Academic literature on the topic 'Patologie a cellule B'

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Journal articles on the topic "Patologie a cellule B"

1

Magistroni, Riccardo. "La ricerca oggi." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 3 (July 10, 2013): 282–87. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1056.

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Abstract:
La ricerca di base ha identificato i due principali difetti legati alla patologia policistica: a) le cellule cistiche proliferano eccessivamente e b) queste cellule secernono del fluido che ingrossa le cisti. Le principali strategie in studio nell'ADPKD consistono nell'utilizzo di farmaci in grado di interferire con i meccanismi cellulari legati a questi difetti. Una delle strategie esplorate è stata l'inibizione del sistema mTOR. Purtroppo, due trial clinici hanno fallito nel mostrare un'attività protettiva di questa classe di farmaci. La somatostatina è un'altra molecola sotto intensa validazione clinica. Al momento, i dati suggeriscono una sua possibile azione di contrasto sulla malattia ADPKD, ma i dati sono ancora preliminari per conclusioni clinicamente significative. Il Tolvaptan è un antagonista recettoriale della vasopressina che è stato ampiamente studiato: un trial clinico di numerosità adeguata ha suggerito un possibile effetto positivo di questa molecola nella riduzione della crescita dei volumi renali e nel raggiungimento di target clinici significativi. Il prossimo futuro vede in campo nuovi trial clinici esplorativi di molecole già valutate nel recente passato e di nuove strategie terapeutiche. Per la numerosità dei pazienti arruolati attira l'attenzione della comunità scientifica lo studio HALT, che esplorerà il ruolo dei farmaci antagonisti del sistema renina-angiotensina nel rallentamento della progressione dell'ADPKD. Inf ne, una categoria di farmaci precedentemente inesplorati riguarda gli inibitori del recettore dell'Epidermal Growth Factor. La ricerca clinica nell'ADPKD è straordinariamente attiva in questo periodo e questa considerazione permette un cauto ottimismo sulle possibili prospettive terapeutiche in questa patologia rimasta a lungo orfana. Qualche ombra sulla prospettiva dei risultati futuri nella ricerca clinica in questo campo proviene dalla constatazione in un numero considerevole di trial di disegni metodologicamente non adeguati.
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2

Di Lullo, A. M., M. Scorza, F. Amato, M. Comegna, V. Raia, L. Maiuri, G. Ilardi, E. Cantone, G. Castaldo, and M. Iengo. "An “ex vivo model” contributing to the diagnosis and evaluation of new drugs in cystic fibrosis." Acta Otorhinolaryngologica Italica 37, no. 3 (June 2017): 207–13. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-1328.

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Abstract:
La fibrosi cistica (FC) è una malattia autosomica recessiva causata da mutazioni nel gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator). Finora sono state descritte circa 2000 mutazioni, ma per la maggior parte di esse è difficile definirne l’effetto senza complesse procedure in vitro. Abbiamo effettuato il campionamento (mediante brushing), la cultura e l’analisi di cellule epiteliali nasali umane (HNEC) utilizzando una serie di tecniche che possono aiutare a testare l’effetto delle mutazioni CFTR. Abbiamo eseguito 50 brushing da pazienti FC e controlli, e in 45 casi si è ottenuta una coltura positiva. Utilizzando cellule in coltura: i) abbiamo dimostrato l’espressione ampiamente eterogenea del CFTR nei pazienti e nei controlli; ii) abbiamo definito l’effetto di splicing di una mutazione sul gene CFTR; iii) abbiamo valutato l’attività di gating di CFTR in pazienti portatori di differenti mutazioni; iv) abbiamo dimostrato che il butirrato migliora in modo significativo l’espressione di CFTR. I dati provenienti dal nostro studio sperimentale dimostrano che l’uso del modello ex-vivo di cellule epiteliali nasali è un importante e valido strumento di ricerca e di diagnosi nella studio della FC e può anche essere mirato alla sperimentazione ed alla verifica di nuovi farmaci. In definitiva, in base ai nostri dati è possibile esprimere le seguenti conclusioni: 1) il prelievo delle cellule epiteliali nasali mediante brushing è applicabile senza alcuna anestesia ed è ben tollerato da tutti i pazienti affetti da FC (bambini e adulti), è scarsamente invasivo e facilmente ripetibile, è anche in grado di ottenere una sufficiente quantità di HNECs rappresentative, ben conservate, idonee allo studio della funzionalità di CFTR; 2) la conservazione delle cellule prelevate è possibile fino a 48 ore prima che si provveda all’allestimento della coltura e ciò permette di avviare studi multicentrici con prelievi in ogni sede e quindi di ottenere una ampia numerosità campionaria; 3) la coltura di cellule epiteliali nasali può essere considerata un modello adatto a studiare l’effetto molecolare di nuove mutazioni del gene CFTR e/o mutazioni specifiche di pazienti “carriers” dal significato incerto; 4) il modello ex-vivo delle HNECs consente inoltre di valutare, prima dell’impiego nell’uomo, l’effetto di farmaci (potenziatori e/o correttori) sulle cellule di pazienti portatori di mutazioni specifiche di CFTR; tali farmaci possono modulare l’espressione genica del canale CFTR aprendo così nuove frontiere terapeutiche e migliori prospettive di vita per pazienti affetti da una patologia cronica come la Fibrosi Cistica; 5) la metodologia da noi istituita risulta essere idonea alla misura quantitativa, mediante fluorescenza, dell’attività di gating del canale CFTR presente nelle membrane delle cellule epiteliali nasali prelevate da pazienti portatori di differenti genotipi; in tal modo è possibile individuare: a) pazienti FC portatori di 2 mutazioni gravi con un’attività < 10% (in rapporto ai controlli -100%), b) soggetti FC portatori contemporaneamente di una mutazione grave e di una lieve con un’attività tra 10-30%, c) i cosiddetti portatori “carriers”- eterozigoti - con un’attività tra 40-70%. In conclusione la possibilità di misurare l’attività del canale CFTR in HNECs fornisce un importante contributo alla diagnosi di FC, mediante individuazione di un “cut-off diagnostico”, ed anche alla previsione della gravità fenotipica della malattia; quindi quanto rilevabile dalla misura del suddetto canale permette di prospettare per il futuro la possibilità di valutare meglio i pazienti per i quali il test del sudore ha dato risultati ambigui (borderline o negativi). La metodica da noi sperimentata consente anche di monitorare i pazienti durante il trattamento farmacologico, valutando in tal modo i reali effetti delle nuove terapie.
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Basilico, Marcello. "L'autorizzazione giudiziale all'impianto di cellule staminali in pazienti affetti da patologie degenerative." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 1 (July 2014): 137–41. http://dx.doi.org/10.3280/qg2014-001011.

