Academic literature on the topic 'Limiti oggettivi'

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Journal articles on the topic "Limiti oggettivi"

1

Mordacci, Roberto. "Disponibilità e disposizione. Riflessioni etiche sulla partecipazione di volontari sani alla ricerca biomedica." Medicina e Morale 40, no. 4 (October 31, 1991): 585–611. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1991.1126.

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Abstract:
La relazione fra il ricercatore e il volontario sano nella ricerca biomedica presenta caratteristiche diverse dalla relazione medico-paziente. Il profilo etico della partecipazione di tali soggetti alla sperimentazione rivela i connotati di un'esperienza in bilico fra disponibilità personale e disposizione materiale della corporeità. Vengono poi affrontati due problemi simmetrici connessi a tale prassi: se si possa parlare di obbligo morale alla disponibilità e se si possano porre limiti soggettivi e oggettivi a quest'ultima.
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2

Cassibba, Fabio Salvatore. "I limiti oggettivi del ne bis in idem in Italia tra fonti nazionali ed europee." Revista Brasileira de Direito Processual Penal 4, no. 3 (October 31, 2018): 953. http://dx.doi.org/10.22197/rbdpp.v4i3.186.

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Abstract:
É premissa consolidada que o ne bis in idem constitua um direito fundamental, protegido por uma pluralidade de fontes nacionais (art. 649 do c.p.p. italiano) e supranacionais (art. 50 CDFUE e 4° protocolo CEDH). Entretanto, exatamente a “tutela multinível” dos direitos fundamentais que caracteriza o ordenamento italiano – paradoxalmente – corre o risco de se transformar em um obstáculo à mais ampla operabilidade dessa garantia. Ademais, nos panoramas italiano e europeu, as previsões que especificam os pressupostos para a aplicabilidade dessa garantia se caracterizam por um conteúdo heterogêneo (identidade do fato; identidade da infração), destinado a incidir negativamente sobre a definição da perspectiva objetiva da proibição de dupla persecução. Por outro lado, a interpretação das mesmas previsões por parte da jurisprudência italiana, ordinária e constitucional, e pelas Cortes supranacionais torna ainda mais incertos os confins do efeito preclusivo gerado por uma decisão irrevogável. Em particular, alude-se as hipóteses em que o ne bis in idem entre em jogo em relação ao “duplo binário sancionatório”, por força do qual o mesmo fato é sancionado, contemporaneamente, em campo penal e em campo administrativo. A reconstrução da perspectiva da garantia atribuída ao art. 649 do c.p.p. italiano deve partir da valorização do princípio de legalidade processual e implica, portanto, por um lado, a recondução da unidade do pressuposto representado pelo mesmo objeto dos diferentes procedimentos; por outro lado, evitar soluções casuísticas, contrárias ao princípio de legalidade, em relação ao pressuposto da duplicação dos diferentes procedimentos que se refiram ao mesmo fato.
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3

Ghezzi, Morris L. "Bioetica tra scienza e superstizione." SOCIOLOGIA DEL DIRITTO, no. 2 (November 2010): 7–23. http://dx.doi.org/10.3280/sd2010-002001.

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Abstract:
Questo articolo tratta dei limiti che la bioetica deve imporre alle normative statali nella regolamentazione dei comportamenti da tenere in situazioni riguardanti il tema della vita e della morte dell'essere umano. Ovviamente per individuare tali limiti č necessario in via preliminare procedere alla definizione dei concetti di vita e di morte da un punto di vista sia filosofico, sia giuridico. Negli Stati democratici e laici la legge deve rispettare le libere scelte dei cittadini in materie che coinvolgono esclusivamente la dimensione individuale dell'essere umano. Pertanto, poiché la vita e la morte sono proprio dimensioni specificatamente soggettive ed individuali, di fronte alle quali la collettivitŕ deve fermarsi ad ascoltare l'opinione del diretto interessato, la legge piů che formulare imperativi, deve tracciare spazi di libera scelta entro i quali il singolo individuo possa trovare difesa per la realizzazione delle proprie ultime volontŕ. Nella cultura umana la distinzione tra naturale ed artificiale č priva di significato, poiché la creativitŕ culturale produce artificialitŕ, ma č naturale per l'essere umano. Dunque, non esistono parametri oggettivi per indicare scelte naturali in bioetica, ma ogni visione č possibile, ogni posizione etica č rispettabile. In materia bioetica non puň esistere eteronomia, ma solo autonomia del singolo individuo e ciň impone anche che la ricerca scientifica resti libera da qualsiasi vincolo di natura superstiziosa, religiosa o politica e trovi limiti esclusivamente nell'eguale libertŕ di scelta di tutti gli esseri umani.
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Varva, Simone. "Sindacato giudiziale e motivo oggettivo di licenziamento." GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, no. 131 (August 2011): 447–87. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2011-131007.

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Abstract:
Il saggio affronta il tema dei limiti del sindacato giudiziale in ambito di licenziamento per motivo oggettivo. Nella parte introduttiva si definisce la nozione di licenziamento per ragioni economiche in senso stretto e se ne chiariscono i confini. Successivamente viene analizzato l'orientamento giurisprudenziale prevalente. Si fa poi menzione di alcune proposte teoriche alternative. Infine, si approfondiscono le novitŕ introdotte dall'art. 30 del c.d. "collegato lavoro" (l. 183/2010).
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Cellucci, Carlo. "Filosofia della matematica top-down e bottom-up." PARADIGMI, no. 3 (December 2011): 105–20. http://dx.doi.org/10.3280/para2011-003008.

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Abstract:
La filosofia della matematica degli ultimi decenni viene comunemente distinta in filosofia della matematica mainstream e filosofia della matematica maverick. Nell'articolo si analizzano i limiti di entrambi questi tipi di filosofia della matematica e si propone in alternativa un approccio bottom-up, secondo cui vi č continuitŕ tra i procedimenti di soluzione di problemi che l'evoluzione ha incorporato negli organismi e i procedimenti con cui si risolvono problemi matematici nella matematica intesa come disciplina. Si sostiene che questioni tradizionali della filosofia della matematica, quale quella della natura degli oggetti matematici, possono essere trattate in termini di tali procedimenti.
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6

Nowicka, Urszula. ""Animadversiones" obrońcy węzła małżeńskiego w trybunale apelacyjnym." Prawo Kanoniczne 53, no. 3-4 (October 15, 2010): 223–43. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2010.53.3-4.11.

