Academic literature on the topic 'METODOLOGIE DI BIOMONITORAGGIO DELL'ALTERAZIONE AMBIENTALE'

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Dissertations / Theses on the topic "METODOLOGIE DI BIOMONITORAGGIO DELL'ALTERAZIONE AMBIENTALE"

1

Falomo, Jari. "Sviluppo di metodiche innovative nel campo del biomonitoraggio ambientale." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3167.

Full text
Abstract:
2007/2008
Il lavoro svolto per il conseguimento del Dottorato di Ricerca mira allo sviluppo di metodiche originali per la determinazione di microinquinanti organici nell’ambiente che possano essere applicate in piani di monitoraggio ambientale su larga scala. Sono state impiegate metodiche analitiche innovative e processi di accumulo e bioaccumulo per mappare la distribuzione ambientale di contaminanti chimici pericolosi ed identificare aree esposte a stress ambientali su cui focalizzare interventi di gestione. Le attività sono state svolte in stretta collaborazione con il Dipartimento Provinciale di Trieste dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG). Tale circostanza ha orientato il lavoro verso lo sviluppo di metodologie caratterizzate da economia operativa, sia in termini di tempi d’esecuzione, che di costi e semplicità d’uso. Questo perché i metodi di riferimento richiedono spesso procedure lunghe e/o costose, difficili da affrontare da parte di organi di controllo su cui gravano carichi operativi routinari elevati. In dettaglio il lavoro è stato articolato in due filoni principali distinti. Il primo studio riguarda lo sviluppo di un metodo di analisi di composti organostannici in ambiente marino. Tali sostanze (in particolare il tributilstagno) sono state impiegate per decenni come additivi antivegetativi nelle pitture navali e ad esse è stato attribuito un effetto come modulatori endocrini (endocrine disruptors) su organismi marini. Tra gli effetti più noti di queste sostanze c’è il fenomeno dell’imposex nei gasteropodi marini, ossia l’imposizione di caratteri maschili su individui femmine. Gli attuali metodi di riferimento sono difficoltosi soprattutto in termini di preparazione dei campioni, impedendo così la pianificazione di monitoraggi su larga scala per valutare la presenza ed il bioaccumulo di queste sostanze nell’ecosistema marino. Tali informazioni sono fondamentali per lo sviluppo di modelli interpretativi che mettano in relazione la presenza di questi stressori ambientali con alterazioni fisiologiche negli organismi che ne vengono a contatto. Sono state messe a punto ed ottimizzate delle metodiche automatizzabili ed accurate per la determinazione del tributilstagno e dei suoi prodotti di degradazione in acque, sedimenti e biota, sfruttando la microestrazione in fase solida (SPME) accoppiata alla gascromatografia con rivelazione di massa. Le metodiche sono state validate attraverso l’analisi di materiali di riferimento certificati e la partecipazione, con risultati molto positivi, a circuiti di calibrazione interlaboratorio di livello internazionale. Il metodo applicato alle matrici biologiche è stato testato su ecosistemi della regione Friuli Venezia Giulia, confermando di essere veloce e sensibile e fornendo il territorio di un presidio di controllo efficace anche per questi contaminanti, i cui effetti sull’uomo non sono ancora stati approfonditi. Il secondo studio è stato basato sull’identificazione di metodi di screening tramite campionatori passivi per valutare la presenza di Idrocarburi Policiclici Aromatici aerodispersi nell’ambiente terrestre. Tali inquinanti hanno un’elevata rilevanza ambientale in quanto sono composti praticamente ubiquitari, alcuni dei quali, tra cui il benzo[a]pirene, sono ritenuti carcinogenici o mutagenici. I campionatori passivi, dal costo contenuto e di facile preparazione, consentono di ottenere informazioni sulla presenza di IPA a seguito dell’esposizione per qualche settimana in aria ambiente, presentando il vantaggio di non necessitare né di pompe di aspirazione né di allacciamento alla corrente elettrica. Come bioaccumulatore è stato utilizzato l’Hypnum cupressiforme, specie di muschio già ampiamente utilizzata come accumulatore di metalli grazie alla sua ampia diffusione sul territorio italiano e che si è dimostrato efficiente anche nei confronti degli IPA. Parallelamente è stato sviluppato in maniera innovativa l’impiego di una matrice sintetica costituita da fibre di polietilentereftalato (dacron). La capacità di accumulo delle due matrici è stata testata in alcune sessioni di campionamento, nelle quali campioni di muschi e di dacron sono stati esposti contemporaneamente in due siti della città di Trieste. È stata determinata la ripetibilità dei campionatori passivi ed i dati sono stati confrontati con le concentrazioni di PTS (particolato totale sospeso) ottenute dai campionatori attivi dell’ARPA FVG. Entrambe le matrici si sono rivelate adatte per il monitoraggio di IPA aerodispersi. I Quadrelli (nome dato ai campionatori costituiti da dacron) sono in grado di accumulare una quantità maggiore di IPA in rapporto al loro peso mentre il muschio presenta una migliore capacità di accumulo in rapporto alla superficie esposta. Il muschio, inoltre, ha evidenziato una migliore ripetibilità dei dati ed una migliore correlazione con i dati di IPA ottenuti dall’analisi del particolato totale sospeso. Muschio e Quadrelli sono stati utilizzati per impostare una prima mappatura della provincia di Trieste e della sua zona industriale, fornendo risultati confrontabili ed evidenziando come le maggiori criticità siano legate alle sorgenti antropiche presenti nella parte meridionale della provincia. Dall’esperienza maturata nel corso del lavoro è emersa la necessità di utilizzare, nelle campagne di monitoraggio, griglie di campionamento particolarmente fitte per ottenere il maggior numero di dati utili per l’elaborazione di mappe di distribuzione dettagliate. Questo è possibile grazie al basso costo dei campionatori testati e al fatto che non necessitano né di allacciamenti elettrici né di manutenzione durante la fase di esposizione. Le griglie di monitoraggio basate su campionatori passivi sono un ottimo strumento per integrare le reti di monitoraggio istituzionale, basate su sistemi normati di campionamento attivo (come ad esempio il PM10), estendendo a costi contenuti la base di dati su cui imperniare misure di gestione ambientale.
XXI Ciclo
1976
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2

Francescato, Cristiano. "Paesaggi vegetali, biodiversità cenotica e funzionalità fluviale. Il caso del fiume Tagliamento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8598.