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Altavilla, Annagrazia, and Alessandro Dell’Erba. "La ricerca sulle cellule staminali: la nuova sfida dell’Europa unita." Medicina e Morale 53, no. 6 (December 31, 2004): 1133–78. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.621.

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Abstract:
La ricerca sulle cellule staminali rappresenta uno dei settori più promettenti della biotecnologia, in quanto offre la possibilità di sviluppare nuovi metodi per riparare o sostituire le cellule o i tessuti lesionati o malati e per curare alcune patologie croniche gravi. Tale ricerca può anche fornire un contributo importante alla scienza di base, aiutando a comprendere i meccanismi di proliferazione e differenziazione cellulare. Gli embrioni umani preimpanto rappresentano una delle possibili fonti di cellule staminali. Tuttavia, laddove questa ricerca prevede l’utilizzo di embrioni umani, essa solleva la questione dei principi etici in gioco e dei limiti e delle condizioni cui questa deve essere soggetta. Gli stati europei hanno adottato posizioni diverse in merito alla regolamentazione della ricerca sulle cellule staminali embrionali. Tale disparità, che riflette le tradizioni etiche, filosofiche e religiose alle quali gli stati si ispirano, conferma l’esistenza di punti di vista divergenti in Europa su quanto sia o meno eticamente suscettibile di tutela. Questo articolo esamina le legislazioni e le posizioni etiche esistenti a tal proposito in Europa, oltre che i nuovi orientamenti sui principi da applicare nella concessione di finanziamenti comunitari (nell’ambito del VI Programma quadro di ricerca europeo –FP6) per progetti di ricerca implicanti l’uso di embrioni umani e di cellule staminali embrionali. Tale studio intende altresì fornire degli spunti di riflessione sui nuovi traguardi dell’integrazione europea nel settore della ricerca biomedica.
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Barsotti, Nicola. "Biomeccanica umana, stress e immunità." PNEI REVIEW, no. 2 (November 2021): 63–76. http://dx.doi.org/10.3280/pnei2021-002006.

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Abstract:
La ricerca scientifica, negli ultimi anni, sta sempre più mettendo in risalto la complessità delle relazioni Pnei esistenti tra l'essere umano ed il suo ambiente, sia interno che esterno. Conoscerne i meccanismi è fondamentale per comprendere la salute e la malattia, ma anche per pianificare strategie terapeutiche sempre più efficaci. La seguente revisione narrativa ha lo scopo di mettere in evidenza, in senso bidirezionale, la relazione strutturale e funzionale tra la biomeccanica umana, l'attivazione dell'asse dello stress e la conseguente stimolazione in senso infiammatorio dei leucociti. Nello specifico, considerando che molte cellule immunitarie hanno come terreno di azione la fascia, viene posta attenzione alla reciproca influenza tra i vari costituenti di quest'ultima e le cellule immunitarie. Scopo ultimo dell'articolo, infatti, è contribuire alla promozione di una clinica integrata nell'assistenza sanitaria dei pazienti affetti da patologie muscolo-scheletriche e/o infiammatorie croniche.
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Cortese, Fabrizio, Leonardo Puddu, Domenico Mercurio, and Alessandro Santandrea. "Innesto di cellule mesenchimali su membrana nel trattamento delle patologie cartilaginee della tibio-tarsica." LO SCALPELLO-OTODI Educational 33, no. 3 (October 25, 2019): 304–10. http://dx.doi.org/10.1007/s11639-019-00341-z.

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Lombardi, Duccio. "Decellularizzazione d'organo: matrici fisiologiche per la generazione di organi in vitro." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 3 (August 26, 2013): 244–47. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1046.

