Journal articles on the topic 'Primo dopoguerra'

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1

Strinati, Valerio. "Aspetti del regionalismo italiano del primo dopoguerra." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (September 2013): 5–42. http://dx.doi.org/10.3280/mon2013-001001.

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2

Mura, Salvatore. "Il notabilato in Sardegna. Dall'Unità al primo dopoguerra." SOCIETÀ E STORIA, no. 167 (March 2020): 95–121. http://dx.doi.org/10.3280/ss2020-167004.

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3

Valbousquet, Nina. "Antisemitismo italiano e cattolici integralisti nel primo dopoguerra." PASSATO E PRESENTE, no. 102 (September 2017): 68–91. http://dx.doi.org/10.3280/pass2017-102004.

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4

Detti, Tommaso. "Il primo dopoguerra in Italia: una guerra civile?" PASSATO E PRESENTE, no. 84 (October 2011): 176–81. http://dx.doi.org/10.3280/pass2011-084012.

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5

Ginelli, Francesco. "L’Africano Maggiore nella storiografia italiana del primo dopoguerra." Myrtia 37 (November 28, 2022): 189–204. http://dx.doi.org/10.6018/myrtia.549081.

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6

Mancebo Roca, Juan Agustín. "Breve historia de la cocina italiana de la primera mitad del siglo XX." Res Mobilis 12, no. 15 (January 28, 2023): 309–13. http://dx.doi.org/10.17811/rm.12.15.2023.309-313.

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7

Mangiameli, Rosario. "L'Università e la politica. Dal primo al secondo dopoguerra." ARCHIVIO STORICO PER LA SICILIA ORIENTALE, no. 1 (September 2019): 153–63. http://dx.doi.org/10.3280/asso2019-001014.

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8

Benegiamo, Marcello, Paola Nardone, and Natascia Ridolfi. "L'Ansaldo dei Perrone e la Romania nel primo dopoguerra." SOCIETÀ E STORIA, no. 159 (February 2018): 117–49. http://dx.doi.org/10.3280/ss2018-159005.

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9

Di Bartolo, Francesco. "La riforma del latifondo nella Sicilia del primo dopoguerra." QA Rivista dell'Associazione Rossi-Doria, no. 4 (December 2010): 121–54. http://dx.doi.org/10.3280/qu2010-004005.

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Abstract:
Nel primo dopoguerra in Europa i governi procedevano a riforme redistributive della terra, in Italia si tentava la via delle bonifiche tramite l'Opera nazionale combattenti. In questo contesto la Sicilia fu il principale banco di prova per sovrapporre a ordinamenti latifondistici privi di investimenti un sistema di conduzione economica modellato sulla tradizione del cooperativismo, piů corrispondente alle esigenze di una moderna societŕ capitalista. Il piano di riqualificazione del territorio si poneva l'obiettivo di aggredire il latifondo con una moderna legislazione sugli espropri e i contratti a miglioria. Tuttavia l'esempio siciliano ci consente di concludere brevemente che il progetto basato sulla diffusione della conduzione cooperativistica e sostenuta dall'intervento pubblico naufragň a causa di un ceto politico locale poco attrezzato ad accogliere le sfide dello sviluppo capitalistico.
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Sabbatucci, Giovanni. "Il fallimento del liberalismo e le crisi del primo dopoguerra." Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée 114, no. 2 (2002): 711–21. http://dx.doi.org/10.3406/mefr.2002.9880.

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Valente, Ilaria, and Elena Fontanella. "Milano, margine ovest: una strategia per la riconnessione degli strati urbani." TERRITORIO, no. 59 (November 2011): 89–117. http://dx.doi.org/10.3280/tr2011-059015.

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Abstract:
Nell'ambito del Laboratorio di Dottorato, le sperimentazioni progettuali hanno assunto come contesto i quartieri residenziali del primo e secondo dopoguerra collocati nel settore marginale compreso tra l'asse del Sempione e il Naviglio Grande con l'obiettivo di formulare strategie d'intervento in grado di lavorare a diverse scale e in grado di coinvolgere non solo lo spazio edificato, ma anche quello aperto e di relazione.
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12

Bonnet, Romain. "Pierre Bourdieu, lo Stato e la violenza politica in Italia. Il caso di Gioia del Colle (1920-1922, provincia di Bari)." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 299 (August 2022): 100–124. http://dx.doi.org/10.3280/ic2022-299005.

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Abstract:
Questo articolo mette per la prima volta a fuoco il sistema di pensiero di Pierre Bourdieu, incentratosul trittico concettuale capitale-habitus-campo, e culminante nella problematizzazionedello Stato. Per capire i legami complessi tra quest'ultimo e la violenza, il saggio analizzaun caso di brutalizzazione del primo dopoguerra. Il primo luglio 1920, verso mezzogiorno,un proprietario terriero di Gioia del Colle (provincia di Bari) diede l'ordine di fare fuoco suicontadini che tornavano dal lavoro per riscuotere la paga. L'ordine fu prontamente eseguitoda una cinquantina di altri possidenti raggruppati, armati e nascosti. Tuttavia, nell'estate del1922, i responsabili di questa aggressione furono assolti con una sentenza, a dir poco paradossale,di "legittima difesa". Per capire come sia stato possibile arrivare a questa esplosionedi violenza fisica, e alla sua copertura simbolica da parte delle istituzioni, il presente saggioanalizza la metamorfosi dello Stato italiano tra la fine del XIX secolo e l'avvento del Fascismo.Il caso di Gioia del Colle mette così in luce il passaggio tra la brutalità prebellica e labrutalizzazione postbellica.
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Paternoster, Annick. "Istruzione, lavoro, voto. L’emancipazione femminile nella trattatistica comportamentale dall’unificazione al primo dopoguerra." Italianist 38, no. 3 (September 2, 2018): 334–51. http://dx.doi.org/10.1080/02614340.2018.1515869.

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Osculati, Franco. "La finanza comunale in provincia di Pavia tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento." STORIA IN LOMBARDIA, no. 1 (April 2022): 92–109. http://dx.doi.org/10.3280/sil2021-001006.

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Abstract:
Nella provincia di Pavia erano, e sono, presenti numerosi comuni, molti dei quali di piccole e piccolissime dimensioni. L'industrializzazione del dopoguerra e la connessa immigrazione non sconvolsero il territorio; tuttavia, tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta si manifestava un forte fabbisogno di infrastrutture. Pur aumentando gli investimenti e gli organici, i comuni mantennero una condotta finanziaria prudente anche dopo la riforma tributaria del 1974 che abolì quasi totalmente i tributi locali. La maggioranza dei comuni era di sinistra, ma non sembra che i diversi colori politici abbiano caratterizzato significativamente i comportamenti delle giunte. Il presente saggio cerca di collocare la situazione locale nelle tendenze economiche generali di un periodo contraddistinto da inflazione e dalla formazione di un primo nucleo di debito pubblico nazionale, un lascito fastidioso ma inevitabile.
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Pinoli, Stefano. "Un laboratorio editoriale nella Milano del primo dopoguerra: l'esperienza della modernissima (1919-1932)." STORIA IN LOMBARDIA, no. 2 (October 2016): 36–63. http://dx.doi.org/10.3280/sil2015-002002.

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Garavaglia, Valentina. "Tra utopia e riformismo, il teatro pubblico di Paolo Grassi e Giorgio Strehler." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 54, no. 1 (March 10, 2020): 439–58. http://dx.doi.org/10.1177/0014585820910088.

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Abstract:
L’incontro tra Paolo Grassi e Giorgio Strehler avvenuto nella Milano del dopoguerra, segna l’inizio di un sodalizio, artistico e umano, che ha concorso a scrivere importanti pagine della storia del teatro non solo italiano, ma soprattutto ha contribuito ad arricchire la storia della cultura di ispirazione socialista nel nostro paese. Il legame tra il Piccolo Teatro di Milano, nei suoi primi 25 anni di vita, e la storia del socialismo riformista si racconta attraverso drammaturgie di impegno politico, scelte di regia e di politica culturale nelle quali si intrecciano le biografie del regista e dell’ideologo, uniti nell’impegno per la realizzazione di un teatro d’arte per tutti a partire dall’eredità della Resistenza. Attraverso l’analisi degli appunti di regia, della corrispondenza privata, della critica e degli allestimenti, l’articolo si propone di ripercorrere gli anni dalla fondazione del Piccolo Teatro, nel 1947, fino al 1972, anno in cui Paolo Grassi passerà alla direzione del Teatro alla Scala. A partire dal primo allestimento di Giorgio Strehler, L’albergo dei poveri di Gor’kij, le scelte drammaturgiche e stilistiche del primo teatro stabile pubblico italiano si rivelano emblematiche della continua tensione ideale tra arte e politica, tra attenzione rivolta all’uomo e riflessione sulla collettività.
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Delzell, Charles F., and Brunello Vigezzi. "Federico Chabod e la "Nuova Storiografia" italian dal primo al secondo dopoguerra, 1919-1950." American Historical Review 90, no. 5 (December 1985): 1230. http://dx.doi.org/10.2307/1859764.

