Journal articles on the topic 'Funzione vascolare'

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Ricciardi, B., A. Pontoriero, A. Ragusa, C. A. Riccardi, and A. Granata. "Il catetere venoso centrale nel paziente con scompenso cardiaco in emodialisi: una analisi retrospettiva." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, no. 4 (January 26, 2018): 14–18. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1167.

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Abstract:
L'accesso vascolare per emodialisi nel paziente affetto da scompenso cardiaco è un tema clinico complesso, che necessita di competenze tecniche nefrologiche e cardiologiche per una sua piena comprensione. In tali pazienti infatti il confezionamento di un accesso vascolare nativo prossimale presenta una lunga serie di effetti sulla funzione cardiaca, potenzialmente in grado di peggiorare la performance e la prognosi del paziente. In tali pazienti è quindi possibile che il posizionamento di un catetere venoso centrale rappresenti una soluzione meno problematica. Questo articolo presenta una casistica monocentrica ed alcuni casi clinici esemplificativi, utili ad indagare tale peculiare condizione.
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Raddino, Riccardo, Angelica Cersosimo, Alfio Ernesto Bianchi, and Antonio Maggi. "Effetti della malattia tiroidea sul sistema cardiovascolare." CARDIOLOGIA AMBULATORIALE 30, no. 2 (October 14, 2021): 115–22. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2021-2-4.

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Abstract:
Gli ormoni tiroidei hanno un impatto significativo sulla funzione e sulla struttura cardiaca. Gli effetti cardiaci intracellulari dell’ormone tiroideo T3 si esplicano attraverso due meccanismi: genomico e non genomico, mentre la definizione di ipertiroidismo o di ipotiroidismo si basa sui livelli sierici di TSH e di concentrazioni libere degli ormoni T3 e T4 (FT3, FT4).L’ipertiroidismo è caratterizzato da un aumento della frequenza cardiaca a riposo, del volume sanguigno, della gittata sistolica, della contrattilità miocardica, della frazione di eiezione e da un miglioramento del rilassamento diastolico. L’ipotiroidismo è associato a una ridotta gittata cardiaca a causa del ridotto rilassamento della muscolatura liscia vascolare e della ridotta disponibilità di ossido nitrico endoteliale con conseguente rigidità arteriosa, aumento della resistenza vascolare sistemica e minor ritorno venoso. In considerazione degli effetti dell’ormone T3 sui cardiomiociti e sulla fisiologia cardiovascolare e metabolica, sarebbe indicata una precoce ricerca sierica dei valori di TSH, FT3 e FT4 in tutti quei pazienti con disfunzione diastolica, fibrillazione atriale, PAH, blocchi atrioventricolari, così da garantire un trattamento precoce che può invertire l’evoluzione clinica e prevenire, così, il rischio di morte cardiovascolare.
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Carbonari, L., F. Galli, and L. Tazza. "Team dell'accesso vascolare: modelli organizzativi." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, no. 1 (January 24, 2018): 2–8. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1105.

