Academic literature on the topic 'Ragionevole durata processo'

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Journal articles on the topic "Ragionevole durata processo"

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Bianchi Riva, Raffaella, and Chiara Spaccapelo. "Eccessiva durata del processo e responsabilità disciplinare dei magistrati: il ritardo nel deposito dei provvedimenti fra storia e attualità." Italian Review of Legal History, no. 7 (December 22, 2021): 485–546. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/16896.

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Abstract:
Il tema dell’eccessiva durata dei processi e delle sue conseguenze pregiudizievoli sull’effettività della tutela giudiziaria rappresenta, da sempre, uno dei principali nodi del rapporto tra giustizia e opinione pubblica.Sin dall’unificazione italiana, la questione è stata affrontata per lo più sul piano delle riforme del processo e dell’ordinamento giudiziario, senza, tuttavia, la predisposizione di adeguati interventi in grado di incidere sull’organizzazione delle strutture e del personale. Se soltanto di recente il nostro ordinamento ha approntato strumenti di tutela diretta al principio della ragionevole durata del processo, formalizzato nell’art. 111 Cost., la responsabilità disciplinare dei magistrati per ritardo nel deposito dei provvedimenti ha rappresentato, sin dall’inizio del Novecento, uno degli strumenti principali non solo per reprimere gli episodi più gravi (oggi determinanti addirittura un danno erariale da disservizio), ma anche per restituire credibilità alla funzione giudiziaria, nell’ambito delle complesse dinamiche relative al rapporto tra magistratura e società.Lo studio mira a valutare se, in assenza di idonei strumenti normativi volti ad evitare o quantomeno a contenere il fenomeno della lunghezza dei procedimenti, gli interventi della giurisprudenza, prima, della Suprema corte disciplinare e, dopo, della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, chiamate a sanzionare gli illeciti dei singoli magistrati, siano stati in grado, nella difficoltà di trovare un equilibrio tra standard di rendimento e carichi esigibili, di rispondere in maniera soddisfacente al contenimento dei tempi del processo e alla riduzione dell'arretrato, obiettivi tra i principali del PNRR.
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2

Gambino, Silvio. "Giurisdizione e ‘Giustizia' fra Trattato di Lisbona, CEDU e ordinamenti nazionali." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 1 (December 2010): 85–113. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2010-001005.

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Abstract:
A due secoli dall'avvio del costituzionalismo liberal-democratico, l'ordinamento giudiziario sembrerebbe aver compiutamente realizzato la sua parabola, vedendosi riconosciuto come potere dello Stato (autonomo e indipendente), mediante previsioni costituzionali espresse o anche sulla base di mere disposizioni legislative. In tale quadro, l'analisi affronta le tematiche della ‘giurisdizione' e della ‘giustizia' nell'ottica del diritto dell'Unione europea, sottolineando gli effetti giuridici prodotti dall'art. 6 del Trattato di Lisbona (con l'incorporazione sostanziale della Carta dei diritti fondamentali dell'UE all'interno dei nuovi trattati e con l'adesione alla CEDU da parte dell'Unione). Secondo quanto viene osservato, tuttavia, l'esperienza degli ordinamenti europei, nel fondo, non consente di poter cogliere una tradizione costituzionale comune agli Stati membri (per come affermato dalla Corte di Giustizia dell'UE) quanto piuttosto la garanzia in tutti gli ordinamenti nazionali, nella CEDU e ora nell'art. 47 della Carta di Nizza/Strasburgo, del diritto del soggetto ad un ricorso effettivo dinanzi ad una autoritŕ giurisdizionale, indipendente e imparziale, precostituita per legge, nel quadro di un processo equo, garantito nel contraddittorio, ragionevole nella durata.
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Dissertations / Theses on the topic "Ragionevole durata processo"

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Iermano, Anna. "La ragionevole durata del processo nell'ordinamento europeo e italiano." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2012. http://hdl.handle.net/10556/308.

