Academic literature on the topic 'Responsabilità reato'

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Journal articles on the topic "Responsabilità reato"

1

Conti, Andrea. "L'applicazione automatica della pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale: illegittimità costituzionale e profili interpretativi." MINORIGIUSTIZIA, no. 4 (June 2021): 234–33. http://dx.doi.org/10.3280/mg2020-004023.

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Abstract:
L'Autore prenderà in esame la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittima l'automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale a seguito della condanna per il reato di sottrazione e trattenimento di minore all'estero. In particolare, verrà analizzato il quadro interpretativo di riferimento, l'ordinanza di rimessione, la sentenza della Corte Costituzionale e i problemi interpretativi ancora aperti, con specifico riferimento alla durata della pena accessoria e al ruolo dell'Autorità Giudiziaria penale.
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2

Galluccio, Alessandra. "Misure di prevenzione e "caporalato digitale": una prima lettura del caso Uber Eats." GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, no. 169 (April 2021): 105–20. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2021-169006.

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Abstract:
L'articolo ripercorre la vicenda di una delle prime applicazioni giurisprudenziali di una misura di prevenzione - quella dell'amministrazione giudiziaria a una società che si avvale di riders sottoposti a condizioni di sfruttamento lavorativo potenzialmente integranti il reato di cui all'art. 603-bis del codice penale. Il contributo, dopo avere offerto una panoramica della vicen-da e degli istituti coinvolti, si sofferma in particolar modo su alcune peculiarità del caso di spe-cie: l'uso degli indici di sfruttamento; la penale responsabilità di Uber e dei suoi dipendenti; il ruolo dell'amministratore giudiziario.
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3

Santoriello, Ciro. "Decreto spazza-corrotti e responsabilità da reato delle società : ovvero come tornare indietro di vent'anni nella prevenzione del reato nelle aziende." Archivio penale, no. 1 (2019): 77. http://dx.doi.org/10.12871/97888331805026.

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4

Pani, Luca, and Gilberto Corbellini. "Etica, Diritto e Neuroscienze. Saggio sui confini del giudizio umano." DIRITTO COSTITUZIONALE, no. 3 (October 2020): 9–38. http://dx.doi.org/10.3280/dc2020-003002.

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Abstract:
Da almeno tre decenni, le neuroscienze studiano le basi biologiche e psicologiche di comportamenti implicati nella regolazione della socialità umana, quali i giudizi e le azioni morali, nonché come riconoscere, stabilire e sanzionare comportamenti illegali. E' pertanto importante capire come usare la scienza nella determinazione dei processi che stabiliscono responsabilità e sanzioni per un reato commesso ovvero dell'imparzialità o indipendenza del giudice e della giuria, che sono condizionati nelle loro decisioni da pregiudizi. In tal senso le neuroscienze hanno ridefinito in modi del tutto diversi e quasi opposti alle assunzioni filosofiche di senso comune che ispirano la logica della giustizia, i presupposti di coscienza e volontà e, in ultima istanza, l'idea stessa di libero arbitrio.
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5

Skonieczny, Piotr. "Przestępstwa przeciwko Najświętszej Eucharystii : komentarz do art. 2 "Norm" Kongregacji Nauki Wiary "De gravioribus delictis" z 2001 r." Prawo Kanoniczne 54, no. 3-4 (July 9, 2011): 247–85. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2011.54.3-4.09.

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Abstract:
L’Articolo offre un commento esegetico riguardo ai disposti dell’art. 2 delle Norme della Congregazione per la Dottrina della fede De gravioribus delictis del 2001. L’Autore tratta diversi problemi particolari. Alcuni, in occasione dell’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima (art. 2 § 1, 2°): la sistemazione sbagliata (i due diversi tipi dei delitti – l’attentatio e la simulatio – nella stessa prescrizione); l’azione delle donne (il problema nel C.I.C. con la descrizione del delitto con i molti disposti); i „concelebranti” dell’attentato come i coautori (il concorso accidentale: il can. 1329 § 2 C.I.C. non può essere il titolo della loro responsabilità penale); „l’identificazione del momento della commissione del reato” (secondo l’Autore: qualsiasi azione liturgica della Santa Messa e non solo dopo la consacrazione; eppure questo è una richiesta de lege ferenda). Il reato della simulazione del sacrificio eucaristico può essere commesso soltanto da un sacerdote; finora questo peccato non era punibile. De lege ferenda bisogna avanzare la richiesta di cambiamento del can. 1044 § 1, 3° C.I.C.; esso deve riguardare anche il delitto di simulazione. I problemi scelti della concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale (art. 2 § 1, 3°): la formulazione errata del disposto (la soggettivazione dell’elemento nec agnoscunt ordinationis sacerdotalis sacramentalem dignitatem, che è stato relattivizzato dal ministro acattolico!); una proposta della correzione de lege ferenda: una cum ministris communitatum ecclesialium, qui successionem apostolicam non habent aut quorum communitates ecclesiales non agnoscunt ordinationis sacerdotalis sacramentalem dignitatem. Comunque le Norme del 2001 appaiono come un „Rinascimento” del diritto penale nella Chiesa.
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6

Pesce, Mario, Lavinia Bianchi, and Alberto Pesce. "Dalla dimensione disumana della tratta al riscatto sociale. Percorsi di violenza di genere." WELFARE E ERGONOMIA, no. 2 (January 2021): 76–97. http://dx.doi.org/10.3280/we2020-002007.

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Abstract:
Le vittime di tratta, ostaggio della criminalità organizzata e destinate al mercato del sesso, sono un fenomeno omogeneo, che ha bisogno di buone prassi, particolari e ad hoc, proprio per superare la percezione emergenziale e le generalizzazioni deleterie. In prevalenza le vittime di tratta sono donne che provengono dall'est europeo, oppure di na-zionalità nigeriane o sono transessuali che arrivano principalmente dal Sud America e rap-presentano un business importantissimo per i criminali. Queste donne, invisibili e senza voce, sono il più delle volte ostaggio di chi organizza il viaggio e, di conseguenza, tutto questo ren-de difficile la presa in carico da parte dei servizi sociali. L'intervento prende in esame, come caso di studio, le buone pratiche di accoglienza e presa in carico del servizio Roxanne del Comune di Roma, e delle discipline di scarsità, di sospetto e resistenza (Theodossopoulos, 2014) che le vittime di tratta attivano al fine di gestire il disa-gio della migrazione e della violenza (Appadurai, 2005), ricomponendo i disagi psicofisici della loro condizione. Le narrazioni delle donne nigeriane, delle donne dell'Est Europa e delle transessuali, che hanno contattato il servizio Roxanne o sono state intercettate dall'unità di strada, sono la prima parte del corpus qualitativo della ricerca. La seconda parte è un lavoro di analisi dei contenuti relativamente alle schede conservate dal servizio Roxanne e nelle strutture dove le vittime di tratta vengono inviate. La terza parte del corpus è l'analisi delle narrazioni di alcu-ni uomini detenuti per il reato di sfruttamento della prostituzione nelle carceri di Pavia e di Bollate (MI) per comprendere la totale disumanizzazione e la retorica della cosiddetta "pro-tezione" da parte degli sfruttatori. Le donne vittime di tratta sono permanentemente controllate e abusate dai loro carcerieri, in una costellazione di violenze e di continui atti brutali. A loro volta, i maltrattanti, respingono totalmente ogni responsabilità proiettando ogni colpa verso le maltrattate. Racconta uno di loro "sono libere di fare quello che vogliono, noi siamo qui solo per proteggerle, lei non le aiuterebbe?". Quello che emerge, dall'analisi dei dati, è una forma di normalizzazione della violenza da parte delle vittime di tratta, una forte marginalità (Douglas, 1993) ma, anche, una propen-sione alla resilienza.
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7

Tullini, Patrizia. "I sistemi di gestione della prevenzione e della sicurezza sul lavoro." GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, no. 127 (October 2010): 403–14. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2010-127001.