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Abstract:
La presenza del difensore del vincolo al processo di nullità del matrimonio è sempre necessaria; in caso contrario gli atti sono nulli. Anche se si notano a volte posizioni che tendono a ridimensionare il suo ruolo o ridurlo a qualche insignificante adempimento formale. Il Santo Padre Giovanni Paolo II nei suoi discorsi al Tribunale della Rota Romana ha detto molte volte che sarebbe grave errore considerarla di minore importanza perché il suo intervento sarebbe di grave danno per la retta amministrazione della giustizia. Il difensore del vincolo non è in opposizione alle parti, ma collaboratore alla scoperta della verità oggettiva del matrimonio. Poiché la sua funzione non si limita al formale riassunto degli atti o ad alcune superficiali osservazioni. La funzione del difensore del vincolo assume importanza particolare nel tribunale di appello. Egli deve analizzare tutti gli atti e la sentenza della Ia istanza, contemporaneamente proponendo ed esponendo tutti gli argomenti che possono essere ragionevolmente addotti contro la nullità. I giudici, devono tener conto delle osservazioni del difensore del vincolo, decidono – secondo il can. 1682 § 2 CIC – della conferma della sentenza della Ia istanza con proprio decreto oppure ammettano la causa all’ordinario esame del nuovo grado. Questi obblighi del difensore del vincolo al tribunale di appello e anche gli elementi che egli deve tenere conto nel suo lavoro, sono lo scopo del seguente articolo.
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Lo Schiavo, Fulvia, Ellen Macnamara, and Lucia Vagnetti. "Late Cypriot Imports to Italy and their Influence on Local Bronzework." Papers of the British School at Rome 53 (November 1985): 1–71. http://dx.doi.org/10.1017/s0068246200011491.

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Abstract:
LE TARDE IMPORTAZIONI CIPRIOTI IN ITALIA E IL LORO INFLUSSO SULL'OPERA LOCALE IN BRONZOQuesto studio esamina le diverse categorie di materiali archeologici rinvenuti in territorio italiano, databili con certezza o presumibilmente nei limiti dell'età del bronzo, che siano da considerare importati da Cipro o imitati da modelli ciprioti. Sono esaminati separatamente ceramiche, pugnali con codolo a uncino, lingotti ox-hide, doppie asce, strumenti da fonditore, specchi, recipienti metallici con i loro attacchi, tripodi e figurine di bronzo.Tali materiali sono ben attestati in Sicilia, abbondantissimi in Sardegna e solo sporadicamente rappresentati in Italia peninsulare. I più antichi esempi (ceramiche) possono risalire al XIV–XIII secolo a.C.; inizialmente sembrano collegati con i traffici egei verso l'Occidente, ma dal XII secolo in poi sembra di poter ipotizzare una certa indipendenza del flusso cipriota verso la Sicilia meridionale e, soprattutto, verso la Sardegna, dover fiorisce un'industria metallurgica assai prospera che, in qualche caso, imita in modo molto stretto la produzione cipriota, sia nella sfera degli oggetti d'uso che in quella dei materiali di pregio.Alla sfera utilitaria appartiene il repertorio degli strumenti da fonditore—martelli, pinze, e palette da carbone—che si presenta tipologicamente pressochè identico a Cipro e in Sardegna, mentre non è conosciuto nelle stesse forme in area egea. Alla sfera dei materiali di pregio appartengono i tripodi, una categoria molto specializzata, tipicamente cipriota, che viene sporadicamente importata in Occidente e poi imitata in Sardegna.Non si può quindi escludere che, sullo scorcio dell II millennio, forse in collegamento con la ricerca di nuove fonti di materie prime, artigiani metallurghi ciprioti fossero presenti e operanti in Sardegna.
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Carrasco de Paula, Ignacio, and Maddalena Pennacchini. "Scienza medica e filosofia nella riflessione dei filosofi dell’esistenza." Medicina e Morale 53, no. 6 (December 31, 2004): 1189–201. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.623.

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Abstract:
Nella concezione dei pensatori di epoca positivista la scienza è la sola forma di conoscenza possibile e il metodo della scienza è l'unico valido. I positivisti non ammettono, pertanto, il ricorso a cause o principi che non siano riconducibili al metodo della scienza poiché ritengono che questi non fanno progredire il cammino della conoscenza e li considerano una pericolosa ricaduta nella metafisica. Alla filosofia spetta sostanzialmente un unico compito, quello di enunciare dei principi comuni alle varie scienze. Essa detiene la funzione di riunire e coordinare i risultati delle singole scienze, in modo da realizzare una conoscenza unificata e generale. Per contro Jaspers e Weizsäcker considerano la scienza e la filosofia come due distinte strade che conducono alla conoscenza. Essi volendo salvare i rapporti tra le due discipline si sono trovati nella necessità di collocarle su due piani distinti. Si tratta, tuttavia, di una distinzione di tipo contenutistico e metodologico che implica una conciliazione necessaria. E questo perché il limite fondamentale del sapere scientifico risiede proprio nella natura del suo procedimento metodologico. La scienza - vincolata dal suo metodo che le impone di attenersi alle oggettività ipoteticamente costruite - non giunge alla verità delle cose, bensì esclusivamente alla loro esattezza, ossia alla corrispondenza della loro oggettivazione con le ipotesi che l’hanno consentita. Pertanto, le scienze non conoscono il mondo, ma l’ordinamento del mondo da loro ipotizzato. Contro questa tendenza, Jaspers reagì affermando che gli scienziati devono imparare a pensare, e tale obiettivo pedagogico deve essere perseguito dalla filosofia.
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Gozzetti, Giovanni. "Dalla superficie alla profonditŕ. Un equivoco epistemologico circa fenomenologia e psicoanalisi." GRUPPI, no. 3 (May 2010): 11–18. http://dx.doi.org/10.3280/gru2009-003002.