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Abstract:
I disordini nefrologici cronici sono, a oggi, una tra le patologie a maggiore diffusione globale, la cui ricaduta economica ha profondi effetti sui Sistemi Sanitari Nazionali di tutto il mondo. Tali patologie di natura cronica general-mente progrediscono sino all'insufficienza d'organo, ren-dendo necessarie per il paziente terapie sostitutive come il trapianto d'organo. Allo stesso tempo, però, la richiesta di organi per il trapianto supera ampiamente la disponibilità degli stessi, motivo per cui la ricerca si sta sempre più focalizzando sullo sviluppo di nuove soluzioni che possano risolvere tale problematica. Una tra le soluzioni che riscuo-te, a oggi, maggiore successo è quella basata su protocolli che prevedono la decellularizzazione d'organo. La finalità di tali protocolli è quella di fornire impalcature biocompatibili su cui impiantare cellule dello stesso paziente, così da poter dare nuova e completa funzionalità all'organo e, allo stesso tempo, eliminare il rischio di rigetto da parte del ricevente. In questo articolo saranno, perciò, presentate, in campo nefrologico, le principali caratteristiche della decellularizzazione d'organo, così da poter avere una prospettiva di quello che potrebbe potenzialmente essere il futuro della medicina del trapianto.
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Malberti, Fabio. "Vitamina D nativa nei pazienti con malattia renale cronica non in trattamento dialitico." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 2 (May 29, 2013): 107–11. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1018.

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Abstract:
Il sistema ormonale della vitamina D è classicamente implicato nella regolazione dell'omeostasi calcica e del metabolismo osseo. L'esistenza di recettori per la vitamina D in organi e tessuti non coinvolti direttamente nella regolazione del metabolismo minerale e la capacità di molte cellule di sintetizzare la forma attiva di vitamina D dal precursore circolante hanno fatto supporre che la vitamina D possa avere altri effetti oltre ai classici effetti sul metabolismo minerale. Il deficit di vitamina D induce lo sviluppo di patologie ossee ed è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di neoplasie, malattie autoimmuni e malattie cardiovascolari. In questa rassegna vengono esaminati i risultati dei principali studi randomizzati che hanno utilizzato la supplementazione con vitamina D nella popolazione generale e nei pazienti con insufficienza renale cronica.
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Demori, Ilaria. "Microbiota e immunità." PNEI REVIEW, no. 2 (November 2021): 49–62. http://dx.doi.org/10.3280/pnei2021-002005.

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Abstract:
Il nostro intestino alberga una grande quantità di microrganismi, nonché la maggioranza delle nostre cellule immunitarie. A livello intestinale, il microbiota e il sistema immunitario dialogano per tutta la vita, costruendo una rete di comunicazione complessa, da cui emerge lo stato di salute o di malattia. Il sistema immunitario, che ha tra le sue funzioni principali quella di proteggerci dai microbi, è però controllato dai microbi stessi, configurandosi quindi come un sistema di regolazione inserito nella rete Pnei. Le prime fasi della vita e la dieta sono essenziali per lo sviluppo armonico delle interazioni tra microbiota e immunità. Nella finestra di opportunità che si apre prima della nascita e accoglie gli stimoli ambientali, le segnalazioni innescate dai metaboliti microbici giocano un ruolo essenziale nella regolazione epigenetica dello sviluppo immunitario. La fibra alimentare, i probiotici e la nuova frontiera dei postbiotici costituiscono strumenti utili per l'equilibrio immunitario, da utilizzare nelle strategie di prevenzione e nella cura integrata delle patologie.
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Ferretti, E., E. Ognio, E. Di Carlo, C. Tripodo, D. Ribatti, C. Guarnotta, C. Sorrentino, M. Ponzoni, and V. Pistoia. "Secondo Workshop AIEOP... in Lab Catania, 19-20 Maggio 2011." Pediatric Reports 3, no. 11 (June 1, 2011): 1–68. http://dx.doi.org/10.4081/pr.2011.s1.

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Abstract:
Il linfoma follicolare (FL), il linfoma diffuso a grandi cellule (DLCL) ed il linfoma di Burkitt (BL) sono neoplasie che originano dalle cellule B dei centri germinativi degli organi linfoidi secondari[...]
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Dissertations / Theses on the topic "Patologie a cellule B"

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Capolla, Sara. "Use of immune-nanoparticles containig chemiotherapeutic agents for the treatment of B-cell malignancies." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10980.

