Academic literature on the topic 'Letteratura del Seicento'

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Journal articles on the topic "Letteratura del Seicento"

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Everson, Jane E., and Bruno Porcelli. "Struttura e lingua: Le novelle del Malespini e altra letteratura fra Cinque e Seicento." Modern Language Review 92, no. 1 (January 1997): 217. http://dx.doi.org/10.2307/3734760.

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Reis, Adriana Aparecida De Jesus, and Mirian Salvestrin Bonetto. "As Molduras do Decamerone e do Pentamerone." Revista Italiano UERJ 12, no. 2 (July 13, 2022): 19. http://dx.doi.org/10.12957/italianouerj.2021.67595.

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Abstract:
RESUMO: Giovanni Boccaccio, ao escrever sua obra-prima Decamerone no Trecento italiano (século XIV), emprega a narrativa-moldura para unir, em um encadeamento sucessivo, suas cem novelle. Procedente da retórica medieval e das narrativas orientais, a narrativa-moldura recebe de Boccaccio uma nova função: passa a integrar efetivamente a obra, tornando-se indispensável para a compreensão do todo. Giambattista Basile, escritor napolitano do Seicento (século XVII), retoma essa estrutura narrativa em sua coletânea de cinquenta contos maravilhosos intitulada Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille, publicada postumamente entre 1634-36 em língua napolitana pela irmã do escritor. A obra-prima de Basile é também conhecida como Pentamerone ossia la fiaba delle fiabe, título atribuído pelo estudioso e crítico italiano Benedetto Croce em 1925, ao traduzi-la da língua napolitana para o italiano standard, em alusão à organização inaugurada por Boccaccio na Literatura Italiana a fim de tornar o livro napolitano mais conhecido na literatura nacional. Desse modo, em nosso estudo, temos o objetivo de investigar em que medida Giambattista Basile retoma o seu ilustre antecessor florentino, isto é, quais são os diálogos que a moldura do Pentamerone estabelece com a moldura do Decamerone, tendo em vista a diferença de contextos de produção entre ambos os livros.Palavras-chave: Boccaccio. Decamerone. Basile. Pentamerone. Narrativa-moldura. ABSTRACT: Quando scrive il suo capolavoro Decamerone nel Trecento, Giovanni Boccaccio usa il racconto-cornice per unire, in concatenamento, le sue cento novelle. Procedente dalla retorica medioevale e dalle narrazioni orientali, il racconto-cornice ottiene da Boccaccio una nuova funzione: comincia a integrare efficacemente l’opera, diventando indispensabile per la comprensione del tutto. Giambattista Basile, lo scritore napoletano del Seicento, riprende questa struttura narrativa nella raccolta sua costituita da cinquanta racconti fiabeschi ed intitolata Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille. Quest’opera fu pubblicata dopo la morte di Basile, tra 1634-1636, in lingua napoletana da sorella dello scritore. Il capolavoro di Basile è anche conosciuto come Pentamerone ossia la fiaba delle fiabe, titolo assegnato dallo studioso e critico italiano Benedetto Croce nel 1925, quando lui ha fatto la traduzione dalla lingua napoletana all’italiano, facendo riferimento all'organizzazione inaugurata da Boccaccio nella Letteratura Italiana, affinché potesse diventare il libro napoletano più famoso nella letteratura nazionale. In questo modo, nel nostro studio, abbiamo l’obbiettivo di analisare a che punto Giambattista Basile riprende il suo illustre predecessore fiorentino, cioè, quali sono i dialoghi che la cornice del Pentamerone stabilisce con la cornice del Decamerone, in vista alla diferenza dei contesti di produzione tra entrambi i libri.Parole-chiave: Boccaccio. Decamerone. Basile. Pentamerone. Racconto-cornice. ABSTRACT: When Giovanni Boccaccio wrote his masterpiece Decamerone during the Italian Trecento (14th century), he used the frame story to unite, in a successive chain, his one hundred short stories. A precedent of medieval rhetorics and eastern tales, the frame story received a new role from Boccaccio: it started to effectively integrate the book and became indispensable for the understanding of the whole. Giambattista Basile, Neapolitan writer from the Seicento (17th century), reintroduces this narrative structure in his collection of fifty fairy tales named Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille, posthumously published in Neapolitan language by his sister between 1634-1936. Basile’s masterpiece is also known as Pentamerone, title given to the book by the Italian scholar and critic Benedetto Croce in 1925, when he translated it to the standard Italian, as a reference to the narrative organization inaugurated by Boccaccio in Italian Literature in order to expand the Neapolitan book’s reach at a national level. Thus, we intend to investigate to what extent Giambattista Basile refers to his illustrious predecessor or, in other words, what kind of dialogue the Pentamerone’s frame story keeps with Decamerone’s, considering the different contexts of production of both pieces.Keywords: Boccaccio. Decamerone. Basile. Pentamerone. Frame story.
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Petrolini, Chiara. "Marco Cavarzere. La prassi della censura nell’Italia del seicento: Tra repressione e mediazione. Temi e testi 92. Rome: Edizioni di storia e letteratura, 2011. xx + 264 pp. €34.20. ISBN: 978–88–6372–281–9." Renaissance Quarterly 65, no. 2 (2012): 575–76. http://dx.doi.org/10.1086/667309.

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Tasini, Francesco. "El Libro di ricercate a qvattro voci (1575) de Rocco Rodio y algunas consideraciones sobre relaciones entre Nápoles y España en el siglo XVI." Anuario Musical, no. 69 (December 30, 2014): 99. http://dx.doi.org/10.3989/anuariomusical.2014.69.164.

