Academic literature on the topic 'Procedure, modello nazionale, modello statunitense'

Create a spot-on reference in APA, MLA, Chicago, Harvard, and other styles

Select a source type:

Consult the lists of relevant articles, books, theses, conference reports, and other scholarly sources on the topic 'Procedure, modello nazionale, modello statunitense.'

Next to every source in the list of references, there is an 'Add to bibliography' button. Press on it, and we will generate automatically the bibliographic reference to the chosen work in the citation style you need: APA, MLA, Harvard, Chicago, Vancouver, etc.

You can also download the full text of the academic publication as pdf and read online its abstract whenever available in the metadata.

Journal articles on the topic "Procedure, modello nazionale, modello statunitense"

1

Cassata, Francesco. "Campo gamma. Energia nucleare, Guerra fredda e circolazione transnazionale dei saperi scientifici in Italia (1955-1960)." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 294 (December 2020): 235–68. http://dx.doi.org/10.3280/ic294-oa2.

Full text
Abstract:
L'articolo prende in esame il programma di mutagenesi in agricoltura, realizzato dal Comitato nazionale per le ricerche nucleari, a partire dal 1955, attraverso la costituzione di uno specifico sistema tecnologico e sperimentale: il cosiddetto "campo gamma", un campo circolare con al centro un radioisotopo di Cobalto-60. Emettendo raggi gamma, il Cobalto-60 produceva mutazioni genetiche nelle piante collocate in cerchi concentrici attorno alla sorgente. Il campo gamma venne inaugurato nel gennaio 1960 all'interno del Centro studi nucleari della Casaccia, grazie a una fonte radioattiva resa disponibile dal governo statunitense nell'ambito del programma Atoms for Peace. L'articolo analizza, in primo luogo, come la circolazione transnazionale del modello statunitense di mutation breeding sia stata fondamentale nel processo di istituzionalizzazione della genetica agraria in Italia; in secondo luogo, l'articolo dimostra come la costruzione di un immaginario sociotecnologico incentrato sul campo gamma sia stata parte integrante di tale processo di demarcazione scientifico-disciplinare.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
2

Marchettini, Paolo, Lisa Da Deppo, and Lorenzo Pradelli. "Pregabalin versus gabapentin nel trattamento dei pazienti con neuropatia periferica: adattamento di un modello internazionale per la valutazione di costo/efficacia e costo/utilità alla realtà nazionale." Farmeconomia. Health economics and therapeutic pathways 6, no. 3 (September 15, 2005): 243–50. http://dx.doi.org/10.7175/fe.v6i3.838.

Full text
Abstract:
OBJECTIVE: To compare the economic impact of treating neuropathic pain with pregabalin versus gabapentin. DESIGN: A cost effectiveness analysis comparing costs and effects of pregabalin 375 mg/die versus gabapentin 1800 mg/die in the perspective of the Italian National Healthcare Service was developed. The cost effectiveness analysis is examined alternatively in terms of the incremental cost per additional day with no or mild pain, and the incremental cost per quality-adjusted life-year (QALY) gained. Effects were derived from a pregabalin randomised clinical study 1008-155 and gabapentin 645-210 and 945-211 studies. Effects are expressed as reduction score of the VAS pain scale. Pharmacological costs were quantified according to the Italian market price of the drugs; healthcare procedure and hospitalisation costs were quantified on the basis of the National Tariff. Other healthcare services consumption data were derived from a Delphi Panel. To estimate the impact of pregabalin and gabapentin on daily pain experience in patients with neuropatic pain a Markov model is used. The dynamic simulation focuses on a hypothetical cohort of 1000 patients and simulates their daily pain experience over 12 weeks, to estimate clinical and economic outcomes for the group as a whole. MAIN OUTCOME MEASURES AND RESULTS: The cost-effectiveness ratio for the use of pregabalin is less than 1 euro per additional day with no or mild pain and 468 euros per QALY. The sensitivity analysis conducted to examine the effects of decreasing gabapentin dose to 1200 mg/die showes the consistency of the model results. CONCLUSIONS AND RESULTS: Although pregabalin pure costs are higher than gabapentin costs, the analyses prove pregabalin to be more effective with a small additional cost per day with no or mild pain.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
3

Morano, Pierluigi, Francesco Tajani, and Debora Anelli. "Urban planning variants: a model for the division of the activated “plusvalue” between public and private subjects [Interventi in variante urbanistica: un modello per la ripartizione tra pubblico e privato del “plusvalore” conseguibile]." Valori e Valutazioni 28 (July 2021): 31–48. http://dx.doi.org/10.48264/vvsiev-20212804.