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Abstract:
Il nefrologo, che si confronta con tutti i problemi inerenti all'insufficienza renale, è anche da sempre principale gestore della terapia emodialitica. Per tale motivo tocca al nefrologo, in prima istanza, occuparsi dell'accesso vascolare disponendone l'allestimento, la sorveglianza e la manutenzione a garanzia della possibilità di effettuare il trattamento sostitutivo. Rispetto a quanto avviene in altri paesi, in Italia l'attività dell'accesso non è ad oggi standardizzata né strutturata; ciascun centro dialisi si organizza in funzione delle capacità dei nefrologi ivi operanti e delle collaborazioni di altri specialisti presenti nell'ospedale, spesso senza un percorso strutturato e con modalità di intervento per lo più fondate sulla disponibilità personale e sul volontarismo. Partendo dalla storia dell'accesso vascolare in Italia, abbiamo individuato tre tipologie organizzative che correlano, da un lato, con il contesto storico in cui sono sorte e, dall'altro, con il progresso, in termini di dispositivi medici e competenze specialistiche, che ha via via modificato i comportamenti. Il modello organizzativo “primordiale” vede il nefrologo confezionare e correggere personalmente gli accessi disponibili in quell'epoca. Nel modello polispecialistico, che nasce successivamente, il nefrologo inizia a delegare ad alti specialisti, più competenti sul versante tecnico, singole fasi del lavoro; resta colui che inizia il percorso e detta i tempi ma perde, talora, il controllo della gestione complessiva. Nel modello strutturale integrato, ideale ma non ancora integralmente realizzabile, il chirurgo dedicato all'accesso dialitico ed il radiologo interventista interagiscono da vicino con il nefrologo, che funge da regista, coordinatore e amministratore di tutto il processo di gestione dell'accesso vascolare. La formazione culturale specifica e necessaria e la conoscenza del programma terapeutico complessivo sono condivise dal team dell'accesso. In tale modello integrato dovrebbero essere trovate soluzioni perché anche la responsabilità professionale ed il rimborso amministrativo risultino bene “integrate” tra i vari specialisti ed operatori sanitari che partecipano all'attività. Il rimborso a D.R.G. com'è attualmente regolato presenta incongruenze e può produrre effetti contrari alla migliore cura del paziente. Le Aziende ospedaliere attualmente non riservano all'accesso vascolare, parte irrinunciabile della terapia dialitica, l'attenzione necessaria e non comprendono come una corretta gestione del problema, fondata su percorsi organizzati, migliori la qualità di vita del paziente e contenga il costo assistenziale della dialisi. La gestione complessiva dell'accesso vascolare dialitico non può più fondarsi, attualmente, solo sulla “buona volontà” del nefrologo dializzatore, ma richiede regole strutturali. Pertanto andrebbero definite le motivazioni professionali mediante l'attribuzione di precisi compiti, con lo scopo di meglio identificare e minimizzare il “rischio organizzativo”. L'individuazione di meccanismi economico-organizzativi-normativi che privilegino anzitutto l'ottenimento del risultato e, a seguire, che premino il lavoro di tutta la squadra che l'ha generato è la condizione prima per creare il modello integrato. è più che mai tempo che l'accesso vascolare entri a pieno titolo nel sistema qualità della dialisi e per farlo, a nostro avviso, il modello organizzativo integrato è l'unica soluzione possibile.
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Basile, Carlo, and Carlo Lomonte. "Verità e leggende sulla fistola arterovenosa." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 2 (October 5, 2013): 94–99. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1016.

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Abstract:
Studi di grandi dimensioni dimostrano un rischio di mortalità progressivamente crescente a seconda del tipo di accesso vascolare (VA), con il rischio più alto associato al catetere venoso centrale (CVC), seguito dai rischi associati alla protesi e, quindi, alla fistola arterovenosa (FAV). La presenza di una FAV ha un effetto negativo sulla funzione cardiaca, ma il suo esatto contributo alla morbidità cardiovascolare non è chiaro. È noto da tempo che un VA con un flusso inappropriatamente elevato può essere la causa di uno scompenso cardiaco ad alta gittata. Ancora più paradossalmente, ci possono essere benefici cardio-polmonari derivanti dalla presenza di una FAV. Tuttavia, pur sottolineando i reali benefici della creazione di una FAV, vogliamo anche sottolineare il pericolo legato a flussi elevati. La parola chiave nella scelta di un VA è “eleggibilità”. Un approccio del tipo “al primo posto viene il paziente e non la FAV, ma è meglio evitare un CVC, se possibile” potrebbe essere la scelta migliore.
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Rivera, Rodolfo F., Costanza Casati, Paolo Vercelloni, Antonio De Pascalis, Fulvio Floccari, Alberto Santoboni, and Luca Di Lullo. "Anomalie cardiovascolari in pazienti con malattia renale policistica autosomica dominante." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no. 4 (November 26, 2014): 389–97. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.948.

