Academic literature on the topic 'Divieto di discriminazione'

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Journal articles on the topic "Divieto di discriminazione"

1

Corvaja, Fabio. "L'accesso dello straniero extracomunitario all'edilizia residenziale pubblica." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 3 (September 2009): 89–112. http://dx.doi.org/10.3280/diri2009-003005.

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Abstract:
1. Le premesse costituzionali: il diritto all'abitazione come diritto fondamentale e le garanzie dell'eguaglianza per gli stranieri (tra eguaglianza in senso stretto, ragionevolezza dei trattamenti differenziati, divieto di discriminazione)2. Il principio di paritŕ di accesso all'edilizia residenziale pubblica nella legislazione ordinaria dello Stato3. I requisiti di accesso all'ERP nella legislazione regionale, tra discriminazioni dirette e discriminazione indirette4. I dubbi sulla costituzionalitŕ delle discipline regionali che limitano (direttamente o indirettamente) l'accesso agli alloggi ERP da parte degli stranieri extracomunitari5. Una considerazione finale (con un po' di ottimismo volontaristico)
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2

Brunelli, Giuditta. "Minori immigrati, integrazione scolastica, divieto di discriminazione." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 1 (April 2010): 58–77. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-001004.

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Abstract:
Il saggio si sofferma sull'accesso all'istruzione obbligatoria e sulle condizioni di esercizio del diritto fondamentale all'istruzione dei minori stranieri. Su tali posizione soggettive incidono in modo significativo ipotesi di intervento quali le "classi-ponte" (o classi di inserimento) e recenti provvedimenti ministeriali (il limite massimo del 30% di alunni stranieri nelle classi previsto dalla circolare del Ministero dell'istruzione n. 2 del 2010). Dopo aver argomentato la dimensione antidiscriminatoria assunta dal principio di eguaglianza nella giurisprudenza costituzionale sulla condizione dello straniero, l'A. mette in luce i profili problematici di proposte che tendono a superare il modello di integrazione scolastica piena affermatosi in Italia negli ultimi vent'anni. L'opzione politica in favore delle classi-ponte, oltre ad apparire culturalmente arretrata e tecnicamente inadeguata, si rivela soprattutto costituzionalmente discriminatoria. A sua volta, il provvedimento sul "tetto" del 30% presenta margini non irrilevanti di ambiguitŕ (proprio in relazione alla possibile creazione "mascherata" di classi di inserimento) e dŕ luogo a numerose difficoltŕ applicative, alcune delle quali suscettibili di configurare vere e proprie discriminazioni. Si propongono pertanto, anche sulla base di indicazioni provenienti dall'Unione europea, altre modalitŕ di intervento, piů efficaci e rispettose dell'autonomia scolastica.
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3

Zanichelli, Maria. "Il valore dell'uguaglianza nella prospettiva del diritto." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 42 (January 2012): 33–45. http://dx.doi.org/10.3280/las2011-042003.

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Abstract:
L'uguaglianza, ideale filosofico centrale nel pensiero occidentale moderno, č divenuta un principio fondamentale degli ordinamenti giuridici attuali. La filosofia del diritto offre dunque un'angolatura privilegiata per esaminare alcuni interrogativi teorici posti da questo concetto. L'uguaglianza tra le persone č un presupposto morale o un obiettivo politico? Quale relazione intercorre fra uguaglianza e diversitÀ? Sono fatti o valori? Quali disuguaglianze sono ingiuste? Che cosa significa giuridicamente trattare le persone ‘come uguali'? Il divieto di discriminazione puň essere giustificato sulla base del principio di uguaglianza quale fondamento dei diritti individuali o quale fondamento della comunitÀ politica.
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4

Sgreccia, Elio. "Quando la fede si confronta con la legge nell’ambito delle biotecnologie umane." Medicina e Morale 51, no. 3 (June 30, 2002): 407–27. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.691.

