Academic literature on the topic 'Prassi letteraria'

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Journal articles on the topic "Prassi letteraria"

1

Langone, Hugo. "[Recensão a] MARIO REGALI (2012), Il poeta e il demiurgo. Teoria e prassi della produzione letteraria nel Timeo e nel Crizia di Platone." Cadmo Revista de História Antiga, no. 24 (2014): 149–51. http://dx.doi.org/10.14195/0871-9527_24_11.

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2

López Fonseca, Antonio. "Scotto, Fabio y Bianchi, Marina (eds.): ‘La circolazione dei saperi in Occidenti. Teoria e prassi della traduzione letteraria’. Cisalpino – Istituto Editoriale Universitario: Milán 2018. XVI+191 pp." Estudios de Traducción 9 (September 23, 2019): 191–93. http://dx.doi.org/10.5209/estr.65712.

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3

Milinković, Snežana. "Zogović, Mirka (2007). Barok: književna teorija i praksa [Teoria e prassi del barocco letterario]." Italica Belgradensia 2014, no. 1 (2014): 129–30. http://dx.doi.org/10.18485/italbg.2014.1.7.

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4

Canazza, Alessandro. "«IL VIAGGIO PER L’ITALIA DI GIANNETTINO» DI COLLODI: UN’ANALISI LINGUISTICA." Italiano LinguaDue 13, no. 2 (January 26, 2022): 420–502. http://dx.doi.org/10.54103/2037-3597/17146.

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Abstract:
La facies linguistica del Viaggio per l’Italia di Giannettino presenta le caratteristiche note e attese della lingua di Collodi, all’insegna di un toscanismo temperato dal costante riferimento alla tradizione letteraria panitaliana e preponderante soprattutto a livello lessicale, ma ben attento ad evitare derive di stampo popolareggiante, che in questa e in altre sedi vengono espressamente menzionate come dispreferibili. Collodi – pur senza dichiararlo apertamente – contribuisce a delineare (nella prassi scrittoria ancor più che nella prescrizione grammaticale, maggiormente conservativa) i tratti di quel manzonismo moderato, fondato sull’uso fiorentino medio e “civile”, che tanto gradimento avrebbe riscosso nel Milanese e che nella produzione collodiana per l’infanzia trova una delle sue applicazioni più felici e feconde. L’analisi sistematica del testo, proposta in questo contributo, arricchisce gli studi linguistici collodiani con nuovi spogli e conferma alcuni dei tratti che meglio incarnano il “manzonismo di fatto” della lingua di Collodi (monottongazione del dittongo velare dopo contoide palatale, desinenza analogica nella prima persona singolare dell’imperfetto indicativo, forme oblique del pronome personale di terza persona singolare con funzione di soggetto, prevalenza del tipo che cosa nelle proposizioni interrogative e molti altri); al contempo evidenzia la variazione diacronica presente nelle diverse edizioni di ciascun volume dell’opera e sottolinea il differenziale stilistico, di sicura autorialità, che caratterizza gli ultimi due volumi, e specialmente il terzo, all’insegna di una medietà toscoletteraria maggiormente avvertita e tuttavia contaminata, soprattutto a livello lessicale, dall’impiego di voci popolari, secondo una linea che potremmo definire “toscanista” e rigutiniana. Il viaggio per l’Italia di Giannettino by Collodi: a linguistic analysis The linguistic form of Il Viaggio per l’Italia di Giannettino (Giannettino’s Journey Across Italy) displays some of the well-known and expected characteristics of Collodi’s language, in the name of a Tuscanism tempered by constant reference to the pan-Italian literary tradition. The Tuscanist wave is predominant at the lexical level, but Collodi was very careful to avoid drifts of popular terminology, which in this book and in other ones are expressly mentioned as not preferable. Collodi - though not declaring it openly - contributed to delineating (in writing practice even more than in grammatical prescription) the traits of moderate Manzonism, based on the medium and “civil” linguistic usage of Florence, which found one of its happiest and most fruitful applications in Collodi’s production for children. The systematic analysis of the text, proposed in this paper, enriches Collodi’s linguistic studies with new data and confirms some of the traits that best embody the Manzonist model of Collodi’s language (monophthong in place of the velar diphthong after palatal contoid, -o ending in the first-person singular of the indicative imperfect, oblique forms of the third-person singular pronoun with subject function, prevalence of the type che cosa in interrogative clauses and many others); furthermore, it highlights the diachronic variation in the different editions of each volume of the book and underlines the stylistic differential which characterized the last two volumes and especially the third one. In these volumes Collodi’s style seems more adherent to the literary tradition, yet contaminated by the inclusion of popular terms, according to a linguistic model which was probably influenced by his mentor and friend Giuseppe Rigutini.
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5

Simone, Andrea. "Dante “improvvisato” fra XVIII e XIX secolo: prassi esecutive e influenze culturali in evoluzione." Dante e l'Arte 9 (December 22, 2022): 41–50. http://dx.doi.org/10.5565/rev/dea.160.

