Academic literature on the topic 'Malattia multifattoriale'

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Journal articles on the topic "Malattia multifattoriale"

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Di Lullo, Luca, Fulvio Floccari, Rodolfo Rivera, Antonio De Pascalis, Vincenzo Barbera, Moreno Malaguti, and Alberto Santoboni. "L'ipertrofia ventricolare sinistra nei pazienti affetti da malattia renale cronica." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no. 3 (October 9, 2014): 281–89. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.921.

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Abstract:
La patologia cardiovascolare rappresenta la principale causa di mortalità e morbidità nei pazienti affetti da malattia renale cronica (CKD) e malattia renale cronica terminale (ESRD). La patogenesi della malattia cardiovascolare in corso di nefropatia è multifattoriale e coinvolge fattori di rischio tradizionali e fattori di rischio collegati alla malattia renale. Come ormai universalmente accettato, l'interessamento cardiaco in corso di malattia renale cronica rientra nella cosiddetta Sindrome cardio-renale di tipo 4, la cosiddetta cardiopatia uremica caratterizzata, in primo luogo, dalla presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, disfunzione sistodiastolica del ventricolo sinistro e, negli stadi terminali, scompenso cardiaco congestizio e cardiomiopatia dilatativa. La diagnosi di ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) è affidata da un lato alle tecniche ecocardiografiche 2D e 3D e, dall'altra, a tecniche di imaging più sofisticate, come la risonanza magnetica cardiaca (CMRI). Scopo della review è quello di effettuare un excursus riguardante l'epidemiologia, la fisiopatologia e la diagnosi dell'ipertrofia ventricolare sinistra nei pazienti affetti da malattia renale cronica. (Cardionephrology)
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2

Acquaro, Johnny, and Emanuele Bignamini. "Addiction, cronicità e Servizi per le Dipendenze." MISSION, no. 52 (October 2019): 61–65. http://dx.doi.org/10.3280/mis52-2018oa6493.

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Abstract:
L'addiction, come altre condizioni croniche, è una malattia multifattoriale. E' correlata a fattori biologici, comportamentali e ambientali e interseca diverse dimensioni che possono dar luogo a vere e proprie distruzioni di identità. L'articolo prende in analisi questi elementi sia in termini medici, sia intermini di carriera e considera il ruolo dei Servizi per le dipendenze in ordine a questa tematica. 
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Mancini, Elena, and Roberta Martina Zagarella. "Il concetto di “diagnosi fuzzy”: una applicazione alla malattia di Anderson-Fabry* / The concept of “fuzzy diagnosis”: an application to the Anderson-Fabry disease." Medicina e Morale 67, no. 5 (December 11, 2018): 507–24. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2018.554.

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Abstract:
Per garantire un’elevata affidabilità diagnostica, la classificazione tradizionale delle malattie si basa su due criteri fondamentali: la presenza di caratteristiche peculiari che identificano una malattia distinguendola dalle altre e l’individuazione delle cause o della correlazione multifattoriale. Questa concezione si basa su regole che rimandano ai principi della logica classica, la quale, tuttavia, non può considerarsi uno strumento adeguato in medicina. Essa potrebbe rivelarsi uno strumento utile di fronte a quelle manifestazioni della malattia “prototipiche”, ma non per molte patologie che si presentano come fenomeni complessi e incoerenti, ovvero caratterizzati, sul piano eziologico, da un insieme interrelato di possibili cause e fattori scatenanti e, sul piano clinico, da una elevata variabilità individuale. La diagnosi di tali malattie richiede una logica tramite la quale sia possibile categorizzare il mondo degli oggetti reali. L’articolo prende in esame la logica fuzzy come strumento per il ragionamento diagnostico, e in particolar modo i concetti di “fuzzy set” e “diagnosi fuzzy”, anche al fine di verificarne il possibile impiego nella diagnosi di una patologia rara ad eziologia complessa: la malattia di Anderson-Fabry. L’analisi svolta porta a soffermarsi sulla finalità pratica (e non conoscitiva) della diagnosi, che le conferisce una valenza etica. Muovendo da questa prospettiva, l’articolo propone, nell’ultima parte, alcuni criteri etici di orientamento nel complesso bilanciamento che il clinico effettua tra il rischio inerente alla formulazione di una ipotesi diagnostica di “tipo fuzzy” e i benefici per il paziente di una diagnosi precoce, soprattutto in considerazione della disponibilità di trattamenti farmacologici innovativi. ---------- To ensure high diagnostic reliability, the traditional classification of the diseases is based on two fundamental criteria: the presence of peculiar characteristics that identify a disease distinguishing it from the others; and the detection of causes or multifactorial correlation. This idea is based on rules that refer to the principles of classical logic, which however cannot be considered an appropriate tool in medicine. It may prove to be a useful tool in case of “prototypical” manifestations of a disease, but not for a lot of pathologies that appear as complex and inconsistent cases, or characterized (on the etiological plane) by an interrelation between possible causes and trigger factors, and (on the clinical plane) by an high individual variability. The diagnosis of such diseases requires a logic through which it is possible to categorize the world of real objects. The article examines the fuzzy logic as a tool for the diagnostic reasoning, and particularly the “fuzzy set” and “fuzzy diagnosis” concepts, in order to verify its possible use in the diagnosis of a rare disease with complex etiology: the Anderson-Fabry disease. Our analysis underlines the practical (and not theoretical) purpose of the diagnosis, which gives it an ethical value. From this point of view, the article suggests, in the last part, some ethical criteria in the balance carried out by the clinician between the risk concerning the formulation of a “fuzzy” diagnostic hypothesis and the advantages of an early diagnosis for the patients, especially considering the availability of innovative pharmacological treatments.
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Corsico, Alejandro, and Peter McGuffin. "Psychiatric genetics: recent advances and clinical implications." Epidemiology and Psychiatric Sciences 10, no. 4 (December 2001): 253–59. http://dx.doi.org/10.1017/s1121189x0000542x.