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Abstract:
2013/2014
B-cell malignancies are a heterogeneous group of clinical conditions including indolent diseases such as Chronic Lymphocytic Leukemia (CLL) and highly aggressive lymphoproliferative disorders such as Burkitt’s lymphoma. B-cell malignancies treatments take advantage of dose-intensive chemotherapeutic regimens and immunotherapy via monoclonal antibodies. Unfortunately, they may lead to insufficient tumor distribution of therapeutic agents and cause several adverse effects. Thus, we propose a novel therapeutic approach for the treatment of CLL and Burkitt’s lymphoma in which high-doses of the association of hydroxychloroquine and chlorambucil (HCQ/CLB) or fludarabine were loaded inside biodegradable nanoparticles (BNPs) coated with an anti-CD20 antibody. First of all, a Burkitt’s lymphoma cell line (BJAB), two CLL cell lines (MEC1 and EHEB) and cells purified from patients’ blood samples were used to confirm CD20 expression and to assess BNPs binding and internalization. These studies demonstrated BNPs ability to bind malignant B cells and to enter inside cells in a process different from endocytosis. Then, BNPs therapeutic effect was evaluated by MTT test, AnnV/PI assay and western blot to put in evidence apoptosis induction and autophagy inhibition. These experiments demonstrated drugs-loaded BNPs ability to kill malignant B cells with comparable effects than those obtained with free drugs whereas empty BNPs were practically ineffective. In vivo BNPs characterization included the evaluation of their toxicity, biodistribution and therapeutic effect. C57/BL mice were used to evaluate BNPs toxicity which was studied considering survival, loss of body weight and several tissue markers in the blood. Mice receiving 8 injections of free HCQ+CLB died in this experiment whereas animals challenged with the same amount of drugs encapsulated inside BNPs did not show toxic effects suggesting BNPs safety. The importance of antiCD20 antibody in the homing of BNPs was confirmed by in vivo Time-Domain Optical Imaging performed in localized B-cell malignancy-bearing mice. This analysis suggested the ability of antiCD20-conjugated BNPs to specifically target tumor B-cells, with a pick after 24-48 hours. On the contrary, untargeted BNPs localization inside tumor was significantly decreased. In this analysis it was also evident that the liver is the main site of BNPs’ elimination while in the other organs the presence of fluorescent BNPs was very low. Finally, BNPs ability to treat a new xenograft human/SCID leukemia and Burkitt’s lymphoma mouse model was studied. Drugs-loaded BNPs were able to improve HCQ/CLB efficacy in vivo allowing the cure of treated all Burkitt’s lymphoma-bearing mice and 3 out of 7 leukemia-bearing animals. All these data together put the basis for the potential use of BNPs in the treatment of B-cell malignancies.
I tumori a cellule B sono un gruppo eterogeneo di patologie che comprendono sia malattie indolenti, come la leucemia linfatica cronica (LLC), sia aggressive, come il linfoma di Burkitt. Il trattamento delle patologie a cellule B prevede sia l’utilizzo di chemioterapici (agenti alchilanti e analoghi delle purine) che di anticorpi monoclonali. Nonostante la varietà di terapie esistenti, l’efficacia di questi farmaci è limitata dalla mancata specificità per le cellule tumorali e dall’induzione di gravi effetti collaterali. Per ovviare ai limiti delle terapie attuali, è stato quindi proposto l’utilizzo di nanoparticelle coniugate con un anticorpo antiCD20, specifico per le cellule B, e contenenti alte concentrazioni di chemioterapici (idrossiclorochina e clorambucile o fludarabina). Le nanoparticelle sono state caratterizzate in vitro e in vivo durante questo progetto di dottorato. Inizialmente sono stati effettuati studi in vitro al fine di valutare l’espressione del CD20 sulla superficie di una linea cellulare di linforma di Burkitt (BJAB), due linee di LLC (MEC1 e EHEB) e cellule purificate da campioni di sangue di pazienti affetti da LLC. In seguito, il legame e l’internalizzazione delle nanoparticelle a queste cellule sono stati dimostrati suggerendo anche come le nanoparticelle vengano internalizzate attraverso un meccanismo diverso dall’endocitosi. L’effetto terapeutico in vitro delle nanoparticelle è stato valutato con test MTT, AnnessinaV/PI e tramite western blot al fine di evidenziare l’induzione di apoptosi e l’inibizione dell’autofagia, meccanismi attraverso cui i farmaci utilizzati sono noti agire. Questi esperimenti hanno dimostrato che le nanoparticelle cariche di chemioterapici sono in grado di uccidere le cellule B tumorali con effetti paragonabili a quelli ottenuti da pari concentrazioni di farmaci liberi dimostrando come il processo di produzione delle nanoparticelle non influisca sull’efficacia dei chemioterapici. Al contrario, nanoparticelle vuote non sono in grado di uccidere le cellule dimostrando la mancata tossicità dei polimeri da cui sono costituite. Dopo aver confermato il legame e l’internalizzazione delle nanoparticelle che inducono la morte delle cellule B tumorali, sono stati effettuati esperimenti in vivo tra cui studi di tossicità al fine di valutare eventuali effetti collaterali indotti dal trattamento, studi di biodistribuzione e la valutazione degli effetti terapeutici. Gli studi di tossicità sono stati effettuati in topi sani valutando parametri quali la perdita di peso, la sopravvivenza e la tossicità sistemica. Nanoparticelle cariche di farmaci presentano un profilo tossicologico sicuro mentre pari dosi di farmaci liberi inducono la morte di tutti gli animali trattati. Questi esperimenti dimostrano quindi come l’inserimento di farmaci all’interno di nanoparticelle prevenga gli effetti collaterali normalmente indotti dai chemioterapici. Secondariamente, sono stati effettuati studi di biodistribuzione di nanoparticelle coniugate o meno con un anticorpo antiCD20. Questi studi effettuati tramite Optical Imaging dimostrano come nanoparticelle coniugate con l’anticorpo antiCD20 si localizzino preferenzialmente nella massa tumorale in 24-48 ore in quantità maggiore rispetto a nanoparticelle non coniugate con l’anticorpo. Inoltre, da queste analisi risulta evidente come il fegato sia il maggiore sito di eliminazione delle nanoparticelle mentre in altri organi la presenza di nanoparticelle è molto bassa. Infine, un modello disseminato di linfoma di Burkitt e un modello di LLC sono stati sviluppati in topi SCID (Severe Combined ImmunoDeficiency) iniettando rispettivamente cellule BJAB intraperitoneo e cellule MEC1 endovena. I modelli sono stati caratterizzati e utilizzati per valutare la potenziale applicazione delle nanoparticelle nel trattamento di queste patologie. Questi studi hanno dimostrato come le nanoparticelle siano in grado di aumentare l’efficacia dei chemioterapici e di curare tutti i topi affetti da linfoma di Burkitt e 3/7 topi affetti da leucemia. Concludendo, questi risultati suggeriscono la potenziale applicazione delle nanoparticelle cariche di chemioterapici nel trattamento di LLC e linfoma di Burkitt.
XXVII Ciclo
1986
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Fidilio, Annamaria. "Ruolo dell Inotuzumab Ozogamicin (CMC-544) nell induzione dell apoptosi in cellule CD22-positive di patologie linfoproliferative." Thesis, Università degli Studi di Catania, 2011. http://hdl.handle.net/10761/236.