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Abstract:
L’articolo analizza il rapporto tra istanze religiose e la legge civile, tenendo presente i possibili interventi della legge nel campo della genetica e della procreazione. Dopo aver argomentato che il dialogo tra fedi religiose e regimi democratici stia diventando sempre più urgente per evitare sia i fondamentalismi religiosi sia presunte neutralità morali delle democrazie liberali, l’autore afferma che il fatto religioso cristiano-cattolico ponga tre esigenze fondamentali per un corretto rapporto tra fede e legge: l’esigenza antropologica, cioè di una concezione dell’uomo esigitiva del rispetto della dignità di ogni persona umana; l’esigenza epistemologica, per cui la fede non deve opporsi alla ricerca scientifica e razionale, ma deve indicare il senso della ricerca stessa, nel quadro dei fini dell’uomo; il principio dell’accettazione del sistema democratico nel quale deve essere garantito per ogni uomo il diritto alla libertà-responsabilità in un clima di dialogo e persuasione. Infine, l’articolo si sofferma sugli orientamenti di carattere normativogiuridico sulla genetica e sulla procreazione artificiale che una visione centrata sulla dignità della persona umana richiede: 1. la protezione di individuo umano, cioè la tutela del diritto alla vita di ogni essere umano innocente; 2. il Principio di non discriminazione; 3. il divieto di ogni intervento genetico non terapeutico alterativo; 4. il divieto di brevettazione del genoma umano; 5. la promozione della ricerca in tema di terapia genetica; 6. la protezione degli individui che operano e sperimentano nei laboratori di biotecnologie sul DNA.
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5

Cattorini, P., E. Bertoli, F. Buzzi, R. Gornati, A. Lazzarin, D. Morelli, A. G. Spagnolo, and M. Zanchetti. "Indagine sul grado di conoscenza e di valutazione della normativa italiana in materia di prevenzione dell'AIDS." Medicina e Morale 43, no. 2 (April 30, 1994): 273–317. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.1021.

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Abstract:
L'articolo illustra i risultati derivanti dalla somministrazione di 451 questionari a pazienti affetti da Human Immunodeficiency Virus (HIV) ricoverati in reparti di malattie infettive appositamente attrezzati per la cura dell'AIDS o afferenti ai relativi ambulatori o day-hospital. In particolare, l'indagine ha inteso verificare tra le persone intervistate l'effettiva conoscenza, comprensione, valutazione ed applicazione degli articoli 5 e 6 della legge italiana n°135 del 1990 su "Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS". Tali articoli, infatti, riguardano le normative sull'accertamento dell'infezione (art. 5) e il divieto per i datori di lavoro di svolgere indagini volte ad accertare la sieropositività dei propri dipendenti (art.6). L'indagine è stata condotta in tre ospedali: Centro S. Luigi dell'Istituto Scientifico Ospedale S. Raffaele di Milano (150 questionari), Policlinico S. Matteo di Pavia (150 questionari) e Policlinico Universitario "A. Gemelli" di Roma (150 questionari). Il questionario è stato strutturato sulla base di doppie domande: una su ciò che il paziente personalmente pensa riguardo ai suoi "diritti", l'altra su ciò che il paziente pensa che la legge preveda. In generale sembra emergere che i soggetti intervistati sono coscienti di essere persone "infette", però in una comunità che tende a discriminarli. Non sembrano attendersi, inoltre, una piena tutela da parte dello Stato anche se rimangono propensi a collaborare perché la situazione cambi e sono, comunque, disposti ad accettare interventi normativi su se stessi a condizione della non discriminazione e che il loro sacrificio risulti veramente utile per la prevenzione della diffusione del contagio. Risalta, infine, l'esigenza di mantenere riservato lo stato di malattia nel luogo di lavoro.
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La Tegola, Ornella. ""Oltre" la discriminazione: legittima differenziazione e divieti di discriminazione." GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, no. 123 (December 2009): 471–515. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2009-123005.

