Academic literature on the topic 'Immaginari collettivi'

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Journal articles on the topic "Immaginari collettivi"

1

D'Angelo, Lorenzo, and Pietro Zanirato. "Come una cittŕ si ricorda e immagina il suo futuro." COSTRUZIONI PSICOANALITICHE, no. 22 (December 2011): 133–42. http://dx.doi.org/10.3280/cost2011-022011.

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Abstract:
L'obiettivo dell'articolo č di proporre una elaborazione delle nozioni di "abitare" e di "memoria" nell'ambito dell'antropologia urbana. Attraverso la prospettiva di Heidegger sull'abitare (bauen) e la rilettura di Ingold sulla "prospettiva dell'abitare" (dwelling perspective), questo articolo analizza come una cittŕ elabora la memoria del suo passato e immagina il suo futuro. Il caso di Sesto San Giovanni mostra come i siti industriali del passato possano diventare parte di un immaginario materiale collettivo.
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2

Micotti, Luca. "L'arduo presente dello spazio urbano pavese." STORIA IN LOMBARDIA, no. 1 (April 2022): 110–30. http://dx.doi.org/10.3280/sil2021-001007.

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Abstract:
Quando si parla della forma urbana di Pavia si pensa alla maglia del castrum racchiusa nel poligono delle mura spagnole. La città immaginata coincide con i relitti di quella antica. Al contrario, la periferia costruita nel secondo Novecento - il grosso dello spazio che abitiamo - si configura come spazio rimosso, problematico da immaginare. Questa indagine sulla recente metamorfosi di Pavia vuole essere un invito alla ricerca, volto a migliorare la consapevolezza dello spazio che abitiamo. Si tratta di rinnovare la percezione dello spazio costruito dai nostri genitori dal quale, per crescere, con affetto e incertezza costantemente ci separiamo. Entrano in gioco: percezione soggettiva e collettiva, senso estetico e senso civico, cura, il modo in cui ogni generazione adatta l'abitato, vi si adatta e vi si rappresenta, l'esperienza locale e quotidiana della nostra relazione con il mondo.
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3

Tozzi, Chiara. "Le emanazioni oscure della psiche. Ombre e bagliori nel Libro Rosso di Jung, nelle fiabe, nei film e nella psiche individuale e collettiva." STUDI JUNGHIANI, no. 49 (May 2019): 107–30. http://dx.doi.org/10.3280/jun1-2019oa7912.

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Abstract:
Intervistata da Chiara Tozzi, Nancy Swift Furlotti narra il suo percorso esistenziale individuale intrecciandolo a quello di analista junghiana e illustrando il suo rapporto con le "emanazioni oscure della psiche": dai fantasmi individuali e collettivi alle immagini archetipiche rappresentate da Jung nel Red Book, di cui Furlotti ha curato, insieme ad altri per la Philemon Foundation, la scannerizzazione e pubblicazione. Furlotti illustra la sua prospettiva sulla pratica dell'immaginazione attiva e la correlazione fra le immagini archetipiche e quelle dei film, in virtù della sua partecipazione alla realizzazione di documentari su Jung ed altri esponenti della comunità junghiana, e della sua attività come membro del Direttivo del Mercurius Prize.
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Tozzi, Chiara. "Le emanazioni oscure della psiche." STUDI JUNGHIANI, no. 49 (May 2019): 161–79. http://dx.doi.org/10.3280/jun1-2019oa7915.

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Abstract:
Intervistata da Chiara Tozzi, Nancy Swift Furlotti narra il suo percorso esistenziale individuale intrecciandolo a quello di analista junghiana e illustrando il suo rapporto con le "emanazioni oscure della psiche": dai fantasmi individuali e collettivi alle immagini archetipiche rappresentate da Jung nel Red Book, di cui Furlotti ha curato, insieme ad altri per la Philemon Foundation, la scannerizzazione e pubblicazione. Furlotti illustra la sua prospettiva sulla pratica dell'immaginazione attiva e la correlazione fra le immagini archetipiche e quelle dei film, in virtù della sua partecipazione alla realizzazione di documentari su Jung ed altri esponenti della comunità junghiana, e della sua attività come membro del Direttivo del Mercurius Prize.
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D'Angelo, Biagio. "L’invenzione della Sirena: miti marini e figurazioni alate nella storia immaginaria del Mediterraneo." Revista da Anpoll 51, no. 3 (December 31, 2020): 11–19. http://dx.doi.org/10.18309/anp.v51i3.1478.

