Dissertations / Theses on the topic 'Oreficerie'

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1

Missagia, Andrea <1991&gt. "Oreficerie medievali a smalto traslucido in territorio veneto." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14621.

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Abstract:
Lo studio è volto ad analizzare le produzioni orafe in ambito veneto caratterizzate da una decorazione a smalto traslucido, collocabili in un arco temporale comprendente i secoli XIV e XV. Nel primo capitolo introduttivo vengono esaminati i materiali e i procedimenti tecnici utilizzati nella produzione degli smalti in età tardo medievale. Segue un catalogo suddiviso per circoscrizioni territoriali, in cui sono raccolti in ordine cronologico differenti tipologie di manufatti: reliquiari, calici, croci, e altre suppellettili liturgiche. L’analisi di questo gruppo di oreficerie è stata condotta mediante la visione ravvicinata delle opere stesse, nonché – quando possibile – attraverso la consultazione degli inventari appartenenti ai luoghi in cui questi oggetti sono o erano conservati. Nel capitolo finale si sottolineano gli aspetti di maggior rilievo caratterizzanti questo tipo di decorazione, e si ripercorre la sua evoluzione, con un focus sui particolari figurativi smaltati, dei quali si traccia lo sviluppo stilistico attraverso un’analisi iconografica ed iconologica unita al confronto con la coeva produzione pittorica e miniata veneta.
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2

Marangoni, Beatrice <1988&gt. "Catalogo di oreficerie istriane. Considerazioni partendo dalle fotografie della Fototeca Antonio Morassi a Ca' Foscari." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4571.

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Abstract:
Mi sono proposta di realizzare nella mia tesi di Laurea magistrale una catalogazione delle oreficerie istriane. Per il mio lavoro seguirò la traccia delle fotografie conservate nella Fototeca Antonio Morassi, presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali di Ca' Foscari, dove nella sezione “Varie”, buste VIII, IX e X, sono presenti delle fotografie che vennero scattate nel lustro d’anni in cui Antonio Morassi fu soprintendente a Trieste per le Belle Arti (1920-25). Lo storico dell’arte promosse infatti una campagna fotografica a tappeto dei beni mobili e immobili dei territori istriani, che erano allora appena stati annessi al Regno d’Italia, il progetto assunse il valore di un vero e proprio censimento della cultura artistica e dell’identità di quei luoghi. Nella prima parte della tesi mi soffermo ad analizzare la figura di Antonio Morassi come storico dell’arte, docente e soprintendente. Colgo inoltre l’occasione di questa tesi per sottolineare l’importanza dell’archivio Morassi come strumento scientifico, ripercorrendo le operazioni di lavoro e studio che l’hanno coinvolto. La seconda parte della mia tesi è strutturata come un catalogo, le oreficerie sono studiate in schede nelle quali offro una lettura storico-critica del pezzo, riferimenti iconografici aggiornati e bibliografia scientifica.
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3

Taufer, Michela <1988&gt. "Verona, oreficeria sacra nella chiesa parrocchiale dei Santi Fermo e Rustico dal Seicento al Novecento." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4928.

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Abstract:
La tesi si pone l'obbiettivo di ricostruire, quanto più precisamente possibile, una cronistoria dei pezzi di oreficeria sacra conservati nella chiesa parrocchiale dei Santi Fermo e Rustico, unita ad una loro dettagliata scheda descrittiva. Questo è stato possibile attraverso ricerche riguardanti sia la storia dell'intera struttura e quindi delle sue fasi (da monastero a chiesa parrocchiale), sia l'osservazione dei dettagli degli oggetti stessi, come punzoni o stemmi vescovili. Ciò aggiunto ad un confronto con pezzi di diversa collocazione geografica ma dalle caratteristiche comparabili.
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4

Milan, Anna <1982&gt. "Dalla Fiera al museo dell'oro: oreficeria e gioielleria a Vicenza. Premesse storiche e prospettive di rilancio." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3525.

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Abstract:
Analisi della storia dell'oreficeria e gioielleria a Vicenza dall'età paleoveneta alle ditte e designer dei giorni nostri per giungere all'individuazione dei manufatti di interesse artistico o storico più significativi per l'allestimento di un museo dell'oro gestito dall'Ente Fiera di Vicenza presso i locali della Basilica palladiana.
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5

FLAMINE, MARCO. "OPERE D¿ARTE BIZANTINA IN LOMBARDIA. LINEAMENTI PER UN CATALOGO (SECOLI IV-XV)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2015. http://hdl.handle.net/2434/266830.

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Abstract:
This research focuses on Byzantine works of art (IV-XV centuries) in public collections in Lombardy. Milan, was connected to Byzantium politically, religiously and commercially since Late Antiquity. New research has been conducted on the metal works of the Museo e Tesoro del Duomo di Monza, on the bronze snake of the Basilica of Sant’Ambrogio in Milan, on the frescoes of Santa Maria Foris Portas at Castelseprio (Varese) and also on illuminated manuscripts. This dissertation is structured with a series of catalogue entries, with particular attention to the sculptures, ivories, jewelry, textiles, and also an astrolabe.
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6

Marchiori, Giacomo. "Nuove tecnologie ed evoluzione di settori maturi: Il 3d printing nell'oreficeria." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/8498/.

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7

Travagliante, Daniela (ORCID:0000-0002-2826-8506). "«Arditamente, con qualche poco di furore». Per un’analisi dei processi ecfrastici nella ‘Vita’ e nei ‘Trattati’ di Benvenuto Cellini." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2019. http://hdl.handle.net/10446/105297.

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Abstract:
Questo lavora prende in esame i procedimenti ecfrastici all’interno della Vita e nei Trattati di Benvenuto Cellini con una specifica attenzione sulle descrizioni che l’autore ha formulato sulle sue opere di oreficeria e di scultura realizzate in un arco di tempo che va dal 1518 al 1565. Sono state prese in esame le singole descrizioni per rintracciare le specifiche tecniche del discorso attraverso le quali il visivo viene trasposto in forma verbale. L’analisi ha fatto emergere quale peculiarità il fatto che l’oggetto della descrizione non è mai una restituzione mimetica dell’oggetto ma è sempre la restituzione del processo immaginativo e/o del procedimento tecnico esecutivo con il quale l’opera è stata creata. Sulla base dei dati raccolti è emersa una peculiare concezione del fare artistico di Cellini: la descrizione dell’opera coincide con la narrazione dell’incontro, e più spesso scontro, tra le forze che hanno condotto alla sua realizzazione (committente e artista, questi e la materia che lavora, il suo legittimo desiderio di fare e l’influsso costante della ‘cattiva stella' che ritarda il suo lavoro e mette e repentaglio la sua riuscita, la fede in Dio che garantisce la vittoria su ogni ostacolo e l’eccellenza del risultato). In tal modo descrizione dell'opera e narrazione delle vicende biografiche sono uunica, e identica cosa.
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Mezzacasa, Manlio Leo. "Reliquaries and other liturgical vessels in late medieval and early modern Venice: circa 1320-1475." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2016. http://hdl.handle.net/11577/3424492.

