Dissertations / Theses on the topic 'Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI)'

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Battistutta, Sara. "INTERVENTI PER FAVORIRE L'ADESIONE ALLE TERAPIE DELLE MALATTIE CRONICHE INFANTILI- Fibrosi Cistica, Diabete, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Celiachia -." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9980.

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Abstract:
2012/2013
Il Progetto di Dottorato “Interventi per favorire l'adesione alle terapie delle malattie croniche infantili - Fibrosi Cistica, Diabete, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Celiachia” prende origine dalla consapevolezza dell’importante impatto della presenza di una malattia cronica, anche e soprattutto in età evolutiva, per il paziente e la sua famiglia. Le patologie croniche incidono infatti sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari, “interrompendone” la quotidianità. Il programma terapeutico può influire sulla qualità di vita percepita, in quanto può causare dolore ed essere difficoltoso per la complessità e la durata. Tali aspetti influenzano la treatment adherence, che può essere ostacolata anche da problematiche di tipo psicologico spesso difficilmente comunicabili. La famiglia del paziente gioca un ruolo molto importante, ed è pertanto necessario tenere in considerazione l’impatto che la diagnosi e la malattia hanno anche sul genitore e sulla coppia coniugale. Gli studi più recenti, propongono un modello di cura “patient centered”, così definito da Bardes (2012): “As a form of practice, it seeks to focus medical attention on the individual patient's needs and concerns, rather than the doctor's”. Utilizzare un modello di cura che dedichi attenzione a conoscere e accogliere i bisogni dei pazienti e coinvolga gli stessi nel care management della patologia si è dimostrato funzionale ed efficace nei casi di malattia cronica. Il progetto si è pertanto focalizzato sugli aspetti psicologici (preoccupazioni di salute, bisogni, adherence al trattamento) dei pazienti seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo per Fibrosi Cistica (FC), Diabete Mellito di Tipo 1 (D), Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) e Celiachia (C), e alla luce di queste riflessioni si è posto l’obiettivo di implementare un percorso di cura che integri le necessità di carattere medico con i vissuti dei pazienti e i loro principali bisogni, al fine di favorire l’adesione al trattamento e quindi la loro qualità di vita. A tale scopo si è ritenuto importante: 1. Conoscere i bisogni, le preoccupazioni e le priorità di salute, le difficoltà e l’impatto del trattamento nei pazienti con malattia cronica, con attenzione anche al profilo emotivo e comportamentale per una eventuale identificazione precoce dei soggetti a rischio psicopatologico. Si è ritenuto importante confrontare il punto di vista del paziente e quello dello specialista, per valutarne il grado di comprensione ed eventualmente offrire degli spunti di riflessione al fine di migliorare l’alleanza terapeutica. 2. Favorire l’elaborazione della diagnosi di malattia cronica e l’adattamento alla nuova condizione (creazione di uno spazio di ascolto e supporto psicologico); 3. Favorire la comunicazione famiglia-staff e famiglia-territorio per promuovere un raccordo tra i diversi attori in campo (collaborazione con le associazioni). Per raggiungere tali obiettivi, il progetto ha previsto sia una attività di ricerca di tipo quantitativo, realizzata tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei loro risultati, che una di tipo qualitativo, in cui sono stati analizzati i dati relativi ai colloqui clinici effettuati nell’ambito dello spazio psicologico offerto ai pazienti. Allo studio hanno partecipato i pazienti seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste per le patologie FC, D, MICI e C, sia in regime di controllo ambulatoriale, che di day-hospital o ricovero da gennaio 2011 a luglio 2013. Oltre alla compilazione della scheda socio demografica, il progetto ha previsto la somministrazione sia di questionari generali adatti a tutti i partecipanti (1. Need Evaluation Questionnaire di Tamburini; 2. Adherence, ad hoc; 3. SDQ-Ita, Strenght and Difficulties Questionnaire, di Goodman), sia di questionari patologia-specifici (Health Priorities, adattamento da Loonen). I risultati sono stati suddivisi nelle fasce di età 0-10 anni (compilazione del questionario da parte del genitore che descrive se stesso e il figlio); 11-18 anni (compilazione del questionario da parte del paziente, del genitore e, per una parte, del medico); >18 anni (compilazione del questionario da parte del paziente). Hanno aderito al progetto di ricerca 205 pazienti per quanto concerne la raccolta dei dati tramite questionari, mentre 174 hanno usufruito della consulenza psicologica offerta (1028 colloqui, durata media di un’ora). Infine 60 medici hanno aderito al progetto compilando il questionario riguardante le preoccupazioni di salute in età 11-18 anni. In questa sintesi non si riportano i risultati specifici ottenuti, essendo numerosi, ma si evidenziano sinteticamente le loro ricadute operative, ribadendo la necessità di individualizzare tali indicazioni per ogni paziente. In linea con un approccio patient-centered, si ritiene infatti importante indirizzare gli sforzi dei curanti a dedicare il tempo e le energie necessarie per conoscere gli specifici bisogni, le peculiari preoccupazioni e lo stato psicologico di quel paziente e di quella famiglia. 1. Favorire la comunicazione. Alla luce delle divergenze emerse nei questionari tra l’opinione dei pazienti, dei genitori, che per esempio tendono a proiettare i bisogni personali sui figli, e dei medici, è importante “far circolare” le informazioni e contribuire a esplicitare pensieri ed emozioni, consapevoli dei possibili fraintendimenti che ne potrebbero altrimenti derivare. In questo modo può trovare adeguato spazio anche la condivisione dei vissuti e delle preoccupazioni, generali e patologia-specifiche, rilevanti nel campione dei partecipanti allo studio. 2. Offrire informazioni e supporto. È stato riscontrato che la quantità e la qualità delle informazioni trasmesse al paziente e alla sua famiglia e la modalità con le quali vengono trasmesse giocano un ruolo fondamentale nel processo di accettazione a adattamento alla malattia cronica. I partecipanti allo studio hanno sottolineato in particolare la necessità di offrire maggiori informazioni sulla diagnosi, ma soprattutto sulla prognosi e sul trattamento. Tali informazioni possono aiutare i pazienti e i genitori a comprendere cosa attendersi nel futuro prossimo o a lungo termine, e a riconoscere pertanto con più facilità gli eventuali progressi nelle cure o i benefici derivanti (non percepiti dai partecipanti alla ricerca). I pazienti adulti e i genitori hanno inoltre dichiarato il bisogno di essere supportati, sia tramite un lavoro di tipo psicologico, sia tramite il confronto con altre persone con la stessa esperienza. A tale scopo può essere importante promuovere le informazioni sulle associazioni di pazienti presenti sul territorio. Da non trascurare infine anche l’importanza delle informazioni economico-assicurative per i genitori. 3. Empatizzare con la fatica del trattamento. I pazienti non sempre riescono percepire i benefici del trattamento che stanno facendo, mentre ne colgono bene i costi, che si traducono in trasgressioni al regime terapeutico, non solo in adolescenza ma anche in età adulta. Può essere importante, ancor prima di sottolineare durante i controlli medici periodici “le cose che non sono andate bene”, empatizzare con la fatica e i costi per quel paziente di quel trattamento per capire quali sono le specifiche difficoltà provate e come potrebbero essere affrontate, e rinforzare gli aspetti in cui il paziente si sta attivando in modo efficace. Questo alla luce anche delle fragilità emotive riscontrate nello studio e dell’influenza della patologia sullo sviluppo della propria identità, come per esempio testimoniato dal sentimento di diversità riferito dai pazienti nei questionari, alimentato o confermato da una quotidianità scandita dalle cure piuttosto che dalle attività tipiche dell’età. Lo stesso vale per coloro che, con i bambini più piccoli, sono i garanti dell’adherence al trattamento, ovvero i genitori, che possono provare difficoltà sia concrete che emotive. 4. Fare attenzione se le famiglie non sono coese. Lo studio conferma l’influenza della coesione familiare sull’adattamento alla patologia; nel caso di famiglie non coese sono infatti stati riscontrati livelli più elevati di preoccupazione. È dunque importante tenerne conto nella presa in carico di pazienti con patologia cronica, poiché potrebbero andare incontro a maggiori difficoltà, coinvolgendo nella cura anche il contesto familiare. 5. Organizzare la transizione. Una fase particolare nella cura delle patologie croniche è quella della transizione dal servizio pediatrico a quello dell’adulto, un processo che richiede gradualità e accortezza da parte di tutti gli attori in gioco. È importante che i curanti si attivino in modo tale da rispondere ai bisogni, sia di informazione che relazionali segnalati dagli adolescenti della ricerca, e alle preoccupazioni dei pazienti in questo particolare passaggio. 6. Tenere gli occhi aperti sugli aspetti emotivi, sociali e comportamentali. Lo studio conferma la percezione, soprattutto da parte dei genitori, di fragilità psicologiche nei pazienti con malattia cronica. È importante che i sanitari ne siano consapevoli e le tengano in considerazione (ad esempio somministrando strumenti di indagine rapidi e validi), in modo da poter prevenire se possibile lo sviluppo di psicopatologie franche o inviare a chi di competenza per gli interventi del caso. 7. Essere consapevoli che ogni patologia può attivare preoccupazioni specifiche e richiede considerazioni su aspetti peculiari. Nello studio è per esempio emersa l’importanza di tenere in considerazione la gravità delle manifestazioni cliniche nella FC; il controllo glicemico, la paura dell’ipoglicemia e l’importanza delle restrizioni alimentari nel D; le preoccupazioni sulle conseguenze prossime, come i ricoveri o gli interventi chirurgici, per le MICI; e infine l’impatto della dieta glutinata nei pazienti con C, con attenzione alla presenza o meno di sintomi. 8. Offrire la possibilità di un supporto di tipo psicologico dedicato. L’esperienza clinica del dottorato e i risultati della ricerca hanno fatto emergere l’importanza di un tempo sufficientemente ampio dedicato all’ascolto e al lavoro psicologico con le persone con malattie croniche e con i loro familiari, al fine di stimolare la comunicazione e favorire l’accettazione e l’adattamento alla patologia, in un processo di cura che permetta il passaggio dal “to cure” al “to care”. Nel Capitolo 1 “Le Malattie Croniche”, viene data una definizione sintetica del concetto di “malattia cronica” e una breve descrizione delle patologie considerate nello studio. La conoscenza di tali caratteristiche è necessaria per gli operatori sanitari, anche non medici, per poter comprendere il quadro di riferimento del bambino, dell'adolescente o dell'adulto con patologia cronica, potervi empatizzare e attivarsi di conseguenza. Nel Capitolo 2 “Gli Aspetti Psicologici Nelle Malattie Croniche”, dopo una breve introduzione sull’importanza di studiare gli aspetti psicologici, è stata delineata una panoramica dell’evoluzione di questi studi nel tempo. Di seguito, in una prima parte sono stati descritti gli aspetti psicologici generali, in considerazione sia della fase di sviluppo sia della fase di malattia; in una seconda parte si sono analizzati alcuni aspetti peculiari delle specifiche patologie. Nel Capitolo 3 “Interventi per favorire l’adesione alle terapie delle malattie croniche infantili” viene infine descritto lo studio realizzato e i principali risultati ottenuti, con particolare attenzione alle ricadute in ambito clinico di tale lavoro. Sono stati analizzati sia i dati quantitativi, ricavati dalla somministrazione dei questionari e dall’analisi dei loro risultati, sia i dati di tipo qualitativo, ricavati dall’analisi delle informazioni inerenti il lavoro clinico con i pazienti (colloquio clinico). Verrà sinteticamente descritto anche l’approccio teorico seguito.
XXVI Ciclo
1979
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2

Girardelli, Martina, and Martina Girardelli. "Ricerca di nuove varianti geniche associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10849.