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Abstract:
Il d.lgs. n. 81/2008 ha valorizzato i sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro, prevedendo una pluralitŕ di modelli e sollevando problemi di coordinamento con i modelli organizzativi previsti dal d.lgs. n. 231/2001, ai fini dell'esonero dalla responsabilitŕ amministrativa da reato per le persone giuridiche. Il saggio affronta, in particolare, il tema dell'efficacia dei sistemi gestionali nella prospettiva dell'adempimento dell'obbligo di sicurezza e della responsabilitŕ civile del datore di lavoro.
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8

Poniz, Luca. "Intervento di tutela e responsabilitŕ delle persone giuridiche." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 2 (June 2012): 203–22. http://dx.doi.org/10.3280/qg2012-002008.

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Abstract:
Premessa / 1. Il quadro normativo / 2. La natura della responsabilitŕ codificata dal decreto n. 231/2001: l'interpretazione della giurisprudenza / 3. I presupposti applicativi. Interesse, vantaggio e reati colposi / 4. La struttura dell'illecito; il rapporto tra i profili delineati dal decreto n. 231/2001 e le norme prevenzionali / 5. L'organo di vigilanza e i suoi requisiti / 6. Cenni all'identificazione dei soggetti; apicali e sottoposti / 7. La grande responsabilitŕ della magistratura.
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9

Berardi, Silvio. "Le colonie italiane nel secondo dopoguerra: il Partito repubblicano e la questione somala (1948-1950)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (July 2012): 91–118. http://dx.doi.org/10.3280/mon2012-001004.

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Abstract:
Il saggio intende ricostruire una tra le pagine piů complesse della politica coloniale italiana: la questione somala dai tragici fatti di Mogadiscio dell'11 gennaio 1948 al ritorno italiano in Somalia del 1950. La stampa nazionale fu concorde nel ritenere indirettamente responsabili dell'eccidio i funzionari britannici in Somalia, incapaci di tutelare e proteggere la comunitŕ italiana presente sul territorio. Il Partito repubblicano, impegnato in una difficile e complessa riorganizzazione interna, evitň di prendere nell'immediato una posizione ufficiale. Il ministro degli Esteri, il repubblicano Carlo Sforza, intervenendo a Napoli al XX congresso del partito, in cui l'orientamento prevalente fu quello di continuare a sostenere l'esecutivo e le politiche democristiane, escluse la responsabilitŕ del governo britannico nella strage. All'interno del partito, tuttavia, si stavano delineando delle frizioni, del resto sempre presenti, ma mai cosě ben avvertite: mentre la maggioranza era vicina alla posizione di Sforza di favorire il ritorno degli italiani negli antichi territori somali al fine di stimolare la collaborazione tra Europa ed Africa e salvare l'onore nazionale, una piccola minoranza, composta tra gli altri da Giovanni Conti e Giulio Andrea Belloni, richiamandosi agli antichi ideali del Partito repubblicano, era contraria a tale ritorno. La posizione "colonialista" risultň vincitrice, anche per l'emergere di una nuova classe dirigente, destinata a modificare, non senza contraccolpi, gli orientamenti del partito stesso.
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10

Lorettu, Liliana, and Giancarlo Nivoli. "La pericolositŕ sociale psichiatrica tra attualitŕ e criticitŕ." RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA, no. 1 (April 2011): 43–52. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2011-001004.

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Abstract:
L'evoluzione della legislazione in tema di assistenza psichiatrica a partire dal 1978 non č stata accompagnata da una parallela trasformazione dell'interfaccia giuridica; la posizione del malato di mente autore di reato considerato incapace di intendere e volere continua ad essere sottoposta al giudizio di pericolositŕ sociale psichiatrica con le conseguenti misure di sicurezza, su cui si regge l'esistenza dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario. In questa prospettiva il trattamento del paziente psichiatrico autore di reato si configura come estremamente complesso e gravato dalla irrisolta antinomia cura/custodia. Tuttavia l'abolizione della presunzione di pericolositŕ ha modulato l'applicazione stessa delle misure di sicurezza verso assetti piů terapeutici. Le criticitŕ di percorso riguardano la valutazione della pericolositŕ sociale, la individuazione di luoghi di trattamento appropriati, la opportunitŕ di interventi mirati al comportamento violento e non ultimo il profilo di responsabilitŕ dello psichiatra.
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Dissertations / Theses on the topic "Responsabilità reato"

1

Canova, Anna Paola <1989&gt. "Genitori autori di reato tra responsabilità penale e responsabilità genitoriale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4074.

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Abstract:
L'oggetto di studio e ricerca è costituito dai genitori autori di reato i quali devono rispondere di una responsabilità verso i figli e una responsabilità verso il reato e la pena che ne consegue. La questione è affrontata alla luce dell'etica sociale a partire dalla concezione di responsabilità conseguente e antecedente. L'obiettivo è quello conoscere l'entità e l'implicazioni dell'intersezione tra le differenti responsabilità che si creano nei casi in cui colui che compie un reato riveste un ruolo genitoriale. La responsabilità intesa come imputazione, ovvero la responsabilità di aver compiuto un'azione, in questo caso un reato, si interseca alla responsabilità in qualità di genitore nei confronti del figlio e alla responsabilità intesa come “gestione sociale del rischio” che si traduce nell'intervento ad opera delle istituzioni volto al sostegno della genitorialità.
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GERMANO, RICCARDO. "La responsabilità per omesso impedimento dell'evento reato." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2021. http://hdl.handle.net/10281/314887.

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Abstract:
La trattazione ha ad oggetto la responsabilità penale per omesso impedimento del reato e per omesso impedimento dell’evento concausato dall’azione criminosa di un terzo, nella giurisprudenza e nella dottrina italiana. Dopo un approfondimento sul controverso concetto di omissione nel diritto penale, il lavoro affronta gli orientamenti di giurisprudenza e di dottrina sull’omesso impedimento dell’evento-reato, ricostruito a partire dagli istituti della commissione mediante omissione e del concorso di persone nel reato. Il tema viene, infine, analizzato dalla prospettiva dell’omissione propria, proponendo un inquadramento del fenomeno all’interno delle “omissioni intermedie”.
The thesis deals with the criminal liability for failure to prevent crimes and failure to prevent events caused by criminal actions, in the Italian case law and literature. After a study on the controversial concept of “omission” in criminal law, the thesis addresses the judgements and the scholarship based on the commission by omission and on the criminal complicity. Eventually, the topic is addressed from the perspective of the “offences of failing to act”, suggesting the framework of the “omission of medium gravity” for the failure to prevent crimes.
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Ingrassia, A. "OMISSIONE IMPROPRIA E REATO ECONOMICO. LA RESPONSABILITÀ PER OMESSO IMPEDIMENTO DEL REATO ALTRUI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/234165.

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Abstract:
The dissertation deals with the theoretical model trough which is possible to retain someone criminally liable for an omission in preventing someone else to commit an economic crime. After a short introduction in Chapter 1, concerning the research outlines, Chapter 2 faces the general issue about the possibility to consider the crime committed by someone as the “event” mentioned by par. 40 of Italian Criminal Code. As far as this attribution is legally acceptable, in Chapters 3 and 4 the attention is focused on different specifications of the model, respectively in relation with traditional and economic crimes. The cornerstone of Chapter 5 is the identification of gatekeepers who have the duty to prevent crimes that could be committed in pursuing company business. Chapter 6 identifies and lists the powers granted to gatekeepers under Italian legal system in order to prevent the commission of crimes and shows how Courts test the suitability of such powers in single judicial cases. Chapter 7 is built on the description of the interpretive paths that Courts and Authors underwent to describe gatekeepers’ “malice”. Conclusions traces evaluation of the research and suggests other profiles which may deserve to be developed.
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D'ACRI, VENETO. "La responsabilità delle persone giuridiche derivante da reato." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/974.