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Abstract:
L’articolo esamina i profili artistici e le prassi esecutive di alcuni tra i maggiori esponenti sette e ottocenteschi della poesia estemporanea di derivazione arcadica per indagare il loro contributo alla plurisecolare trasmissione orale della maggiore opera dell’Alighieri. Infatti, la fortuna della Commedia tra XVIII e XIX secolo, oltre ai canali filologico-letterari più ufficiali, passa anche per ambienti culturali al confine fra oralità e scrittura abitati da un pubblico educato alla fruizione di contenuti “alti” grazie alla mediazione di esperti dell’espressione di getto e della combinazione tra parola cantata e recitata, mimica e accompagnamento musicale. L’intreccio tra l’espressività intrinseca del testo e la capacità comunicativa di questi abili dicitori dell’ottava rima rinnovò la diffusione dei soggetti danteschi più emblematici nel passaggio dall’antico regime alla modernità.
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6

Ciotti, Fabio, and Alberto Baldi. "Macchine per leggere: promuovere la lettura con il distant reading." ENTHYMEMA, no. 30 (January 2, 2023): 173–92. http://dx.doi.org/10.54103/2037-2426/19557.

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Abstract:
Questo articolo presenta il progetto Macchine per leggere, nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Studi letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università di Roma “Tor Vergata” e il Centro per il Libro e la Lettura del MiC. Scopo del progetto è la realizzazione di un ambiente digitale (desktop e mobile) che introduca gli studenti della scuola secondaria di secondo grado alla conoscenza e all’utilizzo delle tecniche di analisi computazionale dei testi, qui proposte come spunto per accostarsi alla lettura dei classici della letteratura italiana (tra gli altri che saranno resi disponibili sul sito, Il piacere, I Malavoglia, Il fu Mattia Pascal…). L’approccio del distant reading e gli strumenti informatici per l’analisi e la rappresentazione dei corpora e per il text mining (word cloud, indici di frequenza di termini e sintagmi, topic modeling, sentiment e network analysis), uniti ad altre risorse come la geolocalizzazione su mappe digitali dei luoghi letterari, saranno presentati sia come metodo per simulare in ambiente virtuale reading strategies, che come modelli per integrare le prassi ermeneutiche tradizionali – close reading. In una sezione del sito dedicata, gli algoritmi di cui si darà dimostrazione saranno a disposizione degli studenti in forma di web app, così che possano sperimentare in autonomia e su altri testi in loro possesso l’approccio distant proposto nell’ambito del progetto.
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Calzati, Stefano. "Cross-medialità odeporica: dai blogs all’intelligenza artificiale." Texto Digital 15, no. 1 (August 21, 2019): 95–111. http://dx.doi.org/10.5007/1807-9288.2019v15n1p95.

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Abstract:
In questo articolo si esplorano alcune forme di cross-medialità digitale della letteratura di viaggio: i blogs, i social network, le apps e il caso estremo in cui è una forma di Intelligenza Artificiale (IA) ad essere in controllo della stesura del testo. Dopo aver evidenziato la difficoltà di trovare una definizione condivisa degli scritti odeporici, si propone di considerarli non solo come un genere, ma anche come una prassi testuale che emerge dal viaggiare e dallo scrivere intese come pratiche sociali. Da questa prospettiva pragmatica si sottolinea il fatto che più la tecnologia è protagonista nel modo di concepire e mettere in forma (digitale) un viaggio, più tale esperienza e la sua testualizzazione sono oggettificate e trasformate in meri atti tecno-linguistici. Nel caso invece in cui un’IA è (messa) in controllo della narrazione, come l’esperimento 1 the Road mostra, si ritorna a una forma di testualizzazione che richiama gli hypomnemata degli antichi Greci, aprendo una nuova strada per una discussione sul piacere letterario, l’autorialità, e l’emergenza (forse) di un tecno-sé.
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8

Ascheri, Mario, and Paola Maffei. "CONSILIA EXTRAVAGANTIA. UN REPERTORIO IN CORSO D’OPERA." Revista Española de Derecho Canónico 77, no. 188 (January 1, 2020): 67–85. http://dx.doi.org/10.36576/summa.130953.