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Abstract:
La malattia autosomica dominante policistica renale (ADPKD) è la malattia genetica più comune in nefrologia. Due geni sono stati implicati nello sviluppo della malattia: PKD1 sul cromosoma 16 (85%) e PKD2 sul cromosoma 4 (15%). La ADPKD è clinicamente caratterizzata da coinvolgimento renale ed extrarenale espresso con la comparsa di manifestazioni cistiche e non cistiche. Dal momento che le complicanze cardiovascolari sono la principale causa di morbilità e mortalità, questa revisione si propone di analizzare il coinvolgimento cardiaco e vascolare in ADPKD. L'ipertensione è uno dei sintomi più frequenti e comune e si verifica in circa il 60% dei pazienti prima della comparsa di disfunzione renale. L'effetto dell'ipertensione sulla progressione verso stadi terminali della malattia renale, rende tale fattore di rischio uno dei più importanti e potenzialmente trattabili in ADPKD. L'ipertrofia ventricolare sinistra, spesso rilevata in questi pazienti, rappresenta un altro importante fattore di rischio indipendente per morbilità e mortalità cardiovascolare nella ADPKD. Altre anomalie come la disfunzione diastolica biventricolare, la disfunzione endoteliale e l'aumento dello spessore intima-media carotideo sono presenti anche in giovani pazienti con ADPKD con normale pressione sanguigna e la funzione renale ben conservata. Gli aneurismi intracranici, quelli extracranici e i difetti valvolari cardiaci sono altre manifestazioni cardiovascolari di comune riscontro nei pazienti con ADPKD. Il trattamento precoce dell'ipertensione mediante l'uso di agenti bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone potrebbe svolgere un effetto nefroprotettivo e ridurre l'insorgenza di complicanze cardiovascolari nei pazienti con ADPKD.
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Caleffi, E., A. Bocchi, P. Pallù, M. Ghillani, and F. Papadia. "Studio sul comportamento emodinamico dell'Ethibloc nelle malformazioni vascolari." Rivista di Neuroradiologia 2, no. 3 (October 1989): 203–10. http://dx.doi.org/10.1177/197140098900200302.

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Abstract:
Nel trattamento embolizzante delle malformazioni vascolari è stata introdotta recentemente una nuova sostanza embolizzante-occludente (Ethibloc) di cui gli autori si propongono di valutare il comportamento reologico quando introdotta in regimi emodinamici differenti come quelli che caratterizzano i principali tipi di angiomi: arteriosi, vnosi, artero-venosi. A tale scopo si è reso necessario allestire un modello sperimentale microchirurgico di angioma che riproducesse le caratteristiche morfologiche ed emodinamiche delle angiodisplasie tronculari mature, vale a dire un regime circolatorio turbolento e tortuoso. Nell'animale da esperimento (ratto) si è quindi cercato un distretto vascolare dotato di arborizzazioni ricche, ma al contempo sufficentemente consistenti ed ampie da consentire suture microvascolari. Si è selezionato come distretto donatore del «modello» il territorio dell'arco aortico con i suoi tre rami. Il modello viene quindi reimpiantato su un animale ricevente a livello dell'aorta addominale sottorenale (angioma arterioso) o della cava inferiore (angioma venoso) o a cavaliere di entrambi i vasi (angioma artero-venoso). La buona affidabilita delle anastomosi e la notevole somiglianza funzionale con le angiodisplasie, consente di disporre di un modello valido ed utilizzabile per lo studio e l'applicazione del nuovo presidio terapeutico.
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Carella, A., P. D'Aprile, and N. Medicamento. "Angiografia a risonanza magnetica." Rivista di Neuroradiologia 5, no. 2 (May 1992): 207–22. http://dx.doi.org/10.1177/197140099200500210.

