Academic literature on the topic 'Malattie infiammatorie pediatriche'

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Journal articles on the topic "Malattie infiammatorie pediatriche"

1

Ozbay, I., C. Kucur, F. E. Koçak, B. Savran, and F. Oghan. "ACTA OTORHINOLARYNGOLOGICA ITALICA." Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, no. 5 (October 2016): 381–85. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-897.

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Abstract:
L’obiettivo del presente studio è stato determinare se i livelli plasmatici dei prodotti avanzati di ossidazione proteica (AOPP) rappresentino dei marker di stress ossidativo nei pazienti pediatrici affetti da tonsillite cronica. Per lo studio sono stati arruolati, presso i Dipartimenti di Otorinolaringoiatria e Chirurgia pediatrica dell’Ospedale Universitario di Dumlupinar, trenta bambini sani e trenta affetti da tonsillite cronica. Il gruppo dei pazienti affetti da malattia è stato sottoposto a un prelievo ematico preoperatorio e ad una biopsia intraoperatoria del tessuto tonsillare. Il gruppo dei pazienti sani è stato sottoposto unicamente al prelievo ematico. I livelli plasmatici e tissutali degli AOPP sono quindi stati misurati mediante spettrofotometria. I livelli sierici degli AOPP sono risultati essere più elevati nel gruppo dei pazienti affetti da tonsillite cronica (13,1 ± 3,3 ng/ml) rispetto al gruppo di controllo (11,6 ± 2,3 ng/ml; P < 0,05). Il livello tissutale medio degli AOPP nei pazienti malati è risultato essere superiore a quello plasmatico medio sia nel gruppo dei pazienti sani che in quello dei pazienti malati (41,9 ± 13,5 ng/mg; P < 0,05). I livelli plasmatici e tissutali degli AOPP sono risultati quindi essere più elevati nei pazienti malati rispetto al gruppo di controllo. Gli AOPP potrebbero quindi rappresentare una nuova classe di molecole pro-infiammatorie coinvolte nello stress ossidativo nella tonsillite cronica e potrebbero avere un ruolo come marker di stress ossidativo nei pazienti pediatrici affetti da tale patologia.
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2

De Carlo, Chiara, and Matteo Bramuzzo. "Distress, catastrofismo e qualità di vita dei bambini affetti da malattia infiammatoria cronica intestinale." Medico e Bambino 39, no. 10 (December 15, 2020): 634–37. http://dx.doi.org/10.53126/meb39634.

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Abstract:
Inflammatory bowel diseases can lead to the development of distress and catastrophic constructs in children and their parents and have an important impact on the patients’ quality of life. This pilot study showed that about half of children and parents report a significant state of distress that is related to a worse quality of life in children. About one fifth of patients also have catastrophising thoughts about their pain despite the remission of the disease, thus also this psychological construct has a strong correlation with the worsening of their quality of life. Psychological management could help to improve the quality of life in children with chronic inflammatory bowel diseases.
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Dissertations / Theses on the topic "Malattie infiammatorie pediatriche"

1

De, Iudicibus Sara. "Farmacogenetica delle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7436.