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Abstract:
RIASSUNTOScopo – Presentare una rassegna sui progressi attuali e sulle prospettive future della psichiatria genetica. Metodi – Revisione degli studi che hanno dimostrato una influenza genetica su un'ampia gamma di disturbi psicopatologici, utilizzando ricerche sulle famiglie, sui gemelli e sulle adozioni, ed approfondimento dei metodi e dei limiti degli studi di genetica molecolare. Risultati – I disturbi relativi ad un singolo gene hanno costituito il settore più semplice per ottenere significativi progressi nelle conoscenze su disturbi quali la malattia di Huntington e la malattia familiare di Alzheimer in fase iniziale. Fenotipi complessi, quali la schizofrenia e il disturbo affettivo, hanno invece presentato maggiori difficolta, ma la malattia di Alzheimer e la dislessia sono esempi nei quali scoperte replicate di genetica molecolare suggeriscono ora che l'identificazione genetica e realizzabile anche per disturbi multifattoriali. Conclusioni – La combinazione della disponibilita di un maggior numero di informazioni sui genoma, insieme all'accessibilita ad esse attraverso Internet, fornisce gli strumenti essenziali per le ricerche sulla predisposizione genetica. Un altro requisito fondamentale per tentare di identificare i geni che provocano piccoli effetti e una ben caratterizzata raccolta, su larga scala, di casi. Cid richiede l'interazione tra epidemiologi e clinici. I progressi negli studi di genetica consentiranno anche di individualizzare la terapia farmacologica, tenendo conto della risposta terapeutica e degli effetti collaterali. Si spera che l'insieme di queste prospettive migliorera le nostre conoscenze sulla patogenesi neurobiologica di malattie come la schizofrenia, la depressione ed il disturbo bipolare, ‘legittimando’ queste malattie agli occhi del grande pubblico.
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Bianchini, C., M. Malagò, L. Crema, C. Aimoni, T. Matarazzo, S. Bortolazzi, A. Ciorba, S. Pelucchi, and A. Pastore. "Dolore post-operatorio nei pazienti affetti da neoplasia testa-collo: fattori predittivi ed efficacia della terapia." Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, no. 2 (April 2016): 91–96. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-499.

