Academic literature on the topic 'Diritto statunitense'

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Journal articles on the topic "Diritto statunitense"

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Mittica, M. Paola. "Cosa accade di là dall’oceano? Diritto e letteratura in Europa." ANAMORPHOSIS - Revista Internacional de Direito e Literatura 1, no. 1 (May 20, 2015): 3. http://dx.doi.org/10.21119/anamps.11.3-36.

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Abstract:
Obiettivo di questo contributo è delineare il quadro attuale degli studi di “Diritto e letteratura” da intendersi come una metodologia che riflette sull’interdisciplinarietà come via necessaria per elaborare un’osservazione complessa dei fatti dell’uomo e delle sue relazioni. Ma può divenire anche un movimento nell’orizzonte dell’impegno civico e politico, qualora alla cultura dell’interdisciplinarietà si coniughi quella dell’alterità e della responsabilità. Nel riassumerne le linee essenziali, l’esperienza europea sarà messa a confronto con quella statunitense per evidenziare la necessità di un recupero critico dell’identità culturale europea, da cui muovere in modo più costruttivo e originale all’evoluzione della prospettiva. Con particolare riferimento alla “rinascita” italiana degli studi di Diritto e letteratura dell’ultimo ventennio, saranno poi delineate alcune distinzioni di campo, utili a individuare tra i diversi versanti di Law and Humanities quelli che segnano l’ambito specifico di Diritto e letteratura, per tracciare, infine, all’interno di quest’ultimo, alcune direttrici di ricerca condivisibili interdisciplinariamente.
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Mittica, M. Paola. "Cosa accade di là dall’oceano? Diritto e letteratura in Europa." ANAMORPHOSIS - Revista Internacional de Direito e Literatura 1, no. 1 (May 20, 2015): 3. http://dx.doi.org/10.21119/anamps.11.3-36/original_language.

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Abstract:
Obiettivo di questo contributo è delineare il quadro attuale degli studi di “Diritto e letteratura” da intendersi come una metodologia che riflette sull’interdisciplinarietà come via necessaria per elaborare un’osservazione complessa dei fatti dell’uomo e delle sue relazioni. Ma può divenire anche un movimento nell’orizzonte dell’impegno civico e politico, qualora alla cultura dell’interdisciplinarietà si coniughi quella dell’alterità e della responsabilità. Nel riassumerne le linee essenziali, l’esperienza europea sarà messa a confronto con quella statunitense per evidenziare la necessità di un recupero critico dell’identità culturale europea, da cui muovere in modo più costruttivo e originale all’evoluzione della prospettiva. Con particolare riferimento alla “rinascita” italiana degli studi di Diritto e letteratura dell’ultimo ventennio, saranno poi delineate alcune distinzioni di campo, utili a individuare tra i diversi versanti di Law and Humanities quelli che segnano l’ambito specifico di Diritto e letteratura, per tracciare, infine, all’interno di quest’ultimo, alcune direttrici di ricerca condivisibili interdisciplinariamente.
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Vercellone, Antonio. "Il <i>Community Land Trust</i> negli Stati Uniti e in Italia." marzo-aprile, no. 2 (April 7, 2022): 259–74. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.81.

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Abstract:
TesiIl contributo esamina l’esperienza statunitense del Community Land Trust, meccanismo di accesso all’abitazione e di governo delle aree urbane nato negli USA in via di prassi, attraverso il ricorso a strumenti di diritto privato per assolvere a bisogni tradizionalmente appannaggio del diritto pubblico, ricorrendo a una complessa tecnica di conformazione negoziale della proprietà. Valorizzando i vantaggi del modello, capace di impostare una redistribuzione della rendita fondiaria in favore dei singoli e della collettività, il saggio esamina quindi gli istituti ai quali si dovrebbe ricorrere per costruire, a diritto vigente, un Community Land Trust di diritto italiano. The author’s view This essay examines the American experience of Community Land Trusts, a mechanism of access to housing and governance of urban areas emerged from the bottom up in the United States, in order fulfil, through private law, needs and rights traditionally assigned to public law. The Community Land Trust does that relying on contract to shape property rights, this way enabling a complex system of socialization of land rent. Highlighting the advantages of this institution, the paper shows the technical tools we could rely on to build a Community Land Trust under Italian private law.
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Salvi, Giovanni. "Ridurre la popolazione carceraria č un dovere giuridico (leggendo Three Judges Court California, 8 aprile 2009)." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 5 (November 2009): 122–50. http://dx.doi.org/10.3280/qg2009-005009.

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Abstract:
- Il fatto non č di poco conto: all'esito di un lungo e complesso procedimento una Corte - e, dunque, un giudice- ha ordinato al governatore della California di ridurre di 40.000 unitŕ entro due anni la popolazione carceraria dello Stato, portando il sistema penitenziario al 137,5% della sua capacitŕ di progetto. La tentazione di stabilire parallelismi con la situazione italiana č forte, tanto piů che la decisione č stata emessa negli stessi giorni in cui la Corte europea dei diritti dell'uomo condannava l'Italia a risarcire un detenuto, per averlo privato dello spazio minimo, necessario per scontare la pena in condizioni dignitose. Le differenze di contesto sono tali e tante da sconsigliare un approccio di tal genere, ma vanno colte, invece, molte suggestioni sul ruolo della giurisdizione nel sistema statunitense (e non solo lě) e sulla rilevanza che in esso gioca la tutela dei diritti costituzionali.
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Pegoraro, Lucio. "Ruolo della dottrina, comparazione e “legal tourism¨"." Diálogos de saberes, no. 43 (June 30, 2017): 219–36. http://dx.doi.org/10.18041/0124-0021/dialogos.43.2015.2586.

