Academic literature on the topic 'Indirizzo ITALIANISTICO'

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Journal articles on the topic "Indirizzo ITALIANISTICO"

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Penso, Andrea. "Le lettere di e a Cesarotti nella Biblioteca Nazionale di Parigi (con documenti inediti)." Quaderni d'italianistica 37, no. 2 (January 27, 2018): 75–100. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v37i2.29230.

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Abstract:
L’articolo presenta due lettere di Melchiorre Cesarotti ritrovate dall’A. durante alcune ricerche condotte alla Bibliothèque Nationale de France su materiali manoscritti. La prima lettera è indirizzata a Voltaire, e riguarda la traduzione delle due tragedie Le Fanatisme, ou Mahomet e La Mort de César. Si tratta di una missiva già edita nel 1977 a opera di Theodore Besterman in Inghilterra nel quadro dell’edizione dei carteggi di Voltaire. Questo ritrovamento è passato però quasi inosservato nell’ambito degli studi di italianistica: l’articolo punta dunque a rilanciare l’interesse per questo fugace carteggio. La seconda missiva, che data al giugno 1803, è invece inedita e proviene dal fondo Custodi, inesauribile fonte di informazioni e curiosità. Il tema del secondo documento è molto diverso: Cesarotti comunica a Pietro Custodi di non poter prendere parte al suo progetto, la raccolta Scrittori classici italiani di economia politica, che iniziò a svilupparsi proprio nel 1803. Nonostante il rifiuto, il letterato padovano si ripromise di sollecitare qualche amico, esperto di economia, a fornire qualche contributo. Per meglio contestualizzare la seconda lettera, pertanto, l’A. si sofferma anche su un altro documento del fondo Custodi, vale a dire una missiva che l’economista veneziano Francesco Battaglia indirizzò proprio a Cesarotti, il quale l’aveva a sua volta incoraggiato a prendere parte al progetto di Custodi.
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2

Nitti, Paolo, Helena Bažec, and Elena Ballarin. "ITALOFONIA NELL’ISTRIA SLOVENA: IL CASO DELL’UNIVERZA NA PRIMORSKEM." Italiano LinguaDue 14, no. 2 (January 18, 2023). http://dx.doi.org/10.54103/2037-3597/19603.

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Abstract:
Nell’Università del Litorale, a Capodistria, sono riuniti 6 istituti e la lingua italiana è offerta nella forma di corsi presso tutte le facoltà (solo in quella di Studi Umanistici, però, costituisce la disciplina caratterizzante un corso di laurea). I corsi di studio organizzati su tre livelli di formazione: un corso di studio quadriennale, due corsi annuali e un corso di dottorato. Al primo livello, il corso di studio quadriennale “Italijanistika” (Bachelor Degree) consente l'apprendimento di una conoscenza adeguata della lingua, della letteratura e della comunicazione linguistica e interculturale italiana, con la possibilità di proseguire gli studi nei corsi di laurea di secondo livello con indirizzo pedagogico oppure linguistico. Al secondo livello, il primo corso di studio annuale “Italijanistika (pedagoški študijski program) - Master of Arts - in Italian Studies (pedagogical programme)”, ha l'obiettivo di formare laureati e laureate di I livello, provenienti da un corso di studio di carattere non pedagogico-didattico in italianistica. Il secondo corso di II livello annuale “Italijanistika - Master of Arts - in Italian Studies” è il percorso linguistico (linguistics) in cui si approfondisce la formazione nelle scienze letterarie.È presente, inoltre, il dottorato di ricerca (PhD) in “Jezik in medkulturnost” (Lingua e Interculturalità) in cui si approfondisce lo studio delle lingue (italiano, inglese, francese), della mediazione linguistica e della traduzione. L'Università del Litorale svolge un’importante funzione socioculturale (oltre che formativa) e rappresenta un ponte di ragguardevole rilievo tra la comunità italiana e quella slovena. A Summary of Italian-speaking population of the Slovenian Istria: the example of Univerza na Primorskem The Univerza na Primorskem of Capodistria University brings together six institutes and the Italian language is offered in the form of courses at all faculties (but only the Humanistic Studies, however, represents a degree course).The study courses are organized on three course levels: a 4 year course, two annual courses and a doctoral one. The first level, the 4 year course study “Italijanistika” (Bachelor Degree), provides the students an adequate knowledge of the Italian language, literature, linguistic and intercultural communication, in addition to the possibility to continue their studies in the second level degree courses with a pedagogical or linguistical address. The second level (the first annual course study) in “Italijanistika (pedagoški študijski program) - Master of Arts - in Italian Studies (pedagogical programme)”, aims to train first level graduates from a non-pedagogical-didactic course of study in Italian. The second course (the second annual level) “Italijanistika - Master of Arts - in Italian Studies” is linguistics in which literary sciences are deeply explored. There is also a research doctorate (PhD) in “Jezik in medkulturnost” (Language and Interculturality) in which an extensive study of foreign languages such as Italian, English and French, as well as Linguistic Mediation and Translation is deepened. Univerza na Primorskem plays an important socio-cultural (as well as educational) function and represents a bridge of considerable importance between the Italian and Slovenian communities.
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Dissertations / Theses on the topic "Indirizzo ITALIANISTICO"

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Miksa, Gianfranco. "I giornali italiani a Fiume dal 1813 al 1945. Analisi e linee di sviluppo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8596.

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Abstract:
2011/2012
“I giornali italiani a Fiume dal 1813–1945. Analisi e linee di sviluppo” vuole essere un’immersione nella cultura fiumana della carta stampata, inteso a offrire una chiara immagine della grande mole di giornali italiani pubblicati nella città quarnerina nell’arco di due secoli. L’arte della cultura stampata a Fiume ha una storia ricca e molto interessante. Come ogni terra di confine, questa è stata il testimone di una lotta nazionale, economica e sociale che ha interessato la città lungo i secoli. Fiume – sia per la posizione geografica, sia per le vicende storiche –, ha avuto un suo ruolo proprio e ha conservato a maggior fatica la integrità della sua anima e componente italiana. Il giornalismo fiumano ha ospitato i piccoli e i grandi fatti del proprio popolo, le paure e le preoccupazione della gente semplice, registrando i momenti più importanti delle comunità. La finalità generale di questa ricerca è quella di scoprire la scena editoriale ponendo in evidenza tutta una serie di protagonisti – giornalisti, letterati, intellettuali, ma anche persone comuni – che hanno caratterizzato la città per lunghi decenni. La ricerca non intende essere un repertorio della cultura giornalistica a Fiume, bensì un’analisi della sua nascita, sviluppo, fortuna e rovina. Il lavoro si è basato principalmente su due aspetti che sono stati svolti contemporaneamente: quello della ricerca bibliografica e quello più ampio della ricerca d’archivio. L’attività di ricerca bibliografica è finalizzata non solo alla costituzione della bibliografia espressamente relativa al tema oggetto della ricerca stessa, ma anche all’identificazione di nuove fonti da cui reperire notizie importanti per la ricostruzione della storia del giornalismo fiumano. La scelta del periodo 1813–1945 per un’analisi della stampa fiumana è stata suggerita da una serie di considerazioni di carattere storico, sociale e culturale. Il primo giornale che uscì a Fiume fu “Notizie del Giorno” risalente al 1813. Da questa data in poi, si avrà un vera e propria crescita del giornalismo fiumano che darà origine, nell’arco di centotrenta anni, a più di 50 testate, di cui 30 in lingua italiana che ho avuto il piacere di analizzarle e di presentarle in questo lavoro. Sono creazioni spesso effimere ma talvolta anche durature che saranno espressione della battaglia politica e culturale della città. La conclusione della ricerca con il 1945 è dovuta, invece, al cambio politico che interessò la città con i nuovi governanti. Nuovi reggenti che imposero il comunismo e socialismo a un popolo che da secoli aveva ben salda la tradizione commerciale di stampo liberista. La ricerca, dedicata al giornalismo fiumano tra il 1813 e il 1945, prende in considerazione tutte le pubblicazioni di carattere giornalistico, e quindi con funzione informativa, apparse in quegli anni, senza tenere conto delle pubblicazioni in lingua ungherese, croata o altra. La premessa metodologica di tale ricerca è di natura letteraria con particolare riferimento agli influssi della cultura italiana a Fiume. Ogni scheda delle singole testate fiumane è composta da due parti. La prima, attraverso un’introduzione analitica, comprende tutte le notizie essenziali riguardanti il genere, tiratura, data di pubblicazione, sede proprietà, tipografia, fondatori, direttori, caporedattori, orientamento politico, eventualmente il formato, la periodicità e il prezzo. La seconda parte prevede un approfondimento più attento che comprende un excursus storico e analisi dei contenuti. Le schede, costruite secondo uno schema costante permetteranno al lettore di avere una prima idea del carattere del giornale, la sua posizione politica e ideologica, la sua tendenza sociale e culturale. Vengono inoltre riportate, a piè di pagina una breve biografia con notizie bibliografiche di alcuni noti, e anche meno noti, giornalisti e pubblicisti fiumani. L’Appendice offre, invece, una scelta degli articoli raccolti dai giornali. Una selezione che è stata condotta cercando di isolare quei testi che indichino novità tematiche, letterarie e momenti storici di particolare significato legati sia alla città di Fiume sia all’intera scena internazionale. Lì, dove ho potuto, ho proceduto nel riportare interamente i programmi, editoriali e manifesti dei giornali, per conoscere con chiarezza i princìpi su cui la testata si fondava, le idee che essa propugnava, il perché della fondazione e anche della lotta politica ideologica che essa sosteneva. Per offrire un dettagliato confronto tra stili, per così dire, conservativi e quelli innovativi, ho cercato di isolare alcune tematiche – principalmente gli avvenimenti storici ma anche, per esempio, manifestazioni, omicidi, processi, incidenti e altri fatti cronaca –, per osservare e apprendere come le diverse testate trattavano lo stesso argomento.
XXIV Ciclo
1979
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2

Delogu, Giulia. "Trieste «di tesori e virtù sede gioconda» Dall’Arcadia Romano-Sonziaca alla Società di Minerva: una storia poetica." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11002.