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Abstract:
Negli anni è aumentata l’attenzione verso i molteplici aspetti associati alla “sfera” dolore, anche nei pazienti oncologici sottoposti a chirurgia testa-collo. Il dolore, definito infatti da diverse caratteristiche, quali l’esperienza personale, gli aspetti qualitativi della percezione, l’intensità, l’impatto emotivo, riconosce un’eziologia “multifattoriale”. Scopo del presente lavoro è stato: (i) valutare l’efficacia della terapia analgesica in pazienti affetti da tumore testa-collo e sottoposti a trattamento chirurgico; (ii) studiare le possibili variabili ed i fattori predittivi che possano influenzare l’insorgenza di dolore. Sono stati studiati 164 pazienti, affetti da neoplasia maligna del distretto testa-collo, trattati chirurgicamente tra il dicembre 2009 ed il dicembre 2013. I dati raccolti comprendono l’età, il sesso, la valutazione del rischio anestesiologico, la sede del tumore, la stadiazione TNM, il tipo di intervento effettuato, la complessità e la durata dell’intervento, le eventuali complicanze post-operatorie, i giorni di degenza post-intervento, la valutazione del dolore nei giorni 0, 1, 3 e 5 post-chirurgia. L’adeguatezza della terapia analgesica è stata espressa in termini di incidenza e prevalenza del dolore post-operatorio, le variabili legate al paziente, alla malattia, al trattamento chirurgico e farmacologico, sono state poi associate all’insorgenza del dolore così da poter descrivere eventuali fattori predittivi. Dai dati ottenuti emerge che la popolazione studiata ha ricevuto un’adeguata terapia antalgica, sia nell’immediato post-operatorio che nei giorni successivi. Non sono risultate associazioni statisticamente significative tra sesso, età ed incidenza del dolore post-chirurgico, mentre lo stadio del tumore, la complessità dell’intervento chirurgico e la sede della neoplasia hanno presentano correlazione significativa con il rischio di insorgenza di dolore post-operatorio. L’elevata prevalenza del dolore in ambito oncologico testa-collo, fa sì che un’appropriata ed attenta gestione del dolore risulti fondamentale. Nel futuro pertanto si auspica una sempre migliore comprensione dei fattori biologici, sociali e psicologici che caratterizzano la percezione del dolore ai fini di migliorarne il controllo.
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Pario, Leslye, Luigia de Marinis, and Vincenzo Velio Degola. "Approccio multidisciplinare alle malattie infiammatorie croniche intestinali: la rettocolite ulcerosa." PNEI REVIEW, no. 2 (November 2021): 98–116. http://dx.doi.org/10.3280/pnei2021-002008.

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Abstract:
La significativa diffusione delle inflammatory bowel disease (IBD) o malattie autoimmuni dell'intestino nei paesi occidentali giustifica un'ipotesi clinica eziopatogenetica secondo cui l'urbanizzazione, insieme alla dieta occidentale, siano fattori stressanti, che in alcuni soggetti più suscettibili a causa di eventi avversi infantili (ACE) portino all'insorgere della IBD in età adulta. Negli studi sugli animali l'ipersensibilità viscerale è stata collegata a diversi eventi avversi della prima infanzia e nell'uomo le IBD possono manifestarsi in età adulta in seguito ad ACE, che riattivano l'asse ipotalamo-ipofisi-surreni (HPA) disregolato a causa degli stressor avvenuti in fase di sviluppo. In questo articolo è stato investigato il ruolo dell'asse HPA, l'importanza della trasmissione epigenetica dell'ipersensibilità viscerale alla generazione successiva non esposta al trauma, il ruolo della nutrizione e della respirazione yogica come fattori protettivi a livello epigenetico. Essendo malattie multifattoriali, viene esposto un caso clinico con approccio Pnei, con approccio nutrizionale ad personam, respirazione yogica per il controllo del perineo e terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) per elaborazione dei target relativi all'infanzia e alla malattia nel presente.
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Fortunato, S., F. Forli, V. Guglielmi, E. De Corso, G. Paludetti, S. Berrettini, and A. R. FetonI. "Ipoacusia e declino cognitivo: revisione della letteratura." Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, no. 3 (May 2016): 155–66. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-993.

