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Journal articles on the topic 'Nuove minoranze'

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Vicenza, Giordano. "Multiculturalismo Specifico in Svizzera." INFLUENCE : International Journal of Science Review 1, no. 2 (August 25, 2019): 1–9. http://dx.doi.org/10.54783/influence.v1i2.87.

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Abstract:
Ci sono numerose aree, culture e lingue in Svizzera. In Svizzera, le minoranze sono per lo più minoranze etno-linguistiche la cui lingua comune è unificata. Lo Stato elvetico è stato quindi considerato uno Stato multilingue sin dalla costituzione della Confederazione nel 1848. La Confederazione ei Cantoni devono preservare le minoranze linguistiche. I fondamenti della struttura sociale svizzera sono due principi: libertà linguistica (Sprachenfreiheit) e territorialità con multiculturalismo storico e quattro lingue nazionali (Territorialitätsprinzip). Non esiste una religione di stato ufficiale in Svizzera. La religione predominante è il cristianesimo, l'islam è la più grande minoranza religiosa. Le maggiori confessioni cristiane sono quella cattolica (37,7%) e la CRS (25,5 per cento). La Svizzera ha iniziato l'afflusso di nuove minoranze culturali dopo la seconda guerra mondiale ed era fortemente legata alla migrazione economica e al massiccio numero di lavoratori ospiti dal Terzo mondo e dall'ex Jugoslavia nell'Europa meridionale. La tutela delle minoranze nazionali, ma non delle minoranze culturali, coinvolge il diritto internazionale. La tutela delle minoranze nazionali in Svizzera si basa anche su norme internazionali.
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2

Cardia, Carlo. "Identitŕ religiosa e culturale europea: la questione del crocifisso." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 1 (December 2010): 33–66. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2010-001003.

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Abstract:
La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia č stata ritenuta incompatibile con la libertŕ di religione e di educazione dalla Corte di Strasburgo, con una sentenza (Lautsi) che appare in contrasto con la giurisprudenza costante della stessa Corte, la quale riconosce agli stati un ampio margine di apprezzamento in materia della libertŕ religiosa, a tal fine richiamandosi alla tradizione dei singoli paesi. La sentenza, disattendendo il suo stesso criterio di valutazione, che impone di esaminare il contesto storico-culturale, perviene, con una sorta di atteggiamento di ‘iconoclastia laica', a un concetto limitato e fuorviante di educazione delle nuove generazioni. Infatti, se si concepisce il simbolo religioso come un elemento negativo e conturbante, i bambini cresceranno con un senso di ostilitŕ verso questi simboli, come se fossero fattori di divisione, e il rapporto tra religioni diverrebbe un rapporto diffidente, ostile e potenzialmente conflittuale. Senza poi considerare il fatto che il diritto di una maggioranza religiosa va tutelato con la stessa cura di quelli delle minoranze.
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3

Irwin Fragale, Luca. "La massoneria nel Casellario politico centrale. Criticità di uno strumento di ricerca." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (August 2021): 173–85. http://dx.doi.org/10.3280/mon2021-001006.

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Abstract:
Il "Servizio dello Schedario biografico degli affiliati ai partiti sovversivi maggiormente pericolosi nei rapporti dell'ordine e della Pubblica Sicurezza" fu istituito nel 1894 e fu messo a punto due anni dopo, quando nel giugno 1896 la Direzione generale di Pubblica sicurezza ne indicava ai prefetti del Regno gli scopi e l'utilità, nonché le nuove norme da seguire per la compilazione delle relative schede. Le 5.615 buste del fondo raccolgono i fascicoli relativi a ben 152.589 schedati: si tratta in massima parte di socialisti, comunisti, sovversivi, anarchici, antifascisti tout court, ma anche di vagabondi, oziosi, prostitute, membri di minoranze etniche e, appunto, massoni. Oggi un'interfaccia virtuale permette la consultazione on line dei risultati emergenti, ovvero di quei dati che corrispondono fedelmente alle informazioni riportare in recto e verso sulle sole copertine dei singoli fascicoli. Ciò che se da un lato rende assai più comoda la ricerca per lemmi, ne inficia però pesantemente la qualità, in quanto le suddette copertine non riportano in modo integrale i dati essenziali contenuti nei fascicoli. La questione è lampante nel caso dei massoni schedati.
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Cereghetti Passini, Antonietta. "Decreti prefettizi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia e l’italianizzazione forzata dei cognomi nelle Nuove Province in generale e nella Provincia dell’Istria in particolare." Histria : the Istrian Historical Society review 7, no. 7 (2017): 137–66. http://dx.doi.org/10.32728/h2017.05.

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Abstract:
L’italianizzazione forzata dei cognomi, parte del più ampio programma di snazionalizzazione delle minoranze nelle Nuove Province (Trento, Bolzano, Trieste, Istria, Gorizia, Fiume, Zara) avviato dallo Stato italiano nel primo dopoguerra, fu legalizzata per mezzo di leggi e decreti votati appositamente dal giovane governo fascista e implementata con l’istituzione, presso le prefetture di ogni provincia, di commissioni responsabili per la compilazione di elenchi contenenti i cognomi ritenuti non italiani e le loro rispettive forme sostitutive. L’iter, non sempre rispettato, prevedeva il cambiamento del cognome su domanda del capofamiglia (con l’affissione sul rispettivo albo comunale) oppure per imposizione della prefettura. Dopodiché, il cambiamento veniva pronunciato con un decreto del Prefetto della Provincia, notificato agli interessati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia ed annotato nei registri dello stato civile. La ricerca qui esposta ha considerato e analizzato numericamente tutti i decreti di cambiamento di cognome pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Poiché lo Stato italiano non sempre adempì all’obbligo di pubblicare tutti i decreti, il risultato ottenuto non può che essere incompleto. Nondimeno testimonia una vera e propria ossessione onomastica che coinvolse centinaia di migliaia di individui. Infine, un’analisi più dettagliata dei decreti emessi dalla Prefettura di Pola dimostra quanta e quale fu la mobilitazione dell’apparato del potere che, dietro il dichiarato desiderio di “recupero dei cognomi originari italiani o latini”, perpetrava quello che la storiografia definirà come “genocidio culturale” e “onomasticidio di Stato”.
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Linz, Juan J. "PLURINAZIONALISMO E DEMOCRAZIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 25, no. 1 (April 1995): 21–50. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200023327.