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3

Tonzar, Elena. "Distribuzione delle cisti di dinoflagellate nel golfo di Trieste." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3579.

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Abstract:
2008/2009
Obiettivo della ricerca è stato contribuire all’interpretazione della correlazione tra la distribuzione delle popolazioni di cisti di dinoflagellate nel Golfo di Trieste e i fattori abiotici e biotici. La ricerca è stata inizialmente condotta in modo tale da approfondire e perfezionare alcuni aspetti metodologici, cercando così di superare le criticità legate allo studio di questi organismi. Ciò ha condotto alla progettazione della sperimentazione che è stata articolata anche con la realizzazione di una chiave di determinazione originale e alla strutturazione dell’analisi dei sedimenti con delle specifiche tecniche strumentali di laboratorio. I campioni sono stati raccolti durante le numerose immersioni, mediante carotaggio con metodo diretto. Sono stati così indagati 160 campioni di sedimento che, dopo una accurata preparazione di laboratorio, sono stati dapprima osservati al microscopio a ottica invertita, per la determinazione sistematica e poi analizzati con il difrattometro laser, per l’analisi della composizione granulometrica. È stata ipotizzata l’esistenza di un apporto meridionale di cisti attraverso le correnti di fondo e successiva e progressiva (da Sud-Est a Nord-Ovest) sedimentazione nelle zone più riparate del golfo e con caratteristiche granulometriche più fini del sedimento. È stata rilevata una maggiore distribuzione quali-quantitativa di cisti nelle stazioni che hanno caratteristiche sedimentologiche simili, aventi una tessitura caratterizzata da un’elevata componente argillosa. È stata anche evidenziata una diversa distribuzione quali-quantitativa di cisti nei due livelli della carota con una presenza qualiquantitativa maggiore nella frazione 0,0-1,0 centimetri nel mese di dicembre e nella frazione 1,0-2,0 centimetri nel mese di luglio, pertanto è stato valutato che ci sia stata una germinazione, che ha coinvolto il popolamento dopo il mese di luglio.
XX Ciclo
1969
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4

Sustersic, Anna. "Valutazione dell'applicabilità di indicatori di sostenibilità a sistemi produttivi costieri." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4579.

Full text
Abstract:
2009/2010
I concetti di sostenibilità e sviluppo sostenibile, introdotto per la prima volta nel testo del rapporto Brundtland (“Our Common future”, 1987) ha assunto nel tempo una importanza crescente, sino a diventare parte del linguaggio comune. Oggi lo sviluppo sostenibile è una delle priorità chiave dei programmi quadro di ricerca europei -il settimo recita: “crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva”, e molta è stata la ricerca volta a ricercare definizioni operative che permettessero di trasformare in enunciati di principio e concetti teorici in pratiche applicabili. In particolare molta attenzione è stata data alla necessità di monitorare costi ed effetti di diversi sistemi economici e modalità produttive, ed alla possibilità di implementare un’economia basata su impatti contenuti, possibilmente a fronte dell’utilizzo di risorse locali e rinnovabili, nei termini della sostenibilità. Parallelamente è andato formalizzandosi il quadro teorico di riferimento, con la definizione dei principi del “prelievo di risorse ad un tasso inferiore alla capacità di rigenero delle stesse” e di “generazione di scarti ad un tasso inferiori alla capacità del sistema ricevente di assorbirli” (Daly, 1992). Diversi indicatori sono stati progettati per valutare gli impatti e il livello di utilizzo di capitale naturale a scala di singolo individuo, di processo produttivo, di città, nazione e su scala Globale. L’applicazione di tali indicatori permette di individuare i punti critici, in termini di impatto ambientale, nei percorsi di produzione nonché di individuare strategie produttive per ridurre tali impatti. Questi indicatori, pur nelle loro criticità, conferiscono un valore al capitale naturale e danno un peso ai differenti livelli di utilizzo di tale capitale. L’Impronta Ecologica e l’analisi eMergetica sono due esempi di indicatori che, proposti rispettivamente negli anni ’90 e ’80, sono oggi ampiamente utilizzati nella valutazione di sostenibilità di sistemi a differente scala. L’applicazione di tali indicatori a sistemi marini ed in particolare ad attività di tipo estensivo è tuttavia non banale, e richiede alcuni approfondimenti metodologici. In qeust’ottica, il presente lavoro di dottorato si è posto come obiettivi: a) Valutare l’applicabilità degli indicatori di sostenibilità Impronta Ecologica e analisi energetica a sistemi tridimensionali marini, applicandoli al processo produttivo mitilicoltura nel Golfo di Trieste, e fornendo così un contributo alla valutazione di sostenibilità di questo comparto. Tale valutazione è stata fatta applicando le due metodologie secondo la loro formulazione standard (applicazione del metodo rilevato in letteratura) in maniera tale da far emergere da un lato eventuali problematicità metodologiche e dall’altro ottenere un risultato confrontabile con i risultati di studi analoghi condotti su differenti attività di maricoltura. b) Definire nuove metodologie di applicazione della metodologia di analisi eMergetica nella sua applicazione a sistemi tridimensionali marini, e quindi un contributo all’implementazione della metodologia di analisi emergetica c) Fornire per alcune prime zone i dati necessari alla creazione di una “mappa di sostenibilità”, secondo la metodologia implementata, per l’attività di mitilicoltura in differenti zone costiere del Nord Adriatico. La tesi è stata organizzata in cinque capitoli. Nel primo capitolo vengono introdotti i concetti di sostenibilità e sviluppo sostenibile. Nel secondo capitolo viene presentata la filiera della mitilicoltura in generale e la situazione del settore produttivo nel Golfo di Trieste. Il quadro del settore produttivo è stato costruito sulla base di un'approfondita raccolta dati provenienti da campagna in campo e fonti ufficiali. Nel terzo e quarto capitolo vengono descritti gli strumenti utilizzati nella valutazione di sostenibilità : Impronta ecologica ed Analisi eMergetica e l’applicazione di questi, secondo una metodologia definita standard derivata da studi di letteratura, al settore produttivo delle mitilicolture nel Golfo di Trieste. Nel quinto capitolo viene discussa l’implementazione di una nuova metodologia di analisi emergetica la sua prima applicazione alla maricoltura nel Golfo di Trieste e la sua estensione ad ulteriori zone del Nord Adriatico. Tale implementazione è stata messa a punto per adattare la metodologia, tipicamente applicata a sistemi terrestri, alle peculiarità del sistema marino.
XXIII Ciclo
1979
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5