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Abstract:
La perdita dell’udito legata all’età o presbiacusia è un deficit correlato al processo irreversibile di invecchiamento che riconosce una patogenesi multifattoriale. Crescenti osservazioni hanno collegato la presbiacusia a una rapida progressione del declino cognitivo e incidentalmente con la demenza. Molti aspetti della vita quotidiana degli anziani sono stati collegati alle loro capacità uditive, mostrando che la perdita uditiva incide sulla qualità della vita, i rapporti sociali, le capacità motorie, gli aspetti psicologici, la funzione e la morfologia di specifiche aree cerebrali. Studi epidemiologici e clinici confermano l’ipotesi di un legame tra queste condizioni e questo lavoro ha lo scopo di fare il punto sui meccanismi patogenetici che sostengono tale associazione. Lo sforzo di un lavoro congiunto tra otorinolaringoiatri, audiologi, neurologi e cognitivisti è quello di chiarire gli aspetti comuni, le possibilità di diagnosi e di intervento precoce al fine di ridurre gli effetti dell’uno sull’altro di questi processi degenerativi. Le osservazioni sperimentali e cliniche si concentrano su differenti aspetti: in primo luogo la deprivazione uditiva per lungo tempo può avere un impatto negativo sulle prestazioni cognitive diminuendo la qualità della comunicazione che porta all’isolamento sociale e la depressione e quindi facilitare la demenza. Al contrario, le capacità cognitive limitate possono ridurre le risorse cognitive disponibili per la percezione uditiva, aumentando così gli effetti della perdita dell’udito. Inoltre, questa associazione può rappresentare la conseguenza di una ‘causa comune’ nella patogenesi del deficit uditivo e del sistema nervoso centrale. Infatti, molti dei fattori eziopatogenetici sono comuni, quali le cause microvascolari della malattia (es. diabete, aterosclerosi, ipertensione). La sfida di questi anni è quella di aumentare le conoscenze sui rapporti tra invecchiamento cerebrale e cognitivo ed ipoacusia, grazie anche ai progressi del neuroimaging. Sorprendentemente pochi dati sono stati pubblicati sull’utilità delle protesi acustiche nel cambiare la storia naturale di declino cognitivo. La protesizzazione e gli impianti cocleari possono migliorare le attività sociali e la sfera emotiva, la comunicazione e quindi più in generale la funzione cognitiva, con un globale impatto positivo sulla qualità della vita. Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire le informazioni attualmente disponibili in letteratura su rapporto tra declino cognitivo e deficit uditivo nell’anziano, fornendo nuovi spunti di ricerca per il futuro.
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Cazzato, Luciano, Claudia Citarella, Margherita Casanova, Angela Tullo, Maria Luigia Iaculli, and Vincenza D’Onghia. "La granulocitoaferesi." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 4_suppl (July 23, 2013): S23—S26. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1085.

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Abstract:
Rettocolite Ulcerosa e Morbo di Crohn, note come Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, sono largamente diffuse nei paesi occidentali. L'eziologia è multifattoriale e comprende una predisposizione genetica e squilibri immunologici del tratto digerente che attivano il processo flogistico della parete intestinale. La terapia delle Malattie Infiammatorie Intestinali comprende amino salicilati, cortisonici, immunosoppressori, ciclosporina e agenti biologici, farmaci gravati da una grave tossicità a lungo termine e da fenomeni di resistenza. Dal momento che granulociti e monociti attivati, insieme a citochine proinflammatorie e alla deregolazione dell'attività dei linfociti T regolatori (T®), hanno un ruolo cruciale nell'infiammazione cronica intestinale, l'aferesi selettiva dei monociti e dei granulociti, una tecnica che rimuove i leucociti attivati dal sangue in regime di circolazione extracorporea, potrebbe rappresentare un presidio terapeutico sicuro ed efficace. Vari studi multicentrici sull'efficacia terapeutica della granulocitoaferesi hanno dimostrato che questa rappresenta un'opzione sicura per i pazienti resistenti alla terapia farmacologica oppure un trattamento ben tollerato in associazione con protocolli terapeutici tradizionali, capace di indurre periodi di remissione clinica prolungati e una significativa riduzione dell'assunzione di cortisonici. Ulteriori studi sono necessari per definire meglio la frequenza del trattamento, i volumi ematici da processare, la migliore terapia farmacologica da associare alla granulocitoaferesi e la sua efficacia in altre patologie autoimmuni.
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Bellavite, P., M. Semizzi, P. Musso, R. Ortolani, and G. Andrioli. "Medicina ufficiale e terapie non convenzionali: dal conflitto all’integrazione?" Medicina e Morale 50, no. 5 (October 31, 2001): 877–904. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2001.735.

