Academic literature on the topic 'Infezioni virali'

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Journal articles on the topic "Infezioni virali"

1

Quintaliani, G., R. Brugnano, D. Francisci, and U. Buoncristiani. "Infezioni Virali Nel Trapiantato Renale." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 6, no. 2 (April 1, 1994): 17–19. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.1994.1879.

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2

Lagier, J. C. "Infezioni intestinali, virali e batteriche." EMC - AKOS - Trattato di Medicina 19, no. 2 (June 2017): 1–5. http://dx.doi.org/10.1016/s1634-7358(17)84374-6.

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3

Quintaliani, G., R. Brugnano, D. Francisci, and U. Buoncristiani. "Infezioni Virali Nel Trapiantato Renale." Giornale di Tecniche Nefrologiche e Dialitiche 6, no. 2 (April 1994): 17–19. http://dx.doi.org/10.1177/039493629400600204.

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4

Sensini, Alessandra, Roberto Castronari, Eleonora Pistoni, and Francesco Bistoni. "Infezioni virali del sistema nervoso centrale: meningoencefaliti ed encefalopatie croniche progressive." La Rivista Italiana della Medicina di Laboratorio - Italian Journal of Laboratory Medicine 10, no. 2 (January 29, 2014): 63–81. http://dx.doi.org/10.1007/s13631-014-0052-4.

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5

Ralli, M., R. Rolesi, R. Anzivino, R. Turchetta, and A. R. Fetoni. "Acquired sensorineural hearing loss in children: current research and therapeutic perspectives." Acta Otorhinolaryngologica Italica 37, no. 6 (December 2017): 500–508. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-1574.

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Abstract:
La conoscenza dei meccanismi fisiopatologici delle condizioni responsabili dell’ipoacusia acquisita nei bambini, tra cui le infezioni virali e batteriche, l’esposizione al rumore, l’ototossicità da chemioterapici ed antibiotici aminoglicosidici, è in costante aumento e sta portando ad un progressivo cambiamento della gestione diagnostica e clinica del bambino ipoacusico. Le infezioni virali rappresentano la causa più frequente di sordità infantile acquisita, seguita dalla tossicità di antibiotici e chemioterapici; mentre l’esposizione al rumore, soprattutto negli adolescenti, rappresenta un fattore emergente. Le terapie farmacologiche protettive attualmente in uso includono steroidi, antiossidanti, antivirali; l’efficacia degli antiossidanti è ancora in fase di conferma clinica anche se vi sono significative evidenze sperimentali, mentre i farmaci steroidei ed antivirali sono certamente validi seppur la loro tossicità sistemica rappresenti ancora un problema non chiarito per i quali la somministrazione locale potrebbe rappresentare una possibile evoluzione. Le prospettive di ricerca future includono l’uso di nanoparticelle per veicolare molecole direttamente nel sito di danno; inoltre, la terapia genica con l’inserimento di materiale genetico all’interno delle cellule per la cura di condizioni da alterazione del patrimonio genetico con la produzione di proteine normali, potrebbe svolgere un ruolo rilevante nella cura e soprattutto nella prevenzione delle sordità acquisite; infine, la terapia rigenerativa e l’impianto delle cellule staminali, nonostante il loro ruolo nell’orecchio interno sia ancora dibattuto, per le notevole limitazioni del loro impiego, potrebbe trovare un ruolo nei processi riparativi più che nella differenziazione in cellule sensoriali.
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Comoli, P., R. Raschetti, N. Zavras, T. Cavallero, F. Rè, and F. Ginevri. "Monitoraggio e gestione delle infezioni virali in riceventi pediatrici di trapianto renale." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 23, no. 3 (January 24, 2018): 38–44. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2011.1474.

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7

Comoli, P., R. Raschetti, N. Zavras, T. Cavallero, F. Rè, and F. Ginevri. "Monitoraggio e gestione delle infezioni virali in riceventi pediatrici di trapianto renale." Giornale di Tecniche Nefrologiche e Dialitiche 23, no. 3 (July 2011): 38–44. http://dx.doi.org/10.1177/039493621102300309.

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Andreula, C. F., G. Marano, and A. Carella. "Excursus RM di malattie infettive." Rivista di Neuroradiologia 5, no. 3 (August 1992): 331–47. http://dx.doi.org/10.1177/197140099200500305.

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Abstract:
Obiettivo di questo breve compendio di malattie infettive ha quello di fornire una mappa indicativa delle patologie infettive del sistema nervoso centrale di più frequente riscontro. In questo piccolo excursus abbiamo tentato di caratterizzare ogni malattia con cenni sulla biocinetica degli agenti microbici, sulla dinamica del danno tessutale e sul quadro neuroradiologico, trascurando la sintomatologia clinica. Le infezioni virali, batteriche, da spirochete, fungine, parassitarie e da protozoi che abbiamo esaminato differiscono le une dalle altre per tipo e qualità di danno tessutale (meningite, meningiti con interessamento del parenchima sottostante, meningo-encefaliti ematogene, lesioni focali parenchimali). Tali differenze, fatte salve poche eccezioni, non consentono però in tutti i casi una diagnosi differenziale, generalmente frutto di un lavoro di equipe tra clinico, infettivologo, microbiologo e neuroradiologo; ciò però non deve fuorviare dal tentativo di dare una risposta quanto più possibile esauriente ai quesiti che giornalmente vengono posti.
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Lombardi, Marco. "Il punto su epatite B e C in dialisi: riflessioni sulla contumacia dei pazienti." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no. 4 (June 30, 2014): 321–25. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.931.

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Abstract:
Il presente contributo cerca di analizzare criticamente il ruolo della contumacia in relazione al rischio della trasmissione delle infezioni ematogene in emodialisi ospedaliera. Per fare ciò, l'Autore si avvale del confronto di due articoli apparsi sul GIN, organo ufficiale della SIN. Il primo si fonda sui dati e sulle raccomandazioni emanate dalla maggiore agenzia per la prevenzione delle infezioni (CDC), che, in aggiunta alle note precauzioni Universali e Speciali, raccomanda alcune procedure Supplementari, tra cui l'isolamento dei pazienti HBsAg positivi. Il secondo articolo si fonda sul fatto che la migliore misura preventiva e sufficiente per assicurare le minori diffusione e trasmissione delle infezioni sia nosocomiali che occupazionali risiede nell'adozione costante e continua di tutte le precauzioni Universali e Speciali, sottolineando, al contempo, l'importanza del monitoraggio continuo e costante delle misure adottate e dei risultati ottenuti. Altre possibili obiezioni alla misura dell'isolamento sono la non assoluta protezione fornita dagli anticorpi antiHBs, l'esistenza di ceppi mutanti di HBV in grado di infettare anche pazienti con titolo protettivo di anticorpi antiHBs e la possibilità di infezioni occulte. In un'epoca in cui l'allocazione delle risorse economiche ha un'importanza crescente, stride che i centri dialisi debbano avere aree separate a disposizione dei pazienti HBV infettanti, quando esistono misure che, senza questo aggravio organizzativo, sono in grado di fare meglio o altrettanto. Oggi non è più sostenibile che il razionale della contumaciazione dei pazienti HBV positivi possa trovare la sua maggiore ragione nell'elevata sopravvivenza virale nell'ambiente e nell'elevata carica ematica, quando sappiamo che, grazie all'applicazione delle precauzioni, nessun virus ematogeno potrà/dovrà trovarsi o restare impunito su superfici, suppellettili, strumentazioni, mani e così via.
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Marchetti, Federico. "La recrudescenza delle infezioni (anche) da streptococco beta-emolitico di gruppo A?" Medico e Bambino 42, no. 1 (January 30, 2023): 45–47. http://dx.doi.org/10.53126/meb42045.

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Abstract:
Since the beginning of December 2022, unusually high number of Group A Streptococcus (GAS) infec-tions among children have been reported across at least five Member States in the European Region (France, Ireland, Sweden, Holland and the United Kingdom). At the moment in Italy there has not yet been a report of an increase in cases of GAS infections, which could be either real or due to the lack of adequate monitoring. It is essential to implement adequate population monitoring systems also for GAS infections and pay particular attention to the clinical pictures that GAS can determine, both slight and dangerously invasive infections (iGAS). The increase in the cases of iGAS, as well as those from viral respiratory infections, is clearly related to the restrictions that have been adopted during the Covid-19 pandemic and only the return to the normal circulation of microbial agents will be able to avoid fur-ther infectious endemic clusters by restoring the “immune debt” phenomenon that has occurred.
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Dissertations / Theses on the topic "Infezioni virali"

1

MAZZACCARO, DANIELA PALMIRA. "RUOLO DELLE INFEZIONI VIRALI NELLA DESTABILIZZAZIONE DELLA PLACCA ATEROSCLEROTICA CAROTIDEA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2021. http://hdl.handle.net/2434/821118.