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Abstract:
La sirena è uno dei miti mediterranei più proficui tanto in letteratura come nelle arti. Macro-categoria culturale che “spiegava” un’esperienza del reale, il mito della sirena si è talmente trasformato durante i secoli e le culture da parodiare o mantenere appena tenuemente il legame con il celebre episodio omerico. Magritte, ne “L’invention collective”, raffigurando una creatura che avrebbe potuto far parte della zoologia fantastica di Borges e Guerrero, presenta all’osservatore, una sirena “al rovescio”. Significativamente fuori dall’acqua, la sirena ha gambe umane, femminili e il resto del corpo di un pesce. Già Diderot, nei suoi “Pensées détachées”, aveva riferito dell’orrore provocato da una sirena rovesciata. Le sirene, ad eccezione della nomenclatura di alcuni mammiferi marini, non esistono. Tuttavia, come suggerisce Agamben parlando delle “Ninfe”, esse sono « reali », poiché rappresentano, come si evince dal titolo del quadro di Magritte, un’« invenzione collettiva », cioè un concetto costruito per dimostrare l’origine di aspetti misteriosi della realtà. L’invenzione “collettiva” del mito della sirena, come Diderot e Magritte avevano osservato, rappresenta un rovesciamento della narrazione mitologica. Nella prospettiva inaugurata da Diderot e Magritte, e attraverso esempi tratti da opere di Giraudoux, Tanizaki e D’Arrigo, intuiamo che la modernità del mito della sirena risieda nell’ambiguità e dualità della sua figura a metà.
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6

Journals, FrancoAngeli. "Il diritto ad aspirare nelle geografie dei bambini. Una ricerca-azione partecipativa nel quartiere CEP di Palermo." RIVISTA GEOGRAFICA ITALIANA, no. 4 (December 2021): 23–44. http://dx.doi.org/10.3280/rgioa4-2021oa12957.

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Abstract:
Questo lavoro si propone di indagare criticamente il ruolo che le aspirazioni urbane, vale a dire la capacità collettiva di immaginare spazi alternativi per le proprie città, hanno nella costruzione delle geografie quotidiane delle bambine e dei bambini. In linea con i presupposti della Political Geography of Children, bambine e bambini vengono qui consideraticome attori socio-spaziali capaci di rinegoziare pratiche e rappresentazioni imposte dagli adulti. Muovendo da queste considerazioni teoriche e dai principi metodologici della ricerca-azione partecipativa, analizzeremo il percorso laboratoriale organizzato con le ragazze e i ragazzi dell'Associazione San Giovanni Apostolo del CEP di Palermo, uno dei quartieri più marginalizzati della città. In particolare, prenderemo in considerazione le attività di photo-walk e di mappatura collettiva condotte nel quartiere e i tentativi di trasformare il campo abbandonato di via Calandrucci da zona di ‘disimmaginazione' a luogo di desideri e rivendicazioni per i suoi abitanti più piccoli.
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Fattori, Nicolò, Elena Orsanelli, and Sofia Sacchini. "Abitare un ‘immaginario’ condiviso. Forme e pratiche collettive di riappropriazione degli spazi urbani." Ri-Vista. Research for landscape architecture 19, no. 2 (January 27, 2022): 144–57. http://dx.doi.org/10.36253/rv-11393.

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Abstract:
The invisible systems that govern the space and transform the city raise reflections and foundational questions about the project, understood not only as a mere sequence of actions, but as the main field that is created between actions, spaces and people. The urban project is located within the social fabric, in the folds of the city, in times and spaces that involve users, administrators, informal groups and associations. The space has been double investigated: from a physical point of view and from a functional perspective, but without forgetting the catalytic action of collective activities and practices of which it is intrinsically bearer. The mapping of the collective spaces and the network of the existing active mobility has been associated with the reflection proposed by the #tuttamialacittà project. Both researches have been carried out in the Veneto region and in particular in the metropolitan city of Venice, and are interconnected with the invisible, where the need to interact with the indeterminacy and ambiguity of the space is tangible, in its many and possible interpretations.
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Suàrez, Federico. "A proposito della lettura del libro di Leonardo Montecchi L'ombra dell'angelo. Teoria e pratica della concezione operativa di gruppo." GRUPPI, no. 1 (July 2022): 193–200. http://dx.doi.org/10.3280/gruoa1-2021oa14033.

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Abstract:
In questa connessione l'autore parte dalla lettura del libro L'ombra dell'angelo di Leonardo Montecchi per parlare dell'importanza della Concezione Operativa di Gruppo per comprendere l'uomo moderno, che non trova il suo posto nella storia. I gruppi operativi possono aprire varchi in grado di produrre una modifica in quello stato ordinario di coscienza che permette di aprire altri "spazi", di immaginare, di creare, di abitare... altri spazi. E questo si può fare solo con gli altri, è un lavoro collettivo, possibile grazie e insieme ad altri. Senza gli altri non c'è futuro.
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9

Manghi, Sergio. "Liberi, liberi. Tra violenza e fraternitŕ." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 14 (September 2010): 55–68. http://dx.doi.org/10.3280/eds2010-014005.