Full text
Abstract:
2013/2014
2013/2014
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), sono un gruppo di malattie eterogenee ad eziologia multifattoriale. Sono caratterizzate da uno stato infiammatorio a carico della mucosa del tratto gastrointestinale e comprendono il Morbo di Crohn (MC), la Rettocolite ulcerosa (RCU) e la Colite indeterminata (CI) i cui quadri istopatologici differiscono tra loro per tipo di lesione, localizzazione della malattia e complicanze associate. Le MICI insorgono tipicamente durante l’adolescenza o in età adulta come il risultato della combinazione di tutti i fattori predisponenti che concorrono in egual misura nella determinazione della malattia. L’insorgenza delle MICI può avvenire anche in età molto precoce, entro i 10 anni ma anche entro i 2 anni e in maniera ancora più grave. In questi casi di esordio precoce si ipotizza che il peso maggiore sia da attribuire alla componente genetica piuttosto che a fattori ambientali e microbici. Solitamente i pazienti con esordio precoce sono caratterizzati da un fenotipo malattia più severo e difficilmente controllabile con le terapie convenzionali. Per gli aspetti differenti che si osservano in termini di predisposizione, caratteristiche fenotipiche, fattori coinvolgenti e geni interessati, le MICI possono essere contestualizzate da una parte come malattie multifattoriali e dall’altra come patologie “monogeniche". Nel contesto della multifattorialità, i numerosi studi di associazione son stati importantissimi in quanto hanno individuato numerosi geni relativi a distinte pathway (barriera intestinale, regolazione dell’immunità innata dell’epitelio, autofagia, sistema fagocitario e stress) coinvolte nella patogenesi delle MICI (ad oggi 163 loci). Nel lavoro di dottorato l’attenzione e l’interesse si è focalizzato sullo studio delle MICI ad insorgenza precoce e uno dei primi obiettivi della tesi è stato quello di indagare in 36 pazienti pediatrici, geni noti dalla letteratura per essere associati alla malattia (NOD2, ATG16L1, IL23R, IL10, IL10RA, IL10RB e XIAP), con il fine di identificare una possibile correlazione genotipo-fenotipo. Anche se non è stato possibile identificare un unico filo conduttore che ci ha permesso di correlare il fenotipo dei pazienti ai genotipi individuati, sono state identificate nuove varianti missenso e introniche. Tutte le varianti individuate sono state analizzate da un punto di vista bioinformatico per valutare la predizione di patogenicità: in base alle predizioni ottenute l’attenzione si è focalizzata su due varianti nel gene NOD2 sulle quali sono stati allestiti saggi funzionali per valutare il loro impatto sulla corretta sintesi e funzionamento della proteina. Un importante dato che emerge sempre più spesso dalla letteratura è l’evidenza che lesioni infiammatorie a carico del tratto gastrointestinale e il fenotipo tipico delle MICI, possono presentarsi molto precocemente (entro i 2 anni di vita) come prime o a volte anche come uniche manifestazioni cliniche in un contesto patologico più ampio che sottende allo sviluppo di gravi immunodeficienze (MICI-like). In questi casi le mutazioni a carico del gene malattia sono molto rare e generalmente considerate come mutazioni “private” e causative del fenotipo malattia che si osserva. Nell’ambito delle MICI in un contesto che possiamo definire monogenico, sono stati analizzati pazienti pediatrici con una sintomatologia MICI-like mediante analisi di sequenza di nuova generazione “Whole Exome Sequencing (WES)”. Sono state ricercate specificamente mutazioni in un determinato set di geni accuratamente selezionati (60 geni) in quanto responsabili di patologie monogeniche che presentano, all’esordio della malattia, una sintomatologia MICI-like. L’obiettivo è quello di riuscire ad effettuare in tempi rapidi l’identificazione di mutazioni in specifici geni malattia, per permettere al clinico di diagnosticare altrettanto rapidamente la malattia e poter intraprendere la terapia più adeguata e specifica per ciascun paziente. Così come sono state individuate numerose varianti presenti nei database e note per la loro associazione alle MICI, sono state identificate anche nuove varianti, mai descritte prima in letteratura. Alcune varianti sono state analizzate con saggi funzionali in vitro in modo da poter comprendere il rispettivo effetto sulla proteina. Per testare l’effetto della variante intronica rs104895421 (c.74-7T>A), situata a monte dell’esone 2 del gene NOD2, è stato allestito il saggio del minigene ibrido. L’esperimento ha messo in evidenza che tale sostituzione nucleotidica altera il corretto funzionamento del meccanismo di splicing, provocando, anche se non con una efficienza del 100% l’esclusione dell’esone. Nel contesto di MICI come malattie monogeniche, sono state individuate due importanti mutazioni, in due pazienti con sintomatologia MICI-like ad esordio molto precoce. La prima è una mutazione, ovvero una delezione di due nucleotidi, identificata nel gene XIAP (c.1021_1022delAA fs p.N341fsX7). Questa delezione determina la sintesi di una proteina tronca provocando un’alterazione strutturale della proteina che ne la funzionalità. Il risultato di tale lavoro ha permesso al clinico di fare finalmente la corretta diagnosi e il paziente è stato curato grazie ad un trapianto di midollo. La seconda mutazione degna di interesse è una mutazione missenso identificata in omozigozi nel gene NOD2 (c.G1277A p.R426H), in seguito all’analisi dell’esoma. Dalle indagini funzionali si evince che tale mutazione altera il normale funzionamento del recettore intracellulare NOD2, e quindi potrebbe spiegare il fenotipo malattia osservato nel giovane paziente (“gain of function”). In questo caso, il confronto con il clinico, in base alle evidenze ottenute dai test eseguiti, deve ancora avere luogo ma sarà di fondamentale importanza per fare una diagnosi e iniziare la terapia idonea. Questa tesi ha incrementato, seppur con piccoli tasselli, le conoscenze riguardo alcuni varianti in geni conosciuti dalla letteratura per la loro associazione con le MICI. I risultati ottenuti hanno avuto inoltre un impatto traslazionale molto importante permettendo ai clinici di fare la corretta diagnosi e iniziare la terapia idonea per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita del paziente.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1985
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3

De, Iudicibus Sara. "Farmacogenetica delle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7436.

