Academic literature on the topic 'Interessi convenzionali'

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Journal articles on the topic "Interessi convenzionali"

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Montani, Guido. "IDEOLOGY, UTOPIA AND THE CRISIS OF POLITICS." Il Politico 252, no. 1 (June 22, 2020): 5–23. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2020.294.

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Abstract:
I partiti politici che si ispirano ai valori del liberalismo, della democrazia e del socialismo non riescono più a concepire un progetto di lungo periodo per i propri concittadini e per l’umanità. Dopo il crollo del Muro di Berlino, grandi e piccole potenze hanno avviato una sordida lotta per la supremazia mondiale, alimentando conflitti locali e globali, e il ritorno del nazionalismo come ideologia dominante. In questo saggio si intende mostrare che la tesi sulla “fine delle ideologie” è infondata: le ideologie tradizionali sono incapaci di progettare un futuro di progresso perché subiscono passivamente l’ideologia della sovranità assoluta degli stati e della guerra giusta per difendere gli interessi nazionali. Il futuro dell’umanità è minacciato da una nuova corsa agli armamenti nucleari e convenzionali, ai quali i governi dedicano immense risorse, che dovrebbero invece servire per salvare il Pianeta dal surriscaldamento climatico, dallo sterminio della vita animale e vegetale e dalle pandemie. La via intrapresa dai popoli europei, con la costruzione della prima Unione sovranazionale della storia, dovrebbe ispirare anche le politiche necessarie per la costruzione di un ordine mondiale fondato sulla cooperazione pacifica tra stati e l’avvio di politiche che si propongano di consentire ai cittadini del mondo di godere dei medesimi diritti di libertà e solidarietà che, seppure imperfettamente, si sono realizzati in Europa. Il progresso dell’umanità è un’utopia positiva che può diventare realtà.
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Schiaffino, Olga Sofia. "L'esperienza dell'utilizzo di medicine non convenzionali nel trattamento di utenti del Ser.T. evidenze cliniche e considerazioni." S & P SALUTE E PREVENZIONE, no. 54 (April 2010): 51–62. http://dx.doi.org/10.3280/sap2009-054004.

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Abstract:
Il crescente interesse per la medicina non convenzionale ha sensibilizzato gli operatori di un Sert a proporre i trattamenti omeopatici, omotossicologici e di omeomesoterapia (iniezione su agopunti di farmaci omeopatici) ottenendo risultati di efficacia e assenza di effetti collaterali; inoltre l'integrazione di un trattamento non convenzionale con farmaci allopatici e/o sostitutivi ha evidenziato sempre una riduzione di effetti collaterali e una diminuzione dei dosaggi dei farmaci per ottenere la risposta desiderata. Questi trattamenti devono sempre essere proposti e seguiti da Medici altamente competenti e aggiornati non solo a riguardo della propria specializzazione, ma a "tutto campo", come richiede la pratica omeopatica, dato che il soggetto dell'interesse medico č l'uomo malato e non la malattia.
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Naso, Agostino, Giuseppe Scaparrotta, Maria Loreta De Giorgi, and Gianni Carraro. "Emodialisi domiciliare intensiva: uno sguardo al passato alla ricerca dell'emodialisi del futuro." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no. 3 (September 24, 2014): 220–24. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.897.

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Abstract:
Negli ultimi anni vi è stato un rinnovato interesse verso la dialisi domiciliare, che appare come la strategia operativa più facilmente percorribile per l'attuazione di programmi di emodialisi intensiva (IHD). Numerosi studi osservazionali e pochi studi randomizzati controllati fanno ritenere che l'IHD possa migliorare l'outcome degli uremici in dialisi con un rapporto costi/benefici migliore dell'emodialisi convenzionale. È necessaria tuttavia un'attenta valutazione nella selezione dei pazienti da avviare all'IHD, alla luce dei fattori psicosociali, clinici e demografici che possono determinarne il fallimento. Ulteriori studi saranno necessari per definire i limiti e il campo clinico di applicazione dell'IHD.
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Piccoli, Giorgina Barbara, Martina Ferraresi, Federica Neve Vigotti, and Gerardo Di Giorgio. "Esiste oggi un ruolo per l'emodialisi domiciliare e che cos'è oggi l'emodialisi domiciliare?" Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no. 2 (February 7, 2014): 102–11. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.875.