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Abstract:
Dal 1945 ad oggi, le nostre societŕ e il nostro immaginario collettivo sono cambiati profondamente. Ed č cambiato anche il modo di significare la violenza smisurata che ha fatto il suo ingresso nella storia con le bombe di Hiroshima e Nagasaki, nel frattempo proliferate. All'immaginario postbellico, caratterizzato da aspettative di forte integrazione sociale e da un rapporto protettivo, "pater-materno", tra individui e istituzioni, č seguito l'immaginario degli anni '60 e '70, caratterizzato dal dilagare del desiderio "filiale" di indipendenza e di libertŕ. A partire dai primi anni '80, la spinta libertaria č stata incorporata, trasformata e sublimata dall'immaginario "neo-liberale" del capitalismo tecnonichilista (Magatti). Con questa inedita configurazione sociale, caratterizzata dal convergere delle spinte libertarie - radicalmente individualizzate, frammentate ed estetizzate ("godimento cinico": "i"ek) - e degli apparati tecnologici sviluppati in tutti gli ambiti della vita, incluso quello militare, ormai potentemente nuclearizzato, il nichilismo profetizzato da Nietzsche tende a permeare l'immaginario collettivo. Nelle nostre relazioni, dal livello internazionale a quello interpersonale, emerge una nuova sfida: la sfida della fraternitŕ. La sfida del riconoscimento reciproco tra i "figli" in uscita - auspicabilmente - dall'adolescenza della libertŕ.
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Bovati, Marco, Emilia Corradi, Kevin Santus, and Ilaria Valente. "Azioni di riuso e strategie di comunità nei processi rigenerativi post-pa." TERRITORIO, no. 97 (February 2022): 125–31. http://dx.doi.org/10.3280/tr2021-097-supplementooa12936.

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Abstract:
È possibile immaginare di costruire una rete territoriale nelle aree interne basata sul riuso/riciclo di manufatti esistenti, capace di definire un telaio di supporto ad azioni di prevenzione, mitigazione e gestione delle emergenze, nonché di promuovere la riattivazione di economie e collettività in una dimensione post-Covid?Attraverso un approccio circolare al progetto, l'infrastruttura ferroviaria e le stazioni in disuso potrebbero costituire il supporto di una duplice rigenerazione nella quale azioni di riuso sistemiche e transcalari agiscono per riattivare dinamiche socioeconomiche e spaziali; in questo quadro la relazione tra comunità e progetto può divenire lo strumento per catalizzare nuovi processi di cura e messa a sistema di spazi ed esigenze locali entro problematiche globali.
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Dissertations / Theses on the topic "Immaginari collettivi"

1

GOLDSCHMIDT, EVA CAROLIN SARAH. "L'influenza degli immaginari collettivi nel progetto delle trasformazioni della provincia italiana oggi.Il caso studio del Piemonte sud-occidentale." Doctoral thesis, Politecnico di Torino, 2012. http://hdl.handle.net/11583/2497502.

