Academic literature on the topic 'Fluorescenza della Chl a'

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Journal articles on the topic "Fluorescenza della Chl a"

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MORO, A., C. DE WAURE, F. DI NARDO, F. SPADARI, M. D. MIGNOGNA, M. GIULIANI, L. CALIFANO, et al. "Il dispositivo medico GOCCLES® è in grado di individuare displasie e cancro orale se impiegato nel setting odontoiatrico. Risultati da uno studio multicentrico." Acta Otorhinolaryngologica Italica 35, no. 6 (December 2015): 449–54. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-922.

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Abstract:
Scopo di questo studio è dimostrare che il dispositivo medico GOCCLES® permette di condurre l’esame dell’autofluorescenza del cavo orale nel setting odontoiatrico. Si tratta di uno studio multicentrico non randomizzato su pazienti consecutivi a rischio di cancro orale. I pazienti sono stati sottoposti ad ispezione del cavo orale ad occhio nudo seguita dall’esame dell’autofluorescenza condotto indossando gli occhiali GOCCLES® mentre una lampada fotopolimerizzante illuminava la mucosa orale. Le lesioni sono state definite come qualunque lesione precancerosa del cavo orale visibile ad occhio nudo o area di perdita di fluorescenza visibile con GOCCLES®. Tutte le lesioni persistenti sono state sottoposte a biopsia escissionale o incisionale. Sono stati reclutati 61 pazienti e analizzati i dati da 64 lesioni. Delle 62 lesioni identificate dal dispositivo, 31 erano veramente positive. Il dispositivo ha identificato 31 delle 32 lesioni veramente positive. Una lesione (un carcinoma invasivo) non era visibile ad occhio nudo. Tutte le lesioni classificate come displasia tra moderata e severa e ogni carcinoma sono stati correttamente identificati dal dispositivo. Nel Il 56,7% delle lesioni identificate dal dispositivo mostrava margini più ampi rispetto a quelli visibili ad occhio nudo. Il dispositivo medico GOCCLES® permette di osservare il fenomeno della perdita di fluorescenza in pazienti affetti da displasia o cancro del cavo orale. Ha permesso di effettuare l’esame dell’autofluorescenza con ciascuna lampada fotopolimerizzante testata. I risultati suggeriscono di impiegare GOCCLES® come esame complementare rispetto all’ispezione ad occhio nudo del cavo orale su pazienti a rischio per cancro orale. Il dispositivo permette di identificare lesioni altrimenti visibili o i cui margini sono sottostimati dall’ispezione ad occhio nudo.
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2

Di Lullo, A. M., M. Scorza, F. Amato, M. Comegna, V. Raia, L. Maiuri, G. Ilardi, E. Cantone, G. Castaldo, and M. Iengo. "An “ex vivo model” contributing to the diagnosis and evaluation of new drugs in cystic fibrosis." Acta Otorhinolaryngologica Italica 37, no. 3 (June 2017): 207–13. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-1328.

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Abstract:
La fibrosi cistica (FC) è una malattia autosomica recessiva causata da mutazioni nel gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator). Finora sono state descritte circa 2000 mutazioni, ma per la maggior parte di esse è difficile definirne l’effetto senza complesse procedure in vitro. Abbiamo effettuato il campionamento (mediante brushing), la cultura e l’analisi di cellule epiteliali nasali umane (HNEC) utilizzando una serie di tecniche che possono aiutare a testare l’effetto delle mutazioni CFTR. Abbiamo eseguito 50 brushing da pazienti FC e controlli, e in 45 casi si è ottenuta una coltura positiva. Utilizzando cellule in coltura: i) abbiamo dimostrato l’espressione ampiamente eterogenea del CFTR nei pazienti e nei controlli; ii) abbiamo definito l’effetto di splicing di una mutazione sul gene CFTR; iii) abbiamo valutato l’attività di gating di CFTR in pazienti portatori di differenti mutazioni; iv) abbiamo dimostrato che il butirrato migliora in modo significativo l’espressione di CFTR. I dati provenienti dal nostro studio sperimentale dimostrano che l’uso del modello ex-vivo di cellule epiteliali nasali è un importante e valido strumento di ricerca e di diagnosi nella studio della FC e può anche essere mirato alla sperimentazione ed alla verifica di nuovi farmaci. In definitiva, in base ai nostri dati è possibile esprimere le seguenti conclusioni: 1) il prelievo delle cellule epiteliali nasali mediante brushing è applicabile senza alcuna anestesia ed è ben tollerato da tutti i pazienti affetti da FC (bambini e adulti), è scarsamente invasivo e facilmente ripetibile, è anche in grado di ottenere una sufficiente quantità di HNECs rappresentative, ben conservate, idonee allo studio della funzionalità di CFTR; 2) la conservazione delle cellule prelevate è possibile fino a 48 ore prima che si provveda all’allestimento della coltura e ciò permette di avviare studi multicentrici con prelievi in ogni sede e quindi di ottenere una ampia numerosità campionaria; 3) la coltura di cellule epiteliali nasali può essere considerata un modello adatto a studiare l’effetto molecolare di nuove mutazioni del gene CFTR e/o mutazioni specifiche di pazienti “carriers” dal significato incerto; 4) il modello ex-vivo delle HNECs consente inoltre di valutare, prima dell’impiego nell’uomo, l’effetto di farmaci (potenziatori e/o correttori) sulle cellule di pazienti portatori di mutazioni specifiche di CFTR; tali farmaci possono modulare l’espressione genica del canale CFTR aprendo così nuove frontiere terapeutiche e migliori prospettive di vita per pazienti affetti da una patologia cronica come la Fibrosi Cistica; 5) la metodologia da noi istituita risulta essere idonea alla misura quantitativa, mediante fluorescenza, dell’attività di gating del canale CFTR presente nelle membrane delle cellule epiteliali nasali prelevate da pazienti portatori di differenti genotipi; in tal modo è possibile individuare: a) pazienti FC portatori di 2 mutazioni gravi con un’attività < 10% (in rapporto ai controlli -100%), b) soggetti FC portatori contemporaneamente di una mutazione grave e di una lieve con un’attività tra 10-30%, c) i cosiddetti portatori “carriers”- eterozigoti - con un’attività tra 40-70%. In conclusione la possibilità di misurare l’attività del canale CFTR in HNECs fornisce un importante contributo alla diagnosi di FC, mediante individuazione di un “cut-off diagnostico”, ed anche alla previsione della gravità fenotipica della malattia; quindi quanto rilevabile dalla misura del suddetto canale permette di prospettare per il futuro la possibilità di valutare meglio i pazienti per i quali il test del sudore ha dato risultati ambigui (borderline o negativi). La metodica da noi sperimentata consente anche di monitorare i pazienti durante il trattamento farmacologico, valutando in tal modo i reali effetti delle nuove terapie.
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Quaranta, Luca, Piera Di Marzio, Romeo Di Pietro, Fabrizio Ferretti, Umberto Di Salvatore, and Paola Fortini. "Analysis of the functional traits of Quercus cerris L. seedlings in the Molise region (southern Italy)." Plant Sociology 59, no. 1 (May 16, 2022): 11–24. http://dx.doi.org/10.3897/pls2022591/02.

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Abstract:
This study deals with the analysis of seedling fitness in three Quercus cerris wood stands, namely Selva di Castiglione (SC), Bosco della Ficora (BF) and Bosco di San Leo (BSL), developed in different lithological and physiographic conditions and subjected to different forestry practices. A phytosociological study was carried out for analysing the coenological features of the forest stands and to classify these latter from a syntaxonomic point of view. The Pignatti-Ellenberg index (PEi) was calculated on the matrix composed of the phytosociological relevés in order to highlight possible ecological differences or gradients among stands. The phenotypic parameters considered were the stem and root length and the leaf area, whereas the plant functional traits (PFTs) were specific leaf area (SLA), leaf dry matter content (LDMC), leaf thickness (Lth) and chlorophyll content (CHL). The results showed that seedlings coming from different sampling sites exhibited similar values in all the phenotypic parameters. Instead, statistically significant differences were observed in the PFTs. The results suggested that the different adaptation strategies implemented by the seedlings are to be related to the physical environment of the sampling sites and to the different forest structures. The Selva di Castiglione forest stand (SC) exhibited better growth conditions for seedlings testified by higher values of SLA and CHL and lower values of LDMC and Lth. These were interpreted as greater investment in carbon production aimed at rapid development and renewal of the seedling rather than carbon storage aimed at ensuring leaf longevity.
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Niroumand-Jadidi, Milad, Francesca Bovolo, and Lorenzo Bruzzone. "Water Quality Retrieval from PRISMA Hyperspectral Images: First Experience in a Turbid Lake and Comparison with Sentinel-2." Remote Sensing 12, no. 23 (December 6, 2020): 3984. http://dx.doi.org/10.3390/rs12233984.