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Abstract:
La crisi economica globale, l'indicazione alla massima deospedalizzazione dei pazienti cronici e le innovazioni nel trattamento dell'uremia cronica sono alla base del rinnovato interesse per trattamenti dialitici “non convenzionali o intensivi”, spesso od obbligatoriamente domiciliari. Un primo punto evidenziato da questa revisione narrativa della letteratura è il superamento dell'antagonismo storico tra emodialisi domiciliare (HHD) e dialisi peritoneale (PD), all'insegna del motto “home dialysis first”: ascrivere il successo di una metodica domiciliare alla competizione con l'altra è riduttivo quanto il considerare che i pazienti ideali per l'HHD siano principalmente i soggetti che hanno dovuto interrompere la dialisi peritoneale. Ciò detto, è possibile scomporre il problema della dialisi domiciliare non solo secondo criteri clinici, ma anche secondo i quattro principi etici di beneficio, non maleficio, giustizia e autonomia. Se il beneficio non è facile da dimostrare, anche per la peculiare selezione dei pazienti, il non maleficio è evidente: in tutti gli studi analizzati, l'emodialisi domiciliare, sia essa standard o quotidiana o intensiva, non risulta mai significativamente inferiore ai trattamenti convenzionali. Il principio della giustizia, inteso in maniera un po' riduttiva come giustizia distributiva, può essere analizzato valutando i costi del trattamento, divisi tra costi diretti (disposable e macchine) e costo del personale medico e infermieristico; il vantaggio economico della riduzione del personale è ovvio, ma va anche ricordato che un sistema domiciliare necessita di una massa critica per essere favorevole dal punto di vista economico e che i costi “indiretti” (struttura ospedaliera in particolare) sono difficili da quantificare. Il quarto principio è l'autonomia dei pazienti: per questo sarebbe necessario offrire l'emodialisi domiciliare a tutti coloro che ne hanno le indicazioni, creando dei Centri di riferimento accessibili, dove i pazienti possano ascoltare il parere di medici, infermieri e pazienti con esperienza specifica.
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Verstraeten, Fabienne, Eduardo De Paula, and Maurício Paroni De Castro. "É NECESSÁRIO QUE O REAL PENETRE NO ESPETÁCULO." Revista Rascunhos - Caminhos da Pesquisa em Artes Cênicas 6, no. 1 (April 1, 2019): 130–40. http://dx.doi.org/10.14393/rr-v6n1-2019-08.

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Abstract:
Título: É necessário que o real penetre no espetáculo Resumo: Entrevista com Thierry Salmon que procura cercar os interesses sobre a escolha dos espaços cênicos não convencionais para a realização de seus espetáculos e, a partir disso, refletir sobre as influências na encenação e no trabalho do ator. Destaca a importância e a necessidade de os acontecimentos reais serem absorvidos pela cena, pois os considera instaladores de oportunidades verdadeiras para o ator se colocar em jogo de modo presente no presente. Palavras-chave: Thierry Salmon, Encenação, Real, Espaço cênico, Atuação, Jogo. Titolo: Bisogna che il reale penetri nello spettacolo Riassunto: Intervista rilasciata da Thierry Salmon che mette a fuoco la sua attenzione e il suo interesse nella scelta di spazi scenici non convenzionali per la realizzazione degli spettacoli. Da qui si passa a riflettere sulle influenze e le conseguenze che questo porta nella messa in scena e nel lavoro dell’attore. Salmon sottolinea l’importanza e la necessità che avvenimenti reali siano assorbiti nell’azione scenica, considerandoli veri e propri attivatori di opportunità reali perchè l’attore possa mettersi in gioco nel presente. Parole chiave: Thierry Salmon, Regia, Reale, Spazio scenico, Rappresentazione, Gioco. Title: It is necessary that the real enter the spectacle Abstract: Interview with Thierry Salmon in which it seeks to surround the interests on the choice of the unconventional scenic spaces for the production of his spectacles and, from this, to reflect on its influences in the performance and the work of the actor. Highlighting the importance and the necessity of real events being absorbed by the scene, as he considered them to be installers of real opportunities for the actors to put themselves at the present time in the game, in a present way. Keywords: Thierry Salmon, Performance, Real, Scenic space, Acting, Game.
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Mair, Peter. "IL DESTINO DEI PICCOLI PARTITI." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, no. 3 (December 1989): 467–98. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008662.