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Abstract:
Una nuova applicazione della risonanza magnetica, l'angio-RM, si sta rapidamente affermando come metodica capace di fornire immagini di tipo morfologico ed informazioni di tipo funzionale dell'albero circolatorio, in modo non invasivo. Il miglioramento della risoluzione spaziale e di altri intrinseci alla metodica lasciano prevedere, in un futuro non troppo lontano, la possibilità di rivoluzionare l'approccio diagnostico ai pazienti con patologia vascolare sospetta od accertata. L'angio-RM potrebbe quindi acquisire un ruolo prioritario od alternativo all'angiografia tradizionale.
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Manfre, L., F. Rosato, M. Mindri, S. Pappalardo, C. Sarno, A. Janni, and R. Lagalla. "Neuroradiologia funzionale della ghiandola ipofisaria." Rivista di Neuroradiologia 8, no. 5 (October 1995): 645–56. http://dx.doi.org/10.1177/197140099500800502.

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Abstract:
Lo studio sequenziale dell'afflusso del mezzo di contrasta a carico del parenchima ipofisario è stato di recente valutato da diversi autori, utilizzando apparecchiature operanti a 1,5 T. Tutta-via, con l'eccezione di 3 casi di macroadenoma, non sono state mai valutate le possibili alterazioni di flus-so ghiandolare nelle diverse affezioni interessanti l'ipofisi. Sono stati esaminati 27 volontari non affetti da patologia ipofisaria e 47 pazienti, in età pediatrica o adulti, affetti da alterazioni ipofisarie su base congenita o acquisita. I pazienti sono stati valutati mediante apparecchiatura operante a medio campo, compa-rando i risultati, ottenuti in tempi diversi, di una valutazione ipofisaria standard versus un esame di tipo sequenziale. Il nostro studio ha dimostrato un modello di accentuazione delle differenti componenti ghiandolari perfettamente corrispondente all'organizzazione microvascolare della ghiandola stessa, con un incremen-to dell'intensità di segnale apprezzabile prima a livello neuroipofisario, poi a carico del peduncolo e della parte prossimale dell'adenoipofisi, ed infine a carico della pars distalis adenoipofisaria. I microadenomi hanno dimostrato un modello di accentuazione di tipo <arterioso>, in rapporto alla neoangiogenesi esi-stente. I macroadenomi hanno dimostrato un modello differente, nelle aree esaminate, in dipendenza del-l'estensione. Nessuna alterazione è stata riscontrata nei pazienti affetti da sella vuota parziale. I pazienti affetti da deficit di ormone della crescita hanno dimostrato una riduzione del potenziamento del peduncolo ipofisario, in possibile relazione a danno del sistema vascolare portale.
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Buzzi, Laura, Elena Alberghini, Francesca Ferrario, Ivano Baragetti, Gaia Santagostino, Silvia Furiani, Enzo Corghi, et al. "Trombolisi accelerata microsonica: trattamento innovativo della trombosi di una fistola artero-venosa nativa." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 1 (August 3, 2013): 43–47. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1001.

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Abstract:
Il trattamento della trombosi della FAV con vasi nativi, che è la causa più frequente della perdita dell'accesso vascolare, può avvalersi di diverse tecniche: trombolisi farmacologica, trombolisi meccanica e trombectomia chirurgica, cui associare la correzione della stenosi che ha provocato la trombosi. La trombolisi diretta mediante cateterismo endovascolare con o senza tombolisi meccanica sta diventando la terapia di prima scelta. La tombolisi accelerata microsonica (TAM) è un trattamento endovascolare innovativo: grazie all'emissione di ultrasuoni da parte di un catetere multilume che rilascia contemporaneamente il fibrinolitico all'interno del trombo, la TAM è più rapida, più efficace e più sicura rispetto alla sola fibrinolisi e, rispetto alla tombolisi meccanica, non è traumatica, ha un bassissimo rischio di embolizzazione e non provoca emolisi. La TAM, da poco impiegata nelle trombosi acute arteriose e venose profonde e nelle tromboembolie polmonari massive, è stata da noi utilizzata per la prima volta per trattare la trombosi acuta di una FAV radio-cefalica estesa all'intero circolo venoso superficiale dell'avambraccio per una lunghezza complessiva di 20 cm. La TAM è risultata una tecnica semplice, ben tollerata e mini-invasiva che ha reso utilizzabile la FAV subito dopo la tombolisi. Dopo 15 mesi, la FAV è pervia e funziona bene.
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Beltramello, A., G. Viola, A. Borsato, G. Tassinari, D. Campara, R. Cerini, M. Pregarz, G. Puppini, and A. G. Bricolo. "Risonanza magnetica funzionale encefalica Razionale della metodica ed esperienze applicative su magnete per uso clinico." Rivista di Neuroradiologia 8, no. 3 (June 1995): 345–70. http://dx.doi.org/10.1177/197140099500800303.