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Abstract:
Tras un breve repaso de los estudios musicológicos centrados en las relaciones que la música para tecla de los siglos XVI y XVII creó entre Nápoles y España, el ensayo se centra de manera casi exclusiva, y desde un punto de vista analítico y estilístico, en el «Libro di ricercate a qvattro voci di Rocco Rodio con alcvne fantasie sopra Varii canti fermi» publicado en Nápoles por Gioseppe Cacchio dall’Aquila en el 1575. El libro de Rocco Rodio («Rocchus Rodius Civitatis Barensis»; Bari, 1530ca - Nápoles, 1615ca) constituye la primera impresión en partitura, forma que será muy usada en Nápoles a finales del siglo XVI e inicios del XVII. Experimentará este fenómeno editorial una importante expansión a nivel nacional y europeo durante todo el siglo XVII, y aún durante el siglo XVIII se encuentran ejemplos. El análisis formal y estilístico de las composiciones publicadas en esta obra (cinco Ricercate, cuatro Fantasie sobre Canti Fermi y sobre La mi re fa mi re) muestra la “modernidad” y el progresismo del autor: las Ricercate del cual son una elaboración de la práctica coeva de la improvisación y la diminución que se aplicaba en los motetes polifónicos vocales y en los madrigales con affetti; las Fantasie representan un soberbio ejemplo de invención y maestría que se inscribe no sólo en el campo de la composición «osservata» para tecla, sino que representa un modelo ejemplar en el ambiente más amplio de la ferviente producción vocal, didáctica y experimental de la escuela polifónicoinstrumental entre Nápoles, Roma y España. [it] Il Libro di ricercate a qvattro voci (1575) di Rocco Rodio e alcuni rilievi sui rapporti tra Napoli e la Spagna nel XVI secolo. Il saggio, dopo una sintetica messa a punto sugli studi musicologici relativi ai rapporti intercorsi tra Napoli e la Spagna in particolare nel campo della produzione tastieristica dei secoli XVI-XVII, si occupa in maniera pressoché esclusiva – sotto il profi lo analitico e stilistico – del LIBRO DI RICERCATE A QVATTRO VOCI DI ROCCO RODIO CON ALCVNE FANTASIE SOPRA VARII CANTI FERMI, pubblicato a Napoli da Gioseppe Cacchio dall’Aquila nel 1575. Il libro di Rocco Rodio («Rocchus Rodius Civitatis Barensis»; Bari, 1530ca-Napoli, 1615ca) costituisce la prima stampa in assoluto apparsa in partitura, un sistema particolarmente seguìto a Napoli tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII e che troverà un significativo impiego a livello nazionale ed europeo lungo tutto il corso del Seicento, con esempi anche nel Settecento. L’analisi formale e stilistica delle composizioni contenute nella stampa (cinque Ricercate, quattro Fantasie su Canti Fermi e su La mi re fa mi re) mostrano la scrittura ‘moderna’ e progressiva dell’autore, le cui Ricercate sono per così dire una rifrazione della coeva prassi improvvisativa e diminutiva che si esercitava nel mottetto polifonico vocale e nel madrigale affettuoso; le Fantasie costituiscono un superbo esempio di invenzione e maestria compositiva da leggersi non esclusivamente nell’alveo della tradizione del genere «osservato» nel campo tastieristico, ma vanno intese come il modello esemplare scaturito nell’ambiente più ampio della fervente letteratura vocale, didattica e sperimentale della scuola polifonicostrumentale tra Napoli, Roma e la Spagna.
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Kuntz, Marion Leathers. "Adelisa Malena. L’eresia dei perfetti. Inquisizione Romana ed esperienze mistiche nel Seicento italiano. Temi e Testi 47. Rom: Edizioni di Storia e Letteratura 2003. xviii + 318 pp. index. €39. ISBN: 88-8498-118-2." Renaissance Quarterly 58, no. 01 (2005): 174–75. http://dx.doi.org/10.1353/ren.2008.0630.

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Zuliani, Federico. "En samling politiske håndskrifter fra slutningen af det 16. århundrede : Giacomo Castelvetro og Christian Barnekows bibliotek." Fund og Forskning i Det Kongelige Biblioteks Samlinger 50 (April 29, 2015). http://dx.doi.org/10.7146/fof.v50i0.41248.

