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Dissertations / Theses on the topic 'Malattie complesse'

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SINIBALDI, CECILIA. "Analisi genetica della malattie complesse: loci comuni e loci specifici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1121.

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Abstract:
Il completamento del progetto genoma umano ha dato nuovi impulsi allo studio della variabilità umana, dimostrando che ogni individuo differisce da qualsiasi altro solamente per lo 0.5% della propria sequenza di DNA. Responsabili di questa porzione variabile di genoma sono in particolare i polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs - Single Nucleotide Polymorphisms), specifiche basi del DNA che variano negli individui con una frequenza maggiore di quella riscontrata per le mutazioni puntiformi. Lo studio della variabilità interindividuale rappresenta una sfida per la medicina moderna soprattutto nella prospettiva di poter curare il malato in maniera sempre più specifica e sicura, individuando il trattamento terapeutico più efficace. In particolare lo studio delle varianti polimorfiche è diventato determinante nella comprensione dei meccanismi alla base della suscettibilità alle diverse patologie multifattoriali, tra cui rientrano malattie comuni quali l’asma, la psoriasi, il diabete, l’obesità, e le malattie cardiovascolari. I risultati degli studi familiari, degli studi sui gemelli e di quelli di adozione, hanno dimostrato che i fattori genetici rivestono un ruolo fondamentale nella patogenesi di molti difetti congeniti (cardiopatie, labiopalatoschisi, lussazione congenita dell’anca, etc.) e di molte comuni malattie croniche dell’adulto (ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari, psoriasi, asma, etc.). Sono patologie che si presentano con frequenze elevate nella popolazione, con un forte impatto sociale e dal peso rilevante sulla struttura sanitaria, tra le cause principali di morbilità e mortalità nei paesi occidentali. La complessità è una condizione “normale” in biomedicina. Si chiamano infatti “complesse” le malattie umane più comuni. La crescente capacità di identificare le variazioni genetiche associate con le malattie complesse sta creando nuove sfide alla comunità dei ricercatori e dei clinici. L’identificazione delle varianti di suscettibilità alle patologie comuni promette, di avere notevoli ripercussioni in ambito medico (miglioramento della terapia, valutazione della risposta individuale ai farmaci, comprensione della risposta adattativa degli organismi agli stimoli ambientali) ed in ambito economico e sociale (diminuzione dei costi elevati a carico del sistema sanitario). La ricerca delle basi genetiche delle malattie complesse è progredita contestualmente all’evoluzione della biologia molecolare. Pertanto si è passati dallo studio del singolo locus di suscettibilità, identificato mediante analisi di linkage agli studi completi del genoma che consentono di analizzare molti più loci contemporaneamente. Questo progetto di Dottorato è stato incentrato sulla ricerca di regioni genomiche, geni e varianti geniche correlate alla suscettibilità per specifiche malattie dermatologiche di natura infiammatoria e/o immunomediata, quali psoriasi, dermatite atopica. Entrambe malattie dermatologiche rappresentano degli ottimi modelli sperimentali per lo studio delle patologie multifattoriali, in quanto estremamente frequenti ed eterogenee sia a livello fenotipico che genetico. La pelle è un organo di difesa ed è spesso soggetta a stress fisici e meccanici. In queste condizioni patologiche lo strato corneo, con il suo ruolo protettivo va incontro a modificazioni chimiche che ne limitano la funzione di barriera. L’attività di ricerca è stata rivolta innanzitutto all’analisi di una stessa regione genomica, correlata alla suscettibilità per patologie dermatologiche diverse, che potrebbe essere coinvolta proprio nella natura infiammatoria delle patologie in esame ed, in secondo luogo, all’analisi di regioni specifiche, al fine di comprendere meglio, tramite analisi molecolari peculiari, la patogenesi delle patologie analizzate. La natura mutualmente esclusiva della psoriasi e della dermatite atopica, patologie che raramente sono osservate contemporaneamente nello stesso paziente, suggerisce che probabilmente diversi possono essere gli alleli di suscettibilità causativi o regolatori. Nonostante ciò le due malattie sono associate alle medesime regioni cromosomiche e presentano caratteristiche cliniche comuni quali la secchezza cutanea, problemi di permeabilità della barriera epidermica e difetti nella funzione di difesa svolta dall’epidermide. In particolare in questo studio è stata condotta un’analisi accurata del locus PSORS4/ATOD2, che mappa sul braccio lungo del cromosoma 1 (1q21), isolato nella popolazione italiana e responsabile della suscettibilità sia alla psoriasi che alla dermatite atopica.
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XUMERLE, Luciano. "Approccio informatico nello studio di malattie complesse per l'individuazione di possibili parentele non note tramite l'analisi del genotipo in individui non relati." Doctoral thesis, Università degli Studi di Verona, 2008. http://hdl.handle.net/11562/337603.

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Abstract:
Uno studio per la ricerca di componenti genetiche di malattie complesse richiede, al giorno d’oggi, la caratterizzazione di migliaia di individui per centinaia di migliaia di marcatori. Gli studi di associazione caso-controllo necessitano della presenza di individui non imparentati tra loro per stimare correttamente la frequenza allelica. La presenza di parentele non rilevate potrebbe confondere la stima di tali frequenze in casi e/o nei controlli e portare il ricercatore a descrivere associazioni tra genotipo e fenotipo errate. Al fine di identificare se nel gruppo studiato sono presenti coppie di individui aventi un possibile grado di parentela, non identificato nella fase di raccolta del campione, abbiamo sviluppato una procedura in silico che compara la probabilit`a di parentela rispetto alla probabilit`a di non parentela tra due individui condizionata al genotipo. I casi testati sono i pi`u comuni: I grado (padre-figlio e coppia di fratelli) e II grado (zio-nipote e nonno-nipote). Lo studio mostra come il linkage disequilibrium tra i marcatori diminuisca l’informativit`a dei marcatori stessi nei test di parentela. Ad esempio, per supportare l’ipotesi di una parentela di II grado con un potere del 80% ed un rate di falsi positivi del 5% necessitano: 100 SNP indipendenti tra loro o 275 SNP organizzati a blocchi di 5 SNP in linkage disequilibrium con un r2 0:4 e fase sconosciuta. Tuttavia, ricostruire probabilisticamente la fase degli aplotipi aumenta l’informativit`a dei marcatori a disposizione. Ad esempio, per supportare l’ipotesi suddetta con aplotipi a fase ricostruita necessitano: 20 aplotipi (100 SNP a blocchi di 5 con r2 0:4) o 40 aplotipi (200 SNP a blocchi di 5 con r2 0:8).
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Gentilini, Lorenzo <1979&gt. "Trattamento della malattia paranale complessa di Crohn: rescue therapy dopo fallimento dei farmaci biologici." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/6857/1/Gentilini_Lorenzo_Tesi.pdf.