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Abstract:
IntroduzioneNella abbondante letteratura che prefigura una crisi delle convenzionali forme di politica nelle democrazie dell'Europa occidentale un'enfasi speciale è stata posta sulla presunta sfida rivolta ai più tradizionali e consolidati partiti di massa. La stessa politica tradizionale è vista come passè ed i grandi partiti di massa, che ne rappresentano la più classica incarnazione, sono ritenuti — a torto o a ragione — strumenti sempre più inadeguati all'incanalamento delle forme contemporanee della rappresentanza.La vulnerabilità dei partiti di massa tradizionali pare derivare da due distinti processi. In primo luogo questi partiti sono ritenuti vulnerabili in termini ideologici e di politiche, in quanto rifletterebbero temi e problemi che corrispondono sempre meno agli interessi contemporanei. In secondo luogo, sono visti come vulnerabili sotto il profilo organizzativo, in quanto cittadini più istruiti, articolati e informati non sarebbero più soddisfatti della passività e/o anonimità che caratterizza la partecipazione in questo tipo di partiti e della natura essenzialmente oligarchica attraverso la quale si ritiene venga esercitato il loro controllo. Seguendo con varie intonazioni entrambe queste linee di ragionamento, gran parte della letteratura contemporanea pone conseguentemente l'accen to sulla erosione dei partiti tradizionali e suggerisce un potenziale riallineamento a favore di partiti più recenti e più piccoli, che appaiono allo stesso tempo più sensibili verso le nuove issues e più aperti verso nuove forme di partecipazione. L'emergere di partiti ecologisti in un gran numero di democrazie europee è spesso citato come la prova più evidente della base di un tale riallineamento, ma evidenza dello stesso tipo può anche essere individuata per un gruppo più ampio di partiti che vanno dai Radicali italiani a D'66 nei Paesi Bassi e ai Socialisti di sinistra in Danimarca e Norvegia (Poguntke 1987).Tuttavia, è chiaro che ognuno di questi argomenti ha implicazioni alquanto diverse. Se, per esempio, quello corretto è il primo, allora il motore principale del cambiamento è il grado di insoddisfazione programmatica e se i partiti tradizionali si rivelassero incapaci di adattarsi dovremmo aspettarci che il riallineamento conseguente favorisca i nuovi partiti. Se invece è corretta la seconda ipotesi, allora il cambiamento principale deriva da insoddisfazione organizzativa e potrebbe risultarne un riallineamento a favore dei piccoli partiti. In realtà i due processi possono essere combinati solo nella misura in cui partiti nuovi tendono anche ad essere partiti piccoli e viceversa, un punto su cui dovremo tornare in seguito.L'importanza di distinguere tra partiti nuovi e partiti piccoli emerge anche al semplice livello di definizione. Mentre la definizione di cosa costituisca un «nuovo» partito (rispetto a un partito della «nuova politica») non sembra porre difficoltà molto superiori a quelle di stabilire una data di soglia temporale, la definizione di cosa sia un partito «piccolo» è molto più problematica. In quest'ultimo caso sono disponibili due strategie. In primo luogo possiamo definire la piccola dimensione in termini di nlevanza sistemica, o facendo ricorso ai criteri identificati da Sartori (1976, 121-25) oppure a criteri alternativi anch'essi basati sul ruolo sistemico dei partiti in questione (Smith 1987). Tuttavia, in questo caso si tende inevitabilmente a parlare di partiti rilevanti o irrilevanti piuttosto che di partiti piccoli o grandi per sè. La seconda alternativa è quella più ovvia, secondo cui piccoli e grandi partiti possono essere distinti sulla base della semplice dimensione, sia essa elettorale, parlamentare, organizzativa o altro. Di sicuro i piccoli partiti possono essere partiti rilevanti e quelliirrilevanti · possono essere piccoli. In ultima analisi, tuttavia, nel nostro caso «piccolo» si deve riferire alla dimensione piuttosto che al ruolo.Questo lavoro è parte di un più ampio progetto dedicato alla esperienza dei piccoli partiti nell'Europa occidentale ed altri contributi del progetto tratteranno il ruolo sistemico dei piccoli partiti, le varie soglie di rilevanza nella loro vita e le varie esperienze in un gran numero di diversi contesti nazionali (Mueller, Rommel e Pridham, in via di pubblicazione). L'obiettivo di questo lavoro è semplicemente quello di offrire un quadro di sintesi sull'universo elettorale dei piccoli partiti nell'Europa occidentale del dopoguerra. Attraverso questa analisi spero di mostrare il grado in cui le fortune elettorali di tali partiti sono cambiate nel tempo, di identificare quei paesi e quei periodi in cui tali cambiamenti sono stati più pronunciati e, in particolare, di identificare quali piccoli partiti ne sono stati coinvolti.Va inoltre aggiunto che si tratta di una analisi a carattere largamente induttivo: cercherò prima di definire cosa costituisca un piccolo partito e in seguito di investigare le modalità e le spiegazioni del cambiamento nel sostegno elettorale aggregato di questi partiti. Intuitivamente si ha la sensazione che il sostegno elettorale dei piccoli partiti sia aumentato negli anni del dopoguerra. Per esempio, la recente nascita di piccoli partiti ecologici, così come le numerose analisi che suggeriscono un declino dei cleavages tradizionali di classe e religione e la crisi concomitante affrontata da quei partiti tradizionali e di grandi dimensioni che mobilitano il voto lungo queste linee di cleavage, sembrano implicare che i partiti di piccola taglia siano divenuti sempre più importanti con il tempo. Anche in questo caso, tuttavia, ci vuole cautela nel mettere in relazione prognosi di mutamento con una classificazione di partiti derivata dalla sola taglia. Non tutti i partiti piccoli sono partiti nuovi, né tantomeno partiti della «nuova politica», e molti si mobilitano elettoralmente in riferimento a linee di frattura molto tradizionali. Un esempio pertinente è quello del Partito popolare svedese in Finlandia. Inoltre, non tutti i nuovi partiti sono partiti piccoli, come evidenzia il successo elettorale della nuova Associazione Cristiano-democratica nei Paesi Bassi. Per la verità, si può anche dubitare che una categorizzazione dei partiti in soli termini di taglia abbia un significato teorico; ma questo è un problema diverso, sul quale torneremo in seguito.Nonostante questi caveat rimane incontestabile che una lettura non-critica della letteratura contemporanea suggerirebbe che vi è stato nel tempo un aumento di voti verso i piccoli partiti e questa ipotesi di partenza dirigerà la nostra analisi. Nella prossima sezione opereremo una classificazione dei partiti a seconda della loro taglia e, su questa base, una classificazione dei sistemi di partito a seconda della distribuzione dei diversi tipi di partiti. Successivamente analizzeremo la tendenza temporale del sostegno elettorale ai piccoli partiti e cercheremo di offrire alcune spiegazioni per la variazione di queste tendenze. Infine, esamineremo in che modo il voto per i piccoli partiti si distribuisce nelle diverse famiglie politico-ideologiche e studiere-mo l'andamento elettorale dei diversi sottogruppi di piccoli partiti, inclusi i «nuovi» piccoli partiti e i «vecchi» piccoli partiti.
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Bortolotti, Alessandro, and Simon Beames. "‘ON MONDAY AFTERNOONS WE GO TO DISCOVER THE WORLD!’: UNDERSTANDING A TRADITIONAL ITALIAN PRIMARY SCHOOL’S ADAPTATION TO A STUDENT-DRIVEN APPROACH TO LEARNING / IL LUNEDÌ POMERIGGIO ANDIAMO A SCOPRIRE IL MONDO: MODIFICAZIONI NELL’APPROCCIO SCOLASTICO TRADIZIONALE A FAVORE DI PERCORSI D’APPRENDIMENTO GUIDATI DAGLI ALUNNI IN UNA SCUOLA PRIMARIA ITALIANA." European Journal of Education Studies 8, no. 1 (December 24, 2020). http://dx.doi.org/10.46827/ejes.v8i1.3502.