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Abstract:
Muovendo dai risultati di un’ampia ricerca sull’uso della dottrina da parte delle corti di vertice (costituzionali e supreme), l’articolo denuncia i rischi generati dall’esportazione acritica delle soluzioni “nazionali” e dalla recezione delle stesse, non supportata da un’analisi del contesto in cui si calano. In particolare, si sofferma sulla prassi delle “relazioni nazionali” nei congressi e nell’accettazione supina dei loro risultati da parte di uditori non attrezzati con le categorie della comparazione. Segnala che la rinuncia alla comparazione (in particolare, la mancata considerazione per il milieu dell’ordinamento recettore) riverbera conseguenze anche sui formanti dinamici (legislazione e giurisprudenza). Evidenzia che, ciò nonostante, le corti citano spesso autori (come quelli statunitensi) che assegnano valenza universale a teorie “locali” o “regionali” del diritto costituzionale, contribuendo a un’uniformazione giuridica formale, che non sempre riesce a mascherare profonde fratture tra i formanti.
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Paris, Marie-Luce. "The President as Commander in Chief in a comparative constitutional perspective under French and US law." Military Law and the Law of War Review 59, no. 2 (January 19, 2022): 196–243. http://dx.doi.org/10.4337/mllwr.2021.02.03.

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Abstract:
The aim of this article is to conduct a comparative doctrinal analysis of the constitutional power of the President as Commander in Chief with reference to US law and French law. The comparative analysis will focus on the descriptive question of the scope of presidential war powers by exploring their normative implications in terms of the challenges they pose for democratic governance. It will be argued that while both constitutional systems have favoured the President as the pre-eminent decision-maker in military matters thereby reflecting an assumed normative choice of efficiency over accountability, the reality is more nuanced. The article proceeds in two stages. The first part critically analyses the constitutional foundations of the Commander in Chief Clause in both jurisdictions in light of doctrinal interpretations. The second part explains how institutional practice has shaped the exercise of the Commander in Chief power towards an undeniable, albeit problematic, presidential pre-eminence. The article concludes with comparative observations about the need to normalize certain aspects of the role, notably in keeping it under democratic checks. Cet article a pour but de procéder à une analyse doctrinale comparative du pouvoir constitutionnel du Président en sa qualité de Commandant en chef, en se référant aux droits américains et français. Cette analyse comparative se concentrera sur la question descriptive de l’étendue des pouvoirs de guerre présidentiels, en explorant leur implication normative en termes de défis qu’ils posent à la gouvernance démocratique. L’auteur avance que tandis que les deux systèmes constitutionnels ont favorisé le Président comme décideur prééminent dans les matières militaires, reflétant ainsi un choix normatif assumé d’efficacité plutôt que de responsabilité, la réalité est davantage nuancée. L’article se divise en deux parties. Dans la première partie, les fondements constitutionnels de la clause relative au commandant en chef dans les deux juridictions sont analysés de manière critique, à la lumière d’interprétations doctrinales. Dans la deuxième partie, il est expliqué comment la pratique institutionnelle a orienté l’exercice du pouvoir du Commandant en chef vers une prééminence présidentielle indéniable, bien que problématique. L’article se termine par des observations comparatives sur le besoin de normaliser certains aspects du rôle, notamment en continuant de le soumettre à des contrôles démocratiques. Dit artikel heeft tot doel een vergelijkende doctrinaire analyse te maken van de grondwettelijke macht van de president als opperbevelhebber onder verwijzing naar het Amerikaanse recht en het Franse recht. Deze vergelijkende analyse is gericht op de beschrijvende vraag van de reikwijdte van de presidentiële oorlogsbevoegdheden door in te gaan op de normatieve implicaties ervan op het vlak van de uitdagingen die zij stellen voor democratisch bestuur. De auteur betoogt dat, hoewel in beide grondwettelijke stelsels de voorkeur wordt gegeven aan de president als de beleidsmaker bij uitstek in militaire aangelegenheden, wat een afspiegeling is van een aanvaarde normatieve keuze van efficiëntie boven verantwoordingsplicht, de realiteit genuanceerder is. Het artikel bestaat uit twee delen. In het eerste deel worden de grondwettelijke grondslagen van de clausule betreffende de opperbevelhebber in beide rechtspraken kritisch geanalyseerd in het licht van doctrinaire interpretaties. In het tweede deel wordt uiteengezet hoe de uitoefening van de macht van de opperbevelhebber in de institutionele praktijk is geëvolueerd in de richting van een onmiskenbare, zij het problematische, presidentiële superioriteit. Het artikel sluit af met vergelijkende observaties over de noodzaak om bepaalde aspecten van de rol te normaliseren, met name door deze onder democratische controle te houden. Lo scopo di questo articolo è di condurre un’analisi dottrinale comparativa sui poteri costituzionali del Presidente come Comandante in Capo ai sensi del diritto statunitense e francese. L'analisi comparativa si concentrerà in modo descrittivo sull’ambito dei poteri di guerra presidenziali, esplorando le loro implicazioni normative in termini di sfide che pongono al governo democratico. Si argomenterà come, mentre entrambi i sistemi costituzionali hanno favorito il Presidente come decisore preminente in materia militare, riflettendo così una presunta scelta normativa di efficienza rispetto alla responsabilità, la realtà è più sfumata. L'articolo procede in due fasi. La prima parte analizza criticamente, in entrambe le