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Abstract:
La malattia paranale di Crohn rappresenta una condizione clinica complessa e invalidante. La chirurgia da sola è efficace nel migliorare i sintomi mediante il controllo della sepsi, ma è raramente associata alla guarigione definitiva. L'introduzione dei farmaci biologici ha aumentato le possibilità di chiusura definitiva delle fistole. Tuttavia molti pazienti non rispondono a questo trattamento bio-chirurgico combinato. Il ruolo del mucosal healing del retto ottenuto con i farmaci non è al momento ancora chiaro. L'obiettivo del presente studio è quello di identificare possibili terapia alternative per pazienti non responsivi ai biologici. Lo studio ha valutato efficacia e sicurezza della chirurgia riparativa, confezionamento di flap mucosi endorettali e posizionamento di protesi biologiche, nei pazienti non responsivi ai biologici ma che grazie ad essi abbiano ottenuto un mucosal healing del retto.
Perianal Crohn's disease is a complex and disabling clinical condition. surgical treatment alone is effective in relieving symptoms with sepsis control but it is associated with a low healing rates. The introduction of biological drugs increased the rate of healing of perianal fistulas. However many patients are still not responders to bio-surgical approach. The role of rectal mucosal healing obtained with biologics in these patients is still non well defined yet. The aim of the present study was to investigate possible rescue treatments for these patients. The study analyzed the efficacy and safety of surgical primary repair,such as endorectal advancement flap and biological plug placement,in patients not responders to biologics but who obtained a rectal mucosal healing.
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Gentilini, Lorenzo <1979&gt. "Trattamento della malattia paranale complessa di Crohn: rescue therapy dopo fallimento dei farmaci biologici." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/6857/.

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Abstract:
La malattia paranale di Crohn rappresenta una condizione clinica complessa e invalidante. La chirurgia da sola è efficace nel migliorare i sintomi mediante il controllo della sepsi, ma è raramente associata alla guarigione definitiva. L'introduzione dei farmaci biologici ha aumentato le possibilità di chiusura definitiva delle fistole. Tuttavia molti pazienti non rispondono a questo trattamento bio-chirurgico combinato. Il ruolo del mucosal healing del retto ottenuto con i farmaci non è al momento ancora chiaro. L'obiettivo del presente studio è quello di identificare possibili terapia alternative per pazienti non responsivi ai biologici. Lo studio ha valutato efficacia e sicurezza della chirurgia riparativa, confezionamento di flap mucosi endorettali e posizionamento di protesi biologiche, nei pazienti non responsivi ai biologici ma che grazie ad essi abbiano ottenuto un mucosal healing del retto.
Perianal Crohn's disease is a complex and disabling clinical condition. surgical treatment alone is effective in relieving symptoms with sepsis control but it is associated with a low healing rates. The introduction of biological drugs increased the rate of healing of perianal fistulas. However many patients are still not responders to bio-surgical approach. The role of rectal mucosal healing obtained with biologics in these patients is still non well defined yet. The aim of the present study was to investigate possible rescue treatments for these patients. The study analyzed the efficacy and safety of surgical primary repair,such as endorectal advancement flap and biological plug placement,in patients not responders to biologics but who obtained a rectal mucosal healing.
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Farronato, D. "Finalizzazione protesica complessa nei casi di osteointegrazione avanzata. Linee guida di eccellenza e gestione dei fattori di rischio : Analisi statistica retrospettiva." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2007. http://hdl.handle.net/2434/65561.

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CAVALLARI, Maurizio. "IL RUOLO DEL CARIOTIPO COMPLESSO NELLA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA DELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA." Doctoral thesis, Università degli studi di Ferrara, 2021. http://hdl.handle.net/11392/2488072.