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Gambino, Silvio. "Parabole evolutive e problematiche attuali del regionalismo, fra riforme attuate, inattuate (federalismo fiscale, Carta delle autonomie) e aleggiate (regionalismo differenziato) .. a vent'anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 2 (January 2022): 63–102. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2021-002003.

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Abstract:
Dopo qualche cenno (anche di tipo metodologico) sulle problematiche evolutive del regionalismo nel primo dopoguerra repubblicano, nel contributo sono analizzate - anche in una prospettiva comparata con le omologhe forme di decentramento territoriale dei poteri osservabili negli Stati europei a forma regionale e in quelli a forma federale - alcune delle problematiche del riparto dei poteri alla luce dei venti anni successivi alle riforme costituzionali del Titolo V, per interrogarsi conclusivamente sui nuovi rapporti venutisi a determinare fra autonomia politica regionale, impatto della crisi economica, integrazione europea e problematiche di effettività dei diritti, soprattutto (sociali ma non solo).
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Allotti, Pierluigi. "La rinascita della scienza politica italiana nel carteggio Sartori-Bobbio (1958-1980)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (August 2021): 143–71. http://dx.doi.org/10.3280/mon2021-001005.

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Abstract:
Esponenti illustri della cultura politica europea del Novecento, Giovanni Sartori e Norberto Bobbio sono stati gli artefici principali della rinascita della scienza politica italiana negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Nata in Italia nel clima del positivismo di fine Ottocento, la scienza politica era stata presto soffocata al volgere del nuovo secolo da nuove correnti di pensiero (il formalismo giuridico e la filosofia idealista). Nel secondo dopoguerra era ancora negletta, nonostante l'idealismo stesse ormai perdendo terreno. Così Sartori, in particolare, influenzato dalla politologia statunitense, si adoperò sin dai primi anni Cinquanta per rilanciare la disciplina e assicurarle una piena legittimità accademica. Fondato sul carteggio inedito tra i due studiosi, questo articolo getta una nuova luce sul ruolo avuto da entrambi nella rifondazione in Italia della scienza politica contemporanea, evidenziando come Sartori e Bobbio, pur condividendo l'assunto che si trattasse in primo luogo di una scienza empirica, avessero in realtà visioni differenti riguardo alle sue finalità.
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Poggi, Stefano. "Antonio Banfi e le filosofie della Germania del novecento." Trans/Form/Ação 37, no. 3 (December 2014): 201–16. http://dx.doi.org/10.1590/s0101-31732014000300015.

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Abstract:
Tra le figure più importanti del dibattito filosofico italiano del Novecento, Antonio Banfi ha svolto nell'Italia del secondo dopoguerra anche un ruolo politico di rilievo come senatore del PCI. La sua interpretazione del marxismo ha presentato una forte accentuazione umanistica. Tra i suoi scolari filosofi e storici della filosofia come Giulio Preti, Enzo Paci, Remo Cantoni, Paolo Rossi. Il saggio prende in esame la prima fase della riflessione filosofica di Banfi, nella quale ha una importanza decisiva la conoscenza diretta del dibattito tedesco tra le due guerre mondiali, in primo luogo della fenomenologia di Husserl e della ontologia di N. Hartmann. I Principi di una teoria della ragione - libro apparso alla fine degli anni '20 - e poi una serie di incisivi saggi degli anni '30 documentano una conoscenza approfondita e critica di un dibattito di cui mostrerà di nutrirsi in misura decisiva l'interpretazione di Banfi non solo di Hegel, ma anche di Marx.
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Martire, Anthony. "Il soggetto mutilato del futurismo: F.T. Marinetti e la costruzione dell'italiano futurista nel primo dopoguerra." MEMORIA E RICERCA, no. 38 (December 2011): 99–110. http://dx.doi.org/10.3280/mer2011-038008.

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Fiorilli, Olivia. "Biopolitica dell'igiene nel primo dopoguerra. Genere e governo dei corpi nella costruzione dell'assistente sanitaria visitatrice." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 282 (December 2016): 209–32. http://dx.doi.org/10.3280/ic282-oa1.

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Canale Cama, Francesca. "Tra oblio e rimozione ideologica. La biografia di Francesco Saverio Nitti e l’identità italiana nel primo dopoguerra." Sémata: Ciencias Sociais e Humanidades, no. 32 (November 13, 2020): 131–49. http://dx.doi.org/10.15304/s.32.6552.

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Abstract:
Nel movimentato quadriennio che in Italia seguì la fine della prima guerra mondiale, l’uscita dalla guerra e la gestione dei problemi ad essa connessi, la crisi sociale divampante quasi contemporaneamente al ritorno della pace sono generalmente messi in relazione con il “ritorno al liberalismo” incarnato dalla figura e dal governo di Francesco Saverio Nitti tra il 1919 ed il 1920. Instancabile artefice di un progetto di pace europea di ampio respiro egli raggiunse il suo massimo ascendente politico internazionale proprio mentre l’umore delle piazze e delle pance del Paese virava senza freno verso quel “sacro egoismo” sempre più incarnato dall’ esperienza dell’occupazione di Fiume e dal mito della “vittoria mutilata”. Il fallimento del suo governo nel giugno del 1920 è spesso indicato come autentica incarnazione della fine del liberalismo italiano e esempio di quella debolezza istituzionale che favorì non poco l’ascesa del fascismo.
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Zinni, Maurizio. "Un festival americano nell'Italia del "miracolo". Il primo Festival dei Due Mondi di Spoleto e la diplomazia culturale americana." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (May 2021): 65–85. http://dx.doi.org/10.3280/mon2020-002004.

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Abstract:
La prima edizione del Festival dei due Mondi di Spoleto nel 1958 fu uno degli eventi artistico-culturali più importanti realizzati in Italia nel dopoguerra. Fu anche una manifestazione esemplare della diplomazia culturale americana in Europa negli anni della "coesistenza pacifica" fra i due blocchi. I maggiori finanziamenti provennero dal network pubblico-privato formato da Big Foundations e fondi governativi che ebbe come obiettivo la diffusione della cultura americana in Europa. Il fondatore del Festival, Gian Carlo Menotti, e gli artisti invitati ad esibirsi furono essi stessi protagonisti della diplomazia pubblica americana negli anni Cinquanta. Allo stesso tempo, un ruolo rilevante nella sua organizzazione venne svolto da alcuni attori locali italiani di diverso orientamento politico che si giovarono della visibilità internazionale per ottenere obiettivi di carattere economico. Il risultato finale si rivelò un successo sia per gli obiettivi propagandistici americani, sia per il tornaconto della locale amministrazione comunale a maggioranza comunista.
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Strambi, Giuliana. "Il recupero delle terre incolte e abbandonate. La “nuova stagione” legislativa italiana fra obiettivi ambientali e promozione dell’accesso alla terra da parte dei giovani." Przegląd Prawa Rolnego, no. 1(22) (June 1, 2018): 199–208. http://dx.doi.org/10.14746/ppr.2018.22.1.13.

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Abstract:
Il recupero delle terre incolte e abbandonate in Italia ha vissuto diverse stagioni a partire dal primo dopoguerra, con esiti non sempre soddisfacenti. Il presente scritto mira ad evidenziare i motivi della recente rinascita dell’interesse per la questione da parte delle Regioni, le quali sono tornate a disciplinare l’istituto dell’assegnazione delle terre incolte e abbandonate nel nuovo contesto della disciplina delle cosiddette “banche della terra”. Sulla scia dell’intervento regionale, che presenta dichiarate finalità ambientali, si è mosso anche il legislatore statale, con la creazione di “banche della terra” che mirano ad offrire opportunità di accesso alla terra ai giovani, soprattutto nelle aree del sud Italia, anche per arginare il problema della senilizzazione del settore agricolo. L’articolo, oltre ad analizzare le diverse discipline, inquadrandole anche nel contesto delle politiche europee per l’uso razionale delle risorse naturali e per lo sviluppo delle aree rurali marginali, ne evidenzierà le criticità.
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Bernard, Enrico. "1927–1932 Il lustro che cambiò la letteratura italiana." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 52, no. 2 (April 22, 2018): 282–300. http://dx.doi.org/10.1177/0014585818757479.