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Abstract:
Superficie e profonditŕ indicano una dimensionalitŕ dal fuori al dentro, che richiama la topica di Freud e ha rapporti con alcune immagini derivate dalla fenomenologia di Husserl, che riguardano una concezione stratificata della psiche. I manuali diagnostici come i DSM esigono obbedienza e concedono come premio l'esattezza diagnostica, nei limiti della loro criteriologia. Essi provengono dalle concezioni di un empirista logico, Carl Hempel, e si basano sulla rinuncia alla validitŕ per accontentarsi del piů modesto criterio della affidabilitŕ tra osservatori. Se solo, perň, consultassimo un buon dizionario per esaminare i nostri termini, che, crediamo, in buona fede, neutri, ci accorgeremmo che corriamo il rischio di seppellire il nostro paziente in un nulla di parole artificiose, dal momento che il conoscere, nel nostro campo, non č solo sapere, ma ha la vibrazione del sentire. Siamo cioč costretti, in fondo, ad eleggere la soggettivitŕ a conoscenza, cercando di dare ad essa una consistenza. Karl Jaspers č partito da questo per forgiare il metodo psicopatologico della fenomenologia comprensiva, che ha per base uno strumento, la comprensione, Verstehen, vale a dire la capacitŕ dell'osservatore di mettersi al posto del paziente, grazie alle autodescrizioni, e, per empatia, cogliere i suoi vissuti, rivivendoli. Accanto a questa fenomenologia soggettiva, c'č quella oggettiva, che vuole accedere direttamente ai fenomeni psicopatologici. L'indagine fenomenologica obiettiva ha per momento iniziale la "riduzione", da intendersi come il metodo per il quale metto momentaneamente tra parentesi ogni teoria data, in modo da cercare di raggiungere una descrizione "pura" dei fenomeni. Metto tra parentesi e conservo: il metodo fenomenologico non č qui inteso come un rifiutare il sapere psichiatrico e psicoanalitico, ma come un esercizio, che permette di avvicinarsi a quella conoscenza implicita che non nega la conoscenza abituale. Si cerca quello che giŕ si sa, senza averne conoscenza esplicita e questo sapere implicito lo scopriamo in modo semplice e rigoroso, con uno sguardo attento alla descrizione di superficie. «Nel lavoro scientifico, dice Freud, č piů promettente affrontare il materiale che ci sta di fronte, per la cui indagine si apre uno spiraglio. Se lo si fa con scrupolo, senza ipotesi o aspettative preconcette, e se si ha fortuna, anche da un lavoro cosě privo di pretese puň scaturire l'appiglio allo studio dei grandi problemi, grazie al nesso che lega tutto con tutto, anche il piccolo col grande». Questo potrŕ forse dispiacere a chi ama le scorribande avventurose nello psichismo arcaico, ma forse la superficie puň dare piů interrogativi e celare piů misteri di quanto una teoretica dei primi palpiti di vita possa immaginare e permette comunque di stare col paziente nello stesso luogo in una prossimitŕ di incontro.
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Castiglione, Davide. "Sapienziale." Polisemie 3 (October 5, 2022): 41–80. http://dx.doi.org/10.31273/polisemie.v3.890.

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Abstract:
The aim of this study is twofold: on the one hand, it purports to develop a model to investigate universal or generic propositions (e.g., theses, maxims, proverbs, aphorisms) and their effects in poetry; on the other, it applies such model to four poetry collections by Cristina Annino, Milo De Angelis, Marco Giovenale, and Guido Mazzoni. The analysis, guided by the criteria and parameters established by the model, has allowed to discover in what textual forms and pragmatic functions the aforementioned authors express contents worth of memic transmissibility, as well as related effects of authority, necessity, wisdom, intuition, collective relevance. Mazzoni’s reliance on theses, for instance, has been interpreted as an attempt to gain an objective knowledge of the world, differently from Annino’s more subjective aphorisms or De Angelis’ utterances, which are rooted in the here-and-now and yet capable of transcending themselves by virtue of their archetypal relevance. The model proposed has also enabled to shed light on less prototypical forms, such as Annino’s creative manipulation of proverbs and Giovenale’s parodic redeployment of stereotypes. The article concludes by suggesting paths for future research in which the model could be profitably applied. Il presente studio si pone due obiettivi principali: da un lato, quello di sviluppare un modello per lo studio delle proposizioni universali o comunque a carattere generale (per es. tesi, massime, proverbi, aforismi) e dei loro effetti in poesia; dall’altro, quello di applicare tale modello a quattro libri recenti di altrettanti autori: Cristina Annino, Milo De Angelis, Marco Giovenale e Guido Mazzoni. L’analisi, guidata da criteri e parametri indicati dal modello, ha permesso di comprendere in quali forme testuali e funzioni pragmatiche questi autori esprimono contenuti degni di una trasmissibilità memica, nonché le annesse sensazioni di autorità, necessità, saggezza, intuizione, rilevanza collettiva. Si è per esempio ricondotto l’uso della tesi in Mazzoni al tentativo di raggiungere una conoscenza oggettiva del mondo, diversamente dalle forme più soggettive dell’aforisma in Annino o degli enunciati deangelisiani, situati nel qui-e-ora ma capaci di trascendersi grazie alla loro portata archetipica. Il modello proposto ha inoltre consentito di far luce su forme-limite, come il reimpiego creativo del proverbio in Annino e l'uso parodico degli stereotipi in Giovenale. L’articolo si conclude suggerendo ulteriori studi nei quali l'uso di questo modello potrebbe rivelarsi proficuo. English title: Full of Wisdom: Forms and Uses of Maxims in Contemporary Italian Poetry
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Dissertations / Theses on the topic "Limiti oggettivi"

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DE, GIORGIS FRANCESCA. "IMPUGNATIVE CONTRATTUALI E LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/712112.