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Abstract:
L’importanza della letteratura consiliare, pur rilevata sporadicamente in precedenza, è stata messa in luce a partire dagli anni Cinquanta; da allora un sempre maggior numero di studi è stato dedicato a questo genere letterario. I consilia furono forse il maggior veicolo di penetrazione dell’insegnamento giuridico nella prassi e la loro ampia circolazione manoscritta, come singoli pezzi oppure come raccolte, si confermò e si amplificò con la stampa a caratteri mobili. Intendiamo censire quella parte della letteratura consiliare difficilmente individuabile, vale a dire i consilia di un autore pubblicati in raccolte altrui oppure in raccolte tematiche o all’interno di opere di altro tipo; e inoltre le sottoscrizioni, le allegazioni, i nomi degli estensori di pareri non inclusi e ricordati per aver consiliato nella stessa causa, e altre particolarità. Lo spoglio sarà circoscritto, almeno per il momento, alle edizioni di consilia presenti nella biblioteca di Domenico Maffei, famosa per la sua ricchezza e particolarmente «completa» riguardo alla letteratura consiliare. I risultati della catalogazione verranno offerti via via online ad accesso aperto
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9

Vuozzo, Alessandro. "«Profonder tutto in linde stampe il mio». Note sulla prassi editoriale di Alfieri." Prassi Ecdotiche della Modernità Letteraria, no. 7 (November 24, 2022). http://dx.doi.org/10.54103/2499-6637/19087.

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Abstract:
Il contributo riflette sulle modalità concrete attraverso cui Vittorio Alfieri curò l’allestimento tipografico delle proprie opere. Ripercorrendo le diverse tappe editoriali della sua carriera letteraria, dalla prima stampa senese delle tragedie fino a quella definitiva presso Didot, passando per l’edizione clandestina delle opere politiche a Kehl, vengono analizzate le caratteristiche principali dell’attività svolta da Alfieri prima, dopo e durante l’impressione dei volumi, tentando di mettere in rilievo il risvolto teorico e le implicazioni poetiche sottese alla sua peculiare prassi tipografica.
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Baricci, Erica. "LINGUAGGIO, COMICITÀ E PERSONAGGIO FEMMINILE NELL’EPITALAMIO GIUDEO-CATALANO PIYYU? NA’EH." Specula: Revista de Humanidades y Espiritualidad 5, no. 1 (January 31, 2023). http://dx.doi.org/10.46583/specula_2023.1.1099.

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Abstract:
Ad oggi sono noti alla comunità scientifica cinque epitalami giudeo-catalani, conservati in due manoscritti (Gerusalemme, Biblioteca Nazionale Universitaria, ms. 8° 3312 e Oxford, Bodleian Library, ms. Lyell 98) risalenti a metà XV secolo e provenienti da ambiente provenzale. Tra questi, una particolare attenzione spetta a piyyu? na’eh, un ‘canto festivo’ pensato per i festeggiamenti che seguono il rito nuziale. Questo canto è una parodia, dai toni umoristici e dalle forti allusioni erotiche, che si presenta in forma di dialogo tra i due sposi, un vecchio e una ragazza. Il primo non vuole consumare l’amore, data l’età, ma, per l’insistenza della moglie, le propone infine di farsi sostituire da un baldo giovanotto. L’interesse di questo testo riguarda innanzitutto il linguaggio, e in secondo luogo la sua forma letteraria. Per quanto riguarda il linguaggio, esso è scritto in un giudeo-catalano in cui la componente ebraica è sottilmente intrecciata a quella romanza. Gli ebraismi sono funzionali a suscitare il riso del pubblico, perché calati in un contesto triviale in cui la loro sacralità originaria crea un forte e comico contrasto. Alcuni dei termini ebraici hanno mutato il loro significato, assumendone uno connotato, secondo un fenomeno di slittamento semantico tipico dei Jewish Languages. Per questa ragione, piyyu? na’eh è anche un prezioso testimone linguistico di una fase poco attestata, perché alquanto antica, del giudeo-catalano parlato. A livello letterario, piyyu? na’eh è un testo assai ricercato, i cui toni ‘popolareggianti’ sono ottenuti attraverso un sapiente uso del linguaggio ‘colloquiale’, della metrica, della caratterizzazione stereotipica dei personaggi. In questo saggio, presento innanzitutto l’analisi semantica della componente ebraica, approfondendo le varie categorie linguistiche e/o stilistiche in cui possono essere fatti rientrare gli ebraismi del testo, per mostrare come questa dinamica riproduca ed esasperi per intenti comici la prassi linguistica quotidiana degli ebrei catalani dell’epoca e costituisca, dunque, sia un fatto stilistico, sia una preziosa testimonianza storico-linguistica. In secondo luogo, mostro come piyyu? na’eh sia stato composto da un autore dotto che disponeva di fonti letterarie ebraiche e romanze e propongo una contestualizzazione di questo tipo di testo nell’ambito del genere letterario romanzo della pastorella e della canzone di donna, in cui la figura femminile costituisce l’occasione della scenetta umoristica e la giustificazione del ricorso a un codice mistilingue.
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Dissertations / Theses on the topic "Prassi letteraria"

