesso (Offset). Nel 1930 uno studioso, Fröhlich, osserverò che se a degli osservatori si chiedeva di identificare la posizione iniziale di uno stimolo in movimento questi tendevano a identificarla non nella posizione reale, ma in una posizione spostata nella direzione del movimento. Tale errore di localizzazione fu definito Fröhlich effect. Tutte le interpretazioni prevedevano l’influenza di fattori fisiologici nella spiegazione del fenomeno. Tuttavia ciò che emerge dai risultati degli esperimenti presentati in questo lavoro è che anche fattori fenomenici possono avere una qualche influenza sulla grandezza dell’errore. L’effetto sembra essere influenzato dalle caratteristiche dell’oggetto in movimento e dalle caratteristiche del contesto all’interno del quale gli stimoli si spostano.
XXV - Ciclo
1984
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22

Rebulla, Elena. "Psychological reaction to life’s traumas: well-being and trauma among college nursing students." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10073.

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Abstract:
2012/2013
The present study examined the relationship between symptoms of post-traumatic stress, resilience, and growth in undergraduate students attending the University of South Florida, College of Nursing, in Tampa. Some trauma survivors will demonstrate negative reactions to trauma, some will not demonstrate any post-trauma symptoms, while some individuals will show positive reactions. This study investigated how, in a sample of nursing students, the psychological factors associated with adverse reactions, resiliency, and post-traumatic growth occur. The identification of these factors within a nursing population can be used to better understand these reactions as well as aid in training nurses to improve their role as health care providers. The relationships among three major areas of interest were investigated: negative reactions, resilience, and growth, using the following standardized scales and their subscales, as well as looking at moderators that may impact on these relationships. This study used on-line survey methodology. Surveys included Demographic information, Traumatic Event Questionnaire (TEQ), Post-Traumatic Growth Inventory (PTGI), Response to Stressful Experience Scale (RSES), PTSD Checklist-Civilian Version (PCL-C), Self-Compassion Scale (SCS), Multidimensional Scale of Perceived Social Support (MSPSS), and Center for Epidemiologic Studies Depression Scale (CES-D). The study population consisted of 115 undergraduate students. PCL-C total scores were significantly positively correlated with CES-D. Higher PCL-C scores were associated with higher CES-D scores. PCL-C scores were significantly negatively associated with other instrument scores such as PTGI and RSES. A hierarchical regression model was used to model the association of depression, self-compassion, growth, resilience, and social support on post-traumatic stress. The overall model significantly predicted PCL symptoms and explained a significant proportion of variance. Depression was the largest significant predictor of post-traumatic stress. Depression also explained a significant proportion of variance in post-traumatic stress. A hierarchical regression model was used to model the association of resilience, PCL-C, self-compassion, social support and depression on post-traumatic growth. The overall model significantly predicted post-traumatic growth and explained a significant proportion of variance. Resilience was the largest significant predictor of post-traumatic growth. Resilience also explained a significant proportion of variance in post-traumatic stress. A hierarchical regression model was used to model the association of post-traumatic growth, depression, PCL-C, self-compassion, and social support on resilience. The overall model significantly predicted resilience and explained a significant proportion of variance. Post-traumatic growth was the largest significant predictor of resilience. Post-traumatic growth also explained a significant proportion of variance in resilience. This study supports previous notions that psychological distress and growth can coexist and are indeed related. Helping trauma survivors develop self- compassion and acceptance may prove to be of great benefit in finding positive outcome from life’s traumas'. Findings may guide interventions with other populations who experience PTSD and other post trauma reactions.
XXVI Ciclo
1967
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23

Mattaloni, Elisa. "Self reference effect in handwriting." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8668.

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Abstract:
2011/2012
Chapter one introduces the notion of self reference and the role of handwriting in self referential processing. The self-reference effect reveals the capacity of people to encode information related to the self, independently by which level the self is implicated in the information (Rogers, 1977). The following chapters report experimental evidence that handwriting is a specific domain for the study of the self. Several experiments are described, based on discrimination and identification tasks. Chapter two reports the first experiment, a pilot study that evaluates a possible specificity of self-related processing in discrimination tasks involving handwriting. In this experiment I used an implicit task, under the hypothesis that the discrimination between two handwritings is simpler when one of them is the own handwriting, rather than when both are others’ handwritings. My results support this hypothesis and are in line with those by Chen et al. (2008), who found that the perception of own handwriting is special and related to the self, which implies that implicit self–related processing could be elicited by handwriting stimuli. Chapter three reports the second experiment, on children of 3rd and 5th grade (about 8 and 10 year old, respectively). The aim of this study was to investigate the self reference effect and how the sense of ownership developes in children. Furthermore, I considered the relation of friendship to control for the familiarity of handwriting. Participants were pairs of best friends. I hypothesized that in children the discrimination between own, best friend and other handwritings was different between the two groups of children. I found that 3rd grade children manifest only a familiarity effect because they were able to discriminate between self/friend and other but not between self and friend. This ability grows up in 5th grade children where I found a familiarity effect and self reference effect. This was in line with friendship (Rawlins, 1992) and handwriting (Ehri and McCormick, 2004) development. Chapter four reports the third experiment, conducted in collaboration with Professor Erik Chang of the Institute of Cognitive Neuroscience of the National Central University, Taiwan. It was focused on the recognition and identification of handwriting dynamic traces. In this study I tried to explain if the action related knowledge contributes to recognize one’s own past action (Knoblich and Flach, 2003). Participants responded to their own and other kinematic traces in a lexical decision task and an identification task included in a fMRI session. The lexical decision task revealed a significant effect of authorship and higher sensitivity for forward than backward traces. The fMRI experiment indicated that viewing traces elicited bilateral medial frontal, parietal, insula, ventral parietal activations and right superior frontal gyrus and temporal gyrus. These activations were in line with the literature. temporal gyrus and parietal lobule were implicated in central processes for writing Chinese characters (Lin et al., 2007). Activations in the left parietal lobule, the right superior temporal gyrus and left middle frontal gyrus were implicated in Chinese orthographic, phonological, and semantic processing. I found also activation in the visuospatial processing areas (SOG/SPL), visual pattern memory (MTG), and motor areas (MFG/SMG). These areas need to work synchronously for a relative long period, especially for unfamiliar character’s traces. My results are in line with biological motion perception, that involves activation in temporo-parietal-occipital junction (Peelen et al., 2006, Peuskens et al., 2005). In chapter five I described the fourth experiment, aimed at studying the effects of participant’s gender and grammatical gender of the word whose handwriting should be classified on the classification of writer’s gender. The only specific hypothesis was referred to the own sex bias, according to which participants’ responses in a yes/no task are biased towards the same-sex response. In other respects the study was exploratory, in the sense that no specific hypotheses were formulated in advance. Results showed two effects: the participant’s responses were biased by both the gender of word and the gender of handwriting, in agreement with Cellerino et al. (2004). Chapter six includes the general discussion of results obtained in the four experiments. Results confirmed that it is possible investigate self process with handwriting because it allows to explore different aspects of self. Handwriting points out self reference effects: self superiority in discrimination and identification, including also information about familiarity and authorship.
XXV - Ciclo
1985
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24