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Abstract:
2010 - 2011
Il principio di ragionevole durata del processo costituisce “imperativo per tutti i procedimenti”, teso ad assicurare “una giustizia non amministrata con ritardi tali da comprometterne l’efficienza e la credibilità”. Gode di una tutela multilivellare, in Convenzioni internazionali o regionali, oltre che nelle fonti ordinamentali interne, integrandosi e completandosi a vicenda, al di là delle coincidenze definitorie. In particolare, esso costituisce un’estrinsecazione del giusto processo, esemplarmente sintetizzato nell’art. 6 CEDU, ai sensi del quale ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole. Si tratta di un diritto soggettivo, assoluto ed incomprimibile, direttamente azionabile dal singolo dinanzi all’autorità giurisdizionale. Nell’ordinamento dell’Unione europea rinviene il suo referente normativo nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, riproclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e, oggi, giuridicamente vincolante a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009), ex art. 6 TUE, che opera un rinvio recettizio e materiale alla Carta, attribuendo ad essa il medesimo valore giuridico dei Trattati. L’ordinamento dell’Unione europea, pur nella sua autonomia funzionale ed organica, si pone in continua relazione con la CEDU, specie sotto il profilo dell’elaborazione di un proprio catalogo di diritti fondamentali. Al riguardo, la definizione della garanzia di un processo in tempi ragionevoli offre un interessante spaccato di tale interazione, tesa fra l’utilizzo delle norme e della giurisprudenza convenzionale come fonte diretta da un lato, e il tentativo di affermare una autonoma garanzia del diritto dell’Unione europea dall’altro. Le modalità redazionali con le quali il diritto in esame viene codificato nell’ordinamento UE riassumono l’evoluzione giurisprudenziale con la quale tale garanzia si è dispiegata nel tempo. Nella CEDU, invece, tale garanzia, viene prima positivizzata, e poi progressivamente definita dagli organi di Strasburgo quanto a contenuto e a parametri applicativi. Nell’ordinamento italiano tale principio trova fondamento nell’art. 111, secondo comma della Costituzione, a seguito della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2. e, altresì, nella legge 24 marzo 2001, n. 89, nota come “legge Pinto”, varata al fine di deflazionare il contenzioso dinanzi alla Corte di Strasburgo originato dalla lentezza dei processi italiani e deputata, in quanto tale, a finalità esclusivamente riparatorie. Il principio di sussidiarietà che lega la tutela nazionale ai rimedi previsti dalla Convenzione impone una dinamica collaborazione-interferenza tra i due livelli di giurisdizione, in un rapporto di continua, reciproca interazione. Il rinvio espresso della legge Pinto (art. 2) all’art. 6 CEDU indurrebbe a trasferire sul piano interno la definizione del bene tutelato e le condizioni per l’applicazione della norma così come interpretate dalla Corte EDU; invece, le Corti di merito e di legittimità sin dalle prime applicazioni assumono, sotto taluni profili, una posizione di contrasto con la giurisprudenza di Strasburgo. Casi concreti, pragmatici scandiscono la portata di tale dialogo, facendo emergere appieno i punti di contatto e quelli di “attrito”, nonché il grado di integrazione realizzatosi negli anni, tra autorità giurisdizionali italiane e giudice europeo. La crisi di complessiva efficienza in ambito non solo nazionale induce a predisporre una serie di rimedi che mirano a deflazionare il contenzioso e ad aumentare la capacità di risposta degli uffici giudiziari. La stessa Corte di Strasburgo “vittima del suo successo”, si espone al rischio di una violazione della ragionevole durata a dir poco “paradossale”, sol che si pensi alla sua costante attenzione ai tempi processuali dei singoli Stati membri. Al riguardo, il Protocollo XIV introduce un corpus di emendamenti finalizzati a rafforzare le funzionalità della Corte e a gestire con celerità le questioni palesemente infondate. Anche il sistema giurisdizionale dell’Unione europea al pari di quello CEDU si confronta negli anni con il progressivo aumento del numero dei ricorsi e con la necessità di contenere i tempi processuali. Da qui l’introduzione di una serie di correttivi e riforme per rendere più efficiente la giustizia, incidendo, in primis, sull’assetto istituzionale dell’ordinamento UE. In Italia, la precedenza va data alla giustizia civile, la cui situazione, in termine di durata dei giudizi, è ben più grave di quella penale e amministrativa. [a cura dell'autore]
X n.s.
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2

La, Spina Livio. "La (ir)ragionevole durata delle indagini preliminari." Doctoral thesis, Università di Catania, 2014. http://hdl.handle.net/10761/1619.