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Abstract:
Federico Zuliani: Una raccolta di scritture politiche della fine del sedicesimo secolo. Giacomo Castelvetro e la biblioteca di Christian Barnekow. Alla pagina 68 recto del manoscritto Vault Case Ms. 5086, 73/2, Newberry Library, Chicago, ha inizio il “Registro di tutte le scritture politiche del S[igno]r Christiano Bernicò”. Il testo è preceduto da un altro elenco simile, sebbene più breve, che va sotto il titolo di “Memoriale D’alcune scritture politiche, che furon donate alla Reina Maria Stuarda Prigioniera in Inghilterra l’anno di salute m.d.lxxxiii. Dal S[igno]re di Cherelles”. Il manoscritto 5086, 73/2 fa parte di una collezione di dieci volumi (originariamente undici) appartenuti a Giacomo Castelvetro e oggi conservati negli Stati Uniti. I codici, le cui vicende di trasmissione sono, in parte, ancora poco chiare, furono sicuramente compilati da Castelvetro durante il periodo che passò in Danimarca, tra l’estate del 1594 e l’autunno del 1595. Il soggiorno danese di Castelvetro ha ricevuto attenzioni decisamente minori di quelle che invece meriterebbe. Alla permanenza in Danimarca è riconducibile infatti l’opera più ambiziosa dell’intera carriera del letterato italiano: vi vennero assemblati, con l’idea di darli poi alle stampe, proprio i volumi oggi negli Stati Uniti. La provenienza è provata tanto dall’indicazione, nei frontespizi, di Copenaghen come luogo di composizione, quanto dalle annotazioni autografe apportate da Castelvetro, a conclusione dei testi, a ricordare quando e dove fossero stati trascritti; oltre a Copenaghen vi si citano altre due località, Birkholm e Tølløse, entrambe sull’isola danese di Sjællad, ed entrambe amministrate da membri dell’influente famiglia Barnekow. E’ a Giuseppe Migliorato che va il merito di aver identificato per primo in Christian Barnekow il “Christiano Bernicò” della lista oggi alla Newberry Library. Christian Barnekow, nobile danese dalla straordinaria cultura (acquisita in uno studierejse durato ben diciassette anni), a partire dal 1591 fu al servizio personale di Cristiano IV di Danimarca. Barnekow e Castelvetro si dovettero incontrare a Edimburgo, dove il primo era giunto quale ambasciatore del monarca danese e dove il secondo si trovava già dal 1592, come maestro di italiano di Giacomo Stuart e di Anna di Danimarca, sorella di Cristiano IV. Sebbene non si possa escludere un ruolo di Anna nell’introdurli, è più probabile che sia stata la comune amicizia con Johann Jacob Grynaeus a propiziarne la conoscenza. Il dotto svizzero aveva infatti dato ospitalità a Barnekow, quando questi era studente presso l’università di Basilea, ne era divenuto amico e aveva mantenuto i rapporti nel momento in cui il giovane aveva lasciato la città elvetica. Grynaeus era però anche il cognato di Castelvetro il quale aveva sposato Isotta de’ Canonici, vedova di Thomas Liebler, e sorella di Lavinia, moglie di Grynaeus sin dal 1569. Isotta era morta però nel marzo del 1594, in Scozia, ed è facile immaginare come Barnekow abbia desiderato esprimere le proprie condoglianze al marito, cognato di un suo caro amico, e vedovo di una persona che doveva aver conosciuto bene quando aveva alloggiato presso la casa della sorella. Castelvetro, inoltre, potrebbe essere risultato noto a Barnekow anche a causa di due edizioni di opere del primo marito della moglie curate postume dal letterato italiano, tra il 1589 e il 1590. Thomas Liebler, più famoso con il nome latinizzato di Erasto, era stato infatti uno dei più acerrimi oppositori di Pietro Severino, il celebre paracelsiano danese; Giacomo Castelvetro non doveva essere quindi completamente ignoto nei circoli dotti della Danimarca. La vasta cultura di Christian Barnekow ci è nota attraverso l’apprezzamento di diversi suoi contemporanei, quali Grynaeus, Jon Venusinus e, soprattutto, Hans Poulsen Resen, futuro vescovo di Sjælland e amico personale di Barnekow a cui dobbiamo molte delle informazioni in nostro possesso circa la vita del nobile danese, grazie all’orazione funebre che questi tenne nel 1612 e che venne data alle stampe l’anno successivo, a Copenaghen. Qui, ricordandone lo studierejse, il vescovo raccontò come Barnekow fosse ritornato in Danimarca “pieno di conoscenza e di storie” oltre che di “relazioni e discorsi” in diverse lingue. Con questi due termini l’ecclesiastico danese alludeva, con tutta probabilità, a quei documenti diplomatici, relazioni e discorsi di ambasciatori, per l’appunto, che rientravano tra le letture preferite degli studenti universitari padovani. La lista compilata da Castelvetro, dove figurano lettere e istrutioni ma, soprattutto, relationi e discorsi, era un catalogo di quella collezione di manoscritti, portata dall’Italia, a cui fece riferimento l’ecclesiastico danese commemorando Christian Barnekow. Tutti coloro i quali si sono occupati dei volumi oggi negli Stati Uniti si sono trovati concordi nel ritenerli pronti per la pubblicazione: oltre alle abbondanti correzioni (tra cui numerose alle spaziature e ai rientri) i volumi presentano infatti frontespizi provvisori, ma completi (con data di stampa, luogo, impaginazione dei titoli – a loro volta occasionalmente corretti – motto etc.), indici del contenuto e titolature laterali per agevolare lettura e consultazione. Anche Jakob Ulfeldt, amico e compagno di viaggi e di studi di Barnekow, riportò a casa una collezione di documenti (GKS 500–505 fol.) per molti aspetti analoga a quella di Barnekow e che si dimostra di grande importanza per comprendere peculiarità e specificità di quella di quest’ultimo. I testi di Ulfeldt risultano assemblati senza alcuna coerenza, si rivelano ricchi di errori di trascrizione e di grammatica, e non offrono alcuna divisione interna, rendendone l’impiego particolarmente arduo. Le annotazioni di un copista italiano suggeriscono inoltre come, già a Padova, potesse essere stato difficoltoso sapere con certezza quali documenti fossero effettivamente presenti nella collezione e quali si fossero smarriti (prestati, perduti, pagati ma mai ricevuti…). La raccolta di Barnekow, che aveva le stesse fonti semi-clandestine di quella dell’amico, doveva trovarsi in condizioni per molti versi simili e solo la mano di un esperto avrebbe potuto portarvi ordine. Giacomo Castelvetro – nipote di Ludovico Castelvetro, uno dei filologi più celebri della propria generazione, e un filologo egli stesso, fluente in italiano, latino e francese, oltre che collaboratore di lunga data di John Wolfe, editore londinese specializzato nella pubblicazione di opere italiane – possedeva esattamente quelle competenze di cui Barnekow aveva bisogno e ben si intuisce come mai quest’ultimo lo convinse a seguirlo in Danimarca. I compiti di Castelvetro presso Barnekow furono quelli di passarne in rassegna la collezione, accertarsi dell’effettivo contenuto, leggerne i testi, raggrupparli per tematica e area geografica, sceglierne i più significativi, emendarli, e prepararne quindi un’edizione. Sapendo che Castelvetro poté occuparsi della prima parte del compito nei, frenetici, mesi danesi, diviene pure comprensibile come mai egli portò con sé i volumi oggi negli Stati Uniti quando si diresse in Svezia: mancava ancora la parte forse più delicata del lavoro, un’ultima revisione dei