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Abstract:
- The second generation anti-discrimination legislation provides that a difference of treatment, based on a characteristic related to any of the grounds referred to in the law shall not constitute discrimination when, by reason of the nature of the particular occupational activities concerned or of the context in which they are carried out, such a characteristic constitutes a genuine and determining occupational requirement, provided that the objective is legitimate and the requirement is proportionate. According to the European Directives, occupational requirements are external cases to the discrimination because they refer to the concrete possibility of carrying out work activity. The A. verifies the correct implementation of such Directives in the Italian legal system, with regard to external cases to discrimination.
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Carrasco de Paula, Ignacio. "Etica e Salute: due quesiti, due compiti." Medicina e Morale 51, no. 6 (December 31, 2002): 1039–46. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.679.

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Abstract:
Etica e salute pur essendo due componenti di ogni singolo uomo sono lette spesso come realtà inconciliabili. Il diritto alla salute occupa un posto di rilievo tra le conquiste della modernità. Tuttavia, nonostante la ben nota definizione di salute che ha dato l’OMS, definizione tendente a precisare, più che una realtà, un potere d’intervento da parte dell’istituzione stessa, è ancora necessario chiarire con che cosa si identifichi, nella pratica, tale diritto: non si tratta di mera sopravvivenza, ma neppure del godimento della pienezza somatica e funzionale del proprio corpo, e comunque non si può prescindere dal considerare in questo contesto anche il benessere spirituale della persona. Il centro dell’attenzione va posto sull’uomo sofferente. Diviene inoltre prioritario affrontare la minaccia della discriminazione nell’accesso ai servizi indispensabili per la difesa della salute stessa. Quest’ultimo aspetto si pone come una questione di giustizia e si gioca a due livelli: quello della giustizia commutativa, nel contesto di un rapporto medico-paziente ridotto a prestazione professionale meramente contrattuale, fondata sull’informazione più che su una reale comunicazione. C’è poi la questione della giustizia distributiva che prevede che a ciascuno venga dato quanto gli spetta. Questa deve essere guidata dal principio di sussidiarietà, dove il sussidio non deve divenire un surrogato pena l’impossibilità da parte dello Stato di farsi carico dei bisogni di tutti. Nell’allocazione delle risorse il rispetto della giustizia distributiva si gioca a tre livelli di responsabilità molto precisi: quello delle politiche sanitarie, quello della professione medica e quello gestione locale delle risorse e dei servizi. Il perseguimento del bene comune trova però un limite nella centralità e preziosità di ogni singola persona, sana o malata che sia, la cui dignità rappresenta un limite invalicabile, neppure nel nome della giustizia.
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Charrier, Guy. "Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Abstract:
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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"Diritto italiano: Penale." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 2 (July 2010): 215–28. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-002016.

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Abstract:
1. Ufficio di sorveglianza di Livorno 18.5.2009 - espulsione come misura di sicurezza e libertà vigilata - divieto sottoposizione dell'espellendo a pene o trattamenti inumani o degradanti ex art. 3 CEDU - divieto assoluto e inderogabile di espulsione2. Tribunale di Venezia 26.10.2009 - istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi - razzismo e discriminazione - nozioni - limiti all'esercizio alla libera manifestazione del pensiero
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Maria Ruotolo, Gianpaolo. "Diritto allo sport e nello sport nell’ordinamento internazionale tra tutela dei diritti fondamentali e perseguimento della pace: alcune considerazioni sulle misure sportive contro la Russia." Diritto Dello Sport 03, no. 01 (June 24, 2022). http://dx.doi.org/10.30682/disp0301a.

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Abstract:
Il lavoro indaga l’esistenza di un diritto fondamentale allo sport di rilevanza internazionalistica, cioè se e in quali termini l’ordinamento internazionale contempli norme che impongono agli Stati di garantire agli individui di praticare attività sportive, e le modalità attraverso le quali il diritto internazionale impatta sulla governance dello sport, specie con riguardo al divieto di discriminazione e alle azioni per il perseguimento della pace, con una particolare attenzione al recente caso delle misure adottate contro la Russia.
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Dissertations / Theses on the topic "Divieto di discriminazione"

1

Faiello, Maria Rosaria. "L'evoluzione del principio di non discriminazione nell'Unione Europea con particolare riferimento al divieto di discriminazione razziale." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2012. http://hdl.handle.net/10556/313.