Malisana, Elisa. "Ecologia trofica del Nanoplancton eterotrofo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4582.

Full text
Abstract:
2009/2010
Il nanoplancton è costituito da organismi eucarioti unicellulari flagellati e non di dimensioni comprese tra 2 e 10 m. Sono in larga parte fotosintetizzanti (Primnesioficee, Prasinoficee, Crisoficee, Criptoficee, Dinoficee e piccole diatomee) (ShaPiro e Guillard, 1986). Alcuni sono eterotrofi (coanoflagellati, crisomonadi autotrofi facoltativi o non pigmentati, euglenoidi non pigmentati, dinoflagellati ed elioflagellati (Fenchel, 1982) e rappresentano i predatori più efficienti del picoplancton. Il nanoplancton eterotrofo (HNAN) costituisce la principale componente nelle reti trofiche marine capace di effettuare un controllo sulla biomassa picoplanctonica e di trasferire una porzione significativa della produzione batterica ai livelli trofici superiori (Fenchel, 1982; Azam et al., 1983; Berninger et al., 1991). Fino ad oggi scarsissime sono state le ricerche sulla frazione nanoplantonica negli ambienti profondi, dove presumibilmente i nanoflagellati giocano un ruolo di grande importanza, paragonabile a quello più volte dimostrato nella zona fotica (Gasol e Vaquè, 1993). Studi recenti hanno messo in evidenza che percentuali considerevoli della produzione superficiale possono raggiungere i sedimenti marini fino a profondità superiori ai 1000m. La sostanza organica sia in forma particolata che disciolta viene utilizzata dai procarioti eterotrofi per produrre nuova biomassa, l’unica prodotta negli ambienti profondi, che costituisce la base della rete trofica abissale. Attraverso la predazione dell’HNAN sui procarioti, tale risorsa viene veicolata ai consumatori dei livelli trofici superiori. Le conoscenze attuali sull’efficienza della predazione in ambienti abissali è quasi nulla e sono quasi sconosciuti i fattori che controllano le abbondanze degli eteronanoflagellati, la loro produzione e la loro efficienza come trasportatori di energia lungo le reti trofiche abissali. Lo scopo della mia ricerca è di quantificare il flusso di carbonio attraverso la comunità microplanctonica mediante la predazione dell’ HNAN sulla frazione picoplanctonica autotrofa ed eterotrofa in superficie e di stimare l’impatto della predazione degli HNAN sul comparto picoplanctonico eterotrofo nel sistema abissale. I campioni da analizzare in questa ricerca sono stati raccolti durante una campagna oceanografica denominata “Transmediterranean cruise” che rientra nel progetto VECTOR (CONISMA), i cui obiettivi sono volti ad approfondire le conoscenze relative agli impatti dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino mediterraneo, focalizzando l’attenzione sui processi sedimentari, sui processi fisici e sui cicli biogeochimici, nonché sulla biodiversità.. La campagna si è svolta dal 28/05/2007 al 28/06/2007 nel bacino mediterraneo lungo un gradiente trofico decrescente ovest-est. Sono state prescelte dieci stazioni di campionamento: cinque nel mediterraneo occidentale (St. VA, V4, V3, V1, V2) e cinque nel mediterraneo orientale (St. V6, V7, V8, V10, Viera). In tutte le dieci stazioni previste nella campagna si è provveduto ad eseguire esperimenti di diluizione riguardanti la predazione dell’HNAN sul picoplancton eterotrofo batiale, mentre su nove stazioni sono stati effettuati esperimenti di diluizione relativi alla predazione dell’HNAN sul picoplancton superficiale autotrofo ed eterotrofo. In questo mio lavoro di ricerca si è scelto di utilizzare il metodo delle diluizioni introdotto nel 1982 da Landry ed Hasset, successivamente modificato da Landry et al. (1995) poiché nell’ultimo decennio è risultato il più utilizzato e può ormai essere considerato un protocollo standard, che, a differenza delle altre tecniche proposte, è estremamente semplice e non prevede alcuna manipolazione degli organismi. Mediante questo protocollo, è possibile calcolare sia il tasso di crescita delle prede, sia quello di predazione dei consumatori. Il tasso di predazione viene stimato attraverso la determinazione del tasso di crescita della preda in una serie di contenitori nei quali l’acqua campionata in una stazione viene diluita con acqua filtrata proveniente dalla medesima stazione. Le successive diluizioni riducono la probabilità d’incontro tra preda e predatore. Il metodo si basa sul presupposto che il tasso di predazione (g) sia linearmente correlato alla densità delle prede, che il coefficiente di crescita della preda (k) sia costante e indipendente dalla densità del popolamento (limitazione di nutrienti assente) e che il tasso di filtrazione si mantenga costante, indipendente dalla concentrazione delle prede. La variazione della densità delle prede (C) in un determinato periodo di tempo (t) può essere espressa dalla seguente equazione esponenziale: Ct = C0*e (k-g)*t ; dove, Ct è la biomassa alla fine dell’incubazione, C0 è la biomassa all’inizio dell’incubazione, k il tasso di crescita delle prede, g il tasso di mortalità dovuto alla predazione e t il periodo di incubazione. Il tasso di predazione corrisponde alla pendenza della retta di regressione tra crescita della preda e le frazioni di acqua diluita; il tasso specifico di crescita delle prede si ottiene estrapolando la crescita apparente in assenza di predatori. L’eventuale crescita dell’HNAN viene stimata come differenza tra la concentrazione finale e quella iniziale nei campioni al 100%. In esperimenti precedenti si è visto che nell’arco delle 24 ore di incubazione si assisteva ad una crescita significativa di questa frazione. In questo modo sarà possibile stimare l’efficienza del trasferimento energetico perché tale è la produzione secondaria. I campionamenti d’acqua di mare per gli esperimenti di diluizione sono stati effettuati alle stazioni prescelte mediante rosette dotata di 24 bottiglie Niskin, sia in superficie che nella zona batipelagica e l’acqua di mare è stata filtrata su un retino da 10 m per eliminare i predatori di dimensioni superiori all’ HNAN. L’acqua così ottenuta, è stata diluita con acqua di mare proveniente dalla medesima stazione e filtrata mediante pompa peristaltica su membrana idrofila di PFTE Millipore con porosità pari a 0.22 m (acqua marina priva di organismi vitali eccetto piccoli batteri). Per valutare la predazione dell’HNAN sui batteri sono stati allestiti a bordo quattro diluizioni nelle seguenti proporzioni: 100%, 80%, 50%, 20%, in tre repliche ognuna. La serie di campioni è stata preparata al T0 e al T24. I campioni sono stati incubati sul ponte delle navi per un tempo pari a 24 ore, alle condizioni simulate in situ utilizzando vasconi in cui si è provveduto a far scorrere acqua di mare superficiale che mantengono le condizioni di temperatura ed irradianza più prossimi a quelli della profondità di prelievo. Al tempo T0 e al tempo T24 sono state effettuate le analisi dei parametri. I campioni del batipelagico sono stati incubati