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Abstract:
In questo progetto di ricerca, abbiamo descritto i meccanismi molecolari innescati dall'Inotuzumab Ozogamicina (CMC-544), un anticorpo anti-CD22 coniugato con la calichemicina, in linee immortalizzate ed in colture primarie di cellule linfoidi derivate da patologie linfoproliferative CD22-positive. Abbiamo utilizzato due linee cellulari derivate da linfoma di Burkitt (BL-2, RAJI, NAMALWA), una linea derivata da leucemia a precursori linfoidi B (SUP-B15) e una linea derivata da leucemia mieloide acuta (HL-60) come linea cellulare di controllo. Le cellule sono state trattate con il CMC-544 o il Gemtuzumab Ozogamicina (CMA-676), un anticorpo anti-CD33 coniugato con la calichemicina. Le linee cellulari BL-2 e SUP-B15 mostrano valori di IC50 per il CMC-544 significativamente piu' bassi rispetto a quelli ottenuti dopo trattamento con il CMA-676. Tuttavia, le RAJI e le NAMALWA presentano valori di IC50 simili per entrambi gli immunoconiugati, anche se presentano una bassa percentuale dell'antigene di superficie CD33. Inoltre, mentre le BL-2 e le SUP-B15 sopravvissute al trattamento per 48 ore con il CMC-544 sono arrestate in fase G2/M del ciclo cellulare, le RAJI e le NAMALWA - che presentano una mutazione nella sequenza amminoacidica della proteina p53 non solo non sono in grado di bloccarsi, ma l'esposizione all'immunoconiugato genera una popolazione poliploide. Nonostante cio', gli esperimenti di citofluorimetria, per valutare la distribuzione del ciclo cellulare, dimostrano che il trattamento con il CMC-544 per 12 ore induce un arresto in fase G2/M p53-indipendente in tutte le linee cellulari CD22-positive. Quando abbiamo ripetuto gli stessi esperimenti usando una combinazione sequenziale del CMC-544 e dellà à à à à ¢ UCN-01, un inibitore di ChK2, abbiamo osservato un significativo incremento della morte cellulare. Il trattamento per 48 ore con il CMC-544 determina un arresto in fase G2/M del ciclo cellulare solo nelle BL-2 e SUP-B15, un evento fortemente ridotto dopo esposizione all'UCN-01. Tuttavia, le RAJI e le NAMALWA à à à à à ¢ mancando del blocco in fase G2/M dopo 48 ore d'esposizione al CMC-544 - non rispondono al trattamento con l'UCN-01. Nonostante cio', l'espressione ectopica di p53 wild-type nelle NAMALWA le ha rese sensibili al trattamento con il CMC-544 ed ha generato un incremento della morte cellulare. Abbiamo, inoltre, confermato il valore predittivo dello status di p53 nel determinare la sensibilita' al trattamento con il CMC-544 anche in colture primarie derivate da pazienti affetti da patologie linfoproliferative CD22-positive. In conclusione, il CMC-544 mostra un alto potenziale terapeutico in cellule immortalizzate ed in linee primarie linfoidi CD22-positive. Lo status mutazionale della proteina p53 potrebbe rappresentare un marcatore molecolare di risposta al CMC-544 sia in vitro che in vivo. Inoltre, la combinazione con un inibitore della protein-chinasi ChK2 potrebbe ripristinare l'attivita' dell'immunoconiugato in pazienti con patologie linfoproliferative CD22-positive che presentano mutazioni nella proteina p53.
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Labriji, Houriya Mestaghanmi. "Vitamine D3 et cellule B du pancréas endocrine." Bordeaux 1, 1986. http://www.theses.fr/1986BOR10572.

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Abstract:
La vitamine d3 qui joue un role preponderant dans l'homeostasie du calcium intervient dans la regulation du fonctionnement de la cellule b du pancreas en controlant les disponibilites cellulaires en calcium.
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Labriji, Mestaghanmi Houriya. "Vitamine D et cellule B du pancréas endocrine." Grenoble 2 : ANRT, 1986. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb37598859v.

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Falcone, M. "LA RIPROGRAMMAZIONE DI ASTROCITI UMANI IN CELLULE NEURO-STAMINALI E NEURONI COME POSSIBILE STRUMENTO TERAPEUTICO PER LE PATOLOGIE NEUROLOGICHE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2012. http://hdl.handle.net/2434/169918.