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Abstract:
La distinzione tra medicina ufficiale e medicine alternative (più propriamente denominate non-convenzionali o complementari) va inquadrata sul piano storico ed epistemologico, come parte di un continuo e mai concluso confronto tra diversi paradigmi scientifici e medici. Il ricorso a pratiche mediche di origine orientale o comunque di matrice extra-scientifica è in espansione in tutti i Paesi europei e negli Stati Uniti e ciò pone un’ampia serie di problemi sociosanitari, deontologici, etici, metodologici. La crisi attuale della medicina occidentale deriva sostanzialmente dalla difficoltà di conciliare il progressivo dominio dell’approccio scientifico-molecolare e tecnologico con la crescente necessità di riscoprire gli aspetti più personali ed individualizzati della cura, che sono particolarmente importanti nelle malattie croniche e multifattoriali. Le medicine non convenzionali possono probabilmente contribuire a colmare alcune lacune metodologiche e concettuali lasciate dalla super-specializzazione e dal prevalere del pensiero razionalista rispetto a quello empirico negli ultimi secoli e particolarmente negli ultimi decenni. Il modo più corretto di guardare al fenomeno è quello di esaminarne le ragioni d’essere, individuarne le molte possibili distorsioni, sfruttarne le potenziali positività in vista di una possibile integrazione di diversi approcci terapeutici. Tale eventuale integrazione di alcune pratiche non convenzionali richiede un maggiore impegno nella ricerca scientifica e nella qualifica delle varie figure professionali.
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Orsini, Enrico, and Ettore Antonsecchi. "ARCA Registry. Nuove evidenze nella gestione delle sindromi coronariche croniche." Cardiologia Ambulatoriale 30, no. 3 (December 9, 2022): 137–45. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-1.

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Abstract:
Il trattamento delle sindromi coronariche croniche (SCC) è ancora oggi influenzato dai risultati di vecchi trials di confronto fra bypass aortocoronarico e terapia medica, condotti negli anni ’70 e da studi osservazionali. Da questi studi era emersa la superiorità della rivascolarizzazione chirurgica o percutanea sulla mortalità, rispetto alla gestione conservativa, nei pazienti ad alto rischio anatomico o ischemico. Parallelamente alle nuove acquisizioni patogenetiche, che hanno accertato la natura multifattoriale delle SCC e contemporaneamente allo sviluppo dei moderni farmaci in grado di incidere positivamente sull’outcome delle malattie cardiovascolari, una serie di studi controllati ha confrontato in tempi più recenti la terapia medica ottimale (OMT) con la rivascolarizzazione, accertando l’assenza di benefici incrementali delle strategie invasive, rispetto alle strategie conservative, nei pazienti con SCC. Il trasferimento di queste nuove evidenze dalla teoria alla pratica è tuttavia lento ed insufficiente e la quasi totalità dei pazienti con SCC è ancora oggi trattato invasivamente, in deroga ai principi di appropriatezza e di rispetto delle raccomandazioni delle linee guida. ARCA Registry, uno studio osservazionale, prospettico, progettato e condotto dalla Società Scientifica A.R.C.A., ha accertato l’efficacia e la sicurezza di un modello di gestione dell’angina stabile, raccomandato dalle linee guida e consistente nella OMT quale trattamento inziale in tutti i pazienti ed il ricorso selettivo ed individualizzato alla coronarografia e alla rivascolarizzazione solo nei pazienti non responsivi o ad alto rischio. I risultati di ARCA Registry dovrebbero facilitare il trasferimento alla pratica clinica delle nuove evidenze, migliorando l’appropriatezza gestionale delle SCC.
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Dissertations / Theses on the topic "Malattia multifattoriale"

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Girardelli, Martina, and Martina Girardelli. "Ricerca di nuove varianti geniche associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10849.

