Journal articles on the topic 'Minoranza nazionale'

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Fellegara, Anna Maria, Veronica Tibiletti, and Pier Luigi Marchini. "La disclosure sulla corporate governance nei gruppi, strumento di tutela di interessi diffusi. Un'analisi critica nel contesto italiano." FINANCIAL REPORTING, no. 1 (February 2011): 9–35. http://dx.doi.org/10.3280/fr2011-001002.

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Abstract:
Nella normativa nazionale, il concetto di gruppo aziendale non è precisamente definito. Di conseguenza, il riconoscimento dei confini di gruppo non è sempre immediato, il che può implicare difficoltà nell'individuazione delle responsabilità delle scelte economiche assunte al suo interno. Tale circostanza può danneggiare gli interessi dei soci di minoranza. Con riferimento a questi temi, in Italia sono state introdotte regole volte a rendere maggiormente trasparenti gli assetti proprietari nei gruppi aziendali. Gli autori si propongono di analizzare qualità ed efficacia della comunicazione in tema didei gruppi aziendali, con particolare riferimento agli effetti prodotti dalla normativa in materia di direzione e coordinamento di società.
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Antonelli, Quinto. "Una società che si racconta." REVISTA DE HISTORIOGRAFÍA (RevHisto), no. 37 (July 21, 2022): 79–94. http://dx.doi.org/10.20318/revhisto.2022.7056.

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Abstract:
Per il suo radicamento locale, l’Archivio della scrittura popolare di Trento ha avuto una storia molto specifica. Ha assunto, dapprima, le funzioni di un «contro-archivio» (raccogliere e conservare le scritture delle classi sociali subalterne), rimanendo tuttavia anche il luogo della memoria della minoranza italiana all’epoca dell’impero asburgico. Ha accolto in seguito i piccoli archivi famigliari con le tante scritture legate alla casa (perlopiù contadina). E infine, con il deposito delle lettere delle ammiratrici e ammiratori della cantante Gigliola Cinquetti, è diventato un archivio d’importanza nazionale, superando, nella qualità delle scritture raccolte, anche la definizione così connotativa di «popolare».
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3

Berardi, Silvio. "Le colonie italiane nel secondo dopoguerra: il Partito repubblicano e la questione somala (1948-1950)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (July 2012): 91–118. http://dx.doi.org/10.3280/mon2012-001004.

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Abstract:
Il saggio intende ricostruire una tra le pagine piů complesse della politica coloniale italiana: la questione somala dai tragici fatti di Mogadiscio dell'11 gennaio 1948 al ritorno italiano in Somalia del 1950. La stampa nazionale fu concorde nel ritenere indirettamente responsabili dell'eccidio i funzionari britannici in Somalia, incapaci di tutelare e proteggere la comunitŕ italiana presente sul territorio. Il Partito repubblicano, impegnato in una difficile e complessa riorganizzazione interna, evitň di prendere nell'immediato una posizione ufficiale. Il ministro degli Esteri, il repubblicano Carlo Sforza, intervenendo a Napoli al XX congresso del partito, in cui l'orientamento prevalente fu quello di continuare a sostenere l'esecutivo e le politiche democristiane, escluse la responsabilitŕ del governo britannico nella strage. All'interno del partito, tuttavia, si stavano delineando delle frizioni, del resto sempre presenti, ma mai cosě ben avvertite: mentre la maggioranza era vicina alla posizione di Sforza di favorire il ritorno degli italiani negli antichi territori somali al fine di stimolare la collaborazione tra Europa ed Africa e salvare l'onore nazionale, una piccola minoranza, composta tra gli altri da Giovanni Conti e Giulio Andrea Belloni, richiamandosi agli antichi ideali del Partito repubblicano, era contraria a tale ritorno. La posizione "colonialista" risultň vincitrice, anche per l'emergere di una nuova classe dirigente, destinata a modificare, non senza contraccolpi, gli orientamenti del partito stesso.
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Vicenza, Giordano. "Multiculturalismo Specifico in Svizzera." INFLUENCE : International Journal of Science Review 1, no. 2 (August 25, 2019): 1–9. http://dx.doi.org/10.54783/influence.v1i2.87.