Full text
Abstract:
2010/2011
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) comprendono due patologie distinte, la malattia di Crohn (MC) e la rettocolite ulcerosa (RCU), che pur essendo diverse dal punto di vista patogenetico, presentano aspetti clinici comuni quali la presenza di infiammazione cronica a diversi livelli del tratto gastrointestinale e l'alternanza tra fasi attive ed inattive della malattia. Queste patologie hanno un picco di incidenza nell’adulto, tuttavia piu' di un terzo dei casi insorge prima dei sedici anni. L'approccio terapeutico e' principalmente diretto al trattamento e controllo dell'infiammazione, attraverso farmaci capaci di indurre e mantenere la remissione della malattia, che tuttavia inducono effetti avversi importanti, particolarmente rilevanti nella popolazione pediatrica. Nonostante l'introduzione in clinica di farmaci biologici altamente efficaci, i glucocorticoidi (GC) continuano a rappresentare la terapia di prima linea per indurre la remissione nel MC e nella RCU in fase di attività moderata o severa. La risposta clinica a questi farmaci è tuttavia estremamente variabile, e al momento non ci sono validi marcatori che permettano di predire quali saranno i pazienti che risponderanno in maniera adeguata e quali al contrario non risponderanno o andranno incontro a effetti collaterali. Dopo un ciclo iniziale con i GC, la terapia viene continuata con altri immunosoppressori, che negli ultimi anni vengono utilizzati sempre più precocemente, proprio per cercare di aumentare l’efficacia e di limitare le complicanze da steroidi. Tra gli immunosoppressori più utilizzati vi sono le tiopurine 6-MP e AZA: quest’ultima è la tiopurina più utilizzata nelle MICI pediatriche. Una prima parte della ricerca si è occupata di studiare retrospettivamente su pazienti pediatrici con MICI la farmacogenetica degli steroidi, con l’obiettivo di identificare marcatori che possano essere utili a predire la risposta clinica a questi farmaci. In parallelo, è stata analizzata la farmacogenetica e farmacocinetica dell’AZA, con lo scopo di ottimizzare il trattamento con questo farmaco in pazienti pediatrici con MICI, permettendo di aggiustare i dosaggi e di evitare trattamenti destinati all’insuccesso. La farmacogenetica degli steroidi è stata studiata su 154 pazienti con MICI che sono stati suddivisi in base alla risposta clinica in responders (84), dipendenti (55) e resistenti (15): è stato dimostrato un effetto significativo del polimorfismo BclI del gene NR3C1 che codifica per il recettore dei GC, e del polimorfismo Leu155His del gene NALP1, proteina coinvolta nell’attivazione della pro-IL-1 a IL-1, sulla risposta ai GC. Questa associazione è stata dimostrata mediante analisi univariate (responders vs non responders p=0.02) e multivariate (responders vs non responders p=0.03) e confermata anche esaminando il modello con l’analisi CART. Quest’analisi conferma il significativo effetto dei polimorfismi BclI e Leu155His sulla risposta ai GC con modalità indipendente, ed indica come altre importanti variabili il sesso e l’età all’esordio della malattia. In conclusione, i risultati ottenuti indicano che fattori genetici (polimorfismi BclI del gene NR3C1 e Leu155His del gene NALP1) e variabili cliniche (età all’esordio e sesso) potrebbero rappresentare degli importanti marker di risposta ai GC in pazienti pediatrici con MICI. Le correlazioni tra farmacocinetica e farmacogenetica dell’AZA sono state studiate in 77 pazienti pediatrici affetti da MICI, in trattamento con farmaci tiopurinici da almeno 3 mesi. I risultati ottenuti confermano un effetto del polimorfismo dell’enzima TPMT sui metaboliti attivi delle tiopurine in accordo con quanto riportato precedentemente in letteratura, confermando l’importante ruolo di questo enzima sul metabolismo dell’AZA. E’ stato inoltre dimostrato un effetto significativo dell’isoforma M dell’enzima GST sui metaboliti dell’AZA: soggetti con delezione del gene presentano una concentrazione più bassa dei metaboliti attivi 6-TGN (p=0.010) ed un rapporto TGN/dose più basso (p=0.0002): l’isoforma M dell’enzima GST è coinvolta nella conversione dell’AZA in 6-MP; nei soggetti deleti meno AZA verrebbe convertita in 6-MP a sua volta pro farmaco del metabolita attivo 6-TGN. Inoltre, le concentrazioni dei metaboliti metilati sono significativamente più alte nei pazienti con un genotipo variante per il polimorfismo C94A del gene ITPA rispetto ai pazienti con genotipo wild type (p=0.046), mentre non è evidente una correlazione con i metaboliti 6-TGN. Studi prospettici dovranno essere realizzati in futuro, per valutare l’efficacia di strategie di dosaggio dell’AZA basate sulla quantificazione dei metaboliti e sull’analisi dei polimorfismi degli enzimi TPMT, GST-M e ITPA per migliorare la risposta al farmaco e ridurre gli effetti avversi. E’ stato inoltre messo a punto un modello sperimentale in vitro su colture primarie di cellule mononucleate, su cui testare l’inibizione della proliferazione indotta da mitogeno sia dei GC che dell’AZA, attraverso il saggio d’incorporazione della timidina triziata. I dati ottenuti con il test in vitro sono stati poi correlati con la presenza di polimorfismi genetici degli enzimi coinvolti nella farmacogenetica di questi farmaci, con l’obiettivo di standardizzare una metodica che dovrebbe permettere di predire la risposta alla terapia prima di iniziare il trattamento. E’ stata osservata una maggiore sensibilità in vitro ai GC nei soggetti mutati per il polimorfismo BclI: questo SNP è risultato infatti essere associato ad una IC50 (concentrazione di farmaco che inibisce il 50% della proliferazione cellulare) più bassa, in confronto ai soggetti non mutati (p=0.0058). Questo risultato è confermato anche considerando l’Imax (l’inibizione della proliferazione cellulare alla concentrazione di farmaco più alta): soggetti con genotipo mutato per BclI presentano un’Imax più alta rispetto ai non mutati (p=0.0078). Sulla base di questi risultati, si conferma il ruolo importante del polimorfismo BclI nella risposta ai GC, già dimostrata nello studio retrospettivo, come marker genetico di risposta ai GC. Lo studio sulla sensibilità dell’AZA sui linfociti di volontari sani, non ha evidenziato correlazioni statististicamente significative tra i polimorfismi degli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’AZA, e la sensibilità individuale a questo farmaco in vitro. Questa mancata correlazione, può derivare dal fatto che il metabolismo dell’AZA è principalmente di tipo epatico, e i linfociti probabilmente non rappresentano un buon modello per questo studio: esperimenti futuri riguarderanno l’utilizzo di linee cellulari epatiche, su cui verrà testata l’alterata sensibilità all’AZA e 6-MP, in condizioni di ipersespressione o silenziamento dei geni di nostro interesse, tra cui GST. Nel complesso, questa tesi ha sviluppato un set di valutazioni farmacologiche, integranti dati di farmacocinetica, farmacodinamica e farmacogenomica, da applicare all'ottimizzazione della terapia delle MICI pediatriche con steroidi ed AZA, in modo da aumentarne l'efficacia e ridurrne gli effetti avversi. I markers che sono risultati essere correlati ad un’alterata risposta a questi farmaci potrebbero essere utilizzati dal clinico per selezionare i pazienti responders dai non responders, e per trattare questi ultimi con associazioni di altri immunosoppressori in maniera precoce.
XXIV Ciclo
1979
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4

Rastelli, Stefania. "Struttura e funzione arteriosa nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università di Catania, 2015. http://hdl.handle.net/10761/4023.

Full text
Abstract:
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) sono associate ad un aumentato rischio cardiovascolare non completamente spiegabile con la prevalenza dei fattori di rischio cardiovascolare tradizionali. L'infiammazione e l'aumento della rigidità arteriosa ad essa correlata potrebbero avere un ruolo importante nella valutazione del rischio cardiovascolare di questi soggetti. In questa tesi ho studiato la correlazione tra infiammazione e rigidità arteriosa nelle IBD. Per la prima volta ho riportato che i soggetti con IBD hanno un'aumentata rigidità arteriosa che può essere normalizzata dall'uso di farmaci anti TNF-alfa.
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5

Caccaro, Roberta. "Studio del ruolo dell'infezione da Citomegalovirus umano nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423078.