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Abstract:
IntroduzionePochi Stati sono Stati nazionali, e gran parte delle nazioni non sono destinate a raggiungere la condizione di Stato sovrano. Una trasformazione delle società plurinazionali in Stati nazionali «monocromatici» come quelli esistenti in passato è impossibile nel contesto di istituzioni liberaldemocratiche. La maggioranza delle cosiddette «nuove nazioni» sono in realtà Stati multinazionali o quantomeno multiculturali. Non solo i cittadini risiedono geograficamente in ambiti frammisti; le loro famiglie hanno un background eterogeneo e, dato non meno e forse più importante, hanno identità duali. Le istituzioni e i processi democratici devono riconoscere queste situazioni di fatto, questo tipo di pluralismo. In che misura, in uno Stato democratico, il pluralismo deve essere basato sulla rappresentanza e sui diritti di gruppo oppure sui diritti individuali? In che misura particolari soluzioni istituzionali rischiano di condurre ad un conflitto tra questi due principii ed approcci nel contesto della politica democratica? In che modo sarà protetta la libertà degli individui di scegliere la propria identità senza vedersi imporre identità inclusive? Questi sono problemi teorici e pratici sia per le democrazie contemporanee, sia per i paesi avviati verso la democrazia. Come potranno, gli Stati democratici multinazionali, guadagnarsi una legittimità sufficiente a rendere i processi decisionali democratici possibili e compatibili con il pluralismo nazionale e culturale? In particolare, come si potrà, in società di questo genere, rendere compatibile il federalismo con i diritti delle minoranze all'interno di unità territoriali, se in queste unità esistono maggioranze «nazionali»? Se non diamo soluzione a questi interrogativi, rischiamo di riprodurre in scala ridotta i problemi creati dai fondatori degli Stati nazionali in società multinazionali. Quali forme può assumere il pluralismo nazionale e culturale nelle società democratiche, e qual è il ruolo che le istituzioni e i processi democratici possono svolgere per rendere compatibili il pluralismo e la libertà individuale? Questi sono alcuni dei quesiti che dobbiamo sollevare e a cui dobbiamo dare risposta.
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Russo, Marcello, Filomena Buonocore, and Maria Ferrara. "Inquadramento concettuale, prospettive teoriche e tendenze evolutive negli studi sulla diversitŕ nei gruppi di lavoro." STUDI ORGANIZZATIVI, no. 1 (December 2012): 33–63. http://dx.doi.org/10.3280/so2012-001002.

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Abstract:
La diversitŕ nei gruppi di lavoro rappresenta un tema di grande interesse per il mondo accademico e manageriale. La crescente attenzione verso tale tematica č riconducibile a due fenomeni ricorrenti nelle realtŕ organizzative moderne. Da un lato si consideri la diffusa tendenza nelle aziende ad un estensivo utilizzo del gruppo quale strumento per favorire processi decisionali su problemi complessi, una maggiore flessibilitŕ ed una efficace gestione della complessitŕ ambientale. Dall'altro lato si osserva la rilevanza dei recenti cambiamenti demografici della forza lavoro, caratterizzati da un incremento della partecipazione delle donne, degli ultracinquantenni e delle minoranze etnico-razziali alla vita lavorativa che hanno reso la diversitŕ un fenomeno o una condizione quotidianamente presente nell'organizzazione. La letteratura sul tema evidenzia che la diversitŕ rappresenta un'arma a doppio taglio, rappresentando al tempo stesso un valore aggiunto ed un elemento di debolezza per le organizzazioni. L'eterogeneitŕ dei componenti di un gruppo, infatti, rappresenta un valore aggiunto per le aziende alla luce della pluralitŕ di competenze, abilitŕ e frame cognitivi presenti che favorisce la considerazione di prospettive di analisi nuove e altrimenti mai considerate. Tuttavia, se non adeguatamente gestita, la diversitŕ puň trasformarsi rapidamente in un elemento di debolezza. La diversitŕ, infatti, puň accrescere la tensione all'interno del gruppo, favorendo la nascita di coalizioni o sottogruppi che possono minare la coesione interna e ridurre la capacitŕ decisionale di un gruppo. Alla luce delle presenti considerazioni, questo articolo si propone di illustrare i principali meccanismi di azione della diversitŕ all'interno dei gruppi di lavoro. Al fine di favorire una maggiore comprensione del tema, sarŕ affrontato in primis il problema dell'inquadramento concettuale attraverso un'analisi delle principali definizioni presenti in letteratura ed una descrizione delle dimensioni piů rilevanti con cui la diversitŕ puň manifestarsi all'interno dei gruppi di lavoro. Nella seconda parte del lavoro si considerano gli effetti che la diversitŕ produce sulle dinamiche organizzative dei gruppi di lavoro. L'attenzione č posta su una serie di prospettive di analisi che permettono di illustrare gli effetti che la diversitŕ puň generare sui processi relazionali e sui processi decisionali di gruppo. Infine, considerati i recenti contributi sul tema, il lavoro si conclude delineando tre aree di ricerca futura che possono stimolare un proficuo dibattito tra gli studiosi sul tema e rappresentare allo stesso tempo un'interessante research agenda per gli anni avvenire.
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Russo, Maria Antonella. "UNO STRUMENTO PER DE-INVISIBILIZZARE LE IDENTITÀ E LE LINGUE DEGLI STUDENTI: AUTOBIOGRAFIE LINGUISTICHE IN UNA SCUOLA SUPERIORE DI PADOVA." Italiano LinguaDue 14, no. 1 (July 28, 2022): 1115–41. http://dx.doi.org/10.54103/2037-3597/18340.

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Abstract:
Il quadro linguistico italiano legato all’atavico plurilinguismo proprio del nostro Paese – per la ricchissima presenza di dialetti e minoranze linguistiche storiche – negli ultimi decenni si è ulteriorimente complicato per l’aggiunta di ulteriori lingue, che hanno dato vita a quello che viene definito da Vedovelli “neoplurilinguismo” dovuto proprio al nuovo ruolo centripeto dell’Italia rispetto ai movimenti migratori. In questo contesto la scuola, luogo di formazione e crescita per eccellenza, ha il ruolo importantissimo di valorizzare e di promuovere un’educazione plurilingue e interculturale affinché non si corra il rischio di lasciare alcuni studenti nel solco di una rottura che potrebbe dar vita ad identità monche. Tuttavia, spesso essa incontra difficoltà nell’attuazione di quelle che pur sono direttive e indicazioni che vengono da più parti. Come dar voce, dunque, a queste nuove presenze? L’autobiografia, nello specifico linguistica, è un valido strumento che ha avuto una buona diffusione negli ultimi decenni come dispositivo per affrontare il passato, risanare e proiettare in avanti l’individuo che scrive migliorando il rapporto con il proprio bagaglio linguistico nel riconoscimento di un’identità multipla. In questo articolo si riporta un’esperienza didattica che ha visto la realizzazione di un percorso in una scuola superiore di un quartiere periferico di Padova nell’a. s. 2020-2021 in cui si è avuto come punto di arrivo finale proprio la scrittura da parte degli studenti della propria autobiografia linguistica. Sfruttando il doppio filone in cui le AL sono state impiegate già precedentemente, cioè quello più proprio della realtà italiana legato alla dimensione dialettale e quello nell’insegnamento dell’italiano L2, si è potuto coinvolgere interamente il gruppo classe di tre sezioni diverse dando agli studenti la possibilità di raccontarsi attraverso le lingue in cui “abitano”. A tool for de-invisibilizing students' identities and languages: linguistic autobiographies in a high school in Padua The Italian linguistic framework linked to the atavistic multilingualism of our country – due to the very rich presence of dialects and historical linguistic minorities – has been further complicated in recent decades by the addition of more languages, which have given rise to what Vedovelli calls “neoplurilingualism” due precisely to Italy’s new centripetal role with respect to migratory movements. In this context, the school, the place for training and growth par excellence, has the very important role of valuing and promoting plurilingual and intercultural education so that there is no risk of leaving some students in a rut that could give rise to stunted identities. However, it often encounters difficulties in implementing what are nevertheless directives and directions coming from many quarters. How, then, to give voice to these new presences? Autobiography, specifically linguistic autobiography, is a valuable tool that has been popular in recent decades as a device for dealing with the past, healing and projecting forward for the individual through writing, by improving the relationship with one's linguistic background as recognition of a multiple identity. In this paper, we report on an educational experience that involved the implementation of a course in a high school in a suburban district of Padua during the 2020-2021 school year where the students’ writing on their linguistic autobiography was the final point of arrival. Taking advantage of the double thread in which ALs have been employed before, namely the one more specific to the Italian reality related to the dialectal dimension and one to the teaching of Italian L2, it was possible to fully involve three different class groups by giving students the opportunity to tell their stories through the languages in which they “live”.
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Colombo, Alessandro. "MINORANZE E SICUREZZA NAZIONALE IN MEDIO ORIENTE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 23, no. 1 (April 1993): 39–65. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200022048.

