Dissertations / Theses on the topic 'SCIENZE BIOMOLECOLARI'

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BENINCASA, MONICA. "ATTIVITA' ANTIBATTERICA E ANTIFUNGINA DI PEPTIDI ANTIMICROBICI E LORO INIBIZIONE DA ESOPOLISACCARIDI DI PATOGENI POLMONARI." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2003. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12629.

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2

MARSICH, ELEONORA. "CARATTERIZZAZIONE DI PROTEINE NUCLEARI INTERAGENTI CON IL DNA RIPETITIVO TELOMERICO DEI VERTEBRATI." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2000. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12644.

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3

VETERE, AMEDEO. "LE TRANSGLICOSILAZIONI COME NUOVO APPROCCIO BIOTECNOLOGICO PER LA SINTESI DI OLIGOSACCARIDI BIOLOGICAMENTE ATTIVI." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 1997. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12956.

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4

TRAMER, FEDERICA. "LA FOSFOLIPIDE IDROPEROSSIDO GLUTATIONE PEROSSIDASI -PHGPX- E ALTRI MECCANISMI ANTIOSSIDATIVI NELL'APPARATO RIPRODUTTORE MASCHILE DEL RATTO." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2000. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12643.

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RUSTIGHI, ALESSANDRA. "I FATTORI ARCHITETTURALI HMGI, HMGY E HMGI-C; STUDIO DELLA L ORO ASSOCIAZIONE CON IL DNA E DELLA REGOLAZIONE DELLA LORO ESPRESSIONE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2000. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12459.

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6

BANDIERA, ANTONELLA. "PROTEINE ASSOCIATE COL DNA: STRUTTURA E FUNZIONE CON RIFERIMENTO ALL'ATTIVAZIONE/REPRESSIONE DELL'ESPRESSIONE GENICA IN SISTEMI NORMALI E NEOPLASTICI." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 1994. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12809.

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7

ROMANELLO, MILENA. "CARATTERIZZAZIONE BIOCHIMICA DELLE FASI ORGANICA E MINERALE DEL TESSUTO OSSEO NEL RATTO." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 1996. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12832.

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8

STORICI, PAOLA. "LE CATELICIDINE, UNA NUOVA FAMIGLIA DI PRECURSORI DI PEPTIDI ANTIMICROBICI DEI NEUTROFILI. CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E STRUTTURALE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 1996. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12831.

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9

GODEAS, CRISTIANA. "STUDIO DELLA LOCALIZZAZIONE E DEL RUOLO DELLA PHGPX (PHOS- PHOLIPID HYDROPEROXIDE GLUTATHIONE PEROXIDASE) NEL TESTICOLO E NEGLI SPERMATOZOI DI EPIDIDIMO DI RATTO ADULTO." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 1997. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12889.

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CESARATTO, LAURA. "STUDIO DEI MECCANISMI MOLECOLARI NELLA RISPOSTA CELLULARE ALLO STRESS OSSIDATIVO NELL'EPATOCITA ATTRAVERSO APPROCCI DI PROTEOMICA." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2006. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12356.

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11

SEMERARO, SABRINA. "APPROCCI DI PROTEOMICA E GLICOMICA NELL'EPATOCITA NORMALE E PATOLOGICO." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2006. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/13218.

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Abstract:
2004/2005
In questo lavoro si è cercato di fornire gli strumenti per l'analisi del proteoma della membrana plasmatica con particolare interesse nei confronti delle glicoproteine e delle eventuali modificazioni della loro componente oligosaccaridica, nell'ambito deii'HCC, con lo scopo di individuare nuovi marker glicoproteici da utilizzare in diagnostica e terapia. La componente oligosaccaridica delle glicoproteine di membrana viene coinvolta e continuamente rimaneggiata in diversi processi biologici, che vanno dalla regolazione del sistema immunitario alla comunicazione cellulare, dallo sviluppo embrionale alla capacità patogenetica degli agenti infettivi, dal ripiegamento della catena lineare dei polipeptidi fino allo sviluppo dei tumori e di altre importanti patologie[1J. La limitata disponibilità di dati sperimentali di riferimento per quanto riguarda un approccio di proteomica della membrana plasmatica, ha reso ardua l'interpretazione di molti dei risultati ottenuti riportati in questo lavoro di Tesi. In via preliminare si è reso necessario mettere a punto la maggior parte dei protocolli sperimentali atti ad ottenere il maggior grado di informazioni possibile in merito all'espressione differenziale delle glicoproteine di membrana. Questa fase propedeutica ma indispensabile ha impegnato gran parte del tempo richiesto per lo sviluppo di questo progetto di ricerca. L'approccio sperimentale ha previsto l'utilizzo di due modelli di linea epatocitaria. La linea CHANG, derivante da tessuto di fegato normale, mostra una notevole somiglianza con le cellule normali di fegato ed è citata spesso in letteratura come modello di epatocita in condizione fisiologica[2J. Le cellule HepG2 sono una linea cellulare stabilizzata in coltura derivata da cellule di un epatocarcinoma umano. In primo luogo è stato necessario mettere a punto un metodo di estrazione, confrontando e modificando alcune delle metodofogie già esistenti, al fine di sviluppare una strategia che permettesse di ottenere i risultati migliori in termini di purezza e arricchimento del campione proteico4 Più precisamente, tra queUe disponibili, due sono state messe a confronto e svituppate a seconda detre nostre esigenze . Analizzando i campioni di proteine estratte secondo la strategia differenziate proposta da MoUoyf31 dopo separazione etettroforeticai si è osservato un potenziale arricchimento in proteine dl membrana,. ma la contaminazione da parte della componente dtopfasmatica o proveniente dalle membrane degli organe Ui è. risultata essere ancora troppo a.fta .. Al metodo appena lndicato si è prefertto· queflo che prevede fa marcatura con un derivato della biotina e Ja successiva purificazione su colonna funzionalizzata con avidina[4l: si .è dimostrato, infatti, che attraverso questo metodo estrattivo si possono ottenere proteine che presentano un peso molecolare elevato e che per la maggior parte appartengono alla classe deHe glicoproteine, essendoci una buona corrispondenza tra n profiJo proteico rivelato in colorazione argentica e quello rivelato con un metodo di colorazione specifico per le glicoproteine (ProQ Emerald 300). Inoltre, tramite analisi di immunocitochimica, in fase pre-estrattiva, e di western blot si è verificato che tutte le proteine estratte sono biotinilate; infine, dai gel bidimensionali ottenuti sono evidenziabili le caratteristiche tipiche delle glicoproteine, che si presentano come trenini di spot costituiti delle diverse glicoforme esistenti, differenti tra loro sia per pi che per massa relativa. l'osservazione di questi risultati ci ha fatto ragionevolmente supporre che il metodo di estrazione e purificazione prescelto portasse, effettivamente, ad un arricchimento in proteine di membrana. Successivamente l'analisi comparativa eseguita sulle mappe prote;che relative alta linea· cellulare· CHANG ed HepG2 ha messo in luce numerose differenze, dì tipo proteìco, esistenti a livello della membrana cellulare, ma ha evidenziato anche aJcune somigJianze degne di nota. s; è sceJto dì cominciare l'identificazione delle proteine da quelle che risultavano comuni ad entrambe le linee cellulari e che, ad una prima osservazione dei gel, si presentavano come treni di spot associabili a diverse glicoforme di una glicoproteina. Le analisi di spettrometria di massa hanno fornito risultati interessanti·; anche se inaspettati.. Di particolare importanza è il ritrovamento di segnali attribuibili a proteine con funzioni di Chaperoninei4J .. Tra queste sono state identificate, costantemente:: GR.P78/Bip, HSP60, MTHSP75, HSP90, gp96/GRP94 per entrambe le linee cellulari., mentre POI è stata identificata nelle HepG2. Ed è stata proprio " l' inusualità " di .questo dato che ci ha stimolato a proseguire su una nuova linea interpretativa e a verificare fa possibilità che effettivamente queste proteine fossero presenti su una membrana plasmatica dei modelli cellulari studiati1 da un lato per vatidare le metodologie sviluppate, dall'altro per sfruttare il potenziale informativo fornito da un dato che, seppure anomalo, rimane comunque estremamente interessante. La particolarità di questo risultato risiede nella "anomala" localizzazione topografica di questa dasse di proteine che, normalmente, hanno una tipica.. ma non esclusiva.. localizzazione citoplasmatica o collocazione a livello di reticolo endoplasmatico. Per molte di queste chaperonine si è cercato di dare un interpretazione all'inconsueta localizzazione. In questo lavoro sono state analizzate in maniera più dettagllatate proteine che, tra quelle identificate, presentavano aspetti interessanti sia da.t punto di v.ista funzionale (HSP90 e GRP78) che glicobiologico (gp96). Caratteristica di· tutte- le- proteine- con localizzazione· a llveflo· def- RE, come- GRP94 e GRP78, è la presenza, nella porzione C-terminale, di una particolare sequenza amminoacidica KDEL {lys-Asp-Giu-Leu) che ne garantirebbe la· permanenza a- livello- del· REr51.. Nonostante questa peculiarità, esistono diversi riscontri sperimentali che dimostrano la localizzazione dì GRP78 e gp96 anche a livello della membrana plasmatìca dove sì. assocerebbero con altre proteine in alcuni casi non ancora identificate, per formare complessi di diverse dimensioni.. I meccanismi molecolari chiamati in causa per spiegare la "fuga" di proteine KDEL dal RE alla superficie della membrana plasmatica sono diversi. Ad esempio alcuni dati sembrerebbero attribuire questo evento ad una saturazione dei recettori per KDEL con conseguente perdita di alcune proteine che sarebbero in grado di migrare verso la membrana plasmatica. In altri casi il difetto nel sistema di ritenzione potrebbe essere dovuto alla presenza di .forme tronche delle proteine o difettive del dominio di riconoscimento. Un'altra ipotesi prevede che l'associazione delle proteine KDEL con proteine che sono destinate ad essere esportate verso la membrana plasmatica possa bloccare stericamente H dominio KDEL, impedendone l'interazione con il· rispettivo recettore e comportando la comigrazione verso la membrana plasmatica. Queste ossetvazioni, per quanto interessanti, rappresentano comunque solo interpretazioni finalistiche di un comportamento- che, alla fuce dei risultati riportati in questo favoro e di· quelli in letteratura, potrebbe essere molto più importante e di maggior significato biologico: non è un caso che tutti i dati più significativi e, al momento,. più. c.ompJeti. riguardano forme ceJJuJari associate a. trasformazioni neoplastiche .. Su HSP90, in letteratura, sono state fatte le considerazioni più interessanti. Dati recenti attestano la sua localizzazione sulla superficie cellulare in particolare sulla -membrana -dei -neuroni nelle fasi .precoci delt.o sviluppo de.l sistema nervoso: si ipotizza che questa chaperonina sia coinvolta nella migrazione cellulare[6J. Inoltre, è stato proposto che, sulla superficie cellulare, .HSP90 svolgesse un .ruolo attivo, in questo caso ln senso migratorio, partecipando a qualche meccanismo che· porta la cellula a· staccarsi dalla matrice extracellulare e dalle cellule vicine. Questo dipenderebbe dalla stretta relazione che esiste tra HSP90 e MMP2, enzima. coinvolto nel rimodellamento-della-matrice extracellulare[7l. Dal punto dì vista dì un approccio glicomico alla trasformazione neoplastìca e facendo salvo il concetto ormai accettato e dimostrato della stretta associazione tra. Ja trasformazione neo.pJastica e la: modificazione dei. pattem di glicosilazione appare piuttosto interessante l'osservazione secondo la quale alcune di queste proteine vengano attivate ad alti livelli in presenza di inibitori della glicosilazione. Le alterazioni della glicosilazione potrebbero essere, entro certi limiti, assimilate agli effetti prodotti dal trattamento con inibitori della glicosilazione. Non bisogna dimenticare, inoltre, che questi chaperone molecolari sono deputati al controllo e alla successiva eliminazione di proteine non correttamente ripiegate e/o glicosilate: una loro alterata funzionalità potrebbe risolversi in una mancata eliminazione o sequestramento detta proteina non funzionale con conseguente trasporto della stessa al compartimento di competenza. La presenza, quindi, di proteine non correttamente gticosilate sulla membrana plasmatica potrebbe essere· dovuta a meccanismi di· eliminazione alterati a livello del RE- e del· Golgi. Certamente questa è semplice considerazione ipotetica che, in ogni caso, potrebbe costituire una buona base di partenza per ulteriori e più a-pprofonditi. studi. In questo lavoro si è cercato non solo di ottenere gli strumenti per facilitare la comprensione del proteoma di membrana ma anche. porre. te basi per lo studio e ·la caratterizzazione degli N-glicani associati a questo compartimento. Quest'ultimo aspetto sperimentale è piuttosto rilevante: la possibilità di sviluppare una gUcoproteomica in senso stretto- si è sempre scontrata con .ta sostanziale incompatibilità dei metodi disponibili in letteratura, che comportavano o la perdita della componente saccaridica o n· sacrificio di quella proteicarsJ. Fintanto che l'approccio glicoproteomico era rivolto esclusivamente all'identi.ficazione de.l complessQ delle proteine espresse da una cellula; ciò· non· ha mai costituito un problema; quando· invece si rende necessaria un'analisi di un compartimento esclusivo come quello della membrana plasmatica, dove la componente glicoproteica è poco rappresentata, il discorso è diverso. In taf senso, f'ottimìzzazìone degfi approcci sperimentali di 2-DE che consentono la simultanea caratterizzazione della porzione oligosaccaridica e di quella proteica è auspicabile se non indispensabile... Proprio in quest'ottica risiede l'importanza dei risultati ottenuti in questo ·lavoro, ossia nell'aver messo a punto un efficiente metodo di degli cosilazione in gelr9J in associazione alla separazione 20-E, che permettesse di mantenere integra ed analizzabile sia la componente oligosaccaridica che quella proteica, per lo sviluppo di una completa glicomica della membrana plasmatica.
XVIII Ciclo
1974
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12