1

Bruniera, Federica <1989&gt. "Traduzione letteraria tra teoria e prassi: 'Regali' di Kakuta Mitsuyo." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3621.

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Abstract:
Cos'è un regalo, si chiede l'autrice Kakuta Mitsuyo? Una cosa materiale? La cornice di ricordi legati a quella cosa materiale (mittente, situazione, ecc..)? Che cosa rende un regalo importante o significativo per ciascuno di noi? Da questo tipo di riflessioni prende vita il romanzo “Presents”, raccolta di dodici racconti brevi, protagonista di ciascuno dei quali è appunto un regalo. I racconti si sviluppano in ordine cronologico in un excursus sulla vita umana nella sua quotidianità, se vogliamo banalità, e il ruolo che in essa un regalo può ricoprire. La quotidianità della trama, lo stile semplice e incisivo di scrittura, la descrizione dei sentimenti permettono di immedesimarsi nelle figure di queste dodici donne, che lottano con se stesse e con il mondo che le circonda e riscoprono se stesse nel valore dei piccoli regali che ricevono. Kakuta Mitsuyo attraverso il suo romanzo cerca di farci capire come tante cose che consideriamo banali e diamo per scontate nel corso della nostra vita possono rivestire un ruolo importante e darci nuova speranza per andare avanti. Questa tesi vuole proporre inizialmente un'analisi teorica sulle teorie della traduzione e il concetto di traduzione interlinguistica come ponte tra culture e successivamente la sua applicazione pratica nella traduzione del sopracitato romanzo dell'autrice giapponese contemporanea Kakuta Mitsuyo.
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2

Cuzzone, Tullia. "L'invettiva contro Gildone.Motivi di propaganda politica e prassi letteraria.(Per un commento a Claud.carm.15)." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2008. http://hdl.handle.net/10077/2666.

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Abstract:
2006/2007
L’indagine ha permesso di mettere in luce la complessità di un poema che è prima di tutto un’opera a sostegno della politica di Stilicone e contiene un messaggio, duplice (di rimprovero e parenetico), inviato all’Oriente dell’Impero relativo alla necessaria concordia fra le due parti e fra i fratelli reggenti, Onorio e Arcadio. Claudiano eleva a dignità epica un episodio politico-militare la cui conclusione, più che da una vera e propria battaglia (che nella realtà non avvenne mai), era stato determinato dall’abile strategia di Stilicone. La specificità dell’opera consiste in una elevata cifra retorica dell’elemento panegiristico di cui si è fornita documentazione. La condanna di Stilicone come hostis publicus, da parte della corte orientale, obbliga il poeta ad assegnare al generale vandalo un ruolo di secondo piano e determina l’impossibilità di attribuirgli una responsabilità diretta nella risoluzione della vicenda gildonica. Tale condizionamento storico-politico si traduce in una strategia narrativa in cui il soggetto centrale del racconto diventa Gildone, il nemico o piuttosto l’anti-eroe, a cui si contrappone in modo implicito (esplicito raramente) proprio Stilicone. Stilicone incarna così l’eroe della tradizione romana, rispettoso della fides verso i familiari (in qualità di suocero di Onorio) e la patria. Le azioni del generale vandalo sono exempla di pietas e in netta antitesi con quelle di Gildone che però non compare mai come attore nella vicenda. L’opposizione tra i due si traduce in definitiva nella vittoria morale di Stilicone. Il generale vandalo, compie il suo ingresso nel finale del poema (352), preparato dall’encomio ad opera di Teodosio il Grande. Nel poema dunque la vittoria su Gildone non viene descritta mediante il racconto dei fatti, ma è sancita sul piano etico per mezzo della contrapposizione fra i due antagonisti. Il presente lavoro cerca di mettere in luce le ragioni che nell’In Gildonem hanno determinato il silenzio di Claudiano sugli antefatti e sulle operazioni in rapporto al più dettagliato resoconto della vicenda e al vero e proprio panegirico di Stilicone nella successiva Laus. Il confronto fra le due opere indurrebbe infatti a individuare nella prima una sorta di anticipazione dei motivi enfatizzati, senza reticenze, nella Laus. In questa prospettiva di lettura le due opere risultano complementari e ciò permetterebbe di superare la posizione della critica (Döpp 1980, Hajdu 1996-1997, Charlet 2000) che ritiene l’In Gildonem incompiuto tanto da ipotizzare la mancata pubblicazione di un secondo libro.
XX Ciclo
1980
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3