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3

Conti, Caterina. "Letteratura al microfono. I programmi culturali di RAI Radio Trieste fra il 1954 e il 1976." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11003.

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Abstract:
2013/2014
La tesi tratta della radio e della sua funzione culturale, partendo dal presupposto che essa ha, per sua natura, una finalità di esternazione di suoni (parole o musiche) rivolti ad un pubblico, e ha l'intento di insegnare, divertire e intrattenere. Attraverso i contenuti che essa trasmette, infatti, è possibile disegnare un quadro che descrive l'orientamento e i valori che trasmette, e quindi, la specificità non solo degli argomenti trattati, ma anche della più generale linea di pensieri e intenzioni che persegue. Nel corso del lavoro, si è cercato di dimostrare che la radio svolge, per la sua natura, una funzione culturale nel formare un'identità e nel far circolare un certo tipo di canone della letteratura. Infatti, nonostante gli studi sui mezzi di comunicazione di massa in Italia abbiano conosciuto un'accelerazione nel loro sviluppo solo negli ultimi anni, la radio da sempre ha costituito, per le sue caratteristiche di dinamicità e versatilità, un media molto ricettivo delle istanze della società, influenzando profondamente il tessuto connettivo. Fra l'altro, per la sua inclinazione a essere, allo stesso tempo, mezzo di aperta diffusione e di fruizione intimistica, essa ha sempre mantenuto un'impronta evidente di comunicazione personale, non massificata, ma creatrice di una comunità di ascoltatori che condividono informazioni e pratiche sociali. Si è così notato che, attraverso le sue messe in onda, la radio veicola i contenuti, gli argomenti e le forme del pensiero prevalente, incoraggiati evidentemente dai responsabili dell'emittente stessa che assumono un'importanza non secondaria. Essa può trasformarsi, allora, in uno strumento di politica culturale perché ha la capacità e la possibilità di diffondere, attraverso i programmi, una certa visione del mondo e della storia, fornendo gli strumenti per far riflettere e convincere chi è in ascolto e proponendo un deciso orientamento interpretativo dei fatti. Non solo, però, mezzo emanatore di prodotti informativi e culturali, ma anche mediatore di condivisione e confronto con un'altissima incidenza sul sistema politico, sociale, culturale stesso. Insomma, la radio costituisce un attore importante nel condizionamento della società alla quale si rivolge e dalla quale è ispirata e influenzata. Il caso preso in esame è quello più particolare di Radio Trieste dal 1954 al 1976, un periodo emblematico per la storia del secondo Novecento della realtà giuliana, fra la fine del Governo Militare Alleato con la firma del Memorandum di Londra e la sigla del Trattato di Osimo, che ridefinivano rispettivamente l'autorità italiana e i confini dell'Italia a nord-est, dopo gli anni tormentati di divisioni fra la Zona A e la Zona B. Con il 1975, poi, iniziò un periodo di distensione fra le due più potenti forze militari mondiali e, sul piano locale, si risolse, pur amaramente, la vicenda della terra istriana, che passò senza diritto di replica alla Jugoslavia di Tito. Radio Trieste rappresentava un'emittente del tutto anomala, nel quadro più generale delle radio, in quanto poteva disporre, come si vedrà, di mezzi e strumenti di primo livello, ed era capace di un'autonomia invidiabile, dovuta proprio alla sua storia particolare. Il periodo preso in esame, fra l'altro, costituisce l'ultimo segmento temporale nel quale l'emittente radiotelevisiva pubblica aveva ancora una centralità riconosciuta, nel più vasto panorama nazionale, poi in parte erosa, a partire dall'approvazione della Riforma interna della RAI (del 1975) che autorizzava il proliferare delle reti e dei canali radiofonici privati e, soprattutto, vedeva nella spartizione netta fra i partiti la sua nuova identità. In quegli stessi anni, fra l'altro, si assisteva all'affermazione indiscutibile della televisione come mezzo di diffusione di massa privilegiato dal pubblico, e, prevalendo sulla radio, costringeva ad un ruolo minoritario, quasi d'élite, la radiofonia, che comunque seppe reinventarsi una funzione e ricostruire intorno a sé un pubblico specifico. Per tutte queste coincidenze, l'esempio di Radio Trieste, dunque, appare assai emblematico, per il significato e le motivazioni che essa assunse negli anni già indicati: vent'anni considerati cruciali non solo per la storia locale, ma anche per la cultura e la letteratura ad essa legata. Infatti, come si cercherà di dimostrare, l'emittente triestina divenne allora il centro della vita intellettuale della città stessa, concedendo larghissimi spazi alla presenza delle principali voci della cultura, della letteratura e dell'arte locale, rappresentanti e portatori più autentici dei valori e dei principi risorgimentali e primo-novecenteschi, che intesero seminare in un territorio ferito e lacerato dalle due guerre mondiali proprio quanto da loro ritenuto fondante della società stessa. Vi furono allora due generazioni di letterati, intellettuali, scrittori, pensatori, poeti che, fra il 1954 e il 1976, presero parte ai programmi di Radio Trieste, nel tentativo di far riprendere l'abitudine della parola a una città straziata dai silenzi muti dei precedenti cinquant'anni, di fornire degli elementi di verità di quanto avvenuto e, soprattutto, di aprire un nuovo orizzonte di fiducia per la città giuliana. L'uso di nuove parole-chiave, la rievocazione dei fatti storici, i contesti narrativi, il ricordo di mondi passati, la ricerca dell'identità furono allora il centro stesso del fermento creativo di questi anni che si raccolse intorno alla radio, affidata alla direzione dell'ing. Guido Candussi (fino al 1976). Se è vero, infatti, che l'emittente pubblica in Europa (a differenza degli Stati Uniti) ha come intento quello di concorrere alla costruzione e alla difesa dell'identità culturale e civile del Paese, Radio Trieste cercò di esercitare questa funzione attraverso tutti gli strumenti che aveva a disposizione. Il lavoro di ricerca, così, ha voluto entrare nel vivo della programmazione della Radio, andando ad individuare quali fossero le trasmissioni in onda nel ventennio considerato, quali le voci che trovarono spazio, quali i contenuti delle stesse, e quindi, quale fosse il messaggio che si lasciava intendere. Non esiste, infatti, ad oggi alcuno studio specifico al riguardo, se si escludono due contributi, seppur preziosi, costituiti dal lavoro ciclopico di Guido Candussi, Storia della filodiffusione, (Trieste 1993, 2003 e 2008), e quello divulgativo a cura di Guido Botteri e Roberto Collini, Radio Trieste 1931-2006: un microfono che registra 75 anni di storia (Eri, Roma 2007). Inoltre, è da considerare che il patrimonio archivistico consultabile presso la sede regionale della RAI di Trieste consta di un numero esiguo di documenti, e, non di meno, manca del tutto un elenco completo del posseduto, che comunque è stato ridotto a forma digitale e non consente, dunque, un'indagine che permetta una visione ampia dell'archivio intero. Fra l'altro, sembra che le modalità con le quali si è proceduto allo scarto dei materiali non siano state regolate ordinatamente, ma dettate da qualche indicazione dirigenziale interna alla sede stessa (di cui resta un chiacchiericcio, ma nessuna documentazione effettiva), quando non dalla pura casualità. Anzi, alcune fonti orali riportano che, oltre ai documenti conservati presso la RAI di Trieste, sopravvissuti in parte all'incendio che ha devastato la sede alla fine degli anni Cinquanta, esiste ancora del materiale in qualche stanza della sede RAI o accolto negli archivi personali dei dipendenti dell'azienda. Solo il buonsenso dei singoli ha, quindi, salvato alcuni materiali originali dalla distruzione; infatti gli scarti sarebbero stati prodotti, anno dopo anno, senza una vera e propria logica che tenesse in considerazione la totalità del materiale, causando la dispersione di migliaia di riferimenti e contenuti. Per quantificare il patrimonio inerente a Radio Trieste, sia quello conservato che quello andato variamente disperso, non esistendo un vero e proprio catalogo, era necessario un lavoro di ricerca più lungo nel tempo e più approfondito. Era necessario, prima di tutto, costruire un elenco di programmi andati in onda in quegli anni: per farlo, si è ricorso allora allo spoglio dei periodici del tempo, in particolare de «Il Piccolo» e del «Radiocorriere TV» nella parte dedicata ai programmi radiofonici e televisivi, per dedurne gli orari di messa in onda e la programmazione giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, trascrivendo pazientemente quanto previsto per la messa in onda. Circa sei mesi della ricerca, quindi, sono stati dedicati così all'annotazione meticolosa, paziente e fruttuosa dei riferimenti programmatici, dedotti dai riquadri delle trasmissioni che, giornalmente o settimanalmente, erano riportate sui due periodici, ottenendo così un elenco quanto più verosimile e puntuale possibile. Le fonti sono state reperite, per quanto riguarda «Il Piccolo», presso l'Archivio di Stato di Trieste, e «Il Radiocorriere TV» presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Si sono così potuti individuare 1058 titoli di programmi radiofonici di impronta culturale e letteraria, in onda fra il 1954 e il 1976 su Radio Trieste. Si trattava di trasmissioni che accoglievano e davano voce agli intellettuali giuliani, sia a quelli già noti, sia a quelli emergenti, ai quali era concesso uno spazio di conversazione, presentazione o commento e lettura delle opere. Questi programmi rappresentano una parte molto rilevante del palinsesto dell'emittente e possono essere usati, appunto, per considerare la funzione politico-culturale che essa assunse, come luogo di elaborazione e esternazione dei contenuti che la città sentiva più urgenti e che il gruppo intellettuale vide la necessità di esternare attraverso le onde radio. Il tentativo, infatti, che gli intellettuali fecero fu quello di ridare slancio, attraverso la loro promozione artistica, ai valori fondamentali di libertà, tolleranza e dignità umana che avevano dato a Trieste i suoi anni migliori. Attorno alla radio, allora, si costruì non solo una classe di intellettuali colti, creativi, autonomi, ma anche una vera comunità, quella cittadina, nuovamente aggregata, resa più consapevole e acculturata dalle trasmissioni stesse: essa vedeva nel mezzo di comunicazione di massa una modalità non soltanto di svago e intrattenimento, ma anche di conoscenza e riflessione, rappresentando quanto di più vivo e autentico esisteva nella realtà giuliana. Radio Trieste costituisce così un caso del tutto eccezionale e straordinario di come la radio poté incidere profondamente in un territorio difficile ma ricco di intelligenze e di capacità che furono messe a disposizione della collettività, e assolse così la funzione propria di un servizio pubblico. Mentre le ricerche erano in fase avanzata, è emersa, fra l'altro, una fonte preziosissima, grazie alla disponibilità generosa di un ex dipendente RAI, che, venuto a conoscenza di queste ricerche, ha voluto condividere i preziosissimi quaderni della signora Silva Grünter, autrice, programmista e assistente ai programmi di Radio Trieste, che egli aveva trovato per caso negli armadi del suo ufficio. Qui sono diligentemente appuntati titoli, autori e numero di catalogazione dei programmi culturali di Radio Trieste corrispondenti proprio agli stessi anni d'interesse. Si tratta dunque di una preziosa controprova del lavoro svolto, che ne evidenzia, pur con qualche differenza, la validità e la scientificità. Il lavoro di ricerca presente rappresenta, pertanto, un tassello prezioso e finora sconosciuto del mosaico della cultura giuliana del dopoguerra, che delinea l'azione di Radio Trieste nel contesto sociologico, culturale e letterario del capoluogo di regione, rapportato all'ambiente degli intellettuali giuliani e al contributo in termini di cultura e conoscenza diffusa. Esso dimostra il ruolo della radio come strumento di diffusione e riflessione su determinati valori e principi che gli autori dei programmi, e la direzione stessa, ritenevano evidentemente cruciali. Porre l'accento sull'importanza culturale di Radio Trieste nel dopoguerra, significa, infine, scoprire uno spazio comune solo parzialmente esplorato in cui si sono intrecciati cultura, mezzi di comunicazione di massa e territorio, nel grande canovaccio della storia tormentata e complessa delle terre giuliane del Novecento.
XXVII Ciclo
1986
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4