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Abstract:
2010 - 2011
L’Europa ha conosciuto, nella seconda metà del XX secolo, importanti mutamenti nella composizione delle popolazioni dei suoi Stati a causa dei processi migratori legati alla ricerca di lavoro. Un’organizzazione politicamente unitaria come l’Unione europea non poteva trascurare di regolamentare questi flussi, né di considerarne le conseguenze, tra le quali, purtroppo, alcune si sono appalesate in un’accezione fortemente negativa, contrariamente alle aspettative dei Padri fondatori delle originarie Comunità europee. Tra i fattori che costituiscono un punto oscuro della raggiunta unità dell’Europa si colloca la mancata integrazione di elementi di diversità in contesti preesistenti, ossia gli episodi di discriminazione che, in maniera trasversale, si verificano in tutti i Paesi e in tutti i settori, dalla scuola al mondo del lavoro. Nel contesto di questo studio, si è concentrata l’attenzione su un aspetto particolare della discriminazione, ossia la discriminazione per motivi legati alla razza, che si presenta come un’anomalia in un progetto di integrazione e globalizzazione che dovrebbe privilegiare il solo merito, indipendentemente dalle origini, e soprattutto che dovrebbe porre al centro del sistema-Europa il rispetto dell’essere umano e dei suoi diritti. Proprio la prevenzione e la soluzione della violazione degli stessi diritti, dettata dal pregiudizio razziale, costituisce l’aspetto connotante un intero quadro normativo, definito “diritto antidiscriminatorio”, che mira a colpire e disincentivare comportamenti basati su singoli aspetti e, nello specifico caso della discriminazione razziale, su elementi legati alla provenienza o all’appartenenza ad un particolare ceppo etnico. Attraverso lo studio delle Direttive, delle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea e di particolari casi giurisprudenziali che più di altri hanno tracciato il percorso della lotta alla discriminazione razziale si è portato a compimento un lavoro di analisi che consente di mettere in risalto come tutte le istituzioni dell’Unione europea abbiano preso – gradualmente – coscienza di quanto la lotta verso le forme di discriminazione sia complessa e di come il divieto di discriminazione razziale, problema ancor più attuale oggi rispetto al passato, sia costantemente disatteso nonostante i “buoni propositi” e il grande dispendio di energie sia a livello europeo che internazionale. L’elaborato si compone di tre capitoli che, in maniera “graduale”, affrontano la tematica in oggetto, restituendo un quadro della situazione caratterizzato da un lato da una copiosa produzione di atti normativi, dall’altro dalla resistenza opposta dai singoli Stati al recepimento degli stessi. Il primo capitolo ha per oggetto il divieto di discriminazione nel diritto dell’Unione europea e l’analisi è condotta attraverso l’esplicazione di concetti fondamentali quali quello di discriminazione in tutte le sue accezioni e di “diritto antidiscriminatorio” come nuovo strumento per la tutela dei soggetti “deboli” e potenzialmente discriminabili. Attraverso l’inquadramento normativo del divieto di discriminazione e l’analisi delle Direttive-antidiscriminazione vengono isolati i fattori di discriminazione, il fenomeno delle discriminazioni multiple, i comportamenti vietati e le deroghe alla normativa. Fondamentale è l’analisi del principio di non discriminazione nelle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in quanto è proprio la sua giurisprudenza che rende “vivo” il cd. diritto antidiscriminatorio. La stessa Corte ha visto, infatti, un’evoluzione delle proprie posizioni passando da una iniziale fase di chiusura nei confronti di un proprio coinvolgimento in tema di tutela dei diritti umani ad una fase di apertura definita “protezionistica”, instaurando anche un dialogo aperto con la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Le strade delle due Corti, prima rigidamente distinte, hanno infatti iniziato a convergere sul piano della protezione dei diritti umani a partire dalla seconda metà degli anni ’80. A tal riguardo, il discorso trova un suo completamento nell’oggetto del secondo capitolo, ossia il divieto di discriminazione nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il capitolo prende le mosse da una questione molto dibattuta: l’adesione dell'Unione europea alla CEDU, nell’ottica di una rafforzata tutela dei diritti umani. Questo argomento si colloca in un processo di approfondimento che vede l’Unione europea impegnata a cercare mezzi sempre più efficaci ai fini della tutela e della difesa dei diritti umani, e la CEDU si presta, più di ogni altro strumento, ad assumere il ruolo di linea guida per la protezione degli stessi. Mentre tutti gli Stati dell’Unione fanno parte del Consiglio d’Europa, l’Unione come tale non partecipa al sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia le interferenze esistenti tra le responsabilità degli Stati rispetto