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Abstract:
La tesi nasce da alcune riflessioni in merito al tentativo di costruire categorie per la lettura di un territorio a me particolarmente famigliare come quello della pianura cuneese, appoggiandomi a strumenti disciplinari a cavallo fra fenomenologie e letture storiche. Percorrendo quotidianamente, in macchina oppure in treno, il tragitto tra Cuneo e Torino, emerge una stratificazione complessa di segni, che intercettano le trasformazioni storiche e contemporanee infrastrutturali, delle architetture, degli insediamenti, ma anche di quel “modo di vivere” rurale e metropolitano allo stesso tempo, caratterizzato dall'attenzione ostinata e consolatoria ancor più che conservativa, verso un certo tipo di patrimonio da un lato, e dalla carenza di modelli insediativi contemporanei che rispondano efficacemente alle sempre più rapide trasformazioni in atto. Ad una prima lettura si osserva come nei tessuti agricoli paia emergere una rottura fra gli spazi di lavoro e gli spazi dell'abitare, che corrisponde dapprima ad un abbandono dei modelli insediativi storici della casa-cascina per trasporsi nel modello casa-capannone e successivamente nelle grandi aree artigianali contrapposte al recupero a fini abitativi dei fabbricati rurali. Può il progetto di architettura trovare risposte convincenti a queste nuove tendenze apparentemente omologanti? Si propone qui un percorso di ricerca che concentra l'attenzione proprio su quella parte di letteratura disciplinare che negli ultimi anni ha cercato di mettere in discussione i “territori sempre più simili”(C. Bianchetti 2004), per concentrarsi invece sulle “differenze identitarie” che oggi paiono suscitare particolare interesse, non solo in maniera capillare nel modo di vivere, ma soprattutto nella disciplina architettonica. A partire dal 2005 emerge infatti, attraverso una sempre più densa serie di pubblicazioni, una particolare attenzione a spazi “altri”, codificandoli attraverso nuove categorie interpretative(E. Lancerini, Territori Lenti, 2005) e nuovi metodi di lettura(A. Magnaghi, La rappresentazione identitaria del territorio..., 2005). Nell'era dello “slow”, corrispondente non soltanto a quel movimento promosso già alla fine degli anni '90 da C. Petrini nel manifesto di Slow Food (Carta costitutiva delle città Slow, 1999), ma inevitabilmente anche ad un'attenzione alla qualità della vita intesa in senso più ampio, in cui rientrano inoltre dinamiche dell'abitare profondamente diverse da quelle degli anni precedenti e a cui inevitabilmente corrisponde “un'attesa” architettonica e formale altra rispetto a quanto individuato nella stagione passata. La chiave di rottura con la “globalizzazione anni '80” per arrivare alla globalizzazione del nuovo secolo passa proprio attraverso il guardarsi nuovamente dentro, questa volta, però, con una consapevolezza diversa rispetto a cosa c'è al di fuori. La questione di quale possa essere il nuovo ruolo dell'architettura in questa riscoperta del locale(A. Magnaghi, Progetto locale, 2001) attraversa tutto questo lavoro. L'interesse per questo recupero o reinvenzione delle identità è evidenziata anche dalla sempre più diffusa introduzione di alcuni inediti tematismi negli strumenti normativi (Si pensi ad esempio all'individuazione dei caratteri identitari nei Piani Paesaggistici Regionali, o alla realizzazione delle Carte del patrimonio). Questi paiono essere un tentativo di risposta in particolare a quelle domande latenti del territorio che sempre più chiaramente vengono recepite dai diversi attori locali, che agiscono sia attraverso la restituzione di racconti spaziali, che trattano uno spazio immaginario o immaginato, sia attraverso “azioni progettanti” più o meno studiate. Il racconto di queste immagini architettoniche, che emergono dalle visioni locali, il loro ruolo nella progettazione dello spazio e quale sia la risposta istituzionale degli strumenti normativi diventa quindi il tema centrale del lavoro. Il caso studio prescelto pare, a questo proposito, particolarmente interessante. Il tema della "provincia italiana", la rete policentrica specifica di questa parte della pianura padana, sono stati raccontati come territori dell'ordinario(S. Giriodi, M. Robiglio, 2001), come spazio bianco non classificabile né attraverso le categorie della dispersione insediativa, né come eccellenza dei territori lenti. Lo scarto che vuole compiere questo lavoro è proprio il passaggio dell'applicazione della categoria interpretativa dei territori lenti dall'eccellenza all'ordinario, attraverso la messa a punto delle rappresentazioni identitarie come strumento operativo. La proliferazione capillare di una serie di enti locali con finalità di promozione, di racconto e di governo del territorio, che emerge in una recente ricerca condotta da Ires Piemonte ( Ricerca ATLAS, Ires Piemonte, 2001), in questa parte della regione, permette di cogliere una serie di immagini architettoniche di notevole interesse, anche se ancora prive del passaggio progettuale inteso in termini di "operatività cosciente". Si è quindi scelto di costruire un racconto critico sulle letture parziali esistenti di questi attori perché mi pare si possa dire che, al di là del tema del marketing territoriale e del benchmarking, queste forme di racconto “dall'interno” costituiscano una voce parallela alle letture disciplinari che, si è recentemente molto specializzata nelle modalità e nei contenuti e che sempre più contiene questioni potenzialmente intrecciabili al tema della forma dello spazio, anche se non sempre in modo esplicito. Tali questioni possono individuare quindi un campo operativo da mettere in comune con la disciplina del progetto urbano e di architettura. L'obiettivo consiste nell'arrivare ad una sintesi di messa in valore di queste specifiche “narrazioni locali”, che in questi anni riemergono in modo significativo, per restituire importanza al local rispetto al global. La crescente “domanda di architettura” che sottende un ripristino dell'equilibrio fra ragioni insediative e linguaggio non può eludere il ruolo del progetto come trait d'union della trasposizione in forma delle diverse dimensioni degli immaginari locali. Nella prima parte del lavoro si definisce il quadro disciplinare, attraverso l'introduzione dei concetti guida di identità e immaginario, slow e provincia: idee a volte sfuggenti, ma che attraverso alcune definizioni di campo sembrano poter recuperare una dimensione operativa. Il quadro sullo stato dell'arte delle rappresentazioni identitarie, intrecciate al concetto di paesaggio, sottolinea come oggi ci sia una crescente attenzione, anche in discipline affini alla nostra, alla dimensione della "coscienza di luogo", ma quale il risvolto nell'architettura? Nella seconda parte del testo è stata catalogata, attraverso grandi temi emergenti, una selezione di materiali eterogenei realizzati da enti locali. Nella terza parte, infine si sviluppa, per ogni tema raccontato, una progettualità, introducendo la multidimensionalità come lettura caleidoscopica del paesaggio. Si individuano una serie di progetti realizzati sul territorio che evidenziano criticità e valori utili per delineare strategie operative.
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KOLA, EDUARD. "I media tradizionali come veicolo di trasmissione culturale. L’Italia e la sua influenza sui contenuti e sui format della televisione albanese." Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11573/1630062.

