Academic literature on the topic 'Fotografia di architettura'

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Journal articles on the topic "Fotografia di architettura"

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Briata, Paola, and Gennaro Postiglione. "Architettura etnografica? Incipit, distanze, orizzonti per la ricerca e l'insegnamento." CRIOS, no. 23 (October 2022): 6–17. http://dx.doi.org/10.3280/crios2022-023002.

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Abstract:
La così detta architectural ethnography ha visto crescere il proprio interesse grazie a studi recenti come quelli di Albena Yaneva e ai lavori e alle ricerche di Momoyo Kaijima con il suo Atelier Bow Wow. Prendendo le mosse da un interesse per le specificità dei percorsi etnografici quando sono messi in atto dagli architetti, ovvero da persone che dovrebbero avere una precisa sensibilità per la forma e per lo spazio, per le sue prati- che d'uso e per la sua materialità, l'articolo propone alcuni percorsi bibliografici tesi a definire una postura che negli ultimi anni abbiamo assunto nel fare didattica e ricerca per il progetto attraverso l'individuazione di convergenze e distanze con la letteratura esistente. Un percorso che ci ha portati a interrogarci sul ruolo della trascrizione (grafica, fotografica e testuale) nell'architectural ethnography, così come a mettere in tensione il ruolo di tradizione e innovazione in queste recenti esperienze.
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Dosi, Davide, and Angela Windholz. "Die Bibliotheken der Università della Svizzera italiana (USI) im Wandel: Biblioteca universitaria di Lugano – Biblioteca dell’Accademia di architettura." ABI Technik 41, no. 3 (August 1, 2021): 171–85. http://dx.doi.org/10.1515/abitech-2021-0030.

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Abstract:
Zusammenfassung Die beiden Bibliotheken Biblioteca dell’Accademia di architettura in Mendrisio (BAAM) und Biblioteca universitaria Lugano (BUL) bilden zusammen die Biblioteche dell’Università della Svizzera italiana (USI). In den letzten Jahren haben sie gemeinsame, aber auch autonome Projekte durchgeführt. Die BUL hat zur Schaffung der BiblioAgorà auf dem neuen Campus Lugano-Viganello beigetragen, einem Raum, der die Bibliotheksdienste von USI und Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) beherbergen soll. Die BAAM hat im Januar 2021, nach mehrjährigen Renovierungsarbeiten den 1. Stock des Palazzo Turconi, eines Krankenhausbaus aus der Mitte des 19. Jahrhunderts, bezogen. Die Konzeption der neuen Bibliothek auf 1 800 qm, die über sehr heterogene Bestände und Sondersammlungen, wie Autorenbibliotheken, Archivalien, Fotografie- und Graphikbestände und eine Rarasammlung verfügt, wurde in enger Zusammenarbeit mit dem Architekturbüro Cube aus Lausanne erarbeitet. Ziel war die Freihandaufstellung und Zugänglichmachung möglichst aller Bestände unter Beibehaltung optimaler konservatorischer Bedingungen.
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Dissertations / Theses on the topic "Fotografia di architettura"

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Gari, Maria Belen <1988&gt. "BENI CULTURALI SOMMERSI:PROGETTAZIONE ED ALLESTIMENTO DI UNA MOSTRA DI FOTOGRAFIA SUBACQUEA COME TESTIMONIANZA NON DEPERIBILE." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3299.

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Abstract:
La tesi nasce dal mio interesse legato al campo della fotografia, in particolare ho voluto approfondire la mia ricerca sulla fotografia subacquea. Come,grazie al mezzo fotografico, è possibile ottenere delle testimonianze non deperibili nel tempo dei beni culturali sommersi ed utilizzare la fotografia non solo a livello artistico, ma anche per la documentazione e la catalogazione dei reperti durante gli scavi. Per valorizzare questo aspetto ho deciso di progettare ed allestire un ipotesi di mostra virtuale, la quale ripropone in breve i tratti salienti della storia della fotografia subacquea, i pionieri, i diversi ambienti di lavoro e le loro particolarità, le attrezzature e le invenzioni introdotte in questo settore. Un elemento particolare di questa mostra è la realizzazione di un diorama. L’obiettivo è quello di lasciare un ricordo duraturo nel tempo di questa esperienza attraverso un impatto visivo e sonoro immediato. Un progetto che mette insieme ciò che ho appreso nei miei anni di studio universitario, che voglio e spero di poter riprodurre al meglio.
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Baldrati, Davide. "Esperienze di riqualificazione urbana ai margini del centro storico." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amslaurea.unibo.it/2414/.