Fornari, Maria. "La questione adriatica sui quotidiani in lingua italiana e in lingua serba alla vigilia della grande guerra." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8595.

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Abstract:
2011/2012
L’obiettivo di questo lavoro di ricerca è operare un confronto tra le posizioni assunte dall’Italia e dalla Serbia in merito alla questione adriatica nei mesi che intercorrono tra l’eccidio di Sarajevo del 28 giugno 1914 e la dichiarazione di entrata in guerra dell’Italia del 24 maggio 1915. Le due nazioni erano state unite, nel corso del XIX secolo, dal comune desiderio di veder affermato il principio di nazionalità contro l’egemonia degli Imperi asburgico e ottomano. Questo legame si era concretizzato in una fitta rete di scambi culturali, ideologici e politici che aveva dato vita a un sentimento di reciproca stima e solidarietà tra i due popoli. Con l’inizio del conflitto, però, l’Italia e la Serbia vengono poste di fronte alla concreta possibilità che, con la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, oltre a una serie di trasformazioni a livello europeo, si venga anche a delineare una nuova mappa dei confini adriatici, tracciati secondo il criterio dell’autodeterminazione dei popoli. Di conseguenza, i territori dell’area adriatica nord-orientale, connotati da un carattere multietnico e multinazionale, si trovano al centro delle rivendicazioni di diversi Stati, tra cui spiccano l’Italia e la Serbia, entrambe decise ad affermare il diritto a estendere il proprio dominio su quelle terre secondo il principio di nazionalità. In questa prospettiva, è evidente che il rapporto quasi idilliaco che si era instaurato tra le due nazioni è destinato a cambiare la propria fisionomia. La presente ricerca intende presentare, attraverso una sorta di “istantanea”, questa trasformazione mediante un’analisi condotta su una serie di articoli apparsi, nel periodo di tempo preso in considerazione, su quattro giornali quotidiani. Si tratta del «Corriere della Sera», del «Politika» di Belgrado, del «Piccolo» di Trieste e del «Corriere delle Puglie» di Bari. Lo spoglio degli articoli del «Piccolo» viene affiancato anche dall’esame di alcuni testi tratti dal «Lavoratore», l’organo del partito socialista triestino. La tesi è composta da quattro capitoli, uno per ogni quotidiano, in modo tale da presentare in maniera parallela le diverse analisi ad essi dedicate. Ogni capitolo è idealmente suddiviso in due sezioni: cappello introduttivo e indagine sugli articoli. Il cappello introduttivo è volto a chiarire l’atteggiamento degli intellettuali e dei politici rispetto alla spartizione delle terre adriatiche nel contesto di riferimento e a ricordare in maniera sintetica l’origine e la storia della testata presa in esame. La riflessione sugli scritti giornalistici, condotta in ordine cronologico, viene presentata mediante ampie citazioni degli stessi, al fine di consentire un confronto immediato tra le ipotesi e le osservazioni che vengono proposte e la realtà dei testi effettivamente pubblicati. Ogni capitolo è chiuso da una breve conclusione in cui si cerca di individuare un ipotetico “punto della situazione” derivante dall’esame degli articoli. È presente, inoltre, un’appendice in cui vengono elencati i titoli di tutti gli articoli dei quotidiani a cui fa riferimento questo studio.
XXIV Ciclo
1980
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5

D'ambrosio, Stefano. "Il romanzo storico italiano del XXI secolo. Indagine tipologica e risvolti ideologici." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10143.