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Abstract:
Il presente elaborato è dedicato allo studio dei limiti oggettivi che la res iudicata assume nell'ambito delle impugnative del contratto. Da tempo immemore le impugnative contrattuali, da un lato, e la conformazione oggettiva del giudicato, dall'altro, sono state oggetto di costante attenzione da parte sia della dottrina sia della giurisprudenza, con conseguente produzione di un’imponente mole di contributi scientifici e di provvedimenti giurisdizionali alle stesse relativi. Il mai sopito interesse si presenta, al giorno d’oggi, addirittura rinforzato e rinnovato, grazie ad alcuni recenti interventi della Corte di Cassazione (sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828; sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243): il fatto che le Sezioni Unite si siano trovate a discorrere, inter alia, di oggetto delle azioni di impugnativa contrattuale, di pregiudizialità logica e di giudicato implicito testimonia che la tematica affrontata è ancora estremamente attuale. Gli arresti della Suprema Corte offrono l’occasione per uno studio che si prefigge, anzitutto, un obiettivo di sistematizzazione delle poliedriche opinioni che si sono susseguite in materia e, in secondo luogo, lo scopo di individuare una soluzione che bilanci, nel miglior modo possibile, gli interessi in gioco. La trattazione prende le mosse dalla constatazione che, a fronte dell’impossibilità di reperire risposte univoche nel diritto positivo, tutte le ipotesi ricostruttive dei limiti oggettivi del giudicato non possono che essere condizionate da una scelta tra valori contrastanti: per un verso, l’economia processuale e l’esigenza di armonizzazione delle decisioni, che suggerirebbero di ampliare il più possibile l’area oggettiva della regiudicata; per altro verso, la tutela dei diritti di azione e difesa delle parti, il principio della domanda e il principio del contraddittorio, che porterebbero a lasciare alle parti il potere di fissare la materia su cui vogliono che il provvedimento giurisdizionale incida. Nell'Introduzione si compie la scelta tra tali valori, che costituisce il fil rouge dell’intero elaborato. Nel Capitolo Primo, l’indagine si incentra sulle azioni (nella prima sezione) e sulle eccezioni (nella seconda sezione) di impugnativa contrattuale, con l’intento di (i) individuare la modalità con cui gli effetti sostanziali di nullità, annullamento, rescissione e risoluzione fanno il proprio ingresso nel mondo giuridico e, in particolare, valutare se l’intervento giurisdizionale abbia un qualche ruolo in questo percorso, e di (ii) determinare, alla luce dei risultati ottenuti, la natura – dichiarativa o costitutiva – delle sentenze che definiscono i processi in cui tali effetti vengano in considerazione. Gettate così le basi per impostare correttamente il prosieguo dell’analisi, il Capitolo Secondo è dedicato all'esame dei limiti oggettivi del giudicato che scaturisce dalle sentenze che pronunciano su domande o eccezioni di impugnativa contrattuale. Lo studio è diviso in tre momenti, ciascuno corrispondente a una sezione. Nella prima, ci si concentra sui contorni che la res iudicata assume a fronte di azioni di nullità del contratto, oppure a fronte di azioni volte a far valere uno o più effetti derivanti da un contratto, ove la nullità sia eccepita dalla parte convenuta o rilevata d’ufficio dal giudice. Nella seconda, si volge l’attenzione al tema dell’oggetto del processo, prima, e del giudicato, poi, nell'ambito delle azioni di annullamento, rescissione e risoluzione del contratto, nonché nel contesto dei giudizi in cui si azionano uno o più diritti derivanti da un contratto, quando la controparte eccepisca l’annullabilità, la rescindibilità o la risoluzione dell’accordo negoziale. Infine, la terza e ultima sezione è deputata allo studio dei rapporti tra le azioni di annullamento, rescissione, risoluzione e la nullità del contratto.
The thesis addresses the issue of the subject of res judicata in the context of proceedings where a contract is challenged, by way of claim or objection. Both the challenges to contracts and the subject of res judicata have always drawn the attention of doctrine and case law, and this led to an impressive number of papers and judgments on the matter. Nowadays, the interest in the topic has strengthen even more, due to some recent rulings of the Italian Supreme Court (Joint Chambers, 4 September 2012, no. 14828; Joint Chambers, 12 December 2014, no. 26242 and no. 26243): the fact that the mentioned issues are still intriguing is demonstrated by the circumstance that, only few years ago, the Joint Chambers of the Supreme Court have been discussing, inter alia, on the subject of the proceedings of challenges to contracts, on the so called “pregiudizialità logica” and on the so called implied res judicata (“giudicato implicito”). The paper aims at gathering and schematizing the different opinions which doctrine and case law have expressed on the matter, and at ultimately finding the solution that best balances the various interests at stake. The dissertation starts with the acknowledgement that the answers to the problem of the borders of res judicata always depend on an initial choice between contradictory values: on one hand, procedural efficiency and harmonization of judgments, which suggest to widen the res judicata effects as much as possible; on the other, the principle of party prosecution (“principio della domanda”) and the principle of the right to be heard (“principio del contraddittorio”), which recommend to give the parties the freedom to decide what to include in the sphere of res judicata. The choice between such opposite values is expressed in the Introduction and constitutes the leitmotif of the whole dissertation. The First Chapter investigates claims and objections of nullity (“nullità”), annulment (“annullamento”), rescission (“rescissione”) and termination (“risoluzione”) of contracts, with the purpose of determining: (i) how the legal effects of nullity, annulment, rescission and termination of contracts come into place and, in particular, whether the judicial intervention plays any role in such process; (ii) in light of the achieved results, whether the decisions rendered in proceedings that regard the mentioned effects have a declaratory (“dichiarativa”) or constitutive (“costitutiva”) nature. The answers to these questions represent the basis for the analysis conducted in the Second Chapter, devoted to the issue of the limits of res judicata that flows from judgments on challenges to contracts. The inquiry is divided in three sections: the first one focuses on the subject of res judicata in cases where claims or objections of nullity of contracts are brought before a judge; the second one explores the subject of res judicata in cases where claims or objections of annulment, rescission and termination of contracts are submitted to judicial authorities; the third one regards the relationship between annulment, rescission and termination of contracts, on one hand, and their nullity, on the other.
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GRASSI, MICHELE. "LA TEORIA DELLA RES JUDICATA NELL'ARBITRATO COMMERCIALE INTERNAZIONALE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/610259.