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Abstract:
Il neorealismo viene comunemente datato, ma è una concezione alquanto approssimativa, a partire dal secondo dopoguerra. Si è naturalmente tenuto conto dei vari “laboratori” e delle fermentazioni letterarie del primo ‘900, in particolare gli anni Venti e Trenta, che hanno gettato le basi del “nuovo” realismo successivamente affermatosi nel cinema e nella narrativa. Tuttavia, l’approfondimento di questa determinante “eredità”, sia pur individuata, è stata scandagliata solo in parte. Esempio delle lacune nella ricerca è rappresentato dall’attività del giovane Carlo Bernari tra il 1927 e il 1932, un quinquennio preparatorio non solo del suo capolavoro—nel senso letterale di “origine” di una nuova concezione artistica— Tre operai (Rizzoli, 1934), ma da riconsiderare, sulla scia delle interpretazioni di Remo Cantoni e Eugenio Montale, come fulcro dei successivi sviluppi della letteratura italiana. Con le lettere manoscritte inedite di Breton e Ribemont Dessaignes a Carlo Bernari (pseudonimo di Carlo Bernard dal 1938).
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Bianchini, Paolo. "La funzione pedagogica dell’estetica totalitaria. La scuola fascista e la celebrazione della Prima Guerra Mondiale in Italia. Il caso di Torino." Educar em Revista 35, no. 73 (February 2019): 135–60. http://dx.doi.org/10.1590/0104-4060.62734.

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Abstract:
SOMMARIO La scuola, anche dal punto di vista architettonico e dell’arredo scolastico, è senza dubbio un prodotto culturale tipico di ogni epoca storica. Durante il fascismo, essa ha svolto il compito di formare il cittadino-soldato, amante della patria e obbediente ai voleri del duce. Servendosi in maniera massiccia dell’arte e della bellezza, la scuola ha assunto un compito centrale nello Stato fascista, venendo incaricata della trasmissione di un’identità nazionale basata sul culto di coloro che erano morti per la costruzione dell’Italia unita. L’arte, in tutte le sue forme, ma specialmente quelle architettoniche e plastiche, è stata per questo abilmente utilizzata nel ventennio fascista come strumento di trasmissione di una pedagogia della morte e della guerra, considerata come imprescindibile per l’“italiano nuovo”. Il saggio indaga i meccanismi con cui l’estetica totalitaria fascista è stata applicata nelle scuole di Torino negli anni del primo dopoguerra, ricoprendo una parte imprescindibile - seppur insospettabile per molti - nella costruzione del consenso.
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Intini, Ugo. "Avanti!, il quotidiano socialista che alfabetizza e forma." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 54, no. 1 (March 29, 2020): 140–65. http://dx.doi.org/10.1177/0014585820909285.

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Abstract:
Avanti! non è solamente il quotidiano che accompagna la storia del Partito Socialista Italiano, ma anche il primo agente di alfabetizzazione e acculturamento del mondo del lavoro e dei ceti meno favoriti. L’autore, che è stato direttore del giornale, sottolinea la forte presenza di letterati e uomini di cultura sulle colonne del quotidiano, con riferimenti specifici ad autori come De Amicis, Soldati, Bassani, Bevilacqua, Bianciardi, Cassola, Castellaneta; a pittori e disegnatori come Scalarini, Podrecca, Boccioni, Sironi; critici teatrali letterari e d’arte come Antonio Gramsci, Paolo Grassi, Carlo Fontana, Franco Fortini, Bonito Oliva, Argan, Barilli; protagonisti dello spettacolo come Gasmann, Lattuada, Rosi, Wertmüller; artisti come Cascella, Cantatore, Maccari, Pomodoro, fino a Carlo Rambaldi, collaboratore dalla provincia emiliana di Ferrara che, emigrato negli Stati Uniti, creò E.T. per Spielberg. Vera antologia della cultura italiana tra Ottocento e Novecento, il quotidiano soffrì l’attacco e la distruzione del fascismo, per riprendersi ancora con più vigore nel dopoguerra.
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Esposito, Assunta. "Un vescovo per Bressanone. Autorità italiane, gerarchie cattoliche e la vacanza della diocesi di Bressanone nel primo dopoguerra (1918-1921)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (September 2020): 5–51. http://dx.doi.org/10.3280/mon2020-001001.

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Abstract:
La vittoria sull'Austria nella prima guerra mondiale dava all'Italia insieme al sospirato confine al Brennero l'acquisto del Sudtirolo. Fra i problemi posti dal nuovo assetto ci fu dal lato ecclesiastico la situazione della diocesi a popolazione tedesca di Bressanone, una delle due diocesi, insieme a Trento, insistenti sul nuovo territorio italiano. La diocesi si trovava vacante da prima della fine della guerra ed era molto estesa, comprendeva infatti anche il Tirolo settentrionale, che sarebbe rimasto fuori dal nuovo confine italiano. Un vescovo, mons. Waitz, era stato in realtà nominato dall'imperatore d'Austria alla vigilia dell'abdicazione. Alle autori-tà italiane come alla S. Sede però era chiara la necessità di riconsiderare tanto la candidatura di Waitz, dal profilo politico troppo esposto in senso antitaliano, quanto di segnare nuovi confini alla diocesi, per separare definitivamente la parte austriaca dalla parte italiana. A questi intenti si opponevano la volontà di clero e popolazione locale di mantenere unita la diocesi in funzione di una futura riunione all'Austria e gli sforzi di Waitz per mantenere la propria candidatura. Il saggio rico-struisce analiticamente le tappe della laboriosa decisione attraverso il dialogo fra gerarchie cattoliche locali e romane e autorità italiane militari e civili sulla base di una documentazione archivistica edita e inedita.
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Cicala, Antonio. "Sturzo e il movimento cattolico a Messina. L'egemonia clerico-moderata 1890-1926." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 259 (November 2010): 302–13. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-259006.

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Abstract:
Il saggio concerne la natura del movimento cattolico a Messina, delle cui componenti - liberali cattolici e intransigenti - vengono ricostruiti gli organigrammi, che evidenziano in particolare la continuitŕ delle presenze degli esponenti clerico-moderati, come nel resto della Sicilia e in tutto il Mezzogiorno. L'autore, in proposito, smonta alcune mistificazioni operate da Angelo Sindoni in un recente saggio su Sturzo e Messina, tendenti ad affermare piena sintonia tra l'‘intransigente' Sturzo e Giuseppe Fortino, leader del movimento cattolico messinese, protagonista invece di un'amministrazione clerico-moderata. In realtŕ Sturzo, che nonostante i contrasti politici aveva buoni rapporti con i dirigenti cattolici messinesi, era in sintonia con Attilio Salvatore, dirigente del movimento giovanile, il quale tuttavia, per la giovane etŕ, non aveva peso e rilievo negli equilibri politici cittadini che vedevano l'egemonia clerico-moderata prevalere ancora nelle amministrative dal 1914 al 1919 e condizionare nel primo dopoguerra la vita interna del Partito popolare italiano (Ppi). Ciň determinň la sconfitta della componente democratico-sturziana di Attilio Salvatore e l'affermazione della linea filofascista, attivamente sostenuta dal vescovo Angelo Paino.
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Grandi, Alberto, and Stafano Magagnoli. "Ai margini dell'intervento straordinario. Le Marche tra la Cassa per il Mezzogiorno e la piccola impresa." STORIA URBANA, no. 130 (October 2011): 169–91. http://dx.doi.org/10.3280/su20011-130007.