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Abstract:
2010/2011
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) comprendono due patologie distinte, la malattia di Crohn (MC) e la rettocolite ulcerosa (RCU), che pur essendo diverse dal punto di vista patogenetico, presentano aspetti clinici comuni quali la presenza di infiammazione cronica a diversi livelli del tratto gastrointestinale e l'alternanza tra fasi attive ed inattive della malattia. Queste patologie hanno un picco di incidenza nell’adulto, tuttavia piu' di un terzo dei casi insorge prima dei sedici anni. L'approccio terapeutico e' principalmente diretto al trattamento e controllo dell'infiammazione, attraverso farmaci capaci di indurre e mantenere la remissione della malattia, che tuttavia inducono effetti avversi importanti, particolarmente rilevanti nella popolazione pediatrica. Nonostante l'introduzione in clinica di farmaci biologici altamente efficaci, i glucocorticoidi (GC) continuano a rappresentare la terapia di prima linea per indurre la remissione nel MC e nella RCU in fase di attività moderata o severa. La risposta clinica a questi farmaci è tuttavia estremamente variabile, e al momento non ci sono validi marcatori che permettano di predire quali saranno i pazienti che risponderanno in maniera adeguata e quali al contrario non risponderanno o andranno incontro a effetti collaterali. Dopo un ciclo iniziale con i GC, la terapia viene continuata con altri immunosoppressori, che negli ultimi anni vengono utilizzati sempre più precocemente, proprio per cercare di aumentare l’efficacia e di limitare le complicanze da steroidi. Tra gli immunosoppressori più utilizzati vi sono le tiopurine 6-MP e AZA: quest’ultima è la tiopurina più utilizzata nelle MICI pediatriche. Una prima parte della ricerca si è occupata di studiare retrospettivamente su pazienti pediatrici con MICI la farmacogenetica degli steroidi, con l’obiettivo di identificare marcatori che possano essere utili a predire la risposta clinica a questi farmaci. In parallelo, è stata analizzata la farmacogenetica e farmacocinetica dell’AZA, con lo scopo di ottimizzare il trattamento con questo farmaco in pazienti pediatrici con MICI, permettendo di aggiustare i dosaggi e di evitare trattamenti destinati all’insuccesso. La farmacogenetica degli steroidi è stata studiata su 154 pazienti con MICI che sono stati suddivisi in base alla risposta clinica in responders (84), dipendenti (55) e resistenti (15): è stato dimostrato un effetto significativo del polimorfismo BclI del gene NR3C1 che codifica per il recettore dei GC, e del polimorfismo Leu155His del gene NALP1, proteina coinvolta nell’attivazione della pro-IL-1 a IL-1, sulla risposta ai GC. Questa associazione è stata dimostrata mediante analisi univariate (responders vs non responders p=0.02) e multivariate (responders vs non responders p=0.03) e confermata anche esaminando il modello con l’analisi CART. Quest’analisi conferma il significativo effetto dei polimorfismi BclI e Leu155His sulla risposta ai GC con modalità indipendente, ed indica come altre importanti variabili il sesso e l’età all’esordio della malattia. In conclusione, i risultati ottenuti indicano che fattori genetici (polimorfismi BclI del gene NR3C1 e Leu155His del gene NALP1) e variabili cliniche (età all’esordio e sesso) potrebbero rappresentare degli importanti marker di risposta ai GC in pazienti pediatrici con MICI. Le correlazioni tra farmacocinetica e farmacogenetica dell’AZA sono state studiate in 77 pazienti pediatrici affetti da MICI, in trattamento con farmaci tiopurinici da almeno 3 mesi. I risultati ottenuti confermano un effetto del polimorfismo dell’enzima TPMT sui metaboliti attivi delle tiopurine in accordo con quanto riportato precedentemente in letteratura, confermando l’importante ruolo di questo enzima sul metabolismo dell’AZA. E’ stato inoltre dimostrato un effetto significativo dell’isoforma M dell’enzima GST sui metaboliti dell’AZA: soggetti con delezione del gene presentano una concentrazione più bassa dei metaboliti attivi 6-TGN (p=0.010) ed un rapporto TGN/dose più basso (p=0.0002): l’isoforma M dell’enzima GST è coinvolta nella conversione dell’AZA in 6-MP; nei soggetti deleti meno AZA verrebbe convertita in 6-MP a sua volta pro farmaco del metabolita attivo 6-TGN. Inoltre, le concentrazioni dei metaboliti metilati sono significativamente più alte nei pazienti con un genotipo variante per il polimorfismo C94A del gene ITPA rispetto ai pazienti con genotipo wild type (p=0.046), mentre non è evidente una correlazione con i metaboliti 6-TGN. Studi prospettici dovranno essere realizzati in futuro, per valutare l’efficacia di strategie di dosaggio dell’AZA basate sulla quantificazione dei metaboliti e sull’analisi dei polimorfismi degli enzimi TPMT, GST-M e ITPA per migliorare la risposta al farmaco e ridurre gli effetti avversi. E’ stato inoltre messo a punto un modello sperimentale in vitro su colture primarie di cellule mononucleate, su cui testare l’inibizione della proliferazione indotta da mitogeno sia dei GC che dell’AZA, attraverso il saggio d’incorporazione della timidina triziata. I dati ottenuti con il test in vitro sono stati poi correlati con la presenza di polimorfismi genetici degli enzimi coinvolti nella farmacogenetica di questi farmaci, con l’obiettivo di standardizzare una metodica che dovrebbe permettere di predire la risposta alla terapia prima di iniziare il trattamento. E’ stata osservata una maggiore sensibilità in vitro ai GC nei soggetti mutati per il polimorfismo BclI: questo SNP è risultato infatti essere associato ad una IC50 (concentrazione di farmaco che inibisce il 50% della proliferazione cellulare) più bassa, in confronto ai soggetti non mutati (p=0.0058). Questo risultato è confermato anche considerando l’Imax (l’inibizione della proliferazione cellulare alla concentrazione di farmaco più alta): soggetti con genotipo mutato per BclI presentano un’Imax più alta rispetto ai non mutati (p=0.0078). Sulla base di questi risultati, si conferma il ruolo importante del polimorfismo BclI nella risposta ai GC, già dimostrata nello studio retrospettivo, come marker genetico di risposta ai GC. Lo studio sulla sensibilità dell’AZA sui linfociti di volontari sani, non ha evidenziato correlazioni statististicamente significative tra i polimorfismi degli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’AZA, e la sensibilità individuale a questo farmaco in vitro. Questa mancata correlazione, può derivare dal fatto che il metabolismo dell’AZA è principalmente di tipo epatico, e i linfociti probabilmente non rappresentano un buon modello per questo studio: esperimenti futuri riguarderanno l’utilizzo di linee cellulari epatiche, su cui verrà testata l’alterata sensibilità all’AZA e 6-MP, in condizioni di ipersespressione o silenziamento dei geni di nostro interesse, tra cui GST. Nel complesso, questa tesi ha sviluppato un set di valutazioni farmacologiche, integranti dati di farmacocinetica, farmacodinamica e farmacogenomica, da applicare all'ottimizzazione della terapia delle MICI pediatriche con steroidi ed AZA, in modo da aumentarne l'efficacia e ridurrne gli effetti avversi. I markers che sono risultati essere correlati ad un’alterata risposta a questi farmaci potrebbero essere utilizzati dal clinico per selezionare i pazienti responders dai non responders, e per trattare questi ultimi con associazioni di altri immunosoppressori in maniera precoce.
XXIV Ciclo
1979
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2