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Abstract:
Nonostante l estrema rilevanza istituzionale e sociale dei valori sottesi, il principio della ragionevole durata appare il pilastro meno attuato della riforma sul giusto processo e ciò è tristemente sottolineato dalle numerose pronunce di condanna emesse nei confronti dell Italia dagli organismi sovranazionali. La necessità che vengano accelerati i ritmi della giustizia penale è indubbia. Si comprende bene dunque l interesse di una ricerca volta a scrutare le aporie, i motivi che stanno alla base delle disfunzioni e soprattutto le cause dei ritardi che sono connaturati al funzionamento della nostra macchina giudiziaria. In tale prospettiva, è evidente l importanza di un corretto svolgimento della fase delle indagini preliminari, il quale permetterebbe di evitare la celebrazione dell udienza preliminare e soprattutto del dibattimento. Per tale ragione, il presente lavoro esamina, con riferimento alle potenzialità del principio della durata ragionevole, la fase volta alla ricerca e alla raccolta degli elementi di prova. In primo luogo, perché, assumendo il délai raisonnable quale valore oggettivo di riferimento, è questa per definizione la fase più oscura del processo, in cui troneggia la figura del pubblico ministero quale dominus quasi incontrastato cui fa da contrappeso un controllo giurisdizionale palesemente non abbastanza incisivo. In secondo luogo, perché è soprattutto nel corso delle indagini preliminari che non possono essere in alcun modo trascurati i valori soggettivi di tutela sia della vittima sia dell accusato, quest ultimo nella prassi spesso ignaro di essere parte di un procedimento penale fino al momento della sua chiusura. Si è scelto di condurre tale ricerca iniziando dalla ricostruzione dell esegesi del principio della ragionevole durata del processo quale diritto statuito nei testi normativi a livello interno e sovranazionale secondo l elaborazione delle Corti nazionali ed europee, analizzando anche i rimedi che sono stati proposti dal legislatore italiano per garantirne una corretta applicazione. La seconda parte, cuore della trattazione, si è incentrata sul punto principale della ricerca: la fase delle investigazioni e in particolare sul legame imprescindibile che sussiste tra l impianto sistematico del processo e i tempi delle indagini preliminari allo scopo di indagarne fondamenta e ragioni nonché di scandagliarne la misura quantitativa e qualitativa. Infatti, la fase deputata alla ricerca degli elementi di prova rientra in toto nell area del fair trial e pertanto gode della conseguente copertura costituzionale, anche se in concreto la specificità delle indagini preliminari presuppone una diversa modalità di attuazione dei principi del giusto processo. Sono state poi affrontate le questioni connesse ai termini di durata della fase investigativa con riferimento al nesso intrinseco che le lega alle scelte che stanno alla base del modello processuale la cui impostazione sistematica, fondata sull autonomia delle fasi a seguito della riforma del 1988, risulta radicalmente mutata nel rapporto tra azione e prova. Infine ci si è chiesti se la fissazione di limiti cronologici alla fase investigativa sia compatibile con un sistema nel quale gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari non sono più utilizzabili ai fini dell accertamento della colpevolezza. Si è proceduto dunque ad un esame della disciplina della fase delle indagini preliminari avendo cura di analizzare gli obiettivi che hanno condotto il legislatore a scegliere di porre dei controlli periodici sulla durata delle investigazioni e di fissare un termine ultimo per il loro svolgimento, analizzando le eventuali aporie applicative del sistema così predisposto, rilevandone i profili di illegittimità costituzionale e, in ultima analisi, cercando di formulare de iure condendo delle proposte di riforma.
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POTENZANO, Rosalba. "La ragionevole durata del processo tra aspirazione alla celerità ed esigenza di ponderazione. Un confronto tra le esperienze europee di Civil Law e Common Law." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2021. http://hdl.handle.net/10447/514965.