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Abstract:
A new era of spaceborne hyperspectral imaging has just begun with the recent availability of data from PRISMA (PRecursore IperSpettrale della Missione Applicativa) launched by the Italian space agency (ASI). There has been pre-launch optimism that the wealth of spectral information offered by PRISMA can contribute to a variety of aquatic science and management applications. Here, we examine the potential of PRISMA level 2D images in retrieving standard water quality parameters, including total suspended matter (TSM), chlorophyll-a (Chl-a), and colored dissolved organic matter (CDOM) in a turbid lake (Lake Trasimeno, Italy). We perform consistency analyses among the aquatic products (remote sensing reflectance (Rrs) and constituents) derived from PRISMA and those from Sentinel-2. The consistency analyses are expanded to synthesized Sentinel-2 data as well. By spectral downsampling of the PRISMA images, we better isolate the impact of spectral resolution in retrieving the constituents. The retrieval of constituents from both PRISMA and Sentinel-2 images is built upon inverting the radiative transfer model implemented in the Water Color Simulator (WASI) processor. The inversion involves a parameter (gdd) to compensate for atmospheric and sun-glint artifacts. A strong agreement is indicated for the cross-sensor comparison of Rrs products at different wavelengths (average R ≈ 0.87). However, the Rrs of PRISMA at shorter wavelengths (<500 nm) is slightly overestimated with respect to Sentinel-2. This is in line with the estimates of gdd through the inversion that suggests an underestimated atmospheric path radiance of PRISMA level 2D products compared to the atmospherically corrected Sentinel-2 data. The results indicate the high potential of PRISMA level 2D imagery in mapping water quality parameters in Lake Trasimeno. The PRISMA-based retrievals agree well with those of Sentinel-2, particularly for TSM.
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Dissertations / Theses on the topic "Fluorescenza della Chl a"

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Gottardini, Elena. "Risposte morfologiche, fisiologiche e geniche all’ozono della specie arbustiva Viburnum lantana L." Doctoral thesis, country:IT, 2012. http://hdl.handle.net/10449/22868.

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Abstract:
Because its oxidative power, tropospheric ozone is considered, at the large scale, the most harmful pollutant to vegetation. The exceedances of critical levels set to protect vegetation are quite high and widespread, so that large parts of crops and forests in Europe are exposed to potentially harmful levels of ozone. The impact of ozone on vegetation is the result of multiple factors such as the concentration in the atmosphere, the stomatal uptake - which depends on environmental and physiological factors -, and the detoxification potential of plants. The complexity of these factors and their interactions can make it difficult to establish a clear relationship between ozone and plant response under field conditions. The use of plants as bioindicators may be a solution because they reflect and summarize all processes that occur between ozone exposure and the response of the plant. The aim of this research is to explore the potential of the shrub species Viburnum lantana L. as a bioindicator in situ to assess the potential effects of ozone on native vegetation. This species is known to be sensitive to ozone, has a specific response (visible foliar injuries, consisting in red stipples on the upper leaf surface ), and a wide spatial distribution. However it is not fully known if V. lantana meets all the requirements to be used as a bioindicator. In particular, the actual responsiveness to ozone of native plants and the relationship between the intensity of responses and the levels of exposure to the pollutant under field conditions remain to be evaluated. For these purposes, two field studies were carried out in the Province of Trento (North Italy) at local (1) and large scale (2). Moreover, a study under controlled conditions (3) was carried out in order to deepen the knowledge about the effects of ozone on V. lantana at biochemical, physiological and genetic level. (1) The first study was carried out in 2009 and aimed at assessing the time course of plant responses to ozone during the growing season. To this, two 1x1 km quadrates were considered. The two quadrates, located 3 km apart, were characterized by different levels of ozone. The adoption of a completely randomized experimental design ensured replication in each area and the selection of plants. Plants were monitored for the development of ozone-specific foliar symptoms, the chlorophyll content (SPAD) and the fluorescence of chlorophyll a during the entire growing season. (2) The second study was carried out in 2010 and aimed at verifying the response of V. lantana to different levels of ozone exposure. To this end, a stratified random sampling design (elevation x ozone) was adopted to select 30 1x1 km quadrates. On all quadrates, the assessment of symptomatic plants was carried out. For this second field study, the spatial domain was the entire surface of the province of Trento (6.200 km2). (3) For the study in controlled environment, 9 potted plants of V. lantana were subjected to fumigation with known concentrations of ozone (60 ppb for 45 days, 5 hours per day) (treated), while other 9 plants were maintained under the same environmental conditions with the exception of ozone (control). Plants were analyzed for the presence and development of foliar symptoms, chlorophyll content (SPAD), fluorescence of chlorophyll a, leaf content of photosynthetic pigments and carbohydrate (HPLC) and gene expression. Overall, the results of the two field studies allowed to verify (1) a temporal development of the responses of V. lantana consistent with the trend of ozone exposure; and (2) an higher frequency of symptomatic plants where ozone levels were also higher. However, the frequency of symptoms was not always proportionate to the level of ozone exposure. At the same time of the onset and spread of foliar symptoms, a decrease in the foliar chlorophyll content and in photosynthetic performance occurred. The analysis of the fluorescence transient of chlorophyll a showed an early response to ozone for the parameter ΔVI-P, that indicates the ability of the final electron acceptor to be reduced. Interestingly, when comparing similar ranges of ozone exposures, symptomatic plants were always more frequent at higher altitudes (above 700 m a.s.l.): this may suggests that they are subjected to an additional oxidative stress (e.g. due to solar radiation), and/or that environmental conditions are more favourable to ozone uptake (high relative humidity and relative lower temperature). The physiological and metabolic analysis carried out on plants treated with ozone, confirmed their reduced photosynthetic capacity and their lower content of chlorophyll, as well as a not completely effective system to protect plants against photo-inhibition. This behavior is probably the cause of the sensitivity of this species in relation to the ozone. V. lantana - whose sensitivity and specificity of response to ozone were verified also in real field conditions - seems suitable as a bioindicator in situ to qualitatively assess the potential impact of ozone, for large-scale surveys and in remote areas. Foliar symptoms on this species are also confirmed as valid response indicators of ozone, although their interpretation in terms of potential damage to vegetation always requires great caution.
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Rubino, Vincenzo. "Studio della dinamica di perfusione per la valutazione della endometriosi ureterale." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amslaurea.unibo.it/23018/.

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Abstract:
L’endometriosi è una patologia provocata dalla disseminazione o dalla crescita di tessuto endometriale in sedi anomale o dall’insorgenza del tessuto endometriale, per un processo di metaplasia, al di fuori della sede abituale. Le manifestazioni cliniche dell’endometriosi possono essere molto differenti. Accanto a pazienti prive di sintomi, si ritrovano pazienti con una sintomatologia dolorosa estremamente invalidante. L’endometriosi rappresenta una delle patologie ginecologiche più controverse: infatti, nonostante il particolare interesse riservatole negli ultimi decenni dall’intera comunità scientifica e la notevole esperienza clinica acquisita in materia, resta ad oggi, un enigma da risolvere nella quasi totalità delle sue radici ed implicazioni fisiopatologiche. Nella seguente tesi verrà analizzato l’uso endovenoso del verde indocianina per consentire la visualizzazione in tempo reale della perfusione intestinale nelle donne con endometriosi retto-sigmoidea. Tale metodica ci consentirà di valutare la buona riuscita dell’intervento, focalizzandoci soprattutto sulla perfusione ematica intestinale della neo-anastomosi, al fine di escludere la possibile complicanza più temuta nell’ambito chirurgico, ovvero la deiscenza anastomotica (AL). Vista anche la scarsità in letteratura di metodiche consolidate per la quantificazione della perfusione in un contesto chirurgico, che non richiedano una strumentazione di altissimo livello tecnologico, (quali per esempio bracci robotici), si punterà alla implementazione di un algoritmo automatizzato, che potrà fornire i parametri di interesse insieme anche ai relativi grafici. Il tutto in uno scenario di tempistica relativamente breve, che a fronte dell’utilizzo di un hardware di elevate prestazioni, possa puntare anche al real-time, e quindi trovare applicazione direttamente durante la seduta operatoria.
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Palladino, Giorgia. "Valutazione della localizzazione e della tossicità di nanoparticelle di silice fluorescenti su linee cellulari tumorali umane." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amslaurea.unibo.it/11152/.