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Abstract:
Recentemente, molti studi hanno dimostrato che gli agenti virali possono essere coinvolti nella patogenesi dell’aterosclerosi. Tuttavia, il ruolo degli stessi nella destabilizzazione delle placche aterosclerotiche non è ancora stato chiarito, e nemmeno i meccanismi molecolari sottostanti. Sulla base dei dati attualmente disponibili in letteratura, abbiamo ipotizzato che gli agenti virali possano promuovere la destabilizzazione delle placche aterosclerotiche già presenti, attraverso un’infezione diretta o mediando una risposta immunitaria con cambiamenti sistemici e soprattutto locali nell'espressione delle citochine e chemochine pro-infiammatorie, e con conseguente attivazione di pathways molecolari che porterebbero alla sovraregolazione dell'espressione dei recettori scavenger sulla superficie dei macrofagi con maggiore affinità per le LDL ossidate (CD36 e Lectine-Like-oxLDL-receptor 1 – LOX-1). Scopo dello studio è stato pertanto quello di studiare la presenza di materiale genetico di alcuni agenti virali nelle placche carotidee di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico di endarterectomia carotidea (CEA) presso l'IRCCS Policlinico San Donato (Unità Operativa di Chirurgia Vascolare), l'espressione di citochine infiammatorie locali e sistemiche e di PPAR-γ, correlando i risultati ottenuti con la vulnerabilità della placca asportata. Sono stati analizzati i dati di 50 pazienti (età media 73,7 + 8,8 anni), 31 dei quali con placca vulnerabile (62%). Le comorbidità dei pazienti con placca vulnerabile erano paragonabili a quelle dei pazienti con placca stabile. Il genoma del Citomegalovirus (CMV), Herpes-Simplex (HSV), Varicella Zoster (VZV) e Influenza Virus (IV) non è stato trovato in nessun campione vascolare. Al contrario, il genoma di Epstein-Barr (EBV) è stato trovato in due placche vulnerabili, in particolare in entrambi i casi è stato identificato nel "core" ma non nella rispettiva area di controllo. La determinazione sierologica delle IgM anti-EBV, CMV, HSV e VZV e delle IgA anti IV è stata negativa in tutti i casi, mentre per le IgG ha rivelato che tutti i pazienti erano stati esposti a EBV, il 98% a CMV, il 68% a VZV e il 12% a HSV. Nessun paziente è stato operato in una possibile fase attiva dell'influenza e quasi la metà di loro (22/50, 44%) era stata vaccinata contro IV nei 6 mesi precedenti e risultava coperta da IgG. L'esposizione virale dei pazienti con placca vulnerabile non era significativamente diversa da quella dei pazienti con placca stabile. Tuttavia, l'82% dei pazienti non sottoposti a vaccinazione antinfluenzale (23/28) aveva una placca carotidea vulnerabile, rispetto al 36% dei pazienti vaccinati (8/22, P = 0,001). I livelli plasmatici delle citochine infiammatorie (in particolar modo TNF-α e IL-6) erano più alti nel sangue di pazienti con placca vulnerabile rispetto ai pazienti con placca non vulnerabile, tuttavia in maniera indipendente rispetto alle comorbilità, alle esposizione agli agenti virali o alla vaccinazione antinfluenzale. L’espressione genica delle stesse citochine nella placca era maggiore nel “core” rispetto al controllo, soprattutto nelle placche vulnerabili. Anche in questo caso, non vi sono state differenze significative nell’espressione di tali citochine in base alle comorbilità o all’esposizione virale, tuttavia nei pazienti con placca vulnerabile l’espressione di TNF-α nel “core” era maggiore in coloro che non erano stati sottoposti alla vaccinazione antinfluenzale rispetto ai vaccinati, mentre per IL-10 si è osservato il contrario. Nelle placche vulnerabili, inoltre, è stato osservato che PPAR-γ tende ad essere più espresso nel “core” rispetto al controllo, e soprattutto nei pazienti che non si erano sottoposti alla vaccinazione antinfluenzale. Peraltro, nel gruppo di pazienti con placca vulnerabile, l’espressione genica di PPAR-γ nel core delle placche è risultata direttamente correlata all’espressione genica di TNF-α, IL-1β e IL-10. L’esame immunoistochimico infine ha evidenziato una maggior presenza di CD36 e LOX-1 nel core delle placche vulnerabili rispetto a quelle definite come non vulnerabili. Alla luce dei nostri risultati, non è pertanto attualmente possibile attribuire il ruolo di destabilizzatori della placca agli agenti virali analizzati. Tuttavia, è stata evidenziata una significativa differenza nell’incidenza di vulnerabilità di placca tra i pazienti sottoposti a vaccinazione antinfluenzale rispetto a quelli non vaccinati.
Recently, many studies have shown that viral agents can be involved in the pathogenesis of atherosclerosis. However, their role in destabilizing atherosclerotic plaques has not yet been elucidated, and neither have their underlying molecular mechanisms. On the basis of the data currently available in the literature, we hypothesized that viral agents can promote the destabilization of already present atherosclerotic plaques, through direct infection or by mediating an immune response with systemic and especially local changes in the expression of inflammatory cytokines and chemokines, and with consequent activation of molecular pathways that would lead to the upregulation of the expression of scavenger receptors with greater affinity for oxidized LDL (CD36 and Lectine-Like-oxLDL-receptor 1 - LOX-1) on the macrophages. The aim of the study was therefore to investigate the presence of genetic material of some viral agents in the carotid plaques of patients undergoing carotid endarterectomy (CEA) at IRCCS Policlinico San Donato (Vascular Surgery Unit), the expression of local and systemic inflammatory cytokines and PPAR-γ, correlating the results obtained with the vulnerability of the removed plaque. Data from 50 patients (mean age 73.7+8.8 years) were analyzed, 31 of whom had a vulnerable plaque (62%). The comorbidities of patients with vulnerable plaque were comparable to those of patients with stable plaque. The genome of Cytomegalovirus (CMV), Herpes-Simplex (HSV), Varicella Zoster (VZV) and Influenza Virus (IV) was not found in any of the vascular sample, while the Epstein-Barr (EBV) genome was found in two vulnerable plaques, in particular in both cases it was identified in the "core" but not in their respective control area. The serological determination of anti-EBV, CMV, HSV, VZV IgM and anti-IV IgA was negative in all cases, while for IgG it revealed that all patients had been exposed to EBV, 98% to CMV, 68% to VZV and 12% to HSV. No patients were operated on in a possible active phase of influenza and nearly half of them (22/50, 44%) had been vaccinated against IV in the previous 6 months, and resulted protected by the IgG. The viral exposure of patients with vulnerable plaque was not significantly different from that of patients with stable plaque. However, 82% of patients not receiving influenza vaccination (23/28) had a vulnerable carotid plaque, compared with 36% of vaccinated patients (8/22, P=0.001). Plasma levels of inflammatory cytokines (particularly TNF-α and IL-6) were higher in patients with vulnerable plaque than in patients with non-vulnerable plaque, however independently of comorbidities, viral exposure or flu vaccination. Gene expression of the same cytokines in the plaque was greater in the "core" than in the control, especially in vulnerable plaques. Again, there were no significant differences in the expression of these cytokines based on comorbidities or viral exposure, however in patients with vulnerable plaque the expression of TNF-α in the "core" was greater in those who had not received the influenza vaccination compared to those who did. For IL-10 the opposite was observed. In addition, in vulnerable plaques, PPAR-γ tended to be more expressed in the “core” than in the control, especially in patients who had not undergone influenza vaccination. Moreover, in the group of patients with vulnerable plaque, the gene expression of PPAR-γ in the “core” of the plaques was found to be directly related to the gene expression of TNF-α, IL-1β and IL-10. Finally, the immunohistochemical examination revealed a greater presence of CD36 and LOX-1 in the “core” of the vulnerable plaques compared to stable ones. In light of our results, it is therefore not currently possible to define a possible relation between plaque vulnerability and the viral agents analyzed. However, there was a significant difference in the incidence of plaque vulnerability among patients undergoing influenza vaccination compared to those not vaccinated.
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RUSSO, DARIO. "Diagnosi parallela automatizzata di infezioni virali trasmissibili per via ematica (HIV, HCV, HBV)." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2007. http://hdl.handle.net/2434/33618.

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Abstract:
Automated parallel diagnosis of viral infections transmitted in haematic tract. The aim of this study was to develop a complete system for the identification and quantification of HBV, HCV, HIV using molecular biological techniques by means of Real Time PCR. The first step was to develop a positive control, valid for all considered viruses, absolutely free from risk of infection due to the fact that they are synthetic clones. The second step of this study was to develop a complete kit in basic PCR with detection by gel electrophoresis, to identify specific sequences of viral genomes. This test uses a solid thermopolimers mix which allows retrotranscription and amplification to be performed separately in a single vial. The third step was to develop a complete kit in real time PCR to quantify the viral concentrations using, in a first phase, a simple liquid mix and, in a second phase, a solid thermopolimers mix. At the end of my ph.D study it was produced a complete system containing a positive control to check the system and to make a real time standard curve. The real innovation of this study was the development of a solid master mix that delivers a rapid but highly specific test for the 3 viruses simultaneous
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Martinelli, M. "SORVEGLIANZA DELLE INFEZIONI RESPIRATORIE ACUTE (ARI): APPROCCI INNOVATIVI PER L'IDENTIFICAZIONE E LA CARATTERIZZAZIONE DEGLI AGENTI VIRALI COINVOLTI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/232585.