Rusciano, Aiace. "Sport neuropsychology and biofeeback interventions for optimizing performance in elite soccer players." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10074.

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Abstract:
2012/2013
Twenty professional soccer players (N=20) in the Italian soccer first league - Serie A - were randomly divided into 2 equal groups: Experimental group (Group 1) and Control group (Group 2). Both groups received the same physical and tactical conditioning as the weekly program. Ten players (experimental group) received integrative training based on a specific autonomic-biofeedback protocol to improve central and peripheral efficiency of the nervous system. Pre- and post- assessment were conducted with a psychophysiological assessment and a cognitive task (visual search task) to measure the improvements. This dissertation reviews evidence in support of the notion that heart rate variability are associated with individual differences in cognitive performance: heart rate variability might serve as a peripheral index of the integrity of central nervous system networks that support goal-directed behavior. It is examined evidence about the relationship between higher levels of resting heart rate variability and superior performance on cognitive tasks. By providing a common neural basis for these diverse functions, the neurovisceral integration model may serve as a unifying framework within which to examine associations among these various self-regulatory and adaptability processes. The results showed that is possible to improve through this evidence-based mental training approach based on the autonomic nervous system biofeedback central abilities as visual searching and stress control in professional soccer players.
XXVI Ciclo
1981
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25

Centazzo, Alessandro. "Strategie di riorientamento nei bambini: uno studio in stanze grandi e piccole e in ambienti virtuali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10069.

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Abstract:
2012/2013
La maggior parte delle specie animali è capace di recuperare l’orientamento dopo essere stata passivamente disorientata e lo fa utilizzando le informazioni provenienti dall’ambiente, informazioni che possono essere di tipo geometrico (come per esempio la forma di una superficie contornata da margini) o di tipo non-geometrico come per esempio punti di riferimento –landmark- o, in una stanza, il colore diverso di una parete. Nel nostro lavoro abbiamo indagato la capacità di riorientamento di bambini a partire dai 6 anni. Il compito consisteva nel trovare, dopo essere stati disorientati, un oggetto che i bambini avevano visto nascondere in prossimità di un angolo di una stanza rettangolare (in prossimità di ogni angolo era presente una struttura che fingeva da nascondiglio) nella quale una parete aveva un colore diverso dalle altre. Abbiamo cercato di capire come venissero utilizzate le informazioni geometriche e non-geometriche quando queste venivano messe in conflitto tra loro (affine transformation). Per fare ciò, il colore diverso della parete veniva cambiato (passando dal lato lungo a quello corto o viceversa) tra la fase di addestramento, nella quale il soggetto vedeva dove veniva nascosto l’oggetto da cercare, e la fase di ricerca, nella quale l’oggetto doveva essere ritrovato. La nostra ricerca si è articolata in più fasi. In un primo momento abbiamo pensato di riprodurre gli esperimenti presenti in letteratura e indicativi di un utilizzo più consistente delle informazioni geometriche negli ambienti piccoli rispetto a quelli grandi. A differenza da quanto riportato in letteratura non abbiamo trovato differenze tra la stanza grande e quella piccola: in entrambe i bambini prediligono le informazioni geometriche. Successivamente abbiamo impegnato i bambini nel medesimo compito ma in stanze con caratteristiche diverse. Abbiamo utilizzato stanze nelle quali il nascondiglio aveva dimensioni dimezzate rispetto alle stanze precedenti, oppure non era presente, e stanze nelle quali abbiamo diminuito il rapporto tra le lunghezze dei lati lungo e corto (stanze che abbiamo chiamato “quasi-quadrate”). Tra le diverse tipologie di stanza è stata calcolata un’analisi della varianza che ha messo in luce che la forma (e non la dimensione) della stanza e la presenza o assenza dei nascondigli sono le due variabili che condizionano maggiormente le scelte dei soggetti. In particolare, i bambini prediligono le informazioni geometriche quando non sono presenti i nascondigli e quando le stanze sono “quasi-quadrate”. Dai nostri dati emerge che i bambini sono in grado di utilizzare tutte le informazioni a disposizione. Il prediligere un tipo piuttosto che l’altro dipende dalle caratteristiche dell’ambiente e probabilmente dalla stima di quanto una determinata informazione è affidabile per recuperare l’orientamento. La teoria della combinazione adattativa è quella che sembra spiegare meglio i risultati che abbiamo trovato.
XXV - Ciclo
1972
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26

Stragà, Marta. "Il passato che crea il futuro: l'influenza dell'esperienza vissuta sulla formazione di previsioni e intenzioni." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10075.