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Abstract:
Generating neural stem cells and neurons from reprogrammed human astrocytes is a potential strategy for repair in neurological diseases. It has been recently showed that astrocytes from murine cerebral cortex can be differentiated into neurons by the forced expression of a single transcription factor (Heinrich et al., 2010). While these studies have evaluated astrocyte conversion in the murine context, a similar possibility has yet to be demonstrated in human cells. An essential element for developing such applications with therapeutic value is a thorough comprehension of the mechanisms that regulate reprogramming of adult cells into induced pluripotent stem cells (iPSCs) (Hanna et al., 2010) or directly into another committed lineage, such as fibroblasts converted into neurons and also specific neuronal subpopulations like dopaminergic neurons (Pang et al., 2011, Caiazzo et al., 2011). Here we demonstrate the possibility to obtain progenitors and mature cells of the neural fate directly from human cortical astrocytes with a dedifferentiation into neural stem/progenitor phenotype. Even if for the purpose of autologous cell transplantation in neurological disorders, fibroblasts from patients resemble a much more suitable source of neurons than astrocytes from patients, nevertheless, shading light in the mechanisms that make possible to reprogram astrocytes into NSCs is useful for the final goal of using these cells as endogenous cell source for in situ neural repair in the CNS without any invasive cell graft. Human astrocytes can be reprogrammed into iPSCs, with similar efficiencies to other cells, using the viral expression of four reprogramming factors (Oct4, Sox2, Klf4, and cMyc) (Riuz et al., 2008). Remarkably, overexpression of a single factor like OCT4 in adult cells can induce full reprogramming, as when it is expressed in NSCs (human and mouse) (Kim et al., 2009 a, b) or promote the formation of another phenotype, such as the generation of blood cells with its expression in human fibroblasts (Szabo et al., 2010). These data suggest that the effect of these stem reprogramming factors changes in relationship to the lineage and the differentiation stage of the cells expressing them. In the current work, using the individual expression of OCT4, SOX2, or NANOG, we demonstrated and characterized the direct neural fate conversion of human astrocytes into multipotent neural progenitors, in vitro and in vivo. These cells were generated in a manner that is independent of iPSC production. Individual ectopic expression of the reprogramming factors OCT4 or SOX2 or NANOG into astrocytes, together with specific cytokine/culture conditions, activated the neural stem gene program and induced the generation of cells expressing neural stem/precursors markers. This change of lineage commitment was obtained also in pure CD44+ mature astrocytes and did not require passing through a pluripotent state. These unique astrocytes-derived neural stem cells gave rise to neurons, astrocytes and oligodendrocytes, and showed in vivo engraftment properties. ASCL1 expression further promotes the acquisition of a neuronal phenotype in vitro and in vivo. ASCL1 expression further promotes the acquisition of a neuronal phenotype in vitro and in vivo (Kim et al., 2009). To develop a broader understanding of astrocytes reprogramming we performed a methylation analysis demonstrating that epigenetic modifications underlie this process. These observations indicated that the sites of epigenetic and gene expression changes during reprogramming of astrocytes to NSCs are tightly linked to genes that are functionally important for pluripotency. These data demonstrate restoration of multipotency from human astrocytes, and point out a possible application of cellular reprogramming to endogenous CNS cells for repair of neurological disorders.
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Touarin, Pauline. "Décryptage d'un nouveau mécanisme régulant l'assemblage/désassemblage de réseaux galectine-glycoconjugués au cours d'interactions cellule-cellule." Thesis, Aix-Marseille, 2019. http://theses.univ-amu.fr.lama.univ-amu.fr/191218_TOUARIN_918h49a473o639ntovr_TH.pdf.

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Abstract:
Les Galectines forment des réseaux d’interactions qui impliquent des β-galactosides et participent à de nombreux processus biologiques. Au niveau extracellulaire, les fonctions biologiques des Galectines proviennent de leur capacité à interagir avec des glycans localisés à la surface des cellules. L’interaction de la Galectine-1 (Gal-1) et son ligand non-glycosylé, le pre-BCR, est le premier exemple d’une interaction des Galectines indépendante des glycans au niveau extracellulaire. Cette interaction est cruciale pour le développement des cellules B et fait intervenir des réseaux d’interactions entre les cellules pre-BII et stromales médiés par Gal-1, formant une synapse pre-B. Nous avons montré que λ5-UR induit des modifications spécifiques de l’affinité de Gal-1 pour certains glycans membranaires. De plus,cette interaction permet à Gal-1 d’acquérir spécifiquement une réactivité vis-à-vis de glycans porteurs d’acides sialiques liés en α2-3 présents spécifiquement à la surface des cellules pre-BII. Nous avons également pu décrypter les modifications des contacts intermoléculaires entre Gal-1 et cet épitope osidique. Des études comparatives avec le peptide synthétique Anginex ont permis de démontrer que bien qu’interagissant sur la même surface que λ5-UR, celui-ci induisait des modifications d’affinité de Gal-1 différentes liées à des modifications de la dynamique interne du site d’interaction des glycans de Gal-1 différentes en fonction du peptide interagissant. Le site d’interaction protéique de Gal-1 peut être impliqué dans d’autres processus cellulaires et servir à affiner les interactions Gal-1/glycoconjugués, agissant tel un rhéostat physiologique
Galectins are bridging glycosylated molecules by their β-galactoside moieties, forming a network involved in many physiological functions. Extracellularly, galectins function has been mainly described through carbohydrate binding activity. The first example of a carbohydrate-independent interaction outside the cell concerns galectin-1 (Gal1) and its ligand, the pre-BCR. This interaction has a crucial role in B-cell development through the formation of a Gal1-dependent lattice between pre-BII and stromal cells. Our previous study revealed that Gal1 interacts with a motif of the pre-BCR (λ5-UR) on a surface adjacent to the Gal1 CBS (Carbohydrate Binding Site) and allows Gal1 to undergo selective affinity changes in its carbohydrate-binding activity in vitro.Using solution state on cell NMR spectroscopy, we investigated the effect of λ5-UR interactions on Gal1 binding activity for its physiological ligands expressed on pre-BII and stromal cell surfaces. We show that λ5-UR can specifically induce a ligand binding shift of Gal1 when bound to its cell surface ligands. We also identified one glycan epitope for which Gal1 increases its affinity upon λ5-UR interaction and deciphered the intermolecular contact changes induced by λ5-UR. In addition, glycan arrays screening combined to NMR relaxation data showed that λ5-UR changes the internal dynamics of specific Gal1 CBS residues resulting in the targeting of specific glycan epitopes. This cellular and structural NMR study ever conducted at atomic resolution for a member of the galectins demonstrates that Gal/unglycosylated protein interactions can act as physiological regulators of Gal1 lattice interactions at the cell surface
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Thibault, Catherine. "Modifications fonctionnelles de la cellule b pancreatique chez le rat hyperglycemique." Paris 7, 1993. http://www.theses.fr/1993PA077212.