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Abstract:
2012/2013
La tesi si apre con un paragrafo introduttivo, dedicato a delineare per cenni lo scenario della produzione narrativa italiana dell’ultimo decennio sulla base di alcuni studi quantitativi che propongono una classificazione delle opere pubblicate in Italia entro una griglia articolata in cinque classi, fondate su categorie dell’immaginario narrativo. A partire dal quadro che questi studi lasciano intravedere, si prendono le mosse per introdurre la questione del romanzo storico, rendendo ragione di una produzione vasta, stratificata su più livelli, molto differenziata al proprio interno e capace di riscuotere interesse ed apprezzamento da parte del pubblico. Si accenna poi al discrimine cronologico che segna la rinascita del romanzo storico in età contemporanea: esso è dai più collocato sul finire degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta. Dopo aver passato in rassegna i titoli più significativi dei due decenni successivi, si prende posizione a favore della tesi della continuità tra il romanzo storico classico e la produzione più recente. Essa andrà dunque intesa non come vera e propria rifondazione del romanzo storico, bensì come momento di ritorno in auge dopo un periodo relativamente lungo di minor visibilità e di calo quantitativo. Dopo aver fatto il punto sulle più rilevanti proposte elaborate dalla critica negli ultimi trent’anni, si argomenta a favore di una definizione quanto più possibile ampia ed inclusiva, perché maggiormente funzionale a storicizzare in modo nuovo. Si sottolineano gli svantaggi dell’utilizzo dell’etichetta di ‘romanzo storico’ come categoria applicabile esclusivamente alla produzione ottocentesca e dell’introduzione di nuove etichette volte ad enfatizzare la natura irriducibile della produzione più recente alla formula e all’ideologia del romanzo storico classico. Si esplicita infine il significato che all’interno della ricerca si attribuirà all’etichetta di ‘romanzo storico’, specificando che esso è in larga misura fondato sulla definizione proposta da Vittorio Spinazzola. L’adozione di una definizione ampia ed inclusiva comporta la necessità di individuare all’interno del genere ‘romanzo storico’ alcune subcategorie dotate di una propria specifica coerenza. Per questa ragione si affronta sommariamente il nodo teorico del genere. Ci si sofferma in particolare sulle teorie elaborate in ambito semiotico ed ermeneutico, che costituiscono la cornice teorica di riferimento della ricerca. La finalità della ricerca è duplice: da un lato analizzare la fisionomia assunta dal romanzo storico contemporaneo, individuando morfologie ricorrenti, il loro rapporto con la produzione del recente passato e con la struttura del romanzo storico classico; dall’altro sondarne i risvolti ideologici per verificare se la produzione contemporanea possa essere considerata espressione di ‘impegno’. Si prende in considerazione una campionatura significativa di romanzi storici italiani editi nel decennio 2001-2010. Essi vengono organizzati in quattro subcategorie che presentano caratteristiche strutturali omogenee. In un primo filone i personaggi storici – tutti di primo piano – occupano il centro della scena narrativa e il vertice della gerarchia sociale; essi detengono il potere, da soli o in concorrenza con altri. L’epoca rappresentata coincide sempre con un potenziale bivio della storia. La rappresentazione dei fattori economici, sociali, culturali che concorrono a determinare i processi storici è del tutto marginale: la storia appare il frutto di decisioni personali, assunte nel chiuso dei palazzi e calate dall’alto sul popolo, il quale ne è il destinatario passivo. La narrazione è condotta attraverso il punto di vista di un personaggio di invenzione, che entra in contatto con i potenti influenzandone il comportamento. Egli non appartiene al mondo del potere: per questo può raccontarlo con uno sguardo affidabile e distanziato. Dalla sua prospettiva la storia gli appare un gioco di potere, l’esito di un complotto permanente che rimane celato alle masse perché la verità è sistematicamente censurata e falsificata. Romanzi analizzati: Nella variante morfologica di romanzi storici ‘al femminile’ il livello della grande storia, intesa come insieme degli eventi rilevanti sul piano politico-militare, rimane sullo sfondo o è del tutto ignorato; oggetto di interesse è, al contrario, la rappresentazione, in un tempo e in un luogo qualunque, di un assetto sociale ingiusto e discriminatorio nei confronti delle donne, che condanna il genere femminile in quanto tale ad una condizione di marginalità ed irrilevanza universalmente condivisa e accettata, in quanto ritenuta naturale ed immutabile. Questo filone si incarica di rintracciare nel passato esempi di eroine precorritrici dei tempi, portatrici di una moderna energia e sensibilità, capaci di sfidare le convenzioni sociali, la sensibilità e la cultura della loro epoca. Si tratta dunque di una tipologia finalizzata a gratificare un pubblico incline a rappresentare se stesso quale esponente o sostenitore di un modello di femminilità dinamico e moderno, che consapevolmente persegue, con un atteggiamento percepito come una forma di militanza, un modello sociale in cui la piena parità di diritti ed opportunità sia effettivamente compiuta. L’aggregato morfologico del romanzo storico-esistenziale sceglie di concentrare l’ottica narrativa sulla microstoria, incaricandosi di raccontare piccole vicende private, personali o familiari, che si sviluppano sullo sfondo di una Storia incombente e minacciosa. Si tratta di un modo di affrontare la rappresentazione del passato che sembra perseguire programmaticamente la scomparsa della dialettica tra macro e microstoria. Il filone storico-esistenziale non si preoccupa di spiegare la Storia: i romanzi ad esso riconducibili sono accomunati dalla scelta di dare della storia una rappresentazione emotiva, in base alla quale essa appare una manifestazione sensibile del male. Il lettore di questi romanzi vede nella storia un’unica insensata carneficina: non distingue, non contestualizza, perché ha già un’idea precostituita della storia. La storia è l’attualizzazione del male che è inscritto nell’animo umano, è l’esito manifesto di un peccato originale. I romanzi storici postmoderni – quarta variante tipologica – non intendono divulgare conoscenza storica, né utilizzare il passato come metafora del presente, ma indagare la possibilità stessa di fare storia. Il rapporto diretto, aproblematico tra fatto storico e discorso storiografico viene incrinato. I quesiti posti da questi romanzi sono di natura epistemologica: vengono indagate le relazioni che si instaurano tra documento storico e narrazione su di esso fondata, viene esplicitata la natura equivoca delle fonti ed instillato il dubbio sulla loro neutralità, viene smascherato il quoziente di arbitrarietà di qualsiasi narrazione storiografica, è denunciata l’inevitabile compromissione con il potere di ogni discorso sul passato. Questi romanzi non appaiono focalizzati sulla ricostruzione di un determinato periodo storico, né sulla comprensione del passato sulla base di una logica di antecedenza/conseguenza, bensì su questioni che travalicano i limiti di un orizzonte temporale limitato per porsi in termini astorici e metastorici: più che condurre una riflessione sulla storia, riguardo alla quale postulano l’impossibilità di una conoscenza oggettiva di qualunque tipo, conducono una riflessione sulla storiografia, erodendo il confine che la separa dall’invenzione letteraria, confine percepito come infondato e artificiale. In una cornice narrativa di secondo grado, che funge da metanarrazione, viene inscenato il processo di elaborazione del discorso storiografico: si fornisce qui una rappresentazione drammatizzata del lavoro dello storico, servendosi di un personaggio che, per ragioni narrative, cerca di ricostruire il passato e di riappropriarsene, ma si trova paralizzato in una congerie di dati e di testimonianze, autentiche o fasulle, fra loro non armonizzabili, che conducono ad altrettanti vicoli ciechi Il quinto filone, dedicandosi alla ricostruzione della cultura, dell’immaginario, della sensibilità e della percezione della realtà proprie di un’epoca trascorsa, coniuga un’estrema fedeltà al dato storico con la produzione di un effetto di straniamento, che va nella direzione opposta rispetto all’esito mimetico tipico del romanzo storico. In questo aggregato testuale la narrazione è condotta attraverso il punto di vista di un narratore che condivide i parametri di una cultura estinta, totalmente estranea all’orizzonte culturale del presente, oppure di una cultura che, pur prossima alla nostra, presenti modelli cognitivi così lontani da quelli attivi nel presente, da produrre una sistematica infrazione dei parametri di verosimiglianza comunemente accettati. Il tentativo di riportare in vita il passato per mezzo della più fedele adesione ad una visione del mondo ormai tramontata sfocia paradossalmente in un effetto di irrealtà, che spalanca le porte del romance e conduce in territori affini a quelli della fiaba e del mito. Di fronte a questo modo di rappresentare la realtà e narrare la storia, assolutamente realistico dal punto di vista del narratore, ma totalmente spiazzante per il lettore radicato in un tempo e in una cultura diversi, si produce quell’esitazione di cui parla Todorov riguardo al fantastico, la cui radice consiste nella scoperta e nell’esplicitazione dell’irriducibile alterità del passato rispetto alla fisionomia del presente. L’obiettivo di questi romanzi non è però trasportare il lettore in una dimensione fantastica, bensì di spingerlo ad assumere consapevolezza degli schemi mentali che guidavano popoli lontani nello spazio e nel tempo: cioè dare una spiegazione razionale (la relatività storica delle civiltà umane) ad un iniziale effetto di esitazione o spaesamento. I risultati a cui si è pervenuti restituiscono un’immagine complessa dello scenario letterario di inizio millennio, che conferma solo parzialmente le due ipotesi sulle quali si era aperta e per le quali si rinvia al capitolo terzo. Per quanto riguarda la morfologia assunta dal romanzo storico nel periodo considerato, non trova riscontro l’assunto dell’affermazione di una struttura radicalmente nuova: accanto ad alcuni tratti di originalità, la maggior parte dei romanzi storici analizzati ripropone e contamina paradigmi consolidati. Riguardo al tema dell’impegno, l’analisi dei testi non pare evidenziare una linea di tendenza statisticamente rilevante: si può parlare di un impiego del passato con finalità di battaglia politica in un numero non significativo di casi; si tratta inoltre di un impegno non di rado viziato da un atteggiamento narcisistico e populistico.
XXV Ciclo
1975
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6

Kapelj, Sara. "L'"Italia d'Oltremare": razzismo e costruzione dell'alterità africana negli articoli etnografici e nel romanzo "I prigionieri del sole"." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7407.