agli obblighi derivanti dalla Convenzione europea e quelle derivanti dall’appartenenza all’Unione, portano a dire che già ora vi sono difficili, ma importanti elementi di integrazione tra il sistema dell’UE e quello della Convenzione. Come le Corti costituzionali e le Corti supreme degli Stati membri, la Corte UE interpreta ed applica la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nelle controversie che sono portate al suo esame. Come è stato rilevato in dottrina, sotto l’ala protettrice dell’uguaglianza si staglia l’immagine di un’Europa nuova, condivisa e coordinata dalla giurisprudenza delle due Corti. Sembra, ormai, sempre più chiara la tendenza delle più recenti pronunzie della Corte di Giustizia a considerare i contenuti della CEDU e le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come un ‘obbligatorio’ punto di riferimento nella definizione di casi che coinvolgano fundamental rights; al di sopra di tutto pare, d’altro canto, muoversi il principio di uguaglianza che emerge come strumento di integrazione non solo giurisprudenziale, ma anche politica in sede europea. La stessa dottrina rileva come la tutela dei diritti fondamentali, che sembra avvicinare le due Corti, trovi nella parità di trattamento il suo nodo centrale; tale convergenza, tuttavia, ha il proprio ubi consistam e, forse, al contempo, il proprio confine, in quello che potrebbe essere definito un “metaprincipio” del diritto europeo, il principio di uguaglianza, sovraordinato, incondizionato ed immediatamente applicabile. E, tuttavia, ad un esame più approfondito, il contatto fra le Corti può assumere una diversa e più ampia portata e, soprattutto, può superare il rischio di incorrere in quelli che sembrerebbero inevitabili contrasti qualora si muova lungo i binari di quel completo restatement dei diritti fondamentali provenienti dalle fonti più disparate che, nelle intenzioni dei compilatori, era destinato a diventare il first point of reference per tutti i soggetti coinvolti nella tutela dei diritti fondamentali nell’ambito del diritto dell’Unione Europea: la Carta di Nizza-Strasburgo. Al cuore non più solo della giurisprudenza della CEDU ma anche di quella della CGCE si trovano diritti legati alla tutela della persona che più di altri si prestano ad un dialogo serrato con i giudici nazionali e con i legislatori nazionali. Sembra che il principio di uguaglianza vada, via via, assumendo una forza dirompente, unificante, rispetto alle giurisprudenze nazionali e a quelle sovranazionali promananti dalle due Corti. Tuttavia tale processo di stabilizzazione richiede il compimento di un percorso di integrazione europea nel rispetto assoluto dei diritti fondamentali. Ed è in quest’ottica che assume forza aggregatrice la realizzazione del processo di adesione dell’Unione europea alla CEDU. Il lavoro prosegue con l’analisi della tutela prevista dall’art. 14 della CEDU, delle questioni legate al suo limitato ambito di operatività e del tentativo di ampliamento della stessa operato dal Protocollo n. 12. Nel sottolineare la portata dei diritti sanciti dalla CEDU, vengono infine presentati i casi di applicazione giurisprudenziale più rilevanti: dal caso Nachova c/ Bulgaria al caso S.H. e altri c. Austria. Il terzo capitolo, infine, entra nel vivo della questione, affrontando il tema del divieto di discriminazione su base razziale nell’ordinamento europeo ed internazionale. L’analisi non può prescindere dalla presentazione di quelli che sono gli sviluppi recenti del principio di non discriminazione razziale negli atti europei ed internazionali, in quanto proprio il continuo “divenire” di tale principio assicura una tutela ed un’attenzione costante su un tema così delicato ed importante. Particolare attenzione è dedicata alla Direttiva 2000/43/CE, grazie alla quale è possibile individuare i casi di discriminazione razziale diretta e indiretta, e alla Decisione-quadro 2008/913/GAI del Consiglio in tema di lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia che, seppur non recepita, rappresenta comunque un passo fondamentale nel processo di costruzione delle tutele in quanto pone una caratterizzazione di tipo penale, a differenza di quanto sino ad allora accaduto. I meccanismi di tutela dalla discriminazione e il principio di «integrazione orizzontale delle pari opportunità in tutti i settori di azione», ossia il mainstreaming, completano il quadro analitico. Infine, a completamento del percorso di indagine, è presentato il c.d. “caso Feryn”, che costituisce ad oggi la prima, se non esclusiva, interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia sulla Direttiva 2000/43/CE e, pertanto, si configura come una “pietra miliare” nel processo di interpretazione del divieto di discriminazione razziale. [a cura dell'autore]
X n.s.
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Zago, Maddalena <1989&gt. "Il divieto di discriminazione in Europa. La libertà religiosa e di credo." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/9077.