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5

MOSSA, VERRE MARCO. "RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI E RIPARAZIONE AMBIENTALE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2022. http://hdl.handle.net/2434/932786.

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Abstract:
Reparative measures and sanctions for legal entities are two key policy options for an effective response against environmental crimes. Italian environmental criminal law includes several reparative obligations or mitigations/exclusions of the penalty due to reparation activities. These legal provisions address just the criminal sanction for natural persons. However, a closer look at the remedial activities involved demonstrates that, commonly, the individual can comply with reparative obligations only by using the means of the corporation. Analyzing the interplays between the individual and corporate dimension of remedial activities for environmental crimes is the aim of this doctoral thesis, in order to identify flaws in the current legislation and to advocate the needing for rationally reforming the environmental reparation measures, involving primarily the corporation and fitting with rules and policy goals of the legislative decree 231/2001.
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6

Galli, Elisabetta. "La responsabilità penale dell'ente da reato ambientale (d.lgs. n. 231/2001)." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3423683.

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Abstract:
My PhD research is focused on the theme of the extension of essentially criminal liability to corporate entities in terms of environmental crimes as provided in the Legislative Decree n. 231/2011. It intends to review the innovation aspects of such a legislative choice. In compliance with the European regulations and especially and implementation of EU Directive n. 2008/99CE on the Protection of the Environment through Criminal Law, as well as EU Directive n. 2009/123/EC relating to pollution caused by ships, Italy has issued the Legislative Decree n. 121/2011 which extends the liability for a certain number of personal profit environmental crimes to corporate entities (the art. 25-undecies has been inserted in Legislative Decree n. 231/2011). My research project has studied many points in detail with reference to the development of legal principles and in case law: the implementation of the contents of above-mentioned directives, the catalogue of contemplated crimes, the consistency of requisite of personal interest or profit with offences (fraud and fault liability crimes), compliance programs development, check and management fit for facing environment risk-crime. Finally, a few proposals concerning, for example, the catalogue of contemplated crimes, compliance programs have been put forward as they could minimize the environmental risk-crime in accordance with the precautionary measures provided by environmental management systems devised on the grounds of standards UNI/EN ISO 14001:2004 (International Organization for Standardization) and the Regulation EMAS (Eco-Management and Audit Scheme).
La tesi di Dottorato affronta il tema dell’estensione della responsabilità penale degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001 ai reati ambientali. Esamina gli aspetti di innovazione di tale scelta normativa. Su sollecitazione europea, ed in specie delle direttive comunitarie n. 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente e n. 2009/123 sull’inquinamento provocato dalle navi, l’Italia ha emanato il d.lgs. n. 121/2011 che estende alle persone giuridiche la responsabilità per alcuni reati ambientali commessi nel loro interesse o vantaggio (inserendo l’art. 25-undecies nel corpus del d.lgs. n. 231/2001). Molte sono le questioni approfondite nel lavoro, tenendo conto dell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale: il rispetto delle indicazioni contenute nelle sopraccitate direttive; il catalogo dei reati-presupposti; la compatibilità del requisito dell’interesse o del vantaggio con le contravvenzioni (reati punibili sia a titolo di dolo sia di colpa), la possibilità di elaborare modelli di organizzazione, gestione e controllo che siano veramente efficaci nel contrastare il rischio-reato ambientale. Infine, si sono formulate alcune proposte, ad esempio, in tema di reati-presupposto o di modelli di organizzazione, gestione e controllo atti a minimizzare il rischio-reato ambientale, che tengano conto in particolare dei sistemi di gestione ambientale elaborati sulla base alle norme UNI/EN ISO 14001:2004 (International Organization for Standardization) e al Regolamento c.d. EMAS (Eco-Management and Audit Scheme).
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7

Cadamuro, Giorgia <1988&gt. "Il D.Lgs. 231/2001: la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4374.

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8

Giliberti, Serena. "La responsabilità da reato degli enti tra disciplina normativa e prassi applicativa." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8615.

Full text
Abstract:
2011/2012
Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto la disciplina della c.d. responsabilità amministrativa da reato degli enti e costituisce una delle più importanti e profonde innovazioni del nostro sistema penale. Il lavoro, lontano dalla pretesa d’esser un commentario del decreto, è focalizzato sugli articoli 6, 7 e 8 dello stesso, poiché queste tre norme disciplinano il sistema di imputazione del reato all’ente e ne costituiscono il nucleo innovativo. Ciò che rende dirompente la portata della disciplina introdotta nel 2001 è, infatti, l’introduzione di un nuovo soggetto di diritto all’interno del nostro sistema penale: l’ente. L’attenzione, dunque, è stata posta sul come a questo nuovo protagonista dell’illecito penale sia stata attribuita una responsabilità che, al di là dei nominalismi, fino al 2001 era riservata alla persona fisica. Ciò al fine di comprendere se i criteri prescelti dal legislatore abbiano determinato un’integrazione di questo nuovo soggetto nel nostro ordinamento ovvero se sussistano delle problematiche di ordine dogmatico o relative alla prassi applicativa che ne impediscono il coordinamento con gli istituti propri del diritto penale. In altre parole, obiettivo del lavoro è comprendere se la novella del 2001 abbia determinato la necessità di ripensare agli istituti tradizionali del nostro diritto e ai principi che illuminano lo stesso ovvero se, al di là delle perplessità che ogni cambiamento porta con sé, sia possibile trovare un posto per la responsabilità da reato dell’ente all’interno del sistema penale così com’è. La prima parte della tesi ha carattere introduttivo ed è dedicata, premessa una riflessione circa le ragioni della “criminalizzazione” delle persone giuridiche, all’analisi dell’ente quale soggetto di reato “nel tempo e nello spazio”. La responsabilità da reato degli enti è stata presa in considerazione “nel tempo” nel senso che, in primo luogo, si è effettuato un breve excursus storico relativo all’evolvere del pensiero giuridico in merito, per l’appunto, all’ente quale possibile destinatario del precetto penale. Ciò al fine di comprendere quale sia la portata dell’introduzione di un principio di responsabilità da reato delle persone giuridiche alla luce dell’evoluzione storica di un pensiero giuridico caratterizzato dal principio secondo cui societas delinquer e non potest. L‘ente quale soggetto d’illecito penale è stato preso, poi, in considerazione nella sua dimensione “spaziale”. Il fenomeno della criminalità d’impresa è, infatti, per sua natura “internazionale”, sia nel senso che lo stesso si presenta in tutti gli stati economicamente sviluppati, sia in quanto è frequente che si estenda oltre i confini di una singola nazione. Si è ritenuto opportuno analizzare, seppur senza pretesa di esaustività, quali sono state le reazioni e le proposte di alcuni dei principali attori politici ed economici del nostro tempo a tale fenomeno, per comparare le varie alternative offerte dagli ordinamenti finalizzate ad accogliere (e sanzionare) questo nuovo soggetto di diritto. La seconda parte della tesi analizza le ragioni dello sgretolamento, all’interno del mondo occidentale, del principio in forza del quale societas delinquere non potest, funzionale ad introdurre la vexata quaestio circa la natura della responsabilità da reato dell’ente, così come pensata dalla dottrina e dal legislatore italiano. Premessi questi doverosi rimandi alle questioni che possiamo considerare ormai “classiche” quando si parla di decreto legislativo 231/2001 - principio d’irresponsabilità penale degli enti, natura della responsabilità delle persone giuridiche etc. – la terza parte del lavoro s’incentra sulla compiuta analisi del criterio d’imputazione del fatto all’ente. Quest’ultimo è connotato da una componente oggettiva, dato che l’ente non è responsabile di tutti i reati che siano stati commessi dai suoi dipendenti od esponenti, ma solamente di quelli commessi “nel suo interesse o vantaggio” e da una componente soggettiva, di cui la c.d. “colpa in organizzazione” è cardine. La prospettiva di osservazione è duplice: da un lato sono posti in rilievo i problemi di natura dogmatico-interpretativa sollevati dalla dottrina negli ultimi dodici anni, dall’altro, preso atto che un nuovo soggetto di diritto è entrato a far parte dell’ordinamento penale, si è cercato di analizzare le pronunce più rilevanti della giurisprudenza in argomento. Ciò al fine di valutare se la rivoluzione introdotta dal decreto sia stata fonte di dubbi e problemi applicativi e interpretativi anche a livello di prassi. L’analisi delle pronunce giurisprudenziali è stata trasversale: non si è cercato di comporre un quadro delle sentenze più significative in ambito “231”, quanto piuttosto di cogliere all’interno delle stesse ogni collegamento all’argomento che qui interessa: l’imputazione del reato all’ente. Attraverso le critiche della dottrina e l’analisi mirata delle pronunce giurisprudenziali, si giunge a verificare se il criterio d’imputazione del reato all’ente e, dunque, l’intero sistema della “responsabilità amministrativa da reato dell’ente”, nonostante l’antinomia della locuzione, non soltanto regga, ma si consolidi come nuovo pilastro dell’ordinamento penale stesso.
XXV Ciclo
1979
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9

