Dissertations / Theses on the topic 'RIFORMA COSTITUZIONALE'
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Bondi', Alice <1990>. "La riforma costituzionale tunisina: attori politici e società civile." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/6371.
Full textMasiero, Larry <1980>. "IL SENATO NEL DISEGNO DI RIFORMA COSTITUZIONALE DEL GOVERNO RENZI." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2017. http://hdl.handle.net/10579/9400.
Full textChirico, Domenico <1966>. "Il presidente del consiglio dei ministri nell'ordinamento vigente e nelle prospettive di riforma." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6603/3/domenico_chirico_tesi.pdf.
Full textThe work analyses the institutional characters of the head of the government, in particular appointing the powers about his ministers and the powers of the government in Parliament, in connections with the legislative procedures. The analysis shows the importance of the party-system in conditioning the balance bitwin parliament and government. In particular, a plularistic asset of the party-sistem, based on a proportional electoral law, favourishes the weekness of the government. On this considerations, the istances of reform are oriented to enforce the government and simplify the party-system, in order to give as a result a “deciding democracy”, based on a strength Parliament and a strength Government.
Chirico, Domenico <1966>. "Il presidente del consiglio dei ministri nell'ordinamento vigente e nelle prospettive di riforma." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6603/.
Full textThe work analyses the institutional characters of the head of the government, in particular appointing the powers about his ministers and the powers of the government in Parliament, in connections with the legislative procedures. The analysis shows the importance of the party-system in conditioning the balance bitwin parliament and government. In particular, a plularistic asset of the party-sistem, based on a proportional electoral law, favourishes the weekness of the government. On this considerations, the istances of reform are oriented to enforce the government and simplify the party-system, in order to give as a result a “deciding democracy”, based on a strength Parliament and a strength Government.
BONASIO, Alessia. "Bicameralismo in Italia: tentativi e ipotesi di riforma alla svolta della XVI legislatura." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2013. http://hdl.handle.net/10446/28806.
Full textCARTA, ROSSELLA. "La riforma del sistema comune di asilo europeo tra principio di solidarietà e rinascita dei nazionalismi." Doctoral thesis, Università degli Studi di Cagliari, 2021. http://hdl.handle.net/11584/313090.
Full textBORRONI, MARIA GRAZIA ELEONORA. "LA PRASSI DELLA CONTRATTAZIONE TRA STATO E REGIONI NEI GIUDIZI IN VIA PRINCIPALE. QUANDO I GOVERNI 'NEGOZIANO' IL CONTENUTO DELLE LEGGI: PROFILI CRITICI E PROSPETTIVE DI RIFORMA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2017. http://hdl.handle.net/2434/490619.
Full textD'ALFONSO, Luciano. "Il governo territoriale regionale e il tessuto imprenditoriale: tra esigenze di semplificazione, velocizzazione e innovazione." Doctoral thesis, Università degli studi del Molise, 2017. http://hdl.handle.net/11695/74912.
Full textThis research work is oriented to the analysis of the many factors that have led to the slowdown in Italy’s growth, especially from a perspective of comparison with the different development processes followed by other European countries. The analysis aims to verify the real effects that similar dilations of procedural timing have produced on the territory’s government, on the production fabric and on the ability to reproduce results in terms of employment and enterprise opportunities. In this regard, a key review of the main legal reforms currently in the field is to be found, such as the simplification measures provided for in Law 125/2014 or those in favor of the South, which have recently been approved by parliament. The real and current perspective change is the fact that all these acquisitions of administrative science need to be rethought also in the light of the new role recognized to Territorial Regional Governments and Local Authorities in the past instead marginalized by the decision-making processes of interest for the development of the country's economic and entrepreneurial fabric.
Ferretto, Chiara. "L'immigrazione tra Stato, Regioni e integrazione europea: profili di criticità nel riparto delle competenze e proposte di riforma." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3426171.