Full text
Abstract:
The establishment of the “extraordinary urbanization contribution” with Law no. 165 of 2014 requires regulating the division between public and private of the capital gains achievable from interventions on urban areas or buildings as variant or in derogation of the regulatory instruments in force. The “free interpretation” of the aforementioned directive left to regional and local decision makers – regarding a) the procedures for assessing the higher value generated by the urban planning variant compared to the pre variant situation and b) the exact percentage of the extraordinary contribution to be used – has led to a methodologically uneven and confused national panorama. This work aims to define and test a rational procedure for assessing the higher value activated by the intervention, comparing the situation before and after the urban variation, and to determine the amount of the gross floor area achievable with the transformation that the private subject is required to pay to the Public Administration, due to the percentage variation of the extraordinary contribution. L’istituzione del “contributo straordinario di urbanizzazione” con la Legge n.165 del 2014 richiede di regolamentare la ripartizione tra pubblico e privato del plusvalore conseguibile da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga agli strumenti vigenti. La “libera interpretazione” della suddetta norma lasciata ai decisori regionali e locali - in merito a) ai procedimenti di stima del maggior valore generato dalla variante urbanistica rispetto alla situazione ante variante e b) all’esatta percentuale del contributo straordinario da impiegare - si è tradotta in un panorama nazionale metodologicamente frastagliato e confuso. Il presente lavoro ha l’obiettivo di delineare e testare una procedura razionale di stima del maggior valore attivato dall’intervento, mettendo a confronto la situazione ante e post variante urbanistica, e di determinare l’ammontare della superficie lorda di pavimentazione realizzabile con la variante che la parte privata è tenuta a corrispondere alla Pubblica Amministrazione, in ragione della variazione percentuale del contributo straordinario.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
4

Bignamini, Angelo A. "La persona centro e misura di ogni sistema sanitario." Medicina e Morale 51, no. 1 (February 28, 2002): 81–99. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.713.

Full text
Abstract:
L’organizzazione sanitaria è l’insieme delle strutture, funzioni e responsabilità che dovrebbe garantire l’adeguata gestione della sanità in un ambito definito. I soggetti coinvolti nel sistema sanitario sono le persone afferenti (sane e malate); gli operatori (medici e operatori sanitari non medici); l’ambito in cui esso viene attuato (società). Essa è quindi il punto di incontro di tre realtà eminentemente umane: la medicina, l’etica, la società. I requisiti per un’adeguata organizzazione sanitaria implicano perciò la coesistenza dei principi fondamentali della medicina, dell’etica, della convivenza sociale. La medicina pone al suo centro il bisogno dell’essere umano che incontra il limite ai propri diritti nativi alla vita (cioè la morte) e alla salvaguardia di salute e integrità (cioè la malattia). La convivenza sociale impone la ricerca di un equilibrio tra i bisogni di ciascuno e la capacità di risposta della collettività nel suo complesso, incluse anche le capacità spontanee di aggregazione e di servizio, secondo priorità dettate dalla natura del soggetto del bisogno (la persona umana malata) e non pregiudizialmente definiti dall’osservatore. L’etica tutela i diritti nativi del soggetto (quoad justum), quindi determina procedure coerenti con la natura di quanti implicati nella progettazione e gestione dell’organizzazione sanitaria. In un approccio bioetico ontologicamente fondato, i criteri primi sono quelli che si riferiscono ai soggetti autonomamente esistenti, quindi alle persone. Subordinati e dialoganti con questi sono i criteri secondi, cioè quelli relativi alle entità per sé non esistenti se non in dipendenza dell’essere dei soggetti autonomi: la società e, in ulteriore subordine, il “governo”, sia esso regionale, sia nazionale. Esistono visioni alternative, nelle quali i criteri principali sono invece quelli, di stampo illuminista, relativi alla “collettività”, allo “stato”, cui si debbono subordinare i singoli “individui”. Già l’utilizzo di “individuo” contrapposto a “persona” mette in luce come questo approccio sia ideologico (basato su ipotesi astratte definite a priori) anziché scientifico (basato sull’osservazione della realtà). I due approcci originano sistemi organizzativi della sanità contrapposti tra loro, con ruoli diversi anche per gli operatori e soprattutto per il medico. Nel modello illuminista di stato etico gli strumenti matematico-statistici e matematico- economicisti (DRG, EBM, linee guida) diventano gabbie interpretative (ideologiche) della realtà. Nel modello sociale tutti gli strumenti disponibili vengono impiegati come uno dei mezzi possibili, insieme a scienza, coscienza e compassione, per descrivere la complessa realtà della singola persona che si pone in relazione con il medico portando i propri bisogni di salute, espressi ed inespressi. Secondo la bioetica personalista il criterio giustificante di qualunque “sistema” e qualunque “organizzazione”, inclusa l’organizzazione della sanità, è il “bene” di tutti i soggetti (malati e operatori con pari dignità), che si manifesta nel rispetto dei loro diritti, primo fra tutti il diritto alla difesa di vita e integrità, alla salvaguardia della salute, al rispetto dei criteri morali e religiosi di ciascuno. In questo contesto la persona rimane l’elemento centrale di riferimento della “organizzazione”, il rispetto della natura della persona rimane la misura della sua validità, la possibilità del “bene” della persona resta il criterio di valore. Esperienze in atto con questa visione non sembra siano, peraltro, meno efficienti di quelle basate sulla visione opposta. In questo contesto il medico, essendo l’operatore più prossimo al soggetto, ha però anche la responsabilità di agire come difensore dei diritti del malato (funzione etica) nei confronti del sistema organizzativo, anziché essere semplicemente un “fornitore di servizi”, dato che la salute non può essere ricondotta a “prodotto” o “servizio”, né può comprimersi nella definizione di “cliente” o “utente” la persona malata.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles

Dissertations / Theses on the topic "Procedure, modello nazionale, modello statunitense"

1

BONFANTI, SILVIA. "L'arbitrato nelle controversie di lavoro: analisi comparata dei modelli nazionale e statunitense." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/222180.

Full text
Abstract:
Il legislatore, negli ultimi anni, ha operato diverse modifiche in materia di arbitrato; tuttavia, le iniziative atte a promuovere i sistemi alternativi di soluzione delle controversie, come strumenti per deflazionare la giustizia statuale e ottimizzare in tal modo l’efficienza del sistema giudiziario, non hanno ottenuto risultati incoraggianti. Nell’ordinamento nazionale si nota, infatti, una chiara prevalenza degli strumenti di composizione giudiziale delle controversie, condotti dal giudice, alla quale si contrappone un’apparente assenza di ADR. Negli Stati Uniti è chiara l’idea che “arbitration is a creature of contract, and the parties themselves, by their submission, define the power of arbitrators”; questo trova sostegno nel fatto che se l’accesso al sistema giudiziario è troppo costoso e insoddisfacente, chi è in grado di scegliere tenderà a sottrarsi al processo, sottoscrivendo clausole compromissorie o compromessi. La soluzione adottata dall’ordinamento statunitense prevede un “multi-door Courthouse”, dove il cittadino può scegliere la strada di risoluzione della lite più consona alle proprie esigenze. La situazione italiana è molto più problematica; certamente la frammentarietà delle disposizioni legislative ha creato una generale sfiducia nei confronti degli strumenti di risoluzione alternativa della lite, a partire dall’arbitrato sino ad arrivare alle ipotesi di mediazione. Le cause più profonde all’origine di tale atteggiamento negativo sono da ricercare innanzitutto nella diversità culturale dei due sistemi. La formazione giuridica dell’ordinamento italiano, civil law, riconosce la realizzazione dei diritti nella sentenza che decide la controversia e vede il ricorso al giudice solo in questa prospettiva. Occorre una trasformazione culturale per provare a concepire la risoluzione delle controversie in un’ottica diversa da quella tradizionale. Tuttavia, se si vuole che lo strumento alternativo contribuisca a realizzare una nuova cultura giuridica, occorre che ogni aspetto delle procedure di ADR avvenga nel contraddittorio tra le parti e nel rispetto dei fondamentali principi di giustizia. Le garanzie che queste forme alternative di soluzione della lite offrono dovrebbero essere le stesse che il processo ordinario garantisce alle parti, così da poter affermare che al diritto ad un equo processo corrisponde il diritto ad un “equo arbitrato”. In particolare, due sembrano essere le garanzie che, anche nel sistema americano, assumono un forte rilievo: esse sono quella del contraddittorio e quella dell’imparzialità dell’arbitro. Le ADR, nello specifico l’arbitrato, non rappresentano sicuramente la panacea per tutti i mali della giustizia italiana; costituiscono, però un passo verso la giusta direzione che potrebbe condurre ad una vera e propria riforma del sistema processuale nazionale. Il presente lavoro si prefigge, pertanto, l’obiettivo di affrontare lo studio dell’arbitrato nell’ordinamento nazionale e statunitense, focalizzando l’attenzione, nel primo capitolo, sull’evoluzione giuridica dell’istituto; si vedrà, come in passato, il ricorso all’arbitrato in materia di lavoro è sempre stato piuttosto teorico, in quanto, come ricordava Gino Giugni “intorno al sindacato si era formata, negli anni precedenti alla riforma (del processo del lavoro), una grande lobby forense, che ha sempre avversato l’arbitrato”. La sostanziale inutilizzazione dell’istituto è derivata essenzialmente, oltre che dal monopolio sindacale dei casi nei quali poteva espletarsi, anche dalla facoltà delle parti di rivolgersi in ogni caso al giudice e, soprattutto, dall’impugnabilità giudiziale del lodo per violazione delle disposizioni inderogabili di legge e di contratti collettivi (previsione questa, dettata dapprima dall’art. 5, co. 2 e 3, della l. 533 del 1973 e, dopo la sua abrogazione ad opera dell’art. 43, co. 7, d.lgs. 80/1988, dai contratti collettivi). La rivitalizzazione dell’istituto ha inizio con l’eliminazione del monopolio sindacale attraverso la previsione legale di varie forme arbitrali e della limitazione dell’impugnabilità del lodo ai soli casi di cui all’art. 808-ter cod. proc. civ. (che esclude la possibilità di denunziare al giudice la violazione delle regole legali e collettive relative al merito della controversia). Nel secondo capitolo, verranno trattate le principali tematiche e criticità del modello risolutivo nazionale, con particolare attenzione alle novità connesse alla clausola compromissoria, all’ipotesi di arbitrato obbligatorio ed alle problematiche correlate alla facoltà consentita alle parti di scegliere l’equità, come criterio di giudizio. Si vedrà, infatti, che alla luce delle modifiche introdotte dal Collegato Lavoro, in relazione alle materie di cui all’articolo 409 cod. proc. civ., le parti contrattuali (ove previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, o, in assenza di essi, secondo quanto attuato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto) possono pattuire clausole compromissorie di cui all’articolo 808 cod. proc. civ., che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato, di cui agli articoli 412 e 412-quater. Non mancherà l’analisi delle critiche, anche veementi, sollevate da parte della dottrina circa i dubbi di legittimità costituzionale delle nuove disposizioni (in relazione alle varie