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Abstract:
Across the globe, increasing attention is being paid to curricular learning outside the classroom. While there is no Italian national outdoor learning policy, there is a growing wave of lecturers, teachers, schools, environmental education centres, who are developing this field. This paper examines one rural primary school’s attempts to incorporate learning outside the classroom into their rather conventional teaching practices. Michael Fullan’s seven premises of ‘change knowledge’ are employed to lend a deeper interrogation of the findings. Since the boundaries of inquiry were so clear, in terms of context, space-time, and people, a case study design was used. Data generation featured two principal methods and took place over a six-year period. First, there were open-ended interviews with each of the two principal educators; two focus group interviews with the entire staff team; and large focus groups with senior pupils. Field notes from participant observation and informal conversations were also used. The findings highlighted the importance of alliances between teachers, parents, and the wider community; the need for pupils to have the power to shape what is being learned; and the value of having pupil groups with different ages and abilities. The teachers stressed how crucial it was for pupils to learn how to critically refine the questions they were asking about their ‘places’. Further analysis of the data showed that Fullan’s premises of motivation and commitment, learning in context, capacity building, and persistence and flexibility were especially present. A livello globale, si registra un crescente interesse nello sviluppare il curriculum scolastico all’aperto. In Italia, pur non essendoci un diretto interesse da parte di organizzazioni centrali, si assiste comunque ad un’ondata di docenti, insegnanti, scuole, centri di educazione ambientale, che stanno vieppiù sviluppando questo settore. Il presente lavoro esamina gli sforzi di una scuola elementare rurale, al fine d’inserire l'apprendimento all’aperto nelle proprie pratiche didattiche, generalmente piuttosto convenzionali. Le sette premesse di Michael Fullan per "cambiare la conoscenza" sono state utilizzate per riflettere a fondo sui risultati ottenuti. Poiché i confini dell’indagine qui sviluppata erano molto chiari in termini di contesto spazio-temporale e personale, è stato adottato l’approccio dello “studio di caso”. I dati sono stati raccolti nell'arco di sei anni, attraverso due metodi principali. In primo luogo, si sono utilizzate interviste approfondite con ciascuno dei due insegnanti principali della scuola; due incontri di focus group con l'intero corpo insegnante; e focus group allargati a tutti gli alunni. Inoltre, sono state raccolte numerose note di campo provenienti sia dall'osservazione dei partecipanti, sia da conversazioni informali. In generale, i risultati hanno evidenziato l'importanza dell’alleanza tra insegnanti, genitori e con la comunità locale; la necessità che gli alunni abbiano la possibilità di essere coinvolti nella definizione dei contenuti d’apprendimento; il valore dei gruppi d’alunni con età e capacità diverse. Gli insegnanti hanno sottolineato quanto sia cruciale che gli alunni imparino ad affinare criticamente le domande che si ponevano sui loro "luoghi". Un'ulteriore analisi dei dati ha mostrato che le premesse di Fullan su motivazione, impegno, apprendimento nel contesto, sviluppo delle capacità, continuità e flessibilità, siano particolarmente presenti. <p> </p><p><strong> Article visualizations:</strong></p><p><img src="/-counters-/edu_01/0720/a.php" alt="Hit counter" /></p>
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Dissertations / Theses on the topic "Interessi convenzionali"