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Abstract:
2012/2013
L'essere umano ha la capacità fondamentale di poter rivivere mentalmente esperienze passate attraverso il ricordo, pre-esperire esperienze future attraverso il pensiero episodico futuro o prefattuale e immaginare corsi alternativi a eventi già vissuti attraverso il pensiero controfattuale. Tali pensieri e simulazioni possono poi influenzare valutazioni, previsioni e decisioni future. Nella presente tesi sono state indagate due modalità con cui l'esperienza passata può influenzare l'esperienza futura. Da un lato, la parte principale della tesi indaga la simulazione mentale del passato, confrontandola con la simulazione mentale del futuro, indagandone come il contenuto possa essere influenzato dall'esperienza e a sua volta influenzare le previsioni successive. Dall'altro, è stato sviluppato un ulteriore filone di ricerca che indaga le basi mnestiche delle intenzioni future, cioè come il ricordo di un'esperienza edonica possa influenzare l'intenzione di intraprendere esperienze simili. Per quanto riguarda la prima parte, sono stati condotti quattro studi che si focalizzano sul contenuto, controllabile o incontrollabile, del pensiero controfattuale. Due esperimenti mostrano che, data una comune esperienza negativa, la simulazione mentale del futuro differisce dalla simulazione mentale del passato, nonostante la letteratura sul pensiero controfattuale supponga che siano in realtà simili, in quanto dovrebbero assolvere entrambi ad una funzione preparatoria (individuare prescrizioni comportamentali per eventuali situazioni future). Quando i partecipanti ottenevano un risultato negativo a un compito e immaginavano un passato o un futuro migliore, i loro pensieri controfattuali tendevano a focalizzarsi sugli elementi incontrollabili che hanno governato l’esperienza passata (es. “le cose mi sarebbero andate meglio se avessi avuto più tempo per completare il compito”). Al contrario, i pensieri prefattuali si focalizzavano maggiormente su elementi che la persona avrebbe potuto modificare in vista della prestazione successiva (es. “le cose mi andranno meglio se mi concentrerò di più”). Tale risultato suggerisce che il pensiero controfattuale, comparato al pensiero prefattuale, sia più libero dai vincoli posti dalla realtà e mette in qualche modo in discussione la funzione preparatoria con cui la letteratura ha in genere guardato a questo tipo di pensiero, visto che sono le modifiche controllabili che permetterebbero di individuare elementi utili per il miglioramento futuro. Il terzo studio mostra che il contenuto dei pensieri ipotetici, e del pensiero controfattuale in particolare, è influenzato dalla qualità reale e percepita della prestazione: coloro che avevano ottenuto una buona prestazione ma che l’avevano valutata negativamente tendevano a generare più pensieri controllabili. Inoltre, in seguito alla generazione di pensieri controllabili, i partecipanti ritenevano di avere maggiori probabilità di miglioramento rispetto a coloro che avevano generato pensieri incontrollabili e che avevano valutato la loro prestazione allo stesso modo. Infine, quando la valutazione della prestazione è stata manipolata, generavano più pensieri controllabili e si valutavano più negativamente coloro che erano stati indotti a percepire di non aver raggiunto l’obiettivo, rispetto a coloro che ritenevano di aver quasi raggiunto l’obiettivo. Il secondo filone di ricerca ha indagato l’influenza delle valutazioni retrospettive globali e delle valutazioni derivate dal recupero di dettagli episodici di un’esperienza edonica (la visione di un film) sulla formazione di intenzioni comportamentali relative a esperienze complessivamente o parzialmente simili. Il primo studio mostra che le valutazioni globali sono dei predittori migliori delle intenzioni relative ad esperienze simili (es. vedere il sequel del film). Quando però le intenzioni comportamentali riguardavano esperienze che non combaciavano con una valutazione globale dell'esperienza passata, perché si riferivano solo ad alcune sue parti (es. vedere un film con uno dei personaggi del film), le valutazioni derivate dal recupero di ricordi episodici venivano utilizzate e concorrevano a determinare le intenzioni, insieme alle valutazioni globali (secondo studio). Sembra dunque che sia più economico e cognitivamente efficiente basare le proprie intenzioni sul ricordo di valutazioni globali già predisposte quando queste sono sufficientemente rilevanti. Quando invece le valutazioni globali non combaciano perfettamente con le intenzioni specifiche, il recupero dei ricordi episodici relativi alle parti rilevanti per il giudizio colma tale mancanza e concorre a specificare le intenzioni comportamentali.
XXVI Ciclo
1985
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27

Cargnelutti, Elisa. "Children and mathematics: beyond the role of cognitive abilities in early math achievement." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10022.