Full textIl presente lavoro intende indagare gli ambiti di problematicità nel riparto delle competenze tra i diversi livelli di governo per quanto concerne la disciplina dell'immigrazione. La tematica viene affrontata da diverse prospettive, a partire dalla regolamentazione dei flussi di ingresso, fino alla garanzia dei diritti sociali e politici, giungendo ad analizzare gli effetti prodotti dal fenomeno migratorio sui fondamenti dell'ordinamento costituzionale, tra i quali la concessione e il contenuto dello status di cittadino. Gli ambiti individuati come oggetto di analisi sono i livelli di governo delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea, nei confronti dei quali maggiormente rileva il profilo del riparto delle competenze in materia di disciplina del fenomeno migratorio, controllo delle frontiere e regolamentazione dell'ingresso degli stranieri. Ogni capitolo della tesi prende spunto dai contrasti, recentemente emersi, tra i diversi livelli di governo, oppure tra il diritto vigente e le elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, che testimoniano la presenza di irrisolti conflitti normativi. Scopo dell'analisi, oltre a individuare gli aspetti problematici e a fornirne un inquadramento legislativo e una lettura costituzionalmente orientata, è anche quello di formulare – ove possibile – proposte concrete di riforma. Andando a proporre una breve visuale delle tematiche oggetto di analisi, il primo capitolo muove dalla conflittualità sviluppatasi negli ultimi anni tra lo Stato e le Regioni per quanto concerne la regolamentazione dei flussi di ingresso degli stranieri e la loro regolarizzazione: nonostante le Regioni siano titolari delle più significative competenze in materia sociale e quindi sopportino le più intense implicazioni finanziarie relative all'ingresso degli stranieri – si pensi alla gestione della sanità e dell'edilizia pubblica – lo Stato non ha mai riconosciuto al territorio la possibilità di influire significativamente sulla determinazione dei flussi. La tematica dei diritti sociali, in particolare, risulta fondamentale nell’ambito di questa ricerca non solo perché tali diritti interessano alcune garanzie costituzionali fondamentali - si pensi al diritto alla salute e al diritto d’istruzione - ma anche perché si tratta dei diritti che hanno un maggiore impatto sulle finanze statali, regionali e locali. Mentre, infatti, la concessione dei diritti civili non ha alcun effetto immediato sul sistema di bilancio della nazione, la scelta di concedere alla popolazione straniera il godimento dei diritti sociali comporta un riverbero di enorme rilevanza sulle politiche finanziarie. Per questa ragione, il rapporto tra lo Stato e le Regioni in materia d’immigrazione risulta strettamente connesso con l’analisi delle condizioni alla quali si debbano ritenere applicabile agli stranieri le prestazioni di welfare. Il capitolo si conclude con l’elaborazione di una proposta concreta di revisione del sistema di determinazione delle quote di ingresso degli stranieri, che tenga conto, in particolare, dei principi di autonomia, responsabilità e solidarietà introdotti dalla riforma sul federalismo fiscale. Il secondo capitolo, invece, ha ad oggetto la tematica della spettanza agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano dei diritti politici e, in particolare, del diritto di voto. In materia, la disciplina nazionale – che tuttora nega tale diritto agli stranieri residenti, anche a livello amministrativo – si contrappone ai principi comunitari, alla normativa della maggior parte dei Paesi dell'Unione europea e alla formulazione di alcuni statuti regionali, che invece si sono mossi nella direzione di consentire una maggiore rappresentanza politica agli immigrati. Il terzo capitolo è dedicato al trattamento giuridico dello straniero irregolare. L'ambito de quo è stato oggetto, negli ultimi anni, di diverse pronunce da parte della giurisprudenza interna e sovrastatale, che hanno posto in luce significativi contrasti tra la produzione legislativa statale e le elaborazioni pretorie. La giurisprudenza, infatti, sembra aver intrapreso un graduale processo di “erosione” delle norme che regolamentano l'ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio italiano, in particolare con riferimento alle disposizioni introdotte dal Pacchetto Sicurezza del 15 luglio del 2009 (legge n. 94/2009). Questa legge, nota per aver criminalizzato la presenza clandestina nel territorio italiano, fin dai suoi albori è stata tacciata di lesività nei confronti di alcuni principi costituzionali fondamentali, come quello di ragionevolezza, proporzionalità e non discriminazione. Solo negli ultimi mesi, tuttavia, l'intervento giurisprudenziale in materia ha assunto una dimensione sistematica. In particolare, sono oggetto di analisi alcune pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 245 del 25 luglio 2011, con la quale è stato dichiarato illegittimo l'articolo 116 del Codice Civile, nella parte in cui vieta la celebrazione delle nozze a chi non risulti essere in possesso di un documento comprovante la regolarità del soggiorno in Italia), della Corte di Giustizia dell'Unione europea (sentenza El Dridi del 28 aprile 2011, con la quale la Corte ha dichiarato non conforme alle Direttive e ai principi comunitari la comminazione della pena della reclusione per l'immigrato irregolarmente soggiornante in Italia) e della CEDU (sentenza del 23 febbraio 2012 sul caso Hirsi, con la quale l'Italia è stata condannata per la pratica dei c.d. respingimenti in mare, messa in atto nel 2009 in cooperazione con il governo libico). A seguito dell'analisi degli orientamenti citati, il capitolo porta a rilevare il significativo contrasto creatosi in poco più di un anno tra la produzione legislativa statale e le pronunce della giurisprudenza costituzionale ed europea. Il capitolo finale, invece, estende l'analisi fino a prendere atto dell'inevitabile mutamento concettuale e normativo che ha riguardato negli ultimi anni il concetto di cittadinanza. Tale fenomeno è principalmente dovuto alla graduale parificazione del trattamento degli stranieri residenti rispetto a quello dei cittadini, in particolare per quanto riguarda la tutela dei diritti sociali. Tale evoluzione, da attribuirsi in larga misura all'elaborazione giurisprudenziale della Consulta. ha portato a un sostanziale “svuotamento” della portata giuridica dello status di cittadino, attraverso l'estensione dei diritti tradizionalmente garantiti ai membri di una nazione a favore di tutti i soggetti regolarmente residenti in un determinato territorio. Al fine di analizzare i possibili sviluppi della condizione giuridica dei non-cittadini, viene proposta la comparazione con un modello, quello svizzero, nel quale la cittadinanza "parte dal basso", in quanto è l'autorità comunale a essere deputata a valutare il grado di integrazione dello straniero nella comunità di riferimento, che costituisce il presupposto indispensabile per l'ottenimento della cittadinanza federale. L'intero processo di naturalizzazione, pertanto, comincia dal livello municipale, ove la decisione è assunta dagli organismi rappresentativi, dagli esecutivi o anche da assemblee di cittadini appositamente riunite. Ciò consente, a differenza di quanto accade nel caso italiano, di subordinare l'acquisizione della cittadinanza all'effettiva integrazione nella comunità di riferimento, attestata dalla collettività stessa
Sgro', F. "ASPETTI E PROBLEMI ATTUALI DEL BICAMERALISMO ITALIANO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2010. http://hdl.handle.net/2434/150214.