anch’essi per 24 ore alle condizioni simulate in situ, al buio e in un frigorifero opportunamente tarato alla temperatura di prelievo. I campioni di nanoplancton sono stati fissati in gluteraldeide all’1% e tenuti in frigo; quelli di picoplancton sono stati fissati in formalina al 2%, precedentemente filtrata su 0.22 m e posti in frigo. I campioni di nanoplancton e picoplancton, sono stati filtrati in laboratorio mediante rampa su membrane NTG nere a diversa porosità, previa colorazione con DAPI e successivamente analizzati al microscopio ad epifluorescenza. Per il conteggio della frazione eterotrofa sono stati utilizzati i raggi UV, mentre la componente autotrofa è stata osservata ad eccitazione nel campo della luce verde. Gli organismi nanoplanctonici sono stati distinti in tre classi dimensionali : < 3 µm, tra 3 e 5 µm e > 5 µm. I valori di cellule per litro sono stati convertiti in biomassa di carbonio tramite l’applicazione di fattori di conversione reperibili in letteratura. L’efficienza delle diluizioni è stata verificata in tutte le stazioni della quota abissale: all’aumento del fattore diluizione corrisponde un’effettiva diluizione degli organismi al momento T0. Tutte le regressioni sono risultate significative ed è stata rilevata attività di predazione in tutte le stazioni del batipelagico. Solamente in VA alla mortalità di predazione si è aggiunta la mortalità naturale del popolamento picoplanctonico. La biomassa dei procarioti eterotrofi varia da 0.14 ± 0.01 a 1.78 ± 0.15 µg C L-1, con un incremento medio nel settore orientale, mentre il nanoplancton presenta valori di biomassa relativamente stabili con il picco minimo rilevato nella stazione Tirrenica (0.02 ± 0.01 µg C L-1) ed il massimo in V8 (0.21 ± 0.05 µg C L-1 ). I valori calcolati di produzione secondaria risultano variabili e in tre stazioni non c’è stata alcuna produzione a carico dei predatori di dimensioni minori. I tassi di ingestione variano da 0.05 a 5.91 µg C L-1 g -1,e in media sono più elevati nei campioni del settore orientale dove, tuttavia, il controllo top down è meno efficace essendo il coefficiente di crescita (k) maggiore di quello di mortalità da predazione (g) nella maggior parte dei casi. Nel settore occidentale il controllo da parte della predazione sulla biomassa batterica è efficiente in 3 stazioni su 4. E’ stata evidenziata una relazione tra il tasso di ingestione e la biomassa batterica: all’aumento della biomassa delle prede, corrisponde anche un incremento della loro ingestione fino a raggiungere un valore massimo che rappresenta il livello di saturazione. Il tasso di ingestione risulta essere anche correlato linearmente con la produzione potenziale batterica. I valori massimi di ingestione sono associati ai valori massimi di produzione potenziale e questo potrebbe indicare che l’attività di predazione è principalmente rivolta alla frazione batterica potenzialmente più produttiva e metabolicamente più attiva. Questi risultati relativi al batipelagico sono stati presentati in un poster al convegno IMBER IMBIZO svoltosi a Miami dal 9 al 13 novembre 2008. Recentemente in collaborazione con il gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Marine dell’Università delle Marche è stato pubblicato il lavoro dal titolo “Disentangling the impact of viruses and nanoflagellates on prokaryotes in bathypelagic waters of the Mediterranean Sea”(2010) Mar. Ecol. Progres. Ser., Vol. 418:73-85. Per verificare i dati ottenuti nel Mediterraneo batipelagico si è allestito un nuovo esperimento di diluizione campionando acqua profonda (1500 m) in una stazione posta nel Golfo del Leone. Il campionamento è stato effettuato a fine settembre del 2010. Sono state preparate 4 diverse percentuali di diluizione: 100%, 90%, 70% e 10%, in tre repliche ciascuna. Il metodo relativo all’allestimento dell’esperimento, la fissazione dei campioni, filtrazione e conteggio è stato precedentemente descritto. L’efficienza della diluizioni è stata verificata e a questa è seguita l’analisi della crescita apparente che ha permesso di evidenziare un controllo di tipo top down esercitato dal nanoplancton eterotrofo sulle loro prede, andando a confermare i risultati relativi alla predazione rilevati nelle altre stazioni precedentemente indagate. La numerosità e la biomassa di prede e predatori sono in linea con i dati precedentemente ottenuti nelle stazioni Mediterranee e con i dati reperiti in letteratura e seguono la tendenza di una diminuzione di circa 2-3 ordini di grandezza rispetto a quelli relativi alla quota superficiale. L’efficienza delle diluizioni è stata anche verificata in tutte le stazioni superficiali dell’intero bacino del Mediterraneo per la frazione picoplanctonica eterotrofa ed autotrofa: all’aumento del fattore diluizione corrisponde un’effettiva diluizione degli organismi al momento T0. In alcune stazioni (VA, V1,Viera e V10) non è stato possibile eseguire il conteggio della frazione autotrofa a causa della perdita di fluorescenza dei fotopigmenti. Relativamente al picoplancton eterotrofo, le regressioni sono risultate significative ed è stata rilevata attività di predazione in tutte le stazioni, cosa che non è stata osservata in nessuna stazione per il comparto autotrofo. La biomassa dei batteri eterotrofi varia da 1.6 ± 0.06 µg C L-1 a 4.8 ± 0.6 µg C L-1 µg C L-1, con il valore massimo rilevato nella stazione Atlantica ed il minimo in Viera, in corrispondenza di una zona di downwelling. In accordo con il gradiente trofico decrescente ovest-est, si nota un decremento medio di biomassa procariotica eterotrofa passando dal settore occidentale a quello orientale. Le biomasse della frazione autotrofa sono basse e non raggiungono 1 µg C L-1 , ad eccezione di V4, dove il valore medio si attesta a 1.5 µg C L-1. Il nanoplancton totale risulta in media più abbondante nelle stazioni occidentali e la classe dimensionale dominante è quella < 5 µm. Per discriminare la frazione eterotrofa da quella autotrofa (distinzione non visibile al microscopio ad epifluorescenza a causa della perdita della capacità di fluorescenza dei fotopigmenti) si è considerato come riferimento un dato reperito in letteratura che attribuisce ai potenziali predatori (esclusivamente eterotrofi) il 24% della biomassa totale (Jürgens and Massana, 2008). I valori di produzione secondaria a carico dei soli eteronanoflagellati variano da 0.09 µg C L-1 d-1 a 3 µg C L-1 d-1 e in 2 casi (V6 e Viera) non c’è alcuna crescita dei predatori. I tassi di ingestione relativi alla frazione eterotrofa variano da un valore prossimo allo 0 rilevato in V3 a quello massimo Atlantico di 9.54 µg C L-1 d-1. Al contrario della zona batiale dove si osserva un maggior controllo di tipo top-down nel settore occidentale (g > k), questa zonazione non emerge nella quota superficiale dove i valori di k e g sono indipendenti dall’area di campionamento. Così come per il batipelagico, i valori massimi di ingestione sono associati ai valori