testi prima che questi fossero passati a un tipografo perché li desse alle stampe. La ragione principale che sottostò all’idea di pubblicare un’edizione di “scritture politiche” italiane in Danimarca fu la presenza, in tutta l’Europa centro settentrionale del tempo, di una vera e propria moda italiana che i contatti tra corti, oltre che i viaggi d’istruzione della nobiltà, dovettero diffondere anche in Danimarca. Nel tardo Cinquecento gli autori italiani cominciarono ad essere sempre più abituali nelle biblioteche private danesi e la conoscenza dell’italiano, sebbene non completamente assente anche in altri settori della popolazione, divenne una parte fondamentale dell’educazione della futura classe dirigente del paese nordico, come prova l’istituzione di una cattedra di italiano presso l’appena fondata Accademia di Sorø, nel 1623. Anche in Danimarca, inoltre, si tentò di attrarre esperti e artisti italiani; tra questi, l’architetto Domenico Badiaz, Giovannimaria Borcht, che fu segretario personale di Frederik Leye, borgomastro di Helsingør, il maestro di scherma Salvator Fabris, l’organista Vincenzo Bertolusi, il violinista Giovanni Giacomo Merlis o, ancora, lo scultore Pietro Crevelli. A differenza dell’Inghilterra non si ebbero in Danimarca edizioni critiche di testi italiani; videro però la luce alcune traduzioni, anche se spesso dal tedesco, di autori italiani, quali Boccaccio e Petrarca, e, soprattutto, si arrivò a pubblicare anche in italiano, come dimostrano i due volumi di madrigali del Giardino Novo e il trattato De lo schermo overo scienza d’arme di Salvator Fabris, usciti tutti a Copenaghen tra il 1605 e il 1606. Un’ulteriore ragione che motivò la scelta di stampare una raccolta come quella curata da Castelvetro è da ricercarsi poi nello straordinario successo che la letteratura di “maneggio di stato” (relazioni diplomatiche, compendi di storia, analisi dell’erario) godette all’epoca, anche, se non specialmente, presso i giovani aristocratici centro e nord europei che studiavano in Italia. Non a caso, presso Det Kongelige Bibliotek, si trovano diverse collezioni di questo genere di testi (GKS 511–512 fol.; GKS 525 fol.; GKS 500–505 fol.; GKS 2164–2167 4º; GKS 523 fol.; GKS 598 fol.; GKS 507–510 fol.; Thott 576 fol.; Kall 333 4º e NKS 244 fol.). Tali scritti, considerati come particolarmente adatti per la formazione di coloro che si fossero voluti dedicare all’attività politica in senso lato, supplivano a una mancanza propria dei curricula universitari dell’epoca: quella della totale assenza di qualsivoglia materia che si occupasse di “attualità”. Le relazioni diplomatiche risultavano infatti utilissime agli studenti, futuri servitori dello Stato, per aggiornarsi circa i più recenti avvenimenti politici e religiosi europei oltre che per ottenere informazioni attorno a paesi lontani o da poco scoperti. Sebbene sia impossibile stabilire con assoluta certezza quali e quante delle collezioni di documenti oggi conservate presso Det Kongelige Bibliotek siano state riportate in Danimarca da studenti danesi, pare legittimo immaginare che almeno una buona parte di esse lo sia stata. L’interesse doveva essere alto e un’edizione avrebbe avuto mercato, con tutta probabilità, anche fuori dalla Danimarca: una pubblicazione curata filologicamente avrebbe offerto infatti testi di gran lunga superiori a quelli normalmente acquistati da giovani dalle possibilità economiche limitate e spesso sprovvisti di una padronanza adeguata delle lingue romanze. Non a caso, nei medesimi anni, si ebbero edizioni per molti versi equivalenti a quella pensata da Barnekow e da Castelvetro. Nel 1589, a Colonia, venne pubblicato il Tesoro politico, una scelta di materiale diplomatico italiano (ristampato anche nel 1592 e nel 1598), mentre tra il 1610 e il 1612, un altro testo di questo genere, la Praxis prudentiae politicae, vide la luce a Francoforte. La raccolta manoscritta di Barnekow ebbe però anche caratteristiche a sé stanti rispetto a quelle degli altri giovani danesi a lui contemporanei. Barnekow, anzitutto, continuò ad arricchire la propria collezione anche dopo il rientro in patria come dimostra, per esempio, una relazione d’area fiamminga datata 1594. La biblioteca manoscritta di Barnekow si distingue inoltre per l’ampiezza. Se conosciamo per Ulfeldt trentadue testi che questi portò con sé dall’Italia (uno dei suoi volumi è comunque andato perduto) la lista di “scritture politiche” di Barnekow ne conta ben duecentoottantaquattro. Un’altra peculiarità è quella di essere composta inoltre di testi sciolti, cioè a dirsi non ancora copiati o rilegati in volume. Presso Det Kongelige Bibliotek è possibile ritrovare infatti diversi degli scritti registrati nella lista stilata da Castelvetro: dodici riconducibili con sicurezza e sette per cui la provenienza parrebbe per lo meno probabile. A lungo il problema di chi sia stato Michele – una persona vicina a Barnekow a cui Castelvetro afferma di aver pagato parte degli originali dei manoscritti oggi in America – è parso, di fatto, irrisolvibile. Come ipotesi di lavoro, e basandosi sulle annotazioni apposte ai colophon, si è proposto che Michele potesse essere il proprietario di quei, pochi, testi che compaiono nei volumi oggi a Chicago e New York ma che non possono essere ricondotti all’elenco redatto da Castelvetro. Michele sarebbe stato quindi un privato, legato a Barnekow e a lui prossimo, da lui magari addirittura protetto, ma del quale non era al servizio, e che doveva avere presso di sé una biblioteca di cui Castelvetro provò ad avere visione al fine di integrare le scritture del nobile danese in vista della sua progettata edizione. Il fatto che nel 1596 Michele fosse in Italia spiegherebbe poi come potesse avere accesso a questo genere di opere. Che le possedesse per proprio diletto oppure che, magari, le commerciasse addirittura, non è invece dato dire. L’analisi del materiale oggi negli Stati Uniti si rivela ricca di spunti. Per quanto riguarda Castelvetro pare delinearsi, sempre di più, un ruolo di primo piano nella diffusione della cultura italiana nell’Europa del secondo Cinquecento, mentre Barnekow emerge come una figura veramente centrale nella vita intellettuale della Danimarca a cavallo tra Cinque e Seicento. Sempre Barnekow si dimostra poi di grandissima utilità per iniziare a studiare un tema che sino ad oggi ha ricevuto, probabilmente, troppa poca attenzione: quello dell’importazione in Danimarca di modelli culturali italiani grazie all’azione di quei giovani aristocratici che si erano formati presso le università della penisola. A tale proposito l’influenza esercitata dalla letteratura italiana di “maneggio di stato” sul pensiero politico danese tra sedicesimo e diciassettesimo secolo è tra gli aspetti che meriterebbero studi più approfonditi. Tra i risultati meno esaurienti si collocano invece quelli legati all’indagine e alla ricostruzione della biblioteca di Barnekow e, in particolare, di quanto ne sia sopravvissuto. Solo un esame sistematico, non solo dei fondi manoscritti di Det Kongelige Bibliotek, ma, più in generale, di tutte le altre biblioteche e collezioni scandinave, potrebbe dare in futuro esiti soddisfacenti.
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Dissertations / Theses on the topic "Letteratura del Seicento"