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Abstract:
Il presente studio si propone di indagare il funzionamento della teoria della res judicata nel contesto dell’arbitrato commerciale internazionale. L’espressione res judicata individua i caratteri d’irretrattabilità e vincolatività del provvedimento giurisdizionale reso all’esito del giudizio e, come tale, rappresenta un elemento essenziale di ogni sistema di risoluzione delle controversie. La funzione svolta dalla teoria in esame all’interno del processo dipende da un bilanciamento tra valori e principi contrastanti, quali, nello specifico, le esigenze di economia processuale e certezza delle situazioni giuridiche, da un lato, e il rispetto del principio dispositivo nonché la tutela del diritto di azione e di difesa, dall’altro. La concreta individuazione dell’oggetto e dell’estensione degli effetti del giudicato solleva, pertanto, questioni teoriche e pratiche di particolare complessità, a cui i diversi ordinamenti nazionali forniscono risposte marcatamente difformi. La diversità nella disciplina del giudicato assume un peculiare rilievo laddove il giudice sia chiamato a determinare gli effetti preclusivi e conclusivi prodotti da un provvedimento giurisdizionale straniero; in tali ipotesi sorge un problema di coordinamento tra le diverse discipline potenzialmente applicabili e, segnatamente, tra le norme processuali dell’ordinamento d’origine e le norme processuali dell’ordinamento in cui s’intende far valere la decisione. Quando, poi, s’intenda considerare l’operatività del principio della res judicata nel contesto dell’arbitrato commerciale internazionale, alle complessità appena illustrate si aggiungono le naturali incertezze che caratterizzano tale mezzo di risoluzione delle controversie. In particolare, assumono rilievo le differenti possibili rappresentazioni del fenomeno arbitrale; coloro che concepiscono l’arbitrato commerciale internazionale come un ordinamento giuridico indipendente e separato dagli ordinamenti statali, affermano la necessità di adottare un approccio autonomo al problema giudicato e, in particolare, di elaborare un insieme coerente di regole transnazionali che permetta di risolvere le questioni sollevate dall’applicazione della teoria in esame nel contesto arbitrale. Al contrario, chi ritiene che gli arbitri esercitino sempre il loro potere giurisdizionale nell’ambito di un ordinamento giuridico nazionale affermano la necessità di individuare una norma di conflitto che consenta di identificare le regole processuali di origine statale applicabili del giudicato. Entrambi tali approcci, per ragioni diverse, presentano rilevanti profili di criticità e non possono ritenersi pienamente soddisfacenti. Nel presente studio si suggerisce, allora, l’adozione di una prospettiva più pragmatica nella considerazione delle problematiche sollevata dall’applicazione della res judicata nel contesto arbitrale. In particolare, si propone una differenziazione tra le ipotesi in cui l’invocazione di una precedente decisione sottenda un’obiezione alla giurisdizione del tribunale arbitrale e le ipotesi in cui essa rilevi ai fini dell’ammissibilità delle domande e delle eccezioni formulate dalle parti. Nel primo caso, il mancato riconoscimento di una decisione che sottenda un’obiezione alla giurisdizione del tribunale arbitrale porterebbe, con grande probabilità, all’annullamento o al diniego di riconoscimento del lodo e, pertanto, a un inutile aggravio dei costi di lite. Di conseguenza il tribunale dovrebbe adottare un approccio conforme alle regole previste nell’ordinamento della sede. Laddove, invece, l’invocazione di un precedente giudicato sollevi questioni attinenti all’ammissibilità della domanda, di regola tali problematiche dovrebbero essere disciplinate dalle norme dell’ordinamento in cui ha sede la procedura arbitrale e, in particolare, dalle norme di diritto processuale civile internazionale che disciplinano il riconoscimento degli effetti dei provvedimenti giurisdizionali stranieri in tale ordinamento. Nondimeno, laddove la controversia presenti un elevato grado di transnazionalità e il legame con la sede della procedura sia oggettivamente molto tenue, al tribunale arbitrale potrebbe essere riconosciuta una maggiore flessibilità: gli arbitri potrebbero riconoscere tutti e i soli effetti originari del provvedimento giurisdizionale fatto valere in giudizio, nel rispetto, in ogni caso, dei principi di ordine pubblico dell’ordinamento in cui ha sede la procedura.
The purpose of this doctoral dissertation is to explore the functioning of the res judicata doctrine in international commercial arbitration. The notion of res judicata refers to the final and binding nature of decisions rendered at the end of judicial proceedings and, as such, is an essential feature of every dispute resolution system, both at a domestic and at an international level. The role played by the doctrine of res judicata depends on a balance between conflicting values, such as the principle of procedural economy and efficiency on the one side, and the principle of due process, with specific regard to the parties’ rights to present their case and to be heard, on the other side. The definition of the scope and the effects of res judicata, therefore, raises complex issues, and the solution to these issues varies considerably between national legal systems. The differences between domestic laws are relevant also from a transnational perspective. If a challenge of res judicata is raised with respect to a foreign judgment, the judge has to determine whether to accept the original effects that the decision would have in the State in which it was rendered or to equalize the effects of the foreign judgment with the effects that are usually recognized to domestic decisions. Where a challenge of res judicata is raised before an international commercial arbitral tribunal, the lack of certainties concerning the application of conflict rules breeds even more complexities. Those authorities that represent international arbitration as an autonomous legal order suggest the adoption of a transnational approach to res judicata and recommend the development of a set of substantive transnational rules. Conversely, those who consider that the arbitral tribunal is strictly bound to the legal order of the seat of the procedure, suggest the application of a conflict of law rule, in order to identify the applicable domestic rules of res judicata. Both approaches, for different reasons, are not satisfactory. This dissertation suggests the adoption of a more pragmatic approach in the identification of the scope and the effects of res judicata in international commercial arbitration. To this purpose challenges of res judicata that raise issues of jurisdiction shall be clearly differentiated from challenges of res judicata that raise admissibility issues. Whenever issues of jurisdiction underpin a challenge of res judicata, the arbitral tribunal should adopt an approach coherent with the rules of the State of the seat. As a matter of fact, a violation of those rules could result in the annulment or the refusal of recognition of the award. Whenever issues of admissibility underpin a challenge of res judicata, as a rule the arbitral tribunal should apply the rules of the State of the seat and, specifically, the conflict of laws rules of the seat that regulate the recognition of foreign decisions. However, if the transnational nature of the arbitration is quite pronounced, and the procedure is not closely connected with any domestic legal systems, the arbitral tribunal might apply a «more transnational» approach. In any event, this approach shall not lead to the application of substantive transnational rules, but rather to the recognition of the original effects of the decisions invoked in the proceedings, except where the recognition of such effects violates the procedural public policy of the State of the seat.
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RUSSETTI, DANIELE. "Abuso del diritto: principio interpretativo o categoria generale del diritto dell'unione europea." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/41955.