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Abstract:
2010/2011
L’intento del mio lavoro è quello di offrire una presentazione e una lettura di una rivista, «L’Italia d’Oltremare», che uscì a Roma tra la fine del 1936 e il settembre del 1943. Si tratta di un quindicinale, diretto da Osea Felici e parzialmente finanziato dal Ministero delle colonie, che aveva come scopo dichiarato quello di avvicinare gli italiani alle questioni legate al neonato “impero coloniale” in Africa. Questa rivista, pur presentando alcune caratteristiche che la rendono degna di attenzione per il posto che occupa nella storia del colonialismo e del razzismo nella cultura italiana, non è mai stata studiata in modo sistematico. A differenza di altre testate dell’epoca, «L’Italia d’Oltremare» non fa riferimenti specifici ad atteggiamenti o posizioni dichiaratamente razziste, eppure tali discorsi si insinuano sottilmente tra le pagine acquisendo forza e rilevanza significative. Questo periodico, dunque, pur non offrendo ai propri lettori degli articoli in cui si faceva esplicitamente riferimento alle teorie e alle politiche razziali elaborate e messe in atto dal regime, riuscì ugualmente a diffondere stereotipi e luoghi comuni sugli abitanti dell’Africa in grado di incrementare sentimenti razzisti e di spiegare il senso e la necessità delle leggi razziali. Lo scopo di questo mio lavoro è quello di analizzare e riflettere sul modo in cui tutto questo riuscì a farsi strada, sulle diverse modalità di discorso adottate nei diversi articoli e dai diversi autori che scrissero sulle pagine dell’«Italia d’Oltremare», sulle costruzioni narrative che riuscirono a mettere in atto dispositivi di legittimazione del razzismo, senza per questo aderirvi apertamente. Il primo capitolo è dedicato alla presentazione della storia, degli obiettivi e degli argomenti dell’«Italia d’Oltremare». In un primo momento, fornisco dei “dati tecnici” funzionali sia alla lettura della rivista stessa sia alla sua contestualizzazione all’interno del panorama giornalistico contemporaneo. Successivamente, attraverso l’analisi del primo articolo pubblicato (La consegna), illustro gli obiettivi che il direttore e i redattori perseguivano. Infine, propongo una divisione degli articoli in cinque categorie: politica, economia, cronaca, cultura ed etnografia. Di queste, le prime quattro vengono considerate in questo capitolo, mentre, agli articoli etnografici è dedicata la parte successiva. La classificazione degli articoli in categorie tematiche mi permette da un lato di esporre gli argomenti trattati nel corso degli otto anni di vita del periodico, dall’altro di dimostrare come il tema del razzismo, pur non venendo affrontato da un gruppo specifico di scritti, attraversasse tutte le categorie individuate. Infatti, la rivista di Felici non insiste esplicitamente sull’immoralità della pratica del madamato, sull’accusa di «lesione del prestigio di razza» o sulle relative sanzioni previste dalla legge. Tuttavia, gli articoli di qualsiasi categoria sono pieni di riferimenti volti a sottolineare l’inferiorità razziale dei neri. Tale inferiorità assume una duplice funzione: giustificare il colonialismo e scongiurare il pericolo della contaminazione razziale. Nella seconda parte, mi concentro sugli articoli di argomento etnografico dell’«Italia d’Oltremare». Questo gruppo di articoli rappresenta il canale principale attraverso il quale la rivista di Felici veicolò sentimenti razzisti nei confronti delle popolazioni delle colonie. Dopo aver parlato del ruolo che il fascismo assegnò all’etnografia, presento i temi e i toni di un dibattito che si sviluppò tra il 1940 e il 1941 tra le pagine della rivista, a proposito del ruolo che questa disciplina avrebbe dovuto assumere in relazione alle politiche coloniali. Infine, illustro in che modo, attraverso quali immagini e con quali stratagemmi stilistici, gli autori degli articoli etnografici costruirono l’ambiente coloniale e i suoi abitanti. Le descrizioni etnografiche ripropongono in una veste “scientifica” idee e immagini dell’alterità africana già consolidate all’interno del senso comune. L’ultima parte di questo lavoro si concentra sull’analisi dei Prigionieri del sole (Vita dei concessionari di Genale), il romanzo di Dante Saccani, la cui prima parte è uscita a puntate sull’«Italia d’Oltremare» nel 1939. Dopo aver individuato le caratteristiche principali dei romanzi coloniali degli anni Trenta, cerco di inserire I prigionieri del sole all’interno del panorama letterario rappresentato da queste opere. Infine, mi concentro sul ruolo giocato dal razzismo che, nell’opera di Saccani, non solo determina le caratteristiche dei personaggi, ma svolge anche una funzione narrativa. Anche il romanzo, come gli articoli etnografici, ha, quindi, contribuito a diffondere un’immagine degradante degli abitanti delle colonie, costruita in opposizione a quella del uomo nuovo fascista e volta a consolidare negli italiani la certezza della propria superiorità razziale. Siccome la versione integrale del romanzo di Saccani non è mai uscita in volume, riporto in una prima appendice la parte dei Prigionieri del sole pubblicata dell’«Italia d’Oltremare», mentre, in una seconda appendice, pubblico gli indici complessivi della rivista, suddivisi per anno e per numero.
XXIV Ciclo
1983
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7

Valentini, Francesca. "RICEZIONI, TRADUZIONI E RISCRITTURE. IL CASO CUBANO." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/11000.

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Abstract:
2012/2013
Il presente studio ha come obiettivo quello di mettere in luce le relazioni che esistono tra la letteratura italiana e quella cubana. Partendo dall’analisi generale del boom delle letterature sudamericane degli anni ’60, fenomeno che ha interessato l’Europa in generale, è stato possibile stabilire come l’esperienza cubana abbia rivestito un ruolo fondamentale all’interno del mercato editoriale italiano per la peculiare opera di mediazione culturale di Giangiacomo Feltrinelli, Alba de Céspedes e Italo Calvino. Attraverso lo studio delle problematiche che riguardano la ricezione è stato sottolineato il ruolo degli stereotipi culturali che hanno condizionato la lettura delle prime opere tradotte e i fattori che hanno determinato la delineazione di un canone letterario sudamericano e cubano in particolare. L’analisi delle tendenze generali della traduttologia ha messo in evidenza i limiti delle traduzioni per quanto concerne sia la poesia che la narrativa cubana. L’ultima sezione dello studio si occupa della ricezione da parte degli intellettuali italiani delle opere cubane ponendo l’attenzione sul richiamo del capolavoro di José Lezama Lima nel Petrolio pasoliniano.
The present study aims to underline the relationships that exist between the Italian and the Cuban literature. Starting from the analysis of the general boom in Latin American literature of the '60s, a phenomenon that has affected Europe in general, be established as the Cuban experience has played a key role within the Italian publishing market for the particular work cultural mediation of Giangiacomo Feltrinelli, Alba de Céspedes and Italo Calvino. Through the study of the issues concerning the reception was stressed the role of cultural stereotypes that have influenced the reading of the first works translated and the factors that led to the delineation of a literary canon South American and Cuban in particular. The analysis of the general trends of the translations it has highlighted the limits in terms of both the poetry that the Cuban narrative. The last section of the study deals with the reception by the works of Italian intellectuals Cuban focusing on the recall of the masterpiece by José Lezama Lima in Petrolio by Pasolini