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Abstract:
Surveillance of acute respiratory infections (ARI): innovative approaches for the identification and characterization of viral agents Introduction. Acute respiratory infections (ARI) are ubiquitous, air-borne transmitted and highly contagious infections, characterized by typical epidemic pattern. Though ARI causative agents may be bacterial or viral, viruses are by far the most common causes of ARI. In recent years, the global epidemiological scenario has been enlivened by the identification and emergence of many airborne pathogens (such as influenza viruses A/H5N1, A/H7N7, A/H7N9, coronaviruses SARS and MERS), which have been co-circulating along with the already known viral strains (i.e. seasonal influenza viruses, parainfluenza viruses, respiratory syncytial viruses, etc.), thus highlighting the public health concern about emerging infectious disease. Objectives. The project aimed at applying new molecular biology techniques, "virus discovery" methodology and bioinformatics analyses to investigate the etiology of ARI. The specific objectives were: 1) Identification of viral pathogens responsible of severe acute respiratory infections (SARI) and acute respiratory distress syndrome (ARDS) during the pandemic and post-pandemic (2009-2011). On purpose, the proportion of SARI/ARDS cases and deaths due to A(H1N1)pdm09 infection and the impact of other respiratory pathogens were evaluated during the pandemic and post-pandemic period in Lombardy. Additionally, unknown viruses were investigated in those cases for which diagnosis remained negative by using VIDISCA-454 methodology, a “virus discovery” technique. This analysis was performed at the Laboratory of experimental virology, Academic Medical Center (AMC), University of Amsterdam, where I completed an internship under the supervision of Prof. Lia van der Hoek. 2) Evaluating the genetic variability and molecular evolution of respiratory syncytial virus (RSV). In order to reconstruct the origin and phylodynamic history of RSV, the genetic diversity and evolutionary dynamics of RSV A and RSV B identified in respiratory specimens collected from children aged ≤ 3 years hospitalized in Lombardy for ARI over six epidemic seasons (2006 to 2012) were analyzed. Materials and methods 1) From October 2009 to December 2011, 206 respiratory samples were collected from patients (61.2% males, median age: 44.3 years) hospitalized for SARI/ARDS. Nucleic acids were purified by NucliSENS® easyMAG® (bioMérieux, France), and analyzed by real-time RT-PCR assay to identify influenza virus. The clinical specimens that resulted negative to influenza virus detection were then screened by real-time RT-PCR/PCR for a panel of respiratory pathogens (Respiratory MWS r-gene™ Real-time PCR, bioMérieux, France) to detect: RSV A and B; human metapneumovirus (hMPV) A and B; human rhinovirus (hRV) and enterovirus (hEV); adenovirus (AdV); human bocavirus (hBoV) 1-4; human coronavirus (hCoV) 229E, NL63, OC43, HKU1; human parainfluenza virus (hPIV) 1-4; Chlamydophila pneumoniae; Mycoplasma pneumoniae. Cases resulted negative to all diagnostic assays were further investigated by VIDISCA-454 (virus discovery cDNA-AFLP) technique. This is a virus discovery method based on recognition of restriction enzyme cleavage sites, ligation of adaptors and subsequent amplification by PCR combined with high-throughput sequencing 454 FLX/Titanium system of Roche. 2) RSV A (n=23) and RSV B (n=12) sequences obtained from oro-pharyngeal swabs of RSV-infected children aged ≤3 years hospitalized for ARI from 2006 to 2012 were considered for molecular characterization. Sequences were obtained by multiplex-PCR to amplify a fragment of RSV G gene and several bioinformatic programs were used for the phylogenetic and phylodynamic analysis. Phylogenetic trees of RSV A and RSV B sequences were constructed by MEGA 5 program using the Neighbor-Joining method to identify RSV genotypes circulating and a bootstrap re-sampling analysis was performed to test tree robustness. To clarify RSV variability, amino acid mutations analysis was performed, and potential N-glycosylation and O-glycosylation sites were predicted by NetNGlyc 1.0 and NetOGlyc 3.1 programs, respectively. To evaluate site-specific selection pressure, different Maximum Likelihood approaches were applied (SLAC, FEL/IFEL, and MEME) by DATAMONKEY. To assess the evolutionary dynamics of RSV A and B, dated trees and evolutionary rates were estimated by BEAST with a Bayesian Markov Chain Monte Carlo (MCMC) approach. This analysis allowed identifying the time of the most recent common ancestor (tMRCA). Results and discussion 1) During the pandemic and post-pandemic different pathogens have co-circulated and were associated with clinical cases in the study, but influenza virus A(H1N1)pdm09 showed the greatest impact. Influenza A(H1N1)pdm09 virus was detected in 58.3% (120/206) of SARI/ARDS cases (61.7% males; 13.3% aged ≤5 years, 67.5% aged 6-64 years). A(H1N1)pdm09 was identified in 77.8% of fatal ARDS cases. The impact of respiratory pathogens other than A(H1N1)pdm09 was 19.4% (40/206) (65% males; 30% aged ≤5 years, 47.5% aged 6-64 years). The influence of other respiratory viruses was significantly lower (19.4% vs. 58.3%, p<0.0000001): hRV/hEV were the most commonly detected viruses, but also A(H3N2) influenza virus has played a significant role. Forty-six (46/206: 22.3%) SARI/ARDS cases (including two fatalities) resulted negative to all diagnostic assays and were further investigated by VIDISCA-454 that revealed no sequence reads that could belong to a novel virus or viral variant; however it enabled the identification of one case of undiagnosed measles. VIDISCA-454 methodology proved to be a sensitive and specific method, successfully applied to the monitoring of viral respiratory infections. Anyway, nearly 22% of SARI/ARDS cases did not obtain a definite diagnosis. In clinical practice, great efforts should be devoted to improve diagnosis of severe respiratory infections and to reduce such “diagnostic gap”. The advantage from relying upon more accurate diagnosis could benefit the patient - in term of receiving the more appropriate antiviral drugs -, and could provide more detailed information on viruses circulating in the community, thus making public health authorities aware so as to adjust their policies accordingly. 2) From phylogenetic analysis resulted that 3 RSV A sequences clustered in genotype GA2 and all the other isolates clustered with NA1 genotype. Compared to the reference strain, 31 amino acid substitutions were identified. Phylogenetic analysis of RSV B sequences showed that study sequences were included in BA genotype tended to cluster within a clade including also reference sequence BA4 and 8 amino acid substitutions were identified among all of them. Similar mean evolutionary rates for RSV A and RSV B were estimated, 2.1x10-3 subs/site/year (95% highest density probability (HPD): 1.7-2.5x10-3) and 3.03x10-3 subs/site/year (95%HPD: 2.1-3.9x10-3), respectively. The tMRCA for the RSV A tree root was 71 years (95%HPD: 60-85), suggesting an origin of the currently circulating strains back to 1940s. The study strains within clade NA1 shared a single significant internal node with an estimated mean tMRCA of 7 years ago (2005). The three GA2 strains had a significant tMRCA dating back to 16 years ago (95%HPD = 14-18). The dated tree obtained with RSV B strains showed a temporal-structure similar to RSV A. In particular, the tree root had an estimated mean tMRCA of 55 years ago (1957). All the studying strains clustered within a significant subclade, having a tMRCA estimate of 9 years ago (2003), including also a single BA4 strain. The RSV A Bayesian skyline plots (BSP) showed a first pick of the number of effective infections in the second half of 1980s, followed by a decrease of transmission events ending in about 2005, when a sharp growth restored the original viral population size. The RSV B BSP showed a similar trend, with a decrease in the effective number of infections occurring between the mid-1980s and 1990s, followed by a rapid growth in early 2000s. The RSV A site-specific selection analysis identified 10 codons under positive selection and a total of 39 sites were found to be under negative selection. The RSV B codon-specific selection analysis identified only one positively selected site and 27 negatively selected. Different patterns of O- and N-glycosilation sites were found by analyzing RSV A and RSV B studied sequences. Phylogenetic and phylodynamic analysis permitted to better understand the natural history of the virus, even if RSV remains difficult to control due to its antigenic diversity. G protein variability may play a significant role in RSV pathogenesis by allowing immune evasion. It is important monitoring changes in sequences coding this protein to permit the identification of future epidemic strains and to implement both vaccine and therapy strategies. This study thus contributed to have a better knowledge on the molecular epidemiology of RSV in Lombardy and provided data for a comparative analysis with other strains circulating in other regions of the world. Conclusions. This project showed that respiratory virology needs a constant update of diagnostic procedures and surveillance scheme, essential support in the study and monitoring of viral infections of both classic and, above all, emerging or newly identified viruses. The application of cutting-edge technologies can be a successful tool for public health to face such emerging threats.
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SALA, ELEONORA. "Caratterizzazione dei determinanti della differenziazione delle TH1 e TFH in seguito a infezioni virali: il ruolo dell'IFN-γ." Doctoral thesis, Università Vita-Salute San Raffaele, 2022. http://hdl.handle.net/20.500.11768/133064.