Pellegrin, Sofia. "Uno Sguardo Dalle Radici. Gli Scritti D'Arte di Leonardo Sciascia." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424171.

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Abstract:
This research deals with the Leonardo Sciascia’s writings on art, which are been collected and examined here in order to understand the complex posture of the Sicilian writer as art reviewer. Even tough he used to confront himself with the work and the reflections of the main contemporary critics and essayists in art matters, he was able to elaborate a very personal way to approach the artistic expressions. So, if on one hand he carefully paid attention to Roberto Longhi’s masterly lesson on the necessity of a literary way in the art criticism exercise, and thus he transfused in his reviews his own system of stylistic solutions and themes experienced in his narrative production, on the other hand he never aimed to a verbal restitution of the work of art, as Longhi did. Sciascia instead chose to write about arts as another declination of his intellectual engagement, an effort to take consciousness of the context in which he lived in by the recognition of the relationships that connected the reality. The work of art seems in this sense exceptionally capable to show this kind of structure of the reality, while it shows at the same time a new order of that. For this reason Sciascia’s writings are built by the proceeding of digressions in order to capture the synonymic substance of the thought and the reality. But the digression are also the natural expression of a passionate gaze upon its loved object, as such art is for the stendhalian «happy few». As art reviewer Sciascia experimented a critical discourse deeply formed by a rational and pragmatic thought as much as by a empathetic participation, according to the legacy of his elective models, Montaigne and Stendhal.
La presente ricerca si è occupata di raccogliere e analizzare le pagine che Leonardo Sciascia, nel corso del proprio lungo e articolato impegno intellettuale ha voluto dedicare alla riflessione sulle arti figurative. In questa sede ci si è proposti di incrociare alcuni dei dati di ordine sia categoriale che cronologico messi a disposizione dai dettagliati inventari per voci bibliografiche realizzati da Francesco Izzo e da Antonio Motta, per cercare di mettere maggiormente in rilievo le peculiarità dei diversi scritti, e realizzare così la nostra istanza prima, ossia critica, su di essi. Per rendere meglio conto dei contributi sciasciani sull’arte nella singolarità di ogni caso e nella loro specificità testuale, si è proceduto alla descrizione degli interventi ad uno ad uno, restituendone la vicenda editoriale ed evidenziandone i nuclei tematici e interpretativi. Al contempo si è voluta costruire una mappatura del corpus degli scritti che isolasse, complessivamente, linee di continuità prospettica, segnalate con un sistema di rimandi in nota. Al fine di articolare le ‘metodiche’ di ordine generale e la postura d’insieme tenuta da Sciascia nei riguardi dell’esperienza artistica, si è allestita una zona preliminare intitolata Fantasie di avvicinamento in cui si è provato a far reagire alcuni dei consolidati paradigmi della critica d’arte (l’idealismo, il purovisibilismo, il (neo) realismo, ecc.) con l’esercizio riflessivo, a-metodico e dilettante, di Sciascia, tenendo presente, in particolare, la dimensione scritturale e testuale in cui si svolge, la tensione ‘longhianemente’ letteraria che lo anima. Assumendo questo punto di vista, si è fatto del magistero di Longhi un modello ‘a contrasto’ attraverso cui disporsi alla possibilità di guardare alla scrittura di argomento artistico per il tramite delle categorie stilistiche continiane coniate proprio sulla sua scorta. La forte identità autoriale di Sciascia tale per cui in queste pagine viene riversato un riconoscibile sistema di temi e figure ha permesso di elaborare una linea interpretativa unitaria in cui primario è il riconoscimento di una processualità critico-inventiva trasformativa e metamorfica in costante controcanto con un principio di arresto. Il concetto di metamorfosi risulta utile in termini tanto di dispositivo simbolico quanto di struttura cognitiva che descrive una modalità gnoseologica non dialettica fondata su un movimento a legare più che a contrapporre. In questo senso, esso risulta solidale all’influenza che il materiale iconico evocato esercita sul flusso argomentativo e sulle strutturazioni sintattiche. L’impostazione divagante delle riflessioni sciasciane, con il loro apparente non soffermarsi sulla fisionomia materiale delle opere, costituisce la modalità attraverso cui la critica sciasciana realizza la propria tensione conoscitiva e appropriativa: l’incontro con i manufatti artistici diviene così vera esperienza di alterità intesa sia come epoché fenomenologica sia come dimensione che permette di rappresentare la dinamica dell’interazione con la realtà, con la sua struttura. L’articolazione in due parti del capitolo ha inteso a riguardo mostrare da un lato, in Scrittura d’arte come critica, il modo in cui le strutture inventive profonde della critica d’arte sciasciana siano indistricabilmente intrecciate con la coeva ricerca che l’autore porta avanti sul fronte creativo della propria produzione, caratterizzata da un ricorso mescidante dei generi e da una ispirazione saggistica che sperimenta in particolare sulla possibilità rivelativa e ri-cosrtuttiva della parola attraverso il modello della commistione tra documento e finzione, proprio già del romanzo