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Abstract:
Il est actuellement etabli que l'hyperglycemie des sujets atteints du diabete non-insulinodependant est en grande partie liee a une alteration de la secretion d'insuline qui correspond a une diminution de la reactivite des cellules b productrices d'insuline au glucose. Le but de cette these est d'etudier les relations entre l'hyperglycemie prolongee et la fonction insulinosecretoire. Chez le rat non diabetique, l'hyperglycemie provoque un etat d'hypersensibilite pancreatique au glucose sans que la reponse secretoire maximale soit modifiee. L'etude de l'effet de certains facteurs nerveux sur la secretion d'insuline montre que cette augmentation de la sensibilite pancreatique est liee, d'une part, a une diminution de l'activite sympathique inhibitrice et une augmentation de l'activite stimulante et d'autre part, a une elevation de la reponse insulinique a l'acetylcholine. Chez les rats presentant au prealable des degres varies d'intolerance au glucose, l'hyperglycemie induit des effets differents suivant la severite de l'atteinte pancreatique. Chez les rats legerement intolerants au glucose, l'hyperglycemie entraine une augmentation marquee de la secretion d'insuline. Chez les rats tres intolerants au glucose et diabetiques dont la masse des cellules b est fortement diminuee, cet effet potentialisateur sur la secretion d'insuline est respectivement tres faible ou totalement aboli. Chez les rats legerement intolerants, l'amplification de la reponse insulinique va de pair avec une augmentation importante du metabolisme des phosphoinositides. Au contraire, chez les rats diabetiques, l'hyperglycemie est sans influence sur ce metabolisme. En conclusion, la potentialisation par le glucose de la secretion d'insuline est un element important de la capacite fonctionnelle de la cellule b pancreatique et son alteration pourrait etre un des phenomenes initiaux qui conduirait de la simple intolerance au glucose au diabete non-insulinodependant
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PERUZZI, MARIANGELA. "Terapia cellulare e ingegneria tissutale nelle patologie ischemiche del miocardio: creazione di un miocardio artificiale per la rigenerazione cardiaca." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1000.

