Academic literature on the topic 'Prendere sul serio il tempo'

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Journal articles on the topic "Prendere sul serio il tempo"

1

Serpieri, Roberto. "Leadership educativa: prendere sul serio l'etica." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 160 (August 2021): 67–87. http://dx.doi.org/10.3280/sl2021-160004.

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Abstract:
Lo scopo di questo articolo è dimostrare come le politiche educative che hanno ristrutturato i sistemi educativi dagli anni '80 e che si sono diffuse in tutto il mondo occidentale, puntato sulla leadership come leva per il cambiamento. Discorsi, paradigmi e ‘nuovi' esperti hanno infatti rimodellato il ruolo dei dirigenti scolastici in senso managerialista, per implementare nelle scuole tecnologie, metodi, strumenti e perfino teorie e valori provenienti dai settori privati ed imprenditoriali. Qui sono presentate le teorie che hanno sostenuto tali cambiamenti, impattando perciò sulla leadership educativa come professione. Una mappa concettuale distingue i discorsi, welfarista, managerialista e ‘critici', così come le premesse ontologiche ed epistemologiche che sostengono le teorie della leadership. Con questa cornice, le ricerche empiriche sulla leadership educativa, condotte di recente sia a livello internazionale che italiano, sono criticamente discusse alla luce di questo scivolamento della dirigenza scolastica verso un ethos neoliberale.
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Bechelloni, Antonio. "E difficile prendere sul serio questa guerra." Matériaux pour l'histoire de notre temps 57, no. 1 (2000): 5–13. http://dx.doi.org/10.3406/mat.2000.404232.

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3

Bragantini, Salvatore. "Il controllo dei mercati finanziari." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 3 (September 2011): 53–59. http://dx.doi.org/10.3280/qg2011-003006.

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Abstract:
Si propongono qui alcune riflessioni sull'adeguatezza delle scelte operate dal legislatore italiano (e prima ancora, spesso, da quello europeo) in tema di controllo dei mercati finanziari a tutela dei risparmiatori. La sintesi č che la lezione della crisi impone di non cedere sul ruolo delle Autoritŕ indipendenti, pur oggi non particolarmente amate forse perché ree di prendere sul serio non solo il sostantivo, ma anche l'aggettivo che le connota.
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4

Clocchiatti, Francesca. "I diritti dei soggetti deboli presi sul serio. Diario di un'esperienza attuativa dell'amministrazione di sostegno." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 5 (January 2011): 113–16. http://dx.doi.org/10.3280/qg2010-005008.

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Abstract:
Negli ultimi cinque anni l'attuazione della legge n. 6/2004 in tema di amministrazione di sostegno ha visto in Friuli Venezia Giulia, su impulso del Tribunale di Pordenone, una esperienza virtuosa di interazione istituzionale e, soprattutto, di apertura dell'organizzazione giudiziaria alle esigenze dei soggetti variamente incapaci. Di questa esperienza si fornisce qui un sintetico "diario", a dimostrazione della possibilitŕ, anche per la giustizia, di prendere sul serio i diritti dei soggetti deboli.
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5

Barbieri, Gian Luca. "Il pensiero e la speranza. Per una memoria del futuro." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 44 (September 2012): 25–38. http://dx.doi.org/10.3280/las2012-044002.

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Abstract:
A partire da testi profondamente diversi come il Canzoniere petrarchesco e una raccolta di scritti autobiografici di pazienti oncologiche, l'autore compie un'indagine sul concetto di speranza, in particolare sulla sua dimensione temporale e sulla sua connessione con l'attivazione del pensiero. Con riferimenti teorici eterogenei che vanno da Bloch a Borgna, da Minkowski a Marcel, da Demetrio a Bénasayag e Schmit, dalla psicoanalisi alla teologia biblica e alla sociologia, si indagano gli aspetti regressivi e quelli evolutivi della speranza considerata come proiezione del futuro nel presente che influisce sull'elaborzione del proprio passato personale. Infine si osserva come il tempo della contemporaneitÀ sia impermeabile alla speranza, che sopravvive solo in ambiti quali la scrittura, la creativitÀ, la lentezza, il silenzio nei quali ci si puň ancora prendere cura di sé.
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6

Bruni, Elsa Maria. "L'educazione nel tempo della post-verità. Pedagogia e mass-media." EDUCATION SCIENCES AND SOCIETY, no. 2 (November 2020): 177–91. http://dx.doi.org/10.3280/ess2-2020oa9409.