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Abstract:
Questo lavoro di tesi curriculare ripercorre attraverso l’analisi di tre progetti, che ho svolto durante il mio percorso di studi, le mie esperienze nell’ambito della riqualificazione di aree al margine del centro storico. In fase di tesi ho poi svolto un lavoro fotografico a supporto degli elaborati progettuali che ho invece redatto negli anni di corso dei laboratori. Il lavoro fotografico a posteriori è da intendersi non tanto come approfondimento delle scelte progettuali effettuate, ma come un ripensamento e una riflessione sui luoghi sui quali ho precedentemente svolto i progetti. Per elaborare questo lavoro ho applicato le conoscenze che ho acquisito nel corso di Storia e Tecnica della Fotografia e nei workshop fotografici ai quali ho partecipato come studente. Dei tre progetti presi in esame, due sono stati svolti nei Laboratori di Progettazione (precisamente II e IV) e uno nel Laboratorio di Sintesi Finale. Come già detto, questi tre progetti sono stati da me scelti perché accomunati dalla prossimità delle aree ai centri storici delle città. Il carattere di queste aree di studio, composto da molteplici identità, è frammentario e le identifica come aree di margine o di confine nelle quali si rende necessario un processo di analisi e di riqualificazione. In maniera differente e con risultati altalenanti, le amministrazioni stanno provvedendo a cercare di dare a questi luoghi un carattere di maggior omogeneità .
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Granatiero, Giorgio. "Vedere la citta. Un progetto per la darsena di Ravenna." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019.

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Abstract:
La tesi qui presentata è volta a ritenere la fotografia uno strumento prezioso per l'architettura utile non soltanto in fase di analisi ma anche di composizione. Verrano indagate le più importanti esperienze storiche di relazione fra architettura e fotografia concentrandosi su quelle della seconda metà del Novecento e poi approfondendone alcune contemporanee grazie ad un capitolo di interviste realizzate a fotografi e architetti che si sono dedicati a questo tema. L’esperienza di Pier Luigi Cervellati e di Paolo Monti, ad esempio, ci ha insegnerà che la fotografia può fornire una documentazione del reale utile all’analisi e allo studio della città o del paesaggio in modo da individuarne i pregi, quindi i caratteri da conservare e perpetuare, e le criticità, quindi i problemi e le varie possibilità d’intervento. Mentre l’esperienza di Luigi Ghirri e Paolo Zermani ci insegnerà che la fotografia può rappresentare uno strumento utile anche in fase compositiva e progettuale in quanto se usata sapientemente può educare all’estetica e alla proporzione oltre che affinare il processo di disposizione planimetrica di un progetto rafforzandone le connessioni visive e ideali con il paesaggio o la città in cui è inserito. Siamo certi che esistono altre esperienze fra fotografia e architettura simili a quelle individuate in questa sede e che nuove ce ne potrebbero essere in futuro, questo dà una spinta ulteriore alla nostra ricerca perché ci mostra l’orizzonte di un campo d’azione possibile. Le parole di Cervellati, Chiaramonte e Zermani ci hanno mostrato una commessione evidente fra il fare architettura e il fare fotografia e seguendo le loro indicazioni abbiamo infatti qui voluto proporre un progetto di architettura pensato, progettato e rappresentato interamente grazie alla fotografia.
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GAVELLO, CINZIA. "Alberto Sartoris: Gli elementi dell'architettura funzionale. Il libro come strumento per la costruzione della fama (1926-1992)." Doctoral thesis, Politecnico di Torino, 2016. http://hdl.handle.net/11583/2650396.