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RUGGIERO, VINCENZO. "Interessi ed usura nel diritto civile. Riflessioni, rimedi, percorsi giusprudenziali e profili applicativi." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2014. http://hdl.handle.net/10281/52463.

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Abstract:
Il tema dell'usurarietà dei tassi di interesse sui mutui e, più in generale, sui finanziamenti di ogni genere, ha subito un picco di interesse in giurisprudenza successivamente alla pronuncia n. 350/2013 della Corte di Cassazione. Buona parte degli operatori del diritto, infatti, ne ha fornito un'interpretazione massimamente estensiva, dando corso all'instaurazione di un elevato contenzioso con gli Istituti di credito. Tale situazione di incremento del contenzioso giudiziale ha offerto lo spunto per riflettere ed approfondire il tema dell'usurarietà dei tassi di interesse, tra usura originaria e sopravvenuta, sui rimedi civilistici di tutela del prenditore applicabili ai contratti divenuti usurari, come pure, da ultimo, per interrogarsi sull'incidenza del tasso di mora sulle soglie d'usura. Nel panorama delle soluzioni possibili, l'Autore conclude, quanto alle strutture rimediali applicabili all'usurarietà sopravvenuta, preferendo la tesi della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., con sostituzione automatica del tasso convenzionale divenuto usurario con il tasso-soglia ex art. 1339 c.c., nonché della rilevanza dei tassi moratori ai fini del computo del TEGM, del TEG e della soglia, offrendo spunti di riflessione per una riforma sistematica della normativa.
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BUSDRAGHI, ANDREA. "Radionuclidi convenzionali e metallici di interesse nella diagnostica PET: produzione, sviluppo e problematiche d'impiego all'interno di una moderna radiofarmacia." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/41593.