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Abstract:
Questa tesi di dottorato è incentrata sullo studio del panorama mediatico albanese con particolare attenzione alla presenza di influenze culturali di matrice italiana. Per una comprensione esaustiva del tipo di relazioni che intercorrono tra Albania e Italia è stato necessario, prima di tutto, analizzarne la natura che esonda la sola dimensione comunicativa. In questo senso, dunque, è stato redatto un excursus storico, sociale ed economico necessario a definire più in dettaglio il campo di indagine. Il focus della ricerca ha riguardato tutti i mezzi di comunicazione tradizionali, ma in particolare la televisione, oggetto di un campionamento che ha preso in esame i palinsesti tra il 1969 e il 2020. L’analisi dei dati raccolti ha permesso di effettuare, in primis, una mappatura dell’offerta televisiva distinta per generi; successivamente si è proceduto a classificare i singoli programmi, evidenziando, al contempo, le preferenze del pubblico. Questo aspetto ha reso evidenti alcuni tratti fondamentali dell’identità culturale albanese veicolati e costruiti dalla televisione stessa. La vicinanza, non solo geografica, con l’Italia si è manifestata, sin dai primi anni del Novecento, attraverso varie forme, non ultima quella comunicativa veicolata dai mass media. Da strumenti di propaganda nel periodo dell’occupazione fascista dell’Albania, i mezzi di comunicazione si sono evoluti fino ad acquisire nuove forme e nuovi ruoli nel mondo contemporaneo, mantenendo sempre un forte legame con la matrice italiana. Il campionamento dei palinsesti televisivi, in particolare, ha evidenziato una forte presenza di prodotti italiani che possono essere distinti secondo tre categorie: le trasmissioni televisive “pure”, ovvero i programmi e i film italiani ritrasmessi senza alcuna modifica dalla televisione albanese; i format televisivi italiani riprodotti in Albania sotto forma di copie, adattamenti o imitazioni; e infine i programmi originali albanesi che al loro interno includono elementi di cultura italiana. Il processo di raccolta dei dati si è rivelato molto complesso: la mancanza di enti ufficiali universalmente riconosciuti (come Auditel in Italia) e di collaborazione da parte dei canali privati, ha reso necessario il ricorso a interviste in profondità somministrate a Opinion Leader della televisione albanese. Le figure selezionate sono state individuate attraverso criteri di multidisciplinarità e diversificazione per restituire al meglio la complessità dell’ambiente televisivo, e si sono rivelate essenziali per colmare le lacune nella raccolta dei dati ma anche per offrire un punto di vista interno privilegiato. Dalle parole degli intervistati sono emersi i forti legami con l’Italia che risiedono tanto nelle scelte produttive ed estetiche quanto in quelle tematiche; inoltre si sono delineate alcune criticità interne a un sistema mediale ancora in via di sviluppo. L’Italia, elemento di influenza sia a livello generale che specifico, rappresenta per l’Albania e per la sua televisione un punto di riferimento culturale imprescindibile, tuttavia permane l’assenza di un vero sguardo critico, capace di selezionare i contenuti in funzione pedagogica: questo favorisce la crescita di una televisione di impronta commerciale, i cui interessi continuano a ruotare intorno ai proventi tralasciando gli aspetti qualitativi.
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ALESSANDRA, Campanari. "“IDENTITY ON THE MOVE” FOOD, SYMBOLISM AND AUTHENTICITY IN THE ITALIAN-AMERICAN MIGRATION PROCESS." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251264.

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Abstract:
Il mio lavoro di ricerca rappresenta un contributo allo studio dell'esperienza umana dello “spazio alimentare” come costruzione sociale che comprende sia i modelli del comportamento umano, e la loro relazione sensoriale con uno specifico luogo, sia l'imprenditoria etnica. Il nucleo di questo progetto di ricerca è rappresentato da un’indagine multi-generazionale del multiforme processo della migrazione italiana in America, laddove la cultura alimentare viene utilizzata come veicolo per esaminare come gli immigrati abbiano prima perso e poi negoziato una nuova identità in terra straniera. Lo scopo generale della tesi è quello di esaminare come il cibo rappresenti un collegamento nostalgico con la patria per la prima generazione, un compromesso culturale per la seconda e un modo per rinegoziare un'etnia ibrida per le generazioni successive. La lente del cibo è anche utilizzata per esplorare lo sviluppo dei ristoranti italiani durante il Proibizionismo e il loro ruolo nel processo di omogeneizzazione culinaria e di invenzione della tradizione nel mondo contemporaneo. Per spiegare come la cucina regionale in America sia diventata un simbolo collettivo di etnia e abbia potuto creare un'identità Italo-Americana nazionale distinta da quella italiana, ho adottato il modello creato da Werner Sollors e Kathleen Neils Cozen e sintetizzato con l'espressione di “invenzione dell'etnia”. Il capitolo di apertura esplora la migrazione su larga scala che ha colpito l'Italia e la storia economica italiana per oltre un secolo e prosegue con un’analisi storica sullo sviluppo dei prodotti alimentari nel tempo. La prima sezione evidenzia il significato culturale dell'alimento e il suo ruolo nella costruzione di un'identità nazionale oltre i confini italiani e prosegue con un’analisi sulla successiva variazione delle abitudini alimentari durante l'immigrazione di massa. Il capitolo conclude illustrando il quadro teorico utilizzato per teorizzare le diverse dimensioni dell'etnia. Partendo dall'ipotesi che l'identità sia un elemento socialmente costruito e in continua evoluzione, il secondo capitolo è dedicato all'analisi della natura mutevole del cibo, esplorata attraverso tre distinti ma spesso sovrapposti tipi di spazio: spazio della "memoria individuale"; spazio della "memoria collettiva"; spazio della "tradizione inventata". Lo spazio della “memoria individuale” esplora come i primi immigrati italiani tendevano a conservare le loro tradizioni regionali. Al contrario lo spazio della memoria collettiva osserva il conflitto ideologico emerso tra la prima e la seconda generazione di immigrati italiani, in risposta alle pressioni sociali del paese ospitante. L'analisi termina con la rappresentazione di generazioni successive impegnate a ricreare una cultura separata di cibo come simbolo dell'identità creolata. Il capitolo tre, il primo capitolo empirico della dissertazione, attraverso l'analisi della letteratura migrante mostra l'importanza del cibo italiano nella formazione dell'identità italo- americana. Questa letteratura ibrida esamina il ruolo degli alimenti nelle opere letterarie italo-americane di seconda, terza e della generazione contemporanea di scrittori. Il quarto capitolo completa la discussione seguendo la saga del cibo italiano dai primi ristoranti etnici a buon mercato, frutto della tradizione casalinga italiana, fino allo sviluppo di un riconoscibile stile di cucina italo-americano. A questo proposito, i ristoranti rappresentano una "narrazione" etnica significativa che riunisce aspetti economici, sociali e culturali della diaspora italiana in America e fa luce sull'invenzione del concetto di tradizione culinaria italiana dietro le cucine americane. La sezione termina con un'esplorazione del problema moderno relativo al fenomeno dell’Italian "Sounding" negli Stati Uniti, basato sulla creazione di immagini, colori e nomi di prodotti molto simili agli equivalenti italiani, ma senza collegamenti diretti con le tradizioni e la cultura italiana. Il capitolo finale fornisce una visione etnografica su ciò che significa essere italo-americani oggi e come i ristoranti italiani negli Stati Uniti soddisfano la tradizione culinaria Italiana nel mondo contemporaneo americano. Per concludere, considerando le teorie dell'invenzione della tradizione, due casi di studio esplorativi a Naples, in Florida, vengono presentati sia per analizzare come gli italo-americani contemporanei manifestano la loro etnia attraverso il cibo etnico sia per esaminare come il cibo italiano viene commercializzato nei ristoranti etnici degli Stati Uniti, alla luce della del processo di globalizzazione.
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BULGINI, Giulia. "Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de ‹‹L’Approdo››." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251123.