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Abstract:
Le vicende legate alla pubblicazione della prima edizione de «Gli elementi dell’architettura funzionale. Sintesi panoramica dell’architettura moderna», opera di Alberto Sartoris pubblicata da Ulrico Hoepli Editore nell’aprile del 1932, si collocano all’interno di quella che Enrico Maria Ferrari ha definito come una «ricerca paziente» di immagini appartenenti ad una specifica tendenza architettonica, generalmente identificata con il termine «razionale». Il processo di costruzione del «primo grande impegno critico» dell’architetto italo-svizzero, sino ad ora non esplorato con l’approccio scientifico derivato dall’analisi di fonti primarie, rivela le ragioni che hanno condotto all’assunzione di tale volume come trattato-manifesto dell’architettura razionale. Se si escludono i saggi ad opera di Giuliano Gresleri e di Enrico Maria Ferrari e le recenti raccolte documentarie a cura di Antoine Baudin, l’analisi del processo di costruzione de Gli elementi, volume di riferimento per intere generazioni di architetti, rimane sino ad oggi un campo pressoché inesplorato in maniera scientifica. Negli ultimi vent’anni la figura di Sartoris è stata oggetto di numerose pubblicazioni celebrative: nonostante questa fortuna critica, i cataloghi e i saggi a lui dedicati sono per lo più riferiti a specifici episodi della sua vita e, solo in rare circostanze, si fondano sullo studio di fonti primarie: nei diciotto anni trascorsi dalla sua morte, la seppur vasta letteratura prodotta sulla sua figura solo in rari casi si è soffermata sull’analisi de Gli elementi e su come questo volume abbia contribuito in maniera sostanziale al processo di costruzione della sua fama. Tali studi, tanto celebrativi quanto poco rigorosi dal punto di vista storiografico, ignorano del tutto i principi di ideazione e le scelte operative che stanno alla base della genesi de Gli elementi. L’obiettivo della Tesi non è, quindi, la sola analisi di un’impresa editoriale che ha avuto una diffusione capillare a livello internazionale: questa ricerca si è posta, sin dagli esordi, l’obiettivo primario di ricostruire vicende inedite volte alla comprensione e all’interpretazione dell’articolato processo di costruzione del volume che ha reso celebre Sartoris in tutto il mondo, oltre che di approfondire le attività mirate all’affermazione di una fama abilmente costruita da egli stesso nell’arco di circa un trentennio, venutasi a creare a seguito di una fitta rete di contatti e di relazioni sociali. In parallelo ad un’attenta analisi filologica delle tre edizioni de Gli elementi (1932, 1935, 1941), la ricerca fa luce, inoltre, sui criteri di selezione e di lavorazione delle diverse immagini delle opere pubblicate all’interno del volume, anche in relazione alle successive imprese editoriali condotte dallo stesso Sartoris e dalla stessa casa editrice milanese: l’Introduzione alla architettura moderna del 1943 e i tre volumi dell’Encyclopédie de l’architecture nouvelle, la cui prima edizione risale al 1948. Con la pubblicazione della prima edizione de Gli elementi, Sartoris si inserisce in un filone editoriale già ampiamente collaudato grazie al successo dei volumi quali, ad esempio, quelli di Walter Gropius del 1925, Ludwig Hilberseimer e Bruno Taut del 1927, André Lurçat del 1929 e Gustav Adolf Platz del 1930: Sartoris fa uso di un modello editoriale di rappresentazione dell’architettura già ampiamente utilizzato all’infuori dell’Italia, dove il testo scritto si rivela per lo più indipendente dalle immagini pubblicate. Inoltre, la fondazione e la diffusione di numerose riviste italiane e straniere quali, ad esempio, Das Neue Frankfurt nel 1926, Domus e La casa bella nel 1928, Rassegna di architettura nel 1929 e L’Architecture d’Aujourd’hui nel 1930, accompagna il successo del nuovo modello editoriale lanciato in Italia da Sartoris, oltre che l’affermarsi di una nuova attitudine di diffondere i principi alla base di una determinata maniera di fare architettura, attraverso un uso sapiente e strumentale dell’immagine, fornendo quindi anche al lettore italiano un vero e proprio repertorio iconografico della produzione architettonica dell’epoca. Le tre edizioni de Gli elementi sono destinate ad occupare, per circa un trentennio, un posto dominante all’interno del vasto panorama delle pubblicazioni che trattano in modo critico l’architettura del periodo. Nonostante non sia configurato come un vero e proprio manuale appartenente alle caratteristiche collezioni editoriali della casa editrice milanese di Hoepli, il volume di Sartoris viene considerato come una sorta di guida per gli innovatori della «nuova architettura» ed un utile strumento per la formazione di future generazioni di studiosi ed architetti. La raccolta sistematica delle recensioni alla prima edizione de Gli elementi pubblicate dal 1932 al 1934, sino ad oggi mai compilata e letta in relazione alla costruzione della fama di Sartoris, ha rivelato l’ampia diffusione ed un non scontato consenso ricevuto dal volume all’epoca della sua uscita. L’interpretazione critica della costruzione de Gli elementi passa anche attraverso la scoperta, il riordino e la catalogazione di una fitta corrispondenza intercorsa tra Sartoris e Ulrico Hoepli a partire dal 1931: i carteggi tra i due rivelano le discussioni e i punti di vista, spesso divergenti, in relazione ai contenuti e alla veste editoriale che il volume avrebbe acquisito. Il successo de Gli elementi e, di conseguenza, la costruzione della fama di Sartoris a livello internazionale sono dovuti quindi anche alla sua cooperazione con Ulrico e, dal 1935, con Carlo Hoepli: anche per questa ragione l’analisi dei documenti, sino ad oggi inesplorati, conservati presso l’Archivio Storico Ulrico Hoepli ha permesso di rivelare le fasi operative fondamentali relative alla pubblicazione delle tre edizioni de Gli elementi. All’interno di tale archivio è presente infatti una ricca corrispondenza che mette in evidenza le principali strategie editoriali operate da Sartoris in accordo con la casa editrice milanese: le lettere, le bozze di stampa e i dettagliati rendiconti economici hanno permesso di ripercorrere e verificare l’intero iter editoriale che ha accompagnato la pubblicazione e la successiva diffusione delle tre edizioni de Gli elementi. Nonostante il volume di Sartoris non abbia mai visto né riedizioni critiche né edizioni in lingua diversa da quella italiana, la pubblicazione di questo libro ha contribuito in maniera preponderante alla costruzione di una fortuna critica e di una notorietà internazionale dell’architetto italo-svizzero, un’immagine indissolubilmente connotata da un rigoroso impegno in campo teorico ed accademico, accompagnata ad una poco nota e non particolarmente consistente attività professionale. La finalità de Gli elementi appare duplice: da una parte vi è la volontà di Sartoris di ricercare per il suo libro un obiettivo strettamente didattico e divulgativo e dall’altra vi sono i suoi intenti, chiaramente auto-promozionali, per vedere accostato il suo nome a quello delle più importanti icone dell’architettura razionale dell’epoca. La fama internazionale di Sartoris è indissolubilmente legata alla moltiplicazione degli scritti in suo onore, a partire proprio dal 1932. Saranno proprio i rapporti personali che lo legano ad intellettuali come Pietro Maria Bardi, Raffaello Giolli o Emilio Pettoruti a favorire importanti pubblicazioni dei suoi studi teorici sulle principali riviste italiane, con una conseguente divulgazione in ambito internazionale. Inoltre, la volontà dell’autore di includere all’interno del suo volume le opere dei cosiddetti «grandi maestri del Novecento» accanto a quelle di architetti e progettisti meno conosciuti, è una ulteriore testimonianza delle finalità puramente auto-promozionali operate da Sartoris, al fine di accostare anche le sue opere e il suo nome alle icone dell’architettura razionale dell’epoca.
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TREVISAN, Bianca. "«Architecture was my first visual interest». Una rilettura critica in chiave architettonica dell’opera di Barbara Kruger." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2019. http://hdl.handle.net/10446/128679.