RUSTIGHI, ISABELLA. "PRODUCTION AND STRUCTURAL INVESTIGATION OF GLYCANS AND PROTEINS OF GLYCOBIOLOGICAL RELEVANCE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2007. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12289.

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Abstract:
2004/2005
Se si considerano i carboidrati non solo per il loro più semplice ruolo di riserva energetica nel sostentamento de11a vita ma anche per que11o più intrigante di modulatori della comunicazione cellulare, entriamo nel campo della glicobiologia. Quest'aspetto non-triviale della funzione dei glicani deriva dalla loro inerente complessità strutturale (grande varietà di legami e possibilità di ramificazione) e dalla loro localizzazione ubiquitaria nella cellula e nella matrice extracellulare. La maggior parte dei glicani ricopre densamente la parte esterna della superficie cellulare ed è esposta ad un ambiente ricco di proteine (come i fattori di crescita, citochine, tossine, enzimi ed altro). Questa posizione preferenziale permette loro di mediare numerose interazioni tra cellule o tra cellula e matrice extracellulare e di fungere da "agenti del traffico" in molti processi cellulari (riconoscimento, adesione, proliferazione e differenziamento). Perciò, la comprensione della funzione biologica peculiare svolta dai carboidrati, non può prescindere dalla caratterizzazione strutturale dei saccaridi, considerati o come catene a se stanti o come parte integrante di glicoconiugati, e dei loro partners d'interazione proteici. Scopo. Lo scopo del presente lavoro è essenzialmente di tipo metodologico, ossia rivolto allo sviluppo di tecniche e procedure sperimentali per l'analisi (identificazione/rilevamento, caratterizzazione, sintesi) di determinate sequenze saccaridiche frequentemente riscontrate in natura, di glicoproteine e di proteine che legano carboidrati. l. Derivatizzazione di saccaridi per il rilevamento UV-visibile all'elettroforesi capillare (CE) Per quanto riguarda la determinazione della composizione in monosaccaridi, che spesso rappresenta il primo passo per la completa elucidazione strutturale di un campione zuccherino, abbiamo sviluppato ed ottimizzato delle metodologie sperimentali volte ad un migliore rilevamento UV-visibile di mono- ed oligosaccaridi presenti in glicoproteine di mammiferi e pianta. I carboidrati sono privi di gruppi cromofori e debbono essere opportunamente derivatizzati, cioè legati covalentemente ad un cromoforo, solitamente per amminazione riduttiva, prima di essere analizzati alla CE. Le rese di derivatizzazione, tuttavia, dipendono dalla natura del residuo saccaridico e gli zuccheri N-acetilati, come l'N-acetilgalattosammina (GalNAc) e l'Nacetilglucosammina (GlcNAc) che occupano, rispettivamente, il terminale riducente di 0- ed N-glicani, sono notoriamente difficili da derivatizzare. Si è quindi condotto uno studio comparativo finalizzato al miglioramento della procedura di derivatizzazione, aumentando il grado di rilevabilità degli zuccheri N-acetilati. I risultati hanno mostrato come, tra vari agenti derivatizzanti comunemente usati, l'acido 2-aminobenzoico sia il più efficiente, otirendo alta e pari sensibilità al detector UV-vis per tutti i saccaridi analizzati. Inoltre, scegliendo adeguate condizioni di corsa alla CE, una miscela di undici monosaccaridi è stata efficientemente separata in un intervallo di tempo assai ristretto. 2. Sintesi di N-acetillattosamina (LacNAc) con beta-galattosidasi immobilizata I risultati sopra menzionati, relativi ad una efficace procedura di derivatizzazione di zuccheri riducenti, sono stati applicati con successo al rilevamento di LacNAc da miscele di reazione grezze via CE. Questo disaccaride è solitamente situato nella porzione più esterna di oligosaccaridi complessi facenti parte della superficie cellulare ed è quindi direttamente coinvolto in processi di riconoscimento cellulare. Qui è stata provata la sintesi enzimatica in fase eterogenea di LacNAc. Lo scopo dello studio era quello di migliorare sia la resa del prodotto ma anche il recupero del biocatalizzatore attraverso la sua immobilizzazione su supporto solido (polimeri commerciali Eupergit® e Sepabeads) in confronto alla stessa sintesi effettuata con enzima libero in soluzione. La biosintesi è stata fatta per reazione di transglicosilazione con betagalattosidasi da B. circulans partendo da p-nitrofenil galattopiranoside (come glicosil donatore) e GlcNAc (come glicosil accettore). La reazione è stata seguita monitorando via CE la produzione di disaccaride in funzione del tempo. L'analisi cinetica ha rivelato che la procedura di immobilizzazione non sopprime l'attività catalitica ma, al contrario, incrementa l'efficienza di trasferimento di galattosio dell'enzima. I profili cinetici delle reazioni effettuate con Eupergit® o Sepabeads sono risultate essere molto diversi, suggerendo che le proprietà chimico-fisiche delle matrici di supporto influenzano il comportamento dell'enzima. La resa molare massima di LacNAc (64%) è stata ottenuta usando Eupergit® come carrier polimerico. 3. Analisi strutturale di glicani L'identificazione e l'analisi quantitative di porzioni oligosaccaridiche di glicoproteine di importanza biotecnologica, come la beta-glucosidasi, o terapeutica, come le proteine di membrana di linee cellulari epatiche, è stata qui affrontata seguendo due strategie di processamento glicoproteico alternative. (3a) Prima del rilascio sul mercato, beta-glucosidasi (GCasi) ricombinante prodotta da semi di tabacco transgenico, deve essere ampiamente caratterizzata al fine di verificare se lo schema di glicosilazione della glicoproteina espressa in pianta somiglia a quello della CGasi da placenta umana. Il trattamento con acido trifluoroacetico ha portato ad idrolisi esaustiva del campione saccaridico e sui monosaccaridi rilasciati si è svolta un'analisi CE. Dal momento che non sono stati ritrovati né fucosio né xilosio, unità monosaccaridiche frequenti in glicoproteine vegetali, si è potuta escludere una potenziale immunogenicità per la somministrazione all'uomo. (3b) La rilevanza scientifica dello studio della struttura glicanica di proteine di membrana, differentemente espresse in linee cellulari epatiche sane o cancerose, sta nella possibile diagnosi di markers tumorali saccaridici, presenti già nella fase precoce dell'insorgere del tumore. Al fine di sviluppare e ottimizzare delle procedure metodologliche, basate sulla deglicosilazione enzimatica in soluzione o in gel (con PNGasi F) con rilascio delle catene oligosaccahridiche intatte e analisi LC/MS dell'idrolizzato, da esportare poi ali' analisi del pattern di glicosilazione delle proteine di membrana, è stata qui utilizzata fetuina bovina commerciale come modello di una proteina pesantemente glicosilata. Dai dati ottenuti, una struttura biantennaria e due triantennarie sono state infine assegnate. 5. Biosintesi su ampia scala di un lisozima da H.pylori Un grande sforzo è stato dedicato allo studio di un Iisozima da H.pylori (Lys ), un enzima che sembra svolgere un ruolo chiave nell'autolisi del batterio durante la colonizzazione dell'epitelio gastrico dei primati. Al fine di tentare una caratterizzazione strutturale della proteina, sola ò in associazione con il suo substrato saccaridico (acido N-acetylmuramico), si è reso necessario lo "'scaling-up" dei processi di biosintesi e purificazione. Ciò è stato possibile dopo l'identificazione del gene codificante la sequenza del lisozima in H.pylori e clonaggio del frammento di DNA di interesse inun vettore d'espressione adeguato, promuovendo l'espressione ad alti livelli in E. coli. Due sistemi d'espressione sono stati provati: Il sistema pGEX ha prodotto il Lys come proteina di fusione con la GST, preferenzialmente prodotta in Eco/i come corpi di inclusione, specialmente quando sono stati usati grandi volumi di colture batteriche. La proteina è stata isolata dal precipitato cellulare insolubile, solubilizzata e successivamente ripiegata con successo. Dopo purificazione e taglio proteolitico con trombina per la rimDziDne della coda GST da Lys, le prove di attività litica sono risultate essere positive, nonostante la fallita separazione tra le due proteine. Studi di affinità su tali campioni condotti alla CE, non hanno portato nessuna evidenza a favore dell'affinità di Lys per un disaccaride (LacNAc) che mima il substrato naturale di Lys. Quindi il vettore pET è stato successivamente scelto per esplorare una stategia di clonaggio alternativa. Il sistema d'espressione ha fornito Lys con coda poliistidinica C-terminale. Anche in questo caso la proteina è stata recuperata quasi interamente nella frazione insolubile del lisato cellulare. Dopo processo di rinaturazione, direttamente effettuato in colonna d'affinità Ni-NTA agarosio, si è ottenuta proteina ad un elevato grado di purezza ma inattiva. L'intero lavoro è stato svolto all'Università di Trieste, nel dipartimento di Biochimica, Biofisica e Chimica delle Macromolecole nel laboratorio del Prof. S.Paoletti sotto la supervisione della dott.ssa A.Gamini, dove ho avuto la possibilità di imparare i rudimenti della biochimica analitica. All'intemo del progetto lisozima da H.pylori, è stata di grande importanza la permanenza durata 4 mesi all'Università di Halle-Wittenberg all'Istituto di Biotecnologia (Germania) nel laboratorio del Prof R.Rudolph e sotto la supervisione del Dott. C.Lange che mi ha portato ad acquisire esperienza nel campo della chimica delle proteine.