storico; dall’altro, in Una scrittura allo specchio: in funzione d’altro?, verificare quanto l’«astanza» delle opere di cui si parla costituisca un modificatore importante nello statuto della scrittura che in questo senso, continianamente, tende alla messa in opera di un particolare equilibrio di «diligenza e voluttà». Per Sciascia, amatore d’arte, si tratta allora di disporre le proprie considerazioni e divagazioni come nella successione di una catena di specchi che rimandi immagini di gesti critici ‘vicendevoli’: da tale reciprocità emerge quel carattere di approssimazione che li rende trasparente figura di un rapporto con la verità mai esauribile, di uno spazio ‘aperto’ a costituire una scena praticabile di interpretazione. Rispetto alla giacitura complessiva dell’esercizio critico sciasciano si è ritenuto che l’evidente influenza di alcuni modelli autoriali (quello moralista di Montaigne, e quello ‘dilettante’ di Stendhal) andasse problematizzato in relazione alla forma-saggio cui si riferiscono gli scritti. Si è così predisposta una zona successiva intitolata I maestri del «diletto»: una critica in dialogo, in cui ripensare quelle fonti ‘stilistiche’ in rapporto alla presenza-assenza limite che in queste pagine, a ragione dei termini elusivi (non ekphrastici, quindi) in cui viene evocata, è la ricorrenza iconica. L’interazione tra scrittura immagine che vi si delinea è invero fortemente improntata dalle dinamiche scetticamente esplorative e ‘amorosamente’ divaganti proprie di quei maestri elettivi. Si è quindi cercato di accertare come il linguaggio realizzi le potenzialità ‘significative’ dell’immagine a livello logico-sintattico e semantico semiologico, come la ‘lettura’ associativa, proliferante e inventiva del dato iconico arrivi a figurare una ‘lettura’ del reale nella sua essenza sincronica e simultanea. Dal particolare statuto ibrido di critica e invenzione che ne risulta, scaturisce infatti una singolare restituzione di realtà, una forma di ‘realismo’ inteso come codice espressivo che salva sia dalla dispersione affastellante sia dal regresso erudito. Sciascia sembra insomma voler scoprire la vocazione al ‘senso’ di ogni immagine, ricostruendola come storia, come forma-tempo che ferma e realizza il potenziale trasformativo insito nella sua costituzione. Una simile attenzione all’essenza metamorfica della messa in forma - naturalmente ossimorica nel tenere insieme movimento e stabilizzazione - trova un precipitato diretto anche in alcune ricorrenti costruzioni sintattiche, ed è, soprattutto, foriera di una estensiva interpretazione del fenomeno artistico tout-court (cfr. Un’idea di metamorfosi). Ma, ancora più importante, l’ottica trasformativa assume in termini ‘visuali’ la misura intimamente pragmatica che connota la postura intellettuale di Sciascia. Se le espressioni dell’arte si legano tipicamente alla possibilità di prefiguare l’a-venire ricollocando il dato percettivo, lo spazio della critica fa posto al «diverso», articolando la dimensione visiva e intera dell’opera, ‘linguisticamente’ e ‘sintatticamente’. Per questa via Sciascia sembra poter scommettere su una di-fferente promessa di senso, grazie ad un sforzo di contestualizzazione su base genealogica e filologia che svelando l’impronta informante delle radici (geografico-sociali) ne libera al contempo le possibilità generative. Nel porsi dunque fuori da un canonico esercizio di critica d’arte Sciascia riscuote ancora una volta il potenziale ermeneutico celato nel decentramento prospettico, nella marginalità fisica e ideale rispetto ai centri di elaborazione culturale. Per tale ragione si occupa di preferenza di pittori, incisori, scultori locali: oltre a saperne, appunto, ben comprendere ‘le radici’, condivide con essi quello stesso pervasivo sentimento di confine. Così impostata la riflessione di Sciascia si pone ‘fuori’ anche riguardo al mercato dell’arte, alle sue tendenze e ai suoi interessi. L’avvicinamento, l’attenzione a un artista scatta infatti quasi sempre come un interesse alla persona, nel riconoscimento di una comunione emotiva. Lo slancio empatico che dunque presiede alla scrittura delle pagine sciasciane ridimensiona se non annulla la necessità di stabilire gerarchie di valore o di fondare ‘letture’ complessive (e conclusive) di un’esperienza artistica. Gli stessi scritti del resto possono avvalersi della loro posizione liminare rispetto al resto dell’opera per interrogarla e tentarne una comprensione differente: verificando e approfondendo, per esempio, il valore di quella impostazione complessivamente «galileiana» della scrittura sciasciana emersa dalla loro analisi. Endogena agli scritti la prospettiva dal ‘margine’ si rivela allora altrettanto feconda come modello per una critica su Sciascia, che non potrebbe non beneficiare di uno spostamento dai propri consueti punti di partenza. Affrontare trasversalmente l’opera sciasciana alla luce delle categorie della «presenza» e dell’«astanza» che informano le pagine d’arte potrebbe forse permettere di riscoprirla nella sua più autentica dimensione critica, ovvero partecipativa, aprendo simmetricamente ad un tentativo valutativo che la metta in relazione con ogni aspetto di quella partecipazione, attraverso tutto quanto è dato sapere del pensiero.
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LEGE', ALICE SILVIA. "LES CAHEN D'ANVERS EN FRANCE ET EN ITALIE. DEMEURES ET CHOIX CULTURELS D'UNE LIGNÉE D'ENTREPRENEURS (I CAHEN D'ANVERS IN FRANCIA E IN ITALIA. DIMORE E SCELTE CULTURALI DI UNA DINASTIA DI IMPRENDITORI)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/726976.