Full textGreco, Antonio. "Competitività e semplificazione normativa nel federalizing process." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426601.
Full textNelle pagine che seguono ci si propone di ricostruire le politiche di semplificazione normativa ed amministrativa, in considerazione dei significati delle riforme di recente attuate o promosse. L’attualità del tema è infatti riferibile all’incessante produzione normativa in materia, come al vivo dibattito sulla forma federale disegnata dal riformato Titolo V. L’allarme destato da autorevoli ricerche di settore (nel 2006 la Banca mondiale ha posizionato l’Italia penultima tra i Paesi OCSE per complicazione normativa e amministrativa) e le pressioni di Confindustria e Unioncamere per la definizione di procedure adeguate alle istanze dell’economia, evidenziano un empasse di cui occorre individuare le cause. Punto di partenza è a tal fine la riconsiderazione dei pregressi tentativi di semplificazione, anzitutto a livello statale. L’apripista l.n. 537/93 prevedeva la semplificazione di 123 procedimenti tramite l’emanazione di appositi regolamenti. In ciò stava però il limite del modello, che finiva per attuarsi in un’alluvione di regolamenti e dunque in una complicazione. Stessa sorte per le ll. nn. 127/99, 191/98, 50/99, 340/00: la volontà di attribuire maggiori spazi ad interventi governativi di semplificazione portava a successive riformulazioni dei principi di delega, con confusione nelle direttive legislative e con la sostituzione dell’ipertrofia legislativa di primo grado con quella di secondo. Le innovazioni arrivavano con la l. 246/05 che, col meccanismo ghigliottina o taglia–norme, prevedeva un’ampia delega al Governo per l’abrogazione della normativa anteriore al 1.01.70 non ritenuta indispensabile. I dubbi di legittimità costituzionale sono però evidenti e quanto mai attuali visto il disegno di legge Bassanini del 31.03.08, che all’art 2 co. 3 e 4 ripropone la ghigliottina per tutte le disposizioni ormai prive di contenuto normativo o obsolete. Se si aggiunge che in tale proposta si ritrova lo spettro della proliferazione dei regolamenti giusta l’assunzione a modello della l. 537/93, si ha conferma della validità metodologica dello studio dei “corsi ed i ricorsi storici” nella nostra legislazione. Rileva altresì la normativa regionale, anzitutto per verificare la legittimità di una delegificazione statale in materie di competenza regionale, quale si avrebbe secondo il disegno Bassanini, basato su un’interpretazione estensiva del potere sostitutivo (art. 120 Cost.) quantomeno controvertibile. La ricerca considera pertanto i precedenti sui “livelli minimi essenziali”(sent.181/06, sull’interpretazione stretta dell’art. 117 Cost.) e l’attualità della collaborazione tra livelli di governo ex l. 246/05 (intese Stato–Regioni). Più nel dettaglio, provvede a comparare i modelli di semplificazione regionali (talvolta precorritori di quelli statali: v. ll. 15/02 e 1/05 Lombardia) per enucleare i più virtuosi. A chiudere la disamina della semplificazione normativa, è la riflessione sui più recenti interventi positivi in materia, primo fra i quali emerge il d.l. n. 118/2008. Nella seconda parte considera inoltre la semplificazione amministrativa. Rilevano l’autocertificazione e la d.i.a. di cui alla l. 80/05, per il carattere innovativo ma anche per i fattori di complicazione ancora impliciti. L’art. 19 co. 2 L. n. 241/1990 contemplava infatti un regime particolarmente accelerato per l’inizio dell’attività imprenditoriale, sia pure soltanto per taluni casi da individuare con regolamento, in relazione ai quali prevedeva si potesse dare inizio all’attività nel momento immediatamente successivo alla denuncia. Il combinato disposto con il co. 1 (modificato dall’art. 2 co. 10 L.n. 537/1993), inoltre, assegnava all’Amministrazione un termine di sessanta giorni dalla denuncia di inizio attività per la verifica d’ufficio dei requisiti di legge necessari, e per disporre l’eventuale divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti. E’ una chance che, sia pure in soltanto con riguardo ai quei casi tassativamente elencati, vigente il nuovo art. 19 il privato non si vede più riconosciuta, essendo ora tenuto, in un momento che precede l’inizio dell’attività, a presentare una dichiarazione “corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normative richieste” (art. 3 co. 1 d.l. n. 35/2005). Pertanto, decorsi i trenta giorni di cui l’amministrazione dispone per l’istruttoria e la comunicazione all’interessato, l’istante non può ancora dar corso allo svolgimento dell’attività, dovendo inoltrare una ulteriore comunicazione (non prevista nel regime ante riformam) all’amministrazione alla quale è stata presentata la denuncia. Il nuovo procedimento disegnato dall’art. 3 d.l. n. 