massimi di produzione potenziale. I risultati relativi agli effetti sinergici ed antagonisti della predazione del microzooplancton e dei nanoflagellati sui procarioti autotrofi ed eterotrofi sono stati presentati al XIX Congresso dell’A.I.O.L. svoltosi a Venezia dal 22 al 25 settembre 2009. Dall’unione dei dati abbiamo evidenziato 4 diversi modelli: 1) nella stazione Ligure, la potenziale predazione esercitata dai nanoflagellati sul comparto eterotrofo picoplanctonico viene inibita dalla predazione del microzooplancton sui nanoflagellati stessi portando pertanto all’assenza di mortalità picoplanctonica dovuta alla predazione; 2) nelle st. V6 e VA, il controllo del microzooplancton sui nanoflagellati è meno efficace e il tasso di ingestione non viene più inibito ma dimezzato; 3) nelle st. V7 e V10 i tassi di ingestione nei 2 esperimenti sono simili ma, essendoci una predazione rivolta ai nanoflagellati, si può ipotizzare una pressione diretta quasi esclusiva del microzooplancton sui procarioti eterotrofi; 4) in V2, V3 e Viera, il microzooplancton non controlla la biomassa nanoplanctonica e, alla pressione da predazione esercita dai nanoflagellati sui procarioti eterotrofi, si somma quella effettuata direttamente dal microzooplancton. In collaborazione con il gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Marine dell’Università delle Marche, è stato presentato un lavoro al congresso CIESM (Venezia 2010) dal titolo “Virus-prokaryote-nanoflagellate-microzooplankton interactions in surface waters of the mediterranean sea”. Per valutare l’effetto selettivo della predazione sul popolamento procariotico abbiamo allestito un nuovo esperimento di diluizione effettuato nel mese di giugno 2009 presso il NIB di Pirano, Slovenia. Lo scopo di questo lavoro è di evidenziare la variazione quali – quantitativa delle prede indotta dalla pressione di predazione esercitata dai nanoflagellati. Attraverso il conteggio all’epifluorescenza e applicando il metodo delle diluizioni si è stimata la variazione quantitativa delle prede; mediante l’estrazione del DNA e tramite successiva amplificazione abbiamo ottenuto i campioni per l’indagine qualitativa. Il sequenziamento e l’analisi filogenetica dei campioni all’inizio e alla fine dell’esperimento ci hanno permesso di valutare la variazione delle comunità picoplanctoniche a causa della pressione da predazione. Al momento del prelievo dell’acqua di mare superficiale si è proceduto immediatamente alla filtrazione su rete da 10 μm al fine di eliminare tutti gli organismi di dimensioni maggiori alla frazione nanoplanctonica. Sono state poi allestite le diluizioni con la stessa acqua filtrata su 0.22 μm con pompa peristaltica, priva quindi di ogni organismo. Le proporzioni di diluizione utilizzate sono 100% (solo acqua filtrata su 10 μm), 80%, 50%, 10%. Da queste sono stati preparati i campioni: quelli rappresentanti il T0 sono stati immediatamente fissati, quelli rappresentanti il T24 sono stati fissati dopo 24h di incubazione. Parallelamente all’allestimento delle diluizioni è stato allestito l’esperimento per l'analisi genetica. Il bianco è stato preparato filtrando l’acqua direttamente su 3 μm e procedendo alla successiva incubazione per il T24, si è voluta eliminare la frazione nanoplanctonica per poter valutare la possibile modifica della comunità picoplanctonica dipendente dal cosiddetto “effetto bottiglia” e quindi la variazione della medesima comunità in seguito a filtrazione in assenza del predatore. I campioni del 100% al T0 ed al T24 dopo filtrazione su 3μm per eliminare la frazione nanoplanctonica sono stati raccolti su filtro da 0.22 μm. A questo punto il filtro è stato sezionato in quattro parti uguali con bisturi a lama sterile. Ogni porzione del filtro è stata accuratamente impacchettata ed interamente ricoperta con volumi variabili di lysis buffer (Bostrom, 2004) e conservata in falcon da 15 mL a -80°. Anche i campioni del bianco sono stati trattati allo stesso modo. Il protocollo d'estrazione del DNA è stato messo a punto sulla base di quello derivato da Giovannoni et al. (1990). Il pirosequenziamento (454), una delle nuove tecniche di sequenziamento ad elevato parallelismo basata sul principio del "sequencing by synthesis"; consente di ottenere 100 milioni di basi in meno di 8 ore ed ha permesso la prima analisi tassonomica della comunità batterica del Nord Adriatico. Per questo lavoro il sequenziamento è stato eseguito dal "Biotechnology Center" dell'Illinois. Per l'analisi bioinformatica delle sequenze ottenute è stato usato l' RDP (Ribosomal database Project) (http://rdp.cme.msu.edu/index.jsp). La visualizzazione delle sequenze classificate è stata effettuata utilizzando VAMPS (vamps.mbl.edu/overview.php). L'analisi statistica delle quattro librerie è stata fatta con IDEG6, un software disponibile online (http://telethon.bio.unipd.it/bioinfo/IDEG6_form/index.html). I dati ottenuti dall'analisi quantitativa dimostrano come il nanoplancton eterotrofo eserciti una predazione attiva sul picoplancton eterotrofo, ma non tale da determinarne il controllo, mentre non esercita predazione sul comparto autotrofo. Infatti, la correlazione rilevata fra crescita apparente del popolamento eteropicoplanctonico ed il grado di diluizione evidenziano la predazione da parte dell'eteronanoplancton, ma il valore assoluto di g (tasso di predazione) risulta minore di k (tasso di crescita apparente), indicando l'assenza di controllo top-down. L’analisi delle sequenze ha evidenziato una comunità prevalentemente composta da Proteobacteria, (Alphaproteobacteria) a cui appartengono due delle famiglie più rappresentative: le Rhodobacteraceae chemiorganotrofe e fotoeterotrofe e le Rhodospirillaceae prevalentemente fotosintetizzanti. La famiglia delle Flavobacteriaceae (Bacteroidetes) prevalentemente eterotrofa, è il secondo gruppo più abbondante nei campioni analizzati. Contribuiscono all’incremento della diversità dei campioni al T0 i Cyanobacteria e le Chitinophagaceae. Quest’ultime mostrano un incremento più significativo nei campioni del T24. Il confronto tra le sequenze analizzate nei campioni è risultato statisticamente significativo per dieci taxa. Dall'analisi delle sequenze si è osservata una predazione a carico dei gruppi meno abbondanti del comparto autotrofo (Cyanobacteria) non rilevabile altresì con gli esperimenti di diluizione. Il confronto tra i campioni T24 3μm e T24 100% evidenzia come quei taxa che non sono sottoposti ad un controllo di tipo top-down, per l'assenza del predatore, possano andare incontro a lisi virale secondo il modello "killing the winner" (Fuhrman & Suttle, 1993; Thingstad et al., 1993; Tingstad & Lignell, 1997). I risultati dell’analisi statistica sono stati graficamente risolti utilizzando MEGAN (www-ab.informatik.uni-tuebingen.de/software/megan), un software disponibile on line per le analisi di metagenomica.
XXIII Ciclo
1982
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6