lf carbohydrates are viewed not merely as energy suppliers for sustaining life but their intriguing biological role, chiefly as modulators of cell communication, is investigated, then we approach the field of glycobiology. This nontrivial task of glycans arises from their inherent structural complexity (great variety of linkage and branching occurrence) an d their ubiquitous location in the cell and extracellular matrix. Most glycans densely cover the outer cellular surface and are exposed to an environment of many proteins (such as growth factors, cytokines, toxins, enzymes and others). This particular position enables them to mediate several cell-cell or cell-matrix interactions and act as recognition determinants in a great variety of important cellular events ( adhesion, proliferation and differentiation). Therefore, the comprehension of the unique function of carbohydrates in biology calls for a structural characterization of saccharides, considered either as sugar chains or as integral part of glycoconjugates, and their interaction partners, such as carbohydratebinding proteins. The aim of the present work was essentially methodological in kind, i.e. directed towards the development of techniques and experimental procedures for the analysis (identification/detection, characterization, synthesis) of given carbohydrate sequences, frequently occurring in nature, glycoproteins and sugar-binding proteins. l. Derivatization of saccharides for UV -visible detection on capillary electrophoresis CE). Concerning the compositional monosaccharide determination of a hydrolyzed glycan pool, which is frequently the first step in oligosaccharide mapping, we developed and optimized experimental methods aimed to improve the UV -vis detection of monoand oligosaccharides present as widespread components in mammalian and plant glycoproteins. Saccharides inherently lack chromophores and must be suitably derivatized, i.e. covalently linked to a chromophore usualiy through reductive amination, prior to detection on CE. Derivatization yield, however, depends on the nature of the sugar residue and N-acetylamino sugars, such as N-acetylgalactosamine (GalNAc) and N-acetylglucosamine (GlcNAc), occupying the reducing end of respectively 0- and N-glycan sequences, are notoriously difficult to label. A comparative study aimed at the improvement of a labelling procedure, enhancing the detectability of N -acetylamino sugars, was therefore performed. The results showed that, among frequently used tagging dyes, 2-aminobenzoic acid turned out to be the most efficient, offering high and comparable sensitivity at the CE UV -vis detector for ali saccharides tested. Choosing adequate CE running conditions, a mixture of eleven monosaccharides was efficiently separated in a very short time frame. 2. Immobilized beta-galactosidase-based synthesis ofN-acetyllactosamine (LacNAc) The abovementioned findings of suitable derivatization procedure for the UV -vis detection of reducing sugars was successfully applied to the detection of LacNAc from crude reaction mixtures via CE. This disaccharide is very commonly located at the outermost portion of complex celi surface oligosaccharides of glycoconjugates and is therefore directly involved in recognition processes between cells. The enzymatic synthesis in heterogeneous phase of the LacNAc disaccharide was here attempted. The goal of the study was to improve both product yield and recovery of the biocatalyst through its immobilization on solid supports (commercial polymers Eupergit® and Sepabeads ), in comparison with the synthesis performed with the free enzyme in solution. The biosynthesis was performed through transglycosylation reaction with beta-galactosidase from B. circulans starting from p-nitrophenyl galactopyranoside as the glycosyl donor and GlcNAc as the acceptor. The reaction was followed monitoring via CE the disaccharide production in function of time. The kinetic analysis revealed that the immobilization procedure did not suppress catalytic activity, but, on the contrary, improved the galactose transfer efficiency of the enzyme. Kinetic profiles of the reactions performed with Eupergit® or Sepabeads were qui te different, suggesting that the physico-chemical properties of the supporting matrices infuence enzyme behaviour. Maximum LacNAc molar yield (64%) was obtained using Eupergit® as solid carrier. 3. Glycan structure analysis The identification and quantitative analysis of oligosaccharide portions of glycoproteins of biotechnological, like beta-glucosidase, or therapeutical interest, such as membrane proteins of hepatic celllines, was here carried out according to two alternative glycoprotein processing strategies. (3a) Prior to commercialization, recombinant beta-glucosidase (GCase) produced in transgenic tobacco seeds must be first thoroughly characterized in order to test whether the glycosylation pattem of the glycoprotein expressed in plant resembles that of the human placenta} GCase. Treatment with trifluoroacetic acid led to exhaustive hydrolysis of the glycan moiety and o n the released monosaccharides a CE analysis was carried out. Since neither fucose nor xilose, frequent sugar residues found in plant glycoproteins, could be detected, potential immunogenicity for delivery to humans was excluded. (3b) The scientific relevance of studying the glycan structure of membrane-bound proteins, differently expressed in a healthy and hepatoma cell line, relies on the possible detection of early-stage saccharidic tumoral markers. In order to develop and optimize a methodological procedure, based on the in-solution or in-gel enzymatic release (with PNGase F) of entire oligosaccharide chains and analysis through LC/MS of the hydrolizate, that could be exported to the glycosylation pattem analysis of membrane proteins, the commerciai bovine fetuin was here used as a model of a heavily glycosylated protein. From the obtained data, a biantennary and two triantennary oligosaccharide structures, pertaining to the N-glycosylation profile of Fet, could be finally assigned. 5. Large-scale biosynthesis of a Hpylori lysozyme Much effort has been devoted to the study of a Hpylori lysozyme (Lys), an enzyme that seems to play a key role in the autolysis of the bacterium during colonization of the gastric epithelium of primates. In order to attempt structural characterization of the protein, either alone or in complexed form with its saccharidic substrate (Nacetylmuramic acid), the scaling-up of the biosynthesis and the purification procedures were required. This could be performed after identification of the gene encoding the lysozyme sequence in Hpylori and cloning the DNA sequence of interest into a suitable expression vector and promoting high-level expression of the Lys in E. coli. Two expression systems were tested: the pGEX system yielded the Lys as fusion protein with GST, which was produced preferentially as inclusion body in E. coli host cells, especially when larger culture volumes were used. The protein was isolated from insoluble cell pellet, solubilized and successfully refolded. After purification and digestion with thrombin protease to remove the GST fusion tag from the Lys protein, tests for lytic activity were positive, even though separation could not be achieved. Binding studies performed through affinophoresis on these samples, unfortunately did not provide any evidence of the affinity of Lys fora disaccharide (LacNAc) mimicking the natural sugar substrate. The pET vector was therefore chosen for an alternative cloning strategy. The expression system gave the Lys with a C-terminai 6xHis-tag. Also in this case the protein was almost totally recovered in the insoluble fraction of the celllysate. After a refolding step, directly performed on Ni-NTA agarose affinity column, highly pure, but unactive protein was obtained. The whole work was carried out at the University of Trieste, department of Biochemistry, Biophysics and Macromolecular Chemistry in the laboratory of Prof. S.Paoletti under the supervision of Dr. A.Gamini, where I had the opportunity to learn the basic issues of analytical biochemistry. Within the Hpylori lysozyme project, a four-months stay at the Martin-Luther University of Halle-Wittenberg at the Institute of Biotechnology (Germany) in the laboratory of Prof. R.Rudolph and under the supervision of Dr. C.Lange was of great importance for getting expertise in the field of protein chemistry.
XVIII Ciclo
1974
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13