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Abstract:
Il presente elaborato si propone di rileggere il lavoro di Barbara Kruger secondo la chiave interpretativa dello spazio e della sua passione per l’architettura. Nelle molte mostre dedicate all’artista infatti, così come negli studi critici, non si è mai considerato approfonditamente questo aspetto, concentrandosi più sulla sua esperienza alla Condé Nast come art director e dunque sull’influenza della grafica sul suo lavoro collagistico, oppure sulle questioni di genere. Se è indubbio il suo impegno in tal senso – Barbara Kruger è un’artista femminista –, così come l’importanza della sua esperienza nel mondo della pubblicità, a noi pare che queste letture non permettano una visione d’insieme del suo lavoro e di accedere alle sue ragioni più profonde. Rileggere l’opera di Kruger attraverso l’architettura – suo «first love», «visual interest», secondo le sue stesse parole – permette anche di concentrarsi sul nucleo di opere realizzate tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, quasi sconosciute e alle quali non è mai stato dedicato uno studio: gli arazzi, le poesie e i racconti, i reading e le performance, i pannelli testo-immagine e il prezioso libro d’artista Picture/Readings, tra le cui pagine è contenuta tutta la poetica di Kruger, precedente e soprattutto successiva. Nelle sue opere, il punto è «to deal with the power of everyday», come lei stessa ribadisce: indipendentemente dal medium scelto, l’architettura le permette di operare nello spazio sociale e di mostrarlo nelle sue stesse dinamiche di potere.
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BOLOGNA, GABRIELLA. "L’ICONOGRAFIA DI VENEZIA NELLA FOTOGRAFIA INGLESE E AMERICANA1880-1910." Doctoral thesis, 2010. http://hdl.handle.net/11562/343462.