Piccotto, Massimo. "Effetti degli NOx sulla fisiologia dei licheni foliosi epifiti." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3170.

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Abstract:
2007/2008
L’obiettivo della ricerca è stato individuare i possibili effetti degli NOx, inquinanti aerodiffusi foto-ossidanti, sui licheni foliosi epifiti. Il lavoro è stato svolto con un particolare riguardo nell’individuare le modificazioni indotte a carico del processo fotosintetico del fotobionte lichenico attraverso metodi fluorimetrici. Le ricerche condotte hanno approfondito inizialmente alcuni aspetti metodologici, individuando, ad esempio, le variabili ambientali che influenzano maggiormente la capacità e l’efficienza fotosintetica di questi organismi. Successivamente, è stata disegnata una articolata sperimentazione, condotta mediante trapianti in siti urbani inquinati e non, che ha permesso di verificare gli effetti degli inquinanti aerodiffusi a concentrazioni ambientali in presenza di altri, naturali, fonti di disturbo. Questo lavoro dimostra, attraverso misure fisiologiche, che l’arido microclima urbano può essere un fattore limitante la fisiologia dei licheni e che la loro tolleranza agli NOx dipende strettamente dalla loro ecologia.
XXI Ciclo
1980
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7

Campomori, Chiara. "Analisi dei movimenti spazio-temporali di uccelli acquatici svernati nelle zone umide dell'alto Adriatico." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3164.