Full text
Abstract:
2012/2013
The field of mathematical learning has received in recent years increasing attention in research, clinical and educational settings. The leading research line is dedicated to the investigation of the cognitive abilities fundamental for the acquisition and application of math concepts. Among general abilities, there is a wealth of evidence in favor of the recruitment of both working memory and short-term memory, despite there is no agreement concerning the involvement of the related subcomponents. Conflicting results pertain also the role of intelligence. Even major debate concerns more specific cognitive abilities, therefore those closely related to mathematics. In particular, it has not been elucidated the involvement of basic skills entailing approximate judgments about magnitudes and identified with ANS. Moreover, it is not yet clear how the recruitment of all these abilities can vary in dependence on stage of development and level of instruction. The other research line, almost independent from the previous, is dedicated to the evaluation of constructs non-cognitive in nature, for instance affective and motivational factors but also self-perceptions, in relation to academic achievement. Mainly studied are constructs such as self-efficacy and anxiety, with particular reference to a subtype of anxiety that is specific to math. Other relevant aspects are represented by constructs such as self-concept and self-esteem, but also depression. Nevertheless, this kind of studies is usually conducted on old children, typically in those attending secondary school or college, whereas less attention is dedicated to younger students. Starting from these considerations, the purpose of the current dissertation has been that of elucidating which are the factors, both cognitive and non-cognitive, that can assume a greater relevance at the beginning of schooling, i.e., in the first grades of primary school. These factors have been inspected both separately and by trying to find a possible interrelation between them. In CHAPTER 1, the topics that are object of the present work are illustrated by delineating the state-of-the-art pertinent to each of them. CHAPTER 2 is dedicated to the description of Study 1, where a broad range of cognitive abilities including memory, intelligence and ANS has been investigated just at the beginning of formal instruction and therefore in relation to early math competence. Having proved the significant involvement of all tested skills, the consequent aim was that of exploring to which extent the same are suitable in the prediction of math performance in following grades. This investigation has represented the topic of Study 2, illustrated in CHAPTER 3. In this study, children were longitudinally followed from first to third grade, observing that the tested abilities can successfully predict future math learning, but with a leading role of working memory. Once having shed light on the involvement of cognitive abilities, a second purpose was the investigation of the possible involvement in young students of non-cognitive factors. These constructs were thus assessed in Study 3, reported in CHAPTER 4. The sample was represented by second graders and more relevant aspects resulted to be self-efficacy and general anxiety. Contrary to expectations, anxiety specific to math appeared be non-significantly related to math performance. For this reason, Study 4, described in CHAPTER 5, was dedicated to an extensive evaluation of this constructs in third graders, in order to inspect when it could become relevant. Results suggested the association with math performance to establish in third grade, with particular impact of anxiety related to learning math rather than that associated to the math testing condition. The main findings emerging from overall studies and limitations, future directions and implications of the research are finally discussed in CHAPTER 6.
Negli ultimi anni, lo studio dell’apprendimento della matematica ha iniziato a ricevere crescente attenzione nel campo della ricerca, ma anche in quello clinico ed educativo. Maggiore interesse è dedicato allo studio delle abilità cognitive che sottostanno all’apprendimento e all’applicazione dei concetti matematici. Tra le abilità a carattere generale, in letteratura esiste un forte consenso sul ruolo cruciale della memoria, sia di lavoro che a breve termine, nonostante non sia del tutto chiarito il coinvolgimento relativo delle varie componenti della stessa. Dibattito sussiste anche in merito al ruolo dell’intelligenza. Ancora maggiori divergenze permangono in merito al ruolo di abilità più specifiche, ovvero strettamente pertinenti alla matematica. In particolare non c’è accordo sul ruolo di abilità molto di base, indicate come ANS, e che consistono nel fornire giudizi approssimati in merito a grandezze e quantità. In aggiunta, non è chiaro il coinvolgimento relativo delle sopraccitate abilità in relazione a determinati stadi dello sviluppo o livelli di istruzione. Il secondo filone di ricerca, perlopiù indipendente dal precedente, è rappresentato dalla valutazione di aspetti prettamente non-cognitivi, quali quelli affettivi e motivazionali, ma anche percezioni che gli individui formano in merito a se stessi e alle proprie capacità. I costrutti maggiormente indagati sono quelli dell’auto-efficacia e dell’ansia, sia generale che specifica per la matematica. Altri aspetti rilevanti sono rappresentati dal concetto di sé, dall’autostima e dalla depressione. Questi fattori sono tuttavia tipicamente valutati in studenti a partire dalla scuola secondaria, mentre minore attenzione viene dedicata a quelli frequentanti i primi anni del percorso scolastico. A partire da queste considerazioni, l’obiettivo primario del presente lavoro di tesi è consistito nella valutazione di quali fattori, sia cognitivi che non, hanno una maggiore rilevanza nell’ambito della prestazione matematica all’inizio della scolarità, più precisamente nelle prime classi della scuola primaria. Si è voluto valutare questi fattori sia indipendentemente, sia esplorandone la possibile influenza reciproca. Il CAPITOLO 1 è quindi dedicato alla discussione degli argomenti trattati in modo da fornire una panoramica sullo stato dell’arte attuale in merito alle ricerche condotte e ai relativi risultati. Il CAPITOLO 2 è centrato sulla descrizione dello Studio 1, in cui è stato testato un ampio spettro di abilità cognitive quali memoria, intelligenza e ANS, in bambini appena avviati all’istruzione formale e pertanto valutando il ruolo di queste abilità in relazione ad abilità matematiche precoci, prettamente informali. Verificato il coinvolgimento significativo di abilità tanto generali quanto specifiche all’inizio della scolarità, l’obiettivo conseguente è stato quello di verificare in che modo tali abilità siano in grado di predire l’apprendimento matematico negli anni successivi della scuola primaria. Questo obiettivo ha caratterizzato lo Studio 2, descritto nel CAPITOLO 3. Un campione di bambini è stato seguito longitudinalmente dalla classe prima alla classe terza, riscontrando che tutte le abilità indagate hanno un significativo impatto anche sull’apprendimento formale della matematica, ma con un ruolo primario assunto dalla memoria di lavoro. Una volta delineato il quadro delle abilità cognitive cruciali nei primi anni scuola, la volontà è stata quello di esplorare se anche costrutti non-cognitivi possano avere un impatto significativo. Lo Studio 3, illustrato nel CAPITOLO 4, si è quindi focalizzato anche sulla valutazione di questi aspetti in bambini di classe seconda, riscontrando un diretto coinvolgimento di auto-efficacia ed ansia generale. Contrariamente alle aspettative, l’ansia specifica per la matematica non è risultata avere alcun legame significativo con la prestazione matematica. A partire da questo risultato, l’obiettivo dello Studio 4, riportato nel CAPITOLO 5, è consistito nella valutazione più approfondita di questo costrutto in bambini di classe terza, in modo da esplorare quando lo stesso possa diventare rilevante ai fini della prestazione matematica. I risultati hanno dimostrato un ruolo significativo a questo livello, in particolare per quanto concerne l’ansia da apprendimento, piuttosto che di valutazione, della disciplina. Il CAPITOLO 6 è quindi dedicato alla discussione generale dell’elaborato in cui sono riassunti i principali risultati emersi e discusse le limitazioni, prospettive future ed implicazioni pratiche della ricerca.
XXVI Ciclo
1986
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28

Piccoli, Valentina. "A new look at dehumanization: The association between menstrual cycle changes and dehumanization of women." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11006.