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Abstract:
Le politiche di sviluppo economico attuate nella regione marchigiana a partire dal secondo dopoguerra si confrontano con due variabili significative che definiscono il contesto di intervento. Da un lato, la caratteristica dimensionale e qualitativa del tessuto produttivo locale: esso č composto per lo piů da piccole imprese, sviluppatesi seguendo un percorso di industrializzazione di natura sostanzialmente endogena, ed č segnato dalla presenza di una imprenditoria diffusa, la cui origine si lega a strutture economiche e sociali formatesi nel lungo periodo. Dall'altro lato, la peculiaritŕ amministrativa e geografica, per cui la parte piů meridionale del territorio regionale č interessata dai provvedimenti della Cassa per il Mezzogiorno. Le politiche pubbliche a sostegno dell'industrializzazione intervengono in questo contesto secondo due differenti strategie. Nel primo trentennio dopo la Seconda guerra mondiale, esse sembrano soprattutto orientate a sostenere la competizione territoriale, nel quadro delle scelte nazionali di localizzazione industriale e di allocazione delle risorse; le Aree industriali attrezzate rappresentano, per tutto questo periodo, uno strumento attraverso il quale attrarre l'insediamento di imprese "esterne". L'istituzione del Consorzio per il Nucleo d'industrializzazione di Ascoli Piceno, nell'ambito degli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, si inquadra in questa prima fase. Una seconda fase, dalla metŕ degli anni Settanta, vede invece prevalere l'obiettivo di riequilibrare le asimmetrie createsi negli anni precedenti e rappresentate dal maggiore sviluppo economico, sociale e demografico della fascia costiera e delle zone d'imbocco delle valli. Le Aia di iniziativa regionale attivate in questa seconda fase mostrano una diversa declinazione dell'uso di questo strumento, mirata a interagire con le dinamiche della piccola impresa.
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Esposito, Assunta. "Santa Sede, Italia, Austria e la questione dei nuovi confini della diocesi di Bressanone (1920-1925)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (February 2022): 5–56. http://dx.doi.org/10.3280/mon2021-002001.

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Abstract:
Nel primo dopoguerra alla S. Sede toccò il difficile compito di rivedere i confini della diocesi di Bressanone, sancendo in via ecclesiastica quanto politicamente era stato disposto dai trattati di pace con il passaggio all'Italia del Tirolo meridionale tedesco (Deutsches Südtirol). La diocesi, estesa sui due versanti delle Alpi, si trovava ora divisa in due dal nuovo confine statale del Brennero. Non poteva essere ignorata dalla S. Sede la richiesta italiana di procedere ad una separazione completa della parte italiana da quella austriaca della diocesi, così come non poteva rimanere inascoltato il desiderio austriaco di mantenere in essere il legame ecclesiastico di lunga data. Collegata al nuovo assetto di Bressanone si trovava pure la questione dei decanati tedeschi della diocesi di Trento, dove clero e fedeli, in contrasto da tempo per questioni nazionali con il vescovo italiano Endrici, chiedevano per i buoni uffici del vescovo Waitz di essere sottratti a quella giurisdizione e di unirsi alla diocesi tutta tedesca di Bressanone. Il saggio ricostruisce sulla base di una documentazione archivistica inedita le alterne fasi di una procedura particolarmente laboriosa rimasta finora ignota, che si concluse con la soluzione provvisoria varata nel 1925. Una soluzione destinata in realtà a rimanere in vigore fino alla metà degli anni Sessanta.
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Cereghetti Passini, Antonietta. "Decreti prefettizi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia e l’italianizzazione forzata dei cognomi nelle Nuove Province in generale e nella Provincia dell’Istria in particolare." Histria : the Istrian Historical Society review 7, no. 7 (2017): 137–66. http://dx.doi.org/10.32728/h2017.05.

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Abstract:
L’italianizzazione forzata dei cognomi, parte del più ampio programma di snazionalizzazione delle minoranze nelle Nuove Province (Trento, Bolzano, Trieste, Istria, Gorizia, Fiume, Zara) avviato dallo Stato italiano nel primo dopoguerra, fu legalizzata per mezzo di leggi e decreti votati appositamente dal giovane governo fascista e implementata con l’istituzione, presso le prefetture di ogni provincia, di commissioni responsabili per la compilazione di elenchi contenenti i cognomi ritenuti non italiani e le loro rispettive forme sostitutive. L’iter, non sempre rispettato, prevedeva il cambiamento del cognome su domanda del capofamiglia (con l’affissione sul rispettivo albo comunale) oppure per imposizione della prefettura. Dopodiché, il cambiamento veniva pronunciato con un decreto del Prefetto della Provincia, notificato agli interessati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia ed annotato nei registri dello stato civile. La ricerca qui esposta ha considerato e analizzato numericamente tutti i decreti di cambiamento di cognome pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Poiché lo Stato italiano non sempre adempì all’obbligo di pubblicare tutti i decreti, il risultato ottenuto non può che essere incompleto. Nondimeno testimonia una vera e propria ossessione onomastica che coinvolse centinaia di migliaia di individui. Infine, un’analisi più dettagliata dei decreti emessi dalla Prefettura di Pola dimostra quanta e quale fu la mobilitazione dell’apparato del potere che, dietro il dichiarato desiderio di “recupero dei cognomi originari italiani o latini”, perpetrava quello che la storiografia definirà come “genocidio culturale” e “onomasticidio di Stato”.
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Punzo, Maurizio. "Il “salotto” di Anna Kuliscioff e Critica Sociale." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 54, no. 1 (March 30, 2020): 312–30. http://dx.doi.org/10.1177/0014585820912905.

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Abstract:
Studio o salotto che fosse, la stanza come “luogo” nel quale si manifestavano, oltre agli affetti famigliari di Filippo e Anna, l’elaborazione e il dialogo politici della coppia più celebrata del socialismo italiano, Turati e Kuliscioff, merita l’attenzione di storici e critici letterari. Vi passò fior fiore di personaggi che fecero la storia della politica e della cultura di quei decenni, in particolare nell’ambito laico socialista, contribuendo alla formazione di un buon numero di futuri combattenti contro il fascismo. Ricco di citazioni di testimoni di quei decenni, il saggio fornisce al lettore il sapore dell’ambiente colto e progressista, nel quale prendevano forma opzioni culturali e politiche che avrebbero trovato, nel primo dopoguerra, modo di crescere e affermarsi. Sotto questo profilo, di grande efficacia l’incrociarsi, nel salotto di casa Turati in portici Galleria a Milano, di generazioni e correnti di socialismo di ogni tipo, nello spirito di libertà e aperto confronto che lo contraddistingueva. Il “salotto” di Anna Kuliscioff era in realtà più uno studio che un salotto. Il 1° gennaio 1899 la stessa Kuliscioff, libera dopo quattro mesi di detenzione, datava la sua prima lettera da Milano a Turati, ancora detenuto a Pallanza, “da casa del tuo-nostro studio” (Turati e Kuliscioff, 1977: vol. I, 239) ed anche Turati si riferiva a quella stanza soprattutto come al loro studio: “la luce della Camera – scriveva per esempio il 30 novembre 1903 – fa rimpiangere le belle lampade del nostro studio e del nostro tinello” (Turati e Kuliscioff, 1977: vol. II, t. I, 130). In diverse occasioni però definiva “salotto”, senza alcuna ironia, quello stesso ambiente: “Il Bollettino e le inchieste dell’Ufficio del Lavoro sono tutte in salotto, nella libreria che è accanto alla porta della tua camera da letto dal lato della finestra”, il 14 giugno 1910 (Turati e Kuliscioff, 1977: vol. III, t. I, 242–243).
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Benegiamo, Marcello, and Paola Nardone. "Tecnocrazia e politica in Italia dalla crisi del 1907 al Primo Dopoguerra = Technocracy and political crisis in Italy from 1907 till the early after World War." Pecvnia : Revista de la Facultad de Ciencias Económicas y Empresariales, Universidad de León, no. 19 (February 2, 2016): 43. http://dx.doi.org/10.18002/pec.v0i19.3581.