Full text
Abstract:
Inflammatory bowel disease (IBD) patients are an emerging category of patients at risk of HCMV infection, because they are often immunosuppressed and because HCMV has preferential tropism for sites of inflammation. However, the role of the virus in this population of patients is still unclear. Current and most widely theories suggest that HCMV could be responsible for flares and/or make the patient develop resistance to medical treatment; besides, some data suggest that HCMV infection could be responsible for a more aggressive course of the disease. We still do not know if the flare of HCMV is related to a loss of competence of the immune system in IBD patients due to immunosuppressive medications or to the reactivation of the disease itself. Aims of the study were: 1) assessment of low-grade HCMV infection (microinfection) on colonic biopsies from a cohort of IBD patients and evaluation of the correlation with inflammation and the therapeutical regimen. 2) assessment of HCMV specific T-cell response in IBD patients in peripheral blood and evaluation of its possible correlation with disease activity and type of treatment. The first part of the study has been conducted on a retrospective cohort of consecutive non-selected IBD patients and controls (patients who performed colonoscopy for colorectal cancer screening or because of gastrointestinal symptoms, without any pathological finding at endoscopy and at histological examination). Intestinal biopsies were evaluated through a highly sensitive immunohistochemistry (IHC) protocol for HCMV immediate early (IE) and pp65 antigens. In addition real time PCR for HCMV IE-DNA and micro-RNA UL112 (the latest being involved in immune-evasion strategies) was performed. The HCMV-specific T cell response was evaluated in a prospective cohort of consecutive, non-selected IBD patients (in a cross-sectional and longitudinal study). For each patient the HCMV serology status was evaluated and in IgG-positive patients the HCMV-specific T-cell response was assessed in monocytes from peripheral blood (PBMCs), using an IFN-γ EliSpot assay. Patients were stratified according to the disease clinical activity indexes validated for Crohn'€™s disease (CD) and for ulcerative colitis (UC) and according to the therapeutic regimen. Levels of HCMV-specific immune response were considered normal if the EliSpot assay displayed at least 20 spot forming colonies (SFCs)/200000 PBMCs. The retrospective part of the study was conducted on 32 IBD patients (11 CD and 21 UC) and 8 controls; a total of 116 biopsies (collected during 55 different colonoscopies) were analyzed using IHC for HCMV antigens. 84 biopsies (72%) were collected on inflamed mucosa, while the remaining from uninflamed mucosa of IBD patients or from healthy mucosa from controls. IE-IHC was positive in 43% of the biopsies; none of them were from uninflamed mucosa; pp65-IHC was positive in 45% of biopsies, only one coming from a control patient. Intestinal inflammation was associated to an increased percentage of HCMV-IHC positivity; no difference was observed between biopsies collected from uninflamed mucosa of IBD patients and from control subjects. Immunosuppressive therapy (both monotherapy and combination therapy) was not associated with an increased risk of HCMV antigens positivity at IHC. However, non-immunosuppressed IBD patients were more frequently HCMV positive than controls. The study of HCMV IE-DNA expression was performed on 40 intestinal biopsies, with no evidence of HCMV in 65% of cases. In the positive cases the levels of expression were significantly inferior to the reference standard, with non difference between biopsies collected from inflamed and non-inflamed areas. A pilot study of the expression of HCMV UL112 microRNA has been performed on 24 biopsies; this microRNA was expressed in all the biopsies studied, however levels of expression were significantly inferior to the reference standard. In the prospective study 167 patients were enrolled and 125 (75%) were HCMV IgG-positive. 13% patients had low levels of HCMV-T cell specific response with a median value of 6 SFCs/200000 PBMCs (range 0-19). Twelve out of these 17 patients were on immunosoppressive therapy at the time of inclusion in the study. In 10 patients the disease was at least mildly active. The 29% of patients had moderate response (median 60.5 SFCs/200000 PBMCs (range 24-99); the majority of patients displayed a high HCMV specific immune response (median 199.5 SFC/200000 PBMCs (range 100-1000)). CD and UC patients displayed similar levels of specific response. Medical therapy did not influence the levels of immunity (in terms of number and types of immunosuppressors used). In particular, 19 patients tested before and after the beginning of anti-TNF therapy did not display a significant change in the specific levels of immunity. In conclusion, it seems plausible that latent virus could reactivate in inflammatory conditions, regardless the therapeutic regimen of the patient. On the other hand, the virus activates immune-evasion strategies in order to restore the latency status and ensure its own persistence in the host.
I pazienti affetti da malattia infiammatoria cronica intestinale (MICI) rappresentano una categoria emergente di soggetti a rischio di infezione/riattivazione di citomegalovirus (HCMV), data la natura infiammatoria della malattia e dato il sempre più frequente approccio terapeutico immunosoppressivo. Tuttavia il ruolo di HCMV in questa popolazione rimane ancora da chiarire. L'ipotesi attualmente più condivisa è che l'infezione, o più frequentemente la riattivazione virale, possa rappresentare un trigger di riaccensione della MICI e/o una causa di resistenza alla terapia medica. Tuttavia non è noto se tali evenienze siano da ricondurre ad una perdita di competenza del sistema immune nei confronti del virus secondaria alla terapia immunosoppressiva o alla esacerbazione della malattia infiammatoria cronica sottostante o al background immunologico proprio dei pazienti portatori di queste patologie. Particolare ruolo nella progressione di malattia potrebbe essere giocato dalla presenza di una microinfezione, ovvero di una infezione di basso grado, capace di mantenere uno stato di flogosi subclinica. Gli scopi dello studio sono: 1) valutare la frequenza di microinfezione da HCMV nella mucosa intestinale di pazienti affetti MICI e la relazione con la presenza di infiammazione e con il tipo di trattamento medico in corso; 2) valutare l'immunità cellulare T HCMV specifica nei soggetti con MICI in relazione all'attività di malattia e al tipo di trattamento medico in corso. Lo studio si è articolato in due parti: 1) la prima, retrospettiva, volta all'analisi di biopsie intestinali prelevate in corso di colonscopie eseguite per normale pratica clinica in pazienti consecutivi non selezionati. Sono state analizzate biopsie intestinali provenienti da pazienti con MICI e soggetti di controllo (che avevano eseguito colonscopia per screening o per sintomi gastrointestinali, senza riscontro tuttavia di alcuna lesione organica all'endoscopia e all'istologia). Le biopsie intestinali sono state analizzate mediante tecniche di immunoistochimica (IHC) ad alta sensibilità per la ricerca di microinfezione da HCMV (studio di antigeni "immediate early" (IE) e pp65). Da tali biopsie sono stati inoltre estratti DNA e RNA per l'analisi dell'espressione di IE-DNA e miRNA UL112 di HCMV (quest'ultimo implicato nei meccanismi di immuno-evasione) mediante Real Time-PCR. 2) La seconda parte dello studio, volta all'analisi dell'immunità cellulare T HCMV-specifica, si è articolata in una parte trasversale ed in una prospettica. Sono stati prelevati 10 ml di sangue periferico da pazienti con MICI consecutivi, non selezionati, afferenti alla SOC gastroenterologia. La stratificazione dei pazienti è stata eseguita sulla base degli indici di attività clinica di malattia validati per la malattia di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU). Dai campioni di sangue periferico sono state estratte le cellule mononucleate (PBMCs), successivamente utilizzate nel saggio immunoenzimatico EliSpot dopo opportuna stimolazione con miscela di peptidi immunogenici di HCMV. Si sono considerati come normali livelli di immunità i casi che esprimessero almeno 20 spot forming colonies (SFCs)/200000 PBMCs. Nello studio retrospettivo sono stati inclusi 32 pazienti (11 con MC e 21 con CU) e 8 soggetti di controllo; sono state studiate mediante IHC complessivamente 116 biopsie intestinali raccolte nel corso di 55 esami endoscopici diversi. 84 su 116 biopsie (72%) provenivano da mucosa infiammata di soggetti con MICI; nei rimanenti casi da mucosa sana di soggetti con MICI o dai soggetti di controllo. Nel complesso, l'IHC per l'antigene IE di HCMV ha dato esito positivo nel 43% delle biopsie studiate; la totalità delle biopsie positive all'antigene IE proveniva da aree infiammate. L'IHC per l'antigene pp65 è risultata positiva nel 45% delle biopsie. In nessuna delle biopsie raccolte dai controlli è stata riscontrata positività per l'antigene IE, e solo in una biopsia è emersa una debole positività per pp65 in poche cellule epiteliali e della lamina propria. La positività ad entrambi gli antigeni è stata riscontrata più frequentemente nelle biopsie provenienti da mucosa infiammata rispetto a quelle provenienti da mucosa sana di soggetti con MICI. Questa maggior frequenza è stata riscontrata anche rispetto alle biopsie intestinali provenienti dai soggetti di controllo. Al contrario, non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa nella frequenza della positività agli antigeni di HCMV nelle biopsie provenienti dai controlli rispetto a quelle provenienti da aree di mucosa esente da infiammazione di soggetti con MICI. La presenza di terapia immunosoppressiva al momento della colonscopia non è risultata associata ad un maggior rischio di avere l'IHC positiva per l'antigene IE o pp65, sia che fosse utilizzata in monoterapia che in associazione. Nel complesso, i soggetti affetti da MICI non immunosoppressi avevano tuttavia più frequentemente una positività antigenica rispetto ai soggetti di controllo, anch'essi non immunosoppressi (p = 0.001 per IE; p = 0.007 per pp65). Su 40 biopsie intestinali, provenienti da 30 differenti pazienti, è stato estratto il DNA ed eseguita la ricerca del genoma di HCMV mediante RT-PCR diretta contro il gene Major IE. Tale ricerca ha dato esito negativo in 26 casi (65%). I livelli di espressione del gene IE di HCMV sono risultati essere molto inferiori rispetto allo standard di riferimento (DNA proveniente da fibroblasti infettati in coltura), senza differenza significativa tra campioni provenienti da mucosa infiammata e non infiammata dei soggetti con MICI. Su 24 biopsie è stato eseguito uno studio di carattere esplorativo dell'espressione del miRNA specifico per HCMV UL112, riscontrandone la positività nel 100% dei campioni analizzati. Anche in questo caso i valori di espressione erano inferiori allo standard di riferimento. Nello studio prospettico volto a studiare l'immunità cellulare T HCMV-specifica nei pazienti affetti da MICI sono stati arruolati complessivamente 167 pazienti; di questi 125 (75%) erano già stati esposti all'infezione da HCMV, manifestando una sierologia IgG positiva. Il 13% dei pazienti ha dimostrato una bassa risposta immunitaria T-mediata nei confronti di HCMV, con una mediana di 6 SFCs/200000 PBMCs (range 0-19). Dodici di questi 17 pazienti stavano assumendo terapia immunosoppressiva. In 10 pazienti la malattia infiammatoria intestinale era almeno lievemente attiva secondo il corrispondente score clinico. Il 29% dei pazienti aveva una risposta HCMV-specifica intermedia, con una mediana di 60.5 SFCs/200000 PBMCs (range 24-99), mentre la maggioranza aveva una risposta elevata, con una mediana di 199.5 SFCs/200000 PBMCs (range 100-1000). Non sono stati osservati differenti livelli di immunità HCMV-specifica nella MC e nella CU, indipendentemente dallo stato di attività di malattia. La terapia medica in corso non è risultata influente sui livelli di immunità HCMV-specifica, sia nella MC che nella CU; il tipo di immunosoppressore (steroidi sistemici, tiopurine, biologici) o il numero di immunosoppressori in combinazione non si è associato a differenze significative nel numero di SFCs al test EliSpot. In particolare, 19 pazienti indirizzati alla terapia biologica anti-TNFα che sono stati valutati con IFN-γ EliSpot immediatamente prima di iniziare il trattamento e con un prelievo nel corso del mantenimento, non hanno subito una significativa modificazione dei valori di immunità. In conclusione, sembra plausibile che il virus che alberga in forma latente nell'organismo ospite risenta favorevolmente dell'ambiente infiammatorio tipico delle MICI in fase attiva e che sia questo a determinarne la riattivazione virale, indipendentemente dal trattamento medico in corso. Tuttavia, il virus metterebbe subito in atto meccanismi volti a ripristinare la fase di latenza per evitare che il sistema immune dell'ospite, riattivando ed espandendo il compartimento cellulare T HCMV-specifico, riesca a eliminare, almeno in parte, l'infezione.
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Agostini, Alessandro <1973&gt. "Applicazione della neurodiagnostica avanzata allo studio dei disturbi psicologici nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3277/1/alessandro_agostini_tesi.pdf.

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Abstract:
Background and aim Ulcerative Colitis (UC) and Crohn’s Disease (CD), collectively labelled as inflammatory bowel disease (IBD), are idiopathic, chronic inflammatory disorder of the bowel with a remitting and relapsing course. IBD are associated to poor emotional functioning and psychological distress. We have investigated the brain involvement in patients with IBD using functional magnetic resonance imaging (fMRI). Materials and methods We developed an emotional visual task to investigate the emotional functioning in 10 UC patients and 10 healthy controls (HC). Furthermore, we have compared the brain stress response between a group of 20 CD patients and a group of 18 HC. Finally, we evaluated potential morphological differences between 18 CD patients and 18 HC in a voxel based morphometry (VBM) study. Results We found brain functional changes in UC patients characterized by decreased activity in the amygdala in response to positive emotional stimuli. Moreover, in CD patients, the brain stress response and habituation to stressful stimuli were significantly different in the medial temporal lobe (including the amygdala and hippocampus), the insula and cerebellum. Finally, in CD patients there were morphological abnormalities in the anterior mid cingulated cortex (aMCC). Conclusion IBD are associated to functional and morphological brain abnormalities. The previous intestinal inflammatory activity in IBD patients might have contributed to determine the functional and morphological changes we found. On the other hand, the dysfunctions of the brain structures we found may influence the course of the disease. Our findings might have clinical implications. The differences in the emotional processing may play a role in the development of psychological disorders in UC patients. Furthermore, in CD patients, the different habituation to stress might contribute to stress related inflammatory exacerbations. Finally, the structural changes in the aMCC might be involved in the pain symptoms associated to the bowel disorder.
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Agostini, Alessandro <1973&gt. "Applicazione della neurodiagnostica avanzata allo studio dei disturbi psicologici nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3277/.

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Abstract:
Background and aim Ulcerative Colitis (UC) and Crohn’s Disease (CD), collectively labelled as inflammatory bowel disease (IBD), are idiopathic, chronic inflammatory disorder of the bowel with a remitting and relapsing course. IBD are associated to poor emotional functioning and psychological distress. We have investigated the brain involvement in patients with IBD using functional magnetic resonance imaging (fMRI). Materials and methods We developed an emotional visual task to investigate the emotional functioning in 10 UC patients and 10 healthy controls (HC). Furthermore, we have compared the brain stress response between a group of 20 CD patients and a group of 18 HC. Finally, we evaluated potential morphological differences between 18 CD patients and 18 HC in a voxel based morphometry (VBM) study. Results We found brain functional changes in UC patients characterized by decreased activity in the amygdala in response to positive emotional stimuli. Moreover, in CD patients, the brain stress response and habituation to stressful stimuli were significantly different in the medial temporal lobe (including the amygdala and hippocampus), the insula and cerebellum. Finally, in CD patients there were morphological abnormalities in the anterior mid cingulated cortex (aMCC). Conclusion IBD are associated to functional and morphological brain abnormalities. The previous intestinal inflammatory activity in IBD patients might have contributed to determine the functional and morphological changes we found. On the other hand, the dysfunctions of the brain structures we found may influence the course of the disease. Our findings might have clinical implications. The differences in the emotional processing may play a role in the development of psychological disorders in UC patients. Furthermore, in CD patients, the different habituation to stress might contribute to stress related inflammatory exacerbations. Finally, the structural changes in the aMCC might be involved in the pain symptoms associated to the bowel disorder.
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Cucino, C. "Prevalenza della colelitiasi in una serie consecutiva di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2005. http://hdl.handle.net/2434/62148.