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Founding member of a banking network related to the actual BNP Paribas Group, Meyer Joseph Cahen (1804-1881), adopted the “d’Anvers” when he settled in Paris in 1849. Born in Bonn, of an Ashkenazi family, he made his fortune in the Belgian city to which he associated his name, and he continued his career in France. Owner of Nainville’s castle (Essonne) and of the Petit Hôtel de Villars (Paris), he became a naturalized French citizen in 1865. The next year, he obtained the title of Count, bestowed upon him by the King of Italy Victor-Emmanuel II, thanks to the economic support he offered to the Italian Unification. Nineteen years later, King Humbert I surpassed his predecessor and raised Meyer Joseph’s eldest son, Édouard (1832-1894), to the status of Marquis of Torre Alfina. If his siblings – Emma (1833-1901), Louis (1837-1922), Raphaël (1841-1900) and Albert (1846-1903) – enrooted their pathways in the French capital, the eldest lived between Florence, Naples and Rome: he was one of the great investors involved in the urban renovation of the Italian capital, after the fall of the papacy. In France, as well as in Italy, art, and especially architecture, served to legitimize the recent nobility of a family that wished to express the fullness of its civil rights. As targets of the anti-Semitic press, the Cahen d’Anvers family experienced the consequences of the Dreyfus Affair and the horrors of the racial laws. Before the latter, they adopted what could be defined as a “top-down model of integration”. This thesis focuses on its mechanisms and development. After tracing the patriarch’s origins, it analyses the family’s matrimonial policies and it continues with an exploration of Cahen d’Anvers’ “choices” in the vast field of culture. In their salons, the readers will meet Guy de Maupassant, Paul Bourget, Marcel Proust and Gabriele D’Annunzio, as well as Auguste Renoir and Léon Bonnat. Twelve mansions offered a perfect stage for these intellectual gatherings. As a public manifestation of the family’s economic and social power, the historicist eclecticism of these properties aimed to represent the owners as a new phalanx of the old nobility. While Forge-Philippe’s manor (Wallonia), Gérardmer’s chalet (Vosges) and Villa della Selva (Umbria) expressed a certain openness to the twentieth century novelties, the three residences rented by the family (Hôtel du Plessis-Bellière, Paris; Palazzo Núñez-Torlonia, Rome; Château de la Jonchère, Yvelines) and the two properties of Meyer Joseph, as well as Rue de Bassano’s mansion (Paris) or the castles of Champs (Seine-et-Marne), Bergeries (Essonne) and Torre Alfina (Latium) dressed up their nineteenth century spaces with Ancien Régime motifs. Thanks to their historical knowledge and taste, the architects Destailleur, Giuseppe Partini and Eugène Ricard, as well as the landscapers Henri and Achille Duchêne, were able to bend the Middle Age, the Renaissance and the 18th century’s “grammars” to their patrons’ taste and ambitions.
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Books on the topic "Prassi letteraria"