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Abstract:
La Risonanza Magnetica funzionale (fMRI) si sta di recente affermando come nuova metodica di indagine del «cervello al lavoro», occupando progressivamente un suo spazio nell'armamentario strumentale a disposizione dei Neurofisiologi per poter investigare la localizzazione e le inter-connessioni di differenti aree encefaliche funzionalmente coinvolte nella esecuzione di varie performance. L'fMRI indaga le modificazioni di segnale del tessuto encefalico indotte dalle variazioni perfusionali e di ossigenazione che si verificano nella sostanza grigia durante differenti stati funzionali (riposo/attività). Tali modificazioni sono rivelate con RM grazie alle variazioni che il transito nel letto vascolare encefalico di una sostanza para-magnetica è in grado di indurre sul rilassamento trasversale T2 degli spin protonici tissutali in prossimità dei capillari e mediante l'impiego di sequenze GE T2*-pesate. Due principali tecniche di studio sono state utilizzate: la prima, più complessa, richiede l'iniezione di un bolo di Gadolinio ed il monitoraggio, mediante sequenze eco-planari, del suo primo passaggio nel letto capillare encefalico; la seconda, realizzabile anche con magneti per uso clinico, utilizza come mdc para-magnetico endogeno la desossi-emoglobina e registra le variazioni di ossigenazione ematica correlate allo stato di attività corticale (tecnica BOLDc — Blood Oxygenation Level Dependent contrast). La nostra esperienza è stata effettuata con un magnete superconduttivo da 1,5 T, adottando la tecnica BOLDc e sequenze GE FLASH con TE lungo. Sono stati sottoposti ad indagine 19 volontari ed effettuati 11 studi di attivazione della corteccia motoria e 13 studi di attivazione della corteccia visiva. In 10 studi di attivazione motoria e 10 studi di attivazione visiva è stata osservata una buona o sod-disfacente variazione areale del segnale, localizzata nella regione corticale coinvolta dal paradigma di attivazione. Uno studio di attivazione motoria e 3 studi di attivazione visiva sono invece risultati insoddisfacenti, non essendosi riscontrata alcuna variazione di segnale o, quando presente, non essendo stato possibile attribuirla ad alcuna regione corticale di interesse. La RM, metodica che attualmente fornisce al Neuroradiologo le migliori informazioni anatomo-strutturali sul SNC, sta estendendo il suo campo di indagine, prima esclusivo appannaggio della Medicina Nucleare, ad alcuni aspetti delle funzioni cerebrali, avvantaggiandosi, rispetto alla SPET ed alla PET, in qualità delle sue prerogative di più elevata risoluzione spaziale e temporale, di assoluta innocuità, di rapida integrazione delle immagini funzionali con quelle anatomiche e di minori costi.
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Beltramello, A., P. Zampieri, E. Piovan, L. Rosta, F. Alessandrini, A. Grazioli, F. Pizzini, and V. Martines. "Malformazioni artero-venose intracraniche." Rivista di Neuroradiologia 15, no. 1 (February 2002): 41–54. http://dx.doi.org/10.1177/197140090201500105.