CORICH, LUCIA. "USE OF A TETRALCYCLINE-INDUCIBLE SILENCING SYSTEM TO INVESTIGATE THE ROLE OF MRP1 AND MDR1 IN THE TRANSPORT OF ORGANIC ANIONS IN NEURONAL CELLS." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2007. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12294.

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14

ALTAMURA, SANDRO. "IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI PARTNERS MOLECOLARI DELLE PROTEINE HMGA." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2007. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12290.

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15

SCARPA, TOMMASO. "BIOPOLYMERS FOR CARTILAGE TISSUE-ENGINEERING." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2007. http://thesis2.sba.units.it/store/handle/item/12302.

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16

Tamburello, Lucia. "Profiling dei miRNA plasmatici nella Demenza Vascolare: dati biomolecolari e implicazioni biomediche." Doctoral thesis, Università di Catania, 2016. http://hdl.handle.net/10761/4066.

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Abstract:
La Demenza Vascolare (Vascular Dementia, VaD) è una forma di deficit cognitivo piuttosto eterogenea determinata dall alterazione della circolazione sanguigna cerebrale frequentemente associata ad ipertensione ed iperlipidemia. Il danno neuronale è determinato dal venir meno di un adeguato rifornimento di ossigeno e sostanze nutritive (in particolare glucosio) in determinate aree cerebrali. Tra le forme di demenza è, per incidenza, seconda solo a quella di tipo Alzheimer (Alzheimer's Dementia, AD). Data la complessità e l eterogeneità che la caratterizzano le sue basi molecolari sono state poco caratterizzate. Inoltre, l assenza di marcatori molecolari specifici rende la VaD difficile da diagnosticare in modo inequivocabile. Una linea di ricerca, che sembra poter dare risultati, vede i microRNA (miRNA) come possibili candidati. Si tratta di molecole che svolgono importanti ruoli biomolecolari all interno di networks cellulari e che, date le loro piccole dimensioni, si ritrovano nei fluidi biologici come miRNA circolanti (cmiRNA). Nel presente lavoro è stato ipotizzato che i cmiRNA differenzialmente espressi nel plasma di pazienti affetti da VaD potrebbero permettere di individuare i geni coinvolti in questa forma di disordine ed essere usati per la diagnosi non invasiva della patologia. Tramite l uso di TaqMan Low Density Arrays e saggi singoli TaqMan, i miR-10b* (nomenclatura alternativa 10b-3p), miR-29a-3p e miR-130b-3p sono stati identificati e validati come cmiRNA differenzialmente espressi in pazienti con VaD rispetto ad individui controllo (Negative Control, NC). I tre miRNA in questione sono stati trovati essere significativamente downregolati anche in una coorte di pazienti con AD con livelli di espressione del miR-130b-3p più bassi nel plasma di questi ultimi rispetto a quelli rilevati nei pazienti con VaD. Tra gli mRNA target (BACE1, CCT5, EDN1, GSK3B, ITPR1, LPL, NAV3, ZEB1) soltanto ZEB1 (target del miR-130b-3p) è stato identificato nel plasma di entrambe le categoie di pazienti. Inoltre, tramite un approccio di tipo bioinformatico si è indagato circa le funzioni biologiche dei geni regolati dai miRNAs oggetto dello studio. Il profiling dei miRNAs ottenuto da pazienti con VaD e riportato nel lavoro colma una lacuna nella nostra conoscenza sulla sindrome ed apre la strada ad ulteriori analisi sulle sue basi genomiche e molecolari e sulle loro successive applicazioni traslazionali in ambito clinico-diagnostico.
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17

Baiz, Daniele. "New molecular insights about hepatocellular carcinoma behaviour and the control of cell progression." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3045.

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Abstract:
2007/2008
Studio dei fattori di elongazione eucariotici EEF1A e ruolo nello sviluppo dell'epatocarcinoma. Studio del bortezomib, inibitore del proteasoma, come potenziale farmaco da impiegare per il trattamento dell'epatocarcinoma.
XXI Ciclo
1973
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18

Bortolussi, Giulia. "A new animal model in the study of UCB metabolism and neurotoxicity." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3049.