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Grassi, Liliana. "Funzioni della lettera nella narrativa italiana del Seicento." Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2010. http://hdl.handle.net/11384/86084.

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Zuin, Alice <1994&gt. "Il linguaggio mercantile del Seicento nelle epistole ad Alessandro Mora." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/13926.

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Abstract:
Questo lavoro si propone di portare alla luce un fondo inedito contenente più di duemila lettere racchiuse in undici scatole, scritte in un lasso di tempo che va dal 1639 al 1651, ricevute a Venezia dal mercante Alessandro Mora. Si tratta di un corpus molto ampio, conservato presso l’Istituto Provinciale per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà” di Venezia, che comprende lettere provenienti da svariati luoghi d’Italia ed Europa. Tali scritti contengono molteplici varietà di italiano e di altre lingue come il portoghese e l’olandese e costituiscono una preziosa testimonianza di quelle che sono le principali rotte mercantili dell’epoca. Sono prese in analisi alcune epistole linguisticamente rappresentative in quanto contenenti una preziosa testimonianza delle molteplici varietà dialettali e le influenze delle lingue straniere sull’italiano dell’epoca; il commento si effettua dal punto di vista dialettologico e storico-linguistico in prospettiva grafofonetica, morfosintattica, sintattica e lessicale. In seguito si procede alla descrizione analitica dell’intero fondo e alla trascrizione diplomatica di alcune epistole scelte.
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REQUILIANI, VALERIA. "Libertà d'avventura e verosimiglianza dei caratteri nel romanzo del Seicento: il caso del Calloandro di Giovan Ambrogio Marini." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/928.