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Abstract:
Nella leucemia linfatica cronica (LLC) i marcatori prognostico-predittivi permettono di stratificare i pazienti in categorie di rischio accomunate da decorso clinico e risposta al trattamento. Lo studio di specifiche lesioni citogenetiche in FISH e dello stato mutazionale di TP53 e di IGHV identifica i marcatori essenziali per definire prognosi e strategia terapeutica. Il cariotipo complesso (CK), definito dalla presenza di ≥3 aberrazioni cromosomiche, è un marcatore prognostico indipendente, predittivo di refrattarietà a chemioimmunoterapia (CIT) e ai nuovi agenti, il cui ruolo nella stratificazione prognostica della LLC si sta delineando. In questa tesi sono riportati gli studi derivati da una ricerca mirata ad approfondire il ruolo di questo marcatore. In un primo studio retrospettivo condotto su 335 pazienti LLC mai trattati, è stato osservato che la presenza del CK e di molteplici comorbidità ha un impatto prognostico negativo indipendente dal CLL-IPI score (p=0.002 e p=0.001, rispettivamente) sulla overall survival (OS), e che il CK mostra anche un impatto negativo sul time to first treatment (TTFT) (p=0.012). Seguiva una revisione della letteratura in cui sono state presentate le basi che supportano il significato prognostico del CK e il suo significato biologico, quale diretta conseguenza dell'instabilità genomica. In un terzo lavoro condotto su 90 pazienti LLC mai trattati con CK è stata approfondita la rilevanza prognostica delle alterazioni cromosomiche qualitative (monosomie, trisomie, delezioni, traslocazioni bilanciate, riarrangiamenti sbilanciati) e quantitative (≥5 anomalie), quindi sono state correlate a parametri clinico-biologici. Da questo studio è emerso che i riarrangiamenti sbilanciati sono associati a maggiore incidenza di aberrazioni di TP53 (p=0.014), di monosomie (p=0.004) e alla presenza di ≥5 anomalie (p=0.003) con un profilo di espressione di mRNA ben distinto, che coinvolge geni implicati nel controllo del ciclo cellulare e nella risposta ai danni del DNA con possibili implicazioni prognostiche e terapeutiche, oltre ad associarsi a OS (p=0.025) e TTFT (p=0.043) peggiori. In un quarto studio multicentrico su 522 pazienti LLC è stato evidenziato che la combinazione di diversi sottotipi di CK con lo stato mutazionale di IGHV, può definire nuovi gruppi prognostico-predittivi. Il gruppo CK2 identificava i pazienti con CK e aberrazioni strutturali maggiori (13%), il gruppo CK1 indicava tutti gli altri pazienti con CK associati o meno a IGHV non mutato (U-CK1) (41%) e infine il gruppo M-noCK i restanti pazienti senza CK e IGHV mutato. I pazienti CK2 avevano un TTFT (p<0.0001) e una OS significativamente più brevi (p<0.0001), indipendenti dallo stato di TP53 e mostravano un outcome peggiore dopo CIT (p<0.0005). Infine, in uno studio su 349 pazienti LLC è stato osservato come nei casi con ≥5 anomalie cromosomiche e nei casi con gravi anomalie strutturali citogenetiche, si riscontrassero livelli più bassi di espressione della molecola SLAMF1 (signalling lymphocytic activation molecule family member 1) (p<0.001). La downregolazione di SLAMF1 si associava a caratteristiche clinico-biologiche sfavorevoli (stadio avanzato, p=0.001; CD38+, p<0.001; b2-microglobulina elevata, p<0.001; IGHV non mutato; p<0.001; del11q, p<0.001; aberrazioni di TP53, p=0.011 e categorie CLL-IPI a rischio più elevato, p<0.001), con un impatto prognostico negativo sul TTFT (p<0.001) e sulla OS (p<0.001), rappresentando un possibile surrogato della complessità genomica. Concludendo, il CK si conferma un solido marcatore prognostico-predittivo nei pazienti trattati con CIT o coi nuovi agenti. La sua definizione, intesa come la presenza di ≥3 aberrazioni, dove essere rivisita e interpretata come gruppo eterogeneo, il cui andamento clinico dipende da alterazioni quantitative e qualitative. Solo la valutazione del CK nell’ambito di trial prospettici potrà stabilirne definitivamente il potere predittivo
In chronic lymphocytic leukemia (CLL) prognostic-predictive markers stratify patients into risk categories characterized by similar clinical course and treatment response. The study of specific cytogenetic lesions in FISH and the mutational status of TP53 and IGHV identifies the essential markers to refine prognosis and guides the optimal therapeutic choice. The complex karyotype (CK), defined by the presence of at least 3 chromosomal aberrations, is an independent prognostic marker, predictive of refractoriness to chemoimmunotherapy (CIT) and new agents, whose role in CLL prognostication is emerging. This thesis contains studies focusing the role of this marker. In a first retrospective study on 335 treatment naïve CLL patients, it has been shown that CK and multiple comorbidities have a negative prognostic impact on overall survival (OS), independently from the CLL-IPI score (p=0.002 and p=0.001, respectively), and that CK has also a negative impact on time to first treatment (TTFT) (p=0.012). This study was followed by a review of the literature on the biological basis underlying the development of CK and its prognostic and predictive value in CLL. In a third work carried out on 90 untreated CLL patients with CK, it was investigated the prognostic relevance of qualitative chromosomal alterations (monosomies, trisomies, deletions, balanced translocations, unbalanced rearrangements) and quantitative (≥5 anomalies), and they were related to clinical-biological parameters. This study found that unbalanced rearrangements are associated with higher incidences of TP53 aberrations (p=0.014), monosomies (p=0.004) and the presence of ≥5 anomalies (p=0.003) with a distinct mRNA expression profile, involving genes implicated in cell cycle control and DNA damage response, with possible prognostic and therapeutic meaning, as well as associating with worse OS (p=0.025) and TTFT (p=0.043). In a fourth multicenter study of 522 LLC patients, it was found that the combination of different subtypes of CK with the mutational state of IGHV, can define new prognostic-predictive groups. The CK2 group identified patients with CK and major structural aberrations (13%), the CK1 group indicated all other CK patients associated or not with unmutated IGHV (U-CK1) (41%) and finally the M-noCK group the remaining patients without CK and mutated IGHV. CK2 patients had a significantly shorter TTFT (p<0.0001) and OS (p<0.0001), independent from TP53 mutational status, and showed a worse outcome after CIT (p<0.0005). Finally, a study of 349 LLC patients found that patients with ≥5 chromosomal abnormalities and cases with severe cytogenetic structural abnormalities were related to lower expression of the molecule SLAMF1 (signalling lymphocytic activation molecule family member 1) (p<0.001). SLAMF1 downregulation was associated with unfavorable clinical-biological characteristics (advanced stage, p=0.001; CD38+, p<0. 001; b2-microglobulin level, p<0.001; IGHV unmutated; p<0.001; del11q, p<0.001; TP53 aberrations, p=0.011 and higher-risk CLL-IPI categories, p<0.001), with a negative prognostic impact on TTFT (p<0.001) and OS (p<0. 001), representing a possible substitute for genomic complexity. In conclusion, CK remains a solid prognostic-predictive marker in patients treated with CIT or new agents. The definition of CK as the presence of ≥3 aberrations, should be revisited and understood as an heterogeneous group, whose clinical development will depend not only on quantitative, but also qualitative aberrations. Including karyotype analysis in prospective trials could definitively establish the predictive power of CK.
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PRANDI, CESARINA. "Intervento complesso per migliorare il controllo del dolore da cancro nei malati ospedalizzati." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2013. http://hdl.handle.net/2108/210050.