Aversano, Tatiana. "Impresa illecita e illecito d'impresa nel quadro della responsabilità degli enti da reato, con riferimento in particolare ai reati associativi." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3424569.

Full text
Abstract:
Thesis: Illegal and illicit business within the framework of the corporate entity’s liability for the offense, with particular emphasis on criminal enterprises. In recent years, the distinction between illicit and illegal business has assumed significant importance in Italian criminal law; the point relates to the relationship between crimes and conspiracy, and the effects of sanctions on assets and particularly confiscation. Part one outlines the concept of illegal business, as it relates to the offense of criminal corporate enterprise, as written in art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001, as defined by L.94 / 2009. Theoretically, the distinction is clear. Illegal business is the result of companies whose economic activity is aimed exclusively at crime. For example, considering a company that operates exclusively in drug trafficking or money laundering or fraudulent misrepresentation to obtain public subsidies, or to a company set up for the sole purpose of committing tax fraud (in particular to VAT). Such activity is akin to the Continuing Criminal Enterprise, punished by the US Code § 848. Illicit business is, by contrast, a crime committed by a company that is operating within the law. The criminal consequences for both are clear. Illegal business is a form of organized crime and normally requires the participation of all members of the company; so all of them can be subject to the confiscation of their assets. Illicit business, on the other hand, holds responsible only those people who commit the crime. For them, confiscation applies only to the product, profit or, at most, their equivalent value. However, new laws and new practices have drastically changed the parameters. The most interesting suggestions come from the analysis of criminal associations that are practiced within "legal contexts". That is the borderline between illicit and illegal organizations. Companies who practice traditional crimes tend to use intimidating methods to make profits that border on lawlessness and extortion. You can find these kinds of criminal organizations, with increasing frequency, in successful businesses with a lot of economic turnover. It’s essential to realize that within companies, there is an important distinction between corporate crime and organized crime, and article 416 of the Italian Criminal Penal Code can be applied only to organized crime. Sometimes the distinction between lawful and unlawful organizations (or business enterprises) is not so clear, especially in the field of Environmental Criminal Law and rules relating to criminal waste. These rules are aimed at entrepreneurs and not at private citizens. The analysis breaks down in two areas of investigation. On the one hand we need to define what makes an organization illegal, even looking into civil law. On the other hand, we also need to examine the rules laid out in art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001. This article was incorporated by Law no.94 / 2009, and was designed to provide timely legislative action against companies who operate with the appearance of legitimacy, but in reality are connected to criminal elements. So, when corporate organizations show evidence of criminal involvement, they are practicing illegal rather than illicit associations. In these cases article 416 of the Italian Criminal Penal Code. et seq. and art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001 can be applied. Article 24 -ter can also be used for a wide range of other crimes not specified in this law. This sets a dangerous precedent for all companies, because this law could be widely interpreted. The problem is that the loose interpretation makes it difficult for companies to create valid and efficient compliance programs. What is more, aspects of the law are being constantly updated. The second part of the thesis examines the conflicts that arise as a result of criminal corporate liability, especially in relation to tax fraud legislation. The lack of specifics in this legislation described in Decree 231/2001 has created a lot of problems and a serious legal debate. Some jurists wish to see the law more strictly applied. Proponents believe that the system should have better overall effectiveness in terms of the fight against tax fraud and tax evasion. Opponents fear that it would create unnecessary obstacles for companies by increasing the number of sanctions that could be brought against them. In general, the legislature's choice of excluding tax fraud from the Decree 231/2001 has been widely criticized and subject to subsequent attention from Parliament, which –in 2013- tried to include tax crimes in the Legislative Decree. Tax fraud is the trademark of organized economic crime. There is an intense need for criminal policy to strengthen the fight against tax evasion. The point is to prevent illegal tax evasion by adopting valid compliance structures and programs. After reviewing the complex debate on the inclusion of tax fraud into the Legislative Decree no. 231/2001, this theses aims to identify multiple methods by which tax fraud has an indirect impact on corporate criminal liability. a) Firstly the Legislative Decree no. 231/2001 already addresses some tax crimes, for example money laundering. b) Secondly, some links have recently been made between tax fraud and Legislative Decree no. 231/2001, for example with the introduction of seizure and confiscation taxes. Finally, the last part of the thesis makes interesting comparisons between the Italian system and corporate criminal liability in China on the one hand, and the Anglo-American model on the other hand. Chinese law provides for different types of crimes, attributable both to persons and to companies. The Chinese model has been qualified as a "social system of personalized responsibility," this expression means a system in which the company has its own will and operating methods, so its actions are not to be confused with those of individuals. Whereas in US law the rules of “diversion procedures” (deviations from the normal sequence of the criminal process before the delivery of sentencing) can also be applied to companies. They are, today, the main instrument used to fight against corporate crimes. Since the '90s, we have noticed the gradual growth of the DPA (deferred prosecution agreement) and NPA (non-prosecution agreement). Also the United Kingdom has recently introduced a specific regulation regarding corporate criminal liability.
Il lavoro si pone l’obiettivo di esaminare un tema di alta difficoltà e complessità. In anni recenti, la distinzione tra impresa illecita e illecito d’impresa ha assunto nel diritto penale italiano un’importanza significativa: il rilievo attiene sia ai rapporti tra concorso di persone nel reato e associazione per delinquere, sia agli effetti dell’applicazione delle sanzioni di natura patrimoniale e della confisca in particolare. La prima parte delinea il concetto di impresa illecita, in rapporto all’illecito penale dell’impresa e alla sua qualificazione avvenuta con l’art. 24-ter del D.Lgs. 231/2001, così come definito dalla L.94/2009. In via teorica e in astratto, la distinzione è precisa. L’impresa penalmente illecita è l’impresa (o società) la cui attività economica è volta esclusivamente al crimine: si pensi ad una società che opera esclusivamente nel traffico degli stupefacenti o nel riciclaggio di denaro o nella percezione fraudolenta di sovvenzioni pubbliche, oppure ad una società costituita al solo scopo di commettere frodi fiscali (all’Iva in particolare). La figura, dunque, è affine al Continuing Criminal Enterprise, punito dal § 848 US Code. L’illecito penale dell’impresa è, invece, il reato commesso episodicamente da un’impresa dedita ad un’ attività economica lecita in sé. La distinzione, ancora in via teorica ed in astratto, è precisa anche per le conseguenze penali. L’impresa penalmente illecita si colloca nel campo della criminalità organizzata e comporta normalmente l’applicazione dei delitti associativi a tutti i soggetti partecipi dell’impresa; nel contempo la confisca si può applicare all’impresa nel suo complesso. L’illecito penale dell’impresa (lecita), invece, comporta la responsabilità soltanto del soggetto che ha commesso quel reato che sia riconducibile all’impresa: se i soggetti sono più di uno si applica l’istituto del concorso di persone; nel contempo, la confisca riguarda soltanto il prodotto, profitto, prezzo di quel reato o, tutt’al più, il valore equivalente di essi. Tuttavia, nuove leggi e nuove prassi hanno mutato profondamente i termini della questione. Le suggestioni più interessanti in tema di organizzazione sono quelle che provengono dall’analisi giurisprudenziale e dottrinale in materia di associazione per delinquere applicata a “contesti leciti”. Ecco farsi strada la problematica del confine tra organizzazioni illecite e illeciti delle organizzazioni. Superate queste premesse di tipo tradizionale, la ricerca vive all’interno di uno scenario più complesso dove la criminalità tradizionale cerca di assomigliare all’impresa lecita e dove le imprese lecite tendono a usare mezzi di ricerca del profitto che sfiorano l’illegalità, anche metodi intimidativi ed estorsivi tipicamente mafiosi. L’impressione è che si debba andare alla ricerca delle premesse criminologiche di questa realtà nuova, in condizione di crisi economica, tra agire sul mercato, lecito o illecito che sia, e aggirare il mercato, lecito o illecito che sia. L’associazione per delinquere, con sempre maggiore frequenza, trova un campo d’applicazione privilegiato rispetto a ipotesi delittuose tipicamente riconducibili allo svolgimento di attività economiche, in particolare di carattere imprenditoriale. Dall’analisi condotta, il soggetto collettivo non rappresenta l’effettivo destinatario dell’arricchimento patrimoniale conseguente alla realizzazione delle fattispecie oggetto del programma criminoso, e nemmeno il destinatario, anche indiretto, della risposta sanzionatoria. Siamo, piuttosto, di fronte alla strumentalizzazione dell’ente a opera di soggetti che realizzano le fattispecie criminose per un fine e un profitto esclusivamente personali. L’affermazione si regge sull’interpretazione che vuole, ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, non l'apposita creazione di un'organizzazione sia pure rudimentale, ma di una struttura che può anche essere preesistente all’ideazione criminosa, anche se dedita a finalità lecite. Fenomeno concettualmente distinto, riconducibile al caso in cui l’organizzazione lecita sia funzionale alla sola perpetrazione di reati, si ha nell’ipotesi in cui l’associazione per delinquere si annidi all’interno di un’organizzazione indiscutibilmente lecita, utilizzandone la struttura per la commissione di reati, senza tuttavia piegarla a