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Abstract:
In 1969 Heaton el al. documented an increase of 4-5 times in the prevalence of cholelithiasis (GD) in patients with Crohn s disease (CD). These data were later confirmed by several Authors, but the mechanisms involved are controversal. Only three studies reported the prevalence of gallstones disease in ulcerative colitis (UC) and they gave controversial results as well. The aim of our study was to look at the prevalence of cholelithiasis in a consecutive series of patiens with CD and UC and to evaluate the possible risk factors involved. These results represent preliminary data for the first study about the incidence of GD and IBD. We included 412 patients with CD and 183 with UC, performed an abdominal US and evaluated several parameters as possible risk factors. We calculated the OR and the 95% CI by the regression logistic models after adjustment for the considered variables. The prevalence of GD was 9% in CD and 7 % in UC. Female sex and a high BMI did not correlate with an increase of GD. Older age was a risk factor for CD but not for UC. Previous bowel resections represent a risk factor for both CD an UC and, in particular, ileal resection was strongly associated with an increase of GD in CD. A number of hospitalizations > 3 and a cumulative number of days of hospitalization > 40 resulted to be a risk factor for CD and UC.
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Pastorelli, Luca <1977&gt. "Espressione e ruolo funzionale di interleuchina-33 e del suo recettore, ST2, nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4148/1/pastorelli_luca_tesi.pdf.

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Abstract:
IL-33 is a novel member of the IL-1 family and ligand for the IL-1 receptor-related protein, ST2. Recent evidence suggests that the IL-33/ST2 axis plays a critical role in several autoimmune and inflammatory disorders; however, its role in inflammatory bowel disease (IBD) has not been clearly defined. We characterized IL-33 and ST2 expression and modulation following conventional anti-TNF therapy in Crohn’s disease and ulcerative colitis (UC) patients, and investigated the role of IL-33 in SAMP1/YitFc (SAMP) mice, a mixed Th1/Th2 model of IBD. Our results showed a specific increase of mucosal IL-33 in active UC, localized primarily to intestinal epithelial cells (IEC) and colonic inflammatory infiltrates. Importantly, increased expression of full-length IL-33, representing the most bioactive form, was detected in UC epithelium, while elevated levels of cleaved IL-33 were present in IBD serum. ST2 isoforms were differentially modulated in UC epithelium and sST2, a soluble decoy receptor with anti-inflammatory properties, was also elevated in IBD serum. Infliximab (anti-TNF) treatment of UC decreased circulating IL-33 and increased sST2, while stimulation of HT-29 IEC confirmed IL-33 and sST2 regulation by TNF. Similarly, IL-33 significantly increased and correlated with disease severity, and potently induced IL-5, IL-6 and IL-17 from mucosal immune cells in SAMP mice. Taken together, the IL-33/ST2 system plays an important role in IBD and experimental colitis, is modulated by anti-TNF therapy, and may represent a specific biomarker for active UC.
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Pastorelli, Luca <1977&gt. "Espressione e ruolo funzionale di interleuchina-33 e del suo recettore, ST2, nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4148/.

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Abstract:
IL-33 is a novel member of the IL-1 family and ligand for the IL-1 receptor-related protein, ST2. Recent evidence suggests that the IL-33/ST2 axis plays a critical role in several autoimmune and inflammatory disorders; however, its role in inflammatory bowel disease (IBD) has not been clearly defined. We characterized IL-33 and ST2 expression and modulation following conventional anti-TNF therapy in Crohn’s disease and ulcerative colitis (UC) patients, and investigated the role of IL-33 in SAMP1/YitFc (SAMP) mice, a mixed Th1/Th2 model of IBD. Our results showed a specific increase of mucosal IL-33 in active UC, localized primarily to intestinal epithelial cells (IEC) and colonic inflammatory infiltrates. Importantly, increased expression of full-length IL-33, representing the most bioactive form, was detected in UC epithelium, while elevated levels of cleaved IL-33 were present in IBD serum. ST2 isoforms were differentially modulated in UC epithelium and sST2, a soluble decoy receptor with anti-inflammatory properties, was also elevated in IBD serum. Infliximab (anti-TNF) treatment of UC decreased circulating IL-33 and increased sST2, while stimulation of HT-29 IEC confirmed IL-33 and sST2 regulation by TNF. Similarly, IL-33 significantly increased and correlated with disease severity, and potently induced IL-5, IL-6 and IL-17 from mucosal immune cells in SAMP mice. Taken together, the IL-33/ST2 system plays an important role in IBD and experimental colitis, is modulated by anti-TNF therapy, and may represent a specific biomarker for active UC.
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Saibeni, S. "Ruolo del fattore V Leiden e della mutazione G20210A PT nelle trombosi associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2005. http://hdl.handle.net/2434/62471.

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Sguera, Alessandra <1985&gt. "Colectomia laparoscopica vs colectomia open per malattie infiammatorie croniche intestinali: outocomes chirurgici e funzionali a breve e lungo termine." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amsdottorato.unibo.it/9601/1/Sguera%20Alessandra%20tesi.pdf.

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Abstract:
Il presente studio si propone di eseguire un’analisi comparativa fra diverse tecniche chirurgiche per l’esecuzione dell’intervento di colectomia totale addominale e di confrontare i risultati di diversi standard di cura postoperatoria, in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali. A tal fine è stato disegnato uno studio prospettico randomizzato della durata di tre anni, di cui i primi due per l’arruolamento e trattamento dei pazienti e l’ultimo per garantire un follow-up minimo postoperatorio ed eseguire l’analisi statistica dei risultati. Il presente studio monocentrico verrà eseguito in un centro di riferimento riconosciuto a livello nazionale per il trattamento medico e chirurgico delle patologie in oggetto. L’obiettivo primario del presente studio è di valutare differenze in termini di outcomes chirurgici a breve e lungo termine dell’intervento di colectomia totale addominale eseguito con tecnica tradizionale open e laparoscopica. Si propone inoltre di evidenziare, come obiettivo secondario, eventuali differenze nella degenza postoperatoria e negli outcomes clinici nei pazienti sottoposti ad intervento di colectomia in relazione al tipo di gestione postoperatoria, confrontando la gestione postoperatoria tradizionale con i nuovi protocolli di trattamento fast-track.
This study aims to perform a comparative analysis between different surgical techniques for total abdominal colectomy surgery and to compare the results of different standards of postoperative care, in patients suffering from chronic inflammatory bowel diseases. A prospective randomized three-year study was designed, the first two for the enrollment and treatment of patients and the last to ensure a minimum postoperative follow-up and perform statistical analysis of the results. This single-center study was performed in a nationally recognized reference center for the medical and surgical treatment of the diseases in question. The primary objective of this study is to evaluate differences in terms of short and long-term surgical outcomes of total abdominal colectomy performed with traditional open and laparoscopic technique. It is also proposed to highlight, as a secondary objective, any differences in postoperative hospitalization and clinical outcomes in patients undergoing colectomy in relation to the type of postoperative management, comparing traditional postoperative management with new fast-track treatment protocols.
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Spina, Luisa <1975&gt. "Variazione dei markers di attivata coagulazione indotta dalla terapia infusionale con Infliximab in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/707/1/Tesi_Spina_Luisa.pdf.

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Abstract:
INTRODUCTION: A relationship between inflammatory response and coagulation is suggested by many observations. In particular, pro-inflammatory cytokines, such as TNFalpha, promote the activation of coagulation and reduce the production of anticoagulant molecules. It is known that inflammatory bowel diseases show a prothrombotic state and a condition of hypercoagulability. Aim of our study was to evaluate whether anti-TNFalpha therapy induces changes in the levels of coagulation activation markers in IBD patients. MATERIALS AND METHODS: We analyzed 48 plasma samples obtained before and 1 hour after 24 infliximab infusions (5 mg/kg) in 9 IBD patients (5 men and 4 women; mean age: 47.6+17.6 years; 4 Crohn's disease, 4 Ulcerative Colitis,1 Indeterminate Colitis). F1+2 and D-dymer levels were measured in each sample using ELISA methods.The data were statistically analyzed by means of Wilcoxon matched paired test. RESULTS: Median F1+2 levels were markdely reduced 1 hour after anti-TNFα infusion (median pre-infusion levels were 247.0 pmol/L and median post-infusion levels were 185.3 pmol/L) (p<0.002). Median D-dymer levels were also significantly reduced, from 485.2 ng/mL to 427.6 ng/mL (p< 0.001). These modifications were more evident in patients naive for infliximab therapy (p<0.02 for F1+2 and p<0.02 for D-dymer) and in Crohn's disease compared with Ulcerative Colitis patients (p=0.01 for F1+2 and p<0.007 for D-dymer).CONCLUSIONS: Infusion of infliximab significantly reduces the activation of coagulation cascade in IBD patients. This effect is early enough to suggest a direct effect of infliximab on the coagulation cascade and a possible new anti-inflammatory mechanism of action of this molecule.
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Spina, Luisa <1975&gt. "Variazione dei markers di attivata coagulazione indotta dalla terapia infusionale con Infliximab in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/707/.

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Abstract:
INTRODUCTION: A relationship between inflammatory response and coagulation is suggested by many observations. In particular, pro-inflammatory cytokines, such as TNFalpha, promote the activation of coagulation and reduce the production of anticoagulant molecules. It is known that inflammatory bowel diseases show a prothrombotic state and a condition of hypercoagulability. Aim of our study was to evaluate whether anti-TNFalpha therapy induces changes in the levels of coagulation activation markers in IBD patients. MATERIALS AND METHODS: We analyzed 48 plasma samples obtained before and 1 hour after 24 infliximab infusions (5 mg/kg) in 9 IBD patients (5 men and 4 women; mean age: 47.6+17.6 years; 4 Crohn's disease, 4 Ulcerative Colitis,1 Indeterminate Colitis). F1+2 and D-dymer levels were measured in each sample using ELISA methods.The data were statistically analyzed by means of Wilcoxon matched paired test. RESULTS: Median F1+2 levels were markdely reduced 1 hour after anti-TNFα infusion (median pre-infusion levels were 247.0 pmol/L and median post-infusion levels were 185.3 pmol/L) (p<0.002). Median D-dymer levels were also significantly reduced, from 485.2 ng/mL to 427.6 ng/mL (p< 0.001). These modifications were more evident in patients naive for infliximab therapy (p<0.02 for F1+2 and p<0.02 for D-dymer) and in Crohn's disease compared with Ulcerative Colitis patients (p=0.01 for F1+2 and p<0.007 for D-dymer).CONCLUSIONS: Infusion of infliximab significantly reduces the activation of coagulation cascade in IBD patients. This effect is early enough to suggest a direct effect of infliximab on the coagulation cascade and a possible new anti-inflammatory mechanism of action of this molecule.
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Ciafardini, C. "LA RIDUZIONE DEI MACROFAGI CD68+ TISSUTALI E LA DIMINUZIONE NELL'ESPRESSIONE MUCOSALE DI INTERLEUCHINA 17 SONO STRETTAMENTE CORRELATI CON LA RISPOSTA ENDOSCOPICA E CON LA GUARIGIONE DELLA MUCOSA A SEGUITO DI TERAPIA CON INFLIXIMAB IN PAZIENTI CON MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/233025.