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Abstract:
<p>Uscito a pezzi dalla pesante crisi finanziaria e industriale del 1907, che aveva messo a nudo i limiti della struttura economica del Paese, il capitalismo industriale italiano elaborò un programma, portato avanti fino al primo dopoguerra, che prevedeva l’instaurazione di un governo di tecnocrati. Questo avrebbe dovuto trainare il Paese fuori dalla crisi, pianificarne l’economia e trasformarlo in una grande potenza industriale, con forti connotazioni imperialistiche. Segnali in tale direzione si erano registrati anche nei decenni precedenti, tra fine Ottocento e inizi Novecento, quando ebbe inizio un processo di concentrazione nel settore siderurgico e meccanico. Un percorso peraltro stimolato dalle commesse statali sempre più consistenti (Galli Della Loggia, 1970; Battilossi, 1999; Amatori e Colli, 1999; Bolchini, 2002). La crisi industriale e finanziaria del 1907 e la recessione a livello mondiale che ne seguì, accelerarono la soluzione tecnocratica, che prevedeva un’alleanza, più o meno stretta, con una parte della classe politica e l’entrata in guerra. Negli anni immediatamente seguenti il conflitto, il potere dei tecnocrati sulla scena politica italiana sembrò accrescersi notevolmente, soprattutto quando il governo progettò un programma di espansione economica nelle regioni del Caucaso, nei Balcani e nel Levante ex ottomano, territori in grado di fornire materie prime e di assorbire la produzione italiana in eccesso rispetto alle richieste di un mercato interno asfittico. La collaborazione tra mondo imprenditoriale, bancario e politico non produsse il risultato sperato. La caduta del governo Nitti e il ruolo destabilizzante e filotedesco della Banca Commerciale Italiana nell’Est europeo e nel Caucaso furono tra le cause principali che impedirono il decollo del progetto tecnocratico,<strong> </strong>provocando una dura reazione da parte dei fratelli Perrone alla guida del gruppo Ansaldo.</p><p>Heavily Weakened by the financial and industrial crisis of 1907, which showed all the limits of the economic structure of Italy, the Italian industrial capitalism developed a program that continued until the early after World War, which was taking into account the establishment of a government of technocrats.</p><p>This should had to take the country out of crisis, establish an economical plan and turn it into a major industrial power, with strong imperialist characteristics. Signals in this direction were also recorded in the previous decades, from the late nineteenth and early twentieth century, when a process of concentration of the main groups of entrepreneurs and capitalists began in the steel and mechanical industry. A path anyway enhanced by more and more orders from the government (Galli Della Loggia, 1970; Battilossi, 1999; Amatori and Colli, 1999; Boldrini, 2002). The industrial and financial crisis of 1907 and the global recession that followed, accelerated the technocratic solution, which were looking for a more or less closer alliance, with a part of the political class and going into war. Soon after the war, the political power of the technocrats in Italy seemed to grow significantly, especially when the Government developed a program of economic expansion in the regions of the Caucasus, Balkans and on the countries of the ex East Ottoman, these territories could provide raw materials and, with respect of an internal market completely saturated, to absorb the exceeding Italian production. The collaboration within the world of business, banking and politics did not produce the desired result. The fall of the Nitti´s Government and the pro German and destabilizing role of the Italian Commercial Bank in Eastern Europe and on the Caucasus were the major drivers against the launch of the technocratic project, inducing a though reaction by the Perrone brothers leading the group Ansaldo.</p>
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Bellucci, Paolo, and Pierangelo Isernia. "OPINIONE PUBBLICA E POLITICA ESTERA IN ITALIA: IL CASO DELLA BOSNIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 29, no. 3 (December 1999): 441–80. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200028914.

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Abstract:
IntroduzioneLa guerra contro la Repubblica Federale di Jugoslavia ha evidenziato i problemi della politica estera italiana degli anni '90. Con non più del 40% dell'opinione pubblica stabilmente a favore dei raid aerei contro la Serbia ed il Kosovo, una veemente opposizione del Vaticano e del Papa in prima persona ed una maggioranza di governo divisa al suo interno tra negoziatori ad oltranza ed auspici di una immediataescalationterrestre, si riproponeva, con maggiore evidenza del passato, il ridotto margine di autonomia dell'esecutivo nel settore della politica di sicurezza. A poco meno di due anni dalla crisi albanese, la leadership politica italiana si è trovata così ad affrontare l'ennesima prova di politica estera, per giunta sul terreno delle armi, un terreno sul quale nell'ultimo quarantennio repubblicano raramente un governo si era avventurato. Rispetto all'ambiente tut to sommato «placido» nel quale la politica estera italiana ha operato nel secondo dopoguerra, gli anni '90, con un ininterrotto susseguirsi di crisi (dal Golfo alla Somalia, dall'Albania alla Bosnia, per finire con il Kosovo) hanno prodotto un maggior numero di sfide, in aree molto più vicine e rilevanti per gli interessi nazionali italiani e in un quadro di minore possibilità di far ricorso al proprio tradizionale alleato, gli Stati Uniti, per risolvere i propri fondamentali problemi di sicurezza. Da qui la necessità di costruire un consenso nazionale intorno alle scelte del governo e, di conseguenza, il crescente interesse per il ruolo che l'opinione pubblica assume nella politica estera italiana. Il Kosovo tuttavia non è il primo caso in cui l'opinione pubblica entra nei calcoli dei decisori nazionali. In questo saggio intendiamo esplorare questo ruolo in un'altra recente crisi che ha visto coinvolta l'Italia, quella relativa al dissolvimento della ex-Jugoslavia, con particolare riferimento alla crisi in Bosnia-Herzegovina. Come diremo nelle conclusioni, da questa esperienza è possibile trarre alcune considerazioni che sembrano dimostrarsi valide anche nel caso del Kosovo.
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Palandri, Maria Mercedes. "Lo sport cattolico italiano, dalla fine del II guerra mondiale alle Olimpiadi del Sessanta." El Futuro del Pasado 6 (October 1, 2015): 127–57. http://dx.doi.org/10.14516/fdp.2015.006.001.005.

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Abstract:
All’interno di una cornice che descrive la situazione storico-politica del primo II dopoguerra, la ricostruzione dello sport italiano prende l’abbrivo dopo la lunga parentesi del periodo fascista. Accanto al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni) emergono nuovi organismi che si occupano di sport e contribuiscono ad arricchire la società italiana, tra tutti spicca il Centro Sportivo Italiano (CSI).Questa ricerca ha lo scopo di indagare il contributo che l’organizzazione dello sport cattolico ha messo in campo a favore dello sviluppo del sistema sportivo nazionale. Dalla relazione privilegiata che papa Pacelli ha concesso al popolo sportivo cattolico elaborando con i suoi discorsi una concezione di sport «cristianamente e sanamente inteso», capace di guidarlo e orientarlo di fronte a questo fenomeno in continua espansione. Alla presentazione della figura di Luigi Gedda, presidente del Csi dal 1944, anno della sua fondazione, fino al 1960, anno della XVII Olimpiade romana, e che ha rappresentato il trait d’union tra le gerarchie ecclesiastiche, il Csi e lo sport. All’alacre attività del Csi degli anni Cinquanta che ha visto un sostanziale sviluppo del suo impegno e delle sue attività nei confronti del gioventù sportiva che si è concretizzato attraverso il riscontro di un maggiore numero di tesserati. Ma soprattutto all’operosa condotta portata avanti da questa organizzazione cattolica in prospettiva dei Giochi Olimpici di Roma del 1960 con la preparazione della Giornata Olimpica indetta dal Coni per diffondere lo spirito olimpico tra la popolazione in ogni luogo d’Italia e per sollecitare lo sviluppo di una coscienza critica di fronte al vasto analfabetismo motorio degli italiani.
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Biondi, Teresa. "Donne in rivalsa e nuove “simboliche dei corpi femminili” tra antropomorfismo filmico, moda e idealismo di genere nel primo periodo del cinema viscontiano." dObra[s] – revista da Associação Brasileira de Estudos de Pesquisas em Moda, no. 35 (July 29, 2022): 55–82. http://dx.doi.org/10.26563/dobras.i35.1414.