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Abstract:
Al giorno d'oggi, il bilancio diagnostico neuroradiologico degli angiomi intracranici si fonda su tre principali tecniche: Tomografia Computerizzata (TC), Risonanza Magnetica (RM), Angiografia, eventualmente implementate da studi flussimetrici (ad esempio: Xenon-TC). La TC è molto utile negli esami di emergenza e/o in quelli di screening. La superiorità della RM nel dimostrare la precisa localizzazione anatomica e le relazioni del nido della MAV delle sue arterie afferenti e delle vene di drenaggio è probabilmente il vantaggio più importante rispetto alla TC e all'Angiografia. Le tecniche di RM funzionale consentono la mappatura dei principali sistemi funzionali encefalici al fine di delineare le loro precise relazioni anatomiche con la MAV. L'Angiografia rimane la sola tecnica che può fornire l'informazione vascolare ed emodinamica dettagliata necessaria per pianificare il trattamento chirurgico o endovascolare delle M AV. La presenza di emorragia precedente o in atto è reperto di importanza fondamentale per decidere se asportare chirurgicamente la MAV o trattarla conservativamente, a causa dell'elevata incidenza di risanguinamento nei Pazienti con esordio emorragico o in quelli con anamnesi di pregressa emorragia. La RM, con la sua straordinaria sensibilità agli effetti paramagnetici dell'emosiderina, può apportare un contributo molto importante alla gestione terapeutica dei Pazienti in un numero significativo di casi.
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Fonda, C., and M. Antonello. "Base cranica: Anatomia neuroradiologica della patologia." Rivista di Neuroradiologia 13, no. 3 (June 2000): 307–26. http://dx.doi.org/10.1177/197140090001300303.

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Abstract:
La base cranica si suddivide in tre fosse, l'anteriore (FCA), la media (FCM) e la posteriore (FCP). Numerosi sono i forami che consentono il passaggio di componenti vasculonervose in comunicazione fra strutture endo ed extracraniche. La base cranica deriva da un'ossificazione encondrale a partire dal 40° giorno di gestazione. Dalla notocorda prende origine la cartilagine paracordale che dalla linea mediana si estende alla regione sellare ed ai primi somiti occipitali, derivati da tre rispettivi sclerotomi. Rostralmente e lateralmente alla placca paracordale si sviluppano le cartilagini polari, ipofisarie, dalla cui fusione deriva parte del corpo sfenoidale e la porzione posteriore dell'etmoide. Accanto alla placca cartilaginea mediana cosi formata si sviluppano, in sede paramediana, altre isole cartilaginee che completano la formazione della base cranica. Le metodiche di studio della base cranica sono diverse, dalla radiografia convenzionale, alla TC ad alta risoluzione ed a strato sottile, sia in acquisizione a strato singolo che volumetrica, con visualizzazione per tessuti molli e per osso, sul piano assiale o coronale diretto o attraverso l'impiego di ricostruzioni basate su algoritmi di riformattazione multiplanare o 3D-rendering. La risonanza magnetica, attraverso acuisizioni convenzionali od ad alta risoluzione in proiezioni multiplanari consente un'ottima definizione delle strutture molli ad estensione intra ed extracranica. L'impiego di preimpulsi di saturazione per l'eliminazione del segnale del tessuto adiposo (STIR, SPIR, FAT-SAT) consente di migliorare la visualizzazione delle alterazioni patologiche. La somministrazione di mezzo di contrasto appare necessaria qualora si sospetti un coinvolgimento neoplastico, primitivo o secondario o infettivo. L'angiografia in RM, diretta o contrast enhanced, appare necessaria sia per la valutazione dell'eventuale interessamento estrinseco dei vasi arteriosi e venosi, sia per la valutazione di situazioni malformative vascolari. La patologia della base cranica viene valutata, in primis, secondo criteri topografici. Vengono suddivise lesioni che interessano prevalentemente la fossa cranica anteriore, la fossa cranica media, la fossa cranica posteriore, le strutture delle linea mediana, della loggia sellare e delle logge cavernose. Vengono inoltre suddivise le lesioni ad origine intracranica ed estensione extracranica, le lesioni intrinseche della base e le lesioni extracraniche ad interessamento secondario della base. Tra le prime è compresa la patologia congenita con i cefaloceli della base, le cisti aracnoidee e le cisti dermoidi, la patologia neoplastica primitiva (craniofaringiomi, macroadenomi ipofisari, gliomi ottici, meningiomi e schwannomi). Frequente è la comparsa di lesioni secondarie, in particolare in sede sfenoorbitaria. Più rare le lesioni malformative vascolari (aneurismi, fistole durali, MAV). Tra le lesioni intrinseche della base cranica vengono comprese inoltre i cordomi, i condromi, i sarcomi, gli osteomi e le cisti colesteriniche, le malattie emolinfoproliferative, il rabdomiosarcoma. Sede elettiva trova nella base cranica la displasia fibrosa, la malattia di Paget e l'istiocitosi X. Tra le lesioni extracraniche ad interessamento della base cranica vengono incluse le forme infettive (sinusiti, micosi e l'otite esterna maligna), tra le neoplastiche l'angiofibroma masofaringeo, l'estesioneuroblastoma i carcinomi rinofaringei, e le lesioni secondarie. In tale capitolo vengono incluse altre forme quali la poliposi aggressiva ed il mucocele. L'affidabilità e la sensibilità delle medodiche suddescritte oltrepassa il 98%, laddove la specificità in funzione delle varie sedi ed aspetti morfologici può variare dal 72 al 100%.
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Ciriello, Marina, and Mariaconsiglia Calabrese. "L’intervento fisioterapico nel paziente con piede diabetico." Journal of Advanced Health Care, September 16, 2019. http://dx.doi.org/10.36017/jahc1909-006.