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Abstract:
Background: il dolore cancro-correlato continua ad essere un problema sanitario importante a livello mondiale. Secondo le proiezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), entro il 2021 si registreranno 15 milioni di nuove diagnosi di tumore, con 9 milioni di decessi per tale patologia. L’incidenza del dolore in vari stadi della malattia è pari al 51% con un incremento sino al 74-90% negli stadi avanzati e terminali. Nonostante la disponibilità di analgesici efficaci, di linee guida pubblicate e di programmi di formazione rivolti ai professionisti della salute, il dolore non è valutato e trattato secondo quanto indicato dalle linee guida internazionali. Obiettivo della tesi è di dare visibilità del percorso metodologico adottato per individuare un intervento complesso finalizzato al miglioramento del controllo del dolore da cancro nei malati ospedalizzati, e la predisposizione del protocollo di studio con obiettivo di valutare l’efficacia del programma individuato. Metodologie/progetto: Il Programma Pac-IFicO è un intervento articolato, con molteplici componenti rivolto alle èquipe di cura. Sono stati condotti focus group con il personale dei reparti reclutati (5) per identificare possibili barriere locali ad un controllo ottimale del dolore; è stato predisposto materiale informativo per i pazienti, un programma di formazione svolto dai responsabili dei reparti ed un intervento a livello di organizzazione del reparto. Il principale end-point dello studio è la percentuale di pazienti con dolore severo. Tra gli end-point secondari sono compresi gli oppioidi somministrati in reparto, le conoscenze in tema di gestione del dolore e la qualità della gestione dello stesso. Il programma prevede di reclutare circa 500 pazienti oncologici e l’intera popolazione degli operatori presenti nei servizi reclutati (medici e infermieri). La dimensione di questo campione è sufficiente, dopo gli aggiustamenti statistici per il clustering, a far rilevare una diminuzione assoluta del primo end-point dal 20 al 9%. Risultati/Discussione: E’ stata condotta una revisione della letteratura relativamente all’esperienza italiana di “Ospedale senza dolore”; si sono definiti i componenti dell’intervento complesso, individuato un set di criteri di valutazione dell’intervento formativo e definito il protocollo di sperimentazione con approvazione del Comitato Etico (centrale e periferici) e registrato lo studio. Questa ricerca si propone di individuare e analizzare un approccio sperimentale complesso finalizzato al controllo del dolore e rivolto alle èquipe di cura.
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PIREDDA, MARIA LILIANA. "Regolazione della proteina AKT da parte del complesso PML-RAR attraverso l’inibizione di HSP90 (Heat Shock Protein 90 kD) nella Leucemia Acuta Promielocitica t(15;17)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2014. http://hdl.handle.net/2108/211329.

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Abstract:
La proteina HSP90 è uno chaperone molecolare necessario per l’attivazione e la stabilizzazione di numerose proteine coinvolte nel ciclo cellulare, nella trasduzione del segnale, nel processo apoptotico e con funzione recettoriale. Tale chaperone è presente in quantità elevata in tutte le cellule, ma è differenzialmente espresso nei diversi tessuti durante lo sviluppo embrionale e nelle cellule staminali. HSP90 svolge la sua funzione in forma di omodimero, i cui due monomeri (isoforma alpha () e beta (sono costituiti da tre principali domini: un dominio N-terminale con attività ATP-dipendente, un dominio intermedio e un dominio di dimerizzazione. La forma HSP90 beta è ubiquitaria, a differenza dell’isoforma alpha che aumenta invece in condizioni di stress, in molti tumori e nelle cellule staminali. Le isoforme alpha e beta sono regolate ciascuna dal proprio promotore e la loro espressione e’ in stretto equilibrio. In pazienti con leucemia acuta mieloide (LMA), livelli elevati della proteina HSP90 correlano con una prognosi infausta per il paziente. In questo studio abbiamo dimostrato che l’espressione della proteina HSP90 viene inibita a livello trascrizionale e traslazionale in cellule di pazienti con leucemia acuta promielocitica (LAP). La LAP è un sottotipo distinto di LMA, caratterizzato dalla presenza della traslocazione t(15;17), che da’ origine alla proteina di fusione PML-RAR in grado di inibire l’espressione di vari geni coinvolti nel differenziamento cellulare e nel apoptosi. I blasti della LAP sono sensibili all’azione dell’acido all-trans-retinoico (ATRA) ed al triossido di arsenico (ATO), molecole in grado di indurre il differenziamento cellulare. La serina-treonina chinasi AKT svolge un ruolo regolatore cruciale in differenti processi biologici quali differenziamento cellulare, ciclo cellulare, trascrizione, traduzione, metabolismo e apoptosi, ed è una proteina regolata da HSP90. Abbiamo 9 dimostrato che nella linea cellulare promielocitica NB4, l’attività nucleare della proteina AKT aumenta durante il differenziamento indotto dall’ATRA. Inoltre, abbiamo osservato come il trattamento in-vitro di cellule PML-RAR positive (NB4, PR9 e blasti leucemici primari) con ATRA e ATO siano in grado di ristabilire una corretta espressione di HSP90. Effettuando esperimenti di immunoprecipitazione della cromatina abbiamo dimostrato come PML-RAR interagisca direttamente con i promotori delle isoforme alpha e beta di HSP90 e come il trattamento delle cellule NB4 con ATRA aumenti l’acetilazione delle due isoforme . Abbiamo quindi dimostrato che la presenza di PML-RAR inibisce l'espressione di HSP90 a livello trascrizionale attraverso il reclutamento del complesso repressore NCORHDAC nel promotore dei geni che codificano per le isoforme alpha e beta. Abbiamo inoltre evidenziato la down-regolazione della proteina AKT nei pazienti con leucemia acuta promielocitica e abbiamo osservato come PML-RAR regoli negativamente l'espressione post-traduzionale di AKT attraverso la down-regolazione di HSP90.
HSP90 is a molecular chaperone required for activation and stabilization of numerous proteins involved in cell cycling, receptor function, signal transduction and apoptosis pathways. HSP90 is abundant in all cells and is differentially expressed in several tissues during the embryonic development and in stem cells. HSP90 functions as a homodimer with each monomer consisting of three major domains: the N-terminal ATP-domain, the middle domain and the Cterminal dimerization domain. The two major isoforms of this molecular chaperone include HSP90 alpha and beta. The HSP90 beta isoform is ubiquitously highly expressed, whereas the HSP90 alpha isoform is stress-inducible and is over-expressed in many tumors and in stem cells. Both HSP90 alpha and beta are regulated by specific promoters and their reciprocal expression is balanced and is tightly controlled. In patients with acute myeloid leukemia (AML), higher levels of the HSP90 protein have been associated with poor prognosis. Here, we report transcriptional and translational inhibition of HSP90s in primary blasts from patients with acute promyelocytic leukemia (APL). APL is a unique subtype of AML characterized by the presence of the t(15;17) translocation, giving rise to the PML-RAR fusion protein that deregulates the expression of various genes involved in differentiation and apoptosis pathways. APL cells have been shown to be sensitive to all-trans-retinoic acid (ATRA) and arsenic trioxide (ATO). The serine - threonine kinase AKT, plays crucial regulatory roles in different biological processes such as cell differentiation, cell cycle, transcription, translation, metabolism and apoptosis and is a client protein of HSP90. We found that nuclear AKT activity increases during ATRAmediated differentiation of the human APL cell line (NB4). Furthermore, we were able to show that in-vitro treatment of PML-RAR expressing cells (NB4 cells, PR9 cells and primary APL blasts) with ATRA and ATO restores the balanced expression of HSP90. Using chromatin immunoprecipitation assays, we demonstrated that PML-RAR binds to the HSP90 alpha and beta promoter regions, and that treatment of NB4 cells with ATRA induces promoter acetylation of the two HSP90 isoforms. Our study shows for the first time that the presence of the PML-RAR fusion protein inhibits HSP90s expression at the transcriptional level through recruitment of the HDACrepressor complex NCOR in the promoters of HSP90 alpha and beta isoforms. In this line, AKT resulted down-regulated at the protein level in primary APL blasts, where we also demonstrated that PML-RAR negatively regulates the post translational expression of AKT through transcriptional down regulation of HSP90.
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Giardini, Alessandro <1974&gt. "Multicenter european study on the prognostic value of cardiopulmonary exercise test in adults with atrial repair for complete transposition of the great arteries." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/839/1/Tesi_Giardini_Alessandro.pdf.