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Abstract:
La tesi mira a esaminare la genesi del Calloandro di Giovan Ambrogio Marini nel contesto del ricco e dinamico contesto sociale e culturale della Genova della prima metà del XVII secolo. Le pagine prefattorie premesse alle varie edizioni dell’opera rappresentano un contributo importante per la definizione di un genere la cui diffusione non fu accompagnata, in Italia, da uno studio teorico e sistemico. Dopo una ricognizione delle fonti sulla biografia e la produzione letteraria dell’autore, nel primo capitolo viene proposta una sintesi dettagliata della trama del romanzo che illumina gli elementi fondamentali del testo e del genere. Nel secondo, si prosegue con l’analisi della struttura narrativa dell’opera, soffermando l’attenzione sulle tecniche di costruzione dell’intreccio. Quindi, si procede all’individuazione nel romanzo greco d’epoca ellenistica e nella tradizione comica i modelli letterari che influenzarono in modo più significativo la fantasia del Marini nella composizione del Calloandro. Nel quarto capitolo è affrontato il sistema dei personaggi, in cui, tra le molte figure generiche e inconsistenti, si distinguono alcuni personaggi complessi e imprevedibili: questi fanno del Calloandro un esperimento maturo del genere in cui il realismo psicologico di matrice ligure si combina con il gusto per l’avventura proprio dei romanzi di produzione veneta.
This thesis examines the origin of Giovan Ambrogio Marini’s Calloandro in Genoa’s rich and dynamic social and cultural context of the first half of the XVII century. Introductory pages to the novel’s various editions represent an important contribution about the novel’s developement in Italy, where the success of the genre wasn’t followed by a theoric and systemic study. After a research on the sources concerning the author’s biography and literary production, the first chapter presents a detailed synthesis of the novel’s plot which fixes some fundamental elements of this kind of work. The second chapter is about the novel’s narrative structure focusing on the techniques of the plot’s building. Then the third chapter describes literary models which influenced Marini’s work, in particular the Greek novels of Hellenism and the comic tradition. The fourth chapter analyses the characters' system: there are some subtle and unforeseeable characters, among many generic and insubstantial figures, that make Calloandro a unpredictable novel in which the psychological realism, typical of Ligurian novels, is combined with the taste of adventure, typical of the Venetian novels.
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REQUILIANI, VALERIA. "Libertà d'avventura e verosimiglianza dei caratteri nel romanzo del Seicento: il caso del Calloandro di Giovan Ambrogio Marini." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/928.

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Abstract:
La tesi mira a esaminare la genesi del Calloandro di Giovan Ambrogio Marini nel contesto del ricco e dinamico contesto sociale e culturale della Genova della prima metà del XVII secolo. Le pagine prefattorie premesse alle varie edizioni dell’opera rappresentano un contributo importante per la definizione di un genere la cui diffusione non fu accompagnata, in Italia, da uno studio teorico e sistemico. Dopo una ricognizione delle fonti sulla biografia e la produzione letteraria dell’autore, nel primo capitolo viene proposta una sintesi dettagliata della trama del romanzo che illumina gli elementi fondamentali del testo e del genere. Nel secondo, si prosegue con l’analisi della struttura narrativa dell’opera, soffermando l’attenzione sulle tecniche di costruzione dell’intreccio. Quindi, si procede all’individuazione nel romanzo greco d’epoca ellenistica e nella tradizione comica i modelli letterari che influenzarono in modo più significativo la fantasia del Marini nella composizione del Calloandro. Nel quarto capitolo è affrontato il sistema dei personaggi, in cui, tra le molte figure generiche e inconsistenti, si distinguono alcuni personaggi complessi e imprevedibili: questi fanno del Calloandro un esperimento maturo del genere in cui il realismo psicologico di matrice ligure si combina con il gusto per l’avventura proprio dei romanzi di produzione veneta.
This thesis examines the origin of Giovan Ambrogio Marini’s Calloandro in Genoa’s rich and dynamic social and cultural context of the first half of the XVII century. Introductory pages to the novel’s various editions represent an important contribution about the novel’s developement in Italy, where the success of the genre wasn’t followed by a theoric and systemic study. After a research on the sources concerning the author’s biography and literary production, the first chapter presents a detailed synthesis of the novel’s plot which fixes some fundamental elements of this kind of work. The second chapter is about the novel’s narrative structure focusing on the techniques of the plot’s building. Then the third chapter describes literary models which influenced Marini’s work, in particular the Greek novels of Hellenism and the comic tradition. The fourth chapter analyses the characters' system: there are some subtle and unforeseeable characters, among many generic and insubstantial figures, that make Calloandro a unpredictable novel in which the psychological realism, typical of Ligurian novels, is combined with the taste of adventure, typical of the Venetian novels.
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VALESE, FRANCESCO. "Ragioni metriche del Seicento. La metricologia italiana da Chiabrera a Mattei (1599-1695)." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2022. http://hdl.handle.net/11567/1088226.

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Abstract:
La tesi esamina la trattatistica teorica relativa alla versificazione italiana prodotta tra l'edizione delle "Maniere de' versi toscani" di Gabriello Chiabrera (1599) e quella della "Teorica del verso volgare" di Loreto Mattei (1695). Il corpus indagato consiste in una quindicina di testi di varia natura (dialoghi, trattati, prefazioni, discorsi...) e dedicati a specifici aspetti prosodici o a più ampie trattazioni degli istituti metrici (come l'"Arte del verso italiano" di Tommaso Stigliani o la "Rhythmica" di Juan Caramuel): tali opere, pur mantenendo una forte continuità con la metricologia del Cinquecento, presentano anche vari motivi di novità, come ad esempio l'acquisizione teorica della poesia per musica.
The thesis examines the seventeenth-century treatises on Italian versification. The corpus consists of about fifteen texts dedicated to specific prosodic aspects or to broader analyses of metrical forms (such as Tommaso Stigliani's "Art of Italian Verse" or Juan Caramuel's "Rhythmica"): these works, while maintaining a strong continuity with sixteenth-century metricology, also present several novelties, such as the theoretical acquisition of poetry for music.
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Piantoni, Luca. ""Sotto pretesto di un libro". Lesa maestà e "mercato del mondo" nell'opera letteraria di Ferrante Pallavicino." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426118.