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Abstract:
Ci sono numerose aree, culture e lingue in Svizzera. In Svizzera, le minoranze sono per lo più minoranze etno-linguistiche la cui lingua comune è unificata. Lo Stato elvetico è stato quindi considerato uno Stato multilingue sin dalla costituzione della Confederazione nel 1848. La Confederazione ei Cantoni devono preservare le minoranze linguistiche. I fondamenti della struttura sociale svizzera sono due principi: libertà linguistica (Sprachenfreiheit) e territorialità con multiculturalismo storico e quattro lingue nazionali (Territorialitätsprinzip). Non esiste una religione di stato ufficiale in Svizzera. La religione predominante è il cristianesimo, l'islam è la più grande minoranza religiosa. Le maggiori confessioni cristiane sono quella cattolica (37,7%) e la CRS (25,5 per cento). La Svizzera ha iniziato l'afflusso di nuove minoranze culturali dopo la seconda guerra mondiale ed era fortemente legata alla migrazione economica e al massiccio numero di lavoratori ospiti dal Terzo mondo e dall'ex Jugoslavia nell'Europa meridionale. La tutela delle minoranze nazionali, ma non delle minoranze culturali, coinvolge il diritto internazionale. La tutela delle minoranze nazionali in Svizzera si basa anche su norme internazionali.
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Linz, Juan J. "PLURINAZIONALISMO E DEMOCRAZIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 25, no. 1 (April 1995): 21–50. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200023327.

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Abstract:
IntroduzionePochi Stati sono Stati nazionali, e gran parte delle nazioni non sono destinate a raggiungere la condizione di Stato sovrano. Una trasformazione delle società plurinazionali in Stati nazionali «monocromatici» come quelli esistenti in passato è impossibile nel contesto di istituzioni liberaldemocratiche. La maggioranza delle cosiddette «nuove nazioni» sono in realtà Stati multinazionali o quantomeno multiculturali. Non solo i cittadini risiedono geograficamente in ambiti frammisti; le loro famiglie hanno un background eterogeneo e, dato non meno e forse più importante, hanno identità duali. Le istituzioni e i processi democratici devono riconoscere queste situazioni di fatto, questo tipo di pluralismo. In che misura, in uno Stato democratico, il pluralismo deve essere basato sulla rappresentanza e sui diritti di gruppo oppure sui diritti individuali? In che misura particolari soluzioni istituzionali rischiano di condurre ad un conflitto tra questi due principii ed approcci nel contesto della politica democratica? In che modo sarà protetta la libertà degli individui di scegliere la propria identità senza vedersi imporre identità inclusive? Questi sono problemi teorici e pratici sia per le democrazie contemporanee, sia per i paesi avviati verso la democrazia. Come potranno, gli Stati democratici multinazionali, guadagnarsi una legittimità sufficiente a rendere i processi decisionali democratici possibili e compatibili con il pluralismo nazionale e culturale? In particolare, come si potrà, in società di questo genere, rendere compatibile il federalismo con i diritti delle minoranze all'interno di unità territoriali, se in queste unità esistono maggioranze «nazionali»? Se non diamo soluzione a questi interrogativi, rischiamo di riprodurre in scala ridotta i problemi creati dai fondatori degli Stati nazionali in società multinazionali. Quali forme può assumere il pluralismo nazionale e culturale nelle società democratiche, e qual è il ruolo che le istituzioni e i processi democratici possono svolgere per rendere compatibili il pluralismo e la libertà individuale? Questi sono alcuni dei quesiti che dobbiamo sollevare e a cui dobbiamo dare risposta.
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Colombo, Alessandro. "MINORANZE E SICUREZZA NAZIONALE IN MEDIO ORIENTE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 23, no. 1 (April 1993): 39–65. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200022048.

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Abstract:
IntroduzioneL'invasione del Kuwait e la guerra civile seguita alla sconfitta dell'Iraq hanno inferto un duro colpo alle semplificazioni più comuni della situazione mediorientale; quella, caratteristica delle fasi acute di tensione bipolare, che collocava le cause del conflitto fuori della regione, nella competizione Est/Ovest; quella, non meno parziale, centrata sul conflitto arabo-israeliano, che riportava all'interno del Medio Oriente le radici dell'instabilità ma non rinunciava a ricondurle tutte ad una sola; quella più recente, infine, del «nuovo ordine internazionale», che proprio dal «discorso» bipolare deduceva che, una volta venuto meno il conflitto tra le superpotenze, anche i conflitti regionali si sarebbero avviati a soluzione.
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Argenti Tremul, Alessandra. "Il Capodistriano del dopoguerra nelle fonti d’archivio conservate in Slovenia e Croazia." Histria : the Istrian Historical Society review 2, no. 2 (2012): 205–19. http://dx.doi.org/10.32728/h2012.08.