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Giardini, Alessandro <1974&gt. "Multicenter european study on the prognostic value of cardiopulmonary exercise test in adults with atrial repair for complete transposition of the great arteries." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/839/.

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Spinazzi, Marco. "Optimized protocols for the analysis of mithocondrial respiratory chain enzymes in cells and tissues." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422449.

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Abstract:
Mitochondria are fundamental cellular organelles which decide about life and death of the cells. They are critically involved in a number of essential functions, including the production of energy through the respiratory chain enzymes, regulation of apoptosis, calcium metabolism and production of reactive oxygen species. Dysfunction of mitochondrial metabolism has been recognized a key player in a number of conditions, including mitochondrial disorders, diabetes, cancer, ageing, neurodegeneration and intoxications from drugs and poisons. Therefore, a reliable assessment of mitochondrial respiratory chain enzymatic activities is essential to investigate mitochondrial function in these disorders. However, previously published protocols were found to be inefficient due to sub-optimal tissue disruption, and results are inconsistent because of biochemical interferences leading to enzymatic inhibition, low specificity or low linearity of the kinetics, especially in the assays for complex I, III, IV. In response to these methodological issues, we systematically develop optimized protocols for a reliable assessment of the RC enzymatic function (complex I-IV, I+III, II+III) in bovine muscle homogenates using a single-wavelength spectrophotometer. Most of the analytical pitfalls rgarding complex I, III, IV could be overcome or at least limited. We analyzed, for the first time to our knowledge, the analytical performances of these assays, including the precision, specificity to the enzyme inhibitors, and linearity with time and protein concentrations. Next we validated these protocols to human muscle tissue and extend their applications to cultured cells, a variety of different species (mice, yeasts and C. elegans) and mouse tissues (i.e. liver, heart, brain). An efficient tissue disruption and the choice for each assay of specific buffers, substrates, adjuvants and detergents in a narrow concentration range, allow maximal sensitivity, specificity and linearity of the kinetics. These protocols allow for a reliable analysis of mitochondrial respiratory chain enzymatic activities with the single-wavelength spectrophotometer, and do not require isolation of mitochondria from tissues. These protocols are suitable for the biochemical diagnosis of mitochondrial disorders, as well as for research applications regarding mitochondrial dysfunction in health and disease. This work will be a useful reference for quality control surveys in laboratories specialized in the diagnosis of mitochondrial disorders.
I mitocondri sono organelli cellulari fondamentali con diverse funzioni critiche per la vita e la morte cellulare: la produzione di energia attraverso la catena respiratoria, la regolazione dell’apoptosi, il metabolismo del calcio, e la produzione di radicali dell’ossigeno. La disfunzione mitocondriale è un meccanismo patogenetico ricorrente alla base di una serie di condizioni, fisiologiche e patologiche, tra cui le malattie mitocondriali, il diabete, il cancro, varie malattie neurodegenerative, e vari fenomeni di tossicità da farmaci oppure veleni. Pertanto, l’utilizzo di metodi affidabili per lo studio delle attività enzimatiche mitocondriali è un fattore critico per studiare il ruolo dei mitocondri in tali patologie. Tuttavia, recenti osservazioni hanno evidenziato la presenza di diversi problemi analitici significativi derivanti dai protocolli precedentemente pubblicati in letteratura, tali da compromettere in alcuni casi la consistenza dei risultati. Tali problemi riguardano sia la fase pre-analitica, ovvero la fase di preparazione del campione biologico, che la parte analitica vera e propria spettrofotometrica, impattando negativamente la precisione dei saggi, la specificità e la linearità delle cinetiche. I problemi analitici più significativi riportati riguardano in particolare i saggi per il complesso I, III, e CIV, che sono anche gli enzimi più comunemente deficitari nelle malattie mitocondriali. Per sopperire a tali lacune, abbiamo sviluppato dei protocolli analitici ottimizzati per una analisi affidabile delle attività enzimatiche della catena respiratoria (complessi I-IV, I+III, II+III) attraverso un’analisi sistematica dei singoli steps analitici e pre-analitici. Per la fase di sviluppo dei protocolli abbiamo analizzato omogenati muscolari bovini con l’impiego di uno spettrofotometro a singola lunghezza d’onda. Sia l’impiego di un’efficace protocollo di lisi del campione che la scelta specifica di ciascun reagente (buffer, substrato, adiuvanti e detergenti) in un range ristretto di concentrazioni, sono risultati fattori in grado di influenzare enormemente la sensibilità, la specificità analitica e la linearità delle cinetiche. Sulla base dei risultati ottenuti abbiamo quindi selezionato i protocolli che risultassero in profili ottimali in termini analitici, permettendo di superare gran parte dei problemi analitici riportati in particolare a livello dei complessi I, III, IV. Abbiamo quindi effettuato, per la prima volta in letteratura, una analisi delle prestazioni analitiche di questi saggi biochimici, in termini di precisione, specificità rispetto all’aggiunta degli inibitori, e linearità delle cinetiche nel tempo attraverso la creazione di un indice di linearità, e la proporzionalità delle attività enzimatiche rispetto alla concentrazione di proteine. In una seconda fase abbiamo validato l’impiego di questi protocolli per campioni muscolari umani, e successivamente anche per colture cellulari, altre specie animali e organismi (topo, lievito, C. elegans), e vari tessuti murini (fegato, cuore, cervello). Questi protocolli permettono un’ analisi affidabile delle attività enzimatiche della catena respiratoria mitocondriale con l’uso di uno spettrofotometro a singola lunghezza d’onda, e non richiedono l’impiego di mitocondri isolati da tessuti. I protocolli implementati sono adatti per la diagnosi biochimica delle malattie mitocondriali, come per ricerche focalizzate sulla funzione mitocondriale in processi fisiologici o patologici. Questo lavoro fungerà da riferimento per futuri controlli di qualità e processi di standardizzazione nell’ambito della diagnostica specializzata in malattie mitocondriali.
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DRI, MASSIMO. "Prevalenza e associazione di batteri-complessi e virus in tasche parodontali di pazienti italiani non trattati affetti da parodontite generalizzata cronica e aggressiva." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/208708.