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Abstract:
Il lavoro ha riguardato la realizzazione di un nuovo sistema dedicato alla produzione del tracciante di perfusione cardiaca [13N]Ammonia in ottemperanza agli attuali requisiti tecnici e normativi. Inoltre parte del progetto è stato dedicato alla messa a punto del processo produttivo di radionuclidi metallici di interesse nella diagnostica PET quali rame-64 e zirconio-89. A partire da questi obiettivi viene analizzata la produzione dei radionuclidi emittenti di positroni all’interno di una radiofarmacia ospedaliera anche in funzione dei recenti cambiamenti normativi e degli aspetti economici ad essa correlati.
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CIANI, SCIOLLA JACOPO. "¿SEGNI DISTINTIVI E PUBBLICO DOMINIO: IL RUOLO DELL¿IMPERATIVO DI DISPONIBILITA¿ NELLA REGISTRAZIONE E NELLA TUTELA DEL MARCHIO¿." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/351166.

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Abstract:
La filosofia del diritto occidentale, mentre si è ampiamente preoccupata di indagare i fondamenti giustificativi dei diritti di proprietà intellettuale, raramente si è occupata di quelli del loro antagonista concettuale, ovvero del pubblico dominio. Lo scarso interesse manifestato dalla letteratura scientifica trova plausibile spiegazione nella concezione largamente diffusa che identifica il pubblico dominio nel concetto opposto e contrario di “proprietà”, finendo per cadere nell’equazione che considera una risorsa valorizzabile e meritevole di attenzione e tutela solo ciò che è appropriabile e tratta ciò che non lo è come scarto privo di intrinseco interesse. Oggi, a questa visione se ne è sostituita un’altra, che vede il pubblico dominio non più come res nullius, ma come res publici iuris, ovvero proprietà collettiva, comune, di tutti. Riconoscere che sul pubblico dominio insiste un interesse proprietario comune, equivale a dire che ciascun membro della collettività vanta un interesse a rivendicarne la comune proprietà, ovvero ad opporsi a tentativi di loro privata appropriazione. In relazione al diritto dei marchi tale interesse si contrappone al fenomeno di appropriazione indebita dei segni distintivi che devono considerarsi patrimonio comune, sottratto a qualsiasi diritto di privativa e liberamente disponibile per la collettività. Il capitolo introduttivo affronta i problemi definitori del pubblico dominio con riferimento alle principali privative industrialistiche, per poi concentrarsi, in particolare, sul rapporto con il diritto dei marchi. Esso dà conto delle principali iniziative mosse a livello internazionale per studiare le interazioni tra diritto dei marchi e pubblico dominio e si conclude con l’individuazione degli interessi collegati alla salvaguardia di un pubblico dominio ricco ed accessibile e delle minacce a tale interesse, ravvisabili nella tendenza all’espansione e al cumulo delle tutele. La durata tendenzialmente illimitata del diritto e la revocabilità dello status di pubblico dominio di un segno, caratterizzano il diritto di marchio rispetto alle altre privative industrialistiche per non avere una struttura di per sé favorevole e predisposta alla salvaguardia del dominio pubblico. Tale limite strutturale è però temperato dal legislatore mediante la previsione di limiti alla possibilità di acquisizione del diritto, nonché alla sua portata una volta acquisito. I capitoli II e V si occupano dei meccanismi che il diritto dei marchi prevede al fine di garantire spazi di pubblico dominio cui gli operatori del mercato possono liberamente attingere senza perciò interferire con l’area dei diritti di esclusiva dei titolari di marchio. Il capitolo II, in particolare, si occupa dei meccanismi di salvaguardia del pubblico dominio costituito dai segni esclusi dalla registrazione. I singoli impedimenti alla registrazione sono presi in esame evidenziandone la scarsa capacità escludente anche alla luce della tendenza all’estensione dell’oggetto della tutela di marchio, evidenziata attraverso una rassegna dei principali marchi-non convenzionali cui negli anni è stata concessa tutela. Tra tali meccanismi di salvaguardia del pubblico dominio spazio centrale è dedicato al principio dell’imperativo di disponibilità dei segni distintivi. Tale dottrina è stata elaborata dal formante giurisprudenziale tedesco sotto il nome di “Freihaltebedürfnis” (letteralmente “necessità di mantenere libero”) e fatta propria dalla dottrina anglosassone come “right to keep free” e sostiene, almeno nel suo impianto originale, la necessità di subordinare la registrazione di un marchio ad una previa valutazione di opportunità che il segno per cui si domanda tutela debba rimanere in pubblico dominio, ovvero liberamente appropriabile dalla collettività. Oggi è più che mai in dubbio quale sia il ruolo di questo principio all’interno del diritto comunitario dei marchi. Il capitolo III illustra l’iter della giurisprudenza comunitaria con riferimento alla questione del riconoscimento e della rilevanza dell’imperativo di disponibilità nel giudizio di registrazione. L’analisi evidenzierà come la Corte sia giunta a conclusioni differenti a seconda del diverso impedimento alla registrazione oggetto di interpretazione, con risultati considerati irragionevoli da larga parte della dottrina e non banali difficoltà e incertezze applicative per gli Uffici di registrazione. Nonostante ciò si evidenzierà l’emergere di una linea interpretativa comune alla maggior parte delle decisioni analizzate, tesa a riconoscere un ruolo effettivo all’imperativo di disponibilità nel giudizio di registrazione, seppur solo di carattere strumentale alla valutazione di distintività di un segno. Il capitolo IV illustra come il recente progetto di riforma di Direttiva e Regolamento comunitari non abbia colto l’opportunità di positivizzare tale principio, restando insensibile alla proposta originaria formulata dallo Studio del Max Planck