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Abstract:
Durante le infezioni virali, le risposte adattative umorale e cellulare possono trovarsi in uno stato di coesistenza competitiva ed equilibrio per massimizzare l’eliminazione del virus. Tuttavia, in alcuni casi, questo delicato equilibrio può essere alterato, inducendo una risposta a prevalere sull’altra. Ad esempio, l'infezione da virus della stomatite vescicolare (VSV) induce risposte anticorpali neutralizzanti precoci e potenti, mentre l'infezione da virus della coriomeningite linfocitica (LCMV) induce forti risposte cellulari, ma deboli risposte neutralizzanti. Dati preliminari ottenuti nel nostro laboratorio hanno mostrato che lo squilibrio si osserva anche a livello delle risposte dei linfociti T CD4, con VSV che induce una forte polarizzazione verso T helper follicolari (TFH) che supportano le risposte neutralizzanti e LCMV al contrario che promuove la differenziazione verso T helper 1 (TH1). In questo progetto abbiamo analizzato i fattori determinanti la differenziazione delle cellule T CD4 che si sviluppano nel contesto delle infezioni virali. L'analisi delle nicchie di priming di VSV e LCMV ha portato all'identificazione della regolazione spaziotemporale dell'espressione di interferone (IFN) di tipo I come regolatore critico della polarizzazione delle cellule TFH. In particolare, nel contesto dell'infezione da VSV, la secrezione precoce di IFN di tipo I viene sentita dalle cellule dendritiche, che in risposta producono IL-6, inducendo la polarizzazione delle cellule TFH. Diversamente, l'esposizione tardiva all'IFN di tipo I nel contesto dell'infezione da LCMV determina una ridotta differenziazione delle cellule TFH. In aggiunta, abbiamo osservato una profonda eterogeneità tra le cellule TH1 che si sviluppano in risposta all'infezione da LCMV, che comprendono due sottopopolazioni: una che esprime TCF-1 e una che esprime GzmB. Abbiamo dimostrato che lo sviluppo di queste TH1 è indipendente da IL-12 e IFN di tipo I. Invece, abbiamo identificato l'IFN-γ come interruttore molecolare critico per la differenziazione delle cellule T CD4, spostando l'equilibrio verso la differenziazione TH1 a scapito dello sviluppo delle TFH e delle risposte delle cellule B del centro germinativo. Il meccanismo molecolare è ancora oggetto di studio, ma i dati preliminari suggeriscono un ruolo dell'IFN-γ nel sopprimere il differenziamento della popolazione TCF-1 verso TFH. I nostri risultati fanno luce sui nuovi meccanismi alla base della produzione inefficiente di anticorpi neutralizzanti in risposta a virus non citopatici come LCMV.
Although humoral and cellular immunity upon viral infections usually co-exist, sometimes one of the two responses emerges and is responsible for most of the antiviral activity. For example, vescicular stomatitis virus (VSV) infection induces early and potent neutralizing antibody (nAb) responses, whereas lymphocytic choriomeningitis virus (LCMV) infection induces strong cellular responses, but weak nAb responses. Preliminary data obtained in our laboratory showed that unbalance is observed also at the level of CD4 T cells responses, with VSV inducing strong TFH polarization that support nAb responses, and LCMV in contrast promoting TH1 differentiation. Here we dissected the determinants of CD4+ T cell differentiation upon viral infections. Analysis of the VSV and LCMV priming niches led to identification of the spatiotemporal regulation of type I IFN expression as a critical regulator of antiviral TFH cell polarization. In particular, in the context of VSV infection, early type I IFNs sensing by DCs induced production of the cytokine IL-6 and drove TFH cell polarization, whereas late exposure to type I IFN in the context of LCMV infection resulted in impaired TFH cell differentiation. Moreover, we unveiled a profound heterogeneity among the TH1 cells that arise in response to LCMV infection, that comprise a TCF-1+ subset and a GzmB+ subset. We proved that the development of these TH1 is independent of IL-12 and type I IFNs. Instead, we identified IFN-γ as a critical molecular switch of CD4+ T cell differentiation, tipping the balance towards TH1 differentiation at the expense of TFH development and GC-B cell responses. The molecular mechanism is still under investigation, but preliminary data suggest a role of IFN-γ in suppressing the commitment of the TCF-1+ population into TFH. Our results shed light on new mechanisms underlying the inefficient nAbs production in response to non-cytopathic viruses such as LCMV.
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SPOSITO, BENEDETTA. "Type III Interferons: Running Interference with Mucosal Repair." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2023. https://hdl.handle.net/10281/402377.

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Abstract:
Gli interferoni (IFN) sono mediatori e regolatori fondamentali della risposta immunitaria dell'ospite a virus e ad altri agenti microbici. Gli IFN di tipo I e di tipo III (o IFN-λ) sono tra le prime citochine ad essere indotte in seguito a infezioni virali. Il legame tra gli IFN e i rispettivi recettori attiva vie di trasduzione del segnale simili tra loro che inducono l'espressione di geni stimolati dagli IFN (ISG) con funzioni antivirali. La caratteristica principale che rende ciascuna di queste famiglie di IFN unica e non ridondante è l'esistenza di recettori distinti che fanno sì che gli IFN-I attivino una risposta ubiquitaria e che gli IFN-III agiscano esclusivamente sulle cellule epiteliali e su un sottoinsieme di cellule immunitarie. Ulteriori distinzioni riguardano la natura meno infiammatoria degli IFN-III e la loro induzione solitamente anticipata rispetto a quella degli IFN-I. Pertanto gli IFN-III sono considerati i difensori di prima linea delle mucose con la capacità di attivare una risposta antivirale precoce senza causare danno tissutale. Se la loro azione risulta insufficiente a contenere l’infezione, il sistema passa all’induzione degli IFN-I, i quali generano una risposta antivirale e infiammatoria più potente e a livello sistemico, che tuttavia può portare ad immunopatologia. Nel corso della mia tesi ho verificato l'ipotesi secondo cui anche gli IFN-III possano causare immunopatologia, in particolare durante infezioni virali delle vie respiratorie e in contesti di danno all’epitelio gastrointestinale in malattie infiammatorie croniche intestinali e lesioni da radiazioni. In primo luogo, io e i miei colleghi abbiamo dimostrato che in un polmone in cui è stata indotta una risposta antivirale, gli IFN-III prodotti dalle cellule dendritiche inibiscono la proliferazione delle cellule epiteliali portando ad una compromissione del rigenerazione della barriera e ad un aumento della suscettibilità ad infezioni batteriche. In seguito abbiamo analizzato la produzione di IFN lungo il tratto respiratorio di pazienti affetti da COVID-19. Abbiamo trovato che, nelle alte vie aeree, l'espressione di IFN-I/III correla con la carica virale e che negli anziani, che presentano un maggiore rischio di sviluppare una patologia severa, questa correlazione è più debole o assente. Una forte espressione di IFN-λ1, IFN-λ3 e ISG caratterizza le alte vie aeree di pazienti con sintomatologia lieve, mentre risultano fortemente espressi gli IFN-I, IFN-λ2 e un insieme di geni antiproliferativi e proapoptotici lungo tutto il tratto respiratorio di pazienti ospedalizzati, suggerendo che possano ostacolare il processo di riparazione dell’epitelio. Infine, abbiamo dimostrato che gli IFN-III ritardano la rigenerazione dell'intestino tenue e del colon in seguito a danno da radiazioni o da colite indotta da destrano sodio solfato, poiché contribuiscono a indurre la morte cellulare delle cellule epiteliali tramite la formazione di un complesso proteico costituito da Z-DNA binding protein (ZBP1) e gasdermin C (GSDMC). I nostri risultati mettono in discussione il ruolo degli IFN-III come protettori delle mucose poiché indicano che quando non propriamente regolati possono causare immunopatologia. Queste evidenze portano alla necessità di progettare l’uso clinico degli IFN di tipo III in modo da evitare le loro funzioni dannose per i tessuti e massimizzarne gli effetti benefici.
Interferons (IFNs) are fundamental mediators and regulators of the host immune response to viruses and other microbial agents. Type I and type III IFNs (also known as IFN-λ) are some of the first cytokines to be induced upon detection of viral infections. Signaling through their specific receptors leads to the activation of a similar signaling cascade that triggers the expression of a common set of IFN-stimulated genes (ISGs) with antiviral effector functions. The main feature that makes each of these families of IFNs unique and nonredundant is the existence of distinct receptors that differentiate them in their ability to act on virtually every cell type (type I IFNs) or exclusively on epithelial cells and a subset of immune cells (type III IFNs). Despite inducing a widely overlapping set of genes, IFN-I can mount a stronger proinflammatory response compared to IFN-III. This, coupled with the earlier induction of IFN-III upon infection, has led to the classification of IFN-III as front-line defenders of mucosal surfaces with the ability to initiate an early antiviral response with minimal tissue-damaging effects. If their response is insufficient the system shifts to the more potent and broader-acting antiviral and inflammatory IFN-I response that can cause immunopathology. In the course of my thesis, I have tested the hypothesis that also IFN-III contribute to immunopathology at barrier sites such as the respiratory and gastrointestinal epithelia during viral infections and inflammatory bowel disease/radiation-induced injury respectively. First, my colleagues and I found that in a mouse model where we mimicked the induction of antiviral responses in the respiratory tract, IFN-III produced by lung dendritic cells inhibited the proliferation of lung epithelial cells leading to an impairment in barrier restoration and an increase in susceptibility to bacterial infections. Then we measured IFN responses along the respiratory tract of COVID-19 patients. We uncovered that in the upper airways expression of IFN-I/III correlated with viral load and elderly patients, that have a higher risk of developing severe COVID-19, had a dysregulation in the IFN response. A strong expression of IFN-λ1, IFN-λ3 and ISGs characterized the upper airways of mild patients. IFN-I and IFN-λ2 together with antiproliferative and proapoptotic genes were upregulated along all the respiratory tract of severe COVID-19 patients, suggesting that they might contribute to the impairment of epithelium restitution. Finally, we demonstrated that IFN-III delayed colon and small intestine repair after dextran sulfate sodium-induced colitis and radiation-induced injury by triggering cell death of epithelial cells via the formation of a novel protein complex that includes Z-DNA binding protein (ZBP1) and gasdermin C (GSDMC). Our findings challenge the role of IFN-III as protectors of mucosal barriers as they indicate that a dysregulated IFN-III response holds the potential to contribute to immunopathology. Therefore, the clinical use of type III IFNs should be designed in such a way that their tissue-damaging functions are avoided and their beneficial effects are maximized.
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Palermo, Concetta Ilenia. "Ruolo delle infezioni erpetiche nelle affezioni respiratorie di pazienti critici sottoposti a ventilazione assistita." Thesis, Università degli Studi di Catania, 2011. http://hdl.handle.net/10761/166.