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Abstract:
This research aims to present a new up-to-date and as complete as possible study of the Venetian liturgical goldsmith's art produced in the 14th and 15th century, more precisely between circa 1320 and circa 1475. Using a conventional expression - disputable but nonetheless useful - we could define this as Venetian Gothic and Late Gothic goldsmithery. A chronological range even more extended that of Venetian Gothic sculpture (as intended by Wolfgang Wolters), not to mention Venetian paintings whose stylistic and formal language move away from the canons of the International Style decades before goldsmithery. As regards the latter, the century and a half taken into consideration is characterized by a certain homogeneity and in spite of its own heterogeneity artefacts of this period are markedly different from what had come before and what will be produced after. During my research I have been able to examine directly and in detail the most part of the reliquaries and other liturgical vessels either made or preserved in Venice, created during the epoch I have considered. A close study of the artefacts is indeed a fundamental and unavoidable premise and aspect of this research. No less important to the results of this study is the research I carried out at the Archivio di Stato in Venice, at the Archivio Storico del Patriarcato di Venezia, and in the surviving parish archives. This work is structured in a series of essays whose aim is not to discuss every single aspect of the Venetian goldsmithery of the Late Middle Ages, but rather to cast light on certain moments of its history and on aspects I regard as particularly important. Nevertheless I have tried to draw an exhaustive outline which illustrates the formal evolution of this valuable production. I have not limited my methodology to a stylistic and formal analysis (which is nonetheless fundamental when trying to define the evolution of a figurative language or factual relationships between different artworks). I discuss issues of attribution and chronology, try to create coherent groups of artefacts, but I have also considered technical questions, such as concerning serial production, and I have focused too on historical and socio-cultural topics related to the nature of cult and religiosity. A first introductory chapter, which presents the scope of this study and offers a bibliographical overview, is followed by a chapter mainly based on documentary sources and archival research. The aim of this second chapter is to observe liturgical artefacts from a point of view different from the art-historical perspective based on the study of artefacts' appearance, in order to situate them within a wide historical and social context. Testamentary wills have been the main source employed to put into relation the laity and liturgical vessels by illustrating their role in supplying churches with the necessary vessels in order to be rewarded in terms of benefits for the soul - pro remedio animae. Other documents refer to still extant artworks and show unknown aspects of their history and the way they were perceived. Finally, I address the domestic dimension of religious devotion, by showing that also liturgical vessels - which one might imagine a prerogative of the church and liturgical setting - could find their space in private homes. The following essays, whose subjects are organized chronologically from the early 14th century to the late 15th century, can be seen as single case studies, in themselves accomplished and independent but related to each other. I deal with small groups of artworks, discussing several artefacts preserved outside Venice. I address the following arguments and topics: The serial production and the development of translucent enamel in the first half of the 14th century. This is a crucial period for Venetian goldsmithery, which moves from a production widely characterized by the use of filigree to different types of objects. These are equally well recognizable thanks to two main kinds of decoration. One of these is an easily distinguishable type of embossed rinceaux, the other is the use of translucent enamel. This will also be the occasion for an insight within their figurative and pictorial language. Moreover, in this chapter I am concerned with all those objects to which the definition opus duplex has often been applied. The goldsmithery of the second half of the Trecento and early Quattrocento. This chapter aims at an analysis of the characteristics and the peculiarities of the surviving artefacts produced over more than five decades. Along with important objects still preserved in Venice, such as the Reliquary of the Hand of St John the Baptist, I focus on many other objects including extremely remarkable artworks such as the Malatesta monstrance of the cathedral of Rimini, the Reliquary of St Laurence at the Museo del Bargello, but originally in Ravenna, and the unpublished Reliquary of the True Cross at the Victoria & Albert Museum in London. This chapter also addresses the question of the development of what the art historian Hans R. Hahnloser defined stile a castelletto, in other words the rise and establishment of a goldsmiths' language strongly based on the architectural facies of the artefacts, which are often conceived as proper miniature buildings inhabited by diminutive figures. The goldsmithery of the first half of the 15th century with particular regard to the production of the Da Sestos. By means of an attentive analysis of documents related to and artefacts attributed to the Da Sesto workshop, as well as of several other coeval objects scattered throughout churches and collections, such as the little-studied Reliquary of the Holy Thorn in Offida or the processional cross at the Diocesan Museum in Chioggia, I aim to give a clearer image of the artistic context of the Venetian goldsmith's art of the first half of the 15th century. By looking at the way new important technical and formal elements merge with well-established characters I will show to what extent the Da Sesto works are rooted in the Venetian tradition; not to simply reaffirm their contribution to the Late Gothic figurative context, but also to show how rich and various the context of those years was. The second half of the 15th century and the German goldsmith Zuane Lion. This last essay is dedicated to the last gothic artefacts produced in Venice. It focuses mainly on those objects which can be related to the workshop of Zuane Lion from Cologne, eventually offering an in-depth study of the Reliquary of the Hand of St Martha now at the Musée du Louvre but originally in the monastery of Santa Marta in Venice. The chapter also discusses little-known processional crosses, one of which only recently emerged on the antiquarian market and was consequently donated to the cathedral of San Pietro in Bologna, and the afore-mentioned enamelled reliquary, now at the Musée de Cluny, which offers an extraordinary link between painting and goldsmithery. Following the essays there is the catalogue including all the reliquaries and liturgical vessels still extant in Venice and datable within the considered chronology which I have been able to find; among these also several unpublished artworks. The catalogue is organized in four sub-groups: reliquaries and monstrances, altar and processional crosses, chalices, and other liturgical vessels. Lastly I present important and unpublished documents: the chapters of the Mariegola of the Venetian goldsmiths and makers and sellers of jewels written between the 14th and mid 15th century offer an insight into the interests and the issues of the guild, integrating with the previously published Capitolari. The testamentary will of Francesco Gritti, pievano of San Pantalon - church which owns certain of the most valuable objects catalogued in this thesis - and bishop of Corfù gives evidence of the possessions of an important prelate of the 15th century and helps to reconstruct his role as commissioner and donor of goldsmith's works. Finally the collection of the inventories of the Venetian parish churches related to the diocesis of Castello written between 1412 and 1413. This is a disregarded but valuable source which allows us to learn in what measure parish churches possessed liturgical vessels at the beginning of the 14th century, allowing comparison between different treasure and also furnishing precious chronological evidence for several artefacts under discussion.