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Abstract:
2007/2008
Hyperbilirubinemia is the most common clinical situation during neonatal life and it is observed in 60% of full−term and 80% of pre−term infants. A combination of factors still not well defined such as: prematurity, infections, genetic disorders, brest-feed under-nourishing, may cause hazardous, toxic levels of UnConjugated Bilirubin (UCB) during neonatal period (neonatal jaundice) that pose a direct threat of brain bamage (kernicterus). The deposition of UCB in the Central Nervous System (CNS) causes Bilirubin Encephalopathy (BE) with lifelong motor, auditory and mental impairment. The in vivo knowledge on kernicterus derives almost totally from the investigation on Gunn rat that is a natural model for BE. In this animal model the genetic lesion are closely parallel those present in the Crigler-Najjar syndrome type I and the neuropathological lesions are also similar to those found in humans. The Gunn rat is a mutant strain of Wistar rats that lack the uridin di phospho glucoronosyl transferase (UDPGT) activity toward bilirubin. Although the Gunn rat the classical laboratory model for bilirubin encephalopathy its use for the study of molecular mechanisms involved and the determination of other genes modulating the disease is limited by the existence of different strains and by the impossibility to generate targeted mutations in rats, preventing the in vivo study of the role of other genes in BE (i.e. Mrp1). The aim of my PhD project was to generate a mouse model of hyperbilirubinemia due to a one base deletion in the UGT1a1 gene, identical to the one present in the Gunn rat. To reach this goal, we took advantage to the “Gene Targeting” technique. This genetic technique uses the homologous recombination to modify an endogenous gene. First we constructed the targeting vector specific for the gene of interest. To target genes in mice, the targeting vector was inserted into mouse embryonic stem cells (ES) in culture. At the same time we set up two screening strategies to verify the presence of the targeted mutation in electroporated ES cells (Southern blot and Multiplex PCR). Two positive clones were identified (A9 and G7). Then the positive ES clones were amplified and injected into the blastocysts. Blastocysts were implanted in to a foster mother to obtain the so-called “chimera.” Chimeric mice have two different populations of genetically distinct type of cells originated from different mouse strains and can be selected by the fur colour. We obtained two chimeras, one deriving from A9 clone and one from G7. These chimeras were mated with wild type mice to check for germ line transmission. If the modified ES cells made up the reproductive organ, the offspring will inherit the mutated allele (heterozygous). At the present time we are screening the offspring of the chimeras, to check for germ line transmission. Mating the heterozygous mice, the offspring will have the entire body based on the previously mutated embryonic stem cell (homozygous). Obtaining this new animal model for bilirubin neurotoxicity (Gunn mouse) will be crucial to understand the mechanisms regulating the disease, together with an improvement of the diagnosis, prediction of the prognosis, and development of new therapeutic strategies.
Più del 60% dei neonati a termine e l’80% dei neonati prematuri sviluppa un ittero fisiologico nella prima settimana di vita a causa dell’immaturità dei processi fisiologici correlati al metabolismo della bilirubina durante il periodo neonatale. Tuttavia, una combinazione di fattori non ancora ben definiti quali: prematurità, disidratazione, sepsi, disordini di tipo genetico e/o malnutrimento durante l’allattamento, possono causare livelli di bilirubina non coniugata (UCB) eccezionalmente alti durante il periodo neonatale (iperbilirubinemia neontale). Questa condizione fa si che l’UCB possa attraversare in maniera massiva la barriera ematoncefalica (BBB) e depositarsi in specifiche aree cerebrali, ponendo il neonato a rischio di sviluppare encefalopatia da bilirubina (kernittero). Questa grave patologia (tipica della sindrome di Crigler-Najjar-I) si caratterizza per: sordità e disfunzioni uditive, gravi disordini motori (atetosi, spasticità muscolare e ipotonia), disfunzioni visive e displasia dentale. Il modello animale classico per il kernittero è rappresentato dal ratto Gunn. In questo ceppo di ratti è presente una mutazione nel gene dell’UGT che determina la completa inattività dell’enzima epatico bilirubin-glucuronil transferasi (UGT1A1) responsabile della coniugazione dell’UCB a due acidi glucuronici e la successiva eliminazione della bilirubina coniugata attraverso la bile. Gli effetti fisiologici della mutazione a carico dell’UGT1A1 sono molto simili a quelli riscontrati nei pazienti affetti da sindrome di Crigler-Najjar I. L’esistenza di questo modello animale ha consentito un approccio sperimentale al problema della neurotossicità da bilirubina. Tuttavia il modello del ratto Gunn possiede innumerevoli limitazioni, come: l’esistenza di diversi ceppi e, ancora più importante, l’impossibilità di ottenere ceppi mutanti per altri geni coinvolti nel metabolismo della bilirubina (i.e. Mrp1). Pertanto l’obiettivo del mio progetto di dottorato è stata la generazione di un modello murino di iperbilirubinemia dovuto ad una delezione di una base nel gene UGT1, identica a quella presente nel ratto Gunn. La tecnica utilizzata per raggiungere tale scopo è denominata “Gene Targeting”; tale tecnica biotecnologica si serve della ricombinazione omologa per modificare uno specifico gene d’interesse. Il primo passo è stata la costruzione di un vettore specifico per il gene di interesse (UGT1a1) contenete la delezione di una base nell’Esone 4. Parallelamente alla costruzione del vettore di targeting abbiamo messo a punto due tecniche che permettano lo screening dei cloni resistenti alla doppia selezione (positiva e negativa): Soutern blot e Multiplex PCR. Il vettore è stato poi inserito all’intero del genoma murino di cellule staminali embrionali (ES). Dopo lo screening dei cloni resistenti abbiamo identificato due cloni positivi, ovvero che hanno subito ricombinazione omologa del vettore di targeting: A9 e G7. Questi cloni sono stati ulteriormente vagliati per escludere la presenza di eventi di ricombinazione non omologa. Successivamente i positivi cloni sono stati amplificati ed iniettati all’interno di blastocisti. Le blastocisti sono state impiantate in una madre adottiva (forster mother), da esse si originano topi chimera. Abbiamo ottenuto due chimere, una dal clone A9 ed una dal clone G7. Queste chimere sono state incrociate a loro volta con topi wilde type per verificare la trasmissione della mutazione per via germinale (in eterozigosi). Al momento stiamo analizzando la progenie delle due chimere ottenute per trovare degli eterozigoti. I topi eterozigoti verranno poi incrociati tra lo per ottenere l’omozigote. Questo nuovo modello animale permetterà di studiare i meccanismi coinvolti nella neuro-tossicità da bilirubina, analizzando in vivo gli eventi biologici che si sviluppano in caso di mutazione a carico del gene UGT1 ed in futuro potrà anche essere usato per testare nuovi approcci diagnostici e terapeutici per il trattamento di neonati affetti da questa malattia.
XXI Ciclo
1981
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19

Giraudi, Pablo Jose'. "Mechanism involved in the UCB neurotoxicity on cellular models." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3048.