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Abstract:
Il contributo intende ragionare in chiave pedagogica sulla configurazione che l'educazione e la scuola assumono o dovrebbero assumere in relazione ai cambiamenti in atto sul piano culturale e mediatico. In un tempo, che vive di post-verità, in cui l'intreccio finzione-realtà domina i modi di comunicare, di informare e di argomentare, una semiotica dell'educazione diventa funzionale a ridefinire i contorni della paideia intesa come processo continuo di prendere forma e di trasformarsi qualitativamente dell'individuo, invocata come farmaco per fronteggiare i diversi disorientamenti influenti sulla vita dei singoli e sulle sorti di intere comunità. In particolare, la vaghezza della e nella comunicazione, cui si intreccia il rischio dell'inattendibilità e del relativismo sempre più individualista a livello narrativo, reclama più che mai responsabilità, pensiero critico e capacità interpretative solide. Ad essere chiamata in causa ancora una volta è l'educazione e con essa il ruolo delle agenzie educative, della scuola in particolar modo, in virtù del ruolo, a cui sono tradizionalmente chiamate, di pensare e di governare i processi di formazione. In questo articolo ci si muove nella convinzione di ricentrare il tema formativo sulla dimensione culturale e intellettuale, sui fini di una pedagogia e di un'educazione che, lungi dal poter essere ridotta a atto tecnico e appannaggio di didatticismi alla moda, deve saper recuperare una narrazione incentrata sulla promozione di strumenti intellettuali, abiti mentali, atti a preparare i giovani a vivere il proprio tempo, a saper discernere, scegliere e agire in vista della piena realizzazione umana.
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7

Chiafele, Anna. "Il viaggiatore sedentario (1993) e Città e dintorni (2001): sensibilità postmoderna e etica ambientale in due testi odeporici di Luigi Malerba." Quaderni d'italianistica 36, no. 2 (July 27, 2016): 155–72. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v36i2.26903.

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Abstract:
In questo saggio si vogliono prendere in disamina due testi di Luigi Malerba: Il viaggiatore sedentario (1993) e Città e dintorni (2001). Questi testi odeporici raccontano i viaggi di Malerba in Cina, Thailandia, Europa, Nord America, Grecia e Asia Minore e raccolgono le riflessioni dell’autore nate e rielaborate lungo un ampio arco di tempo. Grazie al supporto teorico offerto dal lavoro di studiosi quali Serenella Iovino, Serpil Oppermann, Ursula Heise e Rob Nixon, quest’articolo evidenzia la sensibilità postmoderna di Malerba verso l’ambiente e la sua maestria nel raffigurare il rapporto complementare esistente tra l’essere umano e la natura, tra l’umano e il non-umano. Dalle pagine di questi testi odeporici emerge, con forza, la figura di un uomo sensibile, intelligente, curioso, ironico e attento alle storie di tutti quegli esseri ignoti di passaggio sul pianeta Terra. Le osservazioni di Malerba non cadono mai in localismo nostalgico e tantomeno in “utopia regressiva” (Parole al vento 230). L’autore, invece, mostra rispetto e premura per ogni luogo, abitazione, cultura e popolo con cui entra in contatto nei sui numerosi viaggi a “zig-zag” (Viaggiatore 8) sempre fatti in compagnia della moglie Anna Lapenna.
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Barcellona, Pietro. "Elogio del discorso inutile." RUOLO TERAPEUTICO (IL), no. 114 (May 2010): 28–40. http://dx.doi.org/10.3280/rt2010-114003.