Lembo, Maria. "Le MICI pediatriche: analisi cellulare con luce di sincrotrone. Dati preliminari." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8639.

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Abstract:
2011/2012
Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) rappresentano un disordine cronico, idiopatico ad eziologia ancora non del tutto definita, che colpisce una o più parti dell’intestino. Le MICI sono le più importanti cause di patologia gastrointestinale nei bambini e negli adolescenti. Si distinguono due grandi quadri clinici: Malattia di Crohn (MC) e Rettocolite Ulcerosa (RCU), la cui diagnosi è generalmente basata su un insieme di evidenze cliniche, di laboratorio, radiologiche, endoscopiche ed istologiche. Al momento non esiste una cura definitiva per questa patologia. Negli anni le ricerche sono state concentrate sullo studio di farmaci che agissero sull’infiammazione in modo da migliorare la sintomatologia e restituire al paziente una qualità di vita accettabile. Dal punto di vista chirurgico recenti studi, attraverso l’analisi morfometrica e l’immunofluorescenza, hanno analizzato i cambiamenti cellulari dopo importanti resezioni intestinali, così come accade nelle MICI o nelle enterocoliti neonatali necrotizzanti (NEC). Questi studi hanno dimostrato un precoce adattamento delle cellule intestinali alle modificazioni indotte chirurgicamente che si manifesta in alcuni casi con una iperplasia dei villi digiunali ed una ipertrofia dei villi ileali nel tratto di resezione. Sulla base di queste considerazioni, scopo della ricerca è dimostrare l’evoluzione della proliferazione cellulare e dello stato infiammatorio delle cellule per comprendere quale sia la risposta cellulare alla chirurgia e quali siano eventuali possibilità di applicazione di farmaci o sostanze biologiche. Nel nostro studio sono stati analizzati con la luce di Sincrotrone, applicata sia attraverso la microtomografia che la microspectroscopia a raggi X, i reperti operatori di pazienti con MICI in cui è stato esaminato lo stato infiammatorio delle cellule. Sono state standardizzate le procedure di conservazione e preparazione dei campioni, che sono stati prelevati con il consenso parentale durante l’intervento chirurgico. L’obiettivo è stato quello di valutare le potenzialità delle analisi con luce di sincrotrone per la visualizzazione e la caratterizzazione delle cellule intestinali di ileo malato e sano in MC, identificando i procedimenti, i tempi, i risultati e quindi la fattibilità della ricerca, in modo da poter intraprendere in maniera adeguata e mirata gli esperimenti successivi. La radiazione di Sincrotrone applicata sia attraverso la microtomografia che la microspectrografia a raggi X, permette di utilizzare tecniche di imaging non disponibili con sorgenti convenzionali. Il materiale da analizzare è stato analizzato sia integralmente, in tutto il suo volume, sia sotto forma istologica e/o ulteriormente marcato con sostanze chimico-biologiche. Sul tessuto analizzato, ileo sano e patologico con MC, con la microspectroscopia è stata rilevata la distribuzione tramite mappatura di alcuni elementi chimici Na, Mg, C, O, N sulla area infiammatoria e la corrispondente microstruttura tissutale. La microtomografia ha evidenziato le aree di distribuzione della mucosa intestinale ove è presente la flogosi patologica. Gli esperimenti eseguiti sono dati preliminari sui quali lavorare per acquisire gli elementi di miglioramento delle tecniche di applicazione e raggiungere gli scopi della ricerca.
XXIV Ciclo
1967
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3

Martinato, Matteo. "Uno studio prospettico sull'infezione da Clostridium difficile nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: fattori di rischio, tossino-tipi, sensibilità agli antibiotici, capacità di adesione e impatto sul successivo decorso della malattia." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423091.