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Abstract:
Non c’è dubbio sul fatto che la RAI, dal 1954 a oggi, abbia contribuito in misura considerevole a determinare la fisionomia dell’immaginario collettivo e dell’identità culturale dell’Italia. Si tratta di un assunto che, a distanza di più di sessant’anni, resta sempre di grande attualità, per chi si occupa della questione televisiva (e non solo). Ma a differenza di quanto avveniva nel passato, quando la tv appariva più preoccupata dei reali interessi dei cittadini, oggi essa sembra rispondere prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. E nonostante il livello di istruzione e di benessere economico si siano evidentemente alzati, in questi ultimi anni si è assistito a programmi di sempre più bassa qualità e in controtendenza a un incremento del potere modellante e suggestivo sull’immaginario dei telespettatori. C’è di più: l’interesse verso la tv ha coinvolto anche gli storici dell’epoca contemporanea, i quali hanno iniziato a prendere coscienza che le produzioni audiovisive sono strumenti imprescindibili per la ricerca. Se si pensa ad esempio al ‹‹boom economico›› del Paese, negli anni Cinquanta e Sessanta, non si può non considerare che la tv, insieme agli altri media, abbia contributo a raccontare e allo stesso tempo ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca. Partendo, dunque, dal presupposto che la televisione da sempre esercita un potere decisivo sulla collettività, si è scelto di concentrarsi sulla fase meno indagata della sua storia, quella della televisione delle origini: ‹‹migliore›› perché senza competitor, ‹‹autentica›› perché incontestabile e soprattutto ‹‹pedagogica›› perché è di istruzione e di formazione che, quell’Italia appena uscita dalla guerra, aveva più urgenza. La storia della televisione italiana inizia il 3 gennaio 1954, con la nascita del servizio pubblico televisivo e insieme di un mezzo che, di lì a poco, avrebbe completamente rivoluzionato la società italiana, trasformandola in una civiltà di massa. Si accorciano le distanze territoriali e insieme culturali e la società inizia a omologarsi nei gusti, poi nei consumi e infine nel pensiero. Il punto d’arrivo si colloca negli anni Settanta, quando ha termine il monopolio della RAI, che fino a quel momento era stato visto come il garante del pluralismo culturale. La RAI passa dal controllo governativo a quello parlamentare, mentre si assiste al boom delle televisioni private e alla necessità della tv di Stato di stare al passo con la concorrenza, attraverso una produzione diversa da quella degli esordi. Dunque cambia la tv, come pure cambia la sua funzione e la forma mentis di chi ne detiene le redini. Ne risulta un’indagine trasversale, che passa nel mezzo di molteplici discipline che afferiscono alla materia televisiva e che non evita di porsi quelle domande scomode, necessarie tuttavia a comprendere la verità sugli artefici della prima RAI e sui loro obiettivi. E allora: qual era il valore attribuito alla televisione degli esordi? Era davvero uno strumento pedagogico? Sulla base di quali presupposti? Chi scriveva i palinsesti di quegli anni? Chi e perché sceglieva temi e format televisivi? Chi decideva, in ultima analisi, la forma da dare all’identità culturale nazionale attraverso questo nuovo apparecchio? Il metodo di ricerca si è articolato su tre distinte fasi di lavoro. In primis si è puntato a individuare e raccogliere bibliografia, sitografia, studi e materiale bibliografico reperibile a livello nazionale e internazionale sulla storia della televisione italiana e sulla sua programmazione nel primo ventennio. In particolare sono stati presi in esame i programmi scolastici ed educativi (Telescuola, Non è mai troppo tardi), la Tv dei Ragazzi e i programmi divulgativi culturali. Successivamente si è resa necessaria una definizione degli elementi per l’analisi dei programmi presi in esame, operazione resa possibile grazie alla consultazione del Catalogo multimediale della Rai. In questa seconda parte della ricerca si è voluto puntare i riflettori su ‹‹L’Approdo››, la storia, le peculiarità e gli obiettivi di quella che a ragione potrebbe essere definita una vera e propria impresa culturale, declinata in tutte le sue forme: radiofonica, di rivista cartacea e televisiva. In ultimo, sulla base dell’analisi dei materiali d’archivio, sono state realizzate interviste e ricerche all’interno dei palazzi della Rai per constatare la fondatezza e l’attendibilità dell’ipotesi relativa agli obiettivi educativi sottesi ai format televisivi presi in esame. Le conclusioni di questa ricerca hanno portato a sostenere che la tv delle origini, con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale. E se ciò appare come un aspetto ampiamente verificabile, oltreché evidente, qualora si voglia prendere in esame la televisione scolastica ed educativa di quegli anni, meno scontato risulta invece dimostrarlo se si decide – come si è fatto – di prendere in esame un programma divulgativo culturale come ‹‹L’Approdo››, che rientra nell’esperienza televisiva definita di ‹‹educazione permanente››. Ripercorrere la storia della trasmissione culturale più longeva della tv italiana degli esordi, per avvalorarne la funzione educativa, si è rivelata una strada interessante da battere, per quanto innegabilmente controversa, proprio per il principale intento insito nella trasmissione: diffondere la cultura ‹‹alta›› a milioni di telespettatori che erano praticamente digiuni della materia. Un obiettivo che alla fine della disamina si è rivelato centrato, grazie alla qualità della trasmissione, al suo autorevole e prestigioso groupe d'intellectuels, agli ascolti registrati dal ‹‹Servizio Opinioni›› e alla potenzialità divulgativa e penetrante della tv, nel suo saper trasmettere qualunque tematica, anche quelle artistiche e letterarie. Dunque se la prima conclusione di questo studio induce a considerare che la tv del primo ventennio era pedagogica, la seconda è che ‹‹L’Approdo›› tv di questa televisione fu un’espressione felice. ‹‹L’Approdo›› conserva ancora oggi un fascino innegabile, non foss’altro per la tenacia con la quale i letterati difesero l’idea stessa della cultura classica dal trionfo lento e inesorabile della società mediatica. Come pure appare ammirevole e lungimirante il tentativo, mai azzardato prima, di far incontrare la cultura con i nuovi media. Si potrebbe dire che ‹‹L’Approdo›› oggi rappresenti una rubrica del passato di inimmaginata modernità e, nel contempo, una memoria storica, lunga più di trent’anni, che proietta nel futuro la ricerca storica grazie al suo repertorio eccezionale di immagini e fatti che parlano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società e che raccontano il nostro Paese e la sua identità culturale, la stessa che la televisione da sempre contribuisce a riflettere e a delineare. Lo studio è partito da un’accurata analisi delle fonti, focalizzando l’attenzione, in primo luogo, sugli ‹‹Annuari della Rai›› (che contengono le Relazioni del Cda Rai, le Relazioni del Collegio Sindacale, i Bilanci dell’Esercizio e gli Estratti del Verbale dell’Assemblea Ordinaria). Altre fonti prese in esame sono gli stati gli opuscoli di ‹‹Servizio Opinioni››, le pubblicazioni relative a studi e ricerche in materia di televisione e pedagogia e le riviste edite dalla Rai Eri: ‹‹Radiocorriere tv››, ‹‹L’Approdo Letterario››, ‹‹Notizie Rai››, ‹‹La nostra RAI››, ‹‹Video››. Negli ultimi anni la Rai ha messo a disposizione del pubblico una cospicua varietà di video trasmessi dalle origini a oggi (www.techeaperte.it): si tratta del Catalogo Multimediale della Rai, che si è rivelato fondamentale al fine della realizzazione della presente ricerca. Altre sedi indispensabili per la realizzazione di questa ricerca si sono rivelate le due Biblioteche romane della Rai di Viale Mazzini e di via Teulada.
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Books on the topic "Immaginari collettivi"