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Abstract:
La terapia rigenerativa cellulare ha attirato in questi ultimi anni un'attenzione sempre maggiore da parte dei ricercatori; numerosi studi, pre-clinici e clinici hanno messo in evidenza come questo tipo di approccio terapeutico abbia le potenzialità per far recuperare la funzionalità cardiaca compromessa. Tuttavia, i risultati dei primi trials clinici hanno dato sinora risultati controversi. E' stato dimostrato che le cellule staminali adulte, sia che esse originino dal tessuto muscolare che dal midollo osseo, non si differenziano in cardiomiociti in grado di migliorare la funzionalità cardiaca. Dati recenti suggeriscono l'esistenza di cellule staminali cardiache residenti nel cuore adulto, con potenzialità di differenziamento verso i vari tipi cellulari presenti nel cuore (cardiomiociti, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce). Le cellule staminali cardiache rappresentano l'opzione più promettente per la terapia rigenerativa cardiaca: infatti, esse non comportano problematiche di tipo etico né tantomeno complicanze di natura immunologica come le cellule staminali embrionali. Recentemente un gruppo di ricercatori ha isolato con successo cellule staminali cardiache (CSCs) da frammenti bioptici endomiocardici umani, espandendole in vitro per diverse generazioni e conservandone le potenzialità differenziative in cardiomiociti, cellule endoteliali e cellule muscolari lisce.Purtoppo la terapia cellulare, in generale, soffre ancora di limitazioni correlate alla variabilità dell'engrafment cellulare e all'alta percentuale di morte per apoptosi che fa seguito al trapianto (circa 80%). Inoltre, questo tipo di approccio risulta inadeguato o quantomeno insufficiente in caso di lesioni infartuali di notevoli dimensioni. Parallelamente, la ricerca nel campo dell'ingegneria tissutale applicata alla patologia cardiaca ha compiuto notevoli progressi negli ultimi anni e numerosi studi in vivo e in vitro ne attestano le notevoli potenzialità terapeutiche. Sono state infatti recentemente sviluppate, tecniche di bio-ingegneria che prevedono l'incorporazione delle cellule staminali in matrici biodegradabili con formazione di biocomplessi, al fine di migliorare la sopravvivenza e la differenziazione delle cellule staminali stesse in vivo. Tali costrutti incorporano gli elementi cellulari in una struttura tridimensionale che può essere utilizzata per sostituire l'area di miocardio danneggiata in una maniera più fisiologica ed efficace: infatti, le matrici a base di collagene sono in grado di reintegrare la matrice extracellulare cardiaca danneggiata a seguito dell'insulto ischemico. Tuttavia non sono stati ancora identificati i biocomplessi matrice/cellula staminale più adeguati. La nostra ipotesi è che le cellule staminali cardiache autologhe possano rappresentare la scelta più efficace e realistica da utilizzare per la creazione di biocomplessi. La possibilità di mettere a confronto, l'attività biologica delle CSCs, con quella di altri tipi di cellule staminali adulte (sulle quali sono già stati condotti numerosi studi pre-clinici e clinici), dovrebbe definitivamente individuare e caratterizzare i vantaggi e gli svantaggi del migliore biocomplesso applicabile nella pratica clinica. La creazione di un modello sperimentale animale ottimale e la messa a punto di protocolli diagnostici per il monitoraggio in vivo del comportamento delle cellule staminali servirà come punto di partenza per la realizzazione di studi pre-clinici in animali di grande taglia e di studi clinici di fase I-II.
Cell therapy for regeneration, has received extensive attention and the accumulated evidence from both pre-clinical and clinical studies suggests that it has the potential to restore heart function. However, the results from first clinical trials are mixed, with benefits ranging from absent to transient and, at most, marginal. These studies indicate that adult stem cells, whether muscular or bone marrow-derived, fail to generate new cardiomyocytes, capable to improve cardiac function. Emerging evidence suggests that several subpopulations of resident cardiac stem cells (CSCs) have the ability to differentiate into cardiac myocytes, vascular smooth muscle and endothelial cells. CSCs represent a logical source to exploit in cardiac regeneration therapy bacause, unlike other adult stem cells, they are likely to be intrinsecally programmed to generate cardiac tissue in vitro and to increase cardiac tissue viability in vivo. In addition, autologous CSCs can be employed avoiding ethical and immunological problems associated with the use of embryonic stem cells. Recently, a group of our network has successfully isolated CPCs/CSCs from small biopsies of human myocardium and expanded them ex vivo trough several generations without loosing differentiation potential into cardiomyocytes and vascular cells, bringing autologous transplantation of cardiac stem cells closer to clinical translation. However cell therapy in general suffers limitatations related to variable cell retention, survival and significant cell death or apoptosis, early after implantation in the diseased myocardium. Furthermore, cell transplantation may not always be suitable for catastrophic events like large myocardial damage. For this reason, hybrid therapies that incorporate tissue engineering are being developed as potentially new therapeutic approaches for repair of myocardial tissue. Tissue engineering (TE) involves seeding a biodegradable scaffold with cells that grow into morphologically recognizable tissue both in vitro and in vivo. Recent advances in cell culture and TE have facilitated the development of suitable cell-engineered biodegradable grafts. The optimal biomaterials and cell types, however, have not been identified. Our hypothesis is that autologous cardiac stem cells could represent the most efficient and reliable cell type to be used for an hybrid therapy (tissue engineering/stem cells) to restore myocardial function in ischemic myocardial desease. TE joints the physical replacement of the diseased structure with new cardiac tissue built from a biodegradable scaffold, with the regenerating activity of the optimal cell types. A bioengineered tissue graft (biocomplex) would be the ideal treatment to repair cardiac ischemic diseases. The possibility to compare the biological activity of the CSCs with other adult SCs, should definitely individuate and characterize the advantages and disadvantages of the best clinical applicable biocomplex. Moreover, the creation of the appropriate animal model and the realization of diagnostic protocols aimed to monitor the in vivo cell fate, will be used as pre-clinical background for large animals and phase I-II clinical studies.
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Tchakarska, Guergana. "Les multiples rôles de la cycline D1 dans la cellule B et les hémopathies malignes chroniques B." Caen, 2010. http://www.theses.fr/2010CAEN3127.

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Abstract:
Le myélome multiple et le lymphome à cellules du manteau se caractérisent par l’expression de la cycline D1, absente dans le lignage lymphocytaire B. Le gène CCND1 code pour deux isoformes d’ARNm, « a » et « b » par épissage alternatif. Le rôle respectif de chaque protéine dans la transformation des cellules B est inconnu. Par des stratégies de gain et perte de fonction, dans différents types cellulaires, nous montrons de façon originale que : l’extinction de l’expression de CCND1 ne suffit pas à induire l’arrêt de la prolifération et l’induction de la mort cellulaire ; l’expression ectopique de la cycline D1a inhibe l’activité mitochondriale via le recrutement du canal VDAC ; l’expression ectopique de la cycline D1b permet la greffe in vivo en favorisant la néoangiogenèse ; les cyclines D1a/b et K régulent le métabolisme cellulaire
Multiple myeloma (MM) and mantle cell lymphoma (MCL) are characterized by cyclin D1 expression normally absent in the B-cell lineage. CCND1 encodes two mRNA isoforms, « a » and « b » by alternative splicing. The respective role of each protein in the B-cell transformation process remains unknown. By using various cellular models and gain- and loss-of-function strategies we report that : downregulation of CCND1 expression is not sufficient for cell proliferation arrest and cell death promotion ; ectopic expression of cyclin D1a inhibits mitochondrial activity through the recruitment of VDAC channel ; ectopic expression of cyclin D1b allows in vivo engraftment through the activation of neoangiogenesis ; cyclins D1a/b and K regulate cell metabolism
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Escolar, Jean-Claude. "Hypothermie et sécrétion de l'insuline par la cellule B pancréatique du rat." Bordeaux 1, 1989. http://www.theses.fr/1989BOR10507.

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Abstract:
L'etude de l'effet direct du froid sur la celle b pancreatique montre que les voies oxydatives intramitochondriales du glucose sont tres inhibees alors que la voie des pentoses est favorisee a basse temperature (28 **(o)c), que les mouvements potassiques sont moins inhibes que les flux calciques, que l'hypothermie inhibe les flux calciques non lies a la presence du glucose, que l'augmentation de la temperature potentialise la secretion de l'insuline induite par le glucose
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