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Abstract:
La nostra epoca tecnico-scientifica sembra ossessionata dalla risoluzione di problemi, pratici o teorici che siano. Saggisti, opinionisti e persino filosofi non resistono al richiamo delle sirene. Il dramma č che ai consulenti predicatori che forniscono ricette e soluzioni, fa da contraltare una schiera sempre piů vasta di individui disorientati e incapaci di prendere decisioni autonome. La ricerca della veritŕ, perň, č ben diversa dalla ricerca di rimedi efficaci, perché implica la creazione di un nuovo spazio mentale, dove pensieri ed emozioni si trasformano in nuovi pensieri ed emozioni. Di qui la scelta dell'elogio del discorso "inutile", che attiene alle trasformazioni soggettive, alle relazioni affettive, liberando lo spazio mentale dai vincoli del conformismo sociale e dall'etica del successo. Sono "inutili" tutti quei discorsi che riguardano la sfera psichica, che producono rappresentazioni mentali diverse e creano scenari differenti da quelli consueti. Si tratta di dialoghi interattivi, creativi, dove non č possibile distinguere chi dona da chi riceve e richiamano le riflessioni sul radicamento di Simone Weil, secondo cui sapere č comprendere e non apprendere. L'efficacia del comprendere ha a che vedere con la trasformazione del soggetto, attraverso il suo sguardo sul mondo. Il discorso "inutile" usa il linguaggio dell'eccedenza, che ci aiuta ad appezzare l'incalcolabile significato degli affetti, dell'amicizia, di tutto ciň per cui vale la pena di perdere la vita per ritrovarla piů ricca. Come la conversione di Paolo, ogni nuova visione del mondo č un'irruzione dell'impensato nella vita quotidiana. E l'impensato sta a testimoniare l'eccedenza. Possiamo considerare i percorsi psicoanalitici delle conversioni, perché si strutturano nel tempo attraverso la creazione di nuovi significati, che retroagiscono sulla storia del soggetto, rilanciandola in avanti.
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9

Pinciara, Barbara. "Risvolti etici in psichiatria." CHILD DEVELOPMENT & DISABILITIES - SAGGI, no. 1 (January 2011): 33–42. http://dx.doi.org/10.3280/cdd2010-001004.

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Abstract:
Da sempre la Medicina sente il bisogno di darsi delle regole e dei codici di comportamento a protezione del paziente. Ciň richiede ad ogni operatore di mettersi in gioco con autenticitŕ, apertura e costanza nel tempo: compito non facile, come testimonia il fatto che spesso la comunicazione con il paziente affetto da malattia psichica č carente o assente. Le maggiori difficoltŕ in questo senso si manifestano nelle "zone grigie" del rapporto medico-paziente: ad esempio nelle situazioni di criminalitŕ connesse alla patologia psichiatrica, nelle quali la tutela del paziente č spesso in contrasto con la necessitŕ di attuare misure protettive a livello sociale. Il medico che lavora con pazienti psichiatrici si trova spesso a dover prendere decisioni che condizionano la sua libertŕ: pensiamo ad esempio ai casi a rischio di suicidio, alla prescrizione di farmaci in grado di influenzare la qualitŕ di vita in senso medico e sociale (come gli antipsicotici), all'allontanamento da famiglie maltrattanti. Anche eventi quali l'innamoramento e la sessualitŕ tra medico e paziente pongono in primo piano la questione del rapporto personale che si instaura all'interno di questa diade tanto complessa. Per far fronte a queste difficoltŕ č necessario promuovere la comunicazione e l'alleanza terapeutica, fondate sul rispetto e sulla fiducia tra i terapeuti e con il paziente. Questo richiede all'operatore sanitario non solo di agire in modo etico, ma di "essere etico" come persona.
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Chiodi, Giovanni. "Oltre la sovranità nazionale: Filippo Vassalli in missione a Londra (1945)." Italian Review of Legal History, no. 8 (December 22, 2022): 401–31. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19451.