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Abstract:
Lo scopo di questa tesi è valutare l’attività di uptake delle cellule nei confronti di nanoparticelle di silice fluorescenti e il loro possibile effetto citotossico. Per verificare l’attività di uptake delle cellule abbiamo utilizzato 4 diverse linee cellulari tumorali umane e abbiamo studiato il comportamento delle nanoparticelle all’interno delle cellule grazie all’utilizzo del microscopio a fluorescenza, con cui abbiamo potuto valutare se le particelle sono in grado di penetrare nel nucleo, soprattutto ad alte concentrazioni o a lunghi tempi di incubazione. Per questa valutazione abbiamo effettuato incubazioni a concentrazioni crescenti di nanoparticelle e a tempi di incubazione sempre più lunghi. Inoltre, abbiamo coltivato le cellule sia in condizioni di crescita ottimali, addizionando il terreno con FBS, che in condizioni subottimali, senza l’aggiunta di FBS nel terreno, perché abbiamo ipotizzato che le proteine presenti nell’FBS potessero disporsi come una corona esternamente alle cellule, ostacolando l’uptake delle nanoparticelle. Infine, abbiamo valutato se le diverse linee cellulari avessero dei comportamenti diversi nei confronti dell’internalizzazione delle nanoparticelle. Per quanto riguarda la valutazione di un possibile effetto citotossico delle nanoparticelle, invece, abbiamo effettuato dei saggi di vitalità cellulare, anche in questo caso utilizzando 4 linee cellulari differenti. Come per l’analisi in microscopia, abbiamo effettuato l’incubazione a concentrazioni crescenti di nanoparticelle, a tempi di incubazione sempre più lunghi e in condizioni ottimali, aggiungendo FBS al terreno, o subottimali, senza FBS. Queste variazioni nelle condizioni di incubazione erano necessarie per capire se la vitalità cellulare potesse dipendere da un’alta concentrazione di nanoparticelle, da lunghi tempi di incubazione e dalla presenza o assenza di FBS e se l’effetto fosse diverso a seconda della linea cellulare sottoposta al trattamento.
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Piccotto, Massimo. "Effetti degli NOx sulla fisiologia dei licheni foliosi epifiti." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3170.

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Abstract:
2007/2008
L’obiettivo della ricerca è stato individuare i possibili effetti degli NOx, inquinanti aerodiffusi foto-ossidanti, sui licheni foliosi epifiti. Il lavoro è stato svolto con un particolare riguardo nell’individuare le modificazioni indotte a carico del processo fotosintetico del fotobionte lichenico attraverso metodi fluorimetrici. Le ricerche condotte hanno approfondito inizialmente alcuni aspetti metodologici, individuando, ad esempio, le variabili ambientali che influenzano maggiormente la capacità e l’efficienza fotosintetica di questi organismi. Successivamente, è stata disegnata una articolata sperimentazione, condotta mediante trapianti in siti urbani inquinati e non, che ha permesso di verificare gli effetti degli inquinanti aerodiffusi a concentrazioni ambientali in presenza di altri, naturali, fonti di disturbo. Questo lavoro dimostra, attraverso misure fisiologiche, che l’arido microclima urbano può essere un fattore limitante la fisiologia dei licheni e che la loro tolleranza agli NOx dipende strettamente dalla loro ecologia.
XXI Ciclo
1980
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CICCONE, SARAH. "Studio dei polimorfismi delle glutatione trasferasi nell'aumentata suscettibilità ai processi tumorali: caratterizzazione strutturale e funzionale della glutatione trasferasi di cianobatterio." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/1219.