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Abstract:
La tesi propone un'analisi dei caratteri peculiari della rappresentazione di Venezia nell'opera di fotografi inglesi e americani tra il 1880 e il 1910, un periodo di fertilissime sperimentazioni tecniche e compositive derivanti da un’eterogeneità di influssi culturali. La tesi si apre con un capitolo introduttivo che descrive le interazioni fra fattori di carattere politico, sociale e culturale che determinarono la presenza dei viaggiatori inglesi e americani a Venezia nell'Ottocento, seguito da due panoramiche sulle trasformazioni dell'immagine della città nelle arti visive americane e nella fotografia inglese fino al 1880. Segue l'analisi delle immagini stereoscopiche prodotte nel corso delle campagne fotografiche promosse a scopo commerciale da società come l'American Stereoscopic Society, Underwood and Underwood e la Keystone view Co. che contribuirono in modo estremamente significativo alla diffusione di un immaginario della città legato al suo aspetto monumentale. Del tutto simile a quella degli studi fotografici veneziani più celebri, da Carlo Naya a Carlo Ponti, le vedute stereoscopiche di Venezia miravano principalmente alla rappresentazione degli edifici pubblici e religiosi più noti, che costituiscono i landmarks del panorama urbano, seguendo una tradizione piuttosto diffusa anche in pittura. Le fotografie commerciali, vendute a migliaia in tutto il mondo, inaugurarono una nuova forma di “consumo” dell'immagine della città del tutto sconosciuta in passato, banalizzando monumenti e vedute attraverso la serialità di una produzione nata per essere fruita velocemente. L'interesse si rivolge, poi, alle trasformazioni della pratica collezionistica che, a partire dalla nascita di apparecchi facilmente utilizzabili, produsse una progressiva perdita di interesse per la fotografia commerciale e un incremento fortissimo di fotografi dilettanti. Gli album fotografici di famiglia e gli archivi personali rivelano forse più di ogni altro mezzo i topoi della vita e delle abitudini degli anglo-americani in città che realizzano da sé i propri souvenirs fotografici. Partendo dalle immagini acquistate o prodotte dai turisti, che si fermavano solo pochi giorni come Henry Stopes ed Edward Rode, si prosegue poi con le figure di punta della comunità di ricchi expatriates, proprietari o affittuari di sontuosi palazzi per lunghi periodi di tempo, come Isabella Stewart Gardner e Katherine De Kay Bronson, per concludere con artisti e intellettuali. La prima parte della tesi si conclude con l'analisi di un altro prodotto commerciale che veicolò l'immagine di Venezia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nuovo secolo: i libri contenenti illustrazioni fotografiche. Le tecniche che riducevano i costi di stampa, e spesso anche la qualità, delle fotografie, produssero esiti estremamente interessanti in campo editoriale, dove le illustrazioni tradizionalmente realizzate ad acquerello o incisione vennero affiancate da immagini fotografiche, con risvolti per nulla scontati sul piano della rappresentazione iconografica. Dalla letteratura più prestigiosa come Life on the Lagoons di Horatio F. Brown, ai romanzi, ai testi di architettura alle guide di viaggio, i volumi su Venezia intrecciavano significativamente immaginario personale e collettivo, aspirazioni letterarie e necessità documentaria. In tale contesto profondamente complesso, dove la produzione fotografica rispondeva alle esigenze e alle richieste di un pubblico sempre più vasto e di turisti in cerca di souvenirs, ma al tempo stesso di raffinati lettori e fotografi professionisti, sul finire del secolo si innestavano le sperimentazioni della fotografia pittorialista, la cui indagine è affrontata nella seconda parte della tesi. La nuova visione avviò un percorso del tutto inesplorato di possibilità di rappresentazione della città, fondandosi sull'abbandono delle architetture celebri e monumentali, e sull'esplorazione di calli e canali, frammenti di palazzi anonimi e barche di pescatori in laguna. Un'indagine sul milieu culturale in cui furono realizzate tali immagini, in particolare sul sistema di relazioni e influenze dei circoli di artisti e intellettuali stranieri presenti nella città, ha reso possibile individuare in alcune figure di americani i nodi più importanti della metamorfosi della rappresentazione della città. Le incisioni di James McNeill Whistler e degli artisti del circolo di Frank Duveneck costituirono uno dei mezzi di diffusione fondamentali del nuovo immaginario. Questa trasformazione emerge chiaramente dall’analisi delle fotografie scattate da Alfred Stieglitz, tra i nomi più celebri nella storia della fotografia americana, nel corso dei due viaggi che effettua nella città. Se nel 1887 l'impianto iconografico appare ancora profondamente influenzato da una certa pittura di genere tendente al pittoresco, le immagini del 1894 sono impregnate di una nuova estetica fondata sulla concezione di fotografia come forma d'arte autonoma e indipendente da ogni ascendenza pittorica. Estetismo, Arts and Crafts e realismo si intrecciano nell'opera dello scozzese James Craig Annan, autore del raffinatissimo portfolio Venice and Lombardy, edito nel 1896. Un vero e proprio caso editoriale costituiscono poi i frontespizi realizzati da Alvin Langdon Coburn per la “New York Edition” dei romanzi di Henry James, in cui compaiono due immagini veneziane, che mostrano il complesso rapporto tra le idee del grande scrittore americano, committente delle fotografie, e l'estro del giovane talento. Ai grandi nomi della fotografia internazionale, al volgere del secolo, si aggiungono molte altre figure di fotografi professionisti e amateurs, membri delle celebri associazioni pittorialiste della “Linked Ring Brotherwood” di Londra e della “Photo-Secession” americana, che pubblicavano i loro scatti sulle pagine delle riviste “Camera Notes” e “Camera Work”. Nel primo decennio del nuovo secolo il pittorialismo ebbe un'influenza determinante sulle mostre di istituzioni autorevoli che difendevano una tradizione consolidata nel corso dei decenni precedenti, come la Royal Photographic Society, e sulle immagini pubblicate in numerose riviste specializzate. Gli autori di queste fotografie, spesso ancorati a una visione più convenzionale della città, occupavano sovente un ruolo di primo piano nel panorama dell’epoca. Un’analisi della loro produzione, talvolta estremamente difficile da rintracciare data la scarsità di documentazione superstite, contribuisce a ricostruire il quadro vasto ed eterogeneo delle diverse modalità di rappresentare Venezia attraverso l’obiettivo fotografico degli anglo-americani.
The PhD thesis "The iconography of Venice in British and American photography (1880-1910)" explores the metamorphosis of the city representation through the analisis of several iconographic, bibliographical and archival materials held in Italian, British and American institutions. Different types of photographs (commercial photography, pictorial photography, illustrated books, amateur photography) are considered, as well as influences and interactions between photography and other visual arts such as painting and etching.
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MAROLDA, MARTINA. "Le immagini al potere, le immagini del potere. La rappresentazione fotografica dell'architettura contemporanea nelle riviste italiane di settore (1928-1943)." Doctoral thesis, 2016. http://hdl.handle.net/2158/1030950.