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Abstract:
2013/2014
2013/2014
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), sono un gruppo di malattie eterogenee ad eziologia multifattoriale. Sono caratterizzate da uno stato infiammatorio a carico della mucosa del tratto gastrointestinale e comprendono il Morbo di Crohn (MC), la Rettocolite ulcerosa (RCU) e la Colite indeterminata (CI) i cui quadri istopatologici differiscono tra loro per tipo di lesione, localizzazione della malattia e complicanze associate. Le MICI insorgono tipicamente durante l’adolescenza o in età adulta come il risultato della combinazione di tutti i fattori predisponenti che concorrono in egual misura nella determinazione della malattia. L’insorgenza delle MICI può avvenire anche in età molto precoce, entro i 10 anni ma anche entro i 2 anni e in maniera ancora più grave. In questi casi di esordio precoce si ipotizza che il peso maggiore sia da attribuire alla componente genetica piuttosto che a fattori ambientali e microbici. Solitamente i pazienti con esordio precoce sono caratterizzati da un fenotipo malattia più severo e difficilmente controllabile con le terapie convenzionali. Per gli aspetti differenti che si osservano in termini di predisposizione, caratteristiche fenotipiche, fattori coinvolgenti e geni interessati, le MICI possono essere contestualizzate da una parte come malattie multifattoriali e dall’altra come patologie “monogeniche". Nel contesto della multifattorialità, i numerosi studi di associazione son stati importantissimi in quanto hanno individuato numerosi geni relativi a distinte pathway (barriera intestinale, regolazione dell’immunità innata dell’epitelio, autofagia, sistema fagocitario e stress) coinvolte nella patogenesi delle MICI (ad oggi 163 loci). Nel lavoro di dottorato l’attenzione e l’interesse si è focalizzato sullo studio delle MICI ad insorgenza precoce e uno dei primi obiettivi della tesi è stato quello di indagare in 36 pazienti pediatrici, geni noti dalla letteratura per essere associati alla malattia (NOD2, ATG16L1, IL23R, IL10, IL10RA, IL10RB e XIAP), con il fine di identificare una possibile correlazione genotipo-fenotipo. Anche se non è stato possibile identificare un unico filo conduttore che ci ha permesso di correlare il fenotipo dei pazienti ai genotipi individuati, sono state identificate nuove varianti missenso e introniche. Tutte le varianti individuate sono state analizzate da un punto di vista bioinformatico per valutare la predizione di patogenicità: in base alle predizioni ottenute l’attenzione si è focalizzata su due varianti nel gene NOD2 sulle quali sono stati allestiti saggi funzionali per valutare il loro impatto sulla corretta sintesi e funzionamento della proteina. Un importante dato che emerge sempre più spesso dalla letteratura è l’evidenza che lesioni infiammatorie a carico del tratto gastrointestinale e il fenotipo tipico delle MICI, possono presentarsi molto precocemente (entro i 2 anni di vita) come prime o a volte anche come uniche manifestazioni cliniche in un contesto patologico più ampio che sottende allo sviluppo di gravi immunodeficienze (MICI-like). In questi casi le mutazioni a carico del gene malattia sono molto rare e generalmente considerate come mutazioni “private” e causative del fenotipo malattia che si osserva. Nell’ambito delle MICI in un contesto che possiamo definire monogenico, sono stati analizzati pazienti pediatrici con una sintomatologia MICI-like mediante analisi di sequenza di nuova generazione “Whole Exome Sequencing (WES)”. Sono state ricercate specificamente mutazioni in un determinato set di geni accuratamente selezionati (60 geni) in quanto responsabili di patologie monogeniche che presentano, all’esordio della malattia, una sintomatologia MICI-like. L’obiettivo è quello di riuscire ad effettuare in tempi rapidi l’identificazione di mutazioni in specifici geni malattia, per permettere al clinico di diagnosticare altrettanto rapidamente la malattia e poter intraprendere la terapia più adeguata e specifica per ciascun paziente. Così come sono state individuate numerose varianti presenti nei database e note per la loro associazione alle MICI, sono state identificate anche nuove varianti, mai descritte prima in letteratura. Alcune varianti sono state analizzate con saggi funzionali in vitro in modo da poter comprendere il rispettivo effetto sulla proteina. Per testare l’effetto della variante intronica rs104895421 (c.74-7T>A), situata a monte dell’esone 2 del gene NOD2, è stato allestito il saggio del minigene ibrido. L’esperimento ha messo in evidenza che tale sostituzione nucleotidica altera il corretto funzionamento del meccanismo di splicing, provocando, anche se non con una efficienza del 100% l’esclusione dell’esone. Nel contesto di MICI come malattie monogeniche, sono state individuate due importanti mutazioni, in due pazienti con sintomatologia MICI-like ad esordio molto precoce. La prima è una mutazione, ovvero una delezione di due nucleotidi, identificata nel gene XIAP (c.1021_1022delAA fs p.N341fsX7). Questa delezione determina la sintesi di una proteina tronca provocando un’alterazione strutturale della proteina che ne la funzionalità. Il risultato di tale lavoro ha permesso al clinico di fare finalmente la corretta diagnosi e il paziente è stato curato grazie ad un trapianto di midollo. La seconda mutazione degna di interesse è una mutazione missenso identificata in omozigozi nel gene NOD2 (c.G1277A p.R426H), in seguito all’analisi dell’esoma. Dalle indagini funzionali si evince che tale mutazione altera il normale funzionamento del recettore intracellulare NOD2, e quindi potrebbe spiegare il fenotipo malattia osservato nel giovane paziente (“gain of function”). In questo caso, il confronto con il clinico, in base alle evidenze ottenute dai test eseguiti, deve ancora avere luogo ma sarà di fondamentale importanza per fare una diagnosi e iniziare la terapia idonea. Questa tesi ha incrementato, seppur con piccoli tasselli, le conoscenze riguardo alcuni varianti in geni conosciuti dalla letteratura per la loro associazione con le MICI. I risultati ottenuti hanno avuto inoltre un impatto traslazionale molto importante permettendo ai clinici di fare la corretta diagnosi e iniziare la terapia idonea per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita del paziente.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1985
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BIANCOLELLA, MICHELA. "Studi di profili di espressione per la ricerca di biomarcatori genomici in malattie monogeniche e multifattoriali: la fibrosi cistica e il cancro della prostata." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2008. http://hdl.handle.net/2108/444.