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Abstract:
Clostridium difficile is a Gram positive bacterium rarely present in normal human gut flora that under certain conditions of intestinal dysbiosis, in patients treated with broad-spectrum antibiotics, in hospitalized patients, in immunocompromised subjects and elderly, can cause disease of variable severity referred to as Clostridium Difficile Associated Diarrohea (CDAD). Although in the past Clostridium difficile has been indicated as a possible causal factor in the development of inflammatory bowel disease (also known as IBD), nowadays it is more likely to believe that the IBD may be a risk factor for Clostridium difficile infection (CDI). CDI in patients with IBD is of increasing importance because the frequency with which it occurs is growing over time, but also because it seems to have a negative impact on health outcomes and because the symptoms induced CDI are indistinguishable from that of an exacerbation of IBD: it is therefore essential to establish an early diagnosis in order to start the most suitable treatment of the case. The aim of this study was to describe the frequency of the CDI in healthy subjects, subjects not affected by IBD hospitalized with suspected CDAD and patients with IBD, characterize strains of Clostridium difficile isolated from IBD patients (sensitivity to antibiotics, types of toxins, adhesion to the intestinal epithelium), to identify risk factors for CDI in IBD patients (characteristics of the subject, illness, concomitant therapy) and to assess the impact of CDI on the course of IBD, both in symptomatic and asymptomatic carriers. From January 2010, stool samples from IBD outpatients and inpatients were collected and analyzed at the Gastroenterology unit of the University Hospital of Padua (both in the acute phase of disease and in remission), from patients admitted to the same unit without IBD but with symptoms and medical treatment suggestive of CDAD and from a control group of healthy subjects matched for age and sex. From the first evaluation (and the collection of the first stool sample), patients with IBD were evaluated at least every six months or in case of relapse or hospitalization for two years. On each sample an anaerobic culture was performed, followed by specific PCR to identify any colonies of Clostridium difficile. Each strain was then characterized by: - Toxins production - Antibiotics sensitivity - Adhesion to Caco-2 cells - Presence or absence of the tcdC gene in bacterial DNA Clinical data were collected from patients with IBD to identify any risk factors for CDI. Patients with IBD have a higher frequency of colonization by Clostridium difficile than the control group: in healthy subjects CDI was detected in 0/55 subjects, in hospitalized IBD patients was found in 5/55 patients (9%) and in IBD outpatients was detected in 9/195 subjects (4.6%). The production profile of the toxins appears to be different in IBD and non-IBD patients with antibiotic-associated diarrhea, confirming the hypothesis of community-acquired strains rather than hospital-acquired. Antibiotics sensitivity tests performed on strains isolated from patients with CDAD and patients with IBD showed that all strains are sensitive to metronidazole and vancomycin and markedly resistant to ciprofloxacin. Strains of Clostridium difficile isolated from patients with active IBD, in remission and from patients with CDAD have shown a different, albeit small, ability to adhere to monolayers of human intestinal epithelial cells (Caco-2), suggesting that strains from active IBD patients have a greater ability to colonize than those from patients in remission. The tcdC gene was identified in 8% of toxigenic strains isolated from IBD patients (active and in remission) and in 25% of those isolated from patients with CDAD, but the genome had deletions of varying extent, indicating a potential increased virulence of identified strains. The statistical analysis did not identify any risk factor associated with CDI in IBD. In the prospective study, CDI has not been identified as a risk factor for clinical or endoscopic relapse or for the need for surgical treatment, demonstrating instead, unexpectedly, to have a protective role against disease flare.