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Abstract:
Le patologie a carico delle basse vie respiratorie sono da considerarsi fra le principali cause di morbidita' e mortalita' a livello mondiale. La loro incidenza e' in continuo aumento: l'OMS stima che nel 2020 queste patologie rappresenteranno la terza causa di morte nel mondo. L'etiologia di queste patologie e' varia ed i microorganismi ne rappresentano certamente una delle piu' rilevanti cause. Nelle patologie polmonari ad etiologia virale sono spesso chiamati in causa Paramyxoviridae e Orthomyxoviridae; i virus herpetici raramente fanno parte del protocollo di indagine diagnostica poiche' le conoscenze sul ruolo patogenetico di tali virus sono scarse e, quindi, non sono attualmente disponibili studi epidemiologici consolidati. Oggetto di questo studio e' stato la valutazione del potenziale e spesso sottostimato ruolo dei virus erpetici nell'insorgenza o nell'evoluzione infausta delle patologie respiratorie di pazienti critici. Sono stati analizzati 158 lavaggi bronco-alveolari provenienti da pazienti ricoverati per gravi patologie respiratorie acute presso le Unita' di Terapia Intensiva di alcuni nosocomi catanesi. Per lo studio retrospettivo sono state impiegate metodiche di isolamento virale e Real-Time PCR, rispettivamente per la valutazione dell'attivita' replicativa del virus e la significativita' clinica espressa in termini di carica virale (viral load) correlata ai giorni di ventilazione assistita cui era stato sottoposto il paziente fino al momento del prelievo. Nel 57,6% (91/158) dei campioni e' stato possibile rilevare la presenza del DNA di almeno uno, spesso di due o piu', dei virus erpetici ricercati (HSV1, VZV, CMV, EBV, HHV7). In particolare: nel 19% (30/158) e' stato reperito HSV1, nel 10,7% (17/158) CMV, nel 16% EBV (26/158) e nel 46% (68/158) HHV7; non e' stata riscontrata alcuna positivita' per VZV. Sulla base dei dati osservati, relativi al rilevamento di acido nucleico virale e alla durata della ventilazione meccanica, e' stata evidenziata un'associazione statisticamente significativa solo per HSV1 DNA e la durata di ventilazione assistita riconducibile a piu' di 7 giorni (p<0,05). Il valore del viral load, in alcuni casi, aumentava in maniera direttamente proporzionale ai giorni di ventilazione assistita e raggiungeva fino a 108 gEq/ml per HSV1, a fronte dei 102-104 gEq/ml osservati per CMV ed EBV. In conclusione la prevalenza dei virus erpetici, e soprattutto il reperimento di HSV1 accompagnato da una sostanziale carica virale, confermerebbe l'importanza che i questi virus potrebbero avere nelle patologie respiratorie insorgenti in soggetti immunocompromessi. Pertanto, l'introduzione della ricerca dei sopracitati virus nei protocolli diagnostici favorirebbe un pronto intervento ed una terapia mirata che potrebbero ridurre il tasso di mortalita' dei soggetti critici lungodegenti affetti da patologie respiratorie che necessitano di ventilazione assistita.
The pathologies of the lower respiratory tract are among the principle causes of morbidity and mortality, and their incidence is on the rise: the WHO estimates that in 2020 these pathologies will be the third cause of death world-wide. The etiology of these pathologies is various and microrganisms are certainly one of the principle causes. In pulmonary pathologies with viral etiology Paramyxoviridae and Orthomyxoviridae are often indicated; herpesviruses are rarely part of diagnostic investigation protocols as the understanding of the pathogenetic role of these viruses is poor and, thus, consolidated epidemiological studies are not available. The aim of this study was the evaluation of the often under estimated potential role of herpes viruses in the onset or inauspicious evolution of respiratory pathologies in critical patients. We analyzed 158 bronchoalveolar washes were analyzed from patients hospitalized with severe acute respiratory pathologies at the intensive care units of some hospitals in Catania, Sicily, Italy. For the retrospective study we used viral isolation methods and Real-Time PCR, respectively, for viral replication activity and the clinical significance expressed in terms of viral load, correlated with the days the patients were on assisted ventilation until the time of the analysis. In 57.6% (91/158) of the samples DNA was found of at least one, though often two or more, of the herpes viruses (HSV1, VZV, CMV, EBV, HHV7). In particular: 19% (30/158) were HSV1, 10.7% (17/158) CMV, 16% EBV (26/158) and 46% (68/158) HHV7; there was no positivity for VZV. Based on the data relative to the finding of viral nucleic acid and the duration of mechanical ventilation, a statistically significant association was found only for HSV1 DNA with assisted ventilation of more than 7 days (p<0.05). The increase of the viral load, in some cases, was directly proportional to the days on assisted ventilation reaching a value of 108 gEq/ml for HSV1, compared to 102-104 gEq/ml for CMV and EBV. In conclusion, the prevalence of herpes viruses, and above all the finding of HSV1, accompanied by a substantial viral load, would confirm the importance that these viruses could have in the onset of respiratory pathologies in immunocompromised subjects. Therefore, the introduction of tests for the detection of the above mentioned viruses in diagnostic protocols would favor early diagnosis and correct therapy that could reduce the rate of mortality in critical long-term patients affected by respiratory pathologies who need assisted ventilation.
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Giordano, Andrea. "Sviluppo di una simulazione ad agenti di un modello di infezione virale tramite il framework FLAME GPU." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amslaurea.unibo.it/15755/.

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Abstract:
Tesi sullo sviluppo di una simulazione ad agenti di nella quale un virus infetta la popolazione. Questa simulazione è stata sviluppata mediante l'uso di FLAME GPU, un framework che permette di creare simulazioni ad agenti con codice CUDA, per eseguirle sulla GPU. L'interesse primario di questa tesi è quello di verificare le prestazioni che si possono ottenere con questo framework, all'aumentare della popolazione. Inoltre viene verificata la differenza tra due diversi tipi di implementazione della stessa simulazione, sempre con l'utilizzo di FLAME GPU, per paragonare i tempi ottenuti. Vengono infine discussi i risultati, spiegando le differenze tra le due differenti implementazioni.
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Vidalino, Laura. "Espressione di membrana della serpina SCCA e deregolazione dei linfociti B: studio in pazienti con infezione virale ed in pazienti con Lupus Eritematoso sistemico." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425086.

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Abstract:
Background.HCV infection may progress to a broad spectrum of liver diseases, as a consequence of complex interactions between viral and host factors. The role of B cells in HCV infection is largely unknown. Systemic Lupus erythematosus (SLE) is a systemic autoimmune disease. B cell deregulation represents a central feature both of HCV infection and SLE. SCCA, an ov-serpin, found in majority of primary liver cancers, is detectable in lymphocytes. To date, the potential involvement of SCCA in the pathogenesis of SLE and in HCV have not yet been investigated. Aim. To characterize SCCA expression in peripheral blood mononuclear cells (PBMC) in HCV infected and in SLE patients. Patients and methods. 45 HCV patients (14 with chronic hepatitis, 17 with cirrhosis and 14 with hepatocellular carcinoma), 12 with LES and 24 healthy controls were analyzed. Surface expression of SCCA in PBMC was assessed by FACS analysis. To define SCCA co-expression in B lymphocytes, different activation molecules (CD27, CD69, CD71, CD86 and CXCR3) were simultaneously evaluated. In purified B cells, SCCA RNA was quantified by Real Time PCR and localization of SCCA was defined by confocal microscopy. Results. FACS analysis and confocal microscopy showed that SCCA was expressed on the surface of B lymphocytes in 68% of normal subjects and in 32% of HCV patients (p<0.03). In SLE patients SCCA resulted not expressed in any of the patients (p=0.0000). Real Time PCR confirmed higher levels of transcription of the serpin in purified B cells of control subjects (p=0.0041). SCCA positivity was significantly associated with CD27 reactivity. Conclusions. HCV infection is associated with a marked reduction of SCCA being associated with the memory B cells molecule CD27 on B lymphocytes surface, suggesting a possible involvement of SCCA in B cell defects in HCV and in SLE. In SLE patients the serpin is not expressed on the surface of B lymphocytes. These findings suggest a possible involvement of SCCA in the deregulation of B cell reactivity, during HCV infection and SLE. .
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Zurli, Vanessa. "Novel strategies to improve anti-influenza vaccines. Positive contribution of adjuvanted immunization strategies during aging and in the resolution of viral-bacterial co-infections." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2016. http://hdl.handle.net/11577/3424754.