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Abstract:
OBIETTIVO: Lo scopo di questo studio è stato quello di descrivere e confrontare la composizione microbica sottogengivale di soggetti italiani affetti da parodontite aggressiva (GAgP) e cronica (GCP) generalizzate. La possibilità di distinguere tra forme di parodontite aggressive e croniche, in funzione di uno specifico profilo microbiologico, rimane ancora un argomento dibattuto. A tale proposito sono stati ricercati patogeni parodontali e virus della famiglia degli Herpesvirus. MATERIALI E METODI: Il campione è composto da 47 pazienti con GCP e 16 con GAgP. Per ciascun paziente è stato eseguito un full endorale completo e una valutazione parodontale in cui sono stati rilevati indice di placca (PI), indice gengivale (GI), profondità di sondaggio (PPD) e livelli di attacco clinico (CAL) su tutti gli elementi dentali. I campioni di placca e tessuto sottogengivale per la ricerca dei batteri e virus attraverso la tecnica PCR sono stati ottenuti dalla tasca parodontale più profonda di ogni paziente. RISULTATI: In entrambi i gruppi Pg, Tf e Fn erano la specie batteriche più frequentemente rilevate. Una differenza statisticamente significativa (p <0,05) è emersa solo per Td (10,6% nel GCP e il 37,5% in GAgP). Aa è stato rilevato raramente nella forma GCP (4,3%) e più frequentemente in GAgP (18,8%). I virus sono stati riscontrati in 30 dei 63 soggetti testati: la presenza di HCMV è stata evidenziata in 4 siti mentre EBV in 28 siti. Rispettivamente 6,4% e 6,3% dei pazienti GCP e GAgP sono risultati positivi per HCMV, mentre il 46,8% del gruppo GCP e il 37,5% del gruppo GAgP erano positivi per EBV. CONCLUSIONE: Il nostro studio ha rilevato che non ci sono differenze significative tra la flora sottogengivale in pazienti affetti da GCP e quelli da GAgP e, quindi, non è possibile fare diagnosi differenziale tra le due forme di parodontite in base al profilo microbico.
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Tincati, C. "PATHOGENESIS OF POOR IMMUNE RECOVERY ON COMBINATION ANTIRETROVIRAL THERAPY (CART): THE ROLE OF THE GASTROINTESTINAL TRACT AND MICROBIAL TRANSLOCATION." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/246170.

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Abstract:
In the era of combination antiretroviral therapy (cART), a remarkable reduction in AIDS-related morbidity and mortality rates has been described. However, 15%–30% of treated individuals display a discordant response to cART, which consists of inefficient CD4+ T-cell recovery despite effective virological control. These subjects are referred to as “Immunological Non Responders” (INRs) and remain at a considerable higher risk of HIV progression and mortality from both AIDS and non-AIDS events and poorly responsive to experimental treatments. It is thus critical to investigate the underlying mechanisms of poor immune recovery on effective cART and elaborate targeted interventional strategies for this population in a timely manner. T-cell activation has been described an independent factor of poor CD4+ T-cell recovery on cART and INR have been shown to present significant higher levels of peripheral immune activation compared to Full Responders (FR). Building on prior evidence of the translocation of microbial bioproducts through the gastrointestinal (GI) tract as a cause of immune activation in HIV disease, studies addressing the pathogenesis of inefficient CD4+ T-cell recovery in INR have shown increased levels of circulating lipopolysaccharide (LPS) in this setting. Despite evidence of an association between microbial translocation parameters and expression of activation markers in INR, whether stimulation with microbial components per se results in the induction of T-cell activation markers in this population is unknown. Further, a biological model explaining the precise mechanisms by which exposure to microbial components causes T-cell activation in HIV disease is currently lacking. Finally, literature has so far not disentangled the possible links between GI barrier damage and poor immune reconstitution in the course of effective cART in INR. The overall objective of the present study was to understand whether damage of the GI tract and microbial-induced T-cell activation feature HIV-infected individuals with poor immune recovery on cART. Specific Aim 1: Comparative study of gut junctional complexes in HIV-infected individuals with different CD4+ T-cell recovery on cART. We aimed to analyze the structure and function of gut JC in Immunological Non Responder (INR) and Full Responder (FR) and to assess whether the fecal microbiome and/or HIV reservoirs may represent underlying causes of gut epithelial barrier dysfunction in course of treated HIV disease. Specific Aim 2: Expression of activation markers on immune cells following stimulation with microbial components in HIV-infected individuals with different CD4+ T-cell recovery on cART. We aimed to study the expression of activation markers on immune cells following stimulation with microbial components in HIV-infected individuals with different CD4+ T-cell recovery on cART. We analyzed the effect of LPS in vitro stimulation on T-cell activation markers (CD38 and HLA-DR) in HIV-infected patients with different CD4+ recovery on cART and then set up an in vitro model to assess the TLR-mediated signalling pathways in monocyte-derived macrophages (MDM) and PBMCs in a similar study population. Our experiments revealed: i) Immunohistochemical and statistical evidence of INR presenting the lowest expression of junctional complex (JC) proteins at mucosal (ileum and colon) sites, with electron microscopy proof of dilated intercellular spaces; ii) A negative correlation of CD4+ T-cell counts with intestinal JC protein expression as well as HIV reservoirs in the gut and peripheral blood; iii) A higher proportion of HLA-DR-expressing CD4+ and CD8+ T-cells in INR following lipopolysaccharide (LPS) in vitro stimulation, yet the CD38+CD8+ pool only is significantly expanded according to the degree of immunological impairment; iv) Up-regulation of T-cell activation markers following broad microbial challenge in INR, as well as heightened expression of effector and pathogen specific response genes prior to stimulation and selective upregulation of type I interferons following ssRNA stimulation; v) Preserved response of monocyte-derived macrophages (MDM) from INR following broad microbial challenge. Our findings show that incomplete immunological response in the course of effective cART associates with severe damage of the GI epithelial barrier and increased size of the HIV reservoir both at mucosal sites and in circulating T-cells, thus suggesting to target the GI tract in the elaboration of interventional strategies for INR. We also demonstrate the uniqueness of the CD8+CD38+ T-cells subset in depicting T-cell activation following LPS stimulation in individuals with poor CD4+ T-cell recovery, strengthening its possible exploitation in the clinic to monitor the immune response to cART. Consistently with these findings, we show the up-regulation of activation markers on T-cells from INR following ssRNA which appears to be involved in TLR-mediated signaling of non-CD14-dependent pathways, highlighting the importance of low-level viremia/HIV reservoirs as sources of persistent antigenic stimulation in this setting.
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LENCI, ILARIA. "New strategies on management of hepatitis b virus after liver transplantation: complete and sustained weaning of hbv prophylaxis in a selected cohort of patients transplanted due to hbv-related cirrhosis." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/208923.