Full text
Abstract:
2013/2014
Hormonal fluctuations across menstrual cycle affect women's sexuality, women's self- perception, women's self-presentation, women's mate preferences, and their attitudes towards other women. In particular, women in high-conception risk (i.e., the probability of pregnancy), compared to women in low-conception risk, are more willing to spend money for items that increase their appearance (e.g., Durante et al., 2011), more prone to dress skin- revealing clothes, and are judged to look more attractive by male and female raters (e.g., Haselton et al., 2007). Enhanced levels of conception risk are associated with competitive attitudes towards women on the attractiveness dimension (e.g., Fisher, 2004). These results likely reflect a self-promotion strategy that is rooted in intra-group comparisons along the dimensions of attractiveness. Research in social psychology shows that stressing the relevance of physical appearance and attractiveness of a target (e.g., Vaes et al., 2011) can lead to the dehumanization of this target (i.e., the denial of distinctively human features), and in particular of women. In the current thesis, I test the main hypothesis of a link between conception risk levels and the dehumanization of women. In Chapter 1, I present an overview of the physiology of the female menstrual cycle and I describe the possible methods to compute the likelihood of conception. In Chapter 2, I summarize research on behavioral and cognitive changes associated with menstrual cycle. Specifically, I address the question of whether high conception risk affects the importance women devote to their own and to other women's attractiveness. Moreover, I discuss research strands that analyze the importance women attribute to dominance-related cues in men. I discuss this evidence, according to evolutionary and social psychological perspectives. In Chapter 3, I summarize studies on the dehumanization, and I then outline whether and how focus on attractiveness and physical appearance lead to the dehumanization of women, but not of men. On the basis of this review of the literature, I will put forward the hypothesis that I will test in four studies. I demonstrate that the explicit and automatic dehumanization of other women increases as the conception risk is enhanced. Specifically, in Chapter 4, I show that the enhancement of conception risk, only in normally ovulating women, but not in hormonal-contraceptive users, is associated with the dehumanization of women, but neither of men (mating relevant target) nor of elderlies (mating irrelevant target). Moreover, I show that increased levels of conception risk led not only to the dehumanization of women but also to the enhancement of intra-sexual competition. In Chapter 5, I employ an unobtrusive technique of attitude assessment (i.e., semantic priming procedure) to replicate these effects. In Chapter 6, I replicated previous results (Chapter 4 and 5) and, by salivary assessment of estrogen and progesterone, I further explore the role of sex hormones in the relationship between menstrual cycle stages and the dehumanization of women.
Le fluttuazioni ormonali durante il ciclo mestruale influenzano la sessualità delle donne, la loro percezione di sé, la loro auto-presentazione e il loro atteggiamento verso le altre donne lungo le dimensioni che riguardano la bellezza e l'aspetto fisico. Le donne, durante il periodo di alta fertilità del ciclo menstruale rispetto al periodo di bassa fertilità, sono più disposte a spendere soldi per elementi che migliorano il loro aspetto fisico (Durante et al., 2011), sono più inclini a utilizzare abiti più succinti (Durante et al., 2008), e giudicano come meno attraenti le altre donne (Fisher, 2004). In altre parole, queste ricerche riflettono una strategia di auto-promozione, che affonda le sue radici in un confronto intra-gruppo lungo le dimensioni di attrattività e apparenza fisica, che a loro volta costituiscono un proxy della deumanizzazione ossia, la negazione di caratteristiche tipicamente umane. Ricerche in psicologia sociale hanno dimostrato che il focus sull'aspetto fisico, sull'attrattività e sulla sessualità di un individuo (es. Vaes et al., 2011) può portare alla deumanizzazione di questo individuo, e in particolare delle donne. In questo lavoro di tesi, testo la relazione tra il ciclo mestruale e la deumanizazzione delle donne. Nel capitolo 1, presento una panoramica della fisiologia del ciclo mestruale femminile e descrivo i possibili metodi per calcolare la probabilità di concepimento. Nel capitolo 2, riassumo le ricerche sui cambiamenti comportamentali e cognitivi associati al ciclo mestruale. Nel capitolo 3, riassumo gli studi sulla deumanizzazione inter-gruppo e gli studi che hanno verificato la relazione tra aspetto fisico delle donne (ma non degli uomini) e la deumanizzazione. Sulla base di questa revisione della letteratura, attraverso quattro studi, verifico la relazione tra deumanizzazione e il ciclo mestruale e dimostro che la deumanizzazione, sia a a livello esplicito che implicito, delle altre donne aumenta a livelli più alti di rischio di concepimento. In particolare, nel capitolo 4, confronto un gruppo di donne che non usa contraccettivi ormonali con un gruppo che utilizza contracettivi ormonali e dimostro come la deumanizzazione delle altre donne ma non degli uomini aumenta a più alti livelli di rischio di concepimento e solo per donne che non utilizzano contraccettivi ormonali. Inoltre, dimostro che a più alti livelli di rischio di concepimento corrispondono più alti di competizione intrasessuale. Nel capitolo 5, utilizzando una procedura di priming semantico, replico gli effetti precendenti e dimostro che la deumanizzazione delle donne ma non degli uomini ad alto rischio di concepimento avviene anche in maniera implicita. Nel capitolo 6, replico i risultati precedenti (Capitolo 4 e 5) e, misuro i livelli salivari di estrogeno e progesterone, e verifico la relazione tra gli ormoni, le fasi del ciclo mestruale e la deumanizzazione delle donne.
XXVII Ciclo
1984
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29

Forzini, Fabio. "Validating the Italian Public Service Motivation Questionnaire." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11007.