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Abstract:
Le Glutatione Transferasi sono una famiglia di enzimi ubiquitari, ampiamente distribuiti nell’organismo umano e costituiscono parte importante di un meccanismo cellulare integrato di risposta allo stress chimico e ossidativo, che coinvolge diversi sistemi di detossificazione interdipendenti tra loro. Più precisamente, tali enzimi agiscono nella cosiddetta fase II dopo l’intervento del sistema del citocromo P-450, il principale responsabile delle reazioni della fase I, tra le quali la più importante sembra essere quella di ossigenazione (Guengerich, 1990). In questo modo la fase I produce un metabolita più solubile in acqua e meno tossico che può essere escreto direttamente, ma che spesso viene utilizzato come substrato per le reazioni della fase II. Queste ultime prevedono la coniugazione del metabolita attivato ad un composto endogeno polare come il glutatione (GSH), l’acido glucuronico o la glicina. Nella maggioranza delle specie la reazione che avviene più frequentemente nella fase II è rappresentata dalla coniugazione con il GSH, catalizzata dalle GST (Sheehan et al., 2001). In ogni caso, le GST realizzano la loro funzione di protezione catalizzando l’attacco nucleofilo del GSH ridotto, sotto forma di anione tiolato (GS-), al centro elettrofilo di un’ampia varietà di composti non polari, endogeni e xenobiotici (Armstrong, 1991). A partire dagli anni ‘80 sono stati identificati numerosi polimorfismi a carico delle GST (Hayes et al. 2000) che contribuiscono a definire le differenze interindividuali in risposta a numerosi composti xenobiotici, compresi farmaci e chemioterapici. Sebbene ormai siano stai identificati polimorfismi per tutte le GST citosoliche, ai fini dei nostri studi, risultano di particolare interesse quelli riguardanti la GSTP1, GSTM1 e GSTT1. Nel caso delle GSTM1, sono stati individuati sia casi di duplicazione che di deplezione genica (Widersten M. et al. 1991; Xu S. et al. 1998); queste variazioni sembrano essere responsabili di una differenza di attività nei confronti dei perossidi. Per la GSTP1 sono state identificate quattro varianti alleliche che differiscono a livello degli aminoacidi 104 e 113 (Ali Osman F. et al. 1997; Harries L.W. et al 1997; Watson MA et al. 1998). In fine, per quanto riguarda il gene GSTT1 della classe Theta, esso risulta deleto nel 10%-20% degli individui (Pemble S. et al. 1994; Rebbeck T. M., 1997; Strange R. C., Fryer A., 1999); negli individui Theta nulli, la perdita del gene comporta una ridotta capacità dell’enzima a coniugare il GSH con alcuni substrati quali il Dibromoetano (DBE), il Diclorometano (DCM), l’etilene ossido (EO) e il metil bromuro (MB) (Sherhatt P. J. et al. 1997; Guengerich F. P. et al. 1995). Il clorambucile è un agente alchilante a base di azoto usato nel trattamento primario della leucemia linfocitica cronica, la più comune leucemia nei paesi occidentali (Foon et al., 1990). Esso sembra svolgere la sua funzione citotossica mediante formazione di legami interstrand di DNA che possono portare la cellula a morte per apoptosi. Uno studio ha riportato che le varianti alleliche della GSTP1-1 possono differire significativamente con l’enzima wt nella capacità di formare il prodotto di coniugazione GSH-CHL, indicando questi polimorfismi come potenziali responsabili dello sviluppo della farmaco resistenza (Pandya et al., 2000). Il benzene è un composto ubiquitariamente presente nell’ambiente, in particolare come prodotto del petrolio (Snyder et al., 1993) e del fumo di sigarette (Best et al., 2001). L’esposizione al benzene, che risulta particolarmente frequente per alcune categorie di lavoratori, è stata associata con numerosi effetti dannosi per la salute, mediati da intermedi genotossici e citotossici che inducono danni al DNA (Erexson et al., 1985; Yager et al., 1990; Zhang et al., 1993; Kim et al., 2004) tanto che il benzene è stato riconosciuto come agente carcinogeno di primo livello (WHO, 1993). L’esposizione al benzene si verifica generalmente per inalazione e la misura di benzene nell’urina o nel sangue è utilizzata come marker di una recente esposizione (Weisel et al., 1996; Ashley et al., 1994). Alcuni studi indicano che sia la Glutatione trasferasi T1 (GSTT1) che la Glutatione trasferasi M1 (GSTM1) sono implicate nella detossificazione del benzene ossido (Snyder et al., 1993; Ross, 1996). L’assenza del gene di queste proteine comporta la perdita dell’attività enzimatica (Alves et al., 2002; Seidegard et al., 1988;Sprenger et al., 2000). La GST P1-1 è, tra i membri della famiglia delle GST, la più espressa nelle linee cellulari tumorali (Doroshow et al., 1995). In modo particolare, tali linee cellulari contengono livelli aumentati di GSTP1-1 rispetto al tessuto sano (Eaton et al., 1999; . Tsuchida et al., 1992; Peters et al., 1989), e la sua espressione è, generalmente, inversamente proporzionale alla prognosi e alla risposta ad agenti chemioterapici (Nishimura et al., 1998). Tuttavia, al contrario di quanto accade nella maggior parte dei tumori umani, nel tumore della prostata la GSTP1-1 sembra essere assente (Lee et al., 1994; Moskaluk et al., 1997; Murray et al., 1995; Sullivan et al., 1998), mentre risulta presente nelle cellule epiteliali basali del tessuto sano le quali vengono perse durante lo sviluppo del tumore invasivo (Lee et al., 1994; Moskaluk et al., 1997). L’assenza di espressione della GSTP1-1 nel tessuto tumorale risulta associata ad una ipermetilazione del promotore della proteina stessa (Lee et al., 1994; Brooks et al., 1998; Millar et al., 1999). Oltre alle GST ben caratterizzate dei mammiferi, sono state studiate anche GST provenienti da altri organismi sia eucaroitici che procariotici (Sheehan et al., 2001), tra cui i cianobatteri o alghe blu-verdi, considerati progenitori dei cloroplasti vegetali. (Bryant, DA et al., 1986). Il cianobatterio Synechocystis sp. PCC 6803 è diventato un sistema modello per numerosi studi molecolari e biochimici, compresi studi sulla fotosintesi (Gombos et al., 1992), risposta allo stress (Hagemann M. et al.,1990) analisi riguardanti l’heat shock (Suzuki I.,et al., 2001). Il sequenziamento del suo intero genoma ha permesso di assegnare, sulla base delle omologie di sequenza, putativi ruoli funzionali alle diverse proteina codificate, tuttavia molte di queste proteine devono ancora essere caratterizzate da un punto di vista biochimico e fisiologico. In particolare sono state individuate tre putative glutatione trasferasi (sll0067, sll1147 e sll1545). SCOPO DEL LAVORO La prima parte del mio progetto di dottorato si propone di analizzare da un punto di vista cinetico la funzionalità delle varianti alleliche della GST P1-1 e di valutarne l’attività in risposta al trattamento con chemioterapico clorambucile. Per raggiungere questo obiettivo, i mutanti I104V, A113V e I104V/A113V sono stati clonati, espressi in cellule di E.coli TOP10 e purificati mediante cromatografia per affinità al glutatione. Le proteine ottenute dalla purificazione sono state utilizzate sia per la caratterizzazione biochimica in presenza di diversi cosubstrati (CDNB, EA, NBD-Cl), sia per effettuare prove di termostabilità a diverse temperature (10°C-55°C), sia per valutare l’effetto inibitore del clorambucile. Inoltre, è stato possibile determinare, mediante cristallografia a raggi X, l’interazione del clorambucile con il sito attivo di queste varianti alleliche in modo da valutare l’eventuale variazione di legame tra l’enzima wt e i suoi mutanti. Un secondo punto preso in considerazione nel corso del mio progetto di dottorato è stato quello relativo allo studio dei polimorfismi, non solo della GSTP1-1, ma anche delle GSTT1-1 e della GSTM1-1, specialmente nelle loro forme polimorfiche più diffuse (date dalla delezione dei geni GSTM1 e GSTT1). In modo particolare la nostra attenzione si è focalizzata sul ruolo che tali polimorfismi potrebbero avere in soggetti occupazionalmente esposti al benzene. A tale scopo sono stati condotti studi di genotipizzazione per i geni GSTT1, GSTM1 e GSTP1 (anche se l’analisi di quest’ultimo non è stata ancora terminata), condotti su DNA estratto da campioni di sangue intero, accompagnati da studi di carattere fenotipico volti a saggiare l’attività specifica degli enzimi GSTP1-1 e GSTT1-1 presenti nei campioni, utilizzando i substrati specifici per questi enzimi (rispettivamente, CDNB e EPNP). Anche in questo caso le analisi sono ancora in fase di svolgimento. La terza parte del mio dottorato è stata basata sullo studio della GSTP1-1 in linee cellulari tumorali immortalizzate di prostata a diverso grado patologico. In questo contesto i nostri studi sono consistiti nella coltura di linee cellulari immortalizzate della prostata e nella valutazione dell’alterazione di espressione della GSTP1-1 sia mediante tecnica del Western Blotting, sia mediante saggio dell’attività enzimatica. In fine, una parte importante del mio dottorato è stata impiegata nella caratterizzazione biochimica di una delle tre GST sequenziate a partire dal genoma del cianobatterio Synechocystis PCC 6803. Gli esperimenti di caratterizzazione biochimica sono stati basati sull’individuazione della corretta modalità di purificazione di questo enzima; sull’analisi delle sue proprietà cinetiche in base sia allo studio dell’attività enzimatica, in presenza di diversi cosubstrati, (CDNB, EA, EPNP, NBD-Cl e Cu-OOH), che allo studio della dipendenza dell’attività enzimatica alla concentrazione di GSH utilizzata. Sono stati condotti, inoltre, studi sulla stabilità termica dell’enzima a diverse temperature (10°C-55°C). In fine, queste analisi di tipo biochimico sono state accompagnate da studi di modeling e analisi della sequenza primaria di tale proteina mirati a definirne la struttura tridimensionale e le origini filogenetiche. In conclusione, si è cercato di capire se tale proteina fosse indotta in seguito a stress dato dall’esposizione delle cellule di Synechocystis alla luce UV. RISULTATI E DISCUSSIONE La purificazione ha dato risultati simili per tutti gli enzimi (GSTP1-1 wt, I104V, A113V e I104V/A113V), data la loro simile affinità per il GSH. Infatti, gli studi cinetici condotti sulla GSTP1-1 wt e sui suoi mutanti hanno permesso di stabilire che il sito di legame per il GSH (sito G) non è influenzato dalla presenza delle mutazioni. Saggiando l’attività specifica dei mutanti della GSTP1-1 (I104V, A113V I104V/A113V) in presenza di tre differenti co-substrati (CDNB, EA, NBD-Cl) non sono state trovate differenze rilevanti, fatta eccezione per il mutante I104V (*B) che ha mostrato una significativa riduzione dell’attività nei confronti del CDNB. Inoltre, è stato possibile osservare un aumento dei valori di KmCDNB, ad indicare che la mutazione (da Ile a Val) può influenzare il legame del CDNB probabilmente a causa della differente idrofobicità o della differente grandezza tra i due residui. Nel caso dell’EA, la Tyr108 svolge un ruolo importante nella reazione di addizione di Micheal poiché stabilizza lo stato di transizione grazie al suo gruppo idrossile; per questo mutazioni a carico di residui localizzati vicino alla Tyr108 possono alterare la catalisi. In accordo con quanto detto sopra, è possibile osservare nel mutante I104V un decremento di circa 2 volte nei valori di kcat. In fine, usando l’NBD-Cl come cosubstrato, il principale cambiamento osservato nel mutante I104V è rappresentato dalla forte riduzione del valore di kcat e di efficienza catalitica (da 250±12 s−1 mM a 37±5 s−1 mM). E’ stato riportato che nella reazione che si verifica usando l’NDB-Cl come cosubstrato, lo step limitante, di natura fisica, è dato dai lenti movimenti dell’elica 4 su cui sono localizzati sia il residuo Tyr108 che Ile104 (Caccuri et al., 1996). Tale rigidità è data dalla possibile presenza di un legame idrogeno tra il gruppo idrossile della Tyr108 e l’atomo di ossigeno dell’NBD-Cl; infatti, la perdita di tale legame nel mutante Y108F comporta un aumento di circa 8 volte del valore di kcat (Lo Bello et al., 1997). La stabilità termica della GSTP1-1 wt e delle sue varianti all’eliche (I104V, A113V e I104V/A113V) è stata saggiata incubando i vari enzimi a differenti temperature (10-55°C) per 15 minuti. I nostri studi non indicano alcuna riduzione dell’attività enzimatica, anche protraendo l’esperimento fino alle 24h il risultato, per tutte le varianti alleliche. Solamente dopo una breve incubazione a 50°C abbiamo osservato una minore termostabilità del mutante 104 rispetto all’enzima wt, in accordo con esperimenti precedentemente condotti (Johansson et al., 1998). Per quanto riguarda l’interazione tra il CHL e la GSTP1-1 wt e i suoi mutanti, nel corso del lavoro da noi condotto sono stati effettuati studi cristallografici (Parker M, dell’università di Melbourne) che ci hanno permesso di osservare come questo agente chemioterapico si vada a collocare nel sito-H dell’enzima, secondo le stesse modalità in tutti i mutanti e nell’enzima wt. L’analisi del genotipo della GST M1-1 e T1-1, condotta su un campione di 183 individui di cui 157 occupazionalmente esposti al benzene e 24 controlli, ha dimostrato che il gene polimorfico GST M1 è assente nel 45 % circa degli individui, mentre il gene polimorfico GST T1 è assente nel 10% circa degli stessi individui Il nostro progetto prevede, oltre alla genotipizzazione della GSTT1 e GSTM1 descritta precedentemente, anche l’analisi dei polimorfismi della GSTP1-1 negli stessi soggetti oltre ad un’analisi di tipo fenotipico. La prima verrà eseguita sfruttando le tecnica della PCR e del sequenziamento genico. La seconda mediante saggio di attività enzimatica direttamente su lisato di eritrociti, dopo centrifugazione per rimuovere la membrana sia in presenza di CDNB (substrato della GST P1-1) che di EPNP (substrato preferenziale della GST T1-1). Le analisi condotte sulla GST short ci permettono di ottenere una prima caratterizzazione di questo enzima. In primo luogo è stato possibile osservare una buona similarità di sequenza con le GSTI e GSTIII di Zea mays particolarmente a carico dei residui presenti nel sito G. Inoltre, dalle analisi condotte sull’attività specifica dell’enzima in presenza di differenti cosubstrati (CDNB, EA, EPNP, Cu-OOH e NBD-Cl) è stato possibile osservare una buona attività perossidasica dell’enzima. Dagli studi di stabilità termica risulta che la GST short è molto più termolabile della GSTP1-1 umana, infatti la sua attività si riduce già a partire dai 40°C e diventa più bassa dell’88% a 50°C. Anche in questo caso la bassa stabilità dell’enzima a partire da temperature inferiori rispetto a quelle mostrate dalla GSTP1-1 umana potrebbe essere attribuita alla sua diversa struttura. In fine, per quanto riguarda l’analisi dei livelli di GSTP1-1 in linee cellulari prostatiche mediante tecnica di Western Blotting, la presenza della banda corrispondente alla GSTP1-1 risulta essere particolarmente evidente nelle cellule iperplastiche benigne (BPH) che rappresentano il nostro controllo positivo. Si tratta, infatti, di cellule che presentano un certo grado di iperplasia ma che non sono tumorali; per questo motivo risulta evidente la presenza dell’enzima GSTP1-1 il cui promotore non è metilato. Nelle linee cellulari tumorali del gruppo G2, associato ad una prognosi positiva per il paziente, la banda di espressione della GSTP1-1 risulta presente ma con un’intensità minore rispetto a quella presente nelle linee cellulari iperplastiche benigne. Inoltre, in base agli studi da noi condotti, ad un maggiore livello di aggressività del tumore (linee cellulari del gruppo G1, associate ad una peggiore prognosi per il paziente) corrisponde una sempre minore espressione della banda relativa alla GSTP1-1 che, infatti, risulta del tutto assente nelle linee cellulari tumorali metastatiche, LNCaP (controllo negativo). Ulteriori analisi di western blotting condotte andando ad analizzare la presenza delle GSTT1-1, GSTM2-2 e GSTA1-1, ci hanno permesso di escludere che la scomparsa della GSTP1-1 fosse in qualche modo compensata dalla comparsa di GST appartenenti ad altre classi. In fine, i valori di Attività Specifica, calcolati usando GSH1 mM e CDNB 1mM, risultano progressivamente più bassi passando dalle linee cellulari iperplastiche benigne (HBP) fino a diventare nulli nelle linee cellulari tumorali metastatiche, LNCaP ad ulteriore conferma di quanto osservato mediante Western Blotting.
Glutathione S-transferases (GSTS) are considered part of a coordinated defence strategy, together with other GSH-dependent enzymes, the cytochrome P450s (Phase I enzymes) and some membrane transporters (Phase III) such as MRP1 and MRP2, to remove from the cell the products of oxidative stress generated after interaction of reactive oxygen species, that escape the first line of defense, with cellular macromolecules such as DNA, lipids and proteins. Glutathione S-transferases (EC 2.5.1.18) catalyze the conjugation of glutathione (GSH) with a variety of toxic compounds (carcinogens, anticancer drugs, reactive oxygen species and products of cellular metabolism) that contain an electrophilic atom, i.e. carbon, nitrogen or sulphur. In mammals, there are three major families of proteins that exhibit glutathione transferase activity: two of these, the cytosolic and mitochondrial GSTs, comprise soluble enzymes, while the third family are microsomal (MAPEG) and are referred to as membrane-associated proteins in eicosanoid and glutathione metabolism (Hayes et al., 2005). The human cytosolic GSTs are dimeric proteins; each subunit contains a very similar binding site for GSH (G-site) and a second one for the hydrophobic co-substrate (H-site). Structural differences at the H-site confer a certain degree of substrate selectivity. The human cytosolic GSTs can be grouped into at least seven gene-independent classes on the basis of their amino acid sequence and immunological properties: Alpha, Mu, Pi, Sigma, Theta, Omega, and Zeta Cytosolic GSTs display polymorphisms in humans, and this is likely to contribute to interindividual differences in responses to xenobiotics . A lot of studies suggest that that combinations of polymorphisms in Mu, Pi, and Theta class GST contribute to diseases development. In the first part of this work we analyzed three common polymorphisms in the GSTP1, GSTT1, and GSTM1 genes either decrease or abolish GST enzyme activity: the GSTP1 allelic variants, that differ at either a single codon position (Ile104 (HGSTP1*A), Val104 (HGSTP1*B), Val113 HGSTP1*D) or at two different positions (Val104/Val113 (HGSTP1*C)), and the homozygous deletions of the GSTT1 or GSTM1 gene that lead to an absence of enzymatic activity. The commonly used anti-cancer drug chlorambucil is the primary treatment for patients with chronic lymphocytic leukaemia. Chlorambucil has been shown to be detoxified by human glutathione transferase Pi (GST P1-1), an enzyme that is often found over-expressed in cancer tissues. The allelic variants of GST P1-1 are associated with differing susceptibilities to leukaemia and differ markedly in their efficiency in catalysing glutathione (GSH) conjugation reactions. Here, we perform detailed kinetic studies of the allelic variants with the aid of three representative co-substrates. We show that the differing catalytic properties of the variants are highly substrate-dependent. We show also that all variants exhibit the same temperature stability in the range 10 °C to 55 °C. We have determined the crystal structures of GST P1-1 in complex with chlorambucil and its GSH conjugate for two of these allelic variants that have different residues at positions 104 and 113. Chlorambucil is found to bind in a non-productive mode to the substrate-binding site (H-site) in the absence of GSH. This result suggests that under certain stress conditions where GSH levels are low, GST P1-1 can inactivate the drug by sequestering it from the surrounding medium. However, in the presence of GSH, chlorambucil binds in the H-site in a productive mode and undergoes a conjugation reaction with GSH present in the crystal. The crystal structure of the GSH–chlorambucil complex bound to the *C variant is identical with the *A variant ruling out the hypothesis that primary structure differences between the variants cause structural changes at the active site. Finally, we show that chlorambucil is a very poor inhibitor of the enzyme in contrast to ethacrynic acid, which binds to the enzyme in a similar fashion but can act as both substrate and inhibitor. In another part of this work we determined in the peripheral blood lymphocytes of 157 workers exposed to benzene, using 25 individuals not exposed as external controls, the presence of polymorphic genes GSTT1 and GSTM1 and the distribution of GSTP1 allelic variants. We have also evaluated the glutathione transferases (GST) activities and the levels of glutathionylated hemoglobin in the RBC of the same samples. Because this study is in progress again, we can’t estabilish the finals conclusions. During my Phd project I have also analyzed the presence of GSTP1-1 enzyme in prostatic cancer cells lines. In contrast to frequent overexpression of GST-pi observed in many types of cancer, the vast majority of primary human prostate tumors contain no detectable GST pi. So, this enzyme is abundant in normal prostate basal epithelial cells, but basal cells are lost during development of invasive cancer. Absence of GST pi expression in human prostate cancer is accompanied by hypermethylation of regulatory sequences within the GST pi gene, whereas no such hypermethylation is present in normal tissues or benign prostatic hyperplasia (HPB). So we employed Western blot analysis and specific activity assays to measure GST pi expression in diferrents prostatic cancer cells lines selected on the basis of their tumor staging. We have analyzed HBP lines (positive controls), G1 cells lines (associated with a negative prognosis), G2 cells lines (associated with good prognosis) and LNCaP (negative controls). At the and of this study we observed that the most relevant expression of GST pi was detectable in HPB cells, but also in G2 and G1 cells is possible to note a very low presence of this enzyme. The last part of my project comprehend the purification and the enzymatic caratherization of a new GST, called GST short, sequenzed by the cyanobacteria Synechocystis sp PCC 6803 genome. Cyanobacteria represent a group of widely distributed prokaryotes performing oxygenic photosynthesis similar to plants. This, together with their generally accepted role as progenitors of plant plastids, and their ease of genetic manipulation, has made them extremely useful in studies of environmental gene regulations and the mechanism of oxygenic photosynthesis. In according to its phylogenetic origin, GST short presents a very similar G-site sequence with the sequence previously described for GSTI and GSTIII of Zea mays. It is also active towards several classical substrates, but at the same moderate rates that have been observed for other glutathione transferases derived from prokaryotes. Particulary, it was possible observe a strong perossidase activity. We have also analyzed the GST short thermal stability respect to hGSTP1-1 (10°-55°C) and the results indicate that the cyanobacterial enzyme is less resistant at this temperatures than human enzyme probably because its different structure. The cloning, expression and characterization of this cyanobacterial glutathione transferase is also described . The possible significance of the observed catalytic properties is discussed in the context of structural organization and glutathione transferase evolution.
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TAGLIABUE, GIULIA. "Linking vegetation optical properties from multi-source remote sensing to plant traits and ecosystem functional properties." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2019. http://hdl.handle.net/10281/241317.