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Abstract:
Despite the extensive use of anti-influenza vaccines during the last decades, influenza and its complications are still a major cause of morbidity and mortality worldwide. Older adults (>65 years) are particularly susceptible to influenza illness and it is estimated that approximately 90% of influenza deaths occurs in this population. Notably secondary bacterial infections (SBI), the majority of which are associated with S. pneumoniae or S. aureus, make a significant contribution to deaths during influenza epidemics and pandemics, through a phenomenon known as “excess mortality”. In order to reduce influenza-driven mortality, broader protective vaccines are needed and different strategies are possible. Among these, universal influenza vaccines or even broad-spectrum “pneumonia” vaccines targeting a range of different viral and bacterial respiratory pathogens are thinkable. To allow the design of such vaccines, a multitude of basic questions - such as the ideal vaccine composition, appropriate vaccine adjuvants and an understanding of the complex pathogen interactions - have to be addressed. With the current work we wanted to address this specific medical need. In the first part we studied the special immunological pre-requisites for successful influenza vaccination in the elderly, while in the second part we extended our focus on the impact of different influenza vaccines on viral-bacterial co-infection. Elderly people are particularly susceptible to influenza infection and its complications, but respond poorly to conventional vaccines. MF59-adjuvanted influenza vaccines have been specifically developed and licensed to target this age population and are considered - together with similar formulations - as the best strategy to prevent influenza disease in the context of immunosenescence. Yet, the development process was entirely empirical and it is only poorly understood how MF59 contributes to successfully restoring responsiveness to influenza vaccines in the elderly. To deeply investigate the mechanism of action of MF59 in elderly subjects, we assessed immune response elicited by this adjuvant in old mice (>18 months). Our results showed that MF59 is able to potentiate responses against influenza antigens not only in young mice (6-8 weeks), but also in older ones: it enhanced immune cell recruitment at the site of injection, antigen-translocation to draining lymph nodes, CD4+ T cell response and germinal center formation. Yet, in line with clinical data, we noticed that hemagglutination inhibition (HI) antibody titers induced by MF59-adjuvanted vaccine in old mice were similar to those obtained in young ones immunized with not adjuvanted antigens arguing for the fact that MF59 can overcome some but not all aspects of immunosenescence. Accordingly, we wanted to dissect, which of the MF59-induced signaling cascades were impacted by aging. We recently showed in young mice, that transient ATP-release in injected muscle is an important contributor to adjuvanticity of MF59. Here we verified that also in aged mice ATP plays a central role for adjuvant activity. Yet, while in young mice it is not the only actor of adjuvanticity, in elderly other MF59-targeted immune pathways seem to be reduced due to “immunosenescence” or “inflammaging”. MF59 is a safe, effective and well established vaccine adjuvant for influenza vaccine in humans with millions of doses administered. Whether there is room for further improvement of anti-influenza responses especially in the vulnerable elderly population has to be assessed. Complications from secondary bacterial infection are a leading cause of influenza-associated morbidity and mortality. Anti-influenza vaccination is considered the best strategy to counteract primary viral disease spread. Moreover data from animal models suggest that it is also an effective method to prevent subsequent secondary bacterial pneumonia. Yet, currently approved influenza vaccines are typically assessed only for their capacity to elicit neutralizing antibodies specific for the homologous (vaccine-type) influenza strain. Protection against heterotypic (antigenic shift by mutations within influenza strain) or against heterologous (HA and/ or NA differing from those in the vaccine strain) influenza infection is studied to a lesser extent. And importantly, studies in humans have typically not been designed or appropriately powered to assess effectiveness against SBI. It can be assumed that prevention of influenza infection through vaccination would also prevent complications such as SBI, but in case of heterotypic or heterologous virus challenge - as would easily occur during a normal influenza season - does partial protection significantly affect bacterial super-infections? Furthermore different types of influenza vaccines induce differential innate and adaptive responses in infected individuals that might impact positively or negatively on SBI. Does this occur and can it be measured? We aimed to answer these questions in pre-clinical models of differently anti-influenza immunized mice. To that extent, we vaccinated BALB/c mice systemically with an A/California/7/2009 (H1N1) subunit vaccine either as plain antigens or adjuvanted with i) MF59 to induce a mixed Th1/Th2 response, ii) a combination of MF59 and CpG to get a more Th1-prone response or with iii) LTK63 administered via the mucosal route to obtain a Th1/Th17 polarized response. After vaccination mice were challenged with the heterologous mouse adapted strain A/Puerto Rico/8/1934 (H1N1) (PR8) and infection course and various aspects of immune response were dissected. We found that vaccination via different administration routes and adjuvants enhances immune responses to influenza virus infection by creating in the host a differently Th-polarized environment: all tested priming conditions induced strong vaccine-specific Th1, Th2 or Th17-polarized responses and anti-influenza antibody titers that quickly restored pre-infection immune environment in lung. On the contrary, plain immunization was significantly less effective: mice showed high viral titers similar to those of naïve ones and had overall higher influx of immune cells into the lung, an indication of ongoing inflammation. Notably mucosal vaccination with LTK63, though inducing lower HI titers, was equally good in protecting mice from influenza infection as systemic vaccination with MF59±CpG, strongly arguing for an important contribution of additional immune responses to protection in the setting of heterologous infection. Secondly we asked if different flavors of immune responses during influenza infection would have a beneficial or detrimental impact on SBI caused by Methicillin-resistant S. aureus (MRSA) USA300, which has been recently associated with increasing cases of fulminant post-influenza pneumonia in humans. To this end we set up a new influenza-bacterial co-infection model in previously anti-influenza vaccinated mice. Immunizations were performed as before to skew the immune response towards different Th profiles. Mice were then infected with influenza PR8 virus and six days later co-infected with S. aureus. In this co-infection model we followed disease evolution by measuring mouse weight loss and pathogen clearance in lungs. In this setting the differences between the single vaccination strategies became even more evident. While non-adjuvanted vaccine protected significantly from single influenza infection, it conferred little protection from viral-bacterial co-infection. Plain vaccinated mice were subjected to severe bacterial overgrowth and to high morbidity and mortality during SBI similarly to naïve mice. They just differed from naïve mice by their capability to control virus loads during SBI, while naïve mice showed a second wave of lung viral titer increase after bacterial infection that is a typical consequence of SBI. In contrast, we demonstrated that all adjuvanted vaccines were superior in preventing not only viral infection but also bacterial superinfection as compared to plain antigens vaccination. In particular Th1-prone mice efficiently controlled influenza infection better than those receiving other formulations and were nearly not affected by SBI. Altogether our results showed that adjuvanted-influenza vaccines are an efficient method to counteract not only heterologous influenza infection, but also eventual SBI. Moreover we demonstrated that the adjuvant MF59 is extremely important to enhance immunity against virus antigens in aged preclinical models. MF59 could eventually be improved by adding immunopotentiators like CpG to further enhance Th1-prone immune responses. These responses seem to be superior for preventing both viral and viral-bacterial infection.