Full text
Abstract:
2013/2014
Public Service Motivation (PSM) is a theorized attribute of public employees that provides them with the desire to serve the public interest. Although PSM definition varies among studies, its fundamental principle is that individuals are oriented to act in the public sector for the purpose of doing good for others and society. The PSM theory, thus, provides a useful basis for understanding the public employees motivation. However, the various studies have not always used the same PSM measurement instrument due to the construct complexity and differences among cultures. The purpose of the present study was to arrange a PSM questionnaire for the Italian public context. Eighty-one PSM items were collected from various questionnaire appeared in literature and submitted to a translation-back translation procedure. A pilot study grounded in a sample composed by 216 public employees verified the discriminating power of items and assessed their understandability. As a consequence, the number of items was reduced to 62. After randomization, the items were administered to a sample of 780 public employees and, through a series of factor analyses, a four-dimensions PSM model was obtained. The final outcome of this study is the Italian PSM Questionnaire, which is the first PSM questionnaire based on an Italian normative sample. The questionnaire includes a method to check the reliability of the answers of respondents as well. Factor score analyses of normative sample are illustrated. The questionnaire can be used for open recruitment procedures, as well as management, and development of public employees.
La Public Service Motivation (PSM) è un costrutto relativo ai dipendenti pubblici che riconosce il loro desiderio di servire l'interesse pubblico. Sebbene la definizione di PSM vari tra i vari studi presenti in letteratura, il suo principio fondamentale è che gli individui sarebbero orientati ad agire nel settore pubblico al fine di fare del bene per gli altri e per la società. La teoria PSM, quindi, fornisce una base utile per comprendere la motivazione dei dipendenti pubblici. Tuttavia, a causa della complessità del costrutto e delle differenze tra le culture, i vari studi non sempre hanno usato lo stesso strumento per misurare la PSM. Lo scopo di questo lavoro è pertanto quello di organizzare un questionario di misura della PSM per il contesto pubblico italiano. Ottantuno item relativi alla PSM sono stati raccolti da vari questionari apparsi in letteratura e sono stati sottoposti ad una procedura di Translation-Back translation. Uno studio pilota basato su un campione composto da 216 dipendenti pubblici ha verificato il potere discriminante degli item e valutato la loro comprensibilità. Di conseguenza, il numero degli item è stato ridotto a 62. Dopo essere stati sottoposti a randomizzazione, gli item sono stati somministrati ad un campione di 780 dipendenti pubblici e, attraverso una serie di analisi fattoriali, è stato ottenuto un modello a quattro dimensioni. Il risultato finale di questo studio è l’ Italian PSM Questionnaire, che è il primo questionario per la misura della PSM basato su un campione normativo italiano. L’Italian PSM Questionnaire prevede anche un metodo per verificare l'affidabilità delle risposte degli intervistati. La presente ricerca include l’analisi dei punteggi fattoriali del campione normativo. In conclusione, il questionario potrebbe essere utilizzato per le procedure di selezione, di gestione e di sviluppo dei dipendenti pubblici.
XXVII Ciclo
1976
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30

Chiarelli, Valentina. "L'elaborazione mentale delle frazioni: studi comportamentali e neuropsicologici." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8676.

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Abstract:
2011/2012
Espressioni come “Sono le 4 e ¾.” oppure “Vorrei metà del tuo panino”, che presuppongono una certa conoscenza delle frazioni, vengono utilizzate quotidianamente. Le frazioni sono usate per esprimere percentuali, proporzioni o delle misure anche molto comuni, come quelle dell’orologio, oppure possono aiutare a definire una relazione esistente tra un tutto e le sue parti. Un fallimento nella comprensione delle frazioni può determinare rilevanti difficoltà non soltanto nel mondo scolastico e professionale, ma anche nella vita di relazione con le altre persone. La presente tesi si propone di esplorare come le frazioni numeriche vengano elaborate da persone adulte senza e con deficit cognitivi. Il primo capitolo sperimentale (cap. 2) affronta la questione relativa alla possibile diversa modalità di elaborazione delle frazioni tra i due emisferi cerebrali utilizzando dei compiti di priming di comparazione numerica lateralizzati. Inoltre, attraverso l’uso di diversi standard di comparazione (½ e 1) si è voluto investigare se il contesto numerico e il tipo di compito possano influenzare la modalità di elaborazione. Nella seconda parte (cap. 3) utilizzando dei compiti di Stroop numerico e di Stroop fisico si è indagata l’elaborazione automatica e quella intenzionale delle frazioni, aspetti ancora poco considerati dalla letteratura sull’argomento. Nelle successive sezioni (cap. 4 e 5) viene esplorata la capacità di elaborare frazioni da parte di persone con lesioni e/o disfunzioni del sistema nervoso centrale (SNC) e con conseguenti deficit cognitivi. Infatti, fino ad ora nessuno studio si è occupato di valutare se le persone che hanno disturbi neuropsicologici siano in grado di elaborare questa tipologia di numeri e se esistano delle differenze rispetto a persone pari età e scolarità. In particolare, nel cap. 4 viene analizzata la prestazione di un paziente affetto da atrofia corticale posteriore, forma piuttosto rara di deterioramento cognitivo, che però presenta acalculia molto frequentemente come uno dei sintomi d’esordio. Nel cap. 5 è stata invece studiata la prestazione di un gruppo di pazienti con malattia di Parkinson senza demenza. Studi precedenti hanno rilevato che questa tipologia di pazienti presenta delle difficoltà nell’esecuzione di calcoli aritmetici e quindi, si è voluto vedere se fosse possibile generalizzare queste osservazioni anche alle frazioni. La parte conclusiva cerca, infine, di fare un quadro complessivo dei risultati ottenuti, evidenziando come ci siano delle differenze importanti tra l’elaborazione dei numeri naturali e quella dei numeri frazionari.
XXV - Ciclo
1982
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31

Prpic, Valter. "SNARC-like effects for visual and auditory musical stimuli: the relation between space and different music parameters." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10072.