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Abstract:
Nel novembre-dicembre 1945, il civilista Filippo Vassalli intraprese una missione a Londra, a capo di una delegazione di giuristi invitati dal British Council ad osservare il funzionamento delle istituzioni inglesi, attraverso un “legal sightseeing” fatto di “talks” e “meetings” con illustri esponenti della politica e della cultura giuridica britannica. Alcuni documenti dell’archivio Vassalli consentono ora di approfondire i risvolti di questo viaggio, di cui il giurista stilò un resoconto in alcuni suoi scritti. La ricerca, in particolare, intende dimostrare che Vassalli, durante la missione, maturò l’idea del superamento del mito della sovranità nazionale in ambito internazionale, visione successivamente estesa nel campo del diritto civile. Vassalli supportò l’orientamento favorevole alla creazione di un’organizzazione superiore ai singoli Stati, che assicurasse la pace nel mondo e offrisse una tutela sovranazionale dei diritti dell’uomo. La missione ebbe anche conseguenze sull’ordinamento della giustizia, della polizia e della vita economica italiana, alla vigilia della Costituente, di cui pure Vassalli non fu chiamato a prendere parte. Come capo della missione, infatti, egli portò in Italia a De Gasperi, titolare del dicastero degli Esteri, un messaggio del Ministro degli Esteri Bevin, personalità eminente della politica anglosassone, che aveva già influenzato Vassalli sul terreno del futuro assetto delle relazioni internazionali in tempo di pace. La missione a Londra, di conseguenza, rappresenta una vicenda centrale per comprendere il pensiero di Vassalli nel decennio repubblicano.
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Dissertations / Theses on the topic "Prendere sul serio il tempo"

1

SBRANA, ALESSANDRO. "Faculty Development Centri di Professionalità Accademica (CPA)." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251175.