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Abstract:
Negli ultimi decenni, il telerilevamento è stato utilizzato con successo per monitorare la vegetazione grazie alla sua capacità intrinseca di fornire informazioni quantitative ripetute e spazialmente distribuite circa le sue proprietà. Tuttavia, la ricerca si è concentrata prevalentemente sulla descrizione delle proprietà strutturali e biochimiche della vegetazione piuttosto che sulla comprensione del suo funzionamento. Negli ultimi decenni, il telerilevamento della fluorescenza della clorofilla indotta dal sole (F) è emerso come strumento innovativo utile allo studio del funzionamento delle piante. F è un debole segnale emesso nelle regioni spettrali del rosso e infrarosso vicino (~650-800 nm) dal cuore dell’apparato fotosintetico per dissipare l’eccesso di energia assorbita. Il suo potenziale risiede nella relazione esistente tra fotochimica e vie dissipative: poiché la fotochimica compete con la dissipazione sotto forma di F e calore, F può essere un indicatore diretto del funzionamento della fotosintesi. L’obiettivo principale di questo dottorato è stato l’utilizzo di dati ottici (i.e., riflettanza e fluorescenza) per migliorare la comprensione del funzionamento della vegetazione e della sua variabilità spaziale. In particolare, il lavoro si è focalizzato sullo studio del legame tra proprietà ottiche della vegetazione, plant traits (PT) e ecosystem functional properties (EFP) in una foresta di media latitudine. A tale scopo, sono state utilizzate tecniche di telerilevamento innovative per studiare il funzionamento della vegetazione a partire da dati ottici ad altissima risoluzione spettrale acquisiti tramite il sensore aviotrasportato ad immagine HyPlant. Il lavoro si è focalizzato su due obiettivi principali: i) l’analisi della relazione spaziale tra F e EFP per comprendere la variabilità della funzionalità a scala regionale; ii) l’analisi del potenziale di F come indice sintetico della diversità funzionale. I risultati dimostrano l’efficacia dell’utilizzo di F come proxy della funzionalità della vegetazione, sottolineando allo stesso tempo la complessità del legame tra F, PT e EFP e la necessità di integrare dati differenti per interpretare correttamente il segnale di F. In particolare, i risultati mostrano che: i) F è relazionata alla variabilità spaziale delle EFP, dimostrando che tale relazione tipicamente osservata nel dominio temporale si mantiene in quello spaziale; ii) F è uno strumento più promettente rispetto agli indici tradizionali basati sulla riflettanza per spiegare la diversità funzionale. Globalmente, i risultati mostrano il ruolo fondamentale dell’eterogeneità spaziale nel controllare l’uptake del carbonio, migliorando così la comprensione della complessa relazione tra F e funzionalità. Futuri studi in questa direzione sono una priorità per migliorare la comprensione del ruolo della vegetazione nel bilancio globale del carbonio.
Remote Sensing (RS) data have been successfully exploited in the last decades to monitor vegetation due to their inherent capacity of providing repeated and spatially-distributed quantitative information about vegetation properties. However, most research focused on the description of the structural and biochemical properties of vegetation rather than on the understanding of its functioning. In the last decade, RS of sun-induced chlorophyll fluorescence (F) emerged as a novel and promising tool for assessing plant functional status. F is a weak signal emitted by the core of the photosynthetic machinery in the red and far-red spectral regions (~650-800 nm) as a side product of light absorption. The potential of F relies on the relationship existing between photochemistry and the energy dissipation pathways: since photochemistry competes with F emission and heat dissipation for the absorbed energy, F can be a direct indicator of plant actual functional state. The main aim of this Ph.D. research was to exploit optical data (i.e., reflectance and fluorescence) to advance the understanding of vegetation functioning and of its variability across space. In particular, the work aimed at better understanding the link between vegetation optical properties, plant traits (PTs) and ecosystem functional properties (EFPs) in a case study represented by a mid-latitude forest ecosystem. At this purpose, innovative RS techniques were exploited to infer information about the vegetation functioning from fine and ultra-fine spectral resolution optical measurements acquired with the HyPlant airborne imaging spectrometer. The analyses were focused on two main work streams: i) the investigation of the spatial relationship between F and EFPs to better understand the variability of the ecosystem functioning at regional scale; ii) the analysis of the potential of F as a synthetic descriptor of the ecosystem functional diversity. Results provided evidence of the effectiveness of F as a tool for assessing vegetation functioning, but also pointed out the complexity of the link existing between F, PTs and EFPs and the need to integrate different RS derived products to obtain an unambiguous interpretation of the F signal. In particular, results showed that: i) F can be related to the spatial variability of the EFPs, thus demonstrating that this link usually observed in the temporal domain holds in the spatial domain; ii) F is a more powerful tool compared to traditional reflectance-based indices for explaining the functional diversity. Overall, these results improved the understanding of the complex relationship between F and vegetation functioning by adding new insights into the critical role of the spatial heterogeneity in controlling the carbon uptake. Further research in this direction constitutes a high priority for advancing the understanding of the imprint of plants on the global carbon balance.
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Florio, Francesco Paolo. "Studio delle modificazioni strutturali della matrice vegetale mela a seguito di differenti intensità di campi elettrici pulsati (PEF)." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019.