El presente estudio pretende arrojar luz sobre las relaciones que existen entre la literatura italiana y la de Cuba. A partir del análisis del boom general de la literatura latinoamericana de los años 60, un fenómeno que ha afectado a Europa en general, se establecerá como la experiencia cubana ha desempeñado un papel clave en el mercado de la edición italiana de la obra en particular mediación cultural de Giangiacomo Feltrinelli, Alba de Céspedes e Italo Calvino. A través del estudio de las cuestiones relativas a la recepción se destacó el papel de los estereotipos culturales que han influido en la lectura de las primeras obras traducidas y los factores que llevaron a la delimitación de un canon literario latinoamericano y cubano en particular. El análisis de las tendencias generales de las traducciones que ha puesto de relieve los límites en términos tanto de la poesía que la narrativa cubana. La última sección del estudio se refiere a la recepción de las obras cubanas de los intelectuales italianos, poniendo la atención en la retirada de la obra maestra de José Lezama Lima en Petrolio de Pasolini.
XXVI Ciclo
1983
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8

Di, Donfrancesco Dario. "La vela, la ruota, il pedale e il vapore. Viaggi, paesaggi adriatici e mezzi di trasporto." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7411.

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Abstract:
2010/2011
Tra le varie (e non ancora compiutamente classificate o precisate) modalità dell’interazione di un qualsiasi genere o sottogenere letterario con l’atto descrittivo (che spesso agisce sulla rielaborazione stilistico-descrittiva del paesaggio) o con l’eventuale assetto odeporico, è possibile individuare quella relativa agli stimolanti rapporti strutturali e multidisciplinari che queste scritture stabiliscono nell’impianto testuale generale con la presenza e l’azione dei mezzi di trasporto, considerabili nella gran parte dei casi come vere e proprie “scatole socioculturali” e mobili sorgenti visive. Questa interazione, preziosa e atipica, si rivela elemento letterario spesso ingiustamente trascurato nelle analisi critiche delle opere in prosa. L’idea centrale che sta alla base di questo studio è proprio l’applicazione di queste osservazioni all’affascinante conglomerato storico, sociale e letterario formato dall’area delimitata dal Mar Adriatico, con i suoi retaggi storici e socioculturali, qui intesa come territorio geograficamente molto ampio, dai contorni sfumati, non strettamente e acriticamente identificabili con i confini politici o con le rappresentazioni cartografiche delle mappe. Il mezzo di trasporto non è soltanto un elemento di cui la critica odeporica e quella tematica hanno sempre tenuto conto quando si è trattato di meglio delineare e approfondire i diversi filoni, generi e sottogeneri della cosiddetta “letteratura di viaggio”. Esso si inserisce in maniera determinante anche nel rapporto tra paesaggio, visione e rappresentazione letteraria, soprattutto dal punto di vista sociologico o antropologico, entrando non di rado a far parte integrante della fase panoramico-descrittiva adriatica, tramutandosi dunque esso stesso in elemento paesaggistico primario. Questa particolare modalità di interazione tra viaggio, paesaggio e mezzo di trasporto negli orizzonti adriatici o para-adriatici, non essendo definibile come “tema” per le ragioni teoriche che si esporranno nell’introduzione del lavoro, è stata qualificata come “sottomotivo” o “sotto-topos” adriatico, per meglio trasmettere e precisare il senso di originalità del fulcro tematico della tesi e soprattutto perché questa interazione, a mio parere, delinea una modalità adriatico-letteraria talmente soffusa e sfuggente, spesso così faticosamente intuibile nelle sue realizzazioni testuali, da non essere idonea a costituire un’autonoma tipologia di motivo o topos delimitabile con precisione classificatoria o definitoria. I testi-campione che costituiscono il corpus delle opere prese in esame si presentano in un certo senso “trasversali” rispetto a generi e forme, sebbene consistano soprattutto in resoconti odeporici e in produzioni della letteratura di viaggio in senso ampio, anche quella di finzione (e nell’introduzione alla tesi sarà dato conto di questo sdoppiamento definitorio da me prospettato), nonché su romanzi e racconti relativi all’area adriatica, tutti redatti a partire dalle prime decadi del XIX secolo, quando l’invenzione del vapore cominciava a modificare la navigazione, il viaggio e le comunicazioni, man mano che si perfezionavano invenzioni come la vaporiera, il treno, l’automobile, la bicicletta. Il primo capitolo della tesi, quello più corposo, è dedicato alle navi e ai mezzi nautici in generale ed è diviso in tre paragrafi: il primo si concentra sull’alto Adriatico, tenendo conto delle sottocategorie geografiche lagunari e fluviali, partendo dall’analisi di alcune opere di Biagio Marin, per arrivare a Claudio Magris o Emilio Rigatti. Si prosegue con i pochi testi relativi alla zona del medio e basso Adriatico occidentale, per concentrarsi poi su quella orientale, abbracciando un’area che va dal Quarnero all’Albania (compresa una porzione di territorio balcanico) e con estremi cronologici che vanno da alcune “scintille” di Tommaseo o dai resoconti di Mantegazza, fino a testi recenti come quelli di Paolo Rumiz o Hans Kitzmüller. Il secondo capitolo si concentra esclusivamente sui treni e presenta una struttura similare al precedente, con tre paragrafi che analizzano testi che non possono fare a meno di raccontare un Adriatico costiero tutto italiano, non essendo la strada ferrata una prerogativa del versante orientale. Si comincia anche in questo caso con l’Adriatico del nord, fotografato non solo tramite opere otto-novecentesche di una certa fama ma anche, per così dire, “minori”. Lo stesso impianto è utilizzato per il paragrafo dedicato all’area adriatica centro-meridionale, mentre il terzo paragrafo insiste sulla percezione del paesaggio dell’intero litorale italiano, colto nella sua dimensione di continuum geografico e costiero. Il terzo capitolo della tesi opera invece sulle interazioni tra l’area adriatica e i mezzi di trasporto a quattro ruote, a prescindere dalla loro tipologia di trazione o destinazione d’uso. Ad approfondire le interazioni letterarie con il paesaggio e la storia dell’Adriatico saranno dunque le autovetture, le carrozze, le vetture di servizio pubblico e, sorvolando sul cortocircuito tematico, una motocicletta (in viaggio per l’Albania). Il capitolo è diviso in quattro paragrafi, che analizzeranno rispettivamente l’area dell’alto Adriatico, il settore centro meridionale del versante italiano, l’Adriatico “fluviale” italiano con le foci del Po e il versante orientale, tra isole dalmate, area para-balcanica e Albania. Toccherà alla bicicletta chiudere la tesi, con un capitolo, il quarto, interamente dedicato a essa, dalla struttura interna meno articolata rispetto ai precedenti. Un estremo dell’arco cronologico tracciato è rappresentato dalle opere di Alfredo Oriani, l’altro, quello più recente, da cicloviaggiatori contemporanei come Emilio Rigatti o Matteo Scarabelli: è interessante notare come tutte le opere presenti nel quarto capitolo consistano esclusivamente in letteratura odeporica, trattandosi di resoconti inquadrabili nel true travel account, sebbene redatti in forme diverse. Ogni capitolo prevede un breve cappello introduttivo che inquadra la situazione storico-critica di quel mezzo di trasporto nella letteratura e illustra la metodologia adottata per delineare ed esporre il rapporto tra esso e il sottomotivo adriatico oggetto della tesi.
XXIV Ciclo
1975
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9