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Abstract:
IntroduzioneL'invasione del Kuwait e la guerra civile seguita alla sconfitta dell'Iraq hanno inferto un duro colpo alle semplificazioni più comuni della situazione mediorientale; quella, caratteristica delle fasi acute di tensione bipolare, che collocava le cause del conflitto fuori della regione, nella competizione Est/Ovest; quella, non meno parziale, centrata sul conflitto arabo-israeliano, che riportava all'interno del Medio Oriente le radici dell'instabilità ma non rinunciava a ricondurle tutte ad una sola; quella più recente, infine, del «nuovo ordine internazionale», che proprio dal «discorso» bipolare deduceva che, una volta venuto meno il conflitto tra le superpotenze, anche i conflitti regionali si sarebbero avviati a soluzione.
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Zappia, Andrea. "Inserire una minoranza nello spazio cittadino. Il caso della comunità ebraica di Genova (1658-1737)." STORIA URBANA, no. 167 (May 2021): 119–45. http://dx.doi.org/10.3280/su2020-167007.

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Abstract:
Il presente studio si propone di ripercorrere le vicende relative alla comunita ebraica genovese, specie nel suo rapporto con gli spazi cittadini, negli anni compresi tra i primi Capitoli della nazione ebrea concessi nel 1658 e l'ultima espulsione dalla citta, decretata nel 1737 e concretizzatasi sei anni dopo. Conseguentemente all'arrivo a Genova di un certo numero di ebrei, nell'agenda politica del patriziato si impose la questione del ghetto, che richiedeva lo studio di soluzioni di natura urbanistica ma che d'altra parte presentava ricadute sociali, economiche e culturali da valutare con grande attenzione. Lo smantellamento dei cancelli del ghetto avvenuto nel 1679, e la collocazione degli ebrei nel tessuto urbano, rendeva necessario ripensare la convivenza tra la popolazione autoctona e questa minoranza. Il mancato raggiungimento dell'equilibrio, le difficolta legate all'individuazione di una nuova area per l'erezione di un nuovo ghetto, oltre al definitivo tramonto dell'idea di riattivare un imponente traffico commerciale con il Levante, furono i motivi che causarono nel 1737 la revoca dei Capitoli e la conseguente cacciata degli ebrei dalla citta.
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Bhabha, Homi K. "I nostri vicini, noi stessi. Riflessioni contemporanee sulla sopravvivenza." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 44 (September 2012): 99–118. http://dx.doi.org/10.3280/las2012-044008.

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Abstract:
Il saggio evoca lo spirito di Hegel, nel tentativo di comprendere le problematiche contemporanee legate alla testimonianza etica, alla memoria storica, ai diritti e alle rappresentazioni delle minoranze all'interno della sfera culturale. Chi č oggi il nostro vicino? Cosa significa ospitalitÀ di questi tempi? Perché il riconoscimento degli altri diviene spesso un incontro straziante con l'alteritÀ del sé? L'articolo esemplifica come il ‘Terzo Spazio' - uno dei concetti chiave del postcolonialismo - puň aiutarci a costruire una nuova concezione di ospitalitÀ all'interno di un mondo globalizzato e cosmopolita, una concezione che poggia sul diritto alla differenza nell'uguaglianza.
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Argenti Tremul, Alessandra. "Il Capodistriano del dopoguerra nelle fonti d’archivio conservate in Slovenia e Croazia." Histria : the Istrian Historical Society review 2, no. 2 (2012): 205–19. http://dx.doi.org/10.32728/h2012.08.

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Abstract:
L’autrice, dopo aver visionato gli archivi regionali e nazionali, che conservano i fondi relativi all’amministrazione della zona B del Territorio Libero di Trieste, presenta una scelta delle raccolte analizzate. Queste possono venir oggi utilizzate per delineare in maniera sempre più chiara le vicende occorse nella penisola istriana dal 1945 al 1956, ed alcuni suoi momenti fondamentali come la rottura con il Cominform, l’amministrazione locale, il trasferimento di massa della popolazione autoctona. In questo periodo, dopo una lunga e plurisecolare permanenza sul proprio territorio d’insediamento storico, la popolazione italiana diventa minoranza. Un contributo importante allo sviluppo della storiografia regionale può essere dato pure da fonti di nuova tipologia, come ad esempio i filmati e le fotografie d’epoca, fino ad ora usate in parte minima.
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Bolko, Marianna. "L'estraneo sul confine." PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE, no. 2 (May 2012): 225–40. http://dx.doi.org/10.3280/pu2012-002004.

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Abstract:
Vengono fatte alcune riflessioni sul problema del razzismo e della paura dello straniero e del nuovo rispetto alla cultura di appartenenza del soggetto. Questi comportamenti vengono analizzati dal punto di vista psicoanalitico (utilizzando i concetti di proiezione, di identificazione con l'aggressore, ecc.), etnopsicoanalitico e sociologico. L'Autrice inoltre racconta aspetti della storia della sua famiglia, che durante la seconda guerra mondiale viveva sotto occupazione italiana e poi tedesca, e dopo il 1947 apparteneva a una minoranza etnica slovena a Trieste. (Questo testo č una relazione dal titolo "Aprirsi e chiudersi agli altri: patologie di confine", tenuta il 14 marzo 2011 all'interno del ciclo di seminari "Sulla strada", coordinato da Stefano Benni e Alessandro Castellari presso la Pluriversitŕ dell'Immaginazione "Grazia Cherch" di Bologna).
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Marchesi, Andrea. "Qui ci vuole (anche) il maschio. Sulla latitanza degli uomini nelle professioni educative." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 18 (September 2012): 114–25. http://dx.doi.org/10.3280/eds2012-018012.