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Abstract:
mondo universitario ha subito un’ondata di cambiamenti che si possono ricondurre alla ricerca dell’eccellenza, declinata secondo le due dimensioni della valutazione e della rendicontazione. Tre sono quelli più evidenti: il primo, il passaggio da una ricerca curiosity driven a una ricerca funzionale al raggiungimento di risultati valutabili in tempi brevi; dalla ricerca pura a quella applicata, da un approccio problem-making a uno problem-solving, da una conoscenza come processo a una conoscenza come prodotto, da un modello disinteressato a uno utilitaristico (Barnett, 1994); il secondo, riguardante l’offerta formativa: dal momento che si è modificato il modo di concepire l’apprendimento; i curricula tendono a essere definiti in termini di risultati di apprendimento predefiniti (Blackmore, 2016); il terzo, peculiare della struttura amministrativa: dal momento in cui sono divenute essenziali una serie di nuove sovrastrutture (programmazione, valutazione, controlli, comunicazione) rispetto al mandato originario della struttura universitaria si registra un aumento consistente del personale delle strutture amministrative. Questi cambiamenti devono fare i conti con la perdita di prestigio della vita accademica, il cambiamento del ruolo dello studente, che è diventato sempre più importante e l’aumento delle procedure burocratiche che rischiano di ingessare un sistema un tempo caratterizzato da un’elevata autonomia. Per consentire alle strutture universitarie di affrontare le sfide culturali a partire dagli anni Settanta nelle università nord-americane si sono strutturate iniziative finalizzate allo sviluppo e alla promozione di una migliore offerta formativa. Tali iniziative vengono definite con l’espressione Faculty Development (FD), una policy accademica finalizzata a creare le condizioni per un miglioramento delle competenze di tutti coloro che sono coinvolti nelle attività svolte in un ateneo. Nella realtà italiana emerge la mancanza di una vera politica di formazione al teaching per i ricercatori e i docenti universitari, per non parlare dell’esigenza di superare il pregiudizio, di gentiliana memoria, secondo il quale non è necessario apprendere a insegnare, ma sia sufficiente avere successo nella ricerca, cui si aggiunge nell’ultimo decennio una continua e affannata richiesta al personale accademico di azioni organizzative, valutative e documentali, che assorbono tempo e energie senza il supporto di adeguati apparati gestionali e senza predisporre indagini valutative capaci di misurare l’effettivo esito di tutte queste azioni. L’effetto finale è un evidente declino (Capano et al., 2017) dell’istituzione universitaria. Si può ipotizzare che la cultura del organizzazione propria del Faculty Development possa contribuire nel contesto italiano a fornire azioni a supporto del cambiamento: è quanto mai essenziale dotare gli atenei di risorse funzionali a riqualificare la vita accademica, fornendo al personale accademico gli strumenti necessari per performare una buona scholarship, realizzare un’efficace offerta formativa e attuare adeguate forme di terza missione, capaci di incrementare la vita culturale della comunità. Il presente studio si propone come un’analisi sistematica della letteratura sul tema del Faculty Development, che persegue l’obiettivo di sviluppare una disamina estesa dell’oggetto, in modo che l’esplicitazione della datità raccolta fornisca un’analisi del fenomeno che possa essere di supporto a un’avveduta educational policy nel campo della formazione universitaria. Nel contesto italiano ad oggi non esiste una cultura di attenzione ai contesti di apprendimento universitario. L’offerta formativa è concepita come offerta di pacchetti curriculari e la predisposizione delle condizioni di apprendimento per il conseguimento del titolo universitario si risolve nella organizzazione di una serie di lezioni, frontali o laboratoriali, senza che tutto questo sia innervato da una specifica intenzionalità didattica. Questa immagine poco confortante non intende affatto trascurare tutti i casi di buone prassi sviluppati nei vari corsi di studio, ma il buono che emerge è demandato all’impegno del singolo, senza che l’istituzione universitaria si interroghi sul come predisporre le condizioni per il potenziamento della qualità dei processi di apprendimento. A fronte di questa situazione la necessità di migliorare la qualità dell’insegnamento non è mai stata così stringente e sfidante come lo è oggi, in un clima di continuo cambiamento della formazione superiore. Nuove tendenze definiscono la formazione superiore, attraversando confini istituzionali e nazionali. Essi influiscono sul modo in cui un insegnamento efficace viene concettualizzato, condotto e supportato, valutato, valorizzato e riconosciuto. È necessario affrontare temi quali l’inadeguata preparazione per il lavoro accademico nei corsi di studio magistrali, l’incapacità dei docenti a trasferire competenze, la crescente complessità degli ambienti accademici, le attese e le responsabilità istituzionali, la necessità di preparare meglio gli studenti con bisogni diversi, e la necessità di stare al passo con i balzi della conoscenza e i cambiamenti nelle professioni. Migliorare la qualità della didattica è inoltre essenziale perché consente di ridurre il numero degli abbandoni. È venuto il momento di transitare da un’offerta formativa di tipo episodico a una prospettiva di esperienze di apprendimento in continuità nel tempo, per accompagnare la formazione dei docenti in un modo strutturalmente organizzato (Webster-Wright, 2009). Sulla base della rilevazione fenomenica, sono emerse le seguenti domande di ricerca: che cosa è il FD? Cosa consente di fare? Come si mette in pratica? Quali sono le potenzialità? Quali sono i limiti? Il FD ha il compito di incentivare i docenti ad interessarsi ai processi di insegnamento e apprendimento e a procurare un ambiente sicuro e positivo nel quale fare ricerca, sperimentare, valutare e adottare nuovi metodi (Lancaster et al. 2014). È finalizzato a promuovere cambiamento sia a livello individuale sia a livello organizzativo. Occupa un posto centrale il miglioramento delle competenze di teaching (Steinert, 2014). Due importanti obiettivi sono rappresentati dalla promozione delle capacità di leadership e di gestione dei contesti (Steiner et al., 2012). Una volta definite le metodologie del teaching, che possono essere oggetto di apprendimento da parte del personale accademico, è risultato necessario identificare le principali modalità formative che un centro di Faculty Development (FDc) dovrebbe mettere in atto per favorire l’apprendimento delle competenze didattiche. Per comprenderne la funzione reale è stato utile prendere in esame le attività proposte dai più importanti centri del panorama accademico nordamericano, analizzandone la struttura organizzativa, le risorse disponibili ed identificandone le due figure principali: il responsabile dell’organizzazione dei processi formativi e il responsabile della struttura. L’analisi dei casi ha consentito di evidenziare i molteplici servizi che possono essere forniti da un FDc. Questa analisi di realtà è risultata molto utile poiché ha offerto indicazioni pragmatiche ai fini di una politica accademica innovativa anche in ambito italiano. Alla luce degli argomenti sviluppati è stato possibile ipotizzare anche per gli atenei italiani l’istituzione di “Centri per la professionalità accademica”, indicando possibili iniziative da essi realizzabili, che potrebbero trovare spazio nella realtà del nostro paese.
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BULGINI, Giulia. "Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de ‹‹L’Approdo››." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251123.