Nonostante che negli scorsi decenni si sia fatto un ampio uso dei vaccini anti-influenzali, l’influenza e le relative complicazioni sono tuttora tra le maggiori cause mondiali di morbilità e mortalità. Le persone più anziane (>65 anni di età) sono particolarmente sensibili all’influenza e si stima che all’interno di tale popolazione si ritrovi circa il 90% delle morti dovute alla malattia. Le infezioni batteriche secondarie (SBI) causate principalmente da S. pneumoniae e S. aureus rappresentano un’importante causa di morte durante le epidemie e pandemie influenzali attraverso un fenomeno conosciuto come “mortalità eccessiva”. Affinché si riesca a ridurre la mortalità dovuta all’influenza, occorrono vaccini con un più ampio spettro di protezione. Tra le possibili strategie troviamo vaccini influenzali universali o addirittura vaccini “generici” contro la polmonite in grado di difendere l’organismo da un’ampia gamma di virus e batteri patogeni per l’apparato respiratorio. Affinché si arrivi allo sviluppo di tali vaccini innovativi, occorre definire innanzitutto alcuni aspetti basilari, quali ad esempio la loro composizione ideale e la scelta degli adiuvanti appropriati, il tutto insieme ad una maggiore conoscenza delle complesse interazioni tra i patogeni target. Nel presente lavoro di tesi abbiamo voluto approfondire questo specifico aspetto medico. Nella prima parte dello studio abbiamo definito quali sono i particolari prerequisiti immunologici per la buona riuscita della vaccinazione anti-influenzale negli anziani. Nella seconda parte invece ci siamo focalizzati sull’impatto che differenti tipologie di vaccini anti-influenzali possono avere sulla co-infezione tra il virus e un batterio. La popolazione anziana, che è particolarmente suscettibile all’influenza e alle sue complicazioni, risponde scarsamente ai vaccini convenzionali. I vaccini adiuvantati con MF59 sono stati sviluppati e approvati specificatamente per questa popolazione target e, insieme a formulazioni simili, sono considerati ad oggi la migliore strategia per prevenire l’influenza nell’ambito dell’immunosenescenza. Tuttavia lo sviluppo di tali vaccini è stato puramente empirico e ben poco si sa di come MF59 contribuisca a ristabilire nelle persone anziane un’efficiente risposta al vaccino. In questo studio abbiamo analizzato la risposta immunitaria indotta da MF59 in topi anziani (>18 mesi) in modo da definire meglio il meccanismo di azione dell’adiuvante nei soggetti in età avanzata. Dai nostri risultati si evince che MF59 è in grado di potenziare la risposta immunitaria nei confronti dell’influenza non solo nei topi giovani (6-8 settimane), ma anche in quelli più vecchi. Abbiamo dimostrato infatti che l’adiuvante induce robusto reclutamento di cellule immunitarie al sito d’iniezione del vaccino, potenzia la traslocazione dell’antigene ai linfonodi drenanti e incrementa la risposta delle cellule T CD4+ e la formazione dei centri germinativi. Tuttavia, in linea con i risultati clinici, i titoli anticorpali d’inibizione dell’emoagglutinazione (HI) indotti dalla vaccinazione con MF59 nei topi anziani raggiungono livelli simili a quelli ottenuti nei topi più giovani vaccinati senza l’adiuvante. Da questo risultato possiamo dedurre che MF59 è in grado di porre rimedio ad alcuni degli aspetti caratterizzanti l’immunosenescenza, ma non a tutti. In accordo con ciò, abbiamo voluto definire meglio quali tra le cascate di segnalazione indotte da MF59 è impattata dall’invecchiamento. In nostro gruppo ha recentemente dimostrato in topi giovani che l’iniezione di MF59 nel muscolo induce un rilascio transiente di ATP che si rivela poi importante per l’effetto adiuvante del prodotto. In questo lavoro di tesi abbiamo verificato che anche nei topi anziani il rilascio di ATP gioca un ruolo centrale per l’attività dell’adiuvante. Tuttavia, mentre nei topi più giovani tale rilascio non è l’unico “attore” del potenziamento immunologico indotto dall’adiuvante, in quelli più vecchi gli altri pathway avviati da MF59 sembrano essere impattati negativamente dall’immunosenescenza e dallo stato di continua infiammazione tipico degli anziani. MF59 è un adiuvante sicuro ed efficace e il suo utilizzo nella vaccinazione anti-influenzale umana è ormai consolidato con milioni di dosi somministrate. Quello che resta da definire è se c’è la possibilità di un ulteriore miglioramento della risposta anti-influenzale soprattutto in una popolazione così vulnerabile come quella degli anziani. Le cause principali di morbilità e mortalità associate con l’influenza sono da imputarsi alle SBI. La vaccinazione anti-influenzale è considerata ad oggi la migliore strategia per combattere la diffusione della malattia. Inoltre, dati risultanti da studi su modelli animali, rivelano che la vaccinazione anti-influenzale è anche un metodo efficace nella prevenzione di polmoniti batteriche conseguenti all’influenza. Purtroppo i vaccini attualmente in commercio sono testati soltanto per la loro capacità di indurre anticorpi neutralizzanti specifici per il virus influenzale omologo al ceppo contenuto nel vaccino stesso. Non sono molto diffusi studi riguardanti la protezione indotta dai vaccini nei casi d’infezioni di virus influenzali eterosubtipici (cioè varianti antigeniche dovute a mutazioni all’interno di un ceppo influenzale) o eterologhi (le cui proteine HA e/ o NA differiscono da quelle presenti nel vaccino). Inoltre occorre notare che non sono stati ancora stabiliti studi clinici appropriati per definire l’effettiva efficienza dei vaccini influenzali nei confronti delle SBI. Si può facilmente assumere che la prevenzione dell’infezione influenzale indotta dalla vaccinazione possa anche prevenire le relative complicazioni come le SBI, ma in caso d’infezione di virus eterosubtipici o eterologhi - situazione che può normalmente verificarsi durante la stagione influenzale – quale impatto può avere una protezione parziale dall’influenza sulle superinfezioni batteriche? Inoltre formulazioni diverse dei vaccini anti-influenzali inducono negli individui infettati risposte immunitarie innate e adattative diverse che possono avere un impatto positivo o negativo sulle SBI. Questa situazione si verifica realmente e come può essere quantificata? In questo lavoro ci siamo fissati l’obiettivo di rispondere a queste domande utilizzando come modello di studio pre-clinico topi immunizzati contro l’influenza mediante svariate formulazioni di vaccini. Brevemente i topi BALB/c sono stati vaccinati per via sistemica con il vaccino a subunità specifico per il virus A/California/7/2009 (H1N1) sia utilizzando gli antigeni influenzali da soli, sia in formulazioni adiuvantate con i) MF59 in modo da indurre una risposta mista Th1/Th2, ii) MF59+CpG per ottenere una risposta polarizzata verso il profilo Th1 o con iii) LTK63 somministrato per via mucosale affinché la risposta immunitaria fosse indirizzata verso un profilo Th1/Th17. Dopo la vaccinazione, i topi sono stati infettati col virus A/Puerto Rico/8/1934 (H1N1) (PR8): tale virus è eterologo rispetto agli antigeni contenuti nel vaccino utilizzato ed è un ceppo virale adattato al topo. Nel corso dello studio abbiamo seguito l’evoluzione dell’infezione e vari aspetti della risposta immunitaria. I nostri risultati dimostrano che la somministrazione del vaccino mediante vie diverse e l’utilizzo di svariati adiuvanti potenziano la risposta immunitaria nei confronti dell’infezione influenzale creando nell’ospite un ambiente polarizzato verso i diversi profili Th: tutte le condizioni d’immunizzazione testate inducono elevate risposte immunitarie polarizzate verso i profili Th1, Th2 o Th17 e titoli anticorpali in grado di ristabilire velocemente la situazione immunitaria del polmone ad un livello pari a quello presente prima dell’infezione. Al contrario, il vaccino non adiuvantato si è dimostrato significativamente meno efficiente: i topi mostrano elevati titoli virali simili a quelli dei topi naïve ed hanno un robusto influsso di cellule immunitarie all’interno dei polmoni che identifica l’instaurazione di un processo infiammatorio. Occorre notare che la vaccinazione mucosale adiuvantata con LTK63, pur inducendo titoli HI più bassi, stabilisce un livello di protezione dall’infezione pari a quello della vaccinazione sistemica con MF59±CpG. Questo ci fa supporre che nel contesto di un’infezione eterologa, ai fini della protezione, sia molto importante il contributo di risposte immunitarie addizionali alla risposta anticorpale sistemica. Partendo dai risultati ottenuti, ci siamo chiesti se le varie tipologie di risposta immunitaria indotte durante l’infezione d’influenza avessero un impatto positivo o negativo su SBI causate da S. aureus USA300 resistente alla meticillina (MRSA). Questo ceppo batterico è stato infatti recentemente associato con un numero crescente di casi di polmonite fulminante post-influenzale. A questo scopo abbiamo stabilito un nuovo modello d’infezione influenzale-batterica nei topi vaccinati per l’influenza. Le immunizzazioni sono state eseguite come in precedenza in modo da polarizzare le risposte immunitarie verso i vari profili Th. In seguito i topi sono stati infettati col virus influenzale PR8 e sei giorni dopo co-infettati con S. aureus. In questo modello di co-infezione abbiamo seguito l’evolversi della malattia misurando il peso corporeo dei topi e quantificando la replicazione dei patogeni nei polmoni. Nel nostro modello di co-infezione le differenze tra le singole strategie di vaccinazione si sono marcate ancora di più. Sebbene il vaccino non adiuvantato proteggesse abbastanza bene dalla semplice infezione influenzale, è in grado di conferire soltanto una protezione parziale durante la co-infezione. Infatti, i topi vaccinati con tale formulazione sono soggetti a un’incontrollata crescita batterica e mostrano elevati livelli di morbilità e mortalità comparabili a quelli dei topi naïve. Si discostano dai topi naïve soltanto per la loro capacità di controllare la replicazione virale durante la SBI: mentre i topi naïve mostrano una seconda ondata d’incremento del titolo virale nei polmoni dopo l’infezione batterica - tipica conseguenza della SBI -, i topi che avevano ricevuto il vaccino non adiuvantato continuano il controllo del virus indipendentemente dalla SBI. Comparando i risultati del vaccino non adiuvantato con quelli ottenuti dalle tre formulazioni contenenti adiuvanti, abbiamo dimostrato che tutti i vaccini adiuvantati sono superiori non solo nella prevenzione dell’influenza, ma anche nel caso della superinfezione batterica. In particolare i topi il cui sistema immunitario aveva una polarizzazione verso il profilo Th1 sono in grado di controllare più efficientemente l’infezione influenzale rispetto ai topi che avevano ricevuto una delle altre due formulazioni adiuvantate e inoltre la SBI non ha quasi impatto negativo su di loro. Nel complesso i nostri risultati dimostrano che i vaccini influenzali adiuvantati sono un metodo efficiente per combattere non solo un’infezione influenzale eterologa, ma anche un’eventuale SBI. Abbiamo inoltre dimostrato che l’adiuvante MF59 è di estrema importanza per potenziare la risposta immunitaria nei confronti degli antigeni virali nel modello pre-clinico di topi anziani. MF59 può essere eventualmente implementato mediante l’aggiunta di “potenziatori” del sistema immunitario come ad esempio il CpG, in modo da rafforzare le risposte polarizzate verso il profilo Th1. Queste risposte, infatti, risultano essere superiori per la prevenzione sia della semplice infezione virale sia della co-infezione.
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Pacenti, Monia. "Studio dei correlati virologici, patologici e clinici in pazienti pediatrici trapiantati di rene: applicazione di nuove indagini molecolari." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3425935.