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Abstract:
Background: Antibodies against tumor necrosis factor represent an effective therapy for patients with inflammatory bowel disease. Despite their successful results, the exact mechanism by which infliximab suppresses intestinal inflammation is still a matter of debate. In this study, we used a translational approach to identify the key mechanisms associated with resolution of mucosal inflammation induced by infliximab. Methods: A total of 16 patients with active inflammatory bowel disease (9 with Crohn’s disease and 7 with ulcerative colitis) and 13 controls were enrolled in the study. Patients received infliximab infusions at 0, 2, and 6 weeks. At enrollment and at week 6, patients underwent flexible sigmoidoscopy, and biopsies were taken from the sigmoid colon. RNA was extracted, and mucosal expression of 96 immune-related genes was evaluated by qRT-PCR and confirmed by immunofluorescence microscopy on tissue. Correlation between infliximab-induced gene expression modulation and endoscopic response to therapy was calculated. Lamina propria mononuclear cell apoptosis induced by infliximab was evaluated on tissue sections by the terminal deoxynucleotidyl transferase dUTP nick end labeling assay. Results: We found that infliximab-induced downregulation of macrophage and Th17 pathway genes was significantly associated with both endoscopic response to the therapy and achievement of mucosal healing. Importantly, the observed reduction of lamina propria CD68+ macrophages was associated with an increased rate of macrophage apoptosis. Conclusions: The 2 mechanisms associated with infliximab-induced resolution of intestinal inflammation are the reduction of lamina propria infiltrating CD68+ macrophages and the downregulation of interleukin 17A. Moreover, the data suggest that infliximab-induced macrophage apoptosis may represent a key mechanism for the therapeutic success of anti–tumor necrosis factor antibodies.
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Spagnol, Lisa. "Espressione e attività del recettore nicotinico α7nAchR in macrofagi intestinali di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali ed in modelli murini di neuropatie del sistema nervoso enterico." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423987.

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Abstract:
The α7 nicotinic receptor is involved in the cholinergic anti-inflammatory pathway, the mechanism through which the nervous system influences leukocytes inflammatory responses. Vagus nerve releases the neurotransmitter acetylcholine which binds to the α7 nicotinic receptors on the surface of macrophages inhibiting pro-inflammatory mediators release, such as TNFα and ILβ. Intestinal Bowel diseases (IBD), which comprise Crohn’s disease (CD) and ulcerative colitis (UC), are chronic immune mediated diseases characterized by a deregulated immune response to commensal flora in a genetically susceptible host. Epidemiologic studies revealed the dual effect of smoke on IBD patients: smoke ameliorates CU, by suppressing macrophages and lymphocytes activity, but worsen the symptoms and the histologic damage in CD patients. This thesis aimed to study the mechanism underlying the nicotine anti-inflammatory effect on CU patients (but not in CD patients), verifying the hypothesis that different expression levels of nicotinic receptor in IBD patients are responsible for its antithetic effects on diseases progress. Our main purpose was to verify first nicotinic receptor levels on mucosal macrophages during inflammation, and consequently whether macrophages’ sensibility to the anti-inflammatory pathway, could be influenced by the integrity of the enteric nervous system (ENS). Expression levels and functionality of α7nAchR in UC and CD patients in clinical remission or mild activity was compared to control subjects (HV, healthy volunteers or patients in screening for colonic cancer) in peripheral blood-derived macrophages and intestinal macrophages isolated from colon-sigma biopsies. In blood-derived macrophages α7nAchR levels were comparable between the three groups both at mRNA, quantified by Real Time-PCR, and protein, quantified by α-bungarotoxin-Alexa Fluor 488 binding, levels. On the contrary, the nicotinic receptors were more expressed in intestinal mucosal macrophages in UC patients than in healthy subjects and CD patients. Moreover, nicotine, the exogenous ligand of α7nAchR, significantly reduced LPS-induced TNFα synthesis in mucosal macrophages from UC but not MC and HV. To determine the mechanism responsible for the altered expression of α7nAchR in CD patients, we studied the cholinergic anti-inflammatory pathway in murine models of ENS neuropathy, since structural and functional damages in enteric neurons is well established in IBD patients. Our neuropathy models comprise TLR2 deficient mice (TLR2-/-) and mice infected by Herpes Simplex Virus type-1 (HSV-1). We quantified α7nAchR expression and inflammatory activation markers (F4/80 and caspase-1 activation) of intestinal macrophages in basal conditions and during early and late phases of experimental colitis induced by DSS. Mucosal macrophages showed no significant differences in α7nAchR expression in WT and TLR2-/- mice, while HSV-1 induced neuropathy caused a significant increase of α7nAchR levels. However, after three days of DSS administration, a significant increase of α7nAchR occurred in WT mice, but not in mice with enteric neuropathy. In parallel, in mucosal macrophages of WT mice, but not in mice with ENS neuropathy, we observed the activation of caspase-1 and surface F4/80 overexpression. Moreover, only in WT mice, nicotine reduced caspase-1 activation induced by LPS+ATP in mucosal macrophages. Furthermore, in vivo nicotine administration reduced the gravity of colitis in WT mice, but was ineffective in TLR2-/- mice. Finally, by correcting the integrity of ENS of TLR2-/- mice by administration in vivo of glial-derived neurotrophic factor (GDNF), caspase-1 activation in mucosal macrophages during colitis was normalized. All together our data suggest that for the cholinergic anti-inflammatory pathway to have an optimal action, it is required an increased expression of α7nAchR in mucosal macrophages in response to an inflammatory stimulus. Lack of α7nAchR up-regulation in mucosal macrophages, such as in MC patients, causes the loss of nicotine anti-inflammatory effects. The presence of a neuropathy might contribute to the inadequate expression of α7nAchR in mucosal macrophages during inflammatory processes, thus paving the way to amplified mucosal damage. Mediators that directly regulate α7nAchR expression in mucosal macrophages are now under investigation.
Il recettore nicotinico α7 è coinvolto nel sistema colinergico anti-infiammatorio, il meccanismo attraverso il quale il sistema nervoso regola la risposta infiammatoria dei leucociti. Il nervo vago rilascia acetilcolina che lega i recettori nicotinici α7 (α7nAChR) presenti nella superficie dei macrofagi, inibendo il rilascio di mediatori della risposta pro-infiammatoria, quali TNFα e IL1β. Le malattie infiammatorie croniche (in inglese IBD, Intestinal Bowel Disease) sono malattie idiopatiche caratterizzate da flogosi cronica che comprendono malattia di Crohn (MC) e colite ulcerosa (CU). Nell’uomo, studi epidemiologici hanno dimostrato che il fumo ha un effetto soppressivo su macrofagi e linfociti migliorando il decorso della CU mentre aggrava il quadro istologico della MC. I meccanismi responsabili di questa dicotomia non sono attualmente noti. Questo lavoro di tesi si è proposto di studiare i meccanismi alla base dell’attività anti-infiammatoria espletata dalla nicotina nei pazienti affetti da CU ma non da MC verificando l’ipotesi che diversi livelli di espressione dei recettori nicotinici nei pazienti con CU ed MC possano giustificare il diverso effetto della nicotina sul decorso della malattia. Si è quindi verificato se l’espressione dei recettori nicotinici nei macrofagi mucosali in corso di infiammazione, e quindi la loro sensibilità al riflesso anti-infiammatorio colinergico, potesse essere influenzata dal sistema nervoso enterico. I livelli di espressione e la funzionalità del recettore nicotinico α7nAChR in pazienti affetti da CU e MC in remissione clinica o in fase di attività lieve rispetto a soggetti di controllo (VS, volontari sani o soggetti in screening per cancro colico) sono stati studiati in macrofagi differenziati da monociti ottenuti da sangue periferico ed in macrofagi intestinali isolati da biopsie di colon-sigma. Nei macrofagi derivati dal sangue periferico, il recettore nicotinico α7nAChR è risultato paragonabile tra i tre gruppi sia a livello di mRNA, quantificato mediante Real Time-PCR, che di proteina, quantificata determinando il legame di α-bungarotossina-Alexa Fluor 488. Al contrario, il recettore nicotinico è risultato invece maggiormente espresso nei macrofagi della mucosa intestinale dei soggetti con CU rispetto ai soggetti sani o con MC. Inoltre la nicotina, ligando esogeno di α7nAChR, ha ridotto in maniera significativa l’espressione di TNFα stimolata da LPS nei macrofagi mucosali di CU ma non di MC. Al fine di determinare il meccanismo responsabile dell’alterata espressione del α7nAChR nella MC, il sistema colinergico anti-infiammatorio è stato studiato in diversi modelli murini caratterizzati dalla presenza di una neuropatia del sistema nervoso enterico, poiché è nota la presenza di danni strutturali e funzionali ai neuroni enterici nei pazienti con MC. In particolare sono stati utilizzati topi deficienti del recettore TLR2 (TLR2-/-) o topi con infezione nel sistema nervoso enterico da Herpes Virus simplex di tipo 1 (HSV-1). In questi animali è stata determinata, in condizioni basali e durante le fasi precoci e tardive di una colite sperimentale da DSS, l’espressione di α7nAChR nei macrofagi intestinali e il grado di attivazione pro-infiammatoria di queste cellule. I macrofagi della mucosa colica hanno evidenziato che in condizioni basali non vi è una significativa differenza tra topi WT e topi TLR2-/- nei livelli di espressione del recettore α7nAChR nei macrofagi intestinali, mentre nella neuropatia nei topi inoculati con HSV-1 si registra un significativo aumento del recettore α7nAChR. Tuttavia, a seguito della somministrazione di DSS per tre giorni si è osservato un significativo aumento del recettore α7nAChR in topi WT, ma non nei topi portatori di neuropatia enterica, TLR2-/- e infettati per via orogastrica con HSV-1. Parallelamente l’attivazione dei macrofagi mucosali è stata determinata quantificando l’espressione del marcatore di superficie F4/80 e l’attivazione della caspasi-1. Nei macrofagi della mucosa colica di topi WT ma non in topi portatori di neuropatia del SNE si osserva l’attivazione della caspasi-1 e la sovra-espressione di F4/80 durante le fasi iniziali della colite indotta da DSS. Inoltre, solo nei macrofagi ottenuti da topi WT la nicotina è in grado di ridurre l’attivazione della caspasi-1 indotta da LPS+ATP. La somministrazione in vivo di nicotina riduce la gravità della colite nei topi WT ma risulta inefficace nei topi TLR2-/-. Infine, abbiamo quindi verificato che ristabilendo l’integrità del SNE mediante la somministrazione di fattore neurotrofico derivante dalla glia (GDNF) in vivo a topi TLR2-/-, viene ripristinata una normale attivazione della caspasi-1 nei macrofagi mucosali in corso di colite. In conclusione, un’ottimale azione del sistema colinergico anti-infiammatorio richiede l’aumentata espressione di α7nAChR nei macrofagi mucosali in risposta ad un processo flogistico. Tuttavia, in presenza di neuropatia (i.e. virale o trofica) l’aumentata espressione di α7nAChR nei macrofagi mucosali può risultare insufficiente portando eventualmente ad un danno mucosale amplificato. I mediatori che direttamente regolano l’espressione di α7nAChR nei macrofagi mucosali sono attualmente oggetto di studio.
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Rondonotti, Emanuele <1974&gt. "Ruolo del tessuto adiposo nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: valutazione dei livelli sierici di adipocitochine in pazienti affetti da colite ulcerosa e malattia di Crohn in terapia con Infliximab." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/708/1/Tesi_Rondonotti_Emanuele.pdf.