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Abstract:
2007/2008
Summary This doctoral thesis covers three years period (2006-2008) during which I have investigated the bilirubin neurotoxicity in the neuroblastoma SH-SY5Y cell line, a neuronal cell model widely used in the study of the pathogenesis and in the development of new therapeutic compounds for neurodegenerative diseases. In the first chapter is summarized the current knowledge about bilirubin chemistry and metabolism including disorders of bilirubin metabolism and the neuronal disturbances associated. In addition, the main discoveries in bilirubin toxicity mechanisms are described. Chapter two describes how we have chosen the cellular model to study the unconjugated bilirubin (UCB) damage. We first compared the bilirubin accumulation and cell viability in two neuronal cell lines (2a1 mouse neuronal progenitor cell line and SH-SY5Y cell line) and one non neuronal cell line (HeLa cells). In addition, we performed studies on cellular localization of Mrp1 (involved in UCB extrusion) and mRNA expression. We observed that SH-SY5Y cells show higher accumulation of bilirubin and lower survival than 2a1 and HeLa cells. SH-SY5Y cells shows a clear localization of Mrp1 at membrane level. Based on these observations we selected the SH-SY5Y cell line as our experimental model, and we characterized this cell line for molecular events linked with bilirubin neurotoxicity. Chapter three revises original data published by mainly our group, about “the free bilirubin hypothesis”. It has been suggested that cell injury correlates better with free unconjugated bilirubin (Bf) than total unconjugated bilirubin (BT). To directly test this hypothesis we evaluated cell viability in four cell lines (SH-SY5Y, MEF, HeLa and 2a1 cell lines) after incubation with different Bf/BT ratios, obtained by mixing varied UCB concentrations and albumins with different binding affinities (bovine, fetal calf and human); Bf was measured in each solution by the peroxidase method. Our data show that the loss of viability is dependent on the Bf but not on BT although bilirubin sensitivity varied with the different cell line tested. This in vitro study reinforces the proposal that Bf or Bf combined with total serum bilirubin should improve risk assessment for neurotoxicity in both term and premature infants. Chapter four describes our studies about the biochemical and molecular changes in SH-SY5Y cells exposed to a rather high Bf (140 nM) for 24 hours. Biochemical changes (cell viability, proliferation, cellular redox environment -ROS and GSH content) and gene expression profile were evaluated in the cells which survived after the treatment. Results suggest that the surviving cells become more resistant to a second oxidative exposition (Bf or H2O2) and this was associated with an increases expression of various genes involved both in ER stress response and in the transport system Xc- (cystine-glutamate exchanger). This transport system is of great relevance in maintaining the redox homeostasis within the cell, and together with the ER stress genes may contribute to the activation of an adaptative response to bilirubin damage. Further studies will be necessary to elucidate the molecular mechanisms that confer resistance to bilirubin toxicity; these mechanisms could help understanding the different sensitivity of the cells to bilirubin damage, and why some neuronal cells die (as the Purkinje cells) while others don’t. Furthermore, these studies may achieve to the identification of target proteins useful to develop new drugs: this may be the case of the system Xc-.
Riassunto Questo lavoro di tesi è il frutto delle ricerche svolte nei tre anni del mio dottorato (2006-2008), durante i quali mi sono occupato dello studio della neurotossicità da bilirubina nella linea cellulare di neuroblastoma umano SH-SY5Y; si tratta di un modello cellulare neuronale ampiamente utilizzato nello studio della patogenesi di malattie neurodegenerative, nonché nello sviluppo di composti neuroprotettivi. Nel primo capitolo si trovano riassunte le conoscenze attuali riguardanti la chimica della bilirubina, il suo metabolismo ed eventuali disordini ed i disturbi neuronali associati ad essa; inoltre, sono descritte le principali scoperte sui suoi meccanismi di tossicità. Nel secondo capitolo viene descritta come è stata effettuata la scelta di un modello cellulare adeguato allo studio del danno da bilirubina non coniugata (UCB). A questo scopo sono stati confrontati l’accumulo in bilirubina triziata e la vitalità cellulare dopo un trattamento con bilirubina libera, in due linee cellulari neuronali (progenitori neuronali di striato di topo -cellule 2a1- , neuroblastoma umano -cellule SH-SY5Y-) ed in una linea cellulare non neuronale (cellule HeLa). Oltre a ciò, sono stati eseguiti alcuni studi sulla localizzazione del trasportatore Mrp1 (coinvolto nell’estrusione di UCB), e sull’espressione dei geni Mrp1 ed Mdr1 (il cui prodotto proteico è un possibile trasportatore di bilirubina). Abbiamo osservato che le cellule SH-SY5Y presentano un accumulo di bilirubina più elevato ed una più bassa sopravvivenza rispetto alle cellule 2a1 ed HeLa, sebbene nelle cellule SH-SY5Y la localizzazione di Mrp1 risulti essere a livello di membrana plasmatica. Basandoci su queste osservazioni abbiamo scelto di lavorare con il modello cellulare già noto SH-SY5Y, e ci siamo occupati di caratterizzarlo per la neurotossicità da bilirubina. Nel terzo capitolo vengono presentati dati sperimentali pubblicati dal nostro gruppo a supporto dell’ “ipotesi della bilirubina libera”, la quale postula che il danno cellulare da bilirubina correli in modo migliore con la concentrazione di bilirubina libera (Bf) piuttosto che con quella di bilirubina totale (BT). Al fine di testare quest’ipotesi abbiamo valutato la vitalità in quattro diverse linee cellulari (SH-SY5Y, MEF, HeLa e 2a1) dopo aver incubato le cellule in soluzioni con un diverso rapporto Bf/BT. Tali soluzioni sono state ottenute sciogliendo diverse quantità di UCB in terreno con diversi tipi di albumina (bovina, umana e di siero fetale bovino); questi binders possiedono differenti affinità per la bilirubina. La Bf è stata determinata in ciascuna soluzione utilizzando il metodo della perossidasi. I dati ottenuti suggeriscono che, sebbene la sensibilità alla bilirubina vari nelle diverse linee cellulari, la riduzione in vitalità dipenda dalla Bf e non dalla BT. Quindi, questi studi in vitro costituiscono un’evidenza in più a favore della teoria della bilirubina libera, e sostengono la necessità di valutare il rischio di Kernittero mediante la misura della Bf serica e non solo della bilirubina totale. Nel quarto capitolo si descrivono le modificazioni a livello biochimico e molecolare nella linea cellulare SH-SY5Y dovute ad un trattamento di 24 ore in presenza di un’elevata concentrazione di bilirubina libera. Nelle cellule sopravvissute al trattamento abbiamo valutato diversi parametri biochimici tra cui vitalità e proliferazione cellulare ed ambiente redox cellulare (contenuto di ROS e GSH), nonché il pattern di espressione genica indotto dalla bilirubina. I risultati ottenuti suggeriscono che le cellule SH-SY5Y sopravvissute siano più resistenti all’esposizione ad un secondo stress ossidativo (Bf o H2O2), inoltre queste cellule mostrano un’aumentata espressione di diversi geni coinvolti nella risposta allo stress di reticolo endoplasmatico e dei geni i cui prodotti proteici fanno parte del sistema di trasporto Xc- (antiporto cistina-glutammato). Questo sistema di trasporto è estremamente importante nel mantenimento dell’omeostasi redox cellulare, ed insieme ai geni dello stress di ER potrebbe contribuire all’attivazione di una risposta adattativa al danno da bilirubina. Ulteriori studi che ci consentano di comprendere i meccanismi molecolari che conferiscono resistenza alla neurotossicità da bilirubina potrebbero aiutarci a capire la differenza di sensibilità dei diversi tipi di cellule alla bilirubina stessa, ed il motivo per cui alcune cellule neuronali muoiano (come ad esempio le cellule di Purkinje) mentre altre no. Inoltre questi studi possono portarci all’identificazione di target proteici utili allo sviluppo di nuovi farmaci, quale può essere ad esempio il caso del trasportatore Xc-.
XXI Ciclo
1978
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20

Flamigni, Anna. "Applicazioni della glicobiologia all'imaging molecolare." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3047.

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Abstract:
2007/2008