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Abstract:
Introduzione: la riattivazione del virus HBV dopo trapianto di fegato è legata alla persistenza del virus sotto forma di DNA covalente chiuso circolare (cccDNA). Abbiamo dunque esaminato la sicurezza della sospensione completa della profilassi anti-HBV in una coorte di pazienti trapiantati negativi per cccDNA intraepatico. Metodi: 30 pazienti HBsAg positivi, HBeAg e HBV-DNA negativi al momento del trapianto, con cccDNA e HBV-DNA intraepatico negativi hanno sospeso le immunoglobuline anti-HBs, continuando la lamivudina, con controlli clinici mensili. Dopo 6 mesi, tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una seconda biopsia epatica: solo i pazienti nuovamente negativi per cccDNA e HBV-DNA intraepatico hanno sospeso anche la lamivudina e sono stati seguiti per ulteriori 6 mesi, prima di sottoporsi a nuova biopsia. I pazienti negativi per tutti i marcatori virologici e sierologici di infezione da HBV, su siero e tessuto epatico, sono stati seguiti per un periodo complessivo di 2 anni. Risultati: 25 pazienti sono risultati negativi per cccDNA e HBV-DNA intraepatico in tutte le biopsie epatiche eseguite durante lo studio, in assenza di alcun segno di riattivazione di HBV dopo un follow-up mediano di 25.2 mesi. Cinque pazienti sono diventati HBsAg positivi, 1 dopo la sospensione delle immunoglobuline, 4 dopo la sospensione della lamivudina. Nessuno di questi 5 pazienti ha mostrato eventi clinici rilevanti. Nel primo pazienti, le immunoglobuline sono state prontamente reintrodotte e il paziente è tornato ad essere HBsAg negativo. Degli altri 4 pazienti, solo 1 è rimasto HBsAg positivo, HBV-DNA positivo, con transaminasi moderatamente levate, per cui ha iniziato tenofovir. Gli altri 3 pazienti hanno mostrato invece un HBsAg positività transitoria, seguita in realtà dalla comparsa di un titolo spontaneo anti-HBs, in assenza di alcun trattamento antivirale. Conclusioni: i pazienti con HBV-DNA negativo al momento del trapianto, risultati cccDNA e HBV-DNA negativi su tessuto epatico, possono cautelativamente sospendere la profilassi anti-HBV. Solo una minoranza di questi in realtà ha mostrato ripositivizzazione dell’HBsAg, in assenza di eventi clinicamente rilevanti, andando incontro alcuni a spontaneo sviluppo di anticorpi anti-HBs.
Background and Aim: HBV reactivation after liver transplantation is due to the persistence of covalently closed circular (ccc) DNA. We investigated the safety of HBV prophylaxis withdrawal in transplanted patients negative for intrahepatic total and ccc-DNA. Methods: thirty HBsAg-positive, HBeAg and HBV-DNA-negative patients at transplant, with undetectable intrahepatic total and ccc-DNA underwent HBIG withdrawal and were continued on lamivudine with monthly monitoring. After 6 months, a second liver biopsy was obtained: patients with confirmed total and ccc-DNA negativity also underwent lamivudine withdrawal and were monitored for additional 6 months, when a third biopsy was obtained. Patients negative for all virological assays were followed-up without prophylaxis for up to 2 years. Results: Twenty-five patients had undetectable total and ccc-DNA in all sequential biopsies and did not exhibit HBV reinfection after a median follow-up of 25.2 months following lamivudine withdrawal. Five patients became HBsAg-positive: one early, after HBIG withdrawal,the other 4 after lamivudine withdrawal. None of these had clinically relevant events. In the first patient HBIG were reinstituted with prompt HBsAg negativization. Of the other 4, only one remained HBsAg-positive with detectable HBV-DNA and mild ALT elevation, and was given tenofovir. In the remaining 3, HBsAg positivity was transient and followed by anti-HBs seroconversion. No antiviral treatment was given to these patients. Conclusions: Patients with undetectable HBV viremia at transplant and undetectable intrahepatic total and cccDNA may undergo cautious weaning of prophylaxis. A minority of them experience transient HBsAg positivization, without clinical or virological events, and some undergo spontaneous anti-HBs seroconversion.
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RIGHI, STEFANIA. "Elaborazione sensoriale e cognitiva di stimoli complessi in soggetti normali e soggetti con Malattia di Parkinson." Doctoral thesis, 2003. http://hdl.handle.net/2158/777043.