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Il poeta e il demiurgo: Teoria e prassi della produzione letteraria nel Timeo e nel Crizia di Platone. Sankt Augustin: Academia, 2012.

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Bandelj, David. V iskanju jaza: Teorija in praksa dnevniške književnosti = Searching the I : theory and practice of diary literature = La ricerca dell'Io : teoria e practica del diario letterario. Koper: Univerza na Primorskem, Znanstveno-raziskovalno središče, Univerzitetna založba Annales, 2013.

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Book chapters on the topic "Prassi letteraria"

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Lovari, Gianmarco. "Le provvisorie mète. Lo «Spirito ribelle» del Lucini naturalista." In Studi e ricerche del Dipartimento di Lettere e Filosofia, 375–91. Firenze: Società Editrice Fiorentina, 2023. http://dx.doi.org/10.35948/dilef/978-88-6032-688-1.21.

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Abstract:
Il contributo intende mettere in evidenza le cospicue modificazioni subìte dalla prima prova letteraria di Gian Pietro Lucini dal titolo Spirito ribelle, rilevando le differenze fra la sua originaria struttura naturalista e la seconda stesura. Tale passaggio riesce a farsi metafora di un nuovo modo di concepire la prassi letteraria, oramai distante da qualsiasi forma di realismo in direzione propriamente novecentesca.
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Miller-Klejsa, Anna. "Złodzieje rowerów na trasie W-Z uwagi o recepcji dzieła De Siki w polskim piśmiennictwie filmowym do 1956 roku." In Sperimentare ed esprimere l’italianità. Aspetti letterari e culturali. Doświadczanie i wyrażanie włoskości. Aspekty literackie i kulturowe. Wydawnictwo Uniwersytetu Łódzkiego, 2021. http://dx.doi.org/10.18778/8220-478-0.13.

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Abstract:
Po zakończeniu II wojny światowej kultura filmowa w Polsce Ludowej uległa istotnej transformacji. Jednym z jej aspektów był nowy model importu filmów: większość międzynarodowych źródeł została zastąpiona filmami z komunistycznego bloku, głównie z ZSRR. Filmy włoskie stanowiły w tych realiach istotny wyjątek: publiczność polska była zaznajomiona nie tylko z filmami, ale także – dzięki przekładom publikowanym w prasie branżowej – z teoretycznymi tezami nurtu C. Zavattiniego i U. Barbaro (ten ostatni w latach 1948–1949 wykładał nawet w łódzkiej Szkole Filmowej). Niektóre filmy uznawane za neorealistyczne nie zostały jednak dopuszczone na polskie ekrany przez cenzurę (zakazano m.in. wyświetlania kilku filmów Rosselliniego), lub pojawiły się w kinach ze znaczącym opóźnieniem (los taki spotkał m.in. film Umberto D.). W artykule koncentruję się na zbadaniu recepcji filmu Złodzieje rowerów (Ladri di biciclette, reż. V. De Sica, 1948) w polskim czasopiśmiennictwie filmowym lat 1946–1956. Analiza wykazała, że o ile w latach 1946–1949 przeważają raczej pozytywne głosy, o tyle od początku lat 50., w okresie stalinizacji, dominują głosy krytyczne; odkąd ideałem stało się kino radzieckie i poetyka socrealizmu, włoski neorealizm (i film De Siki) oskarżany był o pesymizm oraz gubienie „wielkich perspektyw rewolucyjnych”. To podejście uległo zmianie w czasie odwilży, kiedy neorealizm stał się swoistym wzorem do naśladowania – przykładem nowatorskiej estetyki filmowej.
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