I carboidrati sono stati per molto tempo considerati molecole aventi solo funzioni di tipo strutturale e di riserva energetica per la cellula e non sembravano in alcun modo coinvolti nei processi che contribuiscono allo sviluppo di una cellula completamente funzionante. Nuove ed accurate ricerche hanno dimostrato il ruolo svolto dai carboidrati in numerosi processi biologici al punto che attualmente essi sono considerati la terza categoria di macromolecole con caratteristiche bio-informative. I carboidrati sono strutture che possono dare una quantità di informazioni estremamente elevata; l’innumerevole variabilità dei legami con cui le unità monosaccaridiche possono costituire strutture più complesse, permette ai carboidrati di utilizzare un linguaggio estremamente eloquente. Questo linguaggio ha preso il nome di Glicocodice. I decifratori del glicocodice sono tipicamente proteine leganti gli zuccheri chiamate lectine, caratterizzate da un’elevata specificità; lectine in grado di riconoscere in modo specifico unità beta-galattosidiche, chiamate galectine, risultano coinvolte in numerosi processi che regolano l’omeostasi cellulare, tra cui le interazioni cellula-cellula, cellula-matrice, ma anche i sistemi apoptotici ed il differenziamento cellulare. Inoltre esse risultano strettamente correlate con lo sviluppo di numerose patologie tra cui i tumori e le infiammazioni articolari come l’osteartrite e l’artrite reumatoide. In particolare, la galectina-1, molecola regolatrice pro-apoptotica, risulta sovraespressa nei pazienti affetti da artrite reumatoide. Al contrario, l’aumentata espressione della galectina-3 risulta essere un fattore rilevante per lo sviluppo di patologie osteoartritiche. Le convenzionali metodologie di indagine diagnostica per immagine sono purtroppo strumenti deboli per l’analisi di patologie croniche, in particolare risulta difficile la distinzione tra stadio acuto e cronico e l’identificazione di fasi iperacute. E’ per questo motivo che è così complessa la distinzione tra l’artrite reumatoide e le altre patologie osteoarticolari nelle prime fasi della malattia. La messa a punto di metodologie in grado di fornire una diagnosi precoce e precisa è dunque uno dei passi fondamentali nella lotta all’artrite reumatoide. Oggi sono disponibili test di tipo immunologico a livello sierico e tecniche di imaging in grado di dare alcune informazioni importanti sulla natura e sul decorso della malattia. Tuttavia questi risultano essere strumenti ancora carenti per una diagnosi precoce della patologia. Nella moderna era della medicina molecolare, terapie geniche e terapie cellulari potranno essere studiate direttamente e indirettamente tramite l’uso dell’ imaging molecolare. L’utilizzo di tecniche di imaging funzionale e molecolare assieme a strumenti di immagine anatomica, può indubbiamente incrementare la specificità e la sensibilità della diagnosi. Le procedure di indagine molecolare dovrebbero essere dunque considerate importanti strumenti complementari alle tecniche di indagine per immagini utilizzate correntemente in clinica. Nuovi mezzi di contrasto per MRI in grado di interagire a livello molecolare potranno dunque incrementare il potenziale di questa tecnica. Inoltre, l’emergere di nuove tecniche di diagnostica per immagini che utilizzano metodi ottici (fluorescenza e bioluminescenza), che sono attualmente di comune utilizzo in modelli animali in fase pre-clinica, sono in corso di sviluppo per la loro applicazione anche sull’uomo. Il presente progetto di dottorato ha avuto come obiettivo la messa a punto di un sistema diagnostico per immagini che permetta di individuare precocemente e con alta specificità la presenza di patologie artritiche infiammatorie, in modo tale da diagnosticare la malattia artritica nei primi stadi del suo sviluppo, ma anche di discriminarne la tipologia e la prognosi, al fine di poter applicare una corretta e tempestiva strategia terapeutica. Per realizzare tale obiettivo, nel corso del dottorato di ricerca, sono state sviluppate strategie sintetiche di nuovi mezzi di contrasto in grado di individuare markers specifici della patologia artritica, successivamente utilizzati su modelli cellulari e animali. In particolare, come bersaglio per tali mezzi di contrasto sono state individuate le galectine. Per ottenere l’interazione con le galectine i nuovi mezzi di contrasto devono contenere sonde per la diagnostica per immagini coniugate con strutture opportunamente modificate con ramificazioni di galattosio, al fine di permettere il legame selettivo alle galectine ed indicarne la presenza. Il progetto è stato articolato in due parti: Parte A, Analisi delle Patologie Articolari a Livello Molecolare. In questa fase sono stati sintetizzati complessi polimerici che potrebbero aiutare la comprensione dello sviluppo delle patologie articolari a livello molecolare. In particolare è stata effettuata la clusterizzazione di unità galattosidiche, note sonde biologiche per le galectine. La scelta delle strategie sintetiche è stata effettuata a partire dalla conoscenza del biopolimero Chitlac, composto le cui caratteristiche chimico/fisiche erano già ben note nel nostro laboratorio e a cui sono state riconosciute capacità di influenzare la crescita dei condrociti. Per meglio comprendere le interazioni e gli effetti di tale polisaccaride con molecole biologiche e colture cellulari, sono stati effettuati studi a livello molecolare e in vitro. In primo luogo si è quindi determinata la costante di affinità del Chitlac per le galectine-1 e -3, successivamente sono stati condotti studi di internalizzazione del Chitlac da parte di cellule presentanti un elevato numero di recettori per il galattosio (cellule di epatocarcinoma) e di condrociti primari, oggetto principale della nostra ricerca. I risultati ottenuti, hanno permesso di stabilire che il polisaccaride viene internalizzato negli epatociti in misura maggiore e in condrociti, in misura inferiore. Ne è seguito uno studio sull’effetto che il Chiltac svolge sul ciclo cellulare di tali cellule. Il risultato ottenuto ci ha indotti a pensare che il Chitlac sia in grado di interferire con le strutture che regolano il ciclo cellulare presumibilmente interferendo proprio con le galectine, proteine che controllano a monte l’espressione di proteine regolatrici dei checkpoint del ciclo cellulare. Questi risultati potrebbero finanche suggerire l’utilizzo del Chitlac non solo come sonda diagnostica ma anche some possibile agente terapeutico. Parte B, Analisi delle Patologie Artritiche a Livello Tissutale. Unità galattosidiche sono state ancorate a sonde per MRI, tra cui il DTPAGd (Magnevist®) presente in commercio e comunemente utilizzato in clinica, al fine di ottenere sonde maggiormente selettive nei confronti di patologie presentanti alterazioni dell’espressione di lectine. Come atteso, l’aggiunta dei gruppi ossidrilici dello zucchero ha portato ad un aumento dell’indice di relassività rispetto alla sonda commerciale con conseguente miglioramento dell’immagine MRI ottenuta dopo l’iniezione endovenosa del complesso di gadolinio. Infine, il Chitlac è stato utilizzato per evidenziare patologie artritiche in modelli animali tramite l’utilizzo dell’imaging ottico. A tale scopo, il polimero è stato coniugato con la sonda fluorescente Cy5.5. Le iniezioni intra-articolari del polimero hanno evidenziato le sole articolazioni patologiche, mentre il Chitlac è stato rapidamente allontanato dalle articolazioni sane. Una prima prova per via endovenosa ha inoltre permesso di verificare la permanenza nell’articolazione del polimero che dunque appare non subire un significativo sequestro da parte del fegato, come poteva essere ipotizzabile dai risultati ottenuti in vitro. Dagli studi condotti nel corso del presente progetto di tesi, è possibile concludere che la clusterizzazione del galattosio induce un incremento dell’affinità nei confronti delle galectine-1 e -3. Inoltre il polimero Chitlac (chitosano lattosilato) si è dimostrato in grado di interagire a livello cellulare al punto da influenzare il ciclo cellulare. Ulteriori studi potrebbero permettere una migliore comprensione di tali eventi. Infine, la possibilità di studiare condrociti derivanti da tessuti di articolazioni patologiche potrebbe permettere di valutare se in tali condizioni l’alterazione dell’espressione delle galectine possa essere tale da aumentare l’internalizzazione del polimero nelle cellule malate ed i suoi effetti sul ciclo cellulare. Studi preliminari in vivo su modelli di animale artritici, hanno permesso di evidenziare la permanenza del Chitlac nella articolazioni degli animali patologici, diversamente dagli animali sani, suggerendo un potenziale uso del polisaccaride nella discriminazione delle due tipologie di articolazione, effetto non evidenziabile con l’utilizzo di due polisaccaridi di controllo (chitosano e destrano), cioè privi del sostituente galattosio.
XXI Ciclo
1976
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21