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Abstract:
L’autrice, dopo aver visionato gli archivi regionali e nazionali, che conservano i fondi relativi all’amministrazione della zona B del Territorio Libero di Trieste, presenta una scelta delle raccolte analizzate. Queste possono venir oggi utilizzate per delineare in maniera sempre più chiara le vicende occorse nella penisola istriana dal 1945 al 1956, ed alcuni suoi momenti fondamentali come la rottura con il Cominform, l’amministrazione locale, il trasferimento di massa della popolazione autoctona. In questo periodo, dopo una lunga e plurisecolare permanenza sul proprio territorio d’insediamento storico, la popolazione italiana diventa minoranza. Un contributo importante allo sviluppo della storiografia regionale può essere dato pure da fonti di nuova tipologia, come ad esempio i filmati e le fotografie d’epoca, fino ad ora usate in parte minima.
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Slater, Tom. "The ghetto as stigmatizing mythology: three European examples." SOCIOLOGIA URBANA E RURALE, no. 125 (August 2021): 24–39. http://dx.doi.org/10.3280/sur2021-125002.

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Abstract:
Questo articolo affronta l'annosa questione del "ghetto", soffermandosi in particolare sulla pericolosa mitologia e sul panico politico che circonda il termine. A partire dall'uso opportunistico del termine ghetto, si mostra come questo sia una strategia politica di stigmatizzazione di aree in cui vivono in gran parte le minoranze etniche, in particolare quelle che risiedono in complessi di edilizia popolare, fondamentalmente dissoluti e irrimediabilmente disorganizzati. Concentrandosi su tre contesti nazionali, Gran Bretagna, Danimarca e Belgio, l'articolo attinge alla concettualizzazione del ghetto di Loïc Wacquant per sostenere che le costruzioni fittizie di "ghetti" hanno tutto a che fare con la denigrazione razziale della vita delle persone che non può essere separato dalla intensa stigmatizzazione dei luoghi in cui vivono.
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Zappia, Andrea. "Inserire una minoranza nello spazio cittadino. Il caso della comunità ebraica di Genova (1658-1737)." STORIA URBANA, no. 167 (May 2021): 119–45. http://dx.doi.org/10.3280/su2020-167007.

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Abstract:
Il presente studio si propone di ripercorrere le vicende relative alla comunita ebraica genovese, specie nel suo rapporto con gli spazi cittadini, negli anni compresi tra i primi Capitoli della nazione ebrea concessi nel 1658 e l'ultima espulsione dalla citta, decretata nel 1737 e concretizzatasi sei anni dopo. Conseguentemente all'arrivo a Genova di un certo numero di ebrei, nell'agenda politica del patriziato si impose la questione del ghetto, che richiedeva lo studio di soluzioni di natura urbanistica ma che d'altra parte presentava ricadute sociali, economiche e culturali da valutare con grande attenzione. Lo smantellamento dei cancelli del ghetto avvenuto nel 1679, e la collocazione degli ebrei nel tessuto urbano, rendeva necessario ripensare la convivenza tra la popolazione autoctona e questa minoranza. Il mancato raggiungimento dell'equilibrio, le difficolta legate all'individuazione di una nuova area per l'erezione di un nuovo ghetto, oltre al definitivo tramonto dell'idea di riattivare un imponente traffico commerciale con il Levante, furono i motivi che causarono nel 1737 la revoca dei Capitoli e la conseguente cacciata degli ebrei dalla citta.
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Reill, Dominique. "Brigitte Mazohl and Paolo Pombeni, eds. Minoranze negli imperi: Popoli fra identità nazionale e ideologia imperiale. Bologna: Società editrice il Mulino, 2012. Pp. 470, tables." Austrian History Yearbook 45 (April 2014): 262–63. http://dx.doi.org/10.1017/s0067237813000878.

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Avellis, Michela. "Scelta linguistica e identità nella popolazione bilingue ucraina." Altre Modernità, September 30, 2022, 256–76. http://dx.doi.org/10.54103/2035-7680/18774.

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Abstract:
Nel 1991, la conquista dell’indipendenza da parte dell’Ucraina ha portato alla (ri)scoperta di un’identità nazionale e ha posto in primo piano la questione della lingua. Da allora, la lingua ucraina ha visto crescere il proprio status e ha iniziato ad essere utilizzata in sempre più domini comunicativi, mentre, parallelamente, la nuova Costituzione dichiarava il russo lingua di una minoranza nazionale. Tuttavia, il censimento del 2001 e altri sondaggi più recenti mostrano l’esistenza di un cospicuo gruppo di madrelingua russi, e rilevano che l’uso del russo come principale lingua di comunicazione riguarda un numero di persone che eccede la comunità madrelingua. Il presente articolo contribuisce a verificare la situazione sociolinguistica della lingua russa, presentando i risultati principali della ricerca sul campo che ho condotto in Ucraina nel 2018. Dall’analisi quantitativa e qualitativa dei dati raccolti emergono la complessità del contesto linguistico e culturale ucraino e il conflitto interiore che accompagna il problema della scelta linguistica: essa è, infatti, legata all’interrogativo riguardo alla propria identità e alla difficoltà diffusa a determinare un confine tra ciò che è ‘proprio’ e ciò che è ‘altro’.
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Coulouma, Sarah. "Dalla crescita turistica di un villaggio alla delocalizzazione della sua popolazione: fenomenologia di una relazione gerarchica tra lo stato cinese e la minoranza nazionale wa." Via Tourism Review, no. 16 (December 31, 2019). http://dx.doi.org/10.4000/viatourism.4412.