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Abstract:
Il verismo filmico viscontiano riguarda il racconto delle trasformazioni identitarie degli italiani dal dopoguerra al boom economico, e si basa sulla rappresentazione del contesto psico-socio-antropologico in cui “modelli di donne della contemporaneità” appaiono per tratti erotizzati, e sempre emblematici di tentativi di una rivalsa femminile ancora in germe. Nei primi film di Visconti questo particolare aspetto prende dunque forma in toni solo idealmente progressisti e non concreti, rappresentati in personaggi interpretati da dive del tempo quali Giovanna-Calamai in Ossessione (1943), Maddalena-Magnani in Bellissima (1951) e Pupe-Schneider ne Il lavoro (1962). Alla base dei potenziali espressivi di queste opere vi è il valore antropomorfico del cinema, descritto in un suo saggio famoso che sembra più una “dichiarazione di intenti”, un preambolo ai suoi film atto a evidenziare la capacità, tutta da costruire, di riprodurre il valore dell’autenticità umana nella recitazione attoriale e nella scena, o a partire dagli aspetti materiali di cui è composta. Proprio la teoria filmica alla base dei suoi film e la correlata rappresentazione scenica, sia nelle forme simboliche costruite dalla regia, sia in quelle materialistiche dell’insieme di scenografie, costumi e fabbisogno scena, inizialmente assumono i tratti del neorealismo, o come egli precisava del “verismo umano” del quale manterrà sempre il carattere, anche nei film del secondo periodo definito dalla critica barocco e decadentista. Questo cambiamento sarà determinato dalla comprensione che il boom economico e il correlato avvento di una nuova società capitalista hanno cambiato radicalmente la vita e la cultura degli italiani, e non sempre verso il meglio. Per narrare tale cambiamento Visconti definirà nuove forme del racconto “realisticamente pre-strutturate” che mostrano, nella ricchezza della materialità degli ambienti e dei costumi, gli aspetti simbolici di un nuovo verismo umano degenerato dal denaro e spesso celato dietro la maschera dell’apparente crescita sociale. A partire da questo discorso si analizzano i tre personaggi femminili citati sopra, con particolare attenzione a Pupe-Schneider, caso di studio scelto per le particolari connotazioni drammaturgiche costruite tramite elementi barocchi della scena e costumi/abiti del marchio Chanel.
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Degli Esposti, Fabio. "Sulla pelle dei soldati. Razioni di guerra, approvvigionamenti alimentari e speculazioni industriali (1914-1922)." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 293 (August 2020): 9–46. http://dx.doi.org/10.3280/ic2020-293001.

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Abstract:
Nello scenario della guerra totale 1914-1918 la questione degli approvvigionamenti alimentari divenne un fattore essenziale. Il saggio prende in considerazione le politiche attuate dal governo italiano in un settore fondamentale, quello del consumo di carne. La strategia seguita fu in primo luogo quella di scoraggiare i consumi civili, che tuttavia, già piuttosto bassi, non poterono essere contratti in misura sufficiente. Le preoccupazioni sul progressivo depauperamento del patrimonio zootecnico nazionale per effetto delle massicce requisizioni militari indussero i vertici delle forze armate, dietro consiglio degli igienisti militari, a ridurre a fine 1916 anche la razione delle truppe mobilitate. Un provvedimento che, nei mesi successivi a Caporetto, suscitò accese polemiche nella classe medica, in quanto il peggioramento dell'alimentazione dei soldati fu individuata da alcuni come una delle concause del cedimento dell'autunno 1917. Una delle possibili soluzioni, l'incremento dell'importazione di carni congelate, era resa difficile da ostacoli di ordine tecnico come la pochezza della flotta frigorifera, la mancanza di grandi impianti frigoriferi e le deficienze nella rete di distribuzione che, dai porti tirrenici, doveva far arrivare il prodotto al fronte. Pur con gravi ritardi e sprechi, la guerra portò a una notevole espansione dell'industria del freddo italiana. Fra le novità del conflitto ci fu anche un fortissimo incremento nel consumo dei prodotti in conserva da parte dell'esercito. Il settore, gestito inizialmente da stabilimenti statali, vide nel corso della seconda parte del conflitto l'ingresso di un buon numero di industrie private. Queste tuttavia, secondo le indagini condotte nel dopoguerra dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra, si resero protagoniste di vere e proprie truffe nei confronti dell'amministrazione militare, rimaste in gran parte impunite.
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Reinach, Simona Segre. "Fatto in Italia: La cultura Made in Italy (1960–2000) by Paola Colaiacomo (ed.)/Oggetti cuciti: L'abbigliamento pronto in Italia dal primo dopoguerra agli anni Settanta by Ivan Paris." Fashion Theory 13, no. 1 (March 2009): 121–26. http://dx.doi.org/10.2752/175174109x381382.

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De Berti, Raffaele, and Elena Mosconi. "La via del cinema. Corso Vittorio Emanuele e l'evoluzione delle sale." TERRITORIO, no. 95 (May 2021): 78–86. http://dx.doi.org/10.3280/tr2020-095009.

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Abstract:
Il testo, che affronta l'evoluzione dell'eserciziocinematografico a Milano, si concentra sul casoesemplare del corso Vittorio Emanuele, principalestrada del centro cittadino dove si sono insediate lamaggior parte delle sale di prima visione. Attraversouna ricostruzione cronologica dai primi del Novecento aoggi vengono ripercorse le diverse fasi dei cambiamentiavvenuti come sintomi di più generali trasformazionidelle abitudini del consumo di film. Il contributoidentifica il passaggio dalla costruzione di piccoli localialle sale monumentali e più lussuose come Corso e Astranei primi quarant'anni, alla successiva edificazionedelle sale sotterranee ed eleganti del dopoguerra, pergiungere alla massima concentrazione dei primi anni '70e vederne il rapido crollo nel giro di vent'anni.
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Mair, Peter. "IL DESTINO DEI PICCOLI PARTITI." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, no. 3 (December 1989): 467–98. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008662.

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Abstract:
IntroduzioneNella abbondante letteratura che prefigura una crisi delle convenzionali forme di politica nelle democrazie dell'Europa occidentale un'enfasi speciale è stata posta sulla presunta sfida rivolta ai più tradizionali e consolidati partiti di massa. La stessa politica tradizionale è vista come passè ed i grandi partiti di massa, che ne rappresentano la più classica incarnazione, sono ritenuti — a torto o a ragione — strumenti sempre più inadeguati all'incanalamento delle forme contemporanee della rappresentanza.La vulnerabilità dei partiti di massa tradizionali pare derivare da due distinti processi. In primo luogo questi partiti sono ritenuti vulnerabili in termini ideologici e di politiche, in quanto rifletterebbero temi e problemi che corrispondono sempre meno agli interessi contemporanei. In secondo luogo, sono visti come vulnerabili sotto il profilo organizzativo, in quanto cittadini più istruiti, articolati e informati non sarebbero più soddisfatti della passività e/o anonimità che caratterizza la partecipazione in questo tipo di partiti e della natura essenzialmente oligarchica attraverso la quale si ritiene venga esercitato il loro controllo. Seguendo con varie intonazioni entrambe queste linee di ragionamento, gran parte della letteratura contemporanea pone conseguentemente l'accen to sulla erosione dei partiti tradizionali e suggerisce un potenziale riallineamento a favore di partiti più recenti e più piccoli, che appaiono allo stesso tempo più sensibili verso le nuove issues e più aperti verso nuove forme di partecipazione. L'emergere di partiti ecologisti in un gran numero di democrazie europee è spesso citato come la prova più evidente della base di un tale riallineamento, ma evidenza dello stesso tipo può anche essere individuata per un gruppo più ampio di partiti che vanno dai Radicali italiani a D'66 nei Paesi Bassi e ai Socialisti di sinistra in Danimarca e Norvegia (Poguntke 1987).Tuttavia, è chiaro che ognuno di questi argomenti ha implicazioni alquanto diverse. Se, per esempio, quello corretto è il primo, allora il motore principale del cambiamento è il grado di insoddisfazione programmatica e se i partiti tradizionali si rivelassero incapaci di adattarsi dovremmo aspettarci che il riallineamento conseguente favorisca i nuovi partiti. Se invece è corretta la seconda ipotesi, allora il cambiamento principale deriva da insoddisfazione organizzativa e potrebbe risultarne un riallineamento a favore dei piccoli partiti. In realtà i due processi possono essere combinati solo nella misura in cui partiti nuovi tendono anche ad essere partiti piccoli e viceversa, un punto su cui dovremo tornare in seguito.L'importanza di distinguere tra partiti nuovi e partiti piccoli emerge anche al semplice livello di definizione. Mentre la definizione di cosa costituisca un «nuovo» partito (rispetto a un partito della «nuova politica») non sembra porre difficoltà molto superiori a quelle di stabilire una data di soglia temporale, la definizione di cosa sia un partito «piccolo» è molto più problematica. In quest'ultimo caso sono disponibili due strategie. In primo luogo possiamo definire la piccola dimensione in termini di nlevanza sistemica, o facendo ricorso ai criteri identificati da Sartori (1976, 121-25) oppure a criteri alternativi anch'essi basati sul ruolo sistemico dei partiti in questione (Smith 1987). Tuttavia, in questo caso si tende inevitabilmente a parlare di partiti rilevanti o irrilevanti piuttosto che di partiti piccoli o grandi per sè. La seconda alternativa è quella più ovvia, secondo cui piccoli e grandi partiti possono essere distinti sulla base della semplice dimensione, sia essa elettorale, parlamentare, organizzativa o altro. Di sicuro i piccoli partiti possono essere partiti rilevanti e quelliirrilevanti · possono essere piccoli. In ultima analisi, tuttavia, nel nostro caso «piccolo» si deve riferire alla dimensione piuttosto che al ruolo.Questo lavoro è parte di un più ampio progetto dedicato alla esperienza dei piccoli partiti nell'Europa occidentale ed altri contributi del progetto tratteranno il ruolo sistemico dei piccoli partiti, le varie soglie di rilevanza nella loro vita e le varie esperienze in un gran numero di diversi contesti nazionali (Mueller, Rommel e Pridham, in via di pubblicazione). L'obiettivo di questo lavoro è semplicemente quello di offrire un quadro di sintesi sull'universo elettorale dei piccoli partiti nell'Europa occidentale del dopoguerra. Attraverso questa analisi spero di mostrare il grado in cui le fortune elettorali di tali partiti sono cambiate nel tempo, di identificare quei paesi e quei periodi in cui tali cambiamenti sono stati più pronunciati e, in particolare, di identificare quali piccoli partiti ne sono stati coinvolti.Va inoltre aggiunto che si tratta di una analisi a carattere largamente induttivo: cercherò prima di definire cosa costituisca un piccolo partito e in seguito di investigare le modalità e le spiegazioni del cambiamento nel sostegno elettorale aggregato di questi partiti. Intuitivamente si ha la sensazione che il sostegno elettorale dei piccoli partiti sia aumentato negli anni del dopoguerra. Per esempio, la recente nascita di piccoli partiti ecologici, così come le numerose analisi che suggeriscono un declino dei cleavages tradizionali di classe e religione e la crisi concomitante affrontata da quei partiti tradizionali e di grandi dimensioni che mobilitano il voto lungo queste linee di cleavage, sembrano implicare che i partiti di piccola taglia siano divenuti sempre più importanti con il tempo. Anche in questo caso, tuttavia, ci vuole cautela nel mettere in relazione prognosi di mutamento con una classificazione di partiti derivata dalla sola taglia. Non tutti i partiti piccoli sono partiti nuovi, né tantomeno partiti della «nuova politica», e molti si mobilitano elettoralmente in riferimento a linee di frattura molto tradizionali. Un esempio pertinente è quello del Partito popolare svedese in Finlandia. Inoltre, non tutti i nuovi partiti sono partiti piccoli, come evidenzia il successo elettorale della nuova Associazione Cristiano-democratica nei Paesi Bassi. Per la verità, si può anche dubitare che una categorizzazione dei partiti in soli termini di taglia abbia un significato teorico; ma questo è un problema diverso, sul quale torneremo in seguito.Nonostante questi caveat rimane incontestabile che una lettura non-critica della letteratura contemporanea suggerirebbe che vi è stato nel tempo un aumento di voti verso i piccoli partiti e questa ipotesi di partenza dirigerà la nostra analisi. Nella prossima sezione opereremo una classificazione dei partiti a seconda della loro taglia e, su questa base, una classificazione dei sistemi di partito a seconda della distribuzione dei diversi tipi di partiti. Successivamente analizzeremo la tendenza temporale del sostegno elettorale ai piccoli partiti e cercheremo di offrire alcune spiegazioni per la variazione di queste tendenze. Infine, esamineremo in che modo il voto per i piccoli partiti si distribuisce nelle diverse famiglie politico-ideologiche e studiere-mo l'andamento elettorale dei diversi sottogruppi di piccoli partiti, inclusi i «nuovi» piccoli partiti e i «vecchi» piccoli partiti.
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Curami, Andrea. "L'industria bellica italiana dopo Caporetto." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 261 (February 2011): 653–64. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-261005.