35/2005, da questo sia pur limitato punto di vista, ha dunque aggravato gli adempimenti dell’interessato, sdoppiando la denuncia di inizio attività in una pre – denuncia (o dichiarazione della volontà di dare inizio ad una attività) ed in una comunicazione di “avvertimento dell’effettivo inizio dell’attività”. In una prospettiva de iure condendo la ricerca chiarisce inoltre il rapporto tra la dichiarazione di inizio attività e i “decreti – Bersani” del 2006, intervenuti nella piena vigenza ed applicazione della novellata dichiarazione di inizio attività, ma la cui disciplina attende tutt’ora di trovare compiuta applicazione e, come da più parti annunciato, adeguata correzione. Come si è avuto modo di considerare, uno dei pregi del d.l. n. 35/2005 consiste nel carattere generale della sua portata, attesa anche la sua collocazione sistematica nell’alveo della legge fondamentale sul procedimento amministrativo, tale da eliminare alla radice la necessità di interventi settoriali successivi. I c.d. “decreti Bersani”, invece, pur introducendo importanti novità in ordine allo start – up delle attività economiche, rappresentano per diversi aspetti il tendenziale ritorno ad un approccio atomistico alla semplificazione. L’attenzione va riposta in primo luogo sul d.l. n. 223/2006 (Disposizioni per il rilancio economico e sociale per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito nella l. n. 248/2006, che introduce tre importanti novità in ordine all’iscrizione negli albi e registri di categoria. L’art. 3 co. 1 lett. a) infatti abolisce l’iscrizione in “registri abilitanti” e fa venir meno la necessità di dimostrare requisiti professionali soggettivi - con esclusione dei requisiti riguardanti la tutela della salute e la tutela igienico sanitaria degli alimenti - in ordine ad una serie di attività di distribuzione commerciale “riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande”. Già l’applicazione di tale della previsione ha incontrato – e per alcuni versi ancora incontra - difficoltà di rilievo. L’abolizione dei registri si riferisce evidentemente al R.E.C., il registro esercenti commercio tenuto presso le Camere di Commercio. Il D.lgs. n. 114/1998, che disciplinava le condizioni di accesso all’iscrizione, prescriveva come necessari il possesso di requisiti morali e la dimostrazione da parte dell’interessato, in via alternativa, di: a) aver frequentato, con esito positivo, un corso professionale avente ad oggetto l’attività di somministrazione di alimenti e bavande istituito o riconosciuto dalle regioni; b) aver frequentato, con esito positivo, corsi di una scuola alberghiera o di altra scuola a specifico indirizzo professionale; c) aver superato un apposito esame di idoneità dinnanzi all’apposita commissione costituita presso la Camera di Commercio al quale si poteva accedere con il possesso di un titolo di studio universitario o di istruzione secondaria superiore, ovvero con la dimostrazione della c.d. pratica commerciale. Orbene, l’abolizione del R.E.C. si risolve in una semplificazione per i soggetti titolari dei requisiti a norma delle lett. a) e b), che possono ora rivolgersi direttamente al Comune per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività, ma comporta, stando alla lettera, l’impossibilità di esercizio – e, contestualmente, l’impossibilità di accedere al regime della dichiarazione di inizio attività - per tutti quei soggetti che conseguivano i requisiti professionali a norma della lett. c), e quindi con la frequenza ai corsi di cui si investivano le Camere di commercio quali enti funzionali investite della gestione del R.E.C.: con l’abolizione di quest’ultimo, infatti, le Camere di commercio si trovano private infatti anche della relative funzioni. Sul punto, in attesa di un intervento correttivo, il Ministero dello sviluppo economico è ad oggi intervenuto con una sola comunicazione, che si limita peraltro a consentire lo svolgimento degli esami a favore di coloro ne avessero fatto istanza entro il 4 luglio 2006, data di adozione del decreto Bersani. Nell’evidenziare l’incompletezza della disciplina sovraesposta, emerge altresì come l’istruzione della comunicazione sia per lo meno lesiva del principio di legittimo affidamento di quanti avessero già conseguito l’attestato di frequenza del corso tenuto presso le Camere di Commercio. Non va inoltre sottaciuto, con una anticipazione dei propositi della ricerca che si esporranno nel paragrafo successivo, come la soluzione del problema coinvolga anche gli ordinamenti regionali, titolari, a norma dell’art. 117 co. 3 Cost., della competenza legislativa concorrente in materia di professioni. Al riguardo si osserva che la Regione Marche è già intervenuta sul punto con la l.r. n. 287/1991, perpetuando la possibilità di esame presso la Camera di Commercio, ai fini