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Abstract:
La tesi di dottorato di Martina Marolda, dal titolo "Le immagini al potere, le immagini del potere. La rappresentazione fotografica dell'architettura contemporanea nelle riviste italiane di settore (1928-1943)", pone alla base di tutto il lavoro di ricerca un riscontro diretto tra le fonti primarie - ovvero le otto testate oggetto di studio: “Architettura”, “L'Architettura italiana”, “Casabella”, “Domus”, “Emporium”, “Quadrante”, “Rassegna di architettura”, “lo Stile” e le due riviste estere di “Moderne Bauformen” e “L'Architecture d'Aujourd'hui” - e le fonti archivistiche. Dal recupero di documenti quali lettere, atti notarili, fotografe e testi originali l'autrice ripercorre la vita e l'evoluzione di ogni testata, i rapporti tra le stesse così come quelli con il regime. Attraverso il materiale fotografico di prima mano, la tesi ricostruisce la politica editoriale iconografica e l'orientamento visivo di ogni singola rivista grazie ai segni tipografici e alle annotazioni riportate sul verso delle immagini ma anche all'analisi dei materiali scelti e inclusi nelle pubblicazioni posti a confronto con quelli scartati. La verifica delle immagini fotografiche pubblicate nelle riviste attraverso gli originali presenti nei fondi archivistici consultati, ha permesso anche l'attribuzione certa delle stesse a determinati fotografi e dunque di ricostruirne l'autorialità. Tra gli archivi studiati dall'autrice si ricordano: l'Archivio Anna Maria Mazzucchelli, il Fondo Marcello Piacentini e il Fondo Roberto Papini, l'Archivio Pietro Maria Bardi, il Centro Studi Giuseppe Terragni, il Fondo Angiolo Mazzoni. Per i fotografi e gli architetti-fotografi sono stati determinanti: il Fondo Ico Parisi, l'Archivio Fotografico Pagano, il Fondo Anderson, l'Archivio Fotografico La Triennale di Milano. Lo stesso approccio metodologico è stato mantenuto anche per la rivista francese de “L'Architecture d'Aujourd'hui”. Dall'indagine dei fondi di coloro che hanno animato più direttamente la vita del periodico tra le due guerre, l'autrice ha prestato particolare attenzione a quelli di Pierre Vago, redattore capo, di Auguste Perret, di André Lurçat e di Le Corbusier, dai quali sono emersi carteggi e materiali fotografici originali di notevole importanza. La tesi di dottorato di Martina Marolda si muove su cinque nodi tematici principali, esplicitati in cinque diversi capitoli. Il primo capitolo pone in evidenza e ripercorre la vita e l'evoluzione delle nove riviste italiane studiate, dalla loro nascita alla loro dissoluzione. Si tratta di una vera introduzione metodologica che, attraverso il recupero e la ricostruzione delle fonti archivistiche, evidenzia connessioni, retroscena e aspetti inediti di una fervida stagione, ponendo in relazione l'attività dei periodici di settore con gli eventi socio-politici negli anni tra il 1928 e il 1943. Sono inoltre indagati tutti i tentativi, a volte portati a termine, di tentate fusioni e di accorpamenti tra un periodico e l'alto, dai quali emergono alcune figure di spicco, primo fra tutti l'architetto Marcello Piacentini. Infine sono ricostruite le tirature di alcune riviste principali per determinati anni tra il 1930 e il 1936, che sono utili a indicare la diffusione effettiva di “Casabella”, “Domus” e “Quadrante”. Il secondo capitolo indaga invece in dettaglio le riviste come oggetto fisico e dunque la loro materialità. Partendo dalla copertina, passando per gli interni e arrivando alla quarta di copertina, i periodici sono dunque analizzati da un punto di vista soprattutto grafico e tipografico attraverso un'ampia indagine storiografica e in continuo dialogo con i loro modelli visivi di riferimento, in particolar modo europei. L'impaginato e la griglia grafica, così come la tipografa, risultano infatti elementi imprescindibili e fondamentali per la lettura delle stesse: sono oltretutto il contesto in cui l'immagine fotografica trova la sua collocazione, rappresentando in definitiva il legante di questa con il testo. Un ultimo paragrafo è infine dedicato alle riviste come “oggetto da esposizione”, ovvero alla profusione di mostre di arte grafica negli anni Trenta, in Europa come in Italia, che portano in scena i periodici in qualità di vera opera d'arte, appendendoli a parete e allestendoli con modalità non canoniche e con artifici dedotti dalla grafica stessa. Il terzo capitolo entra invece nel vivo dell'immagine fotomeccanica, ovvero della fotografia pubblicata nei principali periodici italiani di settore indagati nel periodo compreso tra il 1928 e il 1943. Dopo aver preso in considerazione la tipografa e l'impaginato, si pone in relazione l'utilizzo delle immagini sia con gli artifici grafici che con i testi, trovando analogie e divergenze tra i diversi linguaggi e prendendo come esempio il caso rappresentativo della Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932 per la risonanza mediatica