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Abstract:
Non c’è dubbio sul fatto che la RAI, dal 1954 a oggi, abbia contribuito in misura considerevole a determinare la fisionomia dell’immaginario collettivo e dell’identità culturale dell’Italia. Si tratta di un assunto che, a distanza di più di sessant’anni, resta sempre di grande attualità, per chi si occupa della questione televisiva (e non solo). Ma a differenza di quanto avveniva nel passato, quando la tv appariva più preoccupata dei reali interessi dei cittadini, oggi essa sembra rispondere prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. E nonostante il livello di istruzione e di benessere economico si siano evidentemente alzati, in questi ultimi anni si è assistito a programmi di sempre più bassa qualità e in controtendenza a un incremento del potere modellante e suggestivo sull’immaginario dei telespettatori. C’è di più: l’interesse verso la tv ha coinvolto anche gli storici dell’epoca contemporanea, i quali hanno iniziato a prendere coscienza che le produzioni audiovisive sono strumenti imprescindibili per la ricerca. Se si pensa ad esempio al ‹‹boom economico›› del Paese, negli anni Cinquanta e Sessanta, non si può non considerare che la tv, insieme agli altri media, abbia contributo a raccontare e allo stesso tempo ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca. Partendo, dunque, dal presupposto che la televisione da sempre esercita un potere decisivo sulla collettività, si è scelto di concentrarsi sulla fase meno indagata della sua storia, quella della televisione delle origini: ‹‹migliore›› perché senza competitor, ‹‹autentica›› perché incontestabile e soprattutto ‹‹pedagogica›› perché è di istruzione e di formazione che, quell’Italia appena uscita dalla guerra, aveva più urgenza. La storia della televisione italiana inizia il 3 gennaio 1954, con la nascita del servizio pubblico televisivo e insieme di un mezzo che, di lì a poco, avrebbe completamente rivoluzionato la società italiana, trasformandola in una civiltà di massa. Si accorciano le distanze territoriali e insieme culturali e la società inizia a omologarsi nei gusti, poi nei consumi e infine nel pensiero. Il punto d’arrivo si colloca negli anni Settanta, quando ha termine il monopolio della RAI, che fino a quel momento era stato visto come il garante del pluralismo culturale. La RAI passa dal controllo governativo a quello parlamentare, mentre si assiste al boom delle televisioni private e alla necessità della tv di Stato di stare al passo con la concorrenza, attraverso una produzione diversa da quella degli esordi. Dunque cambia la tv, come pure cambia la sua funzione e la forma mentis di chi ne detiene le redini. Ne risulta un’indagine trasversale, che passa nel mezzo di molteplici discipline che afferiscono alla materia televisiva e che non evita di porsi quelle domande scomode, necessarie tuttavia a comprendere la verità sugli artefici della prima RAI e sui loro obiettivi. E allora: qual era il valore attribuito alla televisione degli esordi? Era davvero uno strumento pedagogico? Sulla base di quali presupposti? Chi scriveva i palinsesti di quegli anni? Chi e perché sceglieva temi e format televisivi? Chi decideva, in ultima analisi, la forma da dare all’identità culturale nazionale attraverso questo nuovo apparecchio? Il metodo di ricerca si è articolato su tre distinte fasi di lavoro. In primis si è puntato a individuare e raccogliere bibliografia, sitografia, studi e materiale bibliografico reperibile a livello nazionale e internazionale sulla storia della televisione italiana e sulla sua programmazione nel primo ventennio. In particolare sono stati presi in esame i programmi scolastici ed educativi (Telescuola, Non è mai troppo tardi), la Tv dei Ragazzi e i programmi divulgativi culturali. Successivamente si è resa necessaria una definizione degli elementi per l’analisi dei programmi presi in esame, operazione resa possibile grazie alla consultazione del Catalogo multimediale