dell’attestazione del possesso del requisito professionale indispensabile – stante la permanenza dei requisiti relativi alla tutela della salute ed alla tutela igienico sanitaria degli alimenti - per l’esercizio dell’attività. Un altro settore commerciale interessato dal decreto Bersani è “la produzione e vendita di prodotti della panificazione”. La materia trovava disciplina nella l. n. 1002/1956, che nel combinato disposto degli artt. 2 e 3 prevedeva un iter piuttosto articolato: i soggetti interessati all’attività in oggetto, infatti, erano tenuti ad esperire ben due procedimenti di licitazione. In primo luogo dovevano conseguire un’autorizzazione rilasciata dalla Camera di commercio, tenuta a valutare, con l’ausilio di una apposita commissione, “l’opportunità del nuovo impianto in relazione alla densità dei panifici esistenti e del volume della produzione nella località ove è stata chiesta”. Ottenuta l’autorizzazione, l’effettivo esercizio dell’attività rimaneva peraltro subordinato al conseguimento di una licenza, rilasciata dalla medesima “Camera di commercio (…) previo accertamento della efficienza degli impianti e della loro rispondenza ai requisiti tecnici ed igienico-sanitari previsti dalla presente legge e dalle leggi e regolamenti vigenti anche in materia di igiene del lavoro (…)”. A ciò si aggiunga, ex art. 7, che le licenze di panificazione necessitavano di un visto annuale della Camera di commercio. Orbene, la novella del 2006 interviene ridisegnando ex novo l’istituto ed eliminando, in particolare, la programmazione e la valutazione discrezionale che si potevano evincere dal combinato disposto sopra ricordato. Ne consegue l’espressa sostituzione del regime complesso con la dichiarazione di inizio attività, secondo l’art. 19 l. n. 241/1990 come novellato che, nella fattispecie considerata, riversa un importante impatto di semplificazione. A completare il quadro degli interventi di semplificazione, è il d.l. n. 7/2007 (Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese). La principale novità introdotta dal decreto è la “comunicazione unica” per la nascita d’impresa, disciplinata dall’art. 9, che rivoluziona il modello già vigente incardinato presso lo sportello unico per le imprese. La novella, anch’essa tutt’oggi inattuata, merita di essere confrontata nel combinato disposto con la dichiarazione di inizio attività e con la disciplina delle attribuzioni dello sportello unico per le attività produttive (sul punto, si deve osservare come anche la disciplina del titolo I l. n. 59/1997 sia attualmente oggetto di una serie di disegni di legge). A supportare l’interesse per un quadro normativo tanto asistematico, sempre più oscuro e di difficile interpretazione a causa delle modifiche ed abrogazioni implicite nella lettera delle norme, interviene inoltre il già citato disegno di legge Bassanini del 31 Marzo 2008, secondo il quale i procedimenti amministrativi dovranno concludersi entro trenta giorni. Peraltro lo stesso disegno di legge finisce col delegare il Governo ad emanare una serie di decreti ex art. 17 co. 3 l. n. 400/1988 al fine di ampliare il termine a 60 giorni in ordine a procedimenti vagamente definiti “complessi”, da individuare tassativamente, pari sino al 33,33% del totale dei procedimenti amministrativi. La stessa norma prevede inoltre, per un aggiuntivo 10% dei procedimenti amministrativi, una ulteriore dilatazione dei termini fino a 120 giorni. In sintesi, il 40% dei procedimenti amministrativi avrà un tempo medio di ben tre mesi. Tali previsioni, lungi dal semplificare, rischiano invero di inficiare i risultati ottenuti dalla riforma del decreto competitività del 2005, e di segnare il ritorno ad un approccio particolaristico, e perciò normativamente inflattivo, alla semplificazione dei procedimenti amministrativi. Per quanto attiene in particolare alla competenza regionale,la ricerca si propone anzitutto, sotto un profilo generale, di analizzare l’impatto degli istituti di semplificazione più significativi posti in essere dal legislatore statale, in specie della d.i.a., sulla legislazione regionale. Infatti l’art. 3 d.l. n. 35/2005, nel contenere una norma dalla vocazione generale, in virtù della quale ad essere identificati devono essere i soli casi di inapplicabilità, supera la diffusa tecnica legislativa a livello regionale diretta a determinare con regolamento i singoli casi di applicabilità della d.i.a. L’interesse per tale trattazione discende dalla considerazione che nell’ordinamento costituzionale previgente alla Riforma del Titolo V Cost., la l. n. 241/1990 rappresentava una legge – quadro, recante quindi i principi che le regioni avrebbero dovuto recepire nell’esercizio della potestà legislativa concorrente. Era l’art. 29 a definire i principi contenuti nella medesima l. n. 241/1990 quali principi