Full text
Abstract:
2012/2013
This thesis aimed to investigate the spatial association for different music parameters through four experimental studies, showing consistent SNARC-like effects for note height, note value/duration, music tempo and pitch height. Visually presented notes on the stave showed relatively low/high notes to be associated to left/right response key-presses in musicians with formal education, while no signs of such an association were found in amateur musicians. A further experiment revealed that the direction of the association is constant among musicians and is not influenced by the disposition of notes on the keyboard of specific instruments (i.e., piano and flute). Note value/duration showed to be spatially coded when duration magnitude was processed directly, while no such evidence was revealed in the order-irrelevant task. The direction of the association surprisingly revealed a reversed pattern from the expected one, namely large duration values were coupled with left key-presses, while the opposite was true for small duration values. This evidence seems to support the predominance of over-learned ordinal sequences as opposed to stimuli's magnitude, in the spatial association effects. Auditory presented beat sequences showed to be spatially coded even in non musicians. Indeed, participants revealed a left/right key-press advantage for relatively slow/fast music tempo when tempo processing was mandatory, while no evidence of a spatial association appeared in the order-irrelevant task (i.e., timbre judgment). Evidence of a spatial association in non musicians suggests that experience with tempo is widespread among the population and its influence overcomes the music domain. The spatial association for pitch height was assessed through an alternative response coding to close and far key-presses, instead of the classically used left-right key-presses. Results showed a relative advantage for close responses to middle-range pitches with piano timbre, suggesting a linear representation for piano tones. However, further investigations are needed to certainly discriminate predictions based on different theoretical accounts. Overall, this thesis provides a complete review of the spatial association for musical stimuli, showing that various parameters of music share many features in common with numbers, ordinal sequences and other magnitudes. Furthermore, music showed to be an interesting domain for investigating more general properties that require interactions among time, space and quantity.
Questa tesi si pone l'obiettivo di studiare l'associazione spaziale per diversi parametri musicali attraverso quattro studi sperimentali, dimostrando consistenti evidenze di effetti simil-SNARC per l'altezza delle note, il valore/durata delle note, il tempo musicale e l'altezza tonale. Le note, presentate visivamente sul pentagramma, hanno indicato un vantaggio nella risposta con il tasto sinistro/destro per le note gravi/acute in musicisti che hanno svolto studi formali, mentre non ci sono state evidenze di quest'associazione nei musicisti amatoriali. Un esperimento successivo ha rivelato che la direzione dell'associazione è costante tra i musicisti e non è, dunque, influenzata dalla disposizione delle note in strumenti specifici (nel nostro caso, pianoforte e flauto traverso). Il valore/durata delle note ha dimostrato di essere codificato spazialmente quando veniva richiesto un processamento di tipo esplicito, mentre non ci sono evidenze in proposito nel compito indiretto. Sorprendentemente, la direzione dell'associazione ha mostrato un andamento inverso rispetto a quello atteso, ovvero valori di durata maggiore erano associati a risposte con il tasto sinistro, mentre l'opposto avveniva per valori di durata minore. Quindi, negli effetti di associazione spaziale, ciò sembra supportare la preponderanza della direzione di apprendimento nelle sequenze ordinali rispetto al valore intrinseco della magnitudo degli stimoli. Anche le sequenze acustiche di battiti hanno dimostrato di essere codificate spazialmente, perfino in soggetti non musicisti. Infatti, i partecipanti hanno evidenziato un vantaggio nella risposta con il tasto sinistro/destro per tempi musicali lenti/veloci quando veniva loro chiesto di elaborare esplicitamente il tempo musicale, mentre non sono state trovate tracce di un'associazione spaziale nel compito indiretto (giudizio sul timbro). L'esistenza di un'associazione spaziale nei non musicisti suggerisce che l'esperienza con il tempo sia largamente diffusa nella popolazione e che la sua influenza prevarichi il puro dominio musicale. L'associazione spaziale per i toni musicali è stata investigata con una codifica alternativa dei tasti di risposta, ovvero "vicino" e "lontano" rispetto alla classica codifica "sinistra/destra". I risultati mostrano un vantaggio per le risposte eseguite con il tasto "vicino" per i toni intermedi con timbro di pianoforte, indicando una possibile rappresentazione lineare, piuttosto che dicotomica, per i toni del pianoforte. Ciononostante, ulteriori indagini sono necessarie per discriminare con maggiore certezza le previsioni derivanti dalle diverse teorie esistenti in quest'ambito. Concludendo, questa tesi fornisce una complessa panoramica sul fenomeno dell'associazione spaziale degli stimoli musicali, dimostrando come diversi parametri musicali presentino caratteristiche comuni con i numeri, le sequenza ordinali ed altre tipologie di magnitudo. Inoltre, il dominio della musica ha confermato di essere un proficuo campo di ricerca per investigare le proprietà generali degli stimoli che richiedono l'interazione tra tempo, spazio e quantità.
XXVI Ciclo
1985
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32

Costa, Hiwet Mariam. "Precursors of mathematics learning: identification and intervention." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11005.