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Abstract:
L’abuso trova origine nella tensione tra la libertà di agire e gli scopi personali sottesi a tale agire. Lo scontro tra i suddetti elementi costituisce il terreno fertile su cui questo si innesta e cresce. Difatti, il diritto soggettivo si articola nella (lecita) possibilità di assumere un comportamento previsto dalla norma e, quindi, di poter agire per soddisfare un interesse degno di tutela a livello legislativo. Dal momento che questo, inteso come agere licere, è una facoltà “positiva”, l’ordinamento giuridico non può tollerare il perseguimento di obiettivi non contemplati dalla ratio normativa il quale si presenta come la negazione stessa di un corpus iuris. Configurandosi in termini di facoltà non soggetta ad alcuna regola, esso si pone in aperto contrasto con il principio di sistematicità e di coerenza che caratterizzano un sistema di norme. Ecco che la fattispecie dell’abuso nasce dal continuo ed inesorabile impegno da parte dell’ordinamento di riconoscere ai singoli individui, siano essi persone fisiche o giuridiche, uno spazio di libertà per il perseguimento di interessi “personali” degni di tutela da parte dell’ordinamento, senza che ciò possa sconfinare in un’azione priva di fondamento giuridico. Secondo il diritto UE, l’abuso si è posto e si pone come la sintesi del binomio libertà di azione o scelta vs scopo ultimo dell’azione o scelta. Se da un lato i Trattati istitutivi dell’UE attribuiscono ai soggetti libertà fondamentali da poter utilizzare in uno spazio giuridico senza frontiere, dall’altro si pone il problema di arginare tutti quei fenomeni in cui il formale esercizio del diritto attribuito sia del tutto incoerente con l’obiettivo della norma, dando vita a possibili forme di contrasto tra quanto concesso e, dunque, quanto effettivamente realizzato. È proprio in un’ottica di concorrenza tra gli ordinamenti, e quindi di circolazione dei modelli normativi, che si concretizza la possibilità di utilizzare il diritto per fini non coerenti con il dettato normativo, i.e. in maniera abusiva. Consapevoli di ciò, i Giudici della Corte di Giustizia, al fine di evitare un impiego distorto del diritto UE, hanno enucleato l’assunto secondo cui non è possibile utilizzare abusivamente (o fraudolentemente) il diritto comunitario/europeo. A detta di chi scrive, tale inciso deve essere giustificato alla luce di quella peculiare esigenza di individuare una clausola generale idonea a colmare le possibili lacune di un sistema particolarmente complesso come quello europeo, con inevitabili riflessi a livello nazionale. Stante il limitato ambito di applicazione delle misure interne volte a tutelare i sistemi giuridici nazionali, la Corte di Giustizia ha voluto “creare” uno strumento in grado non solo di preservare la coerenza del sistema europeo da possibili usi impropri dello stesso, ma anche di evitare che attraverso questo, si dessero vita a fenomeni di elusione o frode della disciplina nazionale. L’abuso è stato individuato ogni qual volta i singoli abbiano utilizzato le libertà di matrice europea per finalità non ammesse dalle disposizioni normative che attribuivano tali posizioni giuridiche. Inoltre, si è considerata legittima l’azione degli Stati membri di non riconoscere la fattispecie integrata dal singolo in quanto realizzata in palese violazione della sovranità delle leggi nazionali, ossia dello Stato di origine. Così facendo, l’esercizio delle disposizioni europee, eventualmente dotate di efficacia diretta, viene paralizzato, con il conseguente riconoscimento di forza cogente della norma nazionale impropriamente elusa. Il vero problema dell’abuso si pone quando ci si trovi di fronte a comportamenti individuali che corrispondono a fattispecie di esercizio di situazioni giuridiche, determinate da una norma positiva in modo più o meno dettagliato, ma in ogni caso tale da attribuire, prima facie, una precisa protezione a colui che agisce. È proprio in tali situazioni che si viene a creare quell’apparenza di legittimità del comportamento individuale, conforme alla fattispecie astratta di esercizio di un diritto contemplata dalla norma, che generalmente non corrisponde alla ratio ultima della disposizione e, quindi, del sistema giuridico europeo. La richiamata formula, e i casi in cui è stata utilizzata, fanno emergere, ictu oculi, che la nozione di abuso (nonché quella di frode!) e il correlato divieto sono legati proprio all’esercizio delle facoltà connesse alle libertà fondamentali, in particolare quando si considerino situazioni in cui si profili una diversità di disciplina normativa di determinate fattispecie tra le legislazioni nazionali. L’abuso e la frode costituiscono l’uso improprio, id est oltre i limiti, della facoltà offerta dall’ordinamento europeo di scegliere tra più alternative nell’ambito dell’esercizio delle libertà fondamentali. Ecco, dunque, che sulla base di quanto supra esposto è possibile ravvisare l’importanza del divieto dell’abuso del diritto. Coniugando la duplice veste di canone ermeneutico nonché di categoria generale del diritto dell’Unione Europea, il divieto si mostra nella sua veste di correttivo alle lacune normative del sistema giuridico sovranazionale. Assolve la funzione di risolvere i conflitti normativi, di proteggere gli spazi comuni e di garantire il continuo adattamento del diritto europeo alla trasformazione della società. La sua stabilità funzionale si lega, quindi, ad un’intrinseca dinamicità operativa, tesa da un lato a precludere l’esercizio improprio delle libertà fondamentali e dall’altro a tutelare la coerenza sistematica dell’ordinamento UE. Il divieto in questione si presta ad essere un correttivo malleabile alle imprevedibili fenomenologie abusive e, dunque, stante la peculiare natura che lo contraddistingue, si appalesa quale rimedio evolutivo inquadrabile nel novero delle metodologie anti-formali che consente una tutela effettiva dal lato sostanziale. Ecco dunque che si pone come la giusta sintesi fra il principle of construction che caratterizza la corretta interpretazione del diritto in generale, sia da parte del singolo operatore economico che da parte delle Amministrazioni nazionali, e una categoria generale di sistema che informa l’ordinamento UE. Preme sottolineare come l’essenza della richiamata clausola deve fare i conti, però, con la relativa applicazione pratica che non può tradursi in una capziosa ed ingiustificata limitazione di quella autonomia privata che caratterizza gli operatori che agiscono nel mercato interno UE. La libertà dei singoli nello scegliere le modalità più adeguate per realizzare la propria attività è imprescindibilmente collegata a quel concetto di autonomia privata tutelata sia a livello nazionale che europeo. In particolare, la facoltà di agire, avvalendosi di quanto messo legittimamente a disposizione dall’ordinamento in cui si opera, costituisce una declinazione della più generale libertà di iniziativa economica, intesa quale comportamento volontario volto alla realizzazione degli interessi del soggetto che agisce. Allo stesso tempo tale autonomia di scelta è subordinata alle legittime possibilità contemplate dal sistema giuridico di riferimento, non potendo ammettere le azioni che non risultano coerenti con le finalità che permeano tale ordinamento. Anche in questa direzione, allora, può essere valutato l’abuso del diritto e il divieto ad esso correlato. Quando si sostiene l’impossibilità di utilizzare abusivamente il diritto UE, si vuole definire indirettamente la gamma di scelte che l’ordinamento europeo reputa compatibili con gli obiettivi a cui questo tende, nel rispetto dei principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento dei singoli. In forza di ciò, il divieto sotteso all’esercizio abusivo del diritto europeo deve essere interpretato in modo da non pregiudicare i comportamenti o le operazioni legittime. La portata di tale proibizione risulta chiara: il diritto invocato da un soggetto è escluso quando l’attività posta in essere non ha altra spiegazione che quella di raggiungere impropriamente un beneficio che collide con gli scopi e con i risultati ammessi e tutelati dalle disposizioni di una determinata branca del diritto. Operazioni così siffatte non meritano di essere protette poiché si manifestano nella loro tensione di sovvertire la finalità dello stesso sistema legale in cui si collocano. Il divieto di abuso del diritto costituisce, dunque, anche una limitazione alla libertà di iniziativa dei singoli che opera quando l’esercizio di un diritto si concretizza in una fattispecie che, sebbene rispetti le condizioni normativamente poste per l’applicazione della disciplina positiva, si pone in contrasto con gli obiettivi da essa perseguiti e, al contempo, è priva di valide motivazioni idonee a giustificarla. L’autonomia privata, che ricomprende la libertà di scelta delle forme giuridiche attraverso cui realizzare i propri obiettivi, non costituisce, quindi, un dogma assoluto. Nel mercato interno questa non può essere considerata un valore intangibile in quanto trova fondamento e limite nei valori e nei principi che permeano l’ordinamento europeo. Alla luce di ciò, è possibile cogliere il precario equilibrio che caratterizza l’autonomia privata in seno all’Unione. La tutela di questa libertà non contempla quelle azioni il cui scopo è rappresentato dal raggiungimento di un vantaggio mediante comportamenti artificiosi e/o ingannevoli, privi di adeguate motivazioni che possano legittimare tali condotte; per contro, ove tale autonomia e, dunque, la sottesa libertà di iniziativa non fossero adeguatamente garantite, verrebbero compromessi gli stessi obiettivi a cui tende il sistema giuridico europeo, ossia la realizzazione e il consolidamento di uno spazio senza frontiere in cui la libertà di scelta e l’equivalenza tra gli ordinamenti giuridici ne costituiscono l’essenza. Ecco, quindi, la necessità di interpretare le azioni poste in essere alla luce dello scopo ultimo cui tendono in quanto solo così è possibile da un lato accertare la natura abusiva delle condotte e dall’altro lasciare impregiudicati i comportamenti legittimi frutto di quella libertà di scelta posta a fondamento dell’autonomia privata e dello stesso ordinamento europeo.
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VACCARI, STEFANO. "Il giudicato nel nuovo diritto processuale amministrativo." Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11573/939500.