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Abstract:
Il diabete mellito è oggi una delle più comuni malattie non trasmissibili in tutto il mondo. In molti paesi in via di sviluppo e di recente industrializzazione il numero di pazienti affetti cresce a ritmi vertiginosi. Tra le complicanze del diabete un ruolo sempre più rilevante assume la complicanza “piede diabetico”. È questa la complicanza che comporta per i diabetici il maggior numero di ricoveri ospedalieri, e per la quale i costi sono ingenti. Le ulcere del piede diabetico spesso si traducono in esiti gravemente avversi, come infezioni gravi, la necessità di ricovero in ospedale e amputazioni agli arti inferiori, che sono associati a una mortalità a 5 anni di circa il 50% La comparsa di un’ulcera in un paziente diabetico ne condiziona in maniera importante la qualità di vita ma anche la sopravvivenza Questa sindrome ha un decorso tipicamente subdolo ed asintomatico nelle sue fasi iniziali e l'insorgenza di sintomi conclamati è associata alla compromissione di funzionalità totale o parziale dell'area interessata. Appare quindi chiara l'importanza della prevenzione La Riabilitazione può avere un ruolo importante già nella prevenzione del piede diabetico. Studi recenti lo hanno suggerito che la fisioterapia può essere utile in pazienti con diabete e predisposizione a ulcera del piede L’esercizio influenza positivamente i fattori associati alla polineuropatia diabetica, promuovendo la funzione micro vascolare, riducendo lo stress ossidativo e provocando un aumento dei fattori neurotrofici. Gli effetti positivi dell’esercizio terapeutico sono connessi al miglioramento della funzione endoteliale e alla diminuzione della risposta infiammatoria, oltre al miglioramento del metabolismo e della forza dei muscoli scheletrici Ma l’esercizio terapeutico è utile anche nei pazienti con ulcera, anche grazie all'aumento del flusso di sangue nella regione del piede, con conseguente miglioramento della guarigione delle ferite Tra i tanti approcci riabilitativi, l’approccio neurocognitivo si propone di favorire il recupero della adattabilità del piede e della capacità di raccogliere informazioni indispensabili per l’organizzazione del movimento, nelle varie condizioni di interazione corpo-suolo Essendo quindi evidente l’utilità dell’intervento fisioterapico nella prevenzione nei pazienti a rischio di piede diabetico e nell’intervento terapeutico rivolto ai pazienti con piede diabetico, i PDTA- Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali per questi pazienti dovrebbero prevedere un piano assistenziale che includa l’intervento riabilitativo, inserendo nel team, accanto alle altre figure previste anche il fisioterapista.
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Brignardello, Enrico. "Onco-ematologia in età giovanile: come chemioterapia e radioterapia hanno modificato la storia naturale." Cardiologia Ambulatoriale, November 30, 2020, 209–12. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2020-3-12.