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Abstract:
L'autore prende in esame la fondatezza delle affermazioni circa la straordinarietŕ dello sforzo compiuto dall'industria italiana per ripianare la perdita di artiglierie in seguito alla ritirata di Caporetto. Se tale perdita fu effettivamente consistente, va perň detto che riguardň materiali in gran parte antiquati; dopo l'ottobre 1917 in realtŕ l'industria bellica proseguě nella realizzazione dei programmi di sviluppo giŕ in atto prima dello sfondamento nemico, coordinati dal ministro delle Armi e munizioni, il generale Alfredo Dallolio, figura centrale nella mobilitazione industriale del paese. Anche il problema della scarsa disponibilitŕ di manodopera e di materie prime era stato affrontato ben prima di Caporetto e dunque non rappresentň un ostacolo per l'industria impegnata nel conflitto. L'esaltazione dello sforzo produttivo volto a ripianare le perdite di Caporetto va dunque ricondotto agli aspri scontri che opposero nel dopoguerra i gruppi industriali italiani. L'ampia pubblicistica del tempo risente della volontŕ delle diverse industrie di sottolineare, da un lato, il proprio contributo alla vittoria finale, e di difendersi, dall'altro, dalle accuse di guadagni illeciti ottenuti rifornendo le forze armate.
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Bombardieri, Chiara, Gaddomaria Grassi, and Francesco Paolella. "L'OPG di Reggio Emilia 1896-2015 Storia di un'istituzione." RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA 146, no. 3 (December 2022): 159–80. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2022-003009.

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Abstract:
Gli autori ricostruiscono la storia dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, una delle prime istituzioni italiane dedicate ai prosciolti. Vengono analizzati in particolare il rapporto con la città e con l'ospedale psichiatrico San Lazzaro, le vicende legate alla Seconda Guerra Mondiale, le rivolte, gli scandali e le contestazioni dal dopoguerra alla chiusura.
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Wickham, Chris. "Medieval studies and the British School at Rome." Papers of the British School at Rome 69 (November 2001): 35–48. http://dx.doi.org/10.1017/s0068246200001756.

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Abstract:
GLI STUDI MEDIEVALI E LA ‘BRITISH SCHOOL AT ROME’Le ricerche in campo medievale hanno costituito uno dei tratti distintivi dell'attività della ‘British School at Rome’ sin dagli esordi, con la pubblicazione di consistenti ricerche storico artistiche (Rushforth) e di storia amministrativa (Jamison) nella prima decade del ventesimo secolo. Successivamente, però, fino al secondo dopoguerra, itemi medievali vennero trattati in maniera piuttosto discontinua. Negli anni '50 l'attenzione si concentro sugli studi storici, mentre quelli archeologici iniziarono negli anni '60. Questi ultimi conobbero un intenso sviluppo in seguito alla ricognizione dell'Etruria meridionale (‘South Etruria Survey’) condotta dalla ‘British School at Rome’, concentratasi sul periodo romano ma che sollevo numerose questioni relative al periodo successive All'inizio degli anni '60, gli scavi di Santa Cornelia furono tra i primi scavi medievali in Italia. A meta del decennio, le ricerche di David Whitehouse sulla ceramica resero possibile per la prima volta datazioni accurate. Da queste premesse scaturirono tre decenni di lavoro intenso sull'archeologia medievale italiana, nel quale gli archeologici britannici, di solito legati alla ‘British School at Rome’, ebbero un ruolo importante. I decenni piu recenti hanno inoltre contributo allo sviluppo delle discipline storiche è storico-artistiche; John Osborne e stato particolarmente attivo nello sviluppo degli studi sulla cultura visiva altomedievale romana.
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Preda, Daniela. "Le prime battaglie per l'unitŕ europea: Mario Albertini." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 1 (December 2010): 67–83. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2010-001004.

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Nel secondo dopoguerra, sulla scorta dell'unitŕ d'intenti d'azione che aveva sostanzialmente caratterizzato la Resistenza e dell'esperienza bellica da poco conclusa, erano in molti, soprattutto persone di orientamento democratico-laico, ad abbracciare idee europeiste o vagamente federaliste. Tra queste, Mario Albertini, che a partire dagli anni Cinquanta avrebbe speso la sua esistenza per l'ideale federalista, dalla militanza nella sezione del MFE pavese sino alla presidenza dell'Union Européenne des Fédéralistes dal 1975 al 1984, diventando un leader riconosciuto del federalismo europeo. Questo paper riassume le tappe principali della sua avventura politica e intellettuale, soffermandosi in particolar modo sulla sua formazione, l'opera di proselitismo, l'etica della responsabilitŕ, la scelta di creare una forza politica autonoma militante, l'approfondimento culturale quale base indispensabile per ogni azione politica.
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Masina, Filippo. "Wutausbrüche und Bittgesuche." Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 97, no. 1 (December 20, 2017): 24–43. http://dx.doi.org/10.1515/qfiab-2017-0004.