generali dell’ordinamento giuridico, vincolanti sia per le regioni a statuto ordinario sia per quelle a statuto speciale, che vi si sarebbero dovute uniformare entro un anno dalla entrata in vigore dalla legge. Il procedimento amministrativo dunque, con la l. n. 241/1990, aspirava ad assumere il carattere dell’omogeneità su tutto il territorio nazionale. Tuttavia la l. cost. n. 131/2003 di riforma del Titolo V Cost., ha reso incerto il contesto di relazioni dell’esercizio dei compiti delle Regioni in ordine alla semplificazione dei procedimenti, in specie con riguardo all’ambito materiale delle attività produttive. La riforma del titolo V, infatti, ha determinato una rivoluzione copernicana nell’assetto competenziale Stato – Regioni, attribuendo alla legislazione regionale residuale (trattasi, come noto, di competenza piena, con il limite delle materie trasversali statali) le principali materie riferibili allo sviluppo economico ed alle attività produttive: basti pensare all’agricoltura, all’artigianato, al turismo e all’industria alberghiera, alla pesca (nelle acque interne), già elencate nell’art. 117 Cost. previgente tra le materie a competenza concorrente; ma anche all’industria ed al commercio che, oggi parimenti innominate, sono pure da annoverare nel novero della competenza residuale regionale. Ebbene, l’ampiezza dell’ambito di azione regionale trova un profilo problematico proprio in ordine alla portata dell’art. 19 l. n. 241/1990 in tali materie, in considerazione dell’impossibilità di riferirvi quanto previsto dall’art 1 co. 4 lett. b) della c.d. legge La Loggia, a norma del quale il legislatore statale deve indicare alle Regioni i principi fondamentali in materia di legislazione concorrente, anche con riferimento ai principi fondamentali in materia di autorizzazioni e concessioni: una previsione che, evidentemente, attiene alle materie elencate dal co. 3 dell’art. 117, ma non a quelle ascrivibili alla competenza residuale di cui al co. 4. La vexata quaestio, a ben vedere, discende dall’inclusione, tra le materie di competenza esclusiva statale, del solo “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato (…)”, e non anche del “procedimento amministrativo”. Essa si presta ad essere sciolta soltanto in via interpretativa: nell’ambito della ricerca sarà pertanto fondamentale orientare costituzionalmente l’analisi sul punto. In questa sede merita infatti di essere osservato come il ricorso alla “connessione naturale esistente fra la disciplina del procedimento e la materia dell’organizzazione”, sancita da C. cost. n. 465/1991 possa rappresentare un solido punto di partenza, che porterebbe a sostenere l’unicità ed omogeneità della disciplina del procedimento amministrativo tanto in ordine alle materie di cui al co. 3, a titolo di principi fondamentali, quanto in ordine alle materie di cui al co. 4, a titolo di competenza esclusiva statale trasversale. Ed infatti, proprio in questo senso, la citata sentenza della Corte costituzionale, sia pure nell’ambito di un obiter dictum, sembra offrire un aiuto alla soluzione dell’interrogativo, sancendo che “il procedimento amministrativo non coincide con uno specifico ambito materiale di competenza, in quanto modo di esercizio delle diverse competenze”. Esaurita siffatta trattazione, la ricerca svolge una disamina sugli ordinamenti regionali, al fine di offrire un quadro sulle forme di semplificazione poste in essere dai legislatori regionali ed esaminare i modelli virtuosi. E’ opportuno infatti rilevare che alcune Regioni hanno già avviato importanti processi di semplificazione e in alcuni casi, come in quello emblematico della abolizione dei libretti sanitari e di altri certificati analoghi (effettuata dalle leggi di alcune regioni come Lombardia e Emilia Romagna), si sono spinte molto in avanti, ottenendo peraltro l’avallo della Corte costituzionale (si veda la sent. n. 162 del 2004). La Regione Lombardia, in particolare, ha approvato nelle ultime due legislature una serie di significativi interventi in materia semplificazione amministrativa, tra i quali è opportuno ricordare la già citata l.r. n. 15/2002 che, oltre ad appianare l’ordinamento normativo, ha introdotto la denuncia di inizio attività in luogo degli atti autoritativi per le attività il cui esercizio non richieda preventive valutazioni discrezionali della P.A., ed il silenzio assenso. Con la l.r. n. 1/2005 (Interventi di semplificazione – Abrogazione di leggi e regolamenti regionali), inoltre, si segnala per le disposizioni relative alla liberalizzazione dell’attività d’impresa: a tal fine, prevede il principio che fa assurgere la d.i.a. a regola, e dispone che l’avvio, lo svolgimento, la trasformazione e la cessazione dell’attività d’impresa non siano soggetti a provvedimenti di autorizzazione, licenza o assenso.