Institut diMonaco di Baviera di inserire un riconoscimento espresso del suo operare all’interno del giudizio di registrazione. Conclusa la prima parte del lavoro dedicata alle interazioni tra il principio di disponibilità dei segni distintivi e la registrazione di marchio, nel capitolo V si entrerà nel terreno meno battuto dei riflessi che lo stesso principio dispiega nei confronti del giudizio di contraffazione. Dopo aver analizzato i diversi meccanismi previsti dal legislatore al fine di salvaguardare il pubblico dominio costituito dalle libere utilizzazioni di un segno registrato, si darà conto della loro scarsa capacità escludente e delle conseguenti minacce che la tutela assoluta prevista per i casi di contraffazione per doppia identità e quella aggravata del marchio che gode di rinomanza pongono alla salvaguardia dello spazio di pubblico dominio, specialmente con riguardo ai numerosi casi in cui il marchio altrui è utilizzato per scopi “atipici”, ovvero non chiaramente distintivi dell’attività imprenditoriale e dei beni o servizi dell’avente diritto. Con riferimento ad essi, l’interprete ha l’arduo compito di capire, di volta in volta, se sia maggiormente meritevole di tutela il titolare di marchio nel suo interesse di escludere i terzi dall’utilizzo del proprio segno, o i terzi stessi nell’interesse antagonista di fare uso del segno per finalità descrittive, espressive, decorative ecc. La giurisprudenza non ha offerto alcuna interpretazione univoca di questo bilanciamento, stentando a tracciare lo spartiacque tra usi leciti ed illeciti del marchio altrui. Molti di questi casi sono allora stati risolti dalla giurisprudenza ricorrendo, per sancirne la liceità, ad un principio di “necessità dell’uso” che porta nel giudizio di contraffazione gli stessi interessi di libera disponibilità presenti in sede di registrazione. Anche all’interno del giudizio di contraffazione, tuttavia, tale interesse resta sostanzialmente un oggetto misterioso per la Corte di Giustizia, che resta ancorata alla contraddizione che vede tale interesse confinato ad operare come principio interpretativo generale della normativa, privo però di qualsiasi implicazione concreta ed effettiva nel giudizio di registrazione e di contraffazione. In conclusione si suggerisce la necessità di sciogliere questo paradosso e si individua nella proposta del Max Planck un’occasione inspiegabilmente mancata per farlo.
Among the 45 Recommendations adopted under the WIPO Development Agenda, two indicate the preservation of public domain as a key task for firms, individuals and Member States. This study explores the notion of “public domain” in relation to trademark law, with particular reference to the challenging issue of how safeguarding it, avoiding misappropriation of signs which should remain usable by the public. Some studies have shown that legal instruments provided by trademark law to keep signs and certain forms of use free, risk not being appropriate counterbalances to prevent the misappropriation of public domain. A general exclusion from registration does not exist for many signs which are part of a communal heritage and even if a refusal for registration may be grounded on the lack of distinctiveness, this requirement may still be overcome, showing that the sign has acquired a “secondary meaning”. Furthermore, a look into the registers reveals that trademark right is often used as a vehicle to extend prior patent, design or copyrights, with great public domain’s concerns. At last, the space of public domain is endangered by the expanded protection of new types of marks and by the anti-dilution enhanced protection, which gave the registered trademark’s owner more general control over his sign, making it unavailable for socially and culturally valuable use, such as news reporting, criticism, review and parody. German case law was the first to address the issue of the safeguard of this room for free signs and uses, suggesting that trademark registration should be subject to a prior assessment of the opportunity that a sign remain public available (Freihaltebedürfnis). This interest raises from the observation of the negative impact that granting rights to certain types of trademark may have on market competition and led most countries to refrain from recognising trademark rights to descriptive and generic signs and functional shapes. Otherwise, by choosing these signs, right holders may acquire strategic competitive advantages on competitors whose marketing strategies and communication, deprived of the opportunity to use them, would result much less effective than that allowed to the trademark’s holder. This advantage has nothing to do with the essential function to guarantee the trade mark as an indication of origin and is therefore not justified in the light of the objectives underlying trade mark law. The ECJ, requested to preliminary ruling on whether this “need to keep free” should play any role in the European trademark law, answered contradictorily. Notwithstanding, courts still rely on public policy concerns in order to preclude or limit the trademark protection, such as the “color depletion” and the “functionality” doctrine used by U.S. Courts for granting protection to color or shape marks. This work suggests that public interest should still play a role as a key-factor in order to assess the distinctive character relevant both in registration and infringement proceedings and shares the view that wording should be added in the Trademark Directive and Regulation, that the assessment of distinctive character should take into account the “right to keep free”. This proposal becomes particularly actual in the light of the works in progress for reforming the European trademark legislation, which appear to have ignored the problem of striking the proper balance between trademark right and public domain.
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Books on the topic "Interessi convenzionali"