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Abstract:
The thesis’ purpose is to study Ferrante Pallavicino’s writings in order to outline in an individualizing and organic way his literary profile.
La tesi si propone di studiare l’opera di Ferrante Pallavicino (Parma, 1615 – Avignon, 1644) allo scopo di tracciare in modo individuante ed organico il profilo letterario dell’autore.
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INVERNIZZI, DAVIDE. "L'ARGENIS DI JOHN BARCLAY (1582-1621) E LA SUA INFLUENZA SULROMANZO ITALIANO DEL SEICENTO." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. http://hdl.handle.net/10280/18928.

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Abstract:
Il romanzo latino Argenis di John Barclay, pubblicato a Parigi nel 1621, è stato uno dei libri più amati della sua epoca. La ragione del plauso dei lettori sarà da ricercare nella complessa macchina narrativa ideata dall'autore, unione di narrazione, storia, evocata in forma di allegoria, e magistero politico; in questo nuovo modello di scrittura è stato riconosciuto l'atto fondativo del genere cosidetto del "roman à clef" ("romanzo a chiave" in italiano). La ricerca propone un rigoroso studio dell'opera e mira alla definizione del giudizio su di essa espresso dai letterati italiani nel corso del Seicento. La tesi si sofferma in seguito sull'influenza esercitata dall'Argenis sul romanzo italiano. Attenzioni preliminari vengono così dedicate alle alterne fortune godute, nelle scritture di ambientazione fantastica, da alcune caratterizzanti scelte narrative del modello latino. Vengono quindi studiati i "romanzi a chiave" per delineare le declinazioni peculiari del genere in Italia, ponendo particolare attenzione alle forme e finalità di impiego della storia e ai nuovi indirizzi della materia politica. Gli autori di "romanzi a chiave" studiati sono: Francesco Agricoletti, Ciro Anselmi, Francesco Belli, Guidubaldo Benamati, Giovanni Francesco Biondi, Girolamo Brusoni, Niccolò Maria Corbelli, Carlo de' Dottori, Giovanni Francesco Loredano e Ferrante Pallavicino
John Barclay's Argenis, a latin novel published in Paris in 1621, is one of the best sellers of its time. The reason for success is to be found in the complex narrative system conceived by the author, union of narration, history, recalled in the form of an allegory, and political thought; the foundative act of the so-called genre of the "roman à clef" ("novel with a key") is recognized in this new model of writing. The research aims at studying Barclay's novel and try to define its value in the opinion of the italian men of letters. The thesis focuses also on the influence of the Argenis on the seventeenth century italian novel. Preliminary attentions are dedicated to the variable success met by some characterizing narrative choices of the latin model within the fantasy setting novels. The italian "romans à clef" are examinated to determine the features of the genre in Italy, studying the forms and the finality of the use of history and the rethinkings imposed to the political argument. The authors examinated are: Francesco Agricoletti, Ciro Anselmi, Francesco Belli, Guidubaldo Benamati, Giovanni Francesco Biondi, Girolamo Brusoni, Niccolò Maria Corbelli, Carlo de' Dottori, Giovanni Francesco Loredano e Ferrante Pallavicino.
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INVERNIZZI, DAVIDE. "L'ARGENIS DI JOHN BARCLAY (1582-1621) E LA SUA INFLUENZA SULROMANZO ITALIANO DEL SEICENTO." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. http://hdl.handle.net/10280/18928.

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Abstract:
Il romanzo latino Argenis di John Barclay, pubblicato a Parigi nel 1621, è stato uno dei libri più amati della sua epoca. La ragione del plauso dei lettori sarà da ricercare nella complessa macchina narrativa ideata dall'autore, unione di narrazione, storia, evocata in forma di allegoria, e magistero politico; in questo nuovo modello di scrittura è stato riconosciuto l'atto fondativo del genere cosidetto del "roman à clef" ("romanzo a chiave" in italiano). La ricerca propone un rigoroso studio dell'opera e mira alla definizione del giudizio su di essa espresso dai letterati italiani nel corso del Seicento. La tesi si sofferma in seguito sull'influenza esercitata dall'Argenis sul romanzo italiano. Attenzioni preliminari vengono così dedicate alle alterne fortune godute, nelle scritture di ambientazione fantastica, da alcune caratterizzanti scelte narrative del modello latino. Vengono quindi studiati i "romanzi a chiave" per delineare le declinazioni peculiari del genere in Italia, ponendo particolare attenzione alle forme e finalità di impiego della storia e ai nuovi indirizzi della materia politica. Gli autori di "romanzi a chiave" studiati sono: Francesco Agricoletti, Ciro Anselmi, Francesco Belli, Guidubaldo Benamati, Giovanni Francesco Biondi, Girolamo Brusoni, Niccolò Maria Corbelli, Carlo de' Dottori, Giovanni Francesco Loredano e Ferrante Pallavicino
John Barclay's Argenis, a latin novel published in Paris in 1621, is one of the best sellers of its time. The reason for success is to be found in the complex narrative system conceived by the author, union of narration, history, recalled in the form of an allegory, and political thought; the foundative act of the so-called genre of the "roman à clef" ("novel with a key") is recognized in this new model of writing. The research aims at studying Barclay's novel and try to define its value in the opinion of the italian men of letters. The thesis focuses also on the influence of the Argenis on the seventeenth century italian novel. Preliminary attentions are dedicated to the variable success met by some characterizing narrative choices of the latin model within the fantasy setting novels. The italian "romans à clef" are examinated to determine the features of the genre in Italy, studying the forms and the finality of the use of history and the rethinkings imposed to the political argument. The authors examinated are: Francesco Agricoletti, Ciro Anselmi, Francesco Belli, Guidubaldo Benamati, Giovanni Francesco Biondi, Girolamo Brusoni, Niccolò Maria Corbelli, Carlo de' Dottori, Giovanni Francesco Loredano e Ferrante Pallavicino.
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CUTRI', MAICOL. "Leggere il «libro aperto». Un’introduzione al «Cannocchiale aristotelico»." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2022. http://hdl.handle.net/10280/111138.