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Rondonotti, Emanuele <1974&gt. "Ruolo del tessuto adiposo nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: valutazione dei livelli sierici di adipocitochine in pazienti affetti da colite ulcerosa e malattia di Crohn in terapia con Infliximab." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/708/.

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Martinato, Matteo. "Uno studio prospettico sull'infezione da Clostridium difficile nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: fattori di rischio, tossino-tipi, sensibilità agli antibiotici, capacità di adesione e impatto sul successivo decorso della malattia." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423091.

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Abstract:
Clostridium difficile is a Gram positive bacterium rarely present in normal human gut flora that under certain conditions of intestinal dysbiosis, in patients treated with broad-spectrum antibiotics, in hospitalized patients, in immunocompromised subjects and elderly, can cause disease of variable severity referred to as Clostridium Difficile Associated Diarrohea (CDAD). Although in the past Clostridium difficile has been indicated as a possible causal factor in the development of inflammatory bowel disease (also known as IBD), nowadays it is more likely to believe that the IBD may be a risk factor for Clostridium difficile infection (CDI). CDI in patients with IBD is of increasing importance because the frequency with which it occurs is growing over time, but also because it seems to have a negative impact on health outcomes and because the symptoms induced CDI are indistinguishable from that of an exacerbation of IBD: it is therefore essential to establish an early diagnosis in order to start the most suitable treatment of the case. The aim of this study was to describe the frequency of the CDI in healthy subjects, subjects not affected by IBD hospitalized with suspected CDAD and patients with IBD, characterize strains of Clostridium difficile isolated from IBD patients (sensitivity to antibiotics, types of toxins, adhesion to the intestinal epithelium), to identify risk factors for CDI in IBD patients (characteristics of the subject, illness, concomitant therapy) and to assess the impact of CDI on the course of IBD, both in symptomatic and asymptomatic carriers. From January 2010, stool samples from IBD outpatients and inpatients were collected and analyzed at the Gastroenterology unit of the University Hospital of Padua (both in the acute phase of disease and in remission), from patients admitted to the same unit without IBD but with symptoms and medical treatment suggestive of CDAD and from a control group of healthy subjects matched for age and sex. From the first evaluation (and the collection of the first stool sample), patients with IBD were evaluated at least every six months or in case of relapse or hospitalization for two years. On each sample an anaerobic culture was performed, followed by specific PCR to identify any colonies of Clostridium difficile. Each strain was then characterized by: - Toxins production - Antibiotics sensitivity - Adhesion to Caco-2 cells - Presence or absence of the tcdC gene in bacterial DNA Clinical data were collected from patients with IBD to identify any risk factors for CDI. Patients with IBD have a higher frequency of colonization by Clostridium difficile than the control group: in healthy subjects CDI was detected in 0/55 subjects, in hospitalized IBD patients was found in 5/55 patients (9%) and in IBD outpatients was detected in 9/195 subjects (4.6%). The production profile of the toxins appears to be different in IBD and non-IBD patients with antibiotic-associated diarrhea, confirming the hypothesis of community-acquired strains rather than hospital-acquired. Antibiotics sensitivity tests performed on strains isolated from patients with CDAD and patients with IBD showed that all strains are sensitive to metronidazole and vancomycin and markedly resistant to ciprofloxacin. Strains of Clostridium difficile isolated from patients with active IBD, in remission and from patients with CDAD have shown a different, albeit small, ability to adhere to monolayers of human intestinal epithelial cells (Caco-2), suggesting that strains from active IBD patients have a greater ability to colonize than those from patients in remission. The tcdC gene was identified in 8% of toxigenic strains isolated from IBD patients (active and in remission) and in 25% of those isolated from patients with CDAD, but the genome had deletions of varying extent, indicating a potential increased virulence of identified strains. The statistical analysis did not identify any risk factor associated with CDI in IBD. In the prospective study, CDI has not been identified as a risk factor for clinical or endoscopic relapse or for the need for surgical treatment, demonstrating instead, unexpectedly, to have a protective role against disease flare.
Il Clostridium difficile è un batterio Gram positivo raramente presente nella normale flora intestinale umana che in particolari condizioni di disbiosi intestinale, in pazienti trattati con antibiotici ad ampio spettro, in pazienti ospedalizzati, in soggetti immunocompromessi e in persone anziane, può causare patologie di variabile gravità indicate complessivamente come Clostridium difficile Associated Diarrohea (CDAD). Sebbene in passato il Clostridium difficile sia stato indicato come possibile concausa dello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (note anche come inflammatory bowel disease, IBD), oggi si è più propensi a ritenere che le IBD possano essere un fattore di rischio per l’infezione da Clostridium difficile (CDI). La CDI nei pazienti affetti da IBD riveste una sempre maggiore importanza, sia perché la frequenza con cui si presenta stà crescendo nel tempo, sià perché sembra determinare un impatto negativo sugli outcome di salute, ma anche perché la sintomatologia indotta dalla CDI è indistinguibile da quella di una riacutizzazione della IBD: è quindi fondamentale una diagnosi tempestiva per instaurare le terapie più idonee al trattamento del caso. Lo scopo dello studio è descrivere la frequenza della CDI in soggetti sani, soggetti non affetti da IBD ospedalizzati con sospetto di CDAD e soggetti affetti da IBD, caratterizzare i ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti IBD (sensibilità agli antibiotici, tipologie di tossine prodotte, capacità di adesione all’epitelio intestinale), identificare i fattori di rischio per la CDI nei pazienti IBD (caratteristiche del soggetto, della malattia, della terapia concomitante) e valutare l'impatto della CDI sul decorso della IBD, sia nei portatori sintomatici che in quelli asintomatici. Da gennaio 2010 sono stati raccolti ed analizzati campioni da pazienti IBD ambulatoriali o degenti presso l’unità operativa complessa di gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova (sia in fase acuta di malattia che in remissione), da pazienti ricoverati presso la medesima unità operativa non affetti da IBD con sintomi e terapia medica suggestivi di CDAD e da un gruppo di controllo di soggetti sani appaiati per età e sesso. Dalla prima valutazione (e della raccolta del primo campione) i pazienti con IBD sono stati valutati almeno ogni sei mesi o in caso di recidiva o di ricovero ospedaliero per due anni. Su ogni campione è stata eseguita una coltura anaerobica seguita da PCR specifica per identificare eventuali colonie di C. difficile. Ogni ceppo è stato poi caratterizzato in base a: - tossine prodotte - sensibilità agli antibiotici - adesione alle cellule Caco-2 - presenza o assenza del gene tcdC nel DNA batterico Dati clinici sono stati raccolti dai pazienti con IBD per identificare eventuali fattori di rischio per la CDI. I pazienti con IBD sembrano presentare una maggiore frequenza di colonizzazione da parte del Clostridium difficile rispetto al gruppo di controllo dei soggetti sani: nei controlli la CDI è stata rilevata in 0/55 soggetti. Nei pazienti ricoverati con IBD è stata trovata in 5/55 soggetti (9%). Nei pazienti ambulatoriali è stata rilevata in 9/195 soggetti (4,6%). Il profilo di produzione delle tossine sembra essere differente nei pazienti IBD e nei pazienti non-IBD con diarrea da antibiotici, confermando l'ipotesi di ceppi acquisiti in comunità e non in ambiente ospedaliero. L’antibiogramma eseguito su ceppi isolati da pazienti con CDAD e pazienti con IBD attive o in remissione ha mostrato che tutti i ceppi sono sensibili a metronidazolo e vancomicina e marcatamente resistenti alla ciprofloxacina. Ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti con IBD attive, in fase di remissione e da pazienti con CDAD hanno dimostrato una diversa, seppur piccola, capacità di aderire a monostrati di cellule epiteliali intestinali umane (CACO-2), indicando che i ceppi associati ai pazienti con IBD attive hanno maggiore abilità a colonizzare di quelli in remissione. Il gene tcdC è stato identificato nell’8% dei ceppi tossigenici isolati da pazienti IBD (attivi ed in remissione) e nel 25% di quelli isolati da pazienti con CDAD, ma il genoma presentava delezioni di varia entità, indicando una potenziale aumentata virulenza dei ceppi identificati. L'analisi statistica non ha individuato fattori di rischio associati con la CDI. Nella parte prospettica dello studio la CDI non è stata identificata come fattore di rischio per la recidiva clinica o endoscopica o per la necessità di trattamento chirurgico, dimostrando invece, inaspettatamente, di avere un ruolo protettivo nei confronti della riacutizzazione della malattia.
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Martino, Carmela Di. "La chirurgia mini-invasiva nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/2158/1128887.