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Abstract:
Riassunto L’articolo tratta delle misure assistenziali in pro dei sinistrati di guerra nell’Italia repubblicana, ma nell’ottica di inquadrare tali provvedimenti nel piu ampio contesto dei nuovi diritti di cittadinanza sanciti con la Carta costituzionale del 1947. Andando oltre il gia noto nesso tra warfare e welfare, l’articolo ricostruisce l’esercizio di tali nuovi diritti (un vero e proprio „diritto al benessere“ che, preso a „fondamento della nuova cittadinanza“, e stato giudicato come uno dei punti cardine della transizione tra guerra e dopoguerra) da parte di una categoria sovente giudicata dallo Stato meritevole delle piu ampie attenzioni, ma che lamento molto spesso la trascuratezza da parte delle istituzioni nel garantirle quanto stabilito dalla legge. L’ipotesi di partenza e, pertanto, che tali difficolta abbiano contribuito a minare l’affezione di una porzione non piccola della cittadinanza rispetto alle nuove istituzioni democratiche, molto fragili nei primi anni del dopoguerra. L’articolo analizza nello specifico alcuni casi di pratiche pensionistiche, relative a diverse categorie di beneficiari, afflitte pero dai medesimi problemi: in particolare, la lentezza talvolta sconcertante con cui il Dipartimento Generale delle Pensioni di Guerra - che pure era, in effetti, letteralmente inondata di domande di pensione - gestiva l’iter delle pratiche, tanto che alcune si sono trascinate sino agli anni ’90. Il cittadino che faceva richiesta di pensione di guerra (che spettava agli invalidi per cause di guerra con almeno il 30 per cento di capacita lavorativa perduta) doveva spesso attendere anni anche soltanto per avere una prima risposta. Cio provocava un fenomeno ricorrente, cioe quello di rivolgersi alle piu diverse personalita ed autorita politiche auspicando la loro intercessione: non percependo la forza del diritto, ci si rifugiava nella speranza di una generosita paternalistica. Talvolta, queste lettere - di rabbia, e di supplica - addirittura precedevano i gravi ritardi dell’espletamento delle pratiche, segnalando dunque l’esistenza di una consuetudine predemocratica nei suoi stessi presupposti. Uno dei segnali di una condizione di cittadinanza rimasta incompiuta.
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Masina, Filippo. "Wutausbrüche und Bittgesuche." Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 97, no. 1 (March 5, 2018): 24–43. http://dx.doi.org/10.1515/qufiab-2017-0004.

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Abstract:
Riassunto L’articolo tratta delle misure assistenziali in pro dei sinistrati di guerra nell’Italia repubblicana, ma nell’ottica di inquadrare tali provvedimenti nel più ampio contesto dei nuovi diritti di cittadinanza sanciti con la Carta costituzionale del 1947. Andando oltre il già noto nesso tra warfare e welfare, l’articolo ricostruisce l’esercizio di tali nuovi diritti (un vero e proprio „diritto al benessere“ che, preso a „fondamento della nuova cittadinanza“, è stato giudicato come uno dei punti cardine della transizione tra guerra e dopoguerra) da parte di una categoria sovente giudicata dallo Stato meritevole delle più ampie attenzioni, ma che lamentò molto spesso la trascuratezza da parte delle istituzioni nel garantirle quanto stabilito dalla legge. L’ipotesi di partenza è, pertanto, che tali difficoltà abbiano contribuito a minare l’affezione di una porzione non piccola della cittadinanza rispetto alle nuove istituzioni democratiche, molto fragili nei primi anni del dopoguerra. L’articolo analizza nello specifico alcuni casi di pratiche pensionistiche, relative a diverse categorie di beneficiari, afflitte però dai medesimi problemi: in particolare, la lentezza talvolta sconcertante con cui il Dipartimento Generale delle Pensioni di Guerra – che pure era, in effetti, letteralmente inondata di domande di pensione – gestiva l’iter delle pratiche, tanto che alcune si sono trascinate sino agli anni ’90. Il cittadino che faceva richiesta di pensione di guerra (che spettava agli invalidi per cause di guerra con almeno il 30 per cento di capacità lavorativa perduta) doveva spesso attendere anni anche soltanto per avere una prima risposta. Ciò provocava un fenomeno ricorrente, cioè quello di rivolgersi alle più diverse personalità ed autorità politiche auspicando la loro intercessione: non percependo la forza del diritto, ci si rifugiava nella speranza di una generosità paternalistica. Talvolta, queste lettere – di rabbia, e di supplica – addirittura precedevano i gravi ritardi dell’espletamento delle pratiche, segnalando dunque l’esistenza di una consuetudine predemocratica nei suoi stessi presupposti. Uno dei segnali di una condizione di cittadinanza rimasta incompiuta.
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Pierotti, Federico. "Film didattico e pedagogia del cinema in Italia nel secondo dopoguerra." Quaderni d'italianistica 34, no. 2 (March 25, 2014): 65–84. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v34i2.21035.

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Il saggio presenta i principali temi che caratterizzano il dibattito sulla pedagogia del cinema in Italia tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta. La prima parte ripercorre le diverse posizioni in relazione alla dimensione emotiva delle immagini cinematografiche, considerata da taluni come un ostacolo all’attività didattica, da altri come una base da sfruttare per una nuova forma di azione educativa. La seconda parte è dedicata al problema della comprensione delle strutture narrative e linguistiche del film in relazione al grado di sviluppo intellettivo dei giovani spettatori. Il dibattito nazionale evidenzia un terreno fortemente ricettivo nei confronti delle teorie metodologiche che negli stessi anni vanno maturando nell’ambito della filmologia. In questo senso, esso offre un’occasione di aggiornamento e di modernizzazione delle pratiche discorsive sul mezzo cinematografico.
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Acocella, Silvia. "Una trincea fatta di libri: La Nuova Biblioteca editrice di Carlo Bernari." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 52, no. 2 (February 26, 2018): 347–66. http://dx.doi.org/10.1177/0014585818755360.

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Nei canali sommersi della clandestinità, la Resistenza passò anche attraverso una cultura che si conservava ostinatamente di respiro europeo, attraverso i vasti orizzonti dei progetti editoriali: come quello de La Nuova Biblioteca editrice, di Carlo Bernari, che portò avanti lo sperimentalismo degli anni Trenta (e di una Napoli in contatto con la Parigi di Breton e con il secondo surrealismo al servizio della rivoluzione), aprendosi alle nuove correnti artistiche d'Europa, non solo anticipando la visione del mondo del dopoguerra e le domande su una nuova definizione di uomo, ma anche mantenendo ampi i confini di una stagione che fu definita neorealistica quando ormai il termine, almeno in letteratura, aveva perso molto del suo significato originario. Si dovrebbe parlare, piuttosto, per gli anni dell’immediato dopoguerra, di neo-espressionismo, come le scelte editoriali de La Nuova Biblioteca confermano, orientate verso quella “seconda ondata dell'espressionismo” che Contini individua nella Germania Weimar. Solo dopo il ritrovamento dell'intero catalogo delle edizioni de La Nuova Biblioteca, pubblicato il 7 giugno 1944 nella Roma appena liberata, si è potuta ricostruire la portata di questo progetto e il vasto orizzonte che ne orientava il disegno. A rendere prezioso il catalogo de La Nuova Biblioteca non è solo la preparazione di testi che sarebbero stati fondamentali per la nuova cultura del dopoguerra (come, per la prima volta in Italia, l’ opera omnia di Antonio Gramsci, in un'edizione priva di tagli e perciò anticipatrice dell'edizione critica di Gerratana del 1975) o la presenza di nomi come Delio Cantimori, Umberto Barbaro, Franco Calamandrei, Ettore Lo Gatto, Lombardo Radice, Alicata e Sapegno, ma è anche la particolare fase cronologica in cui questo progetto prende forma: si tratta di un lasso di tempo breve, apertosi a ridosso della guerra e destinato a chiudersi rapidamente: è come uno squarcio, in cui il magma di materiali diversi accumulatosi nei canali della clandestinità affiora per un’ultima volta prima che intorno si irrigidiscano gli schemi di nuove culture sempre più dominanti. Torneranno a inabissarsi, queste narrazioni aperte alla deformazione, alla menzogna romanzesca e alla commistione tra le arti; tuttavia come un fiume carsico continueranno a scorrere, andando a unirsi a tutte quelle correnti che procedendo parallele, tra inversioni, stalli e rivolgimenti, attraverseranno l'intero secolo.
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