Creatti, Luisa. "Studi sulle interazioni tra i peptidi di difesa dell' ospite e cellule dell' immunità." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3697.

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Abstract:
2008/2009
We are exposed daily to a myriad of potential pathogens, mainly through dermal contact, ingestion and inhalation. The innate immune system is of crucial importance in preventing pathogens from colonizing and growing to a point where they can cause life-threatening infections. Different types of cationic antimicrobial peptides (AMP), also known as host defense peptides (HDP), are among the innate immune mechanisms involved in this protective activity. -defensins are an important class of antimicrobial peptides that are present in human beings and have been widely reported to display a direct, salt and medium sensitive bactericidal activity, in vitro, against a broad spectrum of bacteria and fungi. Moreover, there is increasing evidence that they may play a significant role in alerting and enhancing other components of innate and adaptive immunity, thus also playing an indirect role in defense against microbes. Human -defensins are induced in vivo at the sites of microbial invasion, where they are thought to provide a bactericidal barrier, and to form chemotactic gradients that contribute to the recruitment of immune cells to the site of infection. Their interaction with the biological membranes of both microbial and host cells, appears to play a central role in both these types of activities. In this thesis, I was interested in characterizing the role of -defensin hBD2 in modulating activities of important immune host cells, such as monocytes, macrophages and immature dendritic cells, and its ability to bind to and/or be internalized within those cells, in relation to a possible immunomodulatory role. Initially, hBD2 was chosen amongst the human -defensins, and the native peptide synthesized, folded and characterized for antimicrobial activity and cytotoxicity. A fluorescent conjugate, as well as several structural analogues were also designed and prepared, and were respectively used to probe internalization and structure/activity relationships for this defensin. Subsequently, the immunomodulatory potential of hBD2 was probed, considering its possible effects in modulating important processes such as chemotaxis, degranulation, phagocytosis and reactive oxygen species (ROS) production of immune cells it comes into contact with. From this investigation, it emerged that hBD2 displays different effects depending on the cell type which comes into contact with it, and the exposure time. In particular, we confirmed the ability of hBD2 to induced chemotaxis of myeloid derived immature dendritic cells (iDC), contributing to recruitment of these cells to site of infection, although, from our studies, the mechanism of action turned out to be rather more complex than that which had been previously been proposed, and our observations may help reconcile apparently conflicting literature reports. Some novel additional properties of hBD2 were then described. In particular, a short exposure of iDC to hBD2 causes a cell type-dependent degranulation process, which could be involved in the tolerogenic/immunogenic roles of these cells, supporting a further immunomodulatory role for the defensin. A longer term exposure to hBD2 seems to augment the ability iDC to recognize bacteria and interact with them, possibly improving their ability to present antigens and activate adaptive immune responses. An equivalent treatment of macrophages resulted in a significant increase in their phagocytic activity and release of ROS, thus allowing these immune cells to better respond against a bacterial invasion. All these activities were evidenced in vitro at relatively low (micromolar) and sub-cytotoxic concentrations, which are compatible with the likely hBD2 concentration at sites of infection. Moreover, contrary to the direct bactericidal activity, these activities were not found to be salt or medium sensitive, but occur in conditions closely resembling the physiological ones. The activities of hBD2 were also compared to those of the structural analogues to study whether specific structural features of this defensin are required for its activity on immune cells. Results were somewhat puzzling because the evolutionarily conserved defensin scaffold seems to be quite important for exerting some biological function, such as the antimicrobial activity and phagocytosis, but not others, such as chemotaxis. This observation and the time and cell-type dependent activity may point to the concurrent existence of multiple modes of action. In the last part of this thesis, I describe the interaction of fluorescently labelled hBD2 with immune cells, with the aim of determining whether a cellular internalization could play a part for its biological effects. hBD2 was able to interact in a cell specific manner with different types of immune cells, upon short term exposure, leading to differentiated binding and cellular uptake, in a process devoid of cytotoxic or permeabilizing consequences. Macrophages were the most efficient in peptide internalization, whereas iDC seemed to be more avid for peptide surface binding than peptide internalization. The mechanism by which this occurs is as yet unknown, but our preliminary flow-cytometric data indicated that uptake of the defensin was an energy-dependent and temperature-sensitive process, which depends on actin fibers and can reasonably be supposed to involve lipid rafts, and/or clathrin-mediated endocytosis. Moreover, confocal microscopy of macrophages treated with labelled peptide showed that it may interact with specific patches on the membrane and, on binding, the peptide rapidly re-localized in the cytoplasm of cells with a characteristic punctate distribution. Taken together, these data could suggest that the peptide selectively binds to specific sites on membrane, such as lipid rafts, and that endocytosis could be a general mechanism of hBD2 internalization. These observations may thus indicate that hBD2 is capable of modulating activities of host cells not only by interacting with the membrane and surface receptors, but also with cytoplasmic targets. Noi siamo costantemente esposti a una miriade di potenziali patogeni, principalmente attraverso il contatto, l’ingestione e l’inalazione. Il sistema immunitario innato è di importanza cruciale nel prevenire la colonizzazione e la proliferazione dei patogeni che possono causare infezioni pericolose per la sopravvivenza. Tra i diversi meccanismi del sistema immunitario innato coinvolti in questa azione protettiva si contano diversi tipi di peptidi antimicrobici di natura cationica (AMP), anche noti come peptidi di difesa dell’ospite (HDP). Le -defensine sono un’importante classe di peptidi antimicrobici presenti anche nell’uomo che hanno dimostrato di possedere in vitro un’azione battericida diretta sensibile alla concentrazione salina nei confronti di un largo spettro di batteri e funghi. Inoltre è stato dimostrato che esse giocano un ruolo significativo nell’allertare e potenziare altri componenti dell’immunità innata e adattativa, esercitando così anche un’azione indiretta nella difesa contro i patogeni. Le -defensine umane vengono indotte in vivo nei siti dove si verifica un’invasione batterica, formando così una barriera battericida e creando un gradiente chemiotattico che contribuisce a reclutare cellule immunitarie nel sito d’infezione. La loro interazione con le membrane biologiche, sia dei microbi che delle cellule dell’ospite, sembra essere centrale in entrambe le attività. In questa tesi l’interesse principale è caratterizzare il ruolo della -defensina hBD2 nel modulare l’attività di importanti cellule immunitarie, quali monociti, macrofagi e cellule dendritiche immature, e la sua abilità di legarsi a tali cellule e/o di essere internalizzata da esse. Inizialmente, tra le -defensine umane è stata scelta hBD2 e il peptide naturale è stato sintetizzato, “foldato” e caratterizzato per l’attività antimicrobica e la citotossicità. Un coniugato fluorescente e molti analoghi strutturali sono stati inoltre progettati e sintetizzati e sono stati utilizzati, rispettivamente, per indagare l’eventuale internalizzazione e per fare studi di relazione fra struttura e attività. Successivamente è stato analizzato il potenziale immunomodulatorio di hBD2, considerando i suoi possibili effetti nel regolare importanti processi delle cellule immunitarie con cui il peptide viene in contatto, quali ad esempio la chemiotassi, la degranulazione, la fagocitosi e la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Da questa analisi è emerso che hBD2 esercita diverse azioni a seconda del tipo cellulare con cui viene a contatto e del tempo di esposizione delle cellule alla defensina. In particolare, è stata confermata l’abilità di hBD2 a indurre la chemiotassi di cellule dendritiche immature (iDC), contribuendo a reclutare tali cellule al sito d’infezione. Negli studi condotti è però emerso che il meccanismo d’azione potrebbe essere più complesso di quanto proposto fino ad ora; tuttavia le osservazioni proposte in questa tesi appaiono in grado di conciliare i dati contrastanti riportati in letteratura. Sono inoltre emerse alcune nuove proprietà per hBD2. In particolare, un breve tempo di esposizione delle iDC alla defensina causa un processo di degranulazione che risulta dipendente dal tipo cellulare e che potrebbe essere coinvolto nel ruolo immunogenico/tolerogenico di queste cellule, supportando un ruolo immunomodulatorio per hBD2. Un’esposizione per tempi più lunghi a hBD2 sembra incrementare l’abilità delle iDC di riconoscere i batteri e interagire con loro, probabilmente aumentando la loro capacità di presentare gli antigeni e attivare le risposte immunitarie. Un trattamento equivalente sui macrofagi risulta invece in un aumento significativo della loro attività fagocitaria e della produzione di ROS, permettendo così a queste cellule di rispondere meglio ad un’invasione batterica. Tutte queste attività sono state evidenziate in vitro a concentrazioni relativamente basse (micromolari) e sub-citotossiche, compatibili con quelle che hBD2 raggiunge ai siti d’infezione. Inoltre, contrariamente all’attività battericida diretta, l’attività immunomodulatoria non è risultata sensibile alla concentrazione salina, ma si esplica in condizioni simili a quelle fisiologiche. L’attività di hBD2 è stata anche paragonata a quella di analoghi strutturali per studiare quali siano le caratteristiche di questa defensina che sono richieste per le attività sulle cellule immunitarie. I risultati sono per certi versi inspiegabili in quanto la struttura evolutivamente conservata delle defensine sembra essere importante per alcune attività biologiche, come l’attività antimicrobica diretta o la fagocitosi, mentre non lo è in altre, come la chemiotassi. Questa osservazione e la dipendenza dell’attività da tempo di esposizione e dal tipo cellulare considerato potrebbero indicare che esistono diversi meccanismi d’azione. Nell’ultima parte della tesi vengono descritti gli studi effettuati con il coniugato fluorescente di hBD2 con l’obiettivo di determinare se l’internalizzazione del peptide può giocare un ruolo nella sua attività biologica nei confronti delle cellule immunitarie. È emerso che hBD2 è capace di interagire in modo specifico già dopo una breve esposizione con i diversi tipi di cellule immunitarie considerati in questa tesi. Si è evidenziata una diversa capacità di legame e di internalizzazione a seconda del tipo cellulare, ma il processo è risultato sempre non accompagnato da effetti citotossici o permeabilizzazione delle cellule. In particolare, i macrofagi sono risultati i più efficienti nell’internalizzare del peptide, mentre le iDC sembrano più avide nel legare il peptide sulla superficie che nell’internalizzazione. Il meccanismo attraverso cui avvengono legame e internalizzazione è ancora ignoto, ma i nostri dati al citofluorimetro indicano che l’uptake della defensina è un processo che dipendente dall’energia e dalla temperatura, che è legato alla polimerizzazione delle fibre di actina e probabilmente coinvolge un processo di endocitosi mediata dai lipid rafts e/o dalla clatrina. Inoltre, la microscopia confocale di macrofagi trattati con il peptide fluorescente ha mostrato che esso interagisce con specifiche zone della membrana e, dopo il legame, si localizza rapidamente nel citoplasma della cellula con una caratteristica distribuzione puntata. Nell’insieme, questi dati suggeriscono che il peptide si leghi selettivamente a zone specifiche della membrana, come ad esempio i lipid rafts, e che l’endocitosi potrebbe essere un meccanismo generale per l’internalizzazione di hBD2. Tutti queste osservazioni suggeriscono quindi che hBD2 è capace di modulare le attività delle cellule dell’ospite non solo interagendo con le membrane o i recettori di superficie, ma anche con target citoplasmatici.
XXI Ciclo
1981
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22

Sammito, Mariangela. "I miR-720 e miR-1290 sono significativamente sovraespressi nel siero di pazienti con fenotipo grave di sindrome di Tourette: potenziali implicazioni biomolecolari e cliniche." Doctoral thesis, Università di Catania, 2014. http://hdl.handle.net/10761/1530.

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Abstract:
La sindrome di Gilles de la Tourette (GTS) è un disordine neuropsichiatrico ad esordio infantile, caratterizzato da tic motori e vocali causati da contrazioni muscolari involontarie che producono movimenti stereotipati. Nel 60% dei casi la malattia mostra comorbilità con la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e nel 40-60% con il disturbo ossessivo compulsivo (OCD). La combinazione delle tre condizioni (TS, ADHD e OCD) è spesso chiamata triade della sindrome di Tourette ed è molto spesso causa di peggioramento nella qualità di vita del paziente se non identificata correttamente. La diagnosi si basa sui criteri proposti dal DSM-V Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th edition. Sulla base della sintomatologia clinica e della comorbilità con altri disordini neuropsichiatrici, si può affermare che esiste uno spettro di fenotipi TS, la cui gravità può variare da una manifestazione severa (Severe) TSS (Tourette Syndrome Severe Phenotype) ad una moderata (mild) TSM (Tourette Syndrome Mild Phenotype). Negli ultimi anni l identificazione di miRNA circolanti in fluidi biologici (siero, plasma o urine) ha aperto una nuova frontiera nella diagnosi precoce non invasiva di patologie neoplastiche, degenerative e neurodegenerative. Con l'obiettivo di analizzare le basi biomolecolari della TS, il nostro gruppo di ricerca ha caratterizzato il trascrittoma di 754 miRNAs nel siero di pazienti affetti da TSS, tramite TaqMan® Low Density Array (TLDA). Queste ricerche hanno inoltre consentito di individuare potenziali biomarkers diagnostici, da associare alla tradizionale indagine effettuata tramite il DSM-V. I microRNA da noi identificati come differenzialmente espressi sono stati ulteriormente validati in singoli saggi TaqMan assay, sia nella coorte di pazienti TSS precedentemente analizzata, che anche in una coorte di pazienti TSM, allo scopo di identificare uno o più potenziali marcatori utili per la diagnosi differenziale tra pazienti TS con fenotipo clinico di differente gravità (severe oppure mild). Le nostre indagini sperimentali ci hanno portato all identificazione di due miR, il miR-720 ed il miR-1290, i cui livelli d espressione sono più elevati nei pazienti TS rispetto ai controlli in maniera statisticamente significativa. Inoltre, il miR-720 risulta statisticamente discriminante tra il fenotipo TSS e TSM e dunque è da considerarsi come marcatore molecolare nella discriminazione fenotipica nell'ambito della sindrome di Gilles de la Tourette.
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