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Abstract:
Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD, sono la Malattia di Crohn (MC) e la Rettocolite ulcerosa (RCU). L’incidenza di queste malattie, triplicata negli ultimi 25 anni, è maggiore nei paesi industrializzati. In Europa ogni anno vengono diagnosticati circa 3-8 casi nuovi di malattia di Crohn ogni 100.000 abitanti e circa 8-11 nuovi casi di Rettocolite Ulcerosa. La chirurgia ha un ruolo molto importante nella gestione della MC e della RCU. Più del 70% dei pazienti con MC e del 35% di quelli affetti da RCU richiedono almeno un intervento per la loro patologia nel corso della loro vita [1]. Dal 40 al 50% dei pazienti operati per MC sono a rischio di ulteriori interventi chirurgici entro i 10-15 anni [2]. Scopo del progetto di studio Confrontare la tecnica chirugica mini-invasiva (chirurgia laparoscopica convenzionale multiport (VLS), single port (SILS), chirurgia Robotica) rispetto alla chirurgia open in termini di ripresa dell’attività intestinale, dolore post-operatorio, degenza post-operatoria, risultati estetici nei pazienti operati per Malattia di Crohn e Rettocolite Ulcerosa. Valutare la fattibilità della chirurgia mini-invasiva nella Malattia di Crohn recidiva e il rischio di conversione a chirurgia open. Infine in questo progetto di ricerca abbiamo comparato le tre differenti tecniche chirurgiche mininvasive (Chirurgia laparoscopica tradizionale, Single Port e Chirurgia Robotica) nei pazienti operati per Malattia di Crohn, allo scopo di valutare il ruolo di queste procedure in termine di dolore post-operatorio, complicanze e outcome chirurgico a lungo termine
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Denaro, Marcella. "I flavanoni del Citrus come potenziale strategia terapeutica nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI)." Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11570/3218958.

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Abstract:
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) sono patologie multifattoriali, diffusesi nell’ultimo decennio anche in Asia, Sud America ed Sud Africa, a causa dell’occidentalizzazione dei costumi e in particolar modo dell’alimentazione. Ad oggi, le terapie disponibili sono per lo più sintomatiche e presentano diversi limiti tra cui la ridotta efficacia, soprattutto per alcune categorie di pazienti, e diversi effetti collaterali. In relazione a ciò, ultimamente numerose ricerche si sono focalizzate sullo sviluppo di terapie alternative, per lo più di origine naturale, per il trattamento di tali patologie, principalmente basate sulla risoluzione dell’evento scatenante, ovvero l’infiammazione. L’obbiettivo di questo studio è stato quello di valutare la potenziale attività di alcuni flavanoni diffusi nel genere Citrus nella prevenzione e nel trattamento delle MICI. Dopo uno screening preliminare inerente l’attività antiossidante ed antinfiammatoria, sono stati selezionati i cinque flavanoni più promettenti (esperidina, esperetina, neoesperidina, eriocitrina e neoeriocitrina), che sono stati studiati da soli e in miscela (FM), per valutare la sussistenza di una eventuale azione sinergica. FM è stato sottoposto anche a digestione gastro-duodenale statica simulata in vitro (DFM) e analizzato mediante HPLC-DAD-ESI-MS/MS per investigare la presenza di eventuali metaboliti e/o prodotti di degradazione. Vista la promettente attività antinfiammatoria dei singoli flavanoni e ancor di più di FM e DFM, essi sono stati valutati anche per quanto concerne l’attività inibitoria su COX-1 e COX-2, valutando anche l’affinità di legame dei singoli flavanoni con le due isoforme enzimatiche mediante studi di molecular docking. Inoltre, FM e DFM sono stati sottoposti a studi in vitro cell-based per valutare l’attività antinfiammatoria direttamente su monolayers di cellule intestinali Caco-2 stimolate con IL-1β, grazie ai quali è stato possibile valutare l’attività inibitoria dei flavanoni in esame, di FM e DFM, sul rilascio dei principali marker di infiammazione, ovvero NO, IL-8 ed IL-6, nonché sulle prostaglandine in seguito a trattamento con acido arachidonico. Visti gli interessanti risultati ottenuti, l’attività antinfiammatoria di FM è stata successivamente valutata, a tre diverse dosi, anche su un modello murino di colite indotta da DSS, mediante analisi macroscopiche, istologiche ed immunoenzimatiche che hanno permesso di valutare i principali marker di stress ossidativo (MDA, MPO, gruppi carbonilici e NO) e infiammatori (IL-6, IL-10, TNF-α, IL-1β). I risultati ottenuti, hanno permesso di dimostrare che FM ha certamente una efficacia maggiore dei singoli flavanoni, che la digestione non modifica in maniera significativa nessuno dei cinque flavanoni selezionati, e che FM e DFM riducono in maniera statisticamente significativa il rilascio di IL-6, IL-8 ed NO rispetto al controllo negativo, ed al farmaco di riferimento Desametasone già nei test in vitro cell-based. L’azione antinfiammatoria è anche attribuibile all’inibizione delle COXs, con una maggiore selettività verso COX-2. Inoltre, in vivo, FM è in grado di ridurre, in maniera statisticamente significativa, l’indice di attività della malattia (DAI), gli score di danno istologico, nonché il rilascio dei markers di stress ossidativo e infiammatorio rispetto al controllo positivo, con valori statisticamente significativi anche rispetto al farmaco di riferimento sulfasalazina, mostrando un comportamento dose-dipendente. In conclusione quindi, anche se ulteriori studi si rendono necessari per validare ulteriormente i dati ottenuti dagli studi pre-clinici, il mix di flavanoni del Citrus studiato potrebbe rappresentare una valida strategia per prevenire e potenzialmente trattare le MICI.
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GATTI, SIMONA. "Marcatori di danno intestinale nelle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche." Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11566/245512.

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Abstract:
Background: The inflammatory bowel diseases (IBD) are chronic relapsing inflammatory disorders of the gastrointestinal tract, comprising Crohn’s disease (CD), ulcerative colitis (UC), and IBD-unclassified (IBD-U). The microbiome, the barrier function, and the immune system play an integrated role in the development of IBD, and all three components are likely critical for perpetuating the disease process. Aims and project: In this study we have preliminary investigated some specific aspects of the IBD pathogenesis including the intestinal dysbiosis, the alteration of the intestinal barrier and the effect of a specific dietetic treatment (the so-called exclusive enteral nutrition, EEN). Methods: IBD pediatric patients were enrolled in the period 2013-2015. The study included 3 type of analysis: 1. Microbiota study: analysis of fecal microbiota in IBD in general (through the amplification of the V3-V4 regions of the 16S rRNA gene); 2. EEN study: evaluation of the clinical, laboratory and microbiological changes induced by EEN; 3. IPT study: evaluation of the intestinal barrier damage in IBD patients by the intestinal permeability test (IPT). Results: preliminary results of the microbiota study showed a different prevalence in some specific phyla in CD patients compared to UC. Such changes were not correlated to the level of inflammation. The results of the EEN study support the efficacy of EEN in the treatment of CD and preliminary results show a shift in microbiota composition after a course of EEN. IPT was found to be a sensitive test to detect disease activity and to evaluate response to treatments. Conclusion: Our study has generated novel and intriguing data especially with regards to microbiota changes secondary to EEN and to the modification of intestinal permeability following specific treatments.
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FIORENTINI, Tiziana. "LE CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI IN MEDICINA RIGENERATIVA: Stato dell’arte e prospettive di applicazione sperimentale nelle malattie croniche intestinali." Doctoral thesis, 2014. http://hdl.handle.net/10447/86063.

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KATSOTOURCHI, Anna Maria. "TRATTAMENTO DELLA PANCREATITE AUTOIMMUNE CON AZATIOPRINA: RISULTATI SU UNA CASISTICA PERSONALE CON VALUTAZIONE DEI POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI E DELL’ASSOCIAZIONE CON MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11562/467766.

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Abstract:
La pancreatite autoimmune rappresenta a tuttoggi una patologia di difficile inquadramento diagnostico ed approccio terapeutico. Infatti, il trattamento steroideo si è dimostrato efficace nella terapia a breve termine, ma non è in grado di prevenire le recidive di malattia. Esiste quindi una sottopopolazione di pazienti che necessita di un trattamento con immunosoppressori. Le caratteristiche cliniche, bioumorali e strumentali di questa sottopopolazione di pazienti a rischio di recidiva sembrano essere rappresentate dall’età avanzata, dall’ittero all’esordio, dall’aumento delle IgG4 sieriche e dalla presenza di una malattia sistemica coinvolgente altri organi, che sembrano quindi rappresentare dei fattori prognostici di recidiva. In questi pazienti, un trattamento con immunosoppressori è indicato. L’azatioprina sembra essere il trattamento di scelta, sia dai risultati del nostro studio, sia da quelli riportati in letteratura. L’uso dell’azatioprina sembra non esporre a maggior rischio di pancreatite, almeno nella casistica da noi riportata e da quelle presenti in letteratura. La revisione metanalitica degli studi sul rischio di pancreatite nei pazienti con IBD trattati con azatioprina, ci permette di non affermare in maniera definitiva che la pancreatite acuta sia un evento avverso in questa popolazione di pazienti. E’ al contrario, più verosimile che possa trattarsi di iperenzimemie pancreatiche o, forse, espressione di un coinvolgimento autoimmunitario del pancreas. Infine il profilo clinico della pancreatite autoimmune associata a colite ulcerosa è differente da quello dei pazienti senza tale patologia. Le recidive di malattia sembrano essere non differenti in maniera significativa in questi due gruppi di 58 pazienti. Pertanto, la presenza di colite ulcerosa non è un criterio per non trattare questi pazienti. Dal momento che la pancreatite autoimmune associata a colite ulcerosa è nella maggior parte dei pazienti di tipo 2, anche questa forma di malattia può giovarsi di un trattamento con immunosoppressori. Studi prospettici multicentrici sono tuttavia necessari al fine di rendere le conclusioni della nostra ricerca definitive.
Autoimmune pancreatitis (AIP) is a disease with difficult diagnostical and therapeuthical approach. Indeed, steroid theraphy is effective in the short term treatment, but ii do not prevent the disease relapse. A part of AIP patients need therefore a long term immunosuppressive therapy. Clinical, biochemical and instrumental characteristic of patients at risk for relapse seems to be the presence of jaundice at clinical onset, increase of serum levels of IgG4, and the extrapancreatic involvement, that seems therefore to be prognostic factor for relapse. In these patients, immunosuppressant is indicated. Azathioprin has been suggested the treatment of choice on the basis of the results of our study. Furthermore, our systematic review and our results on AIP patients treated whit this drug seems not to increase the risk of pancreatitis during the treatment of azathioprin. The clinical profile of AIP patients suffering from ulcerative colitis is not different from the other AIP patients. Since ulcerative colitis may be treated with immunosuppressant, its presence do not exclude a possible treatment with azathioprin. Prospective multicenter studies are suggested to confirm our conclusions.
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