che questa riscuote tra le pagine dei periodici nazionali. Inoltre si indagano anche i nessi e le diversità tra le varie immagini pubblicate: si riscontrano allora ricorrenze formali e semantiche o scelte iconografiche completamente diverse; la prevalenza dell'uso della fotografa rispetto al disegno o viceversa; la predilezione degli esterni o degli interni dei manufatti architettonici, così come la presentazione dei particolari o degli interi. Un paragrafo importante si ferma ad analizzare il “tempo” della fotografa, prendendo in considerazione particolari montaggi e soprattutto fotomontaggi, assai diffusi e dunque elemento narrativo fondamentale ad esempio in “Quadrante”. Infine, grafici e tabelle restituiscono scientificamente nomi di autori e di soggetti architettonici maggiormente rappresentati, a livello di immagine, e dunque più diffusi nelle riviste analizzate, in un'analisi di ricorrenze numeriche che delineano una vera e propria fortuna visiva di determinati architetti e manufatti negli anni tra le due guerre in Italia. Un ultimo paragrafo indaga in dettaglio i modelli iconografici stranieri presenti all'interno degli stessi periodici italiani, anche in questo caso con rigore scientifico e con ricorrenze numeriche: il risultato è un vero e proprio orientamento visivo di alcune riviste nazionali nei confronti di architetti esteri. Il quarto capitolo rappresenta il cuore della tesi: in questo contesto si analizzano dettagliatamente le immagini fotografiche pubblicate all'interno delle riviste per capire il peso da esse assunto per la definizione delle politiche editoriali iconografiche dei diversi periodici e soprattutto come elementi visivi discriminanti per la comunicazione e divulgazione dell'architettura negli anni Trenta. Dopo aver analizzato un primo e fervido dibattito storiografico, sorto in Italia negli Ottanta e che vede Italo Zannier tra i suoi principali fautori, l'autrice ne evidenzia i limiti, procedendo poi a una vera e propria definizione delle diverse politiche iconografiche espresse dalle testate italiane degli anni e che si esplicano attraverso un'analisi formale e contenutistica delle immagini più ricorrenti, soprattutto in riferimento ai programmi espressi dai direttori. In definitiva, si è voluto indagare come le parole si sono tradotte visivamente, se c'è stata una coerenza o meno negli intenti iniziali e soprattutto come ciascuna rivista abbia interpretato e comunicato l'architettura negli anni tra le due guerre, in un periodo che ha visto l'affermazione del fascismo e la sua svolta totalitaria. Infine viene messa in luce l'immagine divulgata di quattro tra gli autori più rappresentati all'interno delle riviste: Marcello Piacentini, Gio Ponti, Giuseppe Terragni e Giuseppe Pagano. Si analizzano allora le modalità di autorappresentazione, il loro rapporto con la fotografa pubblicata e commissionata e infine le analogie o le differenze con l'immagine che di essi viene data negli altri periodici. Il quinto e ultimo capitolo analizza invece due esempi di riviste straniere europee, geograficamente prossime e in stretto rapporto con quelle italiane per più motivi: “L'Architecture d'Aujourd'hui” per la Francia e “Moderne Bauformen” per la Germania. Due riviste significative in quanto espressione, la prima, di un paese in cui non si instaura un regime totalitario, mentre, è il caso della seconda, di una nazione dove invece irrompe il Nazionalsocialismo, dittatura ad ogni modo diversa dal fascismo in Italia. Due riviste inoltre importanti poiché si definiscono l'una tribuna della modernità, l'altra invece come portavoce del tradizionalismo o comunque del centrismo. Dopo aver dedicato un primo paragrafo alla rappresentazione fotografica dell'architettura francese e tedesca nelle riviste italiane, l'autrice affronta e delinea il progetto grafico così come la ricezione e divulgazione dell'architettura italiana all'interno di entrambi i periodici d'oltralpe, trovando differenze sia nell'impaginato che nella fotografa utilizzata. L'attenzione rivolta all'aspetto iconografico delle riviste, ha reso necessaria un'operazione di digitalizzazione (per pagina tipografica) e di catalogazione delle stesse, che ha portato alla raccolta di oltre 40000 immagini di architetture coeve (realizzate dal 1920 al 1943) e alla costituzione di un database a corredo della stessa tesi di dottorato. Tale banca di dati è risultata uno strumento fondamentale e indispensabile a tutto il lavoro per la sua estrema utilità e per la rapidità di consultazione. Tale database è interrogabile su più fronti, dal momento che ogni immagine è stata catalogata per nome dell'autore (architetto singolo o gruppo), soggetto, occasione/evento (concorso, esposizione), luogo, numero e tipo di rappresentazioni (disegno o fotografa), fotografo (autore dell'immagine), fascicolo della rivista e anno.
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Books on the topic "Fotografia di architettura"