Il Clostridium difficile è un batterio Gram positivo raramente presente nella normale flora intestinale umana che in particolari condizioni di disbiosi intestinale, in pazienti trattati con antibiotici ad ampio spettro, in pazienti ospedalizzati, in soggetti immunocompromessi e in persone anziane, può causare patologie di variabile gravità indicate complessivamente come Clostridium difficile Associated Diarrohea (CDAD). Sebbene in passato il Clostridium difficile sia stato indicato come possibile concausa dello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (note anche come inflammatory bowel disease, IBD), oggi si è più propensi a ritenere che le IBD possano essere un fattore di rischio per l’infezione da Clostridium difficile (CDI). La CDI nei pazienti affetti da IBD riveste una sempre maggiore importanza, sia perché la frequenza con cui si presenta stà crescendo nel tempo, sià perché sembra determinare un impatto negativo sugli outcome di salute, ma anche perché la sintomatologia indotta dalla CDI è indistinguibile da quella di una riacutizzazione della IBD: è quindi fondamentale una diagnosi tempestiva per instaurare le terapie più idonee al trattamento del caso. Lo scopo dello studio è descrivere la frequenza della CDI in soggetti sani, soggetti non affetti da IBD ospedalizzati con sospetto di CDAD e soggetti affetti da IBD, caratterizzare i ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti IBD (sensibilità agli antibiotici, tipologie di tossine prodotte, capacità di adesione all’epitelio intestinale), identificare i fattori di rischio per la CDI nei pazienti IBD (caratteristiche del soggetto, della malattia, della terapia concomitante) e valutare l'impatto della CDI sul decorso della IBD, sia nei portatori sintomatici che in quelli asintomatici. Da gennaio 2010 sono stati raccolti ed analizzati campioni da pazienti IBD ambulatoriali o degenti presso l’unità operativa complessa di gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova (sia in fase acuta di malattia che in remissione), da pazienti ricoverati presso la medesima unità operativa non affetti da IBD con sintomi e terapia medica suggestivi di CDAD e da un gruppo di controllo di soggetti sani appaiati per età e sesso. Dalla prima valutazione (e della raccolta del primo campione) i pazienti con IBD sono stati valutati almeno ogni sei mesi o in caso di recidiva o di ricovero ospedaliero per due anni. Su ogni campione è stata eseguita una coltura anaerobica seguita da PCR specifica per identificare eventuali colonie di C. difficile. Ogni ceppo è stato poi caratterizzato in base a: - tossine prodotte - sensibilità agli antibiotici - adesione alle cellule Caco-2 - presenza o assenza del gene tcdC nel DNA batterico Dati clinici sono stati raccolti dai pazienti con IBD per identificare eventuali fattori di rischio per la CDI. I pazienti con IBD sembrano presentare una maggiore frequenza di colonizzazione da parte del Clostridium difficile rispetto al gruppo di controllo dei soggetti sani: nei controlli la CDI è stata rilevata in 0/55 soggetti. Nei pazienti ricoverati con IBD è stata trovata in 5/55 soggetti (9%). Nei pazienti ambulatoriali è stata rilevata in 9/195 soggetti (4,6%). Il profilo di produzione delle tossine sembra essere differente nei pazienti IBD e nei pazienti non-IBD con diarrea da antibiotici, confermando l'ipotesi di ceppi acquisiti in comunità e non in ambiente ospedaliero. L’antibiogramma eseguito su ceppi isolati da pazienti con CDAD e pazienti con IBD attive o in remissione ha mostrato che tutti i ceppi sono sensibili a metronidazolo e vancomicina e marcatamente resistenti alla ciprofloxacina. Ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti con IBD attive, in fase di remissione e da pazienti con CDAD hanno dimostrato una diversa, seppur piccola, capacità di aderire a monostrati di cellule epiteliali intestinali umane (CACO-2), indicando che i ceppi associati ai pazienti con IBD attive hanno maggiore abilità a colonizzare di quelli in remissione. Il gene tcdC è stato identificato nell’8% dei ceppi tossigenici isolati da pazienti IBD (attivi ed in remissione) e nel 25% di quelli isolati da pazienti con CDAD, ma il genoma presentava delezioni di varia entità, indicando una potenziale aumentata virulenza dei ceppi identificati. L'analisi statistica non ha individuato fattori di rischio associati con la CDI. Nella parte prospettica dello studio la CDI non è stata identificata come fattore di rischio per la recidiva clinica o endoscopica o per la necessità di trattamento chirurgico, dimostrando invece, inaspettatamente, di avere un ruolo protettivo nei confronti della riacutizzazione della malattia.
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GATTI, SIMONA. "Marcatori di danno intestinale nelle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche." Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11566/245512.