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Abstract:
Gli uomini impegnati in campo educativo sono, ormai, una minoranza sempre piů residuale e di questa evidenza invisibile si discute poco, come se fosse un dato naturale che ad occuparsi di educazione siano solo le donne. Eppure non č sempre stato cosě, basti pensare alla figura del maestro elementare come all'educatore dei servizi extrascolastici. Che cosa ha determinato la scomparsa degli uomini dal mondo dell'educazione? E quali effetti sta producendo sulle pratiche e sui soggetti? La perdita di prestigio sociale e l'indebolimento della carica trasformativa dell'educazione possono spiegare, in parte, l'assenza degli uomini, senza sottovalutare i cambiamenti che investono il genere maschile: la crisi della figura del padre, del principio di autoritŕ e responsabilitŕ. L'educazione sembra, allora, ridursi alla dimensione della cura, con una presenza esclusivamente femminile, indebolendo il gioco dei ruoli e delle differenze che segna il confronto tra generazioni. Č forse il sintomo di una crisi piů ampia, che prefigura nuovi orizzonti nei quali si collocano proprio i giovani uomini che, in controtendenza, scelgono di impegnarsi come educatori.
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Barisione, Mauro. "ELETTORI INDECISI, ELETTORI FLUTTUANTI: CHE VOLTO HANNO I «BILANCIERI» DEL VOTO? I CASI ITALIANO E FRANCESE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 31, no. 1 (April 2001): 73–108. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200029555.

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Abstract:
Introduzione In un sistema d'alternanza, un tipico esito elettorale è quello in virtù del quale il partito o la coalizione vincente accede alle funzioni di governo grazie ad un margine di voti esiguo, sufficiente tuttavia a fare la differenza rispetto alla coalizione avversaria e, magari, rispetto al proprio risultato delle elezioni precedenti. Se, tuttavia, i punti percentuali che una coalizione acquista (o perde) da un'elezione all'altra sono attribuibili a una pluralità di fattori (dal ricambio generazionale degli elettori, alla multidirezionalità dei flussi di voto, al peso di volta in volta variabile dell'astensionismo) più complessi di quelli rilevabili con una semplice operazione algebrica (del tipo: «35% all'elezione e, 40% all'elezione e2, uguale 5% di nuovi elettori»), resta però assai plausibile che le differenze percentuali tra una coalizione e l'altra ad un dato scrutinio possano essere determinate dal comportamento di una minoranza di elettori «marginali». E ciò è tanto più plausibile quanto più decisivi si rivelano quei seggi aggiudicati alla coalizione vincente, collegio per collegio, sulla base di pochi voti di scarto, sovente frutto di scelte effettuate da elettori rimasti indecisi fino all'ultimo momento.
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Pasquino, Gianfranco. "Democrazia, partiti, primarie." Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 55, no. 1 (June 30, 2006): 21–39. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12708.

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Abstract:
Per cominciare, mi sembra opportuno delineare le caratteristiche della, come direbbero gli inglesi, big picture , vale a dire del quadro generale nel quale si inquadrano le trasformazioni dei regimi democratici, in special modo di quelle democrazie che si sono consolidate nel secondo dopoguerra. A partire dalla pubblicazione in inglese (1992) del libro di Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, sono proliferate le analisi di queste trasformazioni della democrazia, spesso effettuate con visioni ideologiche talvolta con riferimenti quasi kantiani alla necessità di estendere la democrazia ai livelli sopranazionali (Unione Europea, Nazioni Unite). Correttamente inteso, ma era sufficiente essere andati oltre la lettura del titolo, il libro di Fukuyama aveva assunto una prospettiva piuttosto diversa. Con straordinario tempismo, l’autore argomentava che, avendo vinto la sfida con i totalitarismi, le democrazie liberali si trovavano finalmente nelle condizioni migliori per iniziare il complesso cammino del loro perfezionamento. Oggi sappiamo che, con la comparsa del terrorismo internazionale, sotto forma di sfida alla civiltà occidentale, come correttamente previsto, ma sicuramente non auspicato, da Samuel Huntington (Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale), la situazione si è molto complicata. Non per questo, le democrazie hanno rinunciato ai loro principi fondanti né li hanno stravolti anche se qualcosa del genere può essere avvenuto, come affermano diversi studiosi e commentatori, alla democrazia degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Bush, seppur in maniera non irreversibile. Al contrario, la maggior parte delle democrazie hanno accettato la sfida della qualità delle loro istituzioni e delle loro prestazioni tanto che quello della “qualità della democrazia” è attualmente il campo di analisi in ascesa nella scienza politica contemporanea (sul punto Diamond e Morlino 2005). E, naturalmente, quando si parla di qualità della democrazia è assolutamente inevitabile interrogarsi non tanto e non soltanto sui diritti dei cittadini, che qualsiasi democraziadegna di questo nome deve promuovere e proteggere, quanto, piuttosto e più precisamente, sui poteri dei cittadini. Questa, peraltro non lunga, ma appena leggermente pomposa, premessa mira a suggerire che, come vedremo meglio in seguito, le elezioni primarie non cadono dal cielo e neppure vengono dall’inferno, ma possono e debbono essere inserite nel discorso relativo al perfezionamento delle democrazie. Peraltro, non ho nessun dubbio sul fatto che la qualità della democrazia dipende anche, gli elitisti direbbero in special modo, dalla qualità delle loro leadership, delle minoranze organizzate che conquistano il potere politico. Ritengo, però, assiomatico affermare che nelle democrazie sono gli elettori a scegliere e, eventualmente e periodicamente, a fare circolare le leadership, ovvero a fare entrare e uscire dalle stanze del potere le minoranze organizzate dei loro sistemi politici. Dunque, mi pare opportuno condurre il discorso che segue con riferimento proprio al potere degli elettori di scegliere non soltanto rappresentanti e governanti, ma anche coloro che ambiscono a diventare rappresentanti e governanti.
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Berardi, Silvio. "Le colonie italiane nel secondo dopoguerra: il Partito repubblicano e la questione somala (1948-1950)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (July 2012): 91–118. http://dx.doi.org/10.3280/mon2012-001004.