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Abstract:
Scopo del presente lavoro è offrire uno studio del «giudicato» nel processo amministrativo, l’istituto che, come noto, rappresenta il “punto” di chiusura della vicenda contenziosa e (almeno nelle intenzioni) dovrebbe offrire la “stabilità” agli effetti contenuti all’interno della sentenza, rispetto a futuri giudizi “de eadem re” e alla successiva attività delle parti coinvolte. La ripresa di un tale tema, invero assai complesso, è parsa necessaria per due ordini di ragioni. In primo luogo, l’avvento del nuovo Codice del processo amministrativo ha realizzato una grande rivoluzione nel sistema di tutela delle controversie di diritto pubblico, giacché, grazie ad una nuova “sistematica” di azioni si è cercato di “andare oltre” rispetto al precedente angusto modello di giustizia amministrativa a carattere rigidamente impugnatorio che la dottrina, con grandi sforzi teorici, da tempo cercava di superare onde raggiungere una miglior corrispondenza fra “bisogni di protezione” e “tecniche processuali” corrispondenti. In secondo luogo, perché la giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, sempre più si è fatta attenta all’attuazione dei c.d. “valori funzionali” del processo (es. effettività, satisfattività, concentrazione, etc.) che ogni sistema giurisdizionale dovrebbe realizzare e che, conseguentemente, orientano lo studioso verso la lettura del “dato strutturale” secondo scelte interpretative (quando ciò sia possibile) più in linea con la “sostanza” assiologica richiamata. Tuttavia, per procedere con rigore si è ritenuto dapprima sviluppare lo studio del tema secondo un approccio graduale e diacronico al fine di analizzare le principali problematiche e le fondamentali costruzioni dottrinali che hanno interessato il dibattito, per poi presentare la proposta ricostruttiva che si vuole suggerire per un nuovo «giudicato amministrativo» (che definiremo) “a spettanza stabilizzata” nel quadro del nuovo “diritto processuale amministrativo” seguito all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo. Pertanto, dapprima nel Capitolo I si è cercato di offrire alcune “coordinate teoriche” minime di teoria generale del processo al fine di tracciare i confini dell’istituto del «giudicato», specialmente con riguardo alla tradizionale distinzione tra giudicato “in senso formale” e giudicato “in senso sostanziale/materiale”, nonché di perimetrare la distinzione dogmatica tra il concetto di «giudicato» e quello di «efficacia della sentenza» al fine di porre in risalto il proprium della funzione “stabilizzante” del primo. Inoltre, è stato essenziale, per una miglior comprensione delle riflessioni successive, cercare di illustrare i criteri che consentono di comprendere l’ambito di estensione dei c.d. «limiti oggettivi» del giudicato ponendo in risalto il collegamento sussistente tra «criteri identificativi delle azioni», «oggetto del processo» e «oggetto del giudicato», oltre a rappresentare le peculiarità del problema riferibili alle azioni c.d. “costitutive” (specie per l’importanza che riveste l’azione d’annullamento all’interno del processo amministrativo). Dopo aver delineato, dal punto di vista della teoria generale del processo, le categorie dogmatiche funzionali al presente studio, si è iniziato — nel Capitolo II del presente lavoro — a declinare i concetti all’interno del modello di processo che ha corrisposto alle forme di tutela giurisdizionale dinanzi agli organi della giurisdizione amministrativa. Per fare ciò si è optato di partire, storicamente, dal momento della nascita della “giustizia amministrativa”, ossia dall’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, poiché è proprio all’interno del dibattito sulla natura (giurisdizionale o amministrativa) delle nuove funzioni attribuite al Consiglio di Stato che nasce il “problema” del «giudicato amministrativo». In tal modo, presentando al lettore uno “spaccato” del dibattito delle “origini” del sistema di giustizia amministrativa (specialmente, prendendo a modello delle due concezioni contrapposte, le posizioni dei due capiscuola rappresentati dal CAMMEO e dall’ORLANDO) si è cercato di far emergere il “cuore” del problema del «giudicato amministrativo» ed, in particolare, la delicata questione circa il rapporto tra «limiti oggettivi» dello stesso e spazio “libero” di ri-edizione del potere amministrativo post-giudizio. Dopo aver esposto i termini del problema nella loro portata “prima” e semplificata — come può consentire la lettura del dibattito delle origini — è stato quindi possibile procedere, nel Capitolo III, con l’esposizione delle principali “tappe” del percorso teorico che hanno condotto allo sviluppo delle costruzioni teoriche “moderne” ancora presenti nell’odierno dibattito sul giudicato e sull’efficacia della sentenza amministrativa. Al riguardo, nell’esame dei contenuti delle diverse tesi che compongono il panorama dottrinale dell’elaborazione moderna dell’istituto, si è cercato di far emergere i pro e i contra di ciascuna tesi al fine di mettere in rilievo la relatività di ogni posizione e la “non vittoria” di ogni tesi sull’altra così da lasciare sempre aperto il dibattito sul punto. In particolare, si è operata una selezione delle principali costruzioni teoriche per offrire uno “spaccato” il più ampio possibile delle diverse impostazioni di fondo proprie delle diverse correnti dottrinali (più attente alla sola dimensione dell’“atto” o con, maggiori o minori, aperture al c.d. “rapporto amministrativo”). L’esposizione dovrebbe far comprendere, aldilà dei contenuti e delle problematiche principali che interessano il tema in analisi, anche il “limite” invalicabile che la dottrina moderna incontrava nello studio del «giudicato amministrativo», vale a dire il dato “strutturale” povero di azioni e incentrato, essenzialmente, sull’egemonia dell’azione di annullamento. Questa era la ragione che impediva di operare una ricostruzione teorica dell’istituto del «giudicato amministrativo» realmente satisfattiva e stabilizzante (s’intende, rispetto al risultato di acquisizione di un dato “bene della vita”, soprattutto con riguardo ai titolari di posizioni d’interesse legittimo pretensivo), salvo procedere ad alcune eccessive forzature onde non rinunciare comunque agli ambiziosi obiettivi di qualità, vale a dire i valori funzionali del processo. Tuttavia, come si è già appena anticipato, oggi lo scenario pare essere mutato: l’entrata in vigore del nuovo Codice del processo amministrativo consente al sistema di giustizia amministrativa di acquisire un vero “abito” processuale, avvicinandosi sempre più ai modelli realmente processuali (per i quali, il processo civile storicamente funge da metro di paragone) e offrendo un apparato di strumenti di tutela (di azioni) completo e ritagliato sulla fisionomia delle differenti posizioni giuridiche sostanziali che sono nella titolarità dei soggetti ricorrenti. Il “nuovo” dato strutturale rappresenta, dunque, lo sfondo per poter tentare di elaborare una proposta ricostruttiva in tema di «giudicato amministrativo» (quale si è cercata di esporre nel Capitolo IV) al fine di realizzare gli obiettivi di effettività e satisfattività che hanno animato, da sempre, la dottrina nell’affrontare il tema per quanto costretta a scontare un imprescindibile deficit “strutturale” (salvi i generici auspici “de jure condendo”). Si è trattato, dunque, di verificare se sia possibile costruire realmente un «giudicato amministrativo» a c.d. “spettanza stabilizzata” che impedisca alla P.A. di ri-esercitare il potere amministrativo post giudizio chiudendo ogni “alternativa amministrativa” o ogni spazio di libertà che residua dai limiti oggettivi del giudicato stesso per assicurare un acquisto o una conservazione stabile delle utilità inerenti al “bene della vita” sotteso alle diverse posizioni giuridiche che dialogano con il potere amministrativo.
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Books on the topic "Limiti oggettivi"