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4

RUBERA, MATTEO TULLIO MARIA. "Profili costituzionali del giudizio direttissimo." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/202021.

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Abstract:
Il presente lavoro propone una disamina del giudizio direttissimo alla luce dei princìpi costituzionali. L’istituto in questione risponde ad un’esigenza di accelerazione procedimentale che trova, oggi, un espresso riconoscimento nell’art. 111 comma 2 della Carta fondamentale; nonché, in diverse altre sue disposizioni. Al contempo, le esigenze della celerità e della semplificazione hanno imposto soluzioni normative contrastanti con diversi princìpi costituzionali, dando luogo a contraddizioni tra le istanze di celerità e le esigenze di garanzia. Al fine di assicurare una piena conformità dell’istituto in oggetto con la Carta fondamentale, è opportuno privilegiare un’interpretazione il più possibile restrittiva delle condizioni normative che ne legittimano l’introduzione e tentare un’esegesi costituzionalmente orientata della disciplina concernente taluni aspetti dinamici.
The aim of the present study is to analyze the “giudizio direttissimo” – one of the different forms that criminal trials can take in Italy – from the perspective of the Italian Constitution. In this particular kind of trial, the accused is immediately brought before the Court to be publicly judged, without any kind of preliminary hearing to assess whether the charge is well-founded or not. On one hand, the “giudizio direttissimo” seems to be consistent with the principle – laid down in the Italian Constitution – that a trial must be held within a reasonable time of time. Indeed, the omission of the “preliminaries” – that characterize the “ordinary proceeding” – allows a saving of one year and a half, when compared to the average length of the latter. On the other hand, the course of this kind of trial, in some cases, doesn’t seem to give the accused enough time to prepare an adequate defence. Moreover, its discipline seems to be lacking in some of the most important constitutional rights. A constitutionally consistent interpretation of the “giudizio direttissimo” might help to solve the aforementioned issues, by limiting its application only to the easiest cases. In addition, some case-law which is too rigorous for the defendant should be overridden.
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Books on the topic "Ragionevole durata processo"

1

Aimonetto, Maria Gabriella. La "durata ragionevole" del processo penale. Torino: G. Giappichelli, 1997.

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2

Francesco De Santis Di Nicola. Ragionevole durata del processo e rimedio effettivo. Napoli, Italia: Jovene editore, 2013.

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3

Didone, Antonio. Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo. Milano: Giuffrè, 2002.

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4

Giunta, Fausto. Tempori cedere: Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo. Torino: G. Giappichelli, 2003.

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5

Pacilli, Matteo. L’abuso dell’appello. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg277.

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Abstract:
Questa riflessione sistematica sull’abuso dell’appello muove dalla constatazione della difficoltà di assicurare la tutela giurisdizionale nel doppio grado: il principio costituzionale di ragionevole durata del processo si riflette nel concetto di abuso, vale a dire nella richiesta di protezione giuridica di posizioni che non ne sono meritevoli. Le recenti e non terminate tensioni legislative, che hanno visto l’introduzione nel 2012 del c.d. filtro in appello, esprimono la fatica nel trovare un giusto equilibrio fra il diritto di difesa e la necessità di sfoltire rapidamente le impugnazioni abusive. Tradizionalmente, l’interesse ad impugnare è stato identificato con la semplice soccombenza. L’autore propone, invece, di integrare tale presupposto dell’azione impugnativa con la sussistenza di una ragionevole attesa di ottenere un risultato utile. Se questo ulteriore elemento manca, l’appello risulta carente di interesse e quindi abusivo, il che giustifica l’adozione, da parte del legislatore, di misure (quelle attuali o altre diverse e future) idonee a permettere la reiezione dell’impugnazione in via immediata. Il punto non è solo italiano e l’autore lo dimostra analizzando le soluzioni di altri sistemi, da quello dell’Unione europea a quello tedesco, talora impropriamente assunto a modello della riforma del 2012. Le tesi svolte nel volume si distaccano, in una certa misura, dalla posizione della dottrina prevalente che ha ampiamente criticato l’introduzione del filtro in appello, proponendo invece una lettura che, almeno in parte, recupera in positivo l’iniziativa del legislatore
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