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Abstract:
Il saggio intende ricostruire una tra le pagine piů complesse della politica coloniale italiana: la questione somala dai tragici fatti di Mogadiscio dell'11 gennaio 1948 al ritorno italiano in Somalia del 1950. La stampa nazionale fu concorde nel ritenere indirettamente responsabili dell'eccidio i funzionari britannici in Somalia, incapaci di tutelare e proteggere la comunitŕ italiana presente sul territorio. Il Partito repubblicano, impegnato in una difficile e complessa riorganizzazione interna, evitň di prendere nell'immediato una posizione ufficiale. Il ministro degli Esteri, il repubblicano Carlo Sforza, intervenendo a Napoli al XX congresso del partito, in cui l'orientamento prevalente fu quello di continuare a sostenere l'esecutivo e le politiche democristiane, escluse la responsabilitŕ del governo britannico nella strage. All'interno del partito, tuttavia, si stavano delineando delle frizioni, del resto sempre presenti, ma mai cosě ben avvertite: mentre la maggioranza era vicina alla posizione di Sforza di favorire il ritorno degli italiani negli antichi territori somali al fine di stimolare la collaborazione tra Europa ed Africa e salvare l'onore nazionale, una piccola minoranza, composta tra gli altri da Giovanni Conti e Giulio Andrea Belloni, richiamandosi agli antichi ideali del Partito repubblicano, era contraria a tale ritorno. La posizione "colonialista" risultň vincitrice, anche per l'emergere di una nuova classe dirigente, destinata a modificare, non senza contraccolpi, gli orientamenti del partito stesso.
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Arbia, Monica, Annalisa Anzani, and Antonio Prunas. "L'utilizzo di app per incontri nella popolazione genderqueer: esperienze, vissuti e motivazioni." PSICOLOGIA DELLA SALUTE, no. 1 (January 2021): 32–52. http://dx.doi.org/10.3280/pds2021-001004.

Full text
Abstract:
Background. Le persone genderqueer affrontano numerose sfide nel corso della loro vita e sono esposte ad un rischio aumentato di violenza e molestie dovute alla diffusione della cultura eterossessista e cisgenderista. Per ciò che concerne le relazioni sessuali e romantiche, negli ultimi anni, le app per incontri sono diventate sempre più popolari, cambiando il modo in cui le persone vengono in contatto con nuovi e potenziali partner. Scopo. Lo scopo di questo studio è quello di indagare le esperienze, le emozioni e le moti-vazioni delle persone genderqueer nell'ambito delle app per incontri. Attingendo alla cornice teorica delle microaggressioni gli autori hanno condotto tre interviste qualitative individuali con individui genderqueer adulti. Analisi dei dati. Per analizzare i dati emersi dalle interviste gli autori si sono serviti dell'analisi tematica. Risultati. Le esperienze dei partecipanti riflettono diverse forme di discriminazione, vitti-mizzazione e oggettivazione ma anche forme più positive di interazione, sottolineando così il potenziale positivo delle applicazioni per incontri. I risultati hanno rivelato tre tematiche principali: 1) utenza, motivazioni e benefici relativi all'utilizzo di app per incontri, 2) self-disclosure, 3) esperienze nel contesto delle app per incontri. L'ultimo tema comprende, a sua volta, tre sotto-temi: a) omologazione e morbosità, b) feticizzazione e oggettivazione, c) delegittimazione e discriminazione. Nonostante i suoi limiti, questo studio potrebbe aiutarci a fare luce sull'impatto psicologico che le diverse esperienze vissute nell'ambito delle app per incontri hanno, sul benessere della minoranza genderqueer.
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Eijk, W. J., and J. P. M. Lelkens. "Medical-Ethical Decisions and Life-Terminating Actions in The Netherlands 1990-1995." Medicina e Morale 46, no. 3 (June 30, 1997): 475–501. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.878.

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Abstract:
L’articolo tratta della valutazione critica del Secondo rapporto sulla pratica dell’eutanasia in Olanda. In primo luogo, gli autori sottolineano che la legge olandese richiede una notificazione o un rapporto sulla procedura eutanasica effettuata, tramite una scheda prevista dall’articolo 10 della legge. Tale procedura si applica anche ai casi di eutanasia praticata senza esplicita richiesta del paziente ed implica che i medici interessati non redigano un semplice certificato di morte, ma notifichino il fatto alla magistratura municipale per mezzo di un questionario comprendente cinquanta voci. Una delle principali critiche rivolte alla legge olandese sulla depenalizzazione dell’eutanasia concerne la questione se la procedura di notifica sopra citata consenta la verificabilità della pratica eutanasica. Dai dati finora disponibili (1990) risultava che soltanto una minoranza dei medici - il 25% dei medici di base ed il 35% degli specialisti - redigeva certificati di eutanasia, per evitare problemi legali e questioni con i parenti del paziente. Nel 1994, il governo olandese ha deciso di condurre una nuova inchiesta su larga scala riguardo la pratica eutanasica nel Paese e sulla efficacia della sua procedura di notifica. Il Secondo Rapporto sull’eutanasia, reso pubblico nel 1995: 1. evidenzia il sostanziale incremento dei casi di eutanasia; 2. conferma l’esiguo ricorso alle procedure di notifica dell’eutanasia. Senza considerare l’obiezione etica di fondo allo stato di necessità invocato per attuare le procedure eutanasiche, dal documento appare che in pratica la procedura di notifica dell’eutanasia non è nemmeno riuscita ad operare un qualche controllo sulla pratica eutanasica, come voleva il legislatore.
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Puntin, Maurizio. "Pieris e Begliano: villaggi medievali del basso Isonzo dall‘incerta identità." Linguistica 55, no. 1 (December 31, 2015): 89–102. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.55.1.89-102.

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Abstract:
L’autore ha studiato a fondo, a cominciare dagli anni ’90, la toponomastica e l’antica antroponimia del Territorio di Monfalcone. Dopo la pubblicazione della II edizione dell’opera (P 2010) le ricerche sono continuate e hanno sempre confermato quei primi risultati. In pratica questo angolo sud-orientale del Friuli rientrò almeno fino a tutto il sec. XV nella Slavia submersa, con una maggioranza di abitanti slavofoni ed una minoranza parlante un dialetto friulano che si situava morfologicamente fra quello centrale e le antiche e scomparse parlate friulaneggianti di Trieste e Muggia. Nell’articolo si ripresentano brevemente molti nomi di persone e di luoghi di Pieris e Begliano (oggi Comune di S. Canzian d’Isonzo), con alcuni nuovi dati emersi ultimamente: per esempio sull’attuale località Isola Morosini (nel sec. XV Otoch) che apparteneva in età medievale all’Abbazia benedettina di Moggio. Viene rivista anche l’etimologia del nome della località di Begliano, lasciata in sospeso nei lavori precedenti fra l’opzione predialistica romana (*Bellius) e quella paleoslava (*Beljan o *Beljani); assegnando questo toponimo allo strato linguistico slavo. Bisogna distinguere però questo strato sloveno medievale da uno successivo, rappresentato essenzialmente da nomi e soprannomi di persone immigrate nel Monfalconese fra la fine del sec. XV e il sec. XVII. Gente di origine balcanica (sclabonus sive bisiacus) che fuggiva dalle invasioni turche ed entrava in un angolo di Friuli soggetto a Venezia. I tre villaggi erano vicini all’antico traghetto (zopum) di Pieris sul fiume Isonzo e la parte finale dell’articolo è dedicata alla discussione sull’etimo del termine friulano çòp/zòpul ‘piroga’ (slov. dial. čupa), su cui era intervenuto uno scrittore di Trieste proponendo un’origine slovena. L’autore dell’articolo mostra invece come non si possa facilmente disgiungere il termine çop/zop da tutta una trafila di voci, ben attestate nell’area romanza del nord-est italiano (compresa la lingua dalmatica oggi estinta). Voci che sembrano tutte gravitare attorno al semantema “ceppo, legno scavato” e che potrebbero in ultima analisi essere di lontana origine prelatina.
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Lijphart, Arend. "PRESIDENZIALISMO E DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, no. 3 (December 1989): 367–84. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008637.