norme che tutelano il lavoro in modo inderogabile, artt. 3, 4, 41, 97 Cost., ed altre), risultando evidente il tentativo di comprimere lo spazio di esercizio della giurisdizione e di dirottare la tutela di quei diritti verso forme di giustizia privata, ignorando il disequilibrio, quanto a poteri giuridici e mezzi economici, tra datore di lavoro e lavoratore. La stessa Associazione nazionale magistrati, il 5 marzo 2010, espresse forti perplessità, ritenendo “preoccupante” l’intento che traspare dalla legge 183 del 2010 di mortificare il ruolo del giudice del lavoro. A sua volta l’Organismo unitario dell’avvocatura osservò che, con il provvedimento in esame, si confonde la necessità di rendere i tempi della giustizia più celeri con la riduzione degli spazi di tutela del cittadino. Alcuni commentatori si concentrarono anche sul tema dell’utilità effettiva dell’istituto, osservando che “l’arbitrato, nelle varie forme, dovrebbe “deflazionare” il ricorso al giudice del lavoro sul quale, è bene ricordarlo, gravano, in forte misura, le c.d. “cause previdenziali”, non toccate dalla attuale riforma. La materia dei licenziamenti resta fuori dalla procedura arbitrale che può riguardare soltanto altri aspetti del rapporto di lavoro. Tutto questo, seppur apprezzabile nello spirito, necessita della volontà delle parti: se questa non c’è (e ne è una dimostrazione l’art. 5 della legge n. 108/1990 che prevede, dopo il mancato accordo, la possibilità, di chiedere per il licenziamento nelle imprese sottodimensionate alle quindici unità, la costituzione di un collegio arbitrale), non c’è niente da fare. Diverso è, invece, il discorso relativo ai collegi arbitrali irrituali, ex art. 7 della legge n. 300/1970, che, in questi quaranta anni, hanno trovato piena agibilità presso le parti ed hanno contribuito a risolvere, in maniera equa e veloce, una serie di vertenze di natura disciplinare”. In quest’ultimo caso, però il successo dell’istituto si ricollega alla peculiarità delle regole procedurali che stabiliscono la sospensione dell’efficacia della sanzione disciplinare o la sua definitiva inefficacia, in relazione al comportamento ostativo alla procedura arbitrale del datore di lavoro. Si esaminerà, anche il dibattito dottrinale relativo all’istituto legale della nuova clausola compromissoria, a fronte dei rilievi pervenuti, come noto, dal Presidente della Repubblica, che aveva rinviato al Parlamento il disegno di legge, censurando, nello specifico, la disciplina dell’arbitrato e della clausola compromissoria. Tali rilievi mantengono la loro immutata attualità anche all’esito delle limitate modifiche governative successivamente apportate al provvedimento (quali il divieto di sottoscrizione della clausola compromissoria prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto dal contratto, o prima del decorso di trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, l’esclusione della possibilità che la clausola compromissoria riguardi le controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro); “la introduzione nell’ordinamento di strumenti idonei a prevenire l’insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalità di definizione può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto, ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i principi della volontarietà dell’arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole, (...) principi costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale” in relazione “al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione)”. Ci si focalizzerà, poi, sugli ulteriori motivi di perplessità rinvenuti nell’analisi della novella del 2010, che riguardano la possibilità che la clausola compromissoria possa comprendere anche la richiesta di decidere secondo equità (anche se oggi, all’esito delle modifiche al disegno di legge originario, il ricorso all’equità è consentito nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, inclusi quelli derivanti da obblighi comunitari). Nel terzo ed ultimo capitolo si affronterà lo studio dell’arbitrato americano, riprendendo alcuni temi comuni all’arbitrato italiano, quali, a titolo esemplificativo, la nascita dell’employment arbitration che si lega alla sorte delle organizzazioni sindacali americane e dell’istituto del labor arbitration. Verrà, altresì, trattata la problematica relativa all’arbitrato obbligatorio ed alla vincolatività della clausola compromissoria con particolare attenzione a quanto fu stabilito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Gilmer. Nel prosieguo del capitolo verranno, poi, esaminate le problematiche relative alla complessità ed allo spazio attribuito al controllo giurisdizionale dei lodi arbitrali ed ai motivi di impugnazione previsti dal Federal Arbitration Act (FAA). Si evidenzierà quanto, nell’ordinamento americano, sia preferibile l’utilizzo di meccanismi di risoluzione delle controversie, perché più rapidi, concreti e meno costosi, rispetto alle procedure giudiziali. Lo studio, quindi, proverà a dimostrare che l’esigenza di una maggiore flessibilità rappresenta un’idea riformatrice certamente percorribile, la cui realizzazione, però non potrà essere affidata in modo prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie. Verranno, altresì, confermate le evidenti difficoltà di trasposizione dei rimedi americani nell’ordinamento italiano, a causa della frammentarietà della normativa italiana, della differente cultura giuridica, ma soprattutto dell’insuperabile diffidenza sviluppatasi nei confronti dell’uso “di strumenti alternativi” al processo.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles

Books on the topic "Procedure, modello nazionale, modello statunitense"

1

Bologna, Chiara. Stato federale e «national interest». Le istanze unitarie nell'esperienza statunitense. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg253.

Full text
Abstract:
Le crescenti richieste di maggior autonomia da parte degli enti territoriali, stimolate dal processo di globalizzazione dell'economia e dalla crisi fiscale dello stato sociale, non fanno venir meno la necessità di interventi delle istituzioni nazionali che preservino l'unità giuridica e la coesione sociale dello stato. L'esperienza del regionalismo italiano è sotto questo profilo emblematica: il venir meno, con la riforma costituzionale del 2001, della clausola dell'interesse nazionale, non ha fatto venir meno l'esigenza di tutelare le istanze unitarie, richiedendo, come ha sottolineato la Corte costituzionale in più occasioni, «una deroga alla normale ripartizione di competenze». Può essere allora interessante cercare di capire come tale deroga sia avvenuta in un ordinamento, come quello statunitense, che si confronta da più di due secoli con la ripartizione verticale del potere e che sembra oggi, con la presidenza di Barack Obama, avviarsi ad una nuova stagione di vigorosi interventi nazionali. L'osservazione di un sistema come quello statunitense, propriamente federale, è ancor più utile in presenza di un innegabile avvicinamento tra il modello dello stato federale e quello dello stato regionale. Con quali meccanismi, allora, la federazione statunitense ha superato i limiti che il catalogo dei poteri enumerati in Costituzione sembrava assegnarle? Con quali strumenti è intervenuta, ad esempio, per garantire diritti civili e sociali?
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
We offer discounts on all premium plans for authors whose works are included in thematic literature selections. Contact us to get a unique promo code!

To the bibliography