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Oggigiorno il consumatore medio richiede sempre più un prodotto alimentare che abbia delle caratteristiche ‘fresh-like’, che sia facile e veloce da consumare (es. cibi ‘ready to eat’) e che non abbia subito un elevato trattamento termico. Un esempio sono i prodotti di quarta gamma nati per offrire sul mercato prodotti ortofrutticoli freschi ad elevato contenuto di servizi, ovvero già lavati, puliti, tagliati, confezionati e pronti per il consumo. Questi contengono solitamente frutta e verdura minimamente processata al fine di preservare le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Una parte del lavoro è stata incentrata proprio su questa categoria di prodotti, in particolare sulla mela fresca, applicando ad essa un trattamento non-termico come i campi elettrici pulsati (PEF). L’obiettivo è stato quello di studiare l’impatto del trattamento sulla vitalità cellulare del frutto, comparandolo con il fresco. La seconda parte dello studio, invece, è stata rivolta ai prodotti disidratati o parzialmente disidratati. Questi vengono apprezzati sempre di più in quanto, presentando valori bassi di attività dell’acqua e/o valori bassi di umidità, possono essere conservati a lungo senza deteriorarsi e mantenendo intatte (o quasi) le qualità organolettiche e nutrizionali. L’obiettivo, in questo caso, è stato quello di studiare l’impatto del trattamento PEF e della successiva disidratazione sulle proprietà e sulle caratteristiche reologiche della mela.
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PASQUA, IRENE. "Significato clinico dell'espressione della proteina ZAP-70 nelle leucemie linfatiche croniche." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1024.