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Inzitari, Bruno. Profili del diritto delle obbligazioni: Interessi legali e convenzionali, euro, divieto d'anatocismo, mutuo e tasso usuraio, compensazione, cessione di credito in garanzia, mandato all'incasso, swap, sponsorizzazione, ricevute bancarie. Padova: CEDAM, 2000.

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Cherchi, Alice. Ricerche sulle "usurae" convenzionali nel diritto romano classico. Napoli: Jovene, 2012.

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Termini, Valeria. Motivo finanziario e saggi propri di interesse nella preferenza per la liquidità: Fondamenti e problemi per una teoria dell'interesse convenzionale. Milano: Giuffrè, 1985.

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Passioni, interessi, convenzioni: Discussioni settecentesche su virtù e civiltà. Milano: FrancoAngeli, 1992.

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Tarozzi, Simona. Ricerche in tema di registrazione e certificazione del documento nel periodo postclassico. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg232.

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Abstract:
L’oralità e il formalismo sono aspetti predominanti nella vita socio-economica e giuridica delle civiltà antiche. Il ricorso a riti orali più o meno complessi e a comportamenti formalisticamente preordinati e programmati caratterizza anche la società romana. Ciò non significa, però, che l’uso della scrittura non fosse diffuso. Se ne sentiva, infatti, la necessità per esigenze connesse alla vita pubblica: ad esempio per l’esigenza di dare a tutti i consociati la possibilità di conoscere quanto fosse stato deliberato publice e di conservare per gli interessati il ricordo, sia di quelle convenzioni che fossero intervenute con popoli stranieri e per le quali si era ricorso alla redazione per iscritto, sia degli atti emanati dagli organi di governo. La definizione di Svetonio della scrittura quale "pulcherrimum ac vestustissimum" strumento al servizio del potere (instrumentum imperii) se, da un lato, ne esalta la funzione, dall’altro sembra circoscriverne l’utilizzo in un ambito esclusivamente pubblico
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