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Abstract:
Background: The inflammatory bowel diseases (IBD) are chronic relapsing inflammatory disorders of the gastrointestinal tract, comprising Crohn’s disease (CD), ulcerative colitis (UC), and IBD-unclassified (IBD-U). The microbiome, the barrier function, and the immune system play an integrated role in the development of IBD, and all three components are likely critical for perpetuating the disease process. Aims and project: In this study we have preliminary investigated some specific aspects of the IBD pathogenesis including the intestinal dysbiosis, the alteration of the intestinal barrier and the effect of a specific dietetic treatment (the so-called exclusive enteral nutrition, EEN). Methods: IBD pediatric patients were enrolled in the period 2013-2015. The study included 3 type of analysis: 1. Microbiota study: analysis of fecal microbiota in IBD in general (through the amplification of the V3-V4 regions of the 16S rRNA gene); 2. EEN study: evaluation of the clinical, laboratory and microbiological changes induced by EEN; 3. IPT study: evaluation of the intestinal barrier damage in IBD patients by the intestinal permeability test (IPT). Results: preliminary results of the microbiota study showed a different prevalence in some specific phyla in CD patients compared to UC. Such changes were not correlated to the level of inflammation. The results of the EEN study support the efficacy of EEN in the treatment of CD and preliminary results show a shift in microbiota composition after a course of EEN. IPT was found to be a sensitive test to detect disease activity and to evaluate response to treatments. Conclusion: Our study has generated novel and intriguing data especially with regards to microbiota changes secondary to EEN and to the modification of intestinal permeability following specific treatments.
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COSTANZO, MANUELA. "Caratterizzazione di ceppi di Escherichia coli adesivi e invasivi isolati da pazienti pediatrici con malattie infiammatorie intestinali." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11573/918873.

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