1

Barbara, Mazza, ed. Storia della fotografia di architettura. Roma: Laterza, 2009.

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2

Parlare con la matita, 1909-2009 Edoardo Gellner e i percorsi dell'architettura del Novecento (Conference) (2011 : Venice, Italy), ed. Architettura, paesaggio, fotografia: Studi sull'archivio di Edoardo Gellner. Padova: Il poligrafo, 2015.

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3

Carlo, Scarpa. Carlo Scarpa nella fotografia: Racconti di architettura, 1950-2004. Venezia: Marsilio, 2004.

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4

Germano, Celant, ed. Arti e architettura: Scultura, pittura, fotografia, design, cinema e architettura : un secolo di progetti creativi. Milano: Skira, 2004.

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5

Università di Parma. Centro studi e archivio della comunicazione, ed. 1968: Un anno : architettura, arte, design, fotografia e moda dagli archivi dello CSAC dell'Università di Parma. Cinisello Balsamo, Milano: Silvana editoriale, 2021.

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6

Eccheli, Maria Grazia, and Alberto Pireddu, eds. Oltre l’Apocalisse. Florence: Firenze University Press, 2016. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6655-920-7.

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Abstract:
L’immensità della tragedia umana che accompagna ogni catastrofe richiede sempre un momento di riflessione, che può condensarsi nell’istante di una fotografia, tradursi nel disincanto di un racconto oppure generare una nuova bellezza, attraverso l’arte e l’architettura. Dall’Interno perduto d’Emilia a L’Aquila, dai crinali d’Irpinia alla luminosa valle del Belice, dal paesaggio alpino di Longarone all’ormai irreale Messina di Antonello sono stati ripercorsi, in un viaggio a ritroso nel tempo, alcuni dei momenti più drammatici della storia recente del nostro Paese. Per L’Aquila, distrutta dal sisma del 2009, gli studenti della Scuola di Architettura di Firenze hanno immaginato una città in cui la vita, la musica e il ricordo siano ancora possibili, attraverso il progetto di un auditorium, uno spazio sacro e una piccola casa.
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7

Dizionario del fare arte contemporaneo: Pittura, scultura, architettura, poesia, cinema, teatro, musica di ricerca, design, fotografia dalla metà degli anni '50 a oggi. Firenze: Sansoni, 1992.

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8

1963-, Barbero Luca Massimo, Centro di ricerca e documentazione arti visive (Rome, Italy), and Museo d'arte contemporanea Roma, eds. Roma '50-'60: Guida alle architetture nelle fotografie di Oscar Savio. [Roma]: MACRO, 2011.

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9

FotoGrafie: Rilievi ed analisi di architetture del ventennio fascista nell'Italia centrale. Roma: Aracne, 2012.

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10

Stefano, Levi della Torre, Pugliese Raffaele, and Politecnico di Milano. Facoltà di architettura, eds. Occupanti: 1963-1968 : gli esordi della moderna Facoltà di architettura nelle fotografie di Walter Barbero. Firenze: Alinea, 2011.

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Book chapters on the topic "Fotografia di architettura"

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Bevilacqua, Livia, and Giovanni Gasbarri. "Percorsi di architettura armena a Roma Le missioni di studio e la mostra fotografica del 1968 tra premesse critiche e prospettive di ricerca." In Eurasiatica. Venice: Fondazione Università Ca’ Foscari, 2020. http://dx.doi.org/10.30687/978-88-6969-469-1/003.

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Abstract:
In 1966 a team of Italian scholars coordinated by Géza de Francovich inaugurated a series of study trips to the historic regions of Armenia, with the aim of collecting extensive photographic documentation of medieval churches and monasteries. The first result of these study trips was the photographic exhibition Architettura medievale armena (Rome, June-July 1968), a pioneering event that helped in spreading knowledge of Armenian art and architecture among a broader public in Italy and that became a springboard for new research projects in the eastern Mediterranean territories. This paper provides a critical reconstruction of the context and circumstances that led to the organisation of this exhibition.
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