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L’apoptosi e il ciclo cellulare privi di normali controlli sono i principali motivi che determinano la mancata risposta dell’LLC nei confronti della chemioterapia convenzionale. Nella LLC-B sembra che il ciclo cellulare sia arrestato alla fase G0/G1, l’inibizione della spontanea apoptosi e l’up-regolazione dell’espressione della proteina anti-apoptotica bcl-2 definisce la prognosi clinica. Comunque, esistono delle evidenze che la progressione della malattia è correlate con il ciclo cellulare delle cellule nella LLC-B: un pool di cellule proliferanti è stato riscontrato nei linfonodi e nel midollo osseo e potrebbe rifornire il pool di cellule in accumulo nel sangue periferico. Inoltre, la presenza di mutazioni nel gene che codifica per le catene leggere delle immunoglobuline (Ig) VH si correla con una rapida progressione di malattia (DP) ed una ridotta sopravvivenza (OS) (Damle, Hamblin, 1999). Le cellule B di pazienti affetti da LLC che presentano geni IgVH non mutati esprimono l’RNA ZAP 70 che codifica per la proteina ZAP-70, una proteina tirosin chinasi di 70-kDa, che ha proprietà di molecola segnale, associata ad un incremento delle cellule B e ad un aumento del rischio di progressione della malattia nella LLC-B. (Del Principe, 2006). Inoltre, ad oggi la disponibilità di rinfamicina o inibitori dei proteosomi contro la proliferazione di cellule B nella LLC e l’uso di oligonucleotidi antisenso bcl-2 ci ha suggerito di valutare il reale impatto del meccanismo dell’apoptosi e della proliferazione sulla prognosi della LLC-B. I principali scopi del nostro studio sono stati: 1) determinare la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto all’apoptosi/proliferazione e all’espressione di ZAP-70; 2) se l’apoptosi/proliferazione potrebbe predire percorsi alternativi all’interno del gruppo che presenta ZAP-70; e infine 3) se ZAP-70 e il gruppo apoptosi/proliferazione erano indipendenti da fattori prognostici. Perciò noi abbiamo analizzato 265 pazienti, età mediana di 64 anni (range 37-84), 136 maschi e 129 femmine. In riferimento alla stadio Rai modificato, 87 pazienti avevano un basso stadio, 170 uno stadio intermedio e 8 un alto stadio. ZAP-70 fu quantificato mediante citometria a flusso multicolour utilizzando il metodo di fissaggio e permeabilizzazione ritenendo significativo un valore superiore al 20%. Anche Bcl-2 fu determinata attraverso la citometria a flusso, dividendo per la media dell’intensità di fluorescenza (MFI) delle cellule CD19+B-CLL / MFI delle cellule T (Bcl-2B/T). La threshold fu settata ad un valore mediano >1.6. Il recettore per la Transferrina (CD71) fu utilizzato come stima della proliferazione e la threshold fu settata ad un valore mediano >8%. Combinando Bcl-2B/T con CD71 (Bcl2CD71) sono stati ottenuti tre sottogruppi: 1) Bcl2CD71- [106 pts] con basso livello di proliferazione (CD71 <8%) e alta apoptosi (Bcl-2B/T <1.6); 2) Bcl2CD71+ [49 pts] con alta proliferazione (CD71>8%) e bassa apoptosi (Bcl-2B/T >1.6); e 3) Bcl2CD71+/- [110 pts] con bassa proliferazione e bassa apoptosi oppure con alta proliferazione e alta apoptosi. I pazienti affetti da LLC-B ZAP-70+ erano 95/265 (36%). In 111 pazienti studiati l’espressione di ZAP-70 e lo stato mutazionale del gene Ig V gene erano significativamente correlati (p<0.00001). Inoltre, noi trovammo una significativa associazione sia tra bassi livelli di ZAP-70 e basso Bcl-2B/T index (p=0.001) o basso livello di ZAP-70 e Bcl2CD71- (p=0.002), confermando che bassi livelli di ZAP-70 erano caratterizzati da elevata apoptosi e bassa proliferazione. In riferimento al decorso clinico, una significativa più corta sopravvivenza libera da progressione (PFS) fu osservata nei pazienti ZAP-70+ vs pazienti ZAP-70 negative (0% vs 58% a 13 anni; p<0.00001) e in pazienti Bcl2CD71+ vs pazienti Bcl2CD71- (10% vs 56% a 12 anni; p<0.00001). Il sottogruppo Bcl2CD71+/- mostrava un decorso intermedio (30% a 12 anni). Per analizzare ulteriormente l’impatto prognostico dell’indice Bcl2CD71, noi valutammo la sua espressione all’interno dei pazienti ZAP70+ (95 pts) e ZAP70- (170 pts). In realtà, Bcl2CD71 non fu in grado di identificare un livello prognostico all’interno dei pazienti ZAP-70+, perchè tutti questi pazienti presentavano una più corta PFS senza significative differenze. Del resto, questo indice identifica un livello differente di PFS all’interno del sottogruppo ZAP-70 negativo (73% dei pazienti per Bcl2CD71- vs 29% dei pazienti per Bcl2CD71+ a 12 anni, p=0.00009). Operando una analisi multivariata della PFS, nella quale l’età, lo stadio di Rai modificato, CD38, CD23 solubile (sCD23), raddoppiamento dei linfociti (LDT), Bcl-2CD71 e ZAP-70, ZAP-70 (p=0.00005), LDT (p=0.006), stadio Rai modificato (p=0.03) e sCD23 (p=0.01) risultarono essere dei fattori prognostici indipendenti. Inoltre, si confermò che ZAP-70 era il principale fattore prognostico indipendente con riferimento alla PFS. Del resto, il nostro indice apoptosi/proliferazione (Bcl2CD71), eseguito utilizzando la citometria a flusso, fu molto utilizzato per identificare pazienti a differenti livelli di progressione all’interno del sottogruppo ZAP-70 negativo. Dal momento che ZAP-70 negativo rappresenta un ampio ed eterogeneo gruppo della popolazione di LLC-B con una progressione variabile, altri fattori biologici, come il livello di apoptosi e di proliferazione, devono essere considerati in modo che insieme possano identificare più facilmente i pazienti in progressione e dare modo di prendere in tempo una accurata decisione terapeutica.
Dysfunctional apoptosis and cell cycle are the main reasons for the clinical enigma, that CLL can not yet be cured with conventional chemotherapy. In B-CLL, malignant cells seem to be arrested in the G0/early G1 phase of the cell cycle, and inhibition of spontaneous apoptosis and upregulation of the anti-apoptotic protein bcl-2 define clinical prognosis. However, increasing evidence exists that disease progression relies upon cycling B-CLL cells: a proliferating pool of cells has been described in lymph nodes and bone marrow and might feed the accumulating pool in the blood. Moreover, the lack of immunoglobulin (Ig) VH gene mutation also has been shown to predict a rapid disease progression (DP) and an inferior overall survival (OS) (Damle, Hamblin, 1999). B-CLL cells that use non-mutated IgVH genes express ZAP-70 RNA, which encodes ZAP-70, a 70-kDa protein tyrosine kinase, associated both with an enhanced B cell receptor signaling and with an early DP risk in B-CLL (Del Principe, 2006). Moreover, the today availability of rapamycin or proteasome inhibitors effective against proliferating B-CLL cells and bcl-2 antisense oligonucleotides prompted us to evaluate the real impact of proliferation and apoptosis pathways on B-CLL prognosis. The primary aims of our study were: 1) to determine progression-free survival (PFS) upon apoptosis/proliferation subgroups and ZAP-70 expression; 2) whether apoptosis/proliferation could predict varied outcome within ZAP-70 subgroups; and finally 3) whether ZAP-70 and apoptosis/proliferation groups were independent prognostic factors. Therefore we investigated 265 pts, median age 64 years (range 37-84), 136 males and 129 females. With regard to modified Rai stages, 87 patients had a low stage, 170 an intermediate stage and 8 a high stage. ZAP-70 was quantified by a multicolor flow cytometric method fixing a cut-off value of 20%. Bcl-2 was determined by flow cytometry, dividing mean fluorescence intensity (MFI) of CD19+B-CLL cells / MFI of T-cells (Bcl-2B/T). The threshold was set at the median value >1.6. Transferrin receptor (CD71) was used as a measure of the proliferation and the threshold was set at the median value >8%. Combining Bcl-2B/T with CD71 (Bcl2CD71) we enucleated three subgroups: 1) Bcl2CD71- [106 pts] with low proliferation (CD71 <8%) and high apoptosis (Bcl-2B/T <1.6); 2) Bcl2CD71+ [49 pts] with high proliferation (CD71>8%) and low apoptosis (Bcl-2B/T >1.6); and 3) Bcl2CD71+/- [110 pts] with low proliferation and low apoptosis or with high proliferation and high apoptosis. ZAP-70+ B-CLL patients were 95/265 (36%). In 111 studied pts ZAP-70 expression and Ig V gene mutational status were significantly correlated (p<0.00001). Furthermore, we found significant associations either between lower ZAP-70 and lower Bcl-2B/T index (p=0.001) or lower ZAP-70 and Bcl2CD71- (p=0.002), confirming that low levels of ZAP-70 were characterized by high apoptosis and low proliferation. With regard to clinical outcome, a significant shorter progression-free survival (PFS) was observed in ZAP-70+ pts vs ZAP-70 negative pts (0% vs 58% at 13 years; p<0.00001) and in Bcl2CD71+ pts vs Bcl2CD71- pts (10% vs 56% at 12 years; p<0.00001). The Bcl2CD71+/- subgroup showed an intermediate outcome (30% at 12 years). To further explore the prognostic impact of Bcl2CD71 index, we investigated its expression within ZAP70+ (95 pts) and ZAP70- (170 pts) subsets. As a matter of fact, Bcl2CD71 was not able to identify prognostic subsets within ZAP-70+ pts, because all these cases presented a shorter PFS without significant differences. On the other hand, this index identified subsets at different PFS within the ZAP-70 negative subgroup (73% for Bcl2CD71- pts vs 29% for Bcl2CD71+ at 12 years, p=0.00009). In multivariate analysis of PFS, in which age, Rai modified stages, CD38, soluble CD23 (sCD23), lymphocyte doubling time (LDT), Bcl-2CD71 and ZAP-70 entered, ZAP-70 (p=0.00005), LDT (p=0.006), Rai modified stages (p=0.03) and sCD23 (p=0.01) resulted to be independent prognostic factors. Therefore, ZAP-70 was confirmed as the most important indipendent prognostic factor with regard to PFS. However, our apoptotic/proliferative index (Bcl2CD71), performed by flow cytometry, was very useful to identify pts at different progression rate within the ZAP-70 negative subgroup. Since the ZAP-70 negative subset represents a large and heterogeneous B-CLL population with a variable progression, other biological factors, such as the amount of apoptosis and the proliferative rate, have to be added in order both to identify early progressive pts and to take timely accurate therapeutic decisions.
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9