finalità criminali. La liceità dei fini dell’associazione destinataria dei profitti si riverbera sul dolo di ciascun imputato, il quale, se convinto di partecipare alla realizzazione di scopi leciti, non poteva essere consapevole di partecipare a un’associazione criminale. Trattasi, dunque, di reiterate condotte criminose non rappresentanti l’ordinarietà quanto piuttosto di “deviazioni occasionali dalle regole di condotta generali” , tali da non fondare una responsabilità ex art. 416 c.p.. L’organizzazione rappresenta, dunque, uno degli argomenti interpretativi portati a sostegno della ontologica distinzione tra fenomeno dell’accordo e fenomeno associativo. Porre l’accento sull’elemento organizzativo consente di prospettare un interessante spunto di indagine. Si impone quindi di guardare con particolare attenzione ai concetti di organizzazione lecita e organizzazione illecita e ai fenomeni a essi sottesi della criminalità d’impresa e della criminalità organizzata. Criminalità d’impresa e criminalità organizzata mantengono ambiti soggettivi e oggettivi non coincidenti . La criminalità d’impresa è definita come una manifestazione della criminalità economica colta nel suo momento genetico, quale espressione di un organismo produttivo e indipendentemente dall’incidenza lesiva che può coinvolgere interessi individuali e collettivi. A delimitare la categoria risulta comunque indispensabile un requisito di base: parlando di impresa si postula un’attività economica fondamentalmente lecita. E si tratta di una liceità sotto il profilo dell’attività dedotta quale oggetto dell’impresa ovvero della natura dei beni o servizi forniti al mercato. Pertanto, la criminalità d’impresa può riflettere occasionalmente delle défaillances oppure può affondare le radici in una “politica” viziata, ma sempre sul presupposto di una iniziativa come tale accettabile, tendenzialmente positiva sul piano sociale, che non può essere estranea a priori alla garanzia dell’art. 41 Cost. Proprio il carattere incidentale rispetto a una legittimità di fondo, differenzia la criminalità d’impresa dalla criminalità organizzata, nella quale la violazione della legge penale assurge a scopo, a oggetto dello scopo associativo. Perciò, anche nelle sue forme più gravi la criminalità di impresa non può varcare la soglia dell’art. 416 c.p. . In termini di rilevanza penale la distinzione risulta chiara: data un’associazione criminale, la semplice partecipazione costituisce reato, indipendentemente dal concorso nei delitti scopo; la criminalità d’impresa pone al contrario un problema di imputazione delle manifestazioni devianti, nessun rilievo assumendo il mero inserimento nell’organizzazione. Nel secondo caso, a differenza che nel primo, posta la valenza neutrale e anzi costruttiva dell’iniziativa imprenditoriale, si impone una repressione “oggettivamente (nei limiti degli aspetti devianti) e soggettivamente mirata”. L’esigenza di dare risposta alla domanda prospettata in precedenza, ovvero la necessità di definire cosa debba intendersi per illiceità del requisito organizzativo, se esistano delle caratteristiche che rendano l’organizzazione intrinsecamente illecita o se tale tratto dipenda, in ultima istanza, dalla mera scelta dell’interprete in sede di applicazione della fattispecie incriminatrice, induce a soffermarsi sulla disciplina dei reati in materia di rifiuti. Infatti nel settore del diritto penale ambientale si realizza, quella commistione concettuale, precedentemente evidenziata, tra impresa lecita e impresa illecita. Commistione che, tuttavia, rappresenta il frutto di una certa tipizzazione delle fattispecie incriminatrici. Sebbene si tratti di fattispecie comuni, realizzabili da chiunque tenga la condotta incriminata, sia che si tratti di gestione, traffico o attività organizzata, la gran parte dei reati possono essere commessi solo nell’ambito di attività d’impresa, posto che la produzione e la gestione nella quale rientrano la raccolta, il trasporto, lo smaltimento e il recupero di rifiuti sono quasi sempre appannaggio di imprenditori e non di privati cittadini. L’analisi si scompone a questo punto in due aree d’indagine. Da un lato vi è la necessità di proseguire nella definizione, laddove possibile, di cosa renda illecita un’organizzazione, anche indagando settori disciplinari complementari a quello penale, come la disciplina civilistica ed in particolare l’ipotesi di impresa illecita come impresa apparentemente lecita. Nella disciplina civilistica il concetto di organizzazione non si connota in termini di neutralità, non si presta agevolmente ad essere plasmato in relazione alle esigenze di tutela che emergono in sede applicativa. Ciò è fatto palese proprio dal rilievo costituzionale dato all’attività economica, che nella quasi totalità dei casi è organizzata a impresa, ancorché l’esercizio di un’attività d’impresa non è sinonimo dell’esercizio di un’attività economica. L’attività imprenditoriale, dunque, produce ricchezza ed è preordinata alla circolazione di questa con una positiva ricaduta sulla comunità, per questo l’art. 41 Cost. ne indica i caratteri e le finalità, nonché i limiti da osservare. Nell’ottica civilistica, l’organizzazione è fatta coincidere con un’attività che corrisponde in modo sistematico alle esigenze di funzionalità e di efficienza di un’impresa, per lo più collettiva. E che, per la giurisprudenza, diviene la capacità dell’imprenditore di organizzare uno qualsiasi dei fattori della produzione e quindi anche il solo capitale, non essendo l’assunzione della qualità di imprenditore necessariamente correlata all’utilizzazione del lavoro altrui, o, addirittura, la mera attività svolta in modo sistematico e continuo anche con mezzi rudimentali e limitati. Ne deriva che il discorso sull’organizzazione è un discorso sulle modalità di esercizio dell’attività. Per esercitare l’attività, occorre necessariamente l’opera di coordinamento dei fattori produttivi – capitale, lavoro, terra – nel senso che l’imprenditore deve organizzarsi e organizzare tali fattori. Dall’altro lato, si ritiene necessario esaminare la disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, specie dopo che il legislatore vi ha ricondotto, come ipotesi di reato-presupposto, alcune fattispecie associative previste dall’art. 24 ter del d.lgs. 231/2001. Nel volgere di alcuni anni si è assistito ad un progressivo allontanamento dall’originario modello di responsabilità degli enti, che operano per il perseguimento di finalità lecite al cui interno possono essere commessi reati che non incidono sulla generale liceità dell’esercizio d’impresa. Quindi, a seguito di molteplici interventi normativi sul d.lgs 231/2001 l’ipotesi di ente criminale – prima rappresentata come del tutto eccezionale – adesso si delinea come figura destinataria del precetto. La legge n.94/2009, inserendo nel d.lgs. 231 i reati di associazione - prima rilevanti solo se aventi il carattere della trasnazionalità (ai sensi della legge n. 146 del 2006) - aveva l’obiettivo di rispondere alla necessità di prevedere un opportuno intervento legislativo contro le ipotesi in cui l’attività illecita derivasse da un intervento da parte di associazioni mafiose o fosse direttamente realizzata da un’impresa mafiosa, operanti con apparenza di legittimità ma in realtà dirette da poteri criminali. Dunque, quando si estende la responsabilità degli enti rispetto ai reati che sembrano essere espressione di associazioni per delinquere, allora ci troveremo di fronte ad associazioni illecite piuttosto che ad illeciti di associazione. Di conseguenza nel caso in cui, all’interno dell’ente, vengano commessi reati espressione di associazioni penalmente rilevanti, da soggetti i quali avvalendosi proprio della struttura organizzata dell’ente ne intacchino la liceità, si rientrerà all’interno delle fattispecie sanzionate dagli artt. 416 c.p. e seg. e dall’art. 24 ter D.lgs. 231/2001. La peculiarità di questi nuovi reati presupposto, introdotti nel 2009, è proprio quella di non essere accomunati dall’obiettivo di tutela di un determinato bene giuridico da particolari forme di offesa (si pensi ai reati contro la P.A, ai reati finanziari, ai reati colposi della sicurezza sul lavoro). Il collante dei nuovi delitti è essenzialmente empirico-criminologico, essendo tutti diretti a contrastare attività criminose particolarmente gravi, normalmente appannaggio delle grandi organizzazioni criminali e spesso strumentali alla loro stessa esistenza. In questa prospettiva di lotta alla criminalità organizzata sono ricompresi sia alcuni importanti reati-fine (traffico di stupefacenti, commercio e fabbricazione di armi, sequestro di persone a scopo di estorsione), sia i due principali reati-mezzo codicistici, cioè le condotte associative in senso stretto tipizzate dagli artt. 416 e 416 bis c.p.). È proprio il richiamo a queste due fattispecie incriminatrici che potrebbe determinare effetti di estensione delle ipotesi tipiche di responsabilità dell’ente probabilmente assai più ampi di quelli che il legislatore aveva preventivato. Sul piano dell’organizzazione societaria è allora evidente come il reato associativo sia astrattamente contestabile per il semplice fatto che l’ente abbia realizzato degli illeciti. Le conseguenze pericolose: difficoltà di predisporre validi ed efficaci modelli organizzativi di gestione e prevenzione dei reati che rischieranno di risultare vaghi ed inadeguati, proprio per il fatto che si pone l’ulteriore variabile di poter estendere l’applicazione dell’art. 24 ter anche a fattispecie delittuose non comprese nel novero dei reati presupposto di cui al d.lgs 231/2001. È evidente come il legislatore abbia impresso alla disciplina della responsabilità degli enti, prevista dal D.Lgs. 231, una doppia velocità: - da un lato l’apparato sostanzialmente immutato, delle disposizioni di parte generale con i principi di garanzia, i presupposti della responsabilità dipendente da reato, l’apparato sanzionatorio e le norme processuali; - dall’altro lato una serie di reati presupposto caratterizzato dal rapido ampliamento rispetto alla soluzione iniziale alquanto ristretta. La seconda parte del lavoro, esamina alcuni conflitti che sorgono nell’ambito della disciplina della responsabilità delle organizzazioni, soprattutto in relazione al rapporto con la normativa tributaria, alla possibilità di aggredire i beni della persona giuridica e alla questione delle effettive vie di ingresso dei reati tributari all’interno del decreto sulla responsabilità degli enti da reato. Nell’ambito del sistema previsto dal decreto 231/2001, e specificamente nell’elencazione dei reati presupposto per la configurabilità della punibilità degli enti, spicca la mancanza dei reati di tipo tributario. La produzione normativa comunitaria alla base del decreto 231 era volta innanzitutto a tutelare gli interessi finanziari dell’UE e dello Stato, eppure il legislatore italiano scelse consapevolmente di non inserire i reati tributari nella delega al governo per la costruzione della responsabilità da reato degli enti. I reati tributari, tuttavia, pur assenti dalla lista dei delitti presupposto della responsabilità dell’ente, sono concettualmente e logicamente al centro dell’attività di mappatura dei rischi, che costituisce l’antecedente logico necessario per l’elaborazione del modello di organizzazione e gestione individuato come una specifica forma di esonero della responsabilità dell’ente. La scelta politico-criminale del legislatore è sicuramente criticabile in quanto è fisiologico che gli adempimenti tributari, di maggiore spessore e consistenza, concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa alle quali conseguono vantaggi indebiti per l’ente. Infatti insieme ai reati societari, i reati tributari sono gli antecedenti logici per la costituzione di fondi riservati destinati ad alimentare i reati di scopo, come la corruzione. Dunque, le aree strumentali più pericolose sono proprio quelle dimensioni organizzative dell’ente che presiedono alla gestione di risorse economiche o di strumenti di tipo finanziario che possono supportare la commissione dei reati nelle aree a rischio di reato. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di spiegare come attraverso la contraddizione tra l’assenza dell’architettura della responsabilità degli enti e la colonizzazione dei gangli vitali del sistema 231, si può raccontare il rapporto tra i reati tributari e la responsabilità degli enti collettivi: da un lato il dibattito sulla loro mancata introduzione e dall’altro lato le vie sostanziali attraverso cui i reati tributari realizzano un’incidenza diretta sulla responsabilità da reato delle persone giuridiche. La disciplina fissata dal diritto penale tributario ha suscitato un intenso dibattito dottrinario in merito all’opportunità di includere le fattispecie di cui al d.l. n. 74/2000 tra i reati presupposto di cui al decreto n. 231/2001. I fautori di tale inclusione evidenziano come il sistema potrebbe avere un’efficacia complessiva migliore anche sul piano della lotta alla criminalità in ambito tributario: l’introduzione degli illeciti fiscali tra i reati di cui al decreto n. 231/2001 non presenterebbe comunque un’innovazione problematica, visto che l’ordinamento nazionale già prevede casi in cui vi sia contestualmente una responsabilità penale, una responsabilità amministrativa ed una responsabilità dell’ente di cui al decreto stesso, come ad esempio nel caso del “market abuse” di cui agli artt. 25-sexies del decreto n. 231/2001, 187-quinquies e 187-terdecies del TUF. I contrari invece all’inclusione dei reati fiscali nell’elencazione di cui al decreto n. 231/2001 ritengono che il diritto vigente già prevede la possibilità di irrogare una sanzione tributaria all’ente, ai sensi dell’art. 19, comma 2, del d.l. n. 74/2000; inoltre, è necessario evitare una moltiplicazione delle sanzioni a carico dell’ente, secondo un sistema che dovrebbe prevedere la sanzione penale per la persona fisica, la sanzione tributaria per la persona giuridica e la sanzione di cui al decreto n. 231/2001sempre per la persona giuridica. In generale, comunque, la scelta del legislatore di escludere i reati tributari dal novero dei reati presupposto è stata ampiamente criticata e oggetto di successive attenzioni da parte del Parlamento: si segnala a tal proposito il disegno di legge S.19- Grasso del 15 marzo 2013 con il quale si proponeva di “estendere la responsabilità da reato degli enti ai reati tributari, colmando così una lacuna ingiustificabile sul terreno politico-criminale”. Analizzando più a fondo la problematica appare evidente come il sistema del decreto 269 del 2003, in tema di responsabilità amministrativa da illecito tributario, sia orientato esclusivamente a una funzione risarcitoria del danno subito dall’erario per il mancato introito fiscale; non conosce finalità di tipo preventivo. La responsabilità da reato degli enti, invece, è pensata e costruita allo scopo di catalizzare i processi di adeguamento spontaneo alle normative di riferimento, di modernizzare i procedimenti interni volti alla gestione e al controllo dei centri di rischio di commissione di illeciti penali. C’è una sorta di sistema etico che prova a introdurre nella realtà organizzativa e gestionale dell’ente misure cautelari di impedimento di reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Questa è la ragione principale per cui non è possibile sostenere la scelta di non inserimento dei reati tributari, neanche facendo riferimento all’argomento della moltiplicazione delle sanzioni per un medesimo fatto. In settori particolarmente delicati, come si è visto, l’ordinamento conosce molti livelli di sanzione per un medesimo fatto. Sono ambiti in cui massima è l’attenzione alla prevenzione e non solo alla punizione degli illeciti. La soluzione non potrebbe essere proprio quella della obliterazione della responsabilità da reato degli enti; sarebbe più ragionevole, invece, una tecnica legislativa che prevedesse criteri di sussidiarietà, o che accorpasse nel decreto 231 tutta la normativa sulla responsabilità degli enti per illecito tributario. Per i reati tributari che sono l’emblema della delinquenza economica organizzata, c’è un’intensa esigenza di politica criminale che orienta la normativa al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale; e la politica criminale in questo settore non può che essere quella della prevenzione mediante organizzazione, con relativa responsabilizzazione per difetto organizzativo. Non si tratta, in sostanza, di punire maggiormente un illecito tributario, la questione è quella di prevenire gli illeciti tributari incentivando gli enti all’adozione di strutture di compliance volte all’introduzione di regole cautelari mediamente dirette all’impedimento di reati tributari. Tale prevenzione si realizza attraverso la segmentazione del attività esecutive in tema di gestione degli obblighi fiscali, di monitoraggio sulle attività strumentali alla costituzione di fondi riservati, con la ramificazione di procedure e protocolli ispirati dall’adeguamento a standard procedurali internazionali. Questo è il motivo per cui non si può prescindere dalla ricomprensione dei reati tributari nel sistema creato da decreto sulla responsabilità degli enti da reato; oltre naturalmente ad una maggiore incisività del contesto processuale penale e del sistema sanzionatorio dovuta alla disponibilità di sanzioni interdittive, alla possibilità di applicare misure cautelari, alla effettività e dissuasività della sanzione della confisca per equivalente che rende inutile l’occultamento del profitto ed esonera l’accusa dalla prova della diretta provenienza del delitto. Dopo aver esaminato il complesso dibattito sull’inserimento dei reati tributari nella disciplina del decreto 231, il presente lavoro mira ad individuare molteplici itinerari attraverso i quali i reati tributari realizzano un’incidenza indiretta sulla responsabilità da reato degli enti collettivi: a) in primo luogo alcuni reati tributari possono essere in concreto elementi o parti di un reato già presupposto della responsabilità ex d.lgs. 231/2001. A questa tipologia si possono ricondurre le problematiche attinenti l’associazione per delinquere, anche transnazionale, finalizzata alla commissione di un reato tributario e il riciclaggio dei proventi da illecito tributario. La nuova normativa antiriciclaggio introduce di fatto per le persone giuridiche la possibilità di configurare la loro responsabilità per tali illeciti e dunque la responsabilità diretta degli enti in caso di comportamenti illeciti di persone che agiscono per loro conto. b) in secondo luogo si sono venuti a formare nel corso del tempo dei luoghi di intersezione tra reati fiscali e disciplina della responsabilità degli enti collettivi. A questo gruppo, invece, possono essere ricondotte alcune recenti decisioni in tema di sequestro preventivo e confisca tributaria. A tale proposito le Sezioni Unite nel 2014 hanno aderito all’orientamento contrario all’estensione della confisca per equivalente per reati tributari alle persone giuridiche, per assenza di una base normativa alla quale ricondurre tale sanzione, confermando, invece, l’ammissibilità della confisca diretta del profitto del reato nei confronti dell’ente. Tuttavia, nonostante l’affermazione del principio dell’inapplicabilità della confisca per equivalente all’ente, la lettura estensiva della confisca diretta fornita dalla Corte, potrebbe portare ad un’estensione di fatto nell’applicazione della sanzione contro gli enti, quando il profitto dei reati tributari è rimasto nella disponibilità della società. Infine, nell’ultima parte del lavoro sono stati inseriti degli interessanti profili di comparazione, partendo dall’assunto in base al quale il diritto è una creazione storica, politica, sociale, intellettuale, la cui esistenza e funzionamento in una data società poggia soprattutto sulla cultura della società stessa, è stata svolta un’analisi comparata tra il sistema italiano e la responsabilità penale degli enti in Cina da una parte e il modello anglo-americano dall’altra. Il diritto cinese prevede diverse tipologie di reati ascrivibili a persone fisiche ed enti: vi sono reati che possono essere commessi dall’ente e dalla persona fisica responsabile per l’ente, reati che possono essere commessi da una persona fisica o da un ente, reati che possono essere commessi da persone fisiche incaricate o responsabili del controllo, secondo una strutturazione che non segue un criterio unico a livello politico-sociale. Il modello cinese è stato qualificato come un “sistema sociale di responsabilità personalizzata”, intendendo con tale espressione un sistema in cui l’ente ha una propria volontà e capacità, per cui le sue azioni non vanno confuse con quelle delle persone fisiche. Nell’ordinamento statunitense, si assiste, invece, alla progressiva estensione, agli enti collettivi, di procedimenti di diversione processuale (deviazioni dalla normale sequenza di atti del processo penale, prima della pronuncia dell’imputazione) i quali sono diventati, oggi, lo strumento privilegiato per fronteggiare la criminalità d’impresa. A partire dagli anni ’90, si assiste alla progressiva estensione agli enti collettivi dei DPA (deferred prosecution agreement) e NPA (non prosecution agreement), con due obiettivi principali: chiamare a rispondere, degli illeciti commessi in ambito aziendale, un numero sempre maggiore di imprese, seppur mediante meccanismi di diversion più flessibili e più rapidi; scongiurare le ricadute negative che i procedimenti penali normalmente riversano sul mercato. Anche il Regno Unito ha, di recente, introdotto una disciplina ad hoc. Tale è la pervasività della giustizia dilatoria che la stessa ha finito per stravolgere i regimi di corporate liability vigenti nei sistemi di area anglo-americana, fornendo al contempo spunti comparativi anche in prospettiva di riforma del d. lgs. n. 231 del 2001.
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Stabile, Riccardo. "La confisca nel diritto penale e nel sistema di responsabilità da reato degli enti." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7434.