ARENA, ROSANNA. "I GIUDICI E LA LEGGE REGIONALE DOPO LA RIFORMA DEL TIT. V COST. UNITA' DELLA REPUBBLICA E PROMOZIONE DELLE AUTONOMIE NEL GIUDIZIO INCIDENTALE." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016. http://hdl.handle.net/10280/10986.
Full textThe dispute between state and regions now committed to sustaining a significant part of the activity of the Constitutional Court. The aim of this dissertation is to look at the reform of Title V of the Italian Constitution through rulings made in the judgment “in via incidentale”, thereby shifting the observation point from the usual look of the distribution of powers in that of the protection of subject positions. This perspective will determine whether, and if so to what extent, has changed the role of the regional law, and also overcome some stickiness of judgment “in via principale”.
ARENA, ROSANNA. "I GIUDICI E LA LEGGE REGIONALE DOPO LA RIFORMA DEL TIT. V COST. UNITA' DELLA REPUBBLICA E PROMOZIONE DELLE AUTONOMIE NEL GIUDIZIO INCIDENTALE." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016. http://hdl.handle.net/10280/10986.
Full textThe dispute between state and regions now committed to sustaining a significant part of the activity of the Constitutional Court. The aim of this dissertation is to look at the reform of Title V of the Italian Constitution through rulings made in the judgment “in via incidentale”, thereby shifting the observation point from the usual look of the distribution of powers in that of the protection of subject positions. This perspective will determine whether, and if so to what extent, has changed the role of the regional law, and also overcome some stickiness of judgment “in via principale”.
Spina, Elisa. "L'articolo 44 della costituzione e la riforma del titolo V." Thesis, Universita' degli Studi di Catania, 2011. http://hdl.handle.net/10761/367.
Full textMichelotti, C. "La potesta' regolamentare comunale in materia edilizia dopo la riforma del titolo V della costituzione." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2006. http://hdl.handle.net/2434/64425.
Full textDE, DONA' MICHELANGELO. "PROVINCE E VIABILITA' DAL 1951 ALLA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE. IL CASO DI BELLUNO." Doctoral thesis, Università degli studi di Pavia, 2019. http://hdl.handle.net/11571/1263447.
Full textDE, DONA' MICHELANGELO. "PROVINCE E VIABILITA' DAL 1951 ALLA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE. IL CASO DI BELLUNO." Doctoral thesis, Università degli studi di Pavia, 2019. http://hdl.handle.net/11571/1263411.
Full textDE, DONA' MICHELANGELO. "PROVINCE E VIABILITA' DAL 1951 ALLA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE. IL CASO DI BELLUNO." Doctoral thesis, Università degli studi di Pavia, 2019. http://hdl.handle.net/11571/1263431.
Full textCAMELI, RENATO. "La funzione di controllo della Corte dei Conti: profili evolutivi tra innovazioni amministrative, riforme costituzionali e processo di integrazione europea." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2008. http://hdl.handle.net/2108/667.
Full textThe audit of the italian Court of Auditors: the evolution because of administrative innovation, constitutional reform and european integration First of all, there are an analysis about the historical reasons that were the basis of the Court’s institution and a general study about the l. n. 800/1862; subsequently, in the 1948, the Italian republican Constitution provides for the presence of an independent national control’s organ, like the Court, and, also, for the control over regions and local authority. Three different reasons bringed about an audit’s transformation, now in progress: at first, the development of public administration, today oriented towards economics and managerial profiles, to carry out the results and the targets; these development was promoted by important cultural studies, like “Rapporto Giannini” in the seventies, and by the legislative elaboration of principles like efficiency, effectiveness and economically. Second reason for the evolution of Court of auditors, was the constitutional reform in the 2001: the recent constitutional law n. 3/2001 supported the local authority’s autonomy and selfgovernment; consequently the Court’s role is today more important than in the past because this is a republican, and not only statal, independent audit’s organ. At last, third reason is the European integration’s process: the relationship between Italian Court, European Court of Auditors and others Supreme Audit Institutions national of control are problematic; the Treaty requires the Court's audit visits in the Member States to be carried out in liaison with the national supreme audit institutions or other competent national audit bodies: the cooperation is also the general principle.
CABAZZI, Riccardo. "La tecnocrazia in luogo della politica: la procedura per squilibri macroeconomici e le riforme negli Stati membri dell'Unione europea." Doctoral thesis, Università degli studi di Ferrara, 2020. http://hdl.handle.net/11392/2488151.