Full text
Abstract:
Obiettivo di questa tesi di dottorato è la messa a punto di sistemi di analisi dell’espressione genica basati sulla tecnologia dei microarrays per l’identificazione di potenziali biomarcatori genomici quali geni candidati per la comprensione della patogenesi molecolare, e la predittività fenotipica in una malattia monogenica, la Fibrosi Cistica e una patologia complessa ad eziologia multifattoriale, il cancro della prostata. In particolare, per quanto concerne la fibrosi cistica, lo studio ha riguardato l’analisi dell’espressione genica in due linee cellulari di epitelio bronchiale (CuFi1 F508del/F508del; CuFi3 F508del/R553X). A tal fine abbiamo ideato e utilizzato un oligoarray a bassa densità (CF-chip) contenente 144 geni selezionati in accordo a specifici criteri biochimici. Il maggior numero di geni trovati differenzialmente espressi in CuFi3 (26 su un totale di 38) suggerisce come la presenza di un allele di classe 1 (R553X) determini una maggiore alterazione del pattern di espressione genica rispetto alla sola presenza di alleli di classe II (F508del). Relativamente al cancro della prostata, lo studio è stato focalizzato all’identificazione di biomarcatori genomici propri di pattern specifici di espressione per la valutazione prognostica e terapeutica di cellule tumorali, androgeno-responsive (LNCaP) e non responsive (DU145), trattate con farmaci (acido valproico e dutasteride). Abbiamo osservato che l’acido valproico (VPA), un inibitore dell’istone deacetilasi (HDAC), promuove nelle LNCaP una differenziazione di tipo neuroendocrina caratterizzata da un aumento nell’espressione dell’enolasi neurone-specifica (NSE), una diminuzione di PSA e dell’espressione del recettore degli androgeni (AR), suggerendo un ruolo di tale farmaco nella risposta agli androgeni. Inoltre l’analisi del profilo di espressione genica usando un microarray a bassa densità (Androchip 1) contenente 103 geni coinvolti nell’omeostasi del cancro della prostata, ha mostrato che VPA è in grado di modulare l’espressione di differenti geni del metabolismo degli androgeni. Gli effetti cellulari e molecolari del trattamento con Dutasteride, un potente inibitore delle due isoforme della 5α-reduttasi (tipo I e tipo II ), nelle due linee cellulari umane di carcinoma prostatico LNCaP e DU145 sono stati investigati mediante lo sviluppo di un chip a bassa densità (Androchip 2) con 190 geni coinvolti nel pathway degli androgeni. I nostri risultati mostrano che la Dutasteride è in grado di ridurre la vitalità e la proliferazione in entrambe le due linee cellulari testate. Tuttavia il trattamento farmacologico è in grado di indurre un’alterazione del profilo dell’espressione genica esclusivamente nella linea cellulare LNCaP che, a differenza delle DU145, è androgeno responsiva e AR positiva. In conclusione, è interessante osservare che il nostro studio ci ha portato ad identificare biomarcatori genomici che proprio nella variazione dei livelli di espressione genica possono costituire dei veri e propri nuovi biomarcatori di interesse nella diagnostica e nella prognosi delle malattie mendeliane e complesse.
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