della Rai. In questa seconda parte della ricerca si è voluto puntare i riflettori su ‹‹L’Approdo››, la storia, le peculiarità e gli obiettivi di quella che a ragione potrebbe essere definita una vera e propria impresa culturale, declinata in tutte le sue forme: radiofonica, di rivista cartacea e televisiva. In ultimo, sulla base dell’analisi dei materiali d’archivio, sono state realizzate interviste e ricerche all’interno dei palazzi della Rai per constatare la fondatezza e l’attendibilità dell’ipotesi relativa agli obiettivi educativi sottesi ai format televisivi presi in esame. Le conclusioni di questa ricerca hanno portato a sostenere che la tv delle origini, con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale. E se ciò appare come un aspetto ampiamente verificabile, oltreché evidente, qualora si voglia prendere in esame la televisione scolastica ed educativa di quegli anni, meno scontato risulta invece dimostrarlo se si decide – come si è fatto – di prendere in esame un programma divulgativo culturale come ‹‹L’Approdo››, che rientra nell’esperienza televisiva definita di ‹‹educazione permanente››. Ripercorrere la storia della trasmissione culturale più longeva della tv italiana degli esordi, per avvalorarne la funzione educativa, si è rivelata una strada interessante da battere, per quanto innegabilmente controversa, proprio per il principale intento insito nella trasmissione: diffondere la cultura ‹‹alta›› a milioni di telespettatori che erano praticamente digiuni della materia. Un obiettivo che alla fine della disamina si è rivelato centrato, grazie alla qualità della trasmissione, al suo autorevole e prestigioso groupe d'intellectuels, agli ascolti registrati dal ‹‹Servizio Opinioni›› e alla potenzialità divulgativa e penetrante della tv, nel suo saper trasmettere qualunque tematica, anche quelle artistiche e letterarie. Dunque se la prima conclusione di questo studio induce a considerare che la tv del primo ventennio era pedagogica, la seconda è che ‹‹L’Approdo›› tv di questa televisione fu un’espressione felice. ‹‹L’Approdo›› conserva ancora oggi un fascino innegabile, non foss’altro per la tenacia con la quale i letterati difesero l’idea stessa della cultura classica dal trionfo lento e inesorabile della società mediatica. Come pure appare ammirevole e lungimirante il tentativo, mai azzardato prima, di far incontrare la cultura con i nuovi media. Si potrebbe dire che ‹‹L’Approdo›› oggi rappresenti una rubrica del passato di inimmaginata modernità e, nel contempo, una memoria storica, lunga più di trent’anni, che proietta nel futuro la ricerca storica grazie al suo repertorio eccezionale di immagini e fatti che parlano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società e che raccontano il nostro Paese e la sua identità culturale, la stessa che la televisione da sempre contribuisce a riflettere e a delineare. Lo studio è partito da un’accurata analisi delle fonti, focalizzando l’attenzione, in primo luogo, sugli ‹‹Annuari della Rai›› (che contengono le Relazioni del Cda Rai, le Relazioni del Collegio Sindacale, i Bilanci dell’Esercizio e gli Estratti del Verbale dell’Assemblea Ordinaria). Altre fonti prese in esame sono gli stati gli opuscoli di ‹‹Servizio Opinioni››, le pubblicazioni relative a studi e ricerche in materia di televisione e pedagogia e le riviste edite dalla Rai Eri: ‹‹Radiocorriere tv››, ‹‹L’Approdo Letterario››, ‹‹Notizie Rai››, ‹‹La nostra RAI››, ‹‹Video››. Negli ultimi anni la Rai ha messo a disposizione del pubblico una cospicua varietà di video trasmessi dalle origini a oggi (www.techeaperte.it): si tratta del Catalogo Multimediale della Rai, che si è rivelato fondamentale al fine della realizzazione della presente ricerca. Altre sedi indispensabili per la realizzazione di questa ricerca si sono rivelate le due Biblioteche romane della Rai di Viale Mazzini e di via Teulada.
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Books on the topic "Prendere sul serio il tempo"