Full text
Abstract:
2010/2011
Il modello di ablazione patrimoniale predisposto dal legislatore del Codice penale – identificato nella misura di sicurezza ex art. 240 c.p. ed imperniato sulla discussa nozione di pericolosità reale, intesa come probabilità che la res confiscanda, ove lasciata nel possesso del soggetto autore del reato-presupposto, fornisca incentivo per la perpetrazione di ulteriore attività criminale – mostra una notevole “persistenza” nell’ambito sia delle principali figure speciali di confisca, che nella peculiare ipotesi ablativa “antimafia” di cui all’art. 12-sexies l. n. 356 del 1992, che pure da esso significativamente divergono per struttura, modalità operative e finalità perseguite. Il segnale più evidente della vis attrattiva esercitata dall’archetipo codicistico è costituito dall’affievolito statuto garantistico che la prassi riconosce alle richiamate figure ablative ed, in particolare, dall’applicazione della disciplina contenuta all’art 200 c.p., che ammette l’operatività retroattiva delle misure di sicurezza. Per converso, l’analisi della più recente giurisprudenza di legittimità e costituzionale consente di registrare l’emersione di un alternativo paradigma, nella misura in cui, movendo dall’adozione di un approccio sostanzialistico al tema della natura giuridica dei rimedi sanzionatori (evidentemente ispirato dalle elaborazioni giurisprudenziali della Corte EDU), si è riconosciuto, in determinate ipotesi di confisca (e, in primis, nella c.d. confisca per equivalente), un carattere eminentemente punitivo, portando a recidere ogni residuo legame formale e funzionale con la misura di sicurezza ex art. 240 c.p. A simile “agnizione”, tuttavia, non sempre consegue una compiuta applicazione del corredo garantistico proprio della pena in senso stretto: se, da un lato, la prassi è ormai consolidata nell’estendere alla confisca-pena il principio di legalità, nei suoi corollari di tassatività ed irretroattività, affiorano, d’altro lato, significativi profili di tensione rispetto alle garanzie inscritte all’art. 27 Cost. (personalità-colpevolezza e proporzione). A conferma del segnalato “mutamento di paradigma”, si pone, infine, la confisca prevista nell’ambito del sistema di responsabilità da reato degli enti, in cui, da un canto, lo smarcamento dalle cadenze spiccatamente preventive della misura di sicurezza è testimoniato dalla sua collocazione a pieno titolo nel novero delle sanzioni principali a carico della persona giuridica; dall’altro, il ruolo essenziale ma “complementare” – consistente nell’azzeramento dei benefici economici effettivamente percepiti dall’ente responsabile per mezzo dell’attività criminosa, in chiave di riequilibrio dell’ordine economico violato – affidatole nel contesto del complessivo apparato sanzionatorio del d.lgs. n. 231 del 2001, dovrebbe impedire che essa assuma un surplus di afflittività, tale da trasformarla in una inedita “pena patrimoniale”, incompatibile con i principi costituzionali. In attesa che il legislatore intervenga a razionalizzare la quanto mai frammentaria e disorganica disciplina dell’ablazione patrimoniale, e pur nella consapevolezza della natura proteiforme – e quindi difficilmente riconducibile ad una matrice unitaria – che tale istituto da sempre possiede, si reputa nondimeno che già per via ermeneutica si possa addivenire ad un rovesciamento dell’impostazione finora invalsa in relazione alla natura giuridica della confisca: non più una misura preventiva, che solo in termini di stretta eccezione assume un volto marcatamente afflittivo, ma una misura schiettamente punitiva (una pena sui generis) – con tutto ciò che ne deriva in termini di garanzie applicabili – dalla quale si distinguono singoli (ormai esigui) casi, in cui la confisca è ancora sostanzialmente riconducibile all’originario modello codicistico.
XXIII Ciclo
1982
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Books on the topic "Responsabilità reato"