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Abstract:
IntroduzioneNel suo noto saggio su Democracy, Presidential or Parliamentary: Does it Make a Difference? — ampiamente diffuso e da considerarsi ormai una sorta di classico non pubblicato — Juan Linz (1987, 2) osserva correttamente che gli scienziati della politica hanno trascurato le importanti differenze istituzionali e comportamentali tra regimi parlamentari, presidenziali e semipresidenziali e che, in particolare, queste differenze «ricevono solo scarsa attenzione nei due più recenti lavori di comparazione delle democrazie contemporanee», cioè Comparative Democracies di G. Bingham Powell (1982) e il mio Democracies (Ljiphart 1984). Una ragione per cui il presidenzialismo risulta relativamente trascurato nel mio libro è che nell'universo di 21 democrazie ivi considerato — definito da quei paesi che hanno avuto una ininterrotta esperienza di governo democratico approssimativamente dalla fine della seconda guerra mondiale — compare un solo chiaro caso di governo presidenziale (gli Stati Uniti) e due casi più ambigui (la V Repubblica francese e la Finlandia). Retrospettivamente ritengo di aver applicato i miei criteri in modo troppo stretto e che avrei dovuto includere anche l'India e il Costa Rica tra le mie democrazie «prolungate». Quest'ultimo avrebbe costituito un quarto caso di presidenzialismo. Powell fa ricorso ad una definizione meno esigente di democrazia (un minimo di 5 anni di democrazia nel periodo dal 1958 al 1976), il che gli mette a disposizione altri 4 casi di presidenzialismo: Venezuela, Cile, Uruguay e Filippine.Vorrei essere ancor più esplicitamente critico sul mio libro del 1984: la debolezza principale non è tanto lo scarso spazio dedicato al contrasto tra presidenzialismo e parlamentarismo (circa 12 pagine su 222, cioè un po’ più del 5% del libro) ma piuttosto il fatto che la discussione non è sufficientemente integrata con la comparazione della democrazia maggioritaria e consensuale, che costituisce il tema principale del lavoro. In particolare, ho definito presidenzialismo e parlamentarismo in riferimento a due caratteristiche contrastanti, ignorando una terza cruciale distinzione, ed ho poi legato il contrasto presidenziale/parlamentare ad una sola delle differenze tra democrazia consensuale e maggioritaria, ignorando il suo impatto su numerose altre distinzioni. L'obiettivo di questo articolo è correggere queste lacune e stabilire la connessione generale tra il contrasto presidenziale/parlamentare e quello maggioritario/consensuale.Come Linz, il mio atteggiamento sarà critico verso il presidenzialismo, ma tale critica si baserà su argomenti in parte diversi. L'argomento principale di Linz (1987, 11) riguarda «la rigidità che il presidenzialismo introduce nel processo politico e la flessibilità di gran lunga maggiore di questo processo nei sistemi parlamentari». Concordo pienamente con Linz e, in aggiunta, sono d'accordo che rigidità e immobilismo costituiscono i più seri punti deboli del presidenzialismo. In questo articolo la mia critica si concentrerà su una ulteriore debolezza della forma presidenziale di governo: la sua potente inclinazione verso la democrazia maggioritaria e il fatto che, nel gran numero di paesi in cui un naturale consenso di fondo è assente, appare necessaria una forma di democrazia consensuale invece che maggioritaria. Questi paesi comprendono non solo quelli caratterizzati da profonde fratture etniche, razziali e religiose, ma anche quelli con intense divisioni politiche che originano da una storia recente di guerra civile o dittatura militare, enormi diseguaglianze socio-economiche e così via. Inoltre, nei paesi in via di democratizzazione o di ri-democratizzazione le forze non-democratiche devono essere rassicurate e riconciliate ed è necessario fargli accettare l'idea non solo di abbandonare il potere, ma anche di non insistere nel pretendere il mantenimento di «domini riservati» di potere non-democratico all'interno del nuovo, e per gli altri versi democratico, regime. La democrazia consensuale, che è caratterizzata dalla condivisione, dalla limitazione e dalla dispersione del potere, ha molte più probabilità di raggiungere questo obiettivo che non il diretto dominio maggioritario. Come Philippe C. Schmitter ha suggerito, democrazia consensuale significa democrazia «difensiva», che per le minoranze etno-culturali e politiche risulta meno minacciosa dell' «aggres-sivo» governo maggioritario.Tratterò questo tema in tre fasi. In primo luogo definirò il presidenzialismo in riferimento a tre essenziali caratteristiche. In secondo luogo mostrerò che, specialmente come risultato della sua terza caratteristica, il presidenzialismo ha una forte tendenza a rendere la democrazia più maggioritaria. Infine, esaminerò le varie caratteristiche non-essenziali del presidenzialismo — caratteristiche che, benché presenti di frequente, non sono elementi distintivi della forma di governo presidenziale — ed il loro impatto sul grado di consensualità o maggioritarietà della democrazia.
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Costa, Achylles De Brito, Clara Kelliany Rodrigues De Brito, and Ana Campina. "L’influenza brasiliana nel nuovo costituzionalismo latinoamericano." Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, December 4, 2020, 72–87. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/legge/influenza-brasiliana.

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Abstract:
Il lavoro sullo schermo mira a dimostrare una nuova forma di movimento costituzionalista che ha guadagnato nuovi contorni in America Latina, chiamato dalla dottrina del nuovo costituzionalismo latinoamericano. Questo movimento ha preso il suo cuore a causa del processo politico-giuridico che si è verificato negli ultimi decenni, volto a garantire i diritti delle minoranze, il cui quadro teorico deriva anche dalla Costituzione brasiliana del 1988 e dal suo pregiudizio neo-costituzionalista, molto criticato, al momento della sua promulgazione, per essere troppo dettagliato o “garantista”. Ma ora, attraverso il suo positivismo che certifica i diritti fondamentali e le garanzie influenza il nuovo movimento costituzionale, con cambiamenti e garanzie ancora più profondi nelle costituzioni dei paesi latini che cercano di positivarsi nelle loro costituzioni politiche affermative, inclusive e garanti, nonché un’evoluzione costituzionale e normativa basata su determinati criteri, valori, interessi e obiettivi propri.
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Costa, Achylles De Brito, Clara Kelliany Rodrigues De Brito, and Ana Campina. "L’influenza brasiliana nel nuovo costituzionalismo latinoamericano." Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, December 4, 2020, 72–87. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/legge/influenza-brasiliana.