Full text
Abstract:
2013/2014
The studies presented in this thesis contribute to the growing body of knowledge regarding the relationships between domain general precursors, domain specific precursors and mathematical learning. Given the previous inconsistent results about the link between ANS acuity and mathematical abilities (i.e. Kolkman et al., 2013) we were interested in the investigation of the relation between the ANS and early mathematics abilities in preschool years. This relationship was explored by using two different approaches: in Chapter 2 the relationship between ANS and different mathematical measures, measured concurrently, were investigated; Chapter 3 examined the possibility to improve the ANS abilities in preschool children by using intensive adaptive training over a relatively short period. Moreover, the transfer effects of the training on mathematical abilities were also examined. The second aim of this dissertation concerned the potential role played by STM and WM skills in supporting domain-specific precursors of mathematics. The few studies that considered the role of WM in simple quantity comparison abilities did not provide a strong basis for any firm conclusions on such a relationship (Mussolin, Nys, Leybaert, & Content, 2012; Soltész, Szűcs, & Szűcs, 2010) since they didn’t assess all of the WM components. Chapter 2 focuses on uncovering which specific WM component is involved in non-symbolic approximate quantity comparison processing in the preschool age. Moreover, in ordered to further explore the relationship between WM abilities and ANS, Chapter 3 investigated whether training focusing on the improvement of ANS abilities produced a far-transfer effect on WM abilities. Several studies found that WM abilities are related to overall mathematical skills (Gersten et al., 2005; Jordan et al., 2006; Passolunghi & Lanfranchi, 2012), therefore Chapter 4 investigated a possible causal relationship between domain-general working memory abilities and domain-specific numerical competence through a training study during the preschool years. The third aim of this dissertation was to explore the malleability of cognitive precursors of mathematical learning. In Chapter 3, the possibility to improve ANS abilities was investigated, whereas Chapter 4 aimed to verify and compare the effects on early numerical competence of two types of training. One type of training focused on the enhancement of domain-general precursors, working memory abilities; while the other focused on the enhancement of domain-specific precursors, early numeracy abilities. In the field of intellectual disabilities, some studies suggested that WM skills of children with neurodevelopmental disorders (like Down’s syndrome) tend to be impaired and very poor compared to typically developing children of a similar mental age (Gathercole & Alloway, 2006). In Chapter 5, the efficacy of a school-based visuo-spatial WM training on STM and WM skills for two individuals with DS was examined. The main findings emerging from overall studies and limitations, future directions and implications of the research are finally discussed in Chapter 6.
Gli studi presentati in questa tesi forniscono nuovi risultati riguardo la relazione tra precursori dominio-generali e precursori dominio-specifici dell’apprendimento matematico. Le ricerche che si sono occupate di indagare la relazione tra Approximate Numer System (ANS) e abilità matematiche finora hanno prodotto risultati contrastanti (Kolkman et al., 2013). Ci siamo quindi interessati ad approfondire lo studio della relazione tra ANS e matematica in età prescolare utilizzando due diversi approcci. Nel capitolo 2 è stato indagata la relazione tra ANS e diverse abilità matematiche, misurati contemporaneamente. Nel Capitolo 3 è stata indagata la possibilità di potenziare le abilità di ANS in bambini in età prescolare, utilizzando un training intensivo per un periodo relativamente breve. Inoltre, sono stati esaminati gli effetti del training di ANS sulle abilità matematiche. Il secondo obiettivo di questa tesi è stato quello di indagare il ruolo svolto della memoria a breve termine e della memoria di lavoro nello sviluppo dei precursori dominio-specifici dell’apprendimento matematico. I pochi studi che hanno considerato la relazione tra abilità di memoria e abilità di confronto di quantità non sono giunti a conclusioni certe su tale relazione in quanto non hanno analizzato in maniera completa il ruolo svolto da ogni componente della memoria di lavoro (Mussolin, Nys, Leybaert, & Content, 2012; Soltész, Szűcs, & Szűcs, 2010). Con lo studio descritto nel Capitolo 2 abbiamo voluto indagare quale specifica componete della memoria di lavoro sia coinvolta nel processo di comparazione di quantità in età prescolare. Inoltre, per analizzare ulteriormente tale relazione nel Capitolo 3 abbiamo indagato l’effetto, sulle abilita di memoria di lavoro, di un training focalizzato sul potenziamento delle abilità di ANS. Dato che diversi studi confermano la relazione tra memoria di lavoro e abilità matematiche (Gersten et al., 2005; Jordan et al., 2006; Passolunghi & Lanfranchi, 2012), nel capitolo 4 abbiamo esaminato la possibile relazione causale tra le capacità dominio-generali di memoria di lavoro e precursori dominio-specifici (abilità matematiche precoci) tramite uno studio di training in età prescolare. Il terzo obiettivo di questa tesi è stato quello di esplorale la malleabilità dei precursori cognitivi dell’apprendimento matematico. Nel Capitolo 3 è stata indagata la possibilità di potenziare le abilità di ANS mentre nel capitolo 4 abbiamo voluto verificare l’efficacia di due diversi tipi di training sul potenziamento della abilità matematiche in età prescolare. Il primo training era focalizzato sul potenziamento della memoria di lavoro (precursore dominio-generale) mentre il secondo training era focalizzato sul potenziamento delle abilità matematiche precordi (precursore dominio-specifico). Gli studi nel campo delle disabilità intellettive, suggeriscono che le competenze di memoria di lavoro di bambini con disturbi dello sviluppo neurologico (come la sindrome di Down) tendono ad essere compromesse e molto scarsa in confronto alle abilità di memoria di bambini con sviluppo tipico ma stessa età mentale (Gathercole e Alloway, 2006). Nel capitolo 5, è stata indagata l'efficacia di un training di memoria di lavoro visuo-spaziale sulle abilità di memoria a breve termine e di memoria di lavoro di due persone con sindrome di Down. I principali risultati della tesi, le direzioni future e le implicazioni delle ricerche sono state discusse nel Capitolo 6.
XXVII Ciclo
1987
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