Kovačević, Zorana. "Mediazioni culturali: letteratura e società italiane nell'odeporica serba ed europea tra Ottocento e Novecento." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10150.

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Abstract:
2012/2013
Lo scopo di questo lavoro è rappresentare l’immagine dell’Italia, della sua società, della sua cultura e soprattutto della sua letteratura nell’ambito dell’odeporica serba ed europea dell’Ottocento e del Novecento. Nonostante una sorprendente presenza dell’Italia nella letteratura di viaggio serba, i saggi, le monografie, i libri, le antologie e gli altri testi che ne trattano non sono particolarmente numerosi tanto in lingua serba quanto in quella italiana. Al contrario di ciò che accade per altri viaggiatori stranieri, la presenza di testimonianze scritte dai serbi in visita in Italia è dunque studiata relativamente poco: infatti, considerando la bibliografia generale relativa al viaggio in Italia, colpisce subito una notevole asimmetria e una grande lacuna. La tesi è divisa in due parti. Nella prima, tramite le pagine dei viaggiatori serbi che dell’Italia hanno lasciato testimonianza scritta sono illustrati, privilegiando un taglio cronologico, gli elementi essenziali a un ritratto del Belpaese, fra Ottocento e Novecento. Attraverso cinque capitoli, che corrispondono ad altrettante fasi dello sviluppo dell’odeporica serba, viene messo l’accento sull’immagine dell’Italia, mentre tutte le informazioni fornite sui viaggiatori e le loro opere sono ridotte all’essenziale in quanto maggiormente pertinenti all’ambito della slavistica. L’Italia, soprattutto per le sue bellezze e tradizioni, è senz’altro una meta d’obbligo per chi proviene dalle terre slave. Per quanto riguarda l’area serba, la presenza dell’Italia si può osservare principalmente attraverso la letteratura di viaggio a cui hanno contribuito, in più di due secoli, scrittori curiosi di conoscere questo paese, che fin dai tempi del Grand Tour ha attirato schiere di viaggiatori da tutta Europa. La prima fase dell’odeporica serba sull’Italia si apre poco prima dell’inizio del secolo XIX e dura fino al Romanticismo, che ne costituisce la seconda fase, quando appaiono i notevoli contributi di Petar Petrović Njegoš e soprattutto il libro Lettere dall’Italia di Ljubomir Nenadović, che non rappresenta solo uno spartiacque nel genere, ma senza dubbio anche un passo notevole in tutta la letteratura di viaggio serba. La terza fase, che in qualche modo corrisponde al Realismo, si protrae fino all’apparizione di una generazione nuova che si afferma tra le due guerre mondiali e porta la letteratura di viaggio alla sua epoca d’oro in cui essa, ormai staccata e lontana dalla tradizione precedente, matura completamente. Siccome ripercorrendo le tappe dello sviluppo di questa tradizione risulta che il periodo tra le due guerre è fondamentale in quanto momento in cui avviene un grande cambiamento della poetica del viaggio stesso, si porrà l’accento proprio su questo quarto periodo, chiamato anche Modernismo, che costituisce una fase cruciale per l’odeporica serba. Infine, dopo la seconda guerra mondiale fino alla fine del secolo XX si snodano i decenni che corrispondo all’ultima e conclusiva epoca. A giudicare dai diari, dalle lettere, dai resoconti e da altro materiale riguardante il tema del viaggio, città come Napoli, Roma e Venezia confermano la loro prevedibile centralità in questa mappa, seguite a ruota dalle città toscane e da quelle siciliane. Anche se i viaggiatori serbi privilegiano le zone di cui si ha già una conoscenza dettagliata, soprattutto a partire dalla fine della prima guerra mondiale esse si moltiplicano e l’elenco dei nomi si arricchisce di località meno note. Mentre nelle pubblicazioni dedicate a questo tema, pur inquadrato da differenti angolazioni e metodologie, manca un approccio comparativo, nella tesi, sin dalla fase embrionale, si è cercato di descrivere il mondo dei viaggiatori stranieri che hanno deciso di rendere omaggio all’Italia con i loro scritti, stabilendo paragoni e confronti. Si inizia perciò una rapidissima panoramica sul viaggio raccontato nell’odeporica europea nel periodo che abbraccia l’Ottocento e il Novecento, soprattutto attraverso il più classico dei canoni il cui modello è diventato familiare anche all’odeporica serba. Partendo da Goethe, passando per Gogol’, arrivando a Stendhal, con qualche digressione sui viaggiatori meno conosciuti, si verifica in che modo le stazioni di un pellegrinaggio appassionato, e soprattutto le immagini dell’Italia e della sua cultura si sovrappongono con, o differiscono da, quelle relative ai viaggiatori serbi. Inoltre, all’occorrenza, come termine di paragone, si affronta anche il viaggio degli italiani in Italia. Invece la seconda parte, divisa in cinque capitoli, mostra l’immagine della letteratura italiana nelle testimonianze odeporiche, soprattutto del Novecento, un secolo cruciale per la presenza dell’Italia nella letteratura serba. Per quanto riguarda le preferenze dei viaggiatori, da un lato si nota la passione per i classici come Dante, Petrarca e Tasso, mentre dall’altro si manifesta anche l’interesse per scrittori come Gucciardini, Cecco Angiolieri, Santa Caterina da Siena o Giuseppe Gioachino Belli. Solo qualche sporadica menzione è riservata a D’Annunzio oppure al futurismo italiano. Il baricentro di quasi tutta la seconda parte della tesi è senz’altro il rapporto di Miloš Crnjanski con la letteratura italiana: egli, che ne fu un grande ammiratore e lettore, la affronta anche dal punto di vista critico utilizzando un ricco corpus di fonti che esamina con cura. Il primo capitolo è dedicato al rapporto di Crnjanski con Dante: nel corso del suo pellegrinaggio fiorentino che descrive nel libro L’amore in Toscana, lo scrittore approda a un’attenta lettura della Vita nuova, facendo, secondo consuetudine, alcune annotazioni a margine, grazie alle quali è possibile seguire un filo rosso che accomuna i due letterati, e rintracciare una serie di affinità tematiche che Crnjanski trova tra il suo diario di viaggio e quello che parla del primo amore di Dante. Se si osservano tutti i filoni tematici lungo i quali si dipana la ricezione di Firenze nell’odeporica serba, è evidente che in tale complesso manca un particolare interesse per la figura e l’opera di Dante, che è invece un topos importante affermatosi nella gran parte della produzione letteraria europea che ruota attorno all’Italia. È dunque proprio Miloš Crnjanski a colmare questa lacuna offrendo un piccolo ma piuttosto significativo tributo all’artefice della Commedia. L’immagine che Crnjanski ha di Firenze non consiste nella consueta descrizione della città e dei suoi itinerari, ma secondo la poetica del libro L’amore in Toscana l’idea di omaggiare Dante si realizza con l’inserimento all’interno della sua struttura di un saggio dedicato alla protagonista della Vita nuova intitolato appunto Sulla Beatrice fiorentina. Una lettura approfondita del saggio di Crnjanski rimanda subito alla sua fonte principale: lo studio di Alessandro D’Ancona del 1865 La Beatrice di Dante, le cui considerazioni preliminari sono servite allo scrittore serbo come punto di partenza da cui deriva anche il tono polemico con cui egli talvolta affronta l’argomento. Il secondo capitolo nasce sempre dal contatto con gli scrittori italiani avvenuto durante il pellegrinaggio descritto nell’Amore in Toscana, che mostra la particolare attrazione di Crnjanski per Siena, a cui dedica quasi la metà del libro, riservandole punti di vista e interpretazioni originali. Questo ritratto della città contiene diversi passaggi narrativi interessanti incentrati su alcuni momenti della vita degli scrittori e degli artisti italiani del medioevo tra i quali spicca Cecco Angiolieri, il più rappresentativo di quei poeti detti “giocosi” o “comico-realistici” che fiorirono in Toscana tra la seconda metà del Duecento e l’inizio del Trecento. Per affrontare sia l’universo poetico sia la vita privata del poeta senese Crnjanski si è servito dall’importante contributo di Alessandro D’Ancona intitolato Cecco Angiolieri da Siena, poeta umorista del secolo decimo terzo, del 1874. Per questo motivo, alla fine del capitolo è parso interessante soffermarsi brevemente su due saggi di Luigi Pirandello: Un preteso poeta umorista del secolo XIII e I sonetti di Cecco Angiolieri, scritti con lo scopo di confutare decisamente la tesi, protrattasi per secoli e sostenuta da D’Ancona, secondo cui Cecco sarebbe stato a tutti gli effetti un poeta umorista. Anche se queste pagine di Pirandello sono prive di punti di contatto con quelle dell’Amore in Toscana, esse completano il quadro della critica più antica sulla poesia di Angiolieri, e permettono di mostrare similitudini e differenze con la ricezione che ne ha Crnjanski. Anche nella seconda parte della tesi si privilegia un approccio comparativo, perché studiando i rapporti tra gli scrittori e i viaggiatori serbi e la letteratura italiana incrocia spesso il mondo di altri autori europei che viaggiando in Italia hanno affrontato temi legati alla letteratura del paese che stavano visitando. Così, per esempio, il terzo capitolo, incentrato su Tasso nell’odeporica di Miloš Crnjanski e Marko Car, è corredato da un capello introduttivo nel quale si affronta anche l’interesse per la figura e la vita di Tasso nella letteratura europea. È soprattutto tra Sette e Ottocento che la vicenda drammatica di Tasso offre elementi che entrano perfettamente in sintonia con il gusto del tempo e perciò proprio in quel periodo che egli diventa protagonista di un vero mito letterario, le cui radici, però, risalgono già al Seicento. Ma proprio nel Novecento, quando questa fortuna letteraria e anche figurativa, particolarmente duratura, che ebbe soprattutto echi internazionali, sembra ormai al tramonto, essa, invece, ebbe un suo ulteriore bagliore presso i letterati serbi, che non riuscirono a sottrarsi al fascino della vita di questo poeta, piena di laceranti contrasti che si inquadrano nella situazione politica e religiosa del suo tempo. Frutto di tale interesse sono due contributi non notevoli dal punto di vista della lunghezza, ma interessanti per un’impronta personale, nonostante talvolta si noti una significativa presenza delle letture fatte: si tratta di un capitolo delle Lettere estetiche di Marko Car intitolato Il monastero di Sant’Onofrio - Torquato Tasso - Panorama dal Gianicolo e di quello semplicemente intitolato Tasso parte del libro Presso gli Iperborei di Miloš Crnjanski. Similmente è impostato anche il quarto capitolo intitolato Crnjanski lettore dei sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli nel quale, oltre a approfondire il rapporto tra Miloš Crnjanski e Belli, è riservato un ampio spazio a quei grandi letterati europei che ebbero il merito di diffondere la fama dello scrittore romano oltre frontiera. Toccherà a Ivo Andrić chiudere la tesi, con un capitolo, il quinto, interamente dedicato al rapporto dell’unico vincitore jugoslavo del premio Nobel per la letteratura con la società, la cultura e soprattutto la letteratura italiane, che a più riprese hanno attirato l’attenzione di questo scrittore. Si tratta di un argomento poco indagato nel suo complesso, importante tuttavia per illustrare in che modo nel vasto corpus delle opere di Andrić si integri la passione per il Belpaese. Oltre al rapporto con il fascismo e con la letteratura italiana attraverso alcuni autori classici, un ampio spazio del capitolo è dedicato all’interesse dello scrittore per Francesco Guicciardini la cui vita e opera Andrić affrontò con una solida preparazione e nel cui pensiero riconobbe numerose affinità con il proprio.
XXV Ciclo
1985
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10