FRACASSO, ALESSANDRA. "Caratterizzazione di genotipi di sorgo in funzione di tratti legati alla tolleranza alla siccità." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2015. http://hdl.handle.net/10280/6073.

Full text
Abstract:
L’incessante aumento della popolazione mondiale ed il conseguente incremento della richiesta di risorse alimentari ed energetiche, congiuntamente al mutevole scenario climatico, sempre più incline a periodi di siccità prolungata in misura sempre maggiore in alcune zone del pianeta, fa sì che sempre più attenzione sia rivolta allo sviluppo ed all’implementazione di risorse energetiche rinnovabili a bassi input. Il sorgo zuccherino (Sorghum bicolor Moench) è una coltura bioenergetica in grado di fornire cibo, bioetanolo e biogas. Lo studio di tale coltura in risposta al deficit idrico promuove una più approfondita conoscenza dei meccanismi alla base dei processi fotosintetici, e di come, e quanto, questi possano essere influenzati dall’assenza temporanea, o più o meno prolungata, di disponibilità idrica. La produzione di biomassa e la sua composizione chimica sono state valutate per genotipi di nuova costituzione in confronto a quelli già disponibili in commercio, ai fini della produzione di biogas e bioetanolo. Una più approfondita analisi fisio-fenologica e molecolare è stata condotta su sei genotipi di sorgo con lo scopo di combinare in una visione di insieme più integrata la risposta alla siccità in sorgo. Due genotipi (uno sensibile e l’altro tollerante la siccità) sono stati selezionati per l’analisi trascrittomica in risposta allo stress idrico al fine di individuare geni candidati potenzialmente utili ai fini di una selezione assistita da marcatore.
Due to the increasing human population and the consequent surging energy and water demand, it is necessary to implement energy and fuel production from low input renewable sources. Sweet sorghum (Sorghum bicolor Moench) is a low input multipurpose crop that provides food, feed and bioethanol from conversion of sugars accumulated in the stalk and biogas from anaerobic digestion of whole aboveground dry biomass. This multipurpose crop was studied in response to water deficit. In particular, the biomass production and its composition were evaluated in response to drought for new developed and commercial genotypes for biogas and bioethanol production. The physiologic and molecular approaches were combined in order to provide an integrated view on drought tolerance in sorghum enabling to know which are the mechanisms and with which extent they were affected by drought in this bioenergy crop. The transcriptomic analysis was performed on two sorghum genotypes (one sensitive and the other one tolerant to drought) with RNA-Seq technology in order to evaluate the diversity existing in the sorghum transcriptome that could be related to drought tolerance and to identify candidate genes that could be used as potentially marker for the marker assisted selection.
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FRACASSO, ALESSANDRA. "Caratterizzazione di genotipi di sorgo in funzione di tratti legati alla tolleranza alla siccità." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2015. http://hdl.handle.net/10280/6073.

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Abstract:
L’incessante aumento della popolazione mondiale ed il conseguente incremento della richiesta di risorse alimentari ed energetiche, congiuntamente al mutevole scenario climatico, sempre più incline a periodi di siccità prolungata in misura sempre maggiore in alcune zone del pianeta, fa sì che sempre più attenzione sia rivolta allo sviluppo ed all’implementazione di risorse energetiche rinnovabili a bassi input. Il sorgo zuccherino (Sorghum bicolor Moench) è una coltura bioenergetica in grado di fornire cibo, bioetanolo e biogas. Lo studio di tale coltura in risposta al deficit idrico promuove una più approfondita conoscenza dei meccanismi alla base dei processi fotosintetici, e di come, e quanto, questi possano essere influenzati dall’assenza temporanea, o più o meno prolungata, di disponibilità idrica. La produzione di biomassa e la sua composizione chimica sono state valutate per genotipi di nuova costituzione in confronto a quelli già disponibili in commercio, ai fini della produzione di biogas e bioetanolo. Una più approfondita analisi fisio-fenologica e molecolare è stata condotta su sei genotipi di sorgo con lo scopo di combinare in una visione di insieme più integrata la risposta alla siccità in sorgo. Due genotipi (uno sensibile e l’altro tollerante la siccità) sono stati selezionati per l’analisi trascrittomica in risposta allo stress idrico al fine di individuare geni candidati potenzialmente utili ai fini di una selezione assistita da marcatore.
Due to the increasing human population and the consequent surging energy and water demand, it is necessary to implement energy and fuel production from low input renewable sources. Sweet sorghum (Sorghum bicolor Moench) is a low input multipurpose crop that provides food, feed and bioethanol from conversion of sugars accumulated in the stalk and biogas from anaerobic digestion of whole aboveground dry biomass. This multipurpose crop was studied in response to water deficit. In particular, the biomass production and its composition were evaluated in response to drought for new developed and commercial genotypes for biogas and bioethanol production. The physiologic and molecular approaches were combined in order to provide an integrated view on drought tolerance in sorghum enabling to know which are the mechanisms and with which extent they were affected by drought in this bioenergy crop. The transcriptomic analysis was performed on two sorghum genotypes (one sensitive and the other one tolerant to drought) with RNA-Seq technology in order to evaluate the diversity existing in the sorghum transcriptome that could be related to drought tolerance and to identify candidate genes that could be used as potentially marker for the marker assisted selection.
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