Full text
Abstract:
The relevance of viral infections in allograft lesion development is still unclear, although some viruses such as HCMV, EBV, VZV, HHV6, HHV8, seem to have a particular role especially during the first months after transplantation, and the polyomavirus BK (BKV), JC (JCV) and the parvovirus B19, have been implicated in the occur of kidney injury after more time following transplant. In this study we investigated systemic and intrarenal viral infections in kidney transplant young recipients and we analysed the association of these data with the risk of acute rejection and chronic allograft injuries predictive of long-term dysfunction. The presence of DNA sequences of human herpesviruses, polyomaviruses, and parvovirus B19 was analysed in renal allograft biopsies performed at baseline, for acute renal dysfunction and for follow-up during the first two years post transplant. We evaluated le presence of viral sequences in 69 transplanted children and young adult who underwent kidney transplant from 2000 to 2006: donor age was less than 6 year in 15 cases. These results regarding the genomic viral presence in these patients were correlated with clinical data, viral DNAemia, renal function tests and allograft histology analysed at the same time points of the follow-up. Taken as a whole, viral DNA was detectable in 46% baseline biopsies and in 70% follow-up biopsies of kidney allografts, where it generally persisted. The most frequently detected viruses were B19 and HHV-6, already present in donor kidneys, and BKV and EBV, usually involving the allograft during follow-up. Among viruses, only the intrarenal persistence of B19 DNA and B19 DNAemia was associated with the development of chronic allograft injury: these kind of data were never demonstrated before in literature. Regarding HCMV DNAemia, it was considered a risk factor for acute rejection as already suggested in many works from the literature. So, we conclude that parvovirus B19 seems to electively target the kidney and its intrarenal persistence is associated with chronic kidney allograft injury. In the second part of this work, in order to identify new markers for a rapidly identification of viral infections occur early after transplantation and are often transmitted from the graft, we investigated whether EBV, HCMV, BKV, and parvovirus B19 genome sequences could be detected in kidney grafts, preservation and washing solutions before implantation, and whether they correlated with the occurrence of viral infections in the recipient. The investigation of different donor graft samples (i.e., biopsy, preservation and washing solutions) that we wholly named “Kidney Unit” (KU), increased the sensitivity of viral DNA testing, but also gave clues to the mechanism of viral transmission through the kidney graft while the different samples are enriched from different cells from the donor: resident kidney cells or circulated blood cells. Viral genome sequences were frequently detected in donor renal graft units, especially in preservation and washing solutions. Overall, viral DNA was detected in at least one type of sample, including biopsy, preservation and washing solutions, in 51/75 (68%) kidney grafts and B19 was the most frequently detected virus (47%). In agreement with their ability to establish latency in B lymphocytes and in monocytes progenitor cells, respectively, EBV and HCMV were probably carried by circulating blood cells, since viral DNA was generally detected in preservation and washing solutions, which are contaminated by blood cells, but not in kidney biopsies; whereas B19 DNA was often detected in kidney graft biopsies, besides in preservation and washing solutions, thus suggesting the virus probably infected resident kidney cells, which might be important sources of transmission to the recipient. BKV is supposed to have tropism for the kidney and to achieve latency in renal tubular epithelial cells; however, we detected BKV DNA only in one donor kidney biopsy, whereas viral DNA was generally detectable in the allograft during follow-up, where it persisted, as we previously demonstrated. The prevalence of EBV, HCMV, and BKV DNA was higher in preservation and washing solutions than in biopsies, indicating they were mainly carried by blood cells, whereas B19 was consistently detected in biopsies and solutions, suggesting virus was also present in resident kidney cells. Detection of viral DNA in kideny grafts was a significant risk factor for symptomatic infections in seronegative recipients in the early post-transplant period. In particular, EBV DNA-positive donor grafts were significantly associated with the risk of EBV infection in seronegative recipients, whereas the presence of B19 DNA in kidney grafts was a risk factor for B19 infection and/or DNAemia both in B19-seronegative and seropositive recipients. At variance, molecular testing for HCMV and BKV in donor graft had poor diagnostic utility. In conclusion, this study demonstrates that detection of viral nucleic acids in preservation and washing solutions of a solid organ, i.e., the kidney, before implantation could be a useful test to identify recipients with increased risk of infections, especially symptomatic infections, in the early post-transplant period. The sensitivity and specificity of the test depends on viral tropism for cells and tissues of the graft.
Il ruolo dell’infezione virale nell’insorgenza di lesioni nel rene trapiantato non è stato ancora del tutto precisato sebbene alcuni virus come HCMV, EBV, VZV, HHV6, HHV8, in una fase più precoce, e il poliomavirus BK (BKV) e JC (JCV) e al parvovirus B19, dopo più tempo dal trapianto, sembrano avere una precisa funzione nel determinare danni a carico del rene trapiantato. Infatti, tutti questi virus sono stati già descritti come importanti patogeni con tropismo renale. Nel presente studio sono state investigate le infezioni virali, intrarenali e sistemiche, in una casistica di bambini e giovani adulti che sono stati sottoposti a trapianto di rene dal 2000 al 2006. Più esattamente sono stati analizzati i dati della prevalenza delle sequenze genomiche virali intrarenali e delle infezioni sistemiche (DNAemia) in associazione con il rischio di insorgenza di rigetto acuto e/o di lesioni croniche del rene trapiantato. La presenza delle sequenze genomiche virali dei virus erpetici umani, dei poliomavirus e del parvovirus B19 è stata analizzata a livello della biopsie di rene eseguite al momento del trapianto, biopsie baseline, in presenza di disfunzioni renali acute e durante i primi due anni dal trapianto seguendo i tempi del protocollo di follow-up cioè a 6, 12 e 24 mesi post trapianto. Sono stati studiati 69 riceventi pediatrici, bambini e giovani adulti, con un’età media pari a 13 anni che avevano ricevuto il rene da donatore deceduto in 65 casi e in 4 casi da famigliare vivente: l’età dei donatori era inferiore a 6 anni in 15 casi. I risultati di questa prima parte dello studio, relativi alla prevalenza del DNA virale intrarenale sono stati correlati con i dati clinici, i dati di viremia (DNAemia), di funzionalità del rene trapiantato e con le valutazioni istologiche dello stesso momento del follow-up. Globalmente, il DNA virale è stato ritrovato nel 46% delle biopsie baseline e nel 70% delle biopsie di follow-up, dove generalmente persiste nelle biopsie successive. I virus più frequentemente identificati sono il parvovirus B19 e l’herpesvirus HHV6, già presenti a livello delle biopsie di rene del donatore. Mentre la presenza delle sequenze genomiche dei virus EBV e BKV è stata associata alla comparsa di lesioni acute nel rene trapiantato. Tra tutti i virus studiati e ritrovati a livello del rene del ricevente, soltanto il DNA del parvovirus B19 e le relativa DNAemia sono state associate con lo sviluppo di lesioni croniche del rene trapiantato: tale dato non era mai stato dimostrato in precedenti studi della letteratura. Per quanto riguarda il HCMV, la relativa DNAemia è stata considerata un fattore di rischio per la comparsa di episodi di rigetto acuto: dato, questo, già dimostrato e confermato con il nostro studio. Quindi è possibile concludere che il parvovirus B19 sembra preferire, in modo particolare, il rene come possibile bersaglio da infettare e la sua persistenza intrarenale è associata con la comparsa di lesioni croniche del rene trapiantato. Nella seconda parte del presente studio, con l’intento di identificare nuovi marcatori del rischio di infezione del ricevente trapiantato di rene, è stata valutata la presenza delle sequenze genomiche virali di EBV, HCMV, BKV, e del parvovirus B19 nel rene del donatore prima dell’impianto; più precisamente sono state analizzate le biopsie, le soluzioni di conservazione e di lavaggio dell’organo prima che questo venga trapiantato. È stato osservato poi se la presenza del DNA virale nell’unità rene (ovvero l’insieme dei diversi campioni derivati dal donatore: biopsia, soluzione di conservazione e di lavaggio) correlava con la comparsa dell’infezione virale nel ricevente. L’ indagine condotta a livello dei diversi campioni dell’unità rene del donatore, consente di aumentare la sensibilità del test molecolare, ma anche da maggiori indicazioni relative al meccanismo di trasmissione dell’infezione virale mediante il rene trapiantato dal momento che i diversi campioni dell’unità rene sono arricchiti di più frazioni cellulari del donatore: sono presenti sia le cellule residenti del rene a livello della biopsia, ma anche le cellule del sangue circolante soprattutto nel liquido di lavaggio. Le sequenze genomiche virali sono frequentemente identificate nell’unità rene del donatore, soprattutto nelle soluzioni di conservazione e di lavaggio. Globalmente, il DNA virale è stato identificato, in almeno un tipo di campione dell’unità rene, in 51 su 75 reni donati (68%) e il virus più ritrovato è il B19 (47%). In accordo con la loro capacità di definire uno stato di latenza dei linfociti B e nei monociti, il DNA dei virus EBV, nel primo caso, e HCMV nel secondo, sono stati identificati principalmente nelle soluzioni di lavaggio e di conservazione, poiché tali virus sono probabilmente veicolati dalle cellule del sangue periferico. Mentre, nel caso del parvovirus B19, il DNA virale è stato trovato spesso nelle biopsie del rene del donatore: questo suggerisce che il virus probabilmente infetta le cellule residenti del rene, le quali potrebbero essere un importante sorgente di trasmissione dell’infezione al ricevente. Il poliomavirus BK si pensa abbia un particolare tropismo per il rene e che vada in latenza nelle cellule epiteliali tubulari del rene: ciononostante nel presente studio il DNA di BKV è stato identificato solo in una biopsia di rene del donatore mentre è stato più volte ritrovato, anche in maniera persistente, nelle biopsie di follow-up. In generale, è stato possibile constatare che la presenza del DNA virale nel rene del ricevente è un importante fattore di rischio di infezione sistemica per il ricevente sieronegativo nel primo periodo successivo al trapianto. In particolare, la presenza del DNA di EBV nell’ unità rene donata comporta un più elevato rischio di infezione da EBV nel ricevente sieronegativo, mentre la persistenza di B19 nel rene del ricevente è un fattore di rischio di infezione e/o di DNAemia da B19 per il ricevente sia sieropositivo che sieronegativo. Al contrario questo tipo di indagine molecolare dell’unità rene del donatore, condotta per il HCMV e per BKV non mostra una valida utilità diagnostica. Concludendo, con questo studio è stato possibile dimostrare che l’identificazione di acidi nucleici virali a livello delle soluzioni di lavaggio e di conservazione del rene da trapiantare potrebbe essere un test molecolare particolarmente utile per riconoscere i riceventi con un maggior rischio di infezione, soprattutto sistemica. La sensibilità e la specificità di tale test molecolare dipende però dal tropismo del virus per le cellule o per il tessuto dell’organo da trapiantare.
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Books on the topic "Infezioni virali"

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Mendichelli, Ester. Antivirali a Base Di Erbe: Rimedi Naturali per le Infezioni Virali Emergenti e Resistenti. Independently Published, 2021.

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