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Abstract:
Il lavoro consiste in un’introduzione al "Cannocchiale aristotelico" di Emanuele Tesauro, che ne affronta le principali questioni testuali e interpretative proponendo dati aggiornati e nuovi approcci critici. Il primo capitolo tratta l’aspetto filologico. Sono ricostruiti la storia del testo e l’ambiente in cui esso prende forma; sono studiate le varianti delle edizioni riviste dall’autore; è proposta una nuova guida alla struttura definitiva dell’opera. Il secondo capitolo tratta i meccanismi compositivi del testo. Si studia, innanzi tutto, la fitta rete intertestuale, individuando le fonti e i metodi del loro utilizzo. Si propone poi un’interpretazione innovativa del tessuto narrativo dell’opera, fondato sul dialogo tra l’autore e Aristotele, e l’autore e il lettore: la conclusione è che quest’ultimo è invitato a partecipare dalla forma drammatica del testo, che ne favorisce lo sviluppo dell’apprendimento e, al tempo stesso, lo intrattiene. Il terzo capitolo è dedicato allo stile e all’uso della retorica. Dopo aver dibattuto la vicinanza al genere del panegirico in prosa, si mostrano le peculiarità del "Cannocchiale", che sfrutta tutte le possibilità della letteratura barocca per trasmettere più efficacemente, mostrandone concretamente i meccanismi, la teoria e la pratica delle argutezze.
This introduction to Emanuele Tesauro’s “Il Cannocchiale aristotelico” provides for the first time a unified research on different aspects of one of the most complex and eminent treaty of the Seventeenth Century European literature. First, philological questions are investigated, involving, through the treatment of new data, the history of the text, changes between the editions approved by the author and the general structure. Then, intertextual aspects, as quotations and imitations, are clarified, in order to make understandable the complex work of the author on the text. In add, a narrative pattern is discovered above the highly rhetorical composition of examples: it works as a dramatic dialogue on witty matters between the author and Aristotle, and then the author and the reader, who is fascinated and involved in this formative dramatization. The final chapter is dedicated to the style and the use of rhetoric. A connection with oratorical genres, such as panegyric, is pointed out, as are the philosophical peculiarities of the “Cannocchiale aristotelico”, a guide for human understanding which uses for its aim all the potentialities of the Baroque literature.
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Suppa, Francesca <1982&gt. "«Le père trompé»: traduzioni e ricezione del teatro di Lope de Vega in Francia tra Seicento e Settecento : con un'appendice su Manzoni, lettore di Lope de Vega." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/8268.

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Abstract:
Questo lavoro si propone di delineare la ricezione del teatro e della figura letteraria di Lope de Vega in Francia tra il Seicento e i primi decenni dell’Ottocento. Collocandosi nel vasto ambito della letteratura comparata, si avvale di diversi approcci e strumenti teorici: muovendo da un’analisi del contesto ricettore influenzata da una prospettiva polisistemica, si soffermerà in particolare sullo studio descrittivo delle traduzioni (Descriptive Translation Studies), intese come riscritture condizionate da fattori interni al contesto d’arrivo e a loro volta come fattori d’influenza su quel medesimo ambito. Nell’immensa mole bibliografica sulla Comedia in Francia manca uno studio specifico riguardante Lope de Vega, che prenda in considerazione la creazione della fama e la nascita delle traduzioni reader-oriented delle sue commedie, unendo i due punti in una cornice storica e teorico-metodologica. Muovendo da un approfondimento sul contesto culturale e sulla figura del traduttore, si è cercato d’impostare un’analisi tassonomica della strategia traduttiva, osservando l’influsso degli adattamenti stage-oriented sulle traduzioni reader-oriented, e al tempo stesso i contraints culturali legati all’estetica classicista. S’include un breve approfondimento sull’ipotesi di una ricezione manzoniana della comedia lopesca.
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Books on the topic "Letteratura del Seicento"

1

Sic arescit: Letteratura mistica del Seicento italiano. Firenze: L.S. Olschki, 1998.

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2

Angelo, Fabrizi, ed. Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento. Napoli: Bibliopolis, 2003.

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3

Croce, Benedetto. Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento. Napoli: Bibliopolis, 2003.

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4

L' ingegnosa finzione: Studi sulla letteratura del Seicento. Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003.

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5

La ragione barocca: Politica e letteratura nell'Italia del Seicento. [Milano]: B. Mondadori, 2006.

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6

Dalla parte dei sileni: Percorsi nella letteratura italiana del Cinque e Seicento. Bologna: Il mulino, 2011.

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7

"Luce di Dio": Santi e figure bibliche nella letteratura del Seicento. Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2013.

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8

Gagliardi, Donatella. La cultura ispanica nella Calabria del Cinque-Seicento: Letteratura, storia, arte. Soveria Mannelli: Rubbettino, 2013.

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9

Dante barocco: L'influenza della Divina Commedia su letteratura e cultura del Seicento italiano. Ravenna: Longo Editore, 2013.

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10

Il principe per emblemi: Letteratura e immagini del politico tra Cinquecento e Seicento. [Bologna]: Società editrice Il mulino, 2016.

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