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Abstract:
Il lavoro trae origine dall’osservazione che vari fattori, come il normale processo di invecchiamento, o la presenza di deterioramento mentale associato a particolari patologie, possono influenzare in modo differente le variabili sensoriali e cognitive implicate nel riconoscimento visivo di oggetti. La ricerca era finalizzata a verificare: 1) quale sia l’effetto dell’età sul processo di riconoscimento di oggetti di natura diversa, in relazione al contenuto in frequenza spaziale; in altre parole, se il declino sensoriale, che accompagna l’invecchiamento, abbia effetti generalizzati o specifici in relazione alla categoria semantica degli stimoli da riconoscere, 2) se, e in che misura, la presenza di un eventuale deficit cognitivo di tipo categoriale, presente nella Malattia di Parkinson, possa dipendere da alterazioni di tipo sensoriale, come il contenuto di frequenze spaziali. La dopamina (DA) (di cui sono carenti i pazienti affetti da Malattia di Parkinson) potrebbe avere un peso differenziale nell’elaborazione di stimoli cognitivi, come suggerito da lavori recenti che attribuiscono un deficit selettivo nel riconoscimento visivo della categoria animali alla carenza di dopamina a livello dei gangli della base e delle vie frontostriate. A tale fine in questo lavoro ha esaminato due gruppi di pazienti con PKD in due condizioni diverse: senza e con dopamina (DA). Il primo gruppo è costituito da pazienti che ancora non assumono il trattamento farmacologico, il secondo gruppo da soggetti trattati con L-Dopa (precursore della dopamina). Questo permetterà di chiarire meglio il ruolo giocato dalla dopamina in compiti di riconoscimento visivo. L’ipotesi relativa all’effetto dell’età si basa sul complesso di studi che hanno messo in luce come il normale processo di invecchiamento si accompagni ad una perdita della sensibilità al contrasto ed, in particolare, ad una caduta delle frequenze spaziali alte e medie. L’idea di verificare le prestazioni dei pazienti con PKD è stata invece sviluppata a partire da due diversi filoni di ricerca. Da un lato, numerosi studi documentano nel PKD alterazioni nell’elaborazione sensoriale degli stimoli visivi, ed in particolare una caduta selettiva per le frequenze spaziali alte e medie, che si associa ad alterazioni elettrofisiologiche a livello retinico e corticale. Parallelamente, un numero più ridotto di ricerche, che si sono sviluppate in anni recenti, hanno suggerito che il PKD possa implicare anche deficit specifici per categoria nel riconoscimento di oggetti; in particolare sembrano emergere alcune difficoltà selettive per la categoria dei viventi (animali). Per verificare le nostre ipotesi, abbiamo utilizzato un paradigma di presentazione ascendente degli stimoli che ha impiegato immagini filtrate per contenuto di frequenze spaziali, appartenenti a categorie semantiche diverse (animali, utensili e vegetali). In questo modo ci siamo proposti di ottenere una misura diretta del grado di contributo che i disturbi sensoriali possono avere su quelli cognitivi (categoriali). L’insieme dei dati raccolti sui soggetti normali ci consente di osservare, che per identificare correttamente gli utensili è necessaria una maggiore quantità di frequenze spaziali alte, probabilmente perché il riconoscimento di un oggetto implica l’accesso ad informazioni peculiari e distintive che consentono di comprendere con esattezza quale sia la funzione dell’utensile, in modo da poterlo distinguere da altri strumenti simili. L’identificazione degli animali richiede invece una minore quantità di informazione (frequenze spaziali alte); poiché gli animali hanno molte caratteristiche percettive in comune (una struttura asimmetrica, un certo numero di zampe, pelo, ecc.) e funzioni biologiche simili è probabile che vengano riconosciuti a partire da informazioni percettive di tipo più globale (frequenze spaziali basse). Inoltre è interessante ricordare che le frequenze spaziali basse sono maggiormente riconoscibili nel caso di oggetti che si muovono, come gli animali; la capacità di riconoscere in modo rapido gli animali a partire da un minor contenuto di informazione fisica potrebbe essersi sviluppata nel corso dell’evoluzione della specie umana (e forse di altre specie animali) ed aver avuto un peso rilevante per la sua sopravvivenza. Inoltre, il fatto che gli anziani necessitino, rispetto ai giovani di una maggiore quantità di informazione fisica (frequenze spaziali alte), indipendentemente dalla categoria semantica di appartenenza degli stimoli, suggerisce che il normale processo di invecchiamento comprometta globalmente i processi di elaborazione sensoriale dell’informazione, ed in particolare l’elaborazione delle frequenze spaziali, ma non alteri specificamente i processi di elaborazione categoriale degli stimoli. I risultati sono coerenti con il vasto corpus di studi che rilevano negli anziani una caduta della sensibilità al contrasto ed un particolare declino per le frequenze spaziali alte e medie. Un risultato interessante emerge nel confronto tra i soggetti normali e i pazienti con Parkinson (PKD), solo per la categoria animali. I pazienti con PKD, che non assumono ancora il farmaco, mostrano di richiedere informazione fisica aggiuntiva per riconoscere gli stimoli, rispetto ai pazienti sotto terapia farmacologica (con L-Dopa) che hanno prestazioni simili ai soggetti normali. Assumendo, in accordo con la teoria percettivo-funzionale che il riconoscimento degli animali richieda un’elaborazione di tipo visuo-percettivo in misura maggiore, rispetto all’identificazione degli oggetti inanimati. Si può avanzare l’ipotesi che alcuni substrati neurali di tipo dopaminergico (probabilmente le vie cortico-striatali ed i gangli della base) siano attivamente coinvolti nei processi di elaborazione visuo-percettiva degli stimoli. Questo potrebbe spiegare perché l’identificazione degli animali sia compromessa nei pazienti con Malattia di Parkinson, che non assumono L-Dopa, dal momento che richiede una maggiore attenzione visuo-spaziale ed una più approfondita analisi degli attributi sensoriali e percettivi degli stimoli. L’ipotesi avanzata è coerente anche con ricerche elettrofisiologiche che mostrano come i soggetti con Parkinson che non assumono L-Dopa abbiano, rispetto ai controlli una ridotta attivazione neurale nell’elaborazione di scene contenenti animali. Coerentemente, è stato ipotizzato che le regioni dello striato entrino a far parte di un ampio network di convergenza, coinvolto nell’analisi visuo-spaziale degli stimoli e nei processi di elaborazione delle rappresentazioni semantiche. Va inoltre ricordato che lo striato ed i gangli della base sono ampiamente interconnessi con le regioni frontali. In particolare il circuito fronto-striato sembra essere implicato nei processi di modulazione dell’attenzione di tipo visivo; i neuroni dei gangli della base producono, infatti, differenti risposte elettrofisiologiche in relazione alle caratteristiche percettivo-sensoriali (forma, luminosità, orientamento, ecc.) sulle quali viene posta maggiore attenzione. In conclusione il dato interessante che emerge dal lavoro è la possibilità che le alterazioni funzionali, legate alla carenza di dopamina nei gangli della base e nel circuito fronto-striatale, producano compromissioni a carico dei processi che guidano l’estrazione e l’analisi delle caratteristiche percettive degli oggetti visivi. Tali deficit si manifesterebbero in modo più vistoso proprio nel riconoscimento degli animali rispetto a quello degli utensili, in virtù del fatto che, secondo molti l’identificazione degli animali richiede una più dettagliata analisi ed elaborazione delle caratteristiche visuo-spaziali dello stimolo stesso.
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