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Abstract:
Oggi un bambino o un adolescente che si ammala di tumore ha una probabilità di “guarire” (intesa come sopravvivenza a 5 anni) > 80%. Questo innegabile successo dell’oncologia pediatrica ha però un “prezzo”, che si paga in termini di tossicità tardiva delle cure (i cosiddetti late effects delle terapie antitumorali). Le complicanze tardive cardio-vascolari, che sono certamente molto rilevanti sul piano clinico, devono perciò essere inquadrate e gestite nel conte-sto molto più ampio di questi late effects. Il monitoraggio clinico a lungo termine dei giovani adulti curati per tumore richiede infatti il coinvolgimento di molti specialisti d’organo (fra cui il cardiologo), la cui attività deve essere coordinata da un medico esperto in late effects, secondo un programma di follow-up personalizzato in funzione delle pregresse terapie oncologiche.
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Terrosu, Pierfranco. "Aspirin use for primary prevention in elderly patients." Monaldi Archives for Chest Disease 84, no. 1-2 (June 22, 2016). http://dx.doi.org/10.4081/monaldi.2015.728.

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Abstract:
<p>The net clinical benefit of aspirin in primary prevention is uncertain as the reduction in occlusive events needs to be balanced against the increase in gastro-intestinal and cerebral bleedings. The meta-analysis of ATT (Anti Thrombotic Trialists) Collaboration in 2009 showed that aspirin therapy in primary prevention was associated with 12% reduction in cardio-vascular events, due mainly to a reduction in non-fatal myocardial infarction (0.18% vs 0.23% per year, p&lt;0.0001). However, the benefit in term of coronary events was almost balanced by the increase in major bleedings. The balance between potential benefit and harm of aspirin differs in each person and appears to be favorable in subjects at higher cardio-vascular risk. Older people have increased risk of hemorrhage as well as increased risk of heart attack and stroke. As a consequence, it is important consider both likelihoods of benefits as well as harm within the lifespan and functioning of the person. The older people who most likely benefit from aspirin in primary prevention are those at higher cardio-vascular risk, with preserved functional abilities, low comorbidity, low risk of bleeding and a prolonged life expectancy.</p><p> </p><p><strong>Riassunto</strong></p><p>Il beneficio clinico netto dell’aspirina in prevenzione primaria è poco chiaro, a causa del bilancio critico tra riduzione delle occlusioni vascolari e aumento dei sanguinamenti gastro-intestinali e cerebrali. La metanalisi del 2009 del ATT (Anti Thrombotic Trialists) Collaboration mostra che l’aspirina in prevenzione primaria determina una riduzione del 12% degli eventi cardiovascolari, principalmente dovuta ad una riduzione dell’infarto miocardico non-fatale (0.18% vs 0.23% per anno, p&lt;0.0001). Tuttavia il beneficio in termini di eventi coronarici è controbilanciato dall’incremento dei sanguinamenti maggiori. Ne deriva che il bilancio tra vantaggi ed effetti avversi differisce nel singolo soggetto ed appare potenzialmente favorevole nei casi a più elevato rischio cardiovascolare. Nella popolazione anziana è aumentato sia il rischio trombotico che quello emorragico. Di conseguenza, è importante considerare il rapporto rischio/beneficio in relazione alla aspettativa di vita e alla capacità funzionale. In sostanza gli anziani che possono trarre vantaggio dall’aspirina in prevenzione primaria sono quelli a più alto rischio cardiovascolare, con mobilità conservata, scarsa comorbidità, basso rischio emorragico e lunga aspettativa di vita.</p>
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