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D'Avirro, Antonio, and Astolfo Di Amato. La responsabilità da reato degli enti. Padova: CEDAM, 2009.

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Mino, Antonella. La disciplina sanzionatoria dell'attività giornalistica: Dalla responsabilità penale del direttore alla responsabilità da reato dell'ente. Milano: Giuffrè editore, 2012.

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3

Vinciguerra, Sergio. La responsabilità dell'ente per il reato commesso nel suo interesse (D.lgs. n. 231/2001). Padova: CEDAM, 2004.

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4

Corso, Stefano Maria. Codice della responsabilità "da reato" degli enti: Annotato con la giurisprudenza, (D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231). Torino: Giappichelli, 2014.

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5

Gennai, Sara. La responsabilità degli enti: Per gli illeiciti amministrativi dipendenti da reato : commento al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Milano: Giuffrè, 2001.

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6

Felice, Paolo De. La responsabilità da reato degli enti collettivi. Bari: Cacucci, 2002.

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7

Petrini, Davide. La responsabilità penale per i reati via internet. Napoli: Casa Editrice Jovene, 2004.

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8

Guerrini, Roberto. La responsabilità da reato degli enti: Sanzioni e loro natura. Milano: A. Giuffrè, 2006.

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9

Patrizia, Patrizi, and Cannavera Ettore, eds. Responsabilità partecipate: Percorsi d'inclusione sociale per giovani adulti autori di reato. Milano: Giuffrè, 2007.

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10

malatestiana, Biblioteca communale, and Cesena (Italy), eds. Renato Serra: Il critico e la responsabilità delle parole (con inediti). Ravenna: Longo, 1985.

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Book chapters on the topic "Responsabilità reato"

1

Fiorella, Antonio, and Nicola Selvaggi. "“Compliance programs” e dominabilità “aggregata” del fatto. Verso una responsabilità da reato dell’ente compiutamente personale." In Economía y Derecho penal en Europa: Una comparación entre las experiencias italiana y española, 293–317. Universidade da Coruña. Servizo de Publicacións, 2015. http://dx.doi.org/10.17979/spudc.9788497497329.293.

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2

Civello, Gabriele. "Il principio del sibi imputet nella teoria del reato: l’auto-responsabilità nel prisma della tipicità penale." In Diritto penale e autoresponsabilità, 143–56. Nomos Verlagsgesellschaft mbH & Co. KG, 2020. http://dx.doi.org/10.5771/9783748924074-143.

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