1

Tenebrosa Romagna: Mentalità, misteri e immaginario collettivo nei secoli della paura e della "maraviglia". Cesena: Società editrice "Il Ponte Vecchio,", 2014.

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2

Giovanni, Sistu, ed. Immaginario collettivo e identità locale: La valorizzazione turistica del patrimonio culturale fra Tunisia e Sardegna. Milano: FrancoAngeli, 2007.

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3

Scaramellini, Guglielmo. La geografia dei viaggiatori: Raffigurazioni individuali e immagini collettive nei resoconti di viaggio. Milano: Unicopli, 1993.

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4

La sua barba non è poi così blu...: Immaginario collettivo e violenza misogina nella fiaba di Perrault. Roma: Aracne editrice S.r.l., 2014.

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5

Enrico, Pinto, ed. Giustizia e verità: Ustica : trent'anni di immaginario collettivo, imperizie, sofferenze e mistificazioni : per la prima volta parla il Capo di Stato maggiore dell'A.M. dell'epoca. Roma: Koinè, 2010.

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6

Dessì, Giuseppe, and Mario Pinna. Tre amici tra la Sardegna e Ferrara. Edited by Costanza Chimirri. Florence: Firenze University Press, 2013. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6655-478-3.

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Abstract:
Una Sardegna riservata e lontana anima i testi di questo doppio carteggio, tra paesaggi arcaici e mitologie personali e letterarie nelle quali si inserisce ogni tanto la Ferrara degli anni giovanili degli autori, ricca di vita, di riviste («Primato» di Bottai, il «Corriere Padano» con la presenza di Bassani…), incontri serali nelle osterie o nelle camere in affitto, passeggiate lungo i Rampari, e l’uso di scherzosi soprannomi che sarebbe continuato oltre la giovinezza. Un mondo fatto di cose concrete, animato e vivificato da forti curiosità e passioni intellettuali, emerge dalle lettere, accuratamente trascritte e annotate da Costanza Chimirri, che ricostruiscono la vita e la storia di Giuseppe Dessí, Mario Pinna, Claudio Varese. La corrispondenza si apre con gli anni trascorsi a Ferrara – dopo Pisa momento cruciale per la loro formazione – e consente di ricostruire atmosfere ed ambienti, letture e lavoro, offrendo dall’interno un significativo spaccato dell’Italia del Novecento. Mai slegati tra loro, bensì uniti dal continuo richiamo alla triplice amicizia nel nome di Giuseppe Dessí, che è sempre presente, anche in assenza, nei discorsi degli altri, i carteggi hanno consentito anche di riportare alle luce testi inediti del più appartato del gruppo (Mario Pinna, accanito lettore di classici, ispanista, autore di poesie in dialetto logudorese e di brevi racconti ambientati in Sardegna), di rafforzare il ruolo da sempre ricoperto dal più ‘antico’ – per tutti maître-camarade – Claudio Varese; e di confermare ancora una volta quanto l’universo creativo di Dessí, profondamente segnato dalla componente biografica, abbia continuato a svilupparsi e alimentarsi sotto lo sguardo sapiente e affettuoso di amici fraterni, in uno scambio capace di dare vita a un vero e proprio immaginario collettivo.
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7

Difendiamoci dalle armi: Finanza, immaginario collettivo e nonviolenza. Bologna: EMI, 2010.

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8

d'andrea, maria gabriella. Cultura Digitale >: Miti Ed Immaginario Collettivo Post-Digitale. Independently Published, 2021.

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9

Storia e paure: Immaginario collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna. Milano, Italy: F. Angeli, 1992.

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10

Pizzirani, Chiara. Iconografia e rituale funerario. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/disciarche29.

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Abstract:
In ogni tempo e in ogni luogo, le immagini hanno rappresentato un codice di comunicazione dalla straordinaria ricchezza semantica. Così fu anche per Etruschi, Italici e Greci, che attraverso temi, scene e schemi iconografici crearono un vero e proprio mondo di significati e di valori, nel quale le singole comunità umane potevano rispecchiarsi al loro interno e autorappresentarsi verso l’esterno. Il linguaggio che le immagini parlano è però tutt’altro che immediatamente comprensibile all’osservatore moderno. Infatti, l’immaginario non è fotografia della realtà antica, ma è, al contrario, codice comunicativo arbitrario, meditato, filtrato in conseguenza della scelta di valori che la comunità – e il singolo individuo – decidono di affidare alla memoria collettiva. L’esegesi dei significati, spesso volutamente ambigui, che le immagini sottendono rappresenta una delle più affascinanti sfide della ricerca archeologica. Per la loro straordinaria portata semantica, figure e rappresentazioni furono presto integrate all’interno della ritualità funeraria, nei singoli corredi tombali, venendo a configurarsi spesso come vero e proprio manifesto ideologico del defunto o dei defunti che in quella sepoltura trovavano la loro ultima dimora. Chiave di lettura indispensabile per comprenderne la valenza semantica originaria è l’interpretazione del contesto nel quale erano inserite. La prospettiva contestuale nella lettura delle immagini funerarie è il trait d’union imprescindibile dei contributi che questo volume raccoglie. I saggi, inoltre, si coagulano attorno ad un tema di straordinaria rilevanza nella percezione antica: la prospettiva della morte e, eventualmente, del destino oltremondano. Il volume inaugura una serie di incontri e di riflessioni sul significato delle immagini nei contesti funerari che si propone di indagare in maniera ampia, contestuale e interculturale il problema della percezione antica dell’immaginario rapportato alla dimensione funeraria, dalla selezione, alla fruizione, all’eventuale rifunzionalizzazione del segno iconico.
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