La presente ricerca vuole presentare una visione aggiornata, rinnovata e quanto più completa possibile dell'oreficeria liturgica veneziana prodotta in uno spettro cronologico che comprende gran parte dei secoli XIV e XV: circa 1320-1475. Tale lasso temporale si potrebbe definire con espressione convenzionale - e pertanto discutibile, ma non priva di ragioni - l'epoca dell'oreficeria veneziana gotica e tardo gotica. Un periodo, dunque, ancora più esteso di quello della scultura veneziana gotica (nei termini di Wolfgang Wolters), per non parlare della pittura che - sul piano stilistico-formale - si emancipa con da decenni di anticipo rispetto all'oreficeria dai modi propri al linguaggio gotico internazionale. Per quanto riguarda l'arte orafa, invece, il secolo e mezzo preso in considerazione è caratterizzato da una propria omogeneità che, pur nella ricchezza delle variabili interne, si distingue da quanto realizzato prima e dopo. In occasione dello studio ho potuto esaminare direttamente e in maniera dettagliata la grande maggioranza degli oggetti di oreficeria sacra realizzati a Venezia o ivi conservati, prodotti nell'arco cronologico considerato. Lo studio ravvicinato dell'opera è premessa fondamentale e ineludibile a tale indagine. Non meno importante ai fini dell'indagine sono state le ricerche che ho condotto all'Archivio di Stato di Venezia e all'Archivio Storico del Patriarcato di Venezia, nonché negli archivi superstiti delle parrocchie proprietarie dei manufatti studiati. La tesi è articolata in una serie di saggi che hanno l'obiettivo non tanto di discutere ogni singolo aspetto dell'oreficeria veneziana del tardo medioevo, quanto di illuminare diversi momenti della sua storia, o aspetti di particolare rilievo, cercando comunque di delineare un quadro di fondo esaustivo che ne illustri l'evoluzione formale e tipologica. Nondimeno, ho adottato un metodo di ricerca che non fosse limitato allo strumento stilistico-formale, pur indispensabile nel momento in cui si tenta di definire l'evoluzione di un linguaggio figurativo e le relazioni tra le numerose opere prese in considerazione. Vengono così discussi problemi di carattere attributivo e cronologico, al fine di individuare e determinare di gruppi di opere, ma non ho tralasciato temi legati alla natura tecnica delle opere, come la produzione seriale, e non minore importanza hanno questioni di carattere storico e socio-culturale legate al culto e alla religiosità. A un primo capitolo introduttivo che ribadisce le ragioni dello studio e riflette sui temi affrontati, segue un capitolo basato su fonti documentarie e ricerca d'archivio , il cui scopo è di strappare i manufatti liturgici alla visione puramente storico artistica, e financo puro-visibilista, che spesso li ingabbia, per inserirli nel più ampio contesto storico-sociale. I testamenti dunque sono la prima fonte che permette di mettere in relazione cittadini laici e manufatti liturgici illustrando il loro ruolo nel fornire la chiesa dei manufatti necessari al fine di averne un ritorno per la salvezza dell'anima. Altri documenti si riferiscono ad opere ancora esistenti rivelando aspetti inediti della loro storia o del modo in cui i manufatti erano percepiti. Infine una parte è dedicata alla dimensione domestica della devozione, dimostrando come anche i manufatti liturgici, che immaginiamo appannaggio esclusivo della chiesa, potessero trovarvi spazio. I saggi seguenti, organizzati in ordine diacronico in base ai temi in essi discussi, si presentano come singoli casi di studio, in loro compiuti ma tra loro in relazione. Vengono affrontati diversi gruppi coesi di opere, discutendo anche di numerosi manufatti conservati fuori Venezia. Indicativamente, i temi affrontati sono: La prima metà del Trecento, la produzione seriale e l'esordio dello smalto traslucido a Venezia; si tratta di un periodo cruciale per l'oreficeria veneziana, che muove da una produzione fortemente caratterizzata dall'uso della filigrana a oggetti marcatamente diversi, sia nell'ornamentazione che nelle forme. La ricerca affronta un ampio gruppo di opere i cui tratti caratterizzanti sono un ben riconoscibile e distinguibile motivo a racemi sbalzati, e l'impiego dello smalto traslucido. Lo studio di questo gruppo di opere è quindi anche l'occasione per un affondo sulla tecnica e lo stile figurativo dei primi smalti traslucidi prodotti a Venezia. Inoltre, in questo capitolo prendo in considerazione la serie di opere orafe coeve alle precedenti spesso definite con l'espressione opus duplex. La seconda metà del Trecento e il primo Quattrocento; questo capitolo indaga caratteristiche e peculiarità di questi decenni di svolta nella produzione orafa veneziana, prendendo in considerazione anche importanti opere conservate fuori dal contesto lagunare della tra le cui opere queste si segnalano in particolare il Reliquiario-ostensorio Malatesta della cattedrale di Rimini, il Reliquiario di San Lorenzo ora al Museo del Bargello ma proveniente da Ravenna, e l'inedito Reliquiario della Vera Croce nelle collezioni del Victoria & Albert Museum di Londra. Il capitolo affronta la nascita di quello che lo storico dell'arte Hans R. Hahnloser definì stile a castelletto, in altre parole la nascita e sviluppo di un linguaggio orafo fortemente basato sulla facies architetturale dei manufatti, spesso concepite come vere e propri edifici in miniatura abitati da micro-sculture. La prima metà del Quattrocento e l'opera dei da Sesto. Il capitolo si propone l'analisi di tutte le opere attribuite alla bottega dei Da Sesto, passando in rassegna anche le testimonianze documentarie su questa vasta famiglia di orefici. Vengono presentate non solo le loro opere, ma anche altri importanti manufatti, come il poco studiato Reliquiario della Sacra Spina di Offida, e la croce processionale del Museo Diocesano di Chioggia. Cerco così di mostrare in quale misura il lavoro dei Da Sesto è radicato nella tradizione veneziana e quale sia la loro portato di innovazione alla luce della ricchezza e della varietà del contesto artistico di quegli anni. La seconda metà del XV secolo, la bottega di Zuane Lion e il Reliquiario di Santa Marta. Quest'ultimo saggio è dedicato alla propaggine tardogotica più avanzata dell'veneziana, presentando oggetti talora poco noti come la una croce processionale recentemente donata alla Cattedrale di Bologna, o il reliquiario in smalto dipinto del Musée de Cluny, ma affrontando soprattutto gli oggetti legati all'orefice tedesco Zuane Lion a cui spetta anche il Reliquiario di Santa Marta ora a Louvre a cui è dedicato un approfondimento. La ricerca si articola inoltre in un catalogo ragionato che include tutti i reperti d'arte dell'arco cronologico indagato ancora conservati a Venezia che è stato possibile individuare e rinvenire, tra i quali diverse opere inedite. È suddiviso in quattro sottogruppi che raccolgono, in ordine cronologico, le diverse tipologie di oggetti: reliquiari e ostensori, croci astili e d'altare, calici, e altre suppellettili liturgiche e manufatti non appartenenti alle precedenti categorie. Infine, lo studio è corredato di un'appendice in cui si presentano importanti, talvolta perfino straordinarie quanto inedite testimonianze documentarie: la parte tardo trecentesca e quattrocentesca della Mariegola degli Oresi e Zogielieri che rappresenta una testimonianza diretta delle principali del lavoro di questa categoria, integrando i già pubblicati Capitoli. Il testamento di Francesco Gritti, pievano di San Pantalon - una delle chiese con il patrimonio di oreficeria medievale più rilevante - e vescovo di Corfù. Si tratta di una testimonianza dei beni di un importante prelato e aiuta a ricostruire il suo ruolo come committente di oreficerie liturgiche. Infine la raccolta degli inventari delle parrocchie dipendenti dalla diocesi di Castello stilati negli anni 1412-1413, misconosciuta ma importantissima fonte che permette di avere un quadro vasto e articolato del patrimonio di suppellettili delle parrocchie veneziane di inizio quattrocento; permette di tracciare confronti tra diverse sedi e fornisce indicazioni cronologiche nonché consente di ricostruire l'immagine di oggetti oramai scomparsi di cui altrimenti non avremmo idea, arricchendo così il dibattito sull'oreficeria Tardo-Medievale.
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PASCA, V. DE. "SCAMBI CULTURALI E INTERAZIONI CON L'ORIENTE MEDITERRANEO NELLA PRODUZIONE ARTISTICA DI LUSSO LONGOBARDA IN ITALIA (SECOLI VI-VIII): IL CASO DELLE FIBULE A DISCO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2018. http://hdl.handle.net/2434/545753.

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Abstract:
Il presente lavoro individua quale ambito della ricerca lo studio archeologico e al tempo stesso storico artistico delle fibule a disco portate alla luce in età longobarda (fine VI-VIII secolo) nei territori della Penisola italiana. La volontà di tale approfondimento è nata dall'esigenza di colmare un vuoto degli studi relativo a questo specifico documento di cultura materiale che, ad oggi, era stato indagato sommariamente e con il solo fine di evidenziare la ricezione di un costume della romanitas da parte di una popolazione cosiddetta "barbarica". La terminologia con la quale si è voluto indicare tale fenomeno ha preso però le distanze dall'espressione tanto superficiale quanto generica di "acculturazione", preferendo un'indagine che individuasse in tale manifestazione un processo di "assimilazione". Il primo momento di questo studio è da individuare nella redazione del Catalogo delle fibule a disco di età longobarda (secoli VI-VIII) portate alla luce sul territorio italiano. Il testo, che supporta e completa la narrazione principale, è costituito dalla schedatura di tutte le fibule a disco che rispondono ai parametri sopraindicati; tali manufatti sono stati accostati per la prima volta e, inoltre, si è cercato di fornire la loro immagine complessiva (placca anteriore e placca posteriore), nella quasi totalità dei casi inedita. L'esame approfondito del catalogo ha consentito di individuare due tipologie di manufatti, sulle cui funzioni distinte si è fondata l'intera scrittura: la prima è costituita dai monili ascrivibili alla categoria delle fibule a disco di carattere elitario (sei in tutto) che in antico, con ogni probabilità, appartenevano a individui maschili e avevano la funzione di simboli di potere; la seconda tipologia si compone invece di manufatti portati alla luce in sepolture femminili o emersi in rinvenimenti sporadici. Questi ultimi, benché spesso realizzati in materiali di pregio, erano oggetti comuni utilizzati quali accessori di chiusura del mantello femminile secondo una consuetudine mediterranea. L'analisi della seppur limitata diffusione di tali monili di pregio in ambito longobardo ha richiesto tuttavia che ci si confrontasse in principio con la creazione del prototipo di tale manufatto durante il Basso Impero e nella prima età bizantina attraverso lo studio analitico degli esemplari giunti sino a noi; che si indagasse la duplice funzione – simbolica ed estetica – che sembrerebbe aver connotato, da subito, tali preziosi manufatti, prestando una particolare attenzione al portato simbolico e cosmologico evidenziato da alcuni documenti riconducibili alla produzione artistica della Siria romana (stele funerarie, tesserae); e, infine, che si avessero chiari alcuni fenomeni di interazione culturale tra il mondo germanico e quello proto-bizantino. Quanto emerso dalla prima parte dell'indagine ha costituito la base su cui fondare la seconda parte della ricerca, certamente la più rilevante e originale perché completamente focalizzata sullo studio dei manufatti di ambito longobardo. La duplice tipologia di fibule a disco ha inevitabilmente richiesto di modellare la ricerca su due linee: l'attenzione si è quindi rivolta anzitutto sui manufatti di carattere elitario per poi spostarsi sugli oggetti più comuni. Nel primo caso si è messo in luce come la quasi totalità delle fibule elitarie vanti una provenienza dalla Langobardia Minor e, di conseguenza, da un milieu culturale fortemente influenzato dall'Italia bizantina tanto da aver sempre ricercato una sorta di autonomia rispetto alla parte settentrionale del Regnum. L'analisi del Ducato di Benevento ha quindi permesso non solo di evidenziare alcune "consonanze bizantine" bensì anche di leggere l'attestazione di tali manufatti come attributi di potere in un'ottica autonomista rispetto alla Langobardia Maior nonché quali indizi di dialogo nei confronti dell'Italia bizantina e del suo sovrano. L'analisi storico artistica ha inoltre consentito di giungere a nuove conclusioni sia rispetto alle coordinate spaziali della produzione (es. fibula da Capua) sia per quanto riguarda le datazioni (es. fibula cosiddetta Castellani). A proposito dei manufatti più comuni, oltre ad aver ridimensionato quello che anche nei più recenti dibattiti era stato definito il "fenomeno delle fibule a disco", merito di questo lavoro è stata l'identificazione dei preziosi monili che possono essere riconducibili alla cultura artistica longobarda e di quelli che, invece, attestano un momento di passaggio e sono quindi ascrivibili alla sensibilità estetica e al linguaggio espressivo merovingio.
This study aims to investigate disc brooches brought to light in Italy (VIth-VIIIth) from an archaeological and historical artistic point of view. The will of this research must be identified in the need to fill a gap in the studies related to this specific document of material culture. To date disc brooches were investigated summarily and with the sole purpose of highlighting the reception of a costume related to the romanitas by a so-called "barbaric" population. The first step of this study has been the drafting of the Catalogo delle fibule a disco di età longobarda (secoli VI-VIII) portate alla luce sul territorio italiano. This document supports and completes the thesis work: it consists of the recording of all the disk brooches which meet the above parameters. Such artifacts have been combined for the first time and, moreover, I tried to provide their overall image (front and back plate) that was in almost all the cases unpublished. The deep analysis of the above mentioned Catalogo has allowed to identify two kind of artifacts, on whose distinct functions was founded the whole writing. The first type consists of the jewels attributable to the category of élite disc brooches (six in total): these, in the early medieval period, belonged to male individuals and were symbols of power. On the contrary, the second type of disc brooches belonged to female individuals: although made of valuable materials, they served as accessories to close the cloak according to a Mediterranean tradition. The analysis of the limited diffusion of such precious jewels in the Lombard context required that we confronted in principle with the creation of the prototype of this kind of artefact during the Late Roman Empire and in the Early Byzantine age. Then we have investigated the double function - symbolic and aesthetic - which would seem to have immediately characterized these precious artifacts, paying particular attention to the symbolic and cosmological significance highlighted by some documents referable to the artistic production of Roman Syria (funerary reliefs, tesserae). What emerged from the first part of this research constituted the basis on which to base the second part of the research, certainly the most relevant and original because it is completely focused on the exam of the Lombard objects. The dual type of disc brooches has inevitably required to model the research on two lines: the focus was therefore on the élite artifacts first and then move on the most common objects. In the first case it was highlighted that almost all the élite disc brooches have a provenance from the Langobardia Minor and, consequently, from a cultural milieu strongly influenced by Byzantine Italy. The duchy of Benevento indeed tried always to achieve a kind of autonomy from the northern part of the Regnum. The historical artistic analysis has also allowed to reach new conclusions both with respect to the spatial coordinates of the production (e.g. brooch from Capua) and with regard to the dating of most of them (e.g. the so-called Castellani brooch). About the most common artifacts, in addition to having resized what even in the most recent debates had been defined the "phenomenon of disc brooches", the merit of this work was the identification of the precious jewels that can be traced back to the Lombard artistic culture and of those that, instead, attest a moment of transition and are therefore ascribable to the Merovingian aesthetic sensibility and expressive language.
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CAVENAGO, MARCO. "ARTE SACRA IN ITALIA: LA SCUOLA BEATO ANGELICO DI MILANO (1921-1950)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2021. http://hdl.handle.net/2434/829725.

Full text
Abstract:
Nell’ottobre del 1921 a Milano nacque la Scuola Superiore di Arte Cristiana Beato Angelico. Responsabili dell’iniziativa: don Giuseppe Polvara, l’architetto Angelo Banfi, il pittore Vanni Rossi, affiancati dallo scultore Franco Lombardi, dai sacerdoti Adriano e Domenico Bernareggi, dall’ingegner Giovanni Dedè, dal professor Giovanni Mamone e dall’avvocato Carlo Antonio Vianello. Gli allievi del primo anno scolastico furono nove, due dei quali (gli architetti don Giacomo Bettoli e Fortunato De Angeli) destinati a restare per lunghi anni nella Scuola come docenti: così avvenne anche col pittore Ernesto Bergagna, iscrittosi l’anno seguente. A partire da quell’avvenimento il contesto italiano dell’arte sacra poté contare su un elemento di indiscutibile novità, destinato nel giro di pochi anni a una rapida, diffusa e pervicace affermazione nella Penisola. La fondazione della Scuola Beato Angelico mise un punto fermo nell’annoso dibattito sul generale declino dell’arte sacra che andava in scena da lungo tempo in Italia così come nei principali Paesi europei. La formula ideata da don Polvara metteva a sistema le proprie esperienze personali, artistiche e professionali con la conoscenza del contesto internazionale, di alcuni modelli esemplari e il confronto con gruppi e singole figure (artisti, critici, uomini di Chiesa) animate dal comune desiderio di contribuire alla rinascita dell’arte sacra. A cento anni dalla sua nascita – e a settanta dalla scomparsa del suo fondatore – la Scuola Beato Angelico (coi laboratori di Architettura, Cesello, Ricamo, Pittura e Restauro) prosegue tuttora nel compito di servire la Chiesa attraverso la realizzazione di arredi e paramenti sacri contraddistinti da una particolare cura dell’aspetto artistico e liturgico, oggetto di ripetute attestazioni di merito e riconoscimenti in ambito ecclesiastico. Ciò che invece finora manca all’appello è un organico tentativo di ricostruzione delle vicende storiche che hanno segnato la genesi e gli sviluppi di questa singolare realtà artistica e religiosa. Scopo di questa tesi è quindi la restituzione di un profilo il più possibile dettagliato e ragionato della storia della Scuola Beato Angelico, tale da riportare questa vicenda al centro di una situazione storica e di un contesto culturale complesso, attraverso una prospettiva di lavoro originale condotta sul filo delle puntualizzazioni e delle riscoperte. Stante il carattere “pionieristico” di questa ricerca, la vastità dei materiali e delle fonti a disposizione e la conseguente necessità di assegnare un taglio cronologico riconoscibile al lavoro si è optato per circoscrivere l’indagine ai decenni compresi tra il 1921 e il 1950, ovvero tra la fondazione della Beato Angelico e la scomparsa di Giuseppe Polvara. Come si vedrà, il termine iniziale viene in un certo senso anticipato dall’esigenza di tratteggiare al meglio gli antefatti e il contesto da cui trae origine la Scuola (tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo). L’anno assunto a conclusione della ricerca, invece, è parso una scelta quasi obbligata, coincidente col primo avvicendamento alla direzione della Beato Angelico oltre che dalla volontà di escludere dal discorso quanto andò avviandosi negli anni Cinquanta e Sessanta, ossia una nuova e diversa stagione nel campo dell’arte sacra (destinata, tra l’altro, a passare attraverso lo snodo rappresentato dal Concilio Vaticano II e dall’azione di S. Paolo VI), peraltro assai indagata dagli studi storico-artistici. Ciò che ha reso possibile la stesura di questa tesi è il fatto che essa si appoggi, in buona parte, su materiali archivistici inediti o, quantomeno, mai esaminati prima d’ora in modo strutturato. L’accesso ai materiali d’archivio più storicizzati e la loro consultazione (grazie alla disponibilità dimostrata dalla direzione della Scuola Beato Angelico) hanno condizionato in modo determinante la trattazione degli argomenti, la ricostruzione dei quali , in alcuni casi, è sostenuta esclusivamente dai documenti rinvenuti. La nascita della Scuola Beato Angelico non fu un accadimento isolato nel panorama della produzione artistica europea del tempo né un episodio estraneo a quanto, contemporaneamente, si andava dibattendo nel mondo ecclesiastico. La Scuola di Polvara nacque in un’epoca contrassegnata da grande fermento ecclesiale: si pensi agli Ateliers d’Art Sacré fondati da Maurice Denis e George Desvallières a Parigi nel 1919, solo due anni prima della Scuola milanese, i cui aderenti – tutti laici – professavano una religiosità intensa e devota. Ma, soprattutto, il modello determinante e più conosciuto da Polvara fu la Scuola di Beuron (Beuroner Kunstschule), nata nell’omonima abazia benedettina tedesca nell’ultimo quarto del XIX secolo a opera di padre Desiderius Lenz e sul cui esempio ben presto sorsero atelier specializzati nella produzione di arte sacra (arredi e paramenti a uso liturgico) in molte comunità benedettine dell’Europa centrale. L’affinità di Polvara con la spiritualità benedettina è un elemento-chiave della Scuola da lui fondata: dalla regola dell’ora et labora derivò infatti il concetto (analogo) di “preghiera rappresentata” (orando labora). L’organizzazione stessa della Scuola, impostata come in un’ideale bottega medievale dove maestri, apprendisti e allievi collaborano e convivono, riprende lo stile di vita monastico dei cenobi benedettini. Proprio al fine di conservare il più possibile il carattere della bottega medievale, il numero degli allievi ammessi alla Scuola non fu mai troppo elevato, così da mantenere un adeguato ed efficace rapporto numerico tra i discepoli e i maestri. Ancora, da Beuron la Beato Angelico trasse la particolare e inconfondibile forma grafica della lettera “e”, riconoscibile nelle numerose e lunghe epigrafi presenti in tante sue opere. Ultimo elemento in comune tra la Scuola milanese e quella tedesca – ma che si può imputare alla più generale fascinazione per l’epoca medievale – è l’unità di intenti che deve animare tutte le maestranze impegnate a creare un’opera collettiva e anonima ad maiorem Dei gloriam, dove il contributo del singolo autore rimane volutamente nascosto in favore del nome della Scuola. Ciò che differenzia, tuttora, la Scuola da analoghi centri di produzione di arte sacra è il fatto che essa poggi le fondamenta su una congregazione religiosa, la Famiglia Beato Angelico, un’idea a lungo coltivata da Polvara e approvata ufficialmente dall’autorità diocesana fra gli anni Trenta e Quaranta. Dalla comune vocazione alla creazione artistica sacra (“missione sacerdotale” dell’artista) discendono la pratica della vita comunitaria, la partecipazione ai sacramenti e ai diversi momenti quotidiani di preghiera da parte di maestri sacerdoti, confratelli e consorelle artisti, apprendisti, allievi e allieve. L’indirizzo spirituale tracciato dal fondatore per la sua Famiglia agisce ancora oggi a garanzia di una strenua fedeltà nella continuità di un progetto artistico e liturgico unico, messo in pratica da una comunità di uomini e donne legate fra loro dai canonici voti di povertà, castità e obbedienza ma soprattutto da un comune e più alto intento. Appunto per assicurare una prospettiva di sopravvivenza e futuro sviluppo della sua creatura, Polvara ebbe sempre chiara la necessità di mantenere unito l’aspetto della formazione (e quindi la didattica nei confronti degli allievi, adolescenti e giovani) con quello della produzione (spettante all’opera di collaborazione fra maestri, apprendisti e allievi). Dal punto di vista operativo le discipline artistiche, praticate nei vari laboratori in cui si articola la Scuola, concorrono, senza alcuna eccezione e nella citata forma anonima e collettiva, a creare un prodotto artistico organico e unitario, una “opera d’arte totale” che deve rispondere all’indirizzo dato dal maestro architetto (lo stesso Polvara), cui spettano devozione, rispetto e obbedienza. Alla progettazione architettonica viene dunque assegnata grande importanza e ciò comporta che le opere meglio rappresentative della Scuola Beato Angelico siano quegli edifici sacri interamente realizzati con l’intervento dei suoi laboratori per tutte o quasi le decorazioni, gli arredi, le suppellettili e i paramenti (come le chiese milanesi di S. Maria Beltrade, S. Vito al Giambellino, SS. MM. Nabore e Felice, o la chiesa di S. Eusebio ad Agrate Brianza e la cappella dell’Istituto religioso delle figlie di S. Eusebio a Vercelli). Quanto ai linguaggi espressivi impiegati dalla Scuola (il cosiddetto “stile”) si evidenziano la preferenza per il moderno razionalismo architettonico – un tema di stringente attualità, cui Polvara non mancò di dare il suo personale contributo teorico e pratico – e quella per il divisionismo in pittura, debitrice dell’antica ammirazione per l’opera di Gaetano Previati. Dall’interazione di queste due forme si origina un riconoscibile linguaggio, moderno e spirituale al tempo stesso, verificabile negli edifici come nelle singole opere, frutto di una profonda sensibilità che combina il ponderato recupero di alcune forme del passato (ad esempio l’iconografia paleocristiana reimpiegata nei motivi decorativi dei paramenti o nella foggia di alcuni manufatti, dal calice al tabernacolo, alla pianeta-casula) con lo slancio per uno stile moderno e funzionale adeguato ai tempi ma rispettoso della tradizione.
In October 1921, the Beato Angelico Higher School of Christian Art was born in Milan. Responsible for the initiative: Don Giuseppe Polvara, the architect Angelo Banfi, the painter Vanni Rossi, flanked by the sculptor Franco Lombardi, by the priests Adriano and Domenico Bernareggi, by the engineer Giovanni Dedè, by professor Giovanni Mamone and by the lawyer Carlo Antonio Vianello . There were nine pupils in the first school year, two of whom (the architects Don Giacomo Bettoli and Fortunato De Angeli) destined to remain in the School for many years as teachers: this also happened with the painter Ernesto Bergagna, who enrolled the following year. Starting from that event, the Italian context of sacred art was able to count on an element of indisputable novelty, destined within a few years to a rapid, widespread and stubborn affirmation in the Peninsula. The foundation of the Beato Angelico School put a stop to the age-old debate on the general decline of sacred art that had been staged for a long time in Italy as well as in major European countries. The formula conceived by Don Polvara put his personal, artistic and professional experiences into a system with the knowledge of the international context, some exemplary models and the comparison with groups and individual figures (artists, critics, men of the Church) animated by the common desire to contribute to the rebirth of sacred art. One hundred years after its birth - and seventy after the death of its founder - the Beato Angelico School (with the workshops of Architecture, Cesello, Embroidery, Painting and Restoration) still continues in the task of serving the Church through the creation of distinctive sacred furnishings and vestments. from a particular care of the artistic and liturgical aspect, object of repeated attestations of merit and acknowledgments in the ecclesiastical sphere. What is missing from the appeal so far is an organic attempt to reconstruct the historical events that marked the genesis and developments of this singular artistic and religious reality. The purpose of this thesis is therefore the return of a profile as detailed and reasoned as possible of the history of the Beato Angelico School, such as to bring this story back to the center of a historical situation and a complex cultural context, through an original work perspective conducted on thread of clarifications and rediscoveries. Given the "pioneering" nature of this research, the vastness of the materials and sources available and the consequent need to assign a recognizable chronological cut to the work, it was decided to limit the survey to the decades between 1921 and 1950, or between the foundation of Beato Angelico and the death of Giuseppe Polvara. As will be seen, the initial term is in a certain sense anticipated by the need to better outline the background and context from which the School originates (between the end of the 19th and the first decades of the 20th century). The year assumed at the end of the research, on the other hand, seemed an almost obligatory choice, coinciding with the first change in the direction of Beato Angelico as well as the desire to exclude from the discussion what started in the 1950s and 1960s, that is a new and different season in the field of sacred art (destined, among other things, to pass through the junction represented by the Second Vatican Council and by the action of St. Paul VI), which is however much investigated by historical-artistic studies. What made the drafting of this thesis possible is the fact that it relies, in large part, on unpublished archival materials or, at least, never examined before in a structured way. Access to the most historicized archive materials and their consultation (thanks to the availability shown by the direction of the Beato Angelico School) have decisively conditioned the discussion of the topics, the reconstruction of which, in some cases, is supported exclusively by documents found. The birth of the Beato Angelico School was not an isolated event in the panorama of European artistic production of the time nor an episode unrelated to what was being debated in the ecclesiastical world at the same time. The Polvara School was born in an era marked by great ecclesial ferment: think of the Ateliers d'Art Sacré founded by Maurice Denis and George Desvallières in Paris in 1919, only two years before the Milanese School, whose adherents - all lay people - they professed an intense and devoted religiosity. But, above all, the decisive and best known model by Polvara was the Beuron School (Beuroner Kunstschule), born in the homonymous German Benedictine abbey in the last quarter of the nineteenth century by father Desiderius Lenz and on whose example workshops specialized in the production of sacred art (furnishings and vestments for liturgical use) in many Benedictine communities in central Europe. Polvara's affinity with Benedictine spirituality is a key element of the School he founded: in fact, the (analogous) concept of "represented prayer" (orando labora) derived from the rule of the ora et labora. The very organization of the School, set up as in an ideal medieval workshop where teachers, apprentices and pupils collaborate and coexist, takes up the monastic lifestyle of the Benedictine monasteries. Precisely in order to preserve the character of the medieval workshop as much as possible, the number of students admitted to the School was never too high, so as to maintain an adequate and effective numerical ratio between disciples and masters. Again, from Beuron Fra Angelico drew the particular and unmistakable graphic form of the letter "e", recognizable in the numerous and long epigraphs present in many of his works. The last element in common between the Milanese and the German schools - but which can be attributed to the more general fascination for the medieval era - is the unity of purpose that must animate all the workers involved in creating a collective and anonymous work ad maiorem. Dei gloriam, where the contribution of the single author remains deliberately hidden in favor of the name of the School. What still differentiates the School from similar centers of production of sacred art is the fact that it rests its foundations on a religious congregation, the Beato Angelico Family, an idea long cultivated by Polvara and officially approved by the diocesan authority between the thirties and forties. From the common vocation to sacred artistic creation (the artist's "priestly mission") descend the practice of community life, the participation in the sacraments and the various daily moments of prayer by master priests, brothers and sisters artists, apprentices, pupils and pupils . The spiritual direction traced by the founder for his family still acts today as a guarantee of a strenuous fidelity in the continuity of a unique artistic and liturgical project, put into practice by a community of men and women linked together by the canonical vows of poverty, chastity. and obedience but above all from a common and higher intent. Precisely to ensure a prospect of survival and future development of his creature, Polvara always had a clear need to keep the training aspect (and therefore the teaching for students, adolescents and young people) united with that of production (due to the work of collaboration between teachers, apprentices and students). From an operational point of view, the artistic disciplines, practiced in the various laboratories in which the School is divided, contribute, without any exception and in the aforementioned anonymous and collective form, to create an organic and unitary artistic product, a "total work of art" which must respond to the address given by the master architect (Polvara himself), to whom devotion, respect and obedience are due. The architectural design is therefore assigned great importance and this means that the best representative works of the Beato Angelico School are those sacred buildings entirely made with the intervention of its laboratories for all or almost all the decorations, furnishings, furnishings and Milanese churches of S. Maria Beltrade, S. Vito al Giambellino, S. MM. Nabore and Felice, or the church of S. Eusebio in Agrate Brianza and the chapel of the religious institute of the daughters of S. Eusebio in Vercelli). As for the expressive languages used by the School (the so-called "style"), the preference for modern architectural rationalism is highlighted - a topic of stringent topicality, to which Polvara did not fail to give his personal theoretical and practical contribution - and that for Divisionism in painting, indebted to the ancient admiration for the work of Gaetano Previati. The interaction of these two forms gives rise to a recognizable language, modern and spiritual at the same time, verifiable in the buildings as in the individual works, the result of a profound sensitivity that combines the thoughtful recovery of some forms of the past (for example early Christian iconography reused in the decorative motifs of the vestments or in the shape of some artifacts, from the chalice to the tabernacle, to the chasuble-chasuble) with the impetus for a modern and functional style appropriate to the times but respectful of tradition.
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Paolicchi, Anita. "Reliquiari e tabernacoli. Un'indagine comparativa delle oreficerie sacre del mondo bizantino-slavo." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/2158/1186197.

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Abstract:
Tesi di dottorato discussa il 26/02/2020. L’obiettivo di questa tesi è quello di fornire una visione, per quanto non esaustiva, del potenziale del patrimonio dello spazio carpato-danubiano-balcanico come strumento di comprensione della cultura di quest’area di cerniera. Tenendo presente tale prospettiva e nell’ovvia impossibilità di indagare la totalità delle tipologie di suppellettili in uso nel mondo ortodosso, ho scelto di ridurre l’indagine a quelle categorie di reliquiari e contenitori eucaristici che dopo una prima analisi mi sono parsi più significativi per le loro differenze o somiglianze con oggetti analoghi in uso nell’Occidente latino, in un’ottica di confronto sincronico e diacronico, dedicando particolare attenzione all’analisi della loro evoluzione formale e stilistica nei secoli, al fine di evidenziare eventuali influenze o convergenze. A tale proposito si è cercato di mettere in luce quelle variazioni delle condizioni socioculturali che, in determinati momenti storici, possono aver offerto un ambiente favorevole all’introduzione di novità rituali, provocando l’introduzione o la scomparsa di specifiche forme e tipologie di suppellettili liturgiche.
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SABATINI, IRENE. "L’Abruzzo prima di Nicola da Guardiagrele. Oreficeria e devozione attraverso lo studio della croce processionale." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/2158/594229.

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AHMAD, IBRAHIM. "L’oreficeria in Siria durante l’Età del Bronzo Antico e Medio, Tecniche e sviluppo storico." Doctoral thesis, 2016. http://hdl.handle.net/2158/1154703.

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Abstract:
Studio sull'Oreficeria Siriana durante la età del Bronzo Antico e Medio e dello sviluppo storico delle tecniche orafe, nei principali siti archeologici in Siria, (Mari, Ebla, Qatna e altri). Study of the Syrian Gold Jewellery during the Ancient and Middle Bronze Age and the historical development of goldsmith techniques, in the main archaeological sites in Syria (Mari, Ebla, Qatna and others).
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Marzo, Alessia. "La miniatura sotto cristallo di rocca. Origine, diffusione e sviluppi (secoli XII-XV)." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/2318/1854143.

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Manca, Rosarosa. "Non-invasive, scientific analysis of 19th-century gold jewellery and maiolica. A contribution to technical art history and authenticity studies." Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/2158/1238319.

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Abstract:
La presente tesi di dottorato riguarda l’analisi composizionale non invasiva di gioielli in oro e maiolica ottocenteschi in stile revival. I manufatti ottocenteschi sono raramente studiati e i dati pubblicati sui materiali usati per la loro produzione sono molto più scarsi che nel caso dei manufatti antichi. L’obiettivo del presente studio è quello di acquisire dati di riferimento, per aumentare le attuali conoscenze riguardo ai materiali utilizzati nel corso dell’Ottocento, secolo segnato dalla transizione dalla produzione artigianale tradizionale a quella industriale, e che potranno rivelarsi utili per l’identificazione di falsi fatti nel medesimo periodo. In particolare, questa ricerca è incentrata sui gioielli conservati presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma e realizzati dai Castellani, una famosa famiglia romana di orafi, collezionisti e mercanti d’arte, e sulla maiolica artistica, parte della collezione del Victoria and Albert Museum (V&A) di Londra, fatta in stile Neo-Rinascimentale dalle Manifatture Ginori e Cantagalli, principali promotrici del Risorgimento della maiolica artistica italiana, e dal ceramista Torquato Castellani, membro della famiglia di orafi appena menzionata. Dal momento che l’oggetto della ricerca è costituito da manufatti integri in collezioni museali, è stato necessario eseguire esclusivamente analisi non invasive e in situ. La tecnica utilizzata è la spettroscopia XRF, usata, con diversi set up, per analizzare le leghe d’oro e le zone di saldatura dei gioielli Castellani e gli smalti della maiolica revival. L’analisi dei gioielli in oro è stata effettuata con lo spettrometro micro-XRF portatile sviluppato al Centro Nacional de Aceleradores di Siviglia: un sistema di lenti policapillari permette di ridurre il punto di analisi fino a 30 μm e ha consentito così di caratterizzare separatamente la composizione delle lamine, dei fili, dei granuli e delle zone di saldatura dei 43 gioielli analizzati (realizzati fra gli anni Quaranta e Ottanta dell’Ottocento). L’analisi ha mostrato che i Castellani hanno utilizzato un oro di elevata purezza con l’argento come principale alligante, e che elementi diversi di un gioiello, inclusi i granuli, erano saldati con delle leghe brasanti ricche in argento. Secondo i Castellani, questo tipo di leghe era quello usato dagli Antichi. Un filtro di zinco è stato aggiunti di fronte al rivelatore di raggi X dello spettrometro. Questa modifica tecnica ha permesso di determinare che il cadmio, elemento aggiunto alle leghe brasanti a partire dalla seconda metà del XIX secolo, non è presente nelle saldature dei Castellani. Inoltre, l’analisi XRF, e in particolare lo studio dell’intensità relativa delle linee X dell’oro, ha consentito di acquisire informazioni sulla presenza di trattamenti superficiali sui gioielli Castellani. Lo spettrometro XRF commerciale disponibile presso il V&A è stato usato per l’analisi della maiolica (ceramica decorata con smalto stannifero). È stata caratterizzata la composizione elementale degli smalti bianchi e colorati e delle decorazioni a lustro di 21 maioliche Neo-Rinascimentali prodotte fra il 1855 e il 1900. Le composizioni dei manufatti di Ginori, Castellani e Cantagalli sono nel complesso paragonabili: sono caratterizzate dalla presenza di ossido di piombo e alcali usati come fondenti, calce come stabilizzante, ossido di stagno come opacizzante e pigmenti e coloranti tradizionali. Nella maggior parte dei manufatti ottocenteschi analizzati è stato identificato anche lo zinco, che è particolarmente abbondante in quelli più tardi, realizzati circa nel 1900. L’ossido di zinco migliora le proprietà degli smalti stanniferi ed è stato usato sporadicamente anche in epoca pre-industriale, ma è diventato comunemente disponibile soltanto nell’Ottocento. La presenza diffusa di zinco è quindi il principale elemento che consente di distinguere gli smalti ottocenteschi analizzati da quelli rinascimentali, che altrimenti presentano una composizione notevolmente simile. Il confronto con la maiolica rinascimentale è stato basato sia sui dati disponibili in bibliografia che sull’analisi di tre manufatti del V&A: due pezzi originali che sono stati i modelli ispiratori rispettivamente di una copia di Cantagalli e di una di Castellani, e un piatto cinquecentesco con dei restauri ottocenteschi. Oltre allo zinco, sono stati identificati solo un numero limitato di elementi moderni, disponibili grazie all’industria chimica che si era recentemente sviluppata: coloranti contenenti cromo sono stati rivelati in pochi casi nelle maioliche di Castellani e Cantagalli; decorazioni a lustro contenenti oro, bismuto e uranio sono stati identificate in un piatto di Castellani al posto dell’argento e del rame delle ricette tradizionali. I risultati ottenuti hanno mostrato che le formulazioni tradizionali degli smalti erano ancora in uso per la produzione della maiolica nell’Ottocento, ma che anche materiali di recente sviluppo venivano introdotti nella manifattura. Quello acquisito in questo studio è il gruppo di dati più ampio disponibile sulla composizione di gioielli in oro e maioliche ottocenteschi e ha fornito informazioni preziose riguardo alle pratiche produttive di alcuni fra gli orafi e i ceramisti più popolari e influenti dell’Europa ottocentesca. This dissertation concerns the non-invasive compositional analysis of 19th-century gold jewellery and maiolica in historicist style. 19th-century artifacts are rarely investigated, and published data on the materials used for their production are much scarcer than in the case of ancient ones. The objective of this study was to acquire reference data, which will increase the existing knowledge on the materials used over the 19th century - a period marked by the transition from traditional to industrial production - and could be useful for the identification of forgeries produced at the time. Specifically, this research is focussed on: the jewels, today at the Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia in Rome, made by the Castellani, a famous Roman family of goldsmiths, collectors and antiques dealers; and artistic maiolica, part of the collection of the Victoria and Albert Museum (V&A) in London, made in Neo-Renaissance style by the Ginori and the Cantagalli manufactories, the main promoters of the revival of Italian maiolica, and the ceramist Torquato Castellani, member of the above-mentioned family of goldsmiths. In order to investigate intact objects in museum collections, non-invasive, in-situ analyses were performed: XRF spectroscopy with different set-ups was used to analyse the gold alloys and joining areas of Castellani jewels and the glazes of historicist Italian maiolica. The analysis of gold jewellery was carried out with the portable micro-XRF spectrometer built in house at the Centro Nacional de Aceleradores of Seville: polycapillary lenses focus the spot of analysis to 30 μm and allowed the separate characterization of the gold foils, wires, granules and soldering areas of the 43 jewels analysed (made between the 1840s-1890s). The analysis showed that high-carat gold, with silver as the main alloying metal, was used by the Castellani and that the different elements of a jewel, including granules, were soldered with brazing alloys rich in silver. According to the Castellani this type of alloy was used by the Ancients. A zinc filter was added in front to the X-ray detector of the spectrometer: this technical modification allowed to determine that cadmium, an element added to brazing alloys from the second half of the 19th century, is not present in Castellani solders. Moreover, XRF analysis, and specifically the study of the relative intensities of the X-ray lines of gold, allowed to acquire information on the presence of superficial treatments on Castellani jewels. A commercial XRF spectrometer available at the V&A was used for the analysis of maiolica (tin-glazed earthenware). The elemental composition of the white ground glazes, the coloured glazes and the lustre decorations of 21 Neo-Renaissance wares made between 1855 and 1900 was characterized. The compositions of the wares by Ginori, Castellani and Cantagalli are overall similar, being characterised by the presence of lead oxide and alkali as fluxes, lime as stabilizer, tin oxide as opacifier and traditional colourants and pigments. Zinc was also detected in most of the 19th-century wares analysed, and was particularly abundant in the later wares made around 1900. Zinc oxide improves the properties of tin glazes and was sporadically used also in pre-industrial times, but it became commonly available only in the 19th century. The broad presence of zinc is the main feature that differentiates the 19th-century glazes analysed from Renaissance maiolica glazes, which otherwise have a remarkably similar composition. The comparison with Renaissance maiolica was based both on the data available in the literature and on the XRF analysis of three V&A wares: two original pieces which inspired a Cantagalli and a Castellani copy, respectively, and a 16th-century plate with 19th-century replacements. Beside zinc, only a few modern elements, available thanks to the recently-established chemical industry, were identified: chromium-containing colourants were occasionally detected in Castellani and Cantagalli creations; lustre decorations containing gold, bismuth and uranium, instead of the traditional metallic copper and silver, were identified in a dish by Castellani. The results obtained showed that traditional glaze formulations were still used in the production of maiolica in the 19th century, but that newly developed materials were being introduced as well. The most extensive set of compositional data on both 19th-century gold jewels and maiolica was acquired in this study and provided precious information on the production practices of some of the most popular and influential goldsmiths and ceramists of 19th-century Europe.
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SPERANZA, FRANCESCO. "Camillo Marcolini Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Dresda e della Manifattura di Porcellana di Meißen." Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1151843.

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