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"Capitolo 2: Verso una definizione di “indigeno”." Epidemiologia e psichiatria sociale. Monograph Supplement 11, S4 (March 2002): 23–25. http://dx.doi.org/10.1017/s1827433100000496.

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Abstract:
Ad un primo esame la definizione di “indigeno” può apparire cosa facile, ma, ad un indagine più accurata, essa non si mostra un compito semplice. Nell'emisfero occidentale può essere ovvio identificare quali gruppi classificare come indigeni; ad esempio quei popoli che vivevano nel Nord e nel Sud America prima del contatto con gli europei e l'inizio della colonizzazione verso la fine del XV secolo. Una simile definizione può essere applicata in riferimento ai popoli dell'Oceania: i gruppi aborigeni dell'Australia e della Nuova Zelanda non incontrerebbero nessuna difficoltà ad essere compresi nella definizione di popolazioni indigene. Ma cosa dire delle popolazioni della Micronesia le cui isole ancestrali non sono state tutte colonizzate ed annientate dagli europei o dall'espansionismo asiatico ma che hanno sperimentato rapidi cambiamenti socioculturali attraverso il contatto con grandi e più potenti forze provenienti dall'esterno? Cosa dire delle minoranze etniche che vivono dentro società più estese? Le minoranze nazionali della Cina e le riconosciute tribù dell'India costituiscono popolazioni indigene allo stesso modo degli indiani americani? Una simile domanda si può porre per l'Africa. I San Basarla dell'Africa meridionale ed i Pigmei dell'Africa centrale possono ovviamente essere considerate popolazioni indigene. Ma cosa dire degli altri gruppi tribali dell'Africa sub-Sahariana?
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"Capitolo 5: La salute mentale delle popolazioni indigene." Epidemiologia e psichiatria sociale. Monograph Supplement 11, S4 (March 2002): 37–46. http://dx.doi.org/10.1017/s1827433100000526.

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Abstract:
Una rassegna della letteratura riguardante la salute mentale delle popolazioni indigene rivela che esistono pochi dati a riguardo. Per esempio, questa rassegna non ha evidenziato di fatto nessuna informazione sulle tribù dell'India ufficialmente registrate dal governo di quel paese, sulle minoranze nazionali della Cina, oppure sui popoli indigeni dell'Africa (6). Il lavoro delle organizzazioni come Cultural Survival, International Work Group for Indigenous Affairs, UN Working Group on Indigenous Populations, World Council of Indigenous Peoples e molti altri organismi locali documenta le privazioni e le ingiustizie sopportate dai popoli indigeni. Malgrado ciò poco di questo lavoro fa direttamente riferimento alla salute mentale. In molti casi è possibile soltanto fare delle congetture circa l'estensione e la natura dei disordini mentali nell'ambito di gruppi specifici di popoli indigeni. Pertanto le informazioni che seguono sono nella migliore delle ipotesi impressionistiche e preliminari, specialmente alla luce dei problemi metodologici già discussi.
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Filippini, Caterina. "Le conseguenze della pandemia da COVID-19 sui diritti culturali delle minoranze nazionali in Europa centro orientale, baltica e balcanica." Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società (NAD-DIS) 4, no. 1 (June 29, 2022). http://dx.doi.org/10.54103/2612-6672/18118.

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Abstract:
The analysis of the consequences of the COVID-19 pandemic on the cultural rights of national minorities in the countries of Central Eastern, Baltic and Balkan Europe (CEBBE) cannot ignore the fact that since the end of the 1980s, the forms of State of these countries – “inspired”, albeit in different measures, by the Socialist one – have been affected by a number of changes, which in turn influenced their models of minority protection. The article therefore pays particular attention to the relationship between the evolution of the forms of States in CEBBE countries and the shaping of new models of protection of cultural rights of minority groups. This analysis is functional not only to identify in a comparative perspective similarities and differences between the models of protection of minority cultural rights, but above all to verify the effective guarantee of the same in the context of the democratic backsliding experienced by some CEBBE countries, further exacerbated by the COVID-19 pandemic.
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