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Abstract:
Il lavoro sullo schermo mira a dimostrare una nuova forma di movimento costituzionalista che ha guadagnato nuovi contorni in America Latina, chiamato dalla dottrina del nuovo costituzionalismo latinoamericano. Questo movimento ha preso il suo cuore a causa del processo politico-giuridico che si è verificato negli ultimi decenni, volto a garantire i diritti delle minoranze, il cui quadro teorico deriva anche dalla Costituzione brasiliana del 1988 e dal suo pregiudizio neo-costituzionalista, molto criticato, al momento della sua promulgazione, per essere troppo dettagliato o “garantista”. Ma ora, attraverso il suo positivismo che certifica i diritti fondamentali e le garanzie influenza il nuovo movimento costituzionale, con cambiamenti e garanzie ancora più profondi nelle costituzioni dei paesi latini che cercano di positivarsi nelle loro costituzioni politiche affermative, inclusive e garanti, nonché un’evoluzione costituzionale e normativa basata su determinati criteri, valori, interessi e obiettivi propri.
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Montaldi, Massimo. "Anthropology applied to the analysis of social deviances and the effects of uprooting on individual trans-generational behavior / Antropologia applicata all’analisi delle devianze sociali e gli effetti dello sradicamento sul comportamento individuale trans generazionale / Antropología aplicada al análisis de las desviaciones sociales y de los efectos del desarraigo en el comportamiento transgeneracional individual." Rivista di Psicopatologia Forense, Medicina Legale, Criminologia, October 8, 2019. http://dx.doi.org/10.4081/psyco.2019.64.

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Abstract:
This article aims to clarify some points of view and aspects on the relationship between multiculturalism and migration, and the relationship between minor and major normative jurisprudences, against the dynamic background of historical and anthropological processes, in a criminological perspective, and using some theories that argue why the phenomena of deviance are associated with intercultural and ethnic contexts. The interaction between outgroup and ingroup, while modern societies are engaged in solving problems related to the management and control of regulatory deviance, seems to bring out spaces to think, thanks to the onset of the ethnographic method in criminological studies. Criminology and ethnography can therefore profitably experiment with a scientific relationship, in the light of the sociology of deviance. New concepts invite to formulate a different approach, less constrained by specializations, but tending to obtain a result of a balanced scientific exchange full of perspectives. In this way, some of the reasons behind the deviant behavior among minorities will appear clearer. It can be argued, for example, that concepts of proximal and distal stress expand the translations of the problem. The cessation of the social bond, the semantic differences between landless and native minorities, seem to have a role in the dynamics of deviance, psychopathology, and crime. The sub-cultural community, the training and educational conditions are all recurrent themes, but they often assume an unexpected value in the eternal struggle for space. The class struggle and the reasons behind the enormous amount of laws appear to be the result of contrasting relationships between majorities and minorities. The problem of cultural deviances does not always seem clear and complete, if interpreted by the individual sciences, they easily run into scientific reductionism and redundancy. Stitching together edges that tend to remain far away could be possible only provided that the different perspectives can be connected, and that the tool of comparative ethnography is regarded as a fruitful link with criminology. Semantics is enriched with concepts, such as the syndrome of socio-cultural adoption, probes the implications of the cultural bond that redefines the existential plots of the condition of the migrant in modernity. The disruptive effects of the stress of minorities, or the disbelief of minorities towards the normative majority, are only some of the concepts with which I have tried to represent the motivations that are at the base of a basic hostility of some social communities to the rules. A multi-scientific approach has an experimental structure, a crossroads of different experiences, which aims to build lexicons and widen and diversify the semantics of deviance, questioning the particularisms and the singular exasperation of the perspectives of hermeneutic excesses. As Europe prepares to deal with the impact of epochal migration, the comparative method is able to provide empirical considerations for a reading consistent with history, and less involved with academic speculation, and ideological needs. Understanding the dynamics that underlie the criminal deviance between minorities, is not only an exercise of absolute social vanguard, but tends to build new bases and theoretical and practical references better systematized, which dictate complex work agendas, expanding the knowledge on the real relationship between criminal deviance and ethnic communities. RiassuntoQuesto articolo si propone di chiarire alcuni punti di vista e aspetti sulle relazioni tra multiculturalismo e migrazione, e il rapporto tra minoranze e maggioranze normative, sullo sfondo dinamico di processi storici e antropologici, in una prospettiva criminologica, e utilizzando alcune teorie che argomentano i motivi per i quali le fenomenologie della devianza si associano ai contesti interculturali ed etnici. L'interazione tra outgroup ed ingroup, mentre le società moderne sono impegnate nella soluzione di problemi legati alla gestione ed al controllo della devianza normativa, sembra far emergere spazi di riflessione grazie all’irruzione del metodo etnografico negli studi criminologici. Criminologia ed etnografia, possono dunque proficuamente sperimentare una relazione scientifica, alla luce della sociologia della devianza. Nuovi concetti invitano a riformulare un approccio meno costretto dalle specializzazioni, ma tendente ad ottenere un risultato di uno scambio scientifico equilibrato e denso di prospettive. Appariranno più chiare in tal modo, alcuni delle motivazioni retrostanti alla condotta deviante tra le minoranze. Si può sostenere, per esempio, che concetti di stress prossimale e distale, ampliano le traduzioni del problema. La cessazione del legame sociale, le differenze semantiche tra minoranze senza terra e minoranze native, sembrano avere un ruolo nella dinamica della devianza, della psicopatologia, della delinquenza. La comunità sub culturale, la formazione e le condizioni di istruzione, sono temi ricorrenti, tuttavia assumono sovente un valore imprevisto nella lotta eterna per lo spazio. La lotta di classe e le ragioni che stanno dietro alla enorme mole di normativa, appaiono il frutto di rapporti di contrasto tra maggioranza e minoranze. Non appare sempre chiaro e completo il problema delle devianze culturali, se interpretato dalle singole scienze, incorrono facilmente nel riduzionismo e nella ridondanza scientifica. Un lavoro di ricucitura di margini che tendono a mantenersi lontani, è possibile a patto che le prospettive sappiano comunicare tra loro, e lo strumento dell’etnografia comparata si profila una proficua connessione con la criminologia. La semantica si arricchisce di concetti, come ad esempio la sindrome dell’adozione socioculturale, sonda le implicazioni del legame culturale che ridefinisce le trame esistenziali della condizione del migrante nella modernità. Gli effetti dirompenti dello stress delle minoranze, o la diffidenza delle minoranze verso la maggioranza normativa, sono solo alcuni dei concetti con cui ho cercato di rappresentare le motivazioni che stanno alla base di un'ostilità di fondo di alcune comunità sociali, rispetto alle regole. Un approccio multi scientifico ha un assetto sperimentale, incrocio di esperienze diverse, che mirano a costruire lessici e ampliare e diversificate le semantiche della devianza, mettendo in discussione i particolarismi e l'esasperazione singolare delle prospettive degli eccessi ermeneutici. Mentre l'Europa si appresta ad affrontare l'impatto di una migrazione epocale, il metodo comparativo è in grado di fornire le considerazioni empiriche per una lettura coerente con la storia, e meno coinvolte con la speculazione accademica, e le esigenze ideologiche. Capire le dinamiche che sotto intendono la devianza criminale tra le minoranze, è un esercizio non solo di assoluta avanguardia sociale, ma tende a costruire basi nuove e riferimenti teorici e pratici meglio sistematizzati, che dettano agende di lavoro complesse, allargando la conoscenza sul rapporto reale tra devianza criminale e comunità etniche. ResumenEste artículo se propone aclarar los puntos de vista y aspectos sobre las relaciones entre multiculturalismo y migración, y la relación entre minorías y mayorías normativas, en el fondo dinámico de procesos históricos y antropológicos. En una perspectiva criminológica, y utilizando algunas teorías que argumentan los motivos por los cuales las fenomenologías de las desviaciones se asocian a los contextos interculturales y étnicos. La interacción entre outgroup e ingroup, mientras las sociedades modernas están ocupadas en la solución de los problemas ligados a la gestión y al control de la desviación normativa, parece que hacen surgir espacios de reflexión gracias a la introducción de la metodología etnográfica en los estudios criminológicos. Criminología y etnografía, pueden entonces experimentar rentablemente una relación científica, bajo la luz de la sociología de la desviación. Nuevos conceptos invitan a reformular un enfoque menos forzado por las especializaciones, pero con la tendencia en obtener un resultado de un intercambio científico equilibrado y lleno de perspectivas. Aparecerán más claras de esta manera, algunas de las motivaciones que están detrás de la conducta desviada entre las minorías. Se puede sostener, por ejemplo, que conceptos como stress proximal y distal, amplían las traducciones del problema. La ruptura del lazo social, las diferencias semánticas entre minorías sin tierra y minorías nativas, parecen tener un rol en la dinámica de la desviación, de la psicopatología y de la delincuencia. La comunidad sub-cultural, la formación y las condiciones de instrucción, son temas recurrentes, sin embargo, asumen a menudo un valor imprevisto en la lucha eterna por el espacio. La lucha de clase y las razones que están detrás a la gran masa normativa, parecen el fruto de relaciones de contraste entre mayorías y minorías. No parece siempre claro y completo el problema de las desviaciones culturales, si es interpretado por las ciencias individuales, incurren fácilmente en el reduccionismo y en la redundancia científica. Un trabajo de reparación de márgenes que tienen la tendencia a mantener la distancia, es posible siempre y cuando las perspectivas sepan comunicarse entre ellas, y el instrumento de la etnografía comparada pueda conectarse rentablemente con la criminología. La semántica se enriquece de conceptos, como por ejemplo el síndrome de la adopción sociocultural, sondea las implicaciones del lazo cultural que redefinen la parte existencial de la condición del migrante en la modernidad. Los efectos disruptivos del stress de las minorías, o la diferencia de las minorías hacia las mayorías normativas, son solo algunos de los conceptos con los que busqué representar las motivaciones que están en la base de la hostilidad de algunas comunidades sociales, con respecto a las reglas. Un enfoque multicientífico tiene un corte experimental, cruce de experiencias diferentes, que velan por construir léxicos, ampliar y diferenciar las semánticas de la desviación, poniendo en discusión los particularismos y la exasperación singular de las perspectivas de los excesos hermenéuticos. Mientras Europa se alista para afrontar el impacto de una migración épica, la metodología comparativa puede suministrar las consideraciones empíricas para una lectura coherente con la historia, y menos involucrada con la especulación académica, y las exigencias ideológicas. Entender las dinámicas que definen la desviación criminal entre las minorías, es un ejercicio no solo de absoluta vanguardia social, sino que tiene la tendencia en construir bases nuevas y referencias teóricas y prácticas mejor sistematizadas, que dictan agendas de trabajo complejas, engrandeciendo el conocimiento sobre la relación real entre desviación criminal y comunidades étnicas.
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"Capitolo 2: Verso una definizione di “indigeno”." Epidemiologia e psichiatria sociale. Monograph Supplement 11, S4 (March 2002): 23–25. http://dx.doi.org/10.1017/s1827433100000496.