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Bianchi, Luca. I limiti oggettivi dell'appello civile. Padova: CEDAM, 2000.

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2

Poli, Roberto. I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie. Padova: CEDAM, 2002.

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Casale, Davide. L'automaticità delle prestazioni previdenziali. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg289.

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Il volume s’incentra sul principio d’automaticità delle prestazioni previdenziali, in base al quale a talune condizioni esse spettano al lavoratore anche quando la contribuzione obbligatoria non sia stata versata dal datore. Questa tutela mitiga i deleteri effetti dell’omissione contributiva, contemperando la necessità di finanziamento del sistema con le fondamentali esigenze di solidarietà sociale, ai fini dell’effettività e, quindi, dell’adeguatezza delle provvidenze(art. 38 Cost.). Nel centenario dalla sua prima apparizione in Italia nella disciplina infortunistica del 1917,la progressiva affermazione di questo principio, confluito nel Codice civile (art. 2116 c.c.), viene ricostruita criticamente sino agli sviluppi recenti. Anche a seguito di un’esplicita giurisprudenza costituzionale di fine secolo, difatti, è tutt’ora in corso un’espansione dell’ambito d’applicazione oggettivo e soggettivo di questa tutela. L’automaticità è declinata dal legislatore in maniera non omogenea per le diverse prestazioni: l’attenzione viene qui concentrata sulla tutela d’invalidità, vecchiaia e superstiti, al cui proposito si pongono le più delicate questioni di bilanciamento valoriale. Al centro della trattazione sono le responsabilità correlate all’automaticità dei diritti previdenziali, in particolare quelle del datore e dell’ente previdenziale. L’idea di responsabilità assume importanza anche con riguardo al crescente ruolo del lavoratore. Dalla ricostruzione emerge come la modulazione legale dei limiti, condizionanti l’applicazione dell’automaticità delle prestazioni, sia funzionale alla convergenza dell’interesse individuale con l’interesse pubblico: l’uno inerente all’integrità della posizione contributiva e l’altro all’effettività della riscossione.
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Bello Minciacchi, Cecilia. "Fare del proprio guscio un cielo. Gli spazi dell’inermità nella scrittura di Antonella Anedda." In Studi e ricerche del Dipartimento di Lettere e Filosofia, 477–98. Firenze: Società Editrice Fiorentina, 2023. http://dx.doi.org/10.35948/dilef/978-88-6032-688-1.26.

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Il contributo analizza luoghi puntuali e immagini d’inermità ricorrenti nell’opera di Antonella Anedda, rivelando come oggetti miti e spazi limitati e privati diventino nuclei da cui irradiare lo sguardo fuori da sé, gusci di cui fare «un cielo». Nella sua poetica, la contrainte dello spazio minuto, della «mandorla», ove trovare vasti orizzonti proiettati all’esterno è scelta di trasparenza.
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Brousse, Marie-Hélène. "Dagli ideali agli oggetti: il nodo della guerra." In Guerre senza limite, 171–94. Rosenberg & Sellier, 2017. http://dx.doi.org/10.4000/books.res.3811.

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