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Abstract:
2007/2008
Le zone umide costiere dell’Alto Adriatico sono siti di grande importanza per lo svernamento di molte specie di uccelli acquatici. Gli uccelli acquatici possono essere considerati dei validi bioindicatori ambientali di queste aree, da cui essi dipendono in tutte le fasi del loro ciclo biologico. La conoscenza dei movimenti spazio-temporali dell’avifauna acquatica è un elemento essenziale per una corretta gestione delle zone umide e per lo sviluppo di adeguate politiche di conservazione. A tale scopo, è stato studiato il comportamento spazio-temporale degli uccelli acquatici a scala globale (variabilità intra- ed inter-annuale), a scala regionale (distribuzione nelle zone umide dell’alto Adriatico) ed scala locale (uso dello spazio e dell’habitat). In considerazione della notevole variabilità comportamentale che gli uccelli dimostrano ad ogni scala spazio-temporale, sono stati studiati i limiti e le dimensioni di queste variazioni in alcune specie di uccelli acquatici svernanti nell’Alto Adriatico, cercando di comprendere quale parte di questa variabilità è casuale e quale origina da risposte adattative a fattori ecologici. Come specie target è stato scelto il Piovanello pancianera Calidris alpina. Si è cercato, inoltre, di fornire alcune indicazioni per la gestione di queste zone umide e per una corretta metodologia di rilevamento e utilizzo dei dati di censimento.
XXI Ciclo
1976
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8

Bincoletto, Tatiana. "Le barriere reattive permeabili: sperimentazioni sul materiale Cu/Al per la decontaminazione di acque da solventi clorurati." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3254.

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Abstract:
2007/2008
Le problematiche ambientali relative alla potenziale presenza di composti organici clorurati, quali il tetraclorocarbonio, il cloroformio e il diclorometano, sono molto diffuse e di difficile risoluzione. Tali composti possono essere riscontrati in siti interessati, sia attualmente che nel passato, da attività di vario genere tra cui quella di produzione farmaceutica, alimentare e chimica. Sono in atto, oggigiorno, molteplici sperimentazioni finalizzate alla decontaminazione delle acque, siano esse di falda, di ruscellamento o di derivazione industriale, da tali composti. Una delle tecnologie che, negli ultimi anni, ha fornito risultati eccellenti per la decontaminazione di acque da varie tipologie di inquinanti tra cui quelli oggetto del presente lavoro, riguarda l’applicazione di barriere reattive permeabili. In particolare, gli studi riguardano la sperimentazione di materiali reattivi risultati efficaci anche per il trattamento di composti organici clorurati. La ricerca svolta si è concentrata sulla preparazione, sulla caratterizzazione e sulla sperimentazione di un materiale bimetallico reattivo a base di alluminio e rame per la decontaminazione di acque da tetraclorometano e da diclorometano. Le varie tipologie di bimetallo sono state realizzate utilizzando una soluzione di solfato di rame (uso agricolo) puro al 98.3 %, dell’idrossido di sodio in granuli e polveri di alluminio con un grado di purezza pari al 99.5% di cui sono state scelte cinque diverse classi granulometriche al fine di verificarne l’influenza sulle capacità reattive per il processo di decontaminazione. Sono stati prodotti 3 gruppi distinti di materiali Cu/Al in base sia alla quantità di polvere di alluminio utilizzata in fase di preparazione del materiale sia alla presenza o meno di processi di lavaggio del materiale post-formazione. La caratterizzazione del materiale è avvenuta attraverso analisi diffrattometriche e analisi in microscopia elettronica a scansione (SEM) che hanno permesso di individuarne la struttura e di identificarne le fasi cristalline che lo compongono. Le sperimentazioni per testare l’attività dei materiali sono state condotte in batch con acque contaminate da tetraclorometano o diclorometano a concentrazioni dell’ordine delle ppm ovvero superiori ai limiti imposti dalla Tab. 2 Allegato 5 (Tit.V) del DLgs 152/06 per le acque sotterranee. Le analisi chimiche, eseguite con un Purge and Trap interfacciato a un gascromatografo accoppiato ad uno spettrometro di massa, sono state realizzate presso i laboratori Hydrotech S.r.l. - Area Science Park, Padriciano, 99 - Trieste. La metodologia di analisi ha permesso di quantificare le percentuali di abbattimento di contaminante sia nel caso del tetraclorometano che del diclorometano e di verificare la formazione di prodotti secondari o di degradazione.
XXI Ciclo
1977
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9

Plossi, Paolo. "Trasferimento di microinquinanti nel biota e nel sedimento in Golfo di Trieste." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4583.