Full textThis thesis highlights the reasons why the current structure of the European Economic and Monetary Union has not been able to cope effectively with the effects of the global financial and economic crisis that broke out in the USA in 2008. In particular, since the introduction of the euro as single currency, there have been significant trade imbalances in the balance of payments of the EU Member States. However, until the outbreak of the crisis, these imbalances were concealed by the substantial break-even of Target 2 balances. Nevertheless, once the crisis broke out, a so-called sudden stop caused the collapse of the most important credit institutions of the peripheral States, which showed a clear over-exposure to credit. The rescue of these banks by public finances turned the private sector debt crisis into the so-called sovereign debt crisis. The procedure for macroeconomic imbalances, provided for by EU Regulations 1174/2011 and 1176/2011, was therefore established with the aim of monitoring also the imbalances relating to the private sector in Member States. However, certain thresholds of the indicators used for the scoreboard of this procedure show a clear underlying asymmetry. In this respect, the indicator on the current account balance is particularly significant. While the threshold for surpluses is set at 6%, the threshold for deficits is set at 4% proving that, compared to the former, the latter are considered more dangerous for the macroeconomic stability of a State. It follows, however, that, by considering debts and credits symmetrically, the procedure ends up attributing the greatest efforts at macroeconomic correction to the debtor Member States. This asymmetry therefore seems to contrast to the principle of equality among the Member States of the Union, as enshrined in Article 4 of the TEU and provided for in Article 11 of our Constitutional Charter. Moreover, the executives of PIGS Member States in adopting the most important national reforms post-2011 seem to have mainly complied with the recommendations of the procedure. This correlation therefore has two different implications, both of which are relevant from a constitutionalist point of view: on the one hand, the relationship between the political community and constitutional bodies has been affected, with repercussions on the functionality of political representation understood as a relationship and not merely as a position; on the other hand, there has been a surreptitious extension of the competences of the Union institutions, beyond the limits outlined by the principle of attribution pursuant to Article 5 TEU. With reference to this principle, it can therefore be seen that MIP recommendations relate to areas which would fall within the exclusive competence of the individual Member States, such as public administration, research and development, social security, taxation, health and social policy, and even go so far as to provide judgment on constitutional reforms. On the other hand, MIP recommendations do not seem to have significantly conditioned the political-legislative bodies of the surplus states, Germany above all, in developing their national policies. In this regard, there is the clear failure of the German governments to implement the repeated recommendations calling for greater public investment and a general increase in wages, in order to rebalance the relative national trade balance. This situation can probably be ascribed to the different political weight of the French-German axis compared to the much weaker one of the peripheral states. It therefore seems possible to conclude that the enforcement of the Procedure is intrinsically political, as the coercive degree of the recommendations, which are legally on the same level, seems to be linked to the credit or debt exposure of the various Member States.
Binato, Giulia. "La famiglia in senso giuridico dopo la riforma della filiazione: il modello italiano nell'ambito della tradizione giuridica occidentale." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3426344.
Full textNell’ambito della tradizione giuridica occidentale, la nozione di famiglia in senso giuridico sta subendo progressivi mutamenti. Anche a fronte di esiti similari, le modalità di tale evoluzione possono differire notevolmente. La ricerca mette in luce le evoluzioni del diritto di famiglia in alcuni ordinamenti occidentali, analizzando la ratio degli ampliamenti intervenuti ed evidenziando il formante a cui sono riconducibili. Lo studio muove dall’ipotesi che la Riforma della Filiazione italiana abbia un ruolo centrale nell’ampliamento della nozione di famiglia in senso giuridico nel nostro ordinamento. Esso mira dunque all’approfondimento dell’estensione raggiunta dalla nozione di famiglia in senso giuridico nell’ordinamento italiano, attraverso la collocazione del modello familiare italiano nell’ambito dei modelli riconducibili alla tradizione giuridica occidentale.
DE, BARDI CHIARA. "Il Riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di pubblico impiego." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2008. http://hdl.handle.net/2108/625.
Full textBENVENUTI, SARA. "Corte o corti? La tutela dei diritti fondamentali in Francia tra cooperazione e competizione." Doctoral thesis, 2013. http://hdl.handle.net/2158/817274.
Full textPICCHI, MARTA. "Sistema amministrativo regionale e rapporti centro-periferia. Spunti dal "federalismo d'esecuzione" nella prospettiva di una riforma costituzionale in Italia." Doctoral thesis, 1997. http://hdl.handle.net/2158/808074.
Full textSanchini, Francesco. "Profili costituzionali del Terzo settore." Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1183833.
Full textBUSSOLETTI, ANDREA. "L’età berlusconiana. Il centro destra dai Poli alla Casa della Libertà. 1994-2001." Doctoral thesis, 2015. http://hdl.handle.net/2158/854513.
Full textSTERPA, ALESSANDRO. "Il rapporto tra la legge statale e la legge regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione." Doctoral thesis, 2005. http://hdl.handle.net/11573/414412.
Full textThe thesis analyzed the relationship between state and regional lawa in relation with new constitutional rules of Title V as amended in 2001. The work focuses on this issue without giving up the theoretical framework of the relationship between sovereignty and autonomy.
GIURICKOVIC, ANNA. "Il conflitto tra interessi pubblici nell'azione amministrativa." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/11573/1360124.
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