Milanko, Sandra. "Bontempelli, l'avanguardia, il pubblico: dal futurismo alla pittura metafisica." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10152.

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Abstract:
2012/2013
Lo scopo di questo lavoro è affrontare la produzione letteraria e pubblicistica di Massimo Bontempelli degli anni Venti illustrando le fasi del suo sviluppo artistico il cui risultato finale sono stati la tendenza artistica chiamata «novecentismo» e uno stile e una poetica letteraria denominati realismo magico. Siccome il processo delle sue teorizzazioni poetiche e della loro realizzazione in sede letteraria coincidono con il suo crescente successo in quanto scrittore e organizzatore culturale, l'analisi della gran maggioranza della sua narrativa degli anni Venti rivela i fattori specifici che hanno contribuito al suo successo presso diverse comunità di lettori degli anni Venti. Uno di questi fattori è lo stretto connubio tra letteratura e giornalismo segnato nei primi decenni del Novecento non solo dai romanzi d'appendice, ma dallo sviluppo della terza pagina che proprio in questi anni vive il suo periodo d'oro. Nel caso di Bontempelli queste tendenze si traducono non solo in continue collaborazioni strettamente editoriali e giornalistiche, ma anche nella pubblicazione di numerosi racconti degli anni Venti prima sui giornali e solo dopo in volume – un procedimento che Bontempelli chiama «prova d'appendice», poiché per lui il successo presso il pubblico largo ed eterogeneo dei quotidiani costituisce una specie di indicatore del potenziale successo dei racconti radunati e offerti ai lettori in volume. Infatti, una delle innovazioni del novecentismo letterario di Bontempelli è l'imperativo di creare una letteratura «popolare», cioè una letteratura rivolta ad un largo pubblico di non intenditori, godibile e divertente, ma altamente letteraria. Un altro fattore strettamente legato al nesso letteratura-giornalismo è la serialità della produzione letteraria, che Bontempelli raggiunge non solo attraverso la continua pubblicazione delle sue opere sui giornali e in volume (il che lo rende uno dei più prolifici scrittori italiani del Novecento), ma dalla presenza e dalla continua costruzione del narratore autodiegetico Massimo, che si presenta tra l'altro come autore fittizio dei racconti in cui compare. Ricco di elementi autobiografici al punto di essere considerato dalla critica un alter ego dello stesso scrittore, l'evoluzione dell'autore-narratore-protagonista Massimo riflette fedelmente quella della poetica letteraria di Bontempelli, specialmente nel suo rapportarsi con il fantastico. Questi e altri parametri della poetica bontempelliana discussi in questo lavoro sono frutto sia del suo netto rifiuto dei canoni letterari ottocenteschi e dei loro rimodellamenti nel primo Novecento che del suo distacco e del successivo rinnegamento delle avanguardie storiche, innanzitutto del futurismo. Quest'ultimo, insieme al neoclassicismo carducciano che lo precede e alle teorizzazioni metafisiche che lo succedono rappresenta correnti artistiche che hanno avuto la maggior influenza sulla produzione letteraria e teorica di Bontempelli, contribuendo in maniera significativa alla formulazione della sua poetica. Perciò ho ritenuto necessario ricostruire in modo più approfondito le dinamiche dei rapporti che Bontempelli ha stabilito con ognuna di esse cercando di evidenziare i numerosi aspetti che finora sono stati sottovalutati o del tutto ignorati dalla critica bontempelliana. Questo risulta più evidente proprio nel suo rapporto con il futurismo, fino a una decina di anni fa poco indagato e perciò spesso erroneamente definito come uno di netta adesione, senza distinguere i due momenti più significativi del movimento: quello strettamente marinettiano dei primi anni del lancio, e quello successivo, detto“fiorentino”, e organizzato intorno alla rivista fiorentina «L'Italia Futurista». Perciò i primi due capitoli sono dedicati a queste due espressioni del movimento futurista e indagano i modi in cui si colloca la produzione letteraria e giornalistica di Bontempelli del periodo. Quello che unisce lo scrittore con il futurismo strettamente marinettiano è il rifiuto della letteratura passatista e delle influenze straniere nonché la necessità di un totale rinnovamento artistico, ma nonostante ciò Bontempelli non adotta mai le idee principali del futurismo né sul piano formale e contenutistico, né quello ideologico. Questa posizione viene illustrata non solo dai suoi articoli interventisti inseriti nei volumi Dallo Stelvio al mare (1915) e Meditazioni intorno alla guerra d'Italia e d'Europa (1917), ma anche dalla sua prima rappresentazione di stampo avanguardista La guardia alla luna (1916) in cui vengono messi in questione sia gli stilemi del teatro borghese ottocentesco che la stessa ideologia futurista rappresentata dal motto Uccidiamo il chiaro di luna!, che nella rappresentazione di Bontempelli viene esasperato e portato all'assurdo. Ciò che risulta dalle mie ricerche è che l'avvicinamento di Bontempelli al futurismo è dovuto piuttosto al secondo momento del movimento segnato dalla formazione della pattuglia azzurra, ovvero da scrittori neofuturisti come Emilio Settimelli, Mario Carli, Bruno Corra e Arnaldo Ginna. Come viene evidenziato nel corso del lavoro i principali punti d'incontro tra la redazione de «L'Italia Futurista» e Bontempelli sono il versante magico-occultista (fino a quel punto presente nel movimento marinettiano soltanto marginalmente), la figura dell'uomo deificato basata sulle letture di Nietzsche e Weininger, la rivelazione di lati nascosti della realtà quotidiana e le innovazioni della scienza e cinematografia futurista esposte nei rispettivi manifesti. La sua vicinanza al momento fiorentino del movimento viene confermata non solo dalla pubblicazione della sua poesia Lussuria sul loro giornale, ma dagli stessi contatti personali che Bontempelli stabilisce con loro in quel periodo, come testimoniano le due lettere inedite scritte da Bontempelli a Settimelli nel 1917 la cui trascrizione si trova nell'appendice. Perciò sono più propensa a considerare l'esperienza futurista di Bontempelli non come una netta adesione, ma piuttosto come un avvicinamento che avrebbe tuttavia lasciato una profonda traccia nella sua produzione successiva. Nonostante il netto distacco ufficiale dal futurismo a partire dal 1919, Bontempelli continuerà a confrontarsi con il futurismo adottando alcuni suoi procedimenti e soluzioni formali con l'intento nello stesso tempo parodico e rinnovatore, come illustrato nei primi racconti del dopoguerra radunati nel volume La vita intensa. Esso insieme a La vita operosa costituisce un dittico che non solo segna il distacco dal futurismo e dai diversi generi narrativi della letteratura passatista, ma offre un'autentica e suggestiva immagine dell'Italia postbellica problematizzando la crisi dello scrittore-intellettuale. Nel terzo capitolo ho dedicato un ampio spazio all'analisi narratologica del narratore autodiegetico Massimo che compare per la prima volta proprio in questi racconti e che sarà una continua presenza nei racconti successivi analizzati in questo lavoro. È grazie anche a quest'analisi dettagliata del narratore-protagonista che si riesce a ricostruire la presenza di una terza vita, la vita «misteriosa», che prende molti spunti dalle mode esoterico-occultiste e dalla stessa pattuglia azzurra non solo per deriderli, ma anche per riproporre la possibilità di rivelare gli aspetti nascosti, strani e insoliti, ma sempre reali della vita quotidiana. Nel quarto capitolo viene esaminata quella che può essere considerata la fase «metafisica» di Bontempelli in quanto le tre opere prese in considerazione, Viaggi e scoperte. Ultime avventure, La scacchiera davanti allo specchio ed Eva ultima, rivelano l'applicazione, o meglio, il riciclaggio delle teorizzazioni metafisiche, parallelamente agli articoli del volume La donna del Nadir e del reportage di viaggio sotto il titolo Lettere da due mari e Visita ai vinti. Si tratta di quello stesso procedimento che Bontempelli aveva applicato alle teorizzazioni del movimento futurista, rifiutando da una parte le idee che non erano adatte ai tempi moderni né portatrici di un autentico rinnovamento artistico, e riproponendo, dall'altra, quelle che erano consone alle sue. Il suo rapporto con le teorizzazioni della pittura metafisica non è segnato solo dalla reinterpretazione della figura del manichino e delle marionette, ma soprattutto dalla figura dell'artista inteso come mago moderno e, di conseguenza, anche dall'immedesimazione dell'arte con la magia. Accanto all'ironia, il mezzo artistico principale diventa l'immaginazione che lo avvicina ancora di più al mondo fantastico. Infatti, quello che risulta dall'analisi di questi racconti che Bontempelli definiva «d'evasione», è una continua oscillazione (o esitazione, per dirla con Todorov,) tra il reale e l'immaginario. Nel suo rifiuto e riuso dell'immaginario della letteratura fantastica ottocentesca, Bontempelli si rifà spesso ad alcuni suoi parametri principali, per cui la terminologia todoroviana, basata sull'analisi dello stesso corpus, risulta la più adatta per analizzare questi e successivi racconti, che similmente riproducono in chiave parodica alcuni elementi del fantastico ottocentesco. L'avvicinamento al fantastico viene illustrato in modo esemplare proprio dalla ulteriore costruzione del narratore-protagonista Massimo che diventa sempre più complesso senza rinunciare alle sue caratteristiche principali. Egli rimane fedele alla sua funzione di autore fittizio e narratore degli eventi che sono successi a lui in quanto protagonista o che gli sono stati raccontati da altri (come in Eva ultima) e quindi li riferisce a sua volta in quanto scrittore e giornalista. Nella prima parte dell'ultimo capitolo, in cui si riassumono anche le conclusioni di questo lavoro, vengono esposte le teorizzazioni di Bontempelli sulla figura dello scrittore e sul suo rapporto con il pubblico nonché le nozioni principali della poetica bontempelliana come il novecentismo e il realismo magico. Anche se la loro elaborazione e le ulteriori spiegazioni si protraggono fino agli articoli degli anni Trenta, la loro prima realizzazione compiuta si trova innanzitutto in un altro dittico del periodo: La donna dei miei sogni e altre storie d'oggi (1926) e Donna nel sole e altri idilli (1928). Dopo la trasformazione soggettiva della realtà quotidiana delle due Vite e l'esitazione tra il reale e l'immaginario delle opere d'evasione, con questi racconti Bontempelli finalmente raggiunge la sfera del fantastico; un evento soprannaturale, come prescritto dalla tradizione del fantastico ottocentesco, infrange le leggi naturali, ma nel caso di Bontempelli l'avvenimento soprannaturale, dopo l'iniziale stupore e la trasgressione, viene normalizzato e incorporato nel paradigma di realtà che di conseguenza viene modificato. Perciò l'irruzione e l'integrazione dell'evento sovrannaturale nel paradigma di realtà compongono quello che nel caso dei racconti magicorealisti di Bontempelli ho chiamato il «fantastico quotidiano». Questi racconti segnano infine la maturazione del narratore-protagonista Massimo che si rivela finalmente un mago moderno novecentista, dotato di poteri sovrannaturali con cui non solo sconvolge e domina le leggi naturali, ma scopre quello che Bontempelli chiama il senso magico della vita quotidiana. La sua indole magica viene confermata ulteriormente nell'ultima raccolta in cui egli compare da autore-narratore-protagonista, strutturata come la sua autobiografia fittizia, Mia vita morte e miracoli (1931). La raccolta è il risultato del montaggio dei racconti scritti tra il 1923 e il 1929, ma si tratta di un procedimento che Bontempelli applica a tutta la serie di volumi che egli pubblica nel corso degli anni Venti, costruendo un macrotesto o un insieme di sister-text, il cui unificatore principale è proprio la presenza di Massimo. Questo montaggio viene particolarmente intensificato negli anni Trenta in occasione del lancio della collezione «Racconti di Massimo Bontempelli» presso l'editore Mondadori che ripropone tutti i racconti in questione e introduce le modifiche più notevoli rispetto alle prime edizioni. Che il dialogo di Bontempelli con il futurismo continui anche nella seconda metà degli anni Venti lo confermano non solo la sua produzione teatrale del periodo (Nostra Dea e Minnie la candida), frequentazioni e collaborazioni con singoli esponenti del movimento e le stesse polemiche sull'arte, sulla figura dell'artista e sul valore delle avanguardie, ma lo stesso narratore-protagonista Massimo interpretabile alla fine della sua evoluzione come la versione novecentista dell'uomo deificato. Quello che lo accomuna con l'Uomo-Dio di Papini e Prezzolini, l'Uomo moltiplicato di Marinetti, l'Uomo occultista di Corra e il mago moderno di Ginna e di Savinio, è il continuo insistere sulla forza performativa della volontà e sul dominio del mondo inteso come sconvolgimento delle leggi naturali nonché la rivelazione dei nuovi aspetti misteriosi della realtà più banale. Quello che distingue l'uomo deificato di Bontempelli da quelli precedenti è una palese ironia e demistificazione di quei luoghi comuni legati al clima esoterico-occultista che nelle opere della pattuglia azzurra era ancora funzionante. Anche dietro l'applicazione della differenziazione weiningeriana tra il maschile e il femminile, della retorica della virilità e del gusto dell'avventura è ravvisabile un trattamento ironico e parodiante dell'immaginario futurista. A questo procedimento si potrebbe aggiungere anche il continuo insistere di Bontempelli sull'autobiografismo e sull'automitizzazione che erano tipici della maggior parte della produzione futurista, soprattutto di quella di Marinetti, Corra, Ginna o Carli. Se nelle loro opere questi due elementi tendono a cancellare il tradizionale limite tra la realtà e la finzione raggiungendo l'ideale futurista del connubio arte-vita, nelle opere narrative di Bontempelli lo stesso connubio viene tematizzato solo per rivelare la futilità di questi elementi nel loro impiego futurista e per ripristinare la distinzione tra la realtà e la finzione riconfermando la natura artificiale e fittizia dell'opera d'arte.
XXVI Ciclo
1986
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