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Abstract:
2009/2010
E’ stato esaminato il fenomeno dell’emissione di microinquinanti organici e composti organici persistenti (POP) nella Zona Industriale di Trieste, in rapporto alla contaminazione che essi causano nei Molluschi in Baia diMuggia. L’attività di ricerca condotta è coerente con i seguenti scopi: 1. descrivere gli elementi caratteristici dell'alterazione che viene generata, a partire dalle attività che la causano; 2. individuare gli elementi caratteristici dei fenomeni di alterazione ambientale, con particolare riferimento agli ecosistemi marini in Baia di Muggia; 3. elaborare un Modello Concettuale descrivente i fenomeni di alterazione presenti nell’area di studio, utile a valutare il rischio da essi derivante; 4. studiare la diffusione degli inquinanti nei molluschi presenti in Baia di Muggia, estrapolando le informazioni utili per la validazione del metodo di indagine. L’analisi dei dati ambientali si basa sullo schema “DPSIR” (Determinanti-Pressioni-Stato-Impatti-Risposte) elaborato da OCSE-EEA, secondo cui le attività civili, industriali, il traffico terrestre e navale, i siti inquinati (D) generano emissioni di inquinanti organici e metalli (P) che alterano le condizioni (S) dei vari comparti ambientali e del biota, causando impatti (I), si valutano le politiche di controllo e risanamento in termini di “Risposte” (R). Viene costruito un “dataset” delle sorgenti di POP e del loro contenuto in ciascun comparto ambientale, e quindi uno schema di esposizione utile a descrivere i meccanismi di alterazione e schematizzare gli Impatti. Con l’Analisi Multivariata sono esaminate le relazioni causa-effetto tra sorgenti e recettori. Coerentemente con lo schema di esposizione, sono campionati in varie stazioni costiere di Muggia molluschi marini appartenenti a tre specie: Patella caerulaea, Mytilus galloprovincialis e Pinna nobilis. Sono tutte rappresentative di popolazioni presenti in Golfo di Trieste e di diversi percorsi di esposizione agli inquinanti, avendo diverse abitudini alimentari e collocazione verticale. I campioni sono sottoposti a misurazioni biometriche e ad analisi chimica del contenuto di Idrocarburi Policiclici Aromatici. Dall’esame statistico delle relazioni di impatto e dai risultati analitici, le emissioni industriali risultano associabili alla contaminazione del biota, ed in particolare le sorgenti più impattanti sono le ricadute atmosferiche. I profili di contaminazione da POP nell’aria, nei sedimenti, nel biota, sono ben correlabili alle emissioni in atmosfera ed agli scarichi idrici. Sono osservabili effetti di migrazione preferenziale dei congeneri a basso peso molecolare, che risultano molto mobili, e che vengono selettivamente assorbiti in concentrazioni maggiori dagli organismi-bersaglio. Il loro contenuto nei molluschi aumenta sensibilmente dopo episodi di maltempo che movimentano i sedimenti, e si notano anche effetti di aumento delle concentrazioni in relazione all’evoluzione stagionale del ciclo biologico dei molluschi, con valori più alti nella stagione estiva, pre-riproduttiva. L’uso combinato di tecniche di esame dei processi industriali, di indagine chimica, di studio della biologia dell’organismo-bersaglio, di indagine statistica, hanno dato prova di costituire un potente strumento per l’indagime dell’alterazione nel biota e la previsione del rischio.
XXII Ciclo
1962
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10

Cumani, Francesco. "Fisiologia della calcificazione nelle corallinaceae (Rhodophyta): effetti dell'ocean acidification su Litophyllum Incrustans Philippi." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4581.

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Abstract:
2009/2010
Il continuo aumento di CO2 a causa dell’attività antropica determina un abbassamento del pH delle acque che influenza negativamente l’equilibrio dei carbonati e la calcificazione biologica; questo fenomeno viene definito ocean acidification. Nel corso degli ultimi anni alcuni autori hanno studiato gli effetti dell’acidificazione del mare su organismi adulti di Corallinaceae. Poco è attualmente conosciuto sull’effetto della diminuzione del pH in mare sulle prime fasi di sviluppo delle alghe rosse calcaree. Scopo principale di tre anni di ricerca è stato quindi di: (i) studiare gli effetti dell’ocean acidification in microcosmo sui giovani talli di L. incrustans (Corallinaceae, Rhodophyta); (ii) analizzare non solo gli effetti dell’incremento della concentrazione di anidride carbonica in acqua marina sulle “prime fasi del ciclo vitale”, ma anche sugli “esemplari adulti” di L. incrustans. L’incremento dell’anidride carbonica in atmosfera e la conseguente diminuzione del pH dell’acqua marina sembra determinare in L. incrustans una diminuzione: (i) nella produzione di spore da parte dei talli calcarei progenitori; (ii) dello sviluppo, sia dei talli giovani che degli organismi adulti; (iii) nella sopravvivenza dei giovani talli; (iiii) nei tassi di calcificazione, sia nei talli giovani che negli organismi adulti. Tutti questi risultati sembrano essere in linea con quanto riportato dalla scarsa letteratura scientifica prodotta fino ad ora su questo tema. L. incrustans, e le Corallinaceae in genere, sembrano quindi essere estremamente sensibili all’incremento dell’acidità in acqua di mare. Il possibile, e probabile, declino nella presenza delle alghe rosse calcaree dovuto all’ocean acidification potrebbe avere delle conseguenze significative per gli ecosistemi dove esse sono attualmente presenti. Le Corallinaceae, infatti, hanno una rilevante importanza ecologica, permettendo il reclutamento, la colonizzazione di numerosi invertebrati e la formazione di habitat, quali i rhodolith beds o il coralligeno con un conseguente incremento della biodiversità.
The steady increase of CO2 due to human activity leads to a lowering of the pH of the water which adversely affects the balance of organic carbon and calcification, this phenomenon is called ‘ocean acidification’ During the last few years the effect of the increase of carbon dioxide was studied on mature calcareous red algae. Little currently is known on the effect of the marine acidification on the early stages of the Corallinaceae development. The aim of three years of research was: (i) to study the effects of the ocean acidification in microcosm on the young thalli of L. incrustans (Corallinaceae, Rhodophyta); (ii) to analyze the effects of increased CO2 concentration in seawater not only on the "early stages” of the life cycle, but also on" adult "by L. incrustans.. The increase of CO2 in the atmosphere and the consequent decrease in pH of sea water seems to determine in L. incrustans a decrease: (i) in the production of spores by calcareous thallus progenitors, (ii) of the development, in both young and adult organisms, (iii) of the survival of young thalli, (iiii) in rates of calcification, both in young thallus and in adults. All these results seem to be in line with the recent lack of scientific literature produced so far on this issue. L. incrustans, and Corallinaceae in general, appear to be extremely sensitive to the increase of acidity in the sea. The possible and probable decline in the presence of calcareous red algae due to ocean acidification could have significant consequences for the ecosystems in which they are currently present. The Corallinaceae, in fact, have a significant ecological importance, allowing the recruitment, the colonization of many invertebrates and the construction of habitats such as coral rhodolith beds or coralligenous with a consequent increase in biodiversity.
XXIII Ciclo
1980
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
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