1

Terri, Mannarini, ed. Non nel mio giardino: Prendere sul serio i movimenti Nimby. Bologna: Il mulino, 2012.

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2

Enrico, Saravalle, Cazzavillan Marco, and Mondadori, eds. Vita in famiglia: Trenta scene e ritratti per non prendere troppo sul serio la condizione di figli. Milano: Mondadori per la scuola, 1993.

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3

Weber, Maria. Il Miracolo Cinese: Perche Bisogna Prendere La Cina Sul Serio. Il Mulino, 2003.

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4

Cleo, Creative. Complottisti Coloristi: Frasi Da Colorare per Prendere la Vita un Po' Meno Sul Serio, Libro Antistress, Mandala Divertente. Independently Published, 2022.

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5

Pedrini, Federico. Le «clausole generali». Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg269.

Full text
Abstract:
Il volume sviluppa una riflessione intorno alla figura giuridica delle “clausole generali”, evidenziandone la collocazione all’interno delle categorie della scienza del diritto, indagandone gli elementi costitutivi e approfondendo criticamente il suo rapporto con la dimensione "costituzionale” dell’ordinamento giuridico. Lo studio prende le mosse analizzando lo statuto metodologico del “discorso intorno alle clausole generali”, indicando le più ricorrenti cause d’equivoco che contraddistinguono la materia e predisponendo quale rimedio un chiaro apparato stipulativo, sulla cui scorta l’indagine si rivolge poi a quei rami della scienza giuridica (soprattutto civilistica e teorico-generale) che alla categoria in parola hanno tradizionalmente dedicato la maggior attenzione. Tale percorso consente all’Autore di mettere in luce la “pluralità” dei concetti di clausole generali, enucleando per ciascuno di essi le caratteristiche strutturali e funzionali e tracciandone un primo bilancio, che costituisce la base per la successiva ricerca sul piano del diritto costituzionale. Ed è qui che viene in evidenza come il rapporto fra Costituzione e clausole generali intrecci i fili della sua trama con argomenti chiave della scienza costituzionalistica come ad esempio quello delle norme “a fattispecie aperta”, delle formule “compromissorie” o dei “principi/valori”. L’indagine dogmatica viene poi affiancata da un’attenta analisi della giurisprudenza costituzionale in tema di clausole generali, le cui risultanze sono occasione per delineare lo scenario conclusivo d’un approccio critico che consenta effettivamente di “prendere sul serio” le clausole generali costituzionali.
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