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Abstract:
Il presente elaborato sviluppa il tema del principio di non discriminazione in Europa, focalizzando l’attenzione sulla libertà religiosa e di credo. Il principio di non discriminazione rappresenta uno dei capisaldi dei diritti inviolabili della persona e si ritiene quindi fondamentale esporre in maniera sintetica l’evoluzione storica dei diritti fondamentali dell’uomo. In una prima parte della presente tesi, oltre a mettere in luce la definizione del principio di non discriminazione, vengono esaminate le fonti internazionali ed europee su questo tema e le possibili cause e forme. L’Unione Europea promuove la lotta contro qualsiasi forma di discriminazione: questo principio rappresenta uno dei valori fondamentali su cui si basa la società moderna e comune a tutti gli stati membri. L’elaborato tratta quindi le politiche che l’Unione Europea adotta in materia di non discriminazione. Particolare attenzione all’interno della relazione viene riservata allo studio della discriminazione basata su motivi religiosi o di credo e completata con l’analisi della casistica più recente su questo tema, anche con riguardo all'attuale “caso Burkini”.
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CASSANO, GIULIA. "IL MULTICULTURALISMO NEL RAPPORTO DI LAVORO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2022. http://hdl.handle.net/2434/925248.

Full text
Abstract:
The research conducted in this doctoral thesis aims to investigate the protection offered by labour law to multicultural workers. The problem is analysed from the angle of the prohibitions of discrimination. It first reconstructs the regulatory framework, at an international, European and Italian level, with particular reference to the analysis of the risk factors directly connected with the phenomenon of multiculturalism (ethnic origin, language, race, religion). It then goes on to study the structure of the prohibitions of discrimination, dwelling on the possible configurability of a right to equal treatment. Having affirmed the existence of such a right, its characteristics are analysed, also in the light of the traditional debates of interpreters and scholars of anti-discrimination law. Subsequently, the study focuses on the search for the limits – internal and external – of the right to equal treatment. With reference to the external limits, in particular, the discussion is articulated by reasoning on the basis of two different declinations of the right to equal treatment, for which the point of balance is sought with respect to other rights worthy of protection: the constitutionally protected rights of third parties and the right to freedom of enterprise under Article 41 of the Italian Constitution. With this in mind, a number of hypotheses are analysed that have been the focus of attention of anti-discrimination law scholars as well as national and supranational courts. In this context, the nature of the obligation of “reasonable accommodation”, provided for by law for discrimination on the grounds of disability, is also reconstructed, and its possible extension to all other hypotheses of discrimination is investigated by way of interpretation.
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Books on the topic "Divieto di discriminazione"

1

Figlia, Gabriele Carapezza. Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale. Napoli: Edizioni scientifiche italiane, 2013.

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Simone, Gisella De. Dai principi alle regole: Eguaglianza e divieti di discriminazione nella disciplina dei rapporti di lavoro. Torino: G. Giappichelli, 2001.

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