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Abstract:
Ad un primo esame la definizione di “indigeno” può apparire cosa facile, ma, ad un indagine più accurata, essa non si mostra un compito semplice. Nell'emisfero occidentale può essere ovvio identificare quali gruppi classificare come indigeni; ad esempio quei popoli che vivevano nel Nord e nel Sud America prima del contatto con gli europei e l'inizio della colonizzazione verso la fine del XV secolo. Una simile definizione può essere applicata in riferimento ai popoli dell'Oceania: i gruppi aborigeni dell'Australia e della Nuova Zelanda non incontrerebbero nessuna difficoltà ad essere compresi nella definizione di popolazioni indigene. Ma cosa dire delle popolazioni della Micronesia le cui isole ancestrali non sono state tutte colonizzate ed annientate dagli europei o dall'espansionismo asiatico ma che hanno sperimentato rapidi cambiamenti socioculturali attraverso il contatto con grandi e più potenti forze provenienti dall'esterno? Cosa dire delle minoranze etniche che vivono dentro società più estese? Le minoranze nazionali della Cina e le riconosciute tribù dell'India costituiscono popolazioni indigene allo stesso modo degli indiani americani? Una simile domanda si può porre per l'Africa. I San Basarla dell'Africa meridionale ed i Pigmei dell'Africa centrale possono ovviamente essere considerate popolazioni indigene. Ma cosa dire degli altri gruppi tribali dell'Africa sub-Sahariana?
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Avellis, Michela. "Scelta linguistica e identità nella popolazione bilingue ucraina." Altre Modernità, September 30, 2022, 256–76. http://dx.doi.org/10.54103/2035-7680/18774.

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Abstract:
Nel 1991, la conquista dell’indipendenza da parte dell’Ucraina ha portato alla (ri)scoperta di un’identità nazionale e ha posto in primo piano la questione della lingua. Da allora, la lingua ucraina ha visto crescere il proprio status e ha iniziato ad essere utilizzata in sempre più domini comunicativi, mentre, parallelamente, la nuova Costituzione dichiarava il russo lingua di una minoranza nazionale. Tuttavia, il censimento del 2001 e altri sondaggi più recenti mostrano l’esistenza di un cospicuo gruppo di madrelingua russi, e rilevano che l’uso del russo come principale lingua di comunicazione riguarda un numero di persone che eccede la comunità madrelingua. Il presente articolo contribuisce a verificare la situazione sociolinguistica della lingua russa, presentando i risultati principali della ricerca sul campo che ho condotto in Ucraina nel 2018. Dall’analisi quantitativa e qualitativa dei dati raccolti emergono la complessità del contesto linguistico e culturale ucraino e il conflitto interiore che accompagna il problema della scelta linguistica: essa è, infatti, legata all’interrogativo riguardo alla propria identità e alla difficoltà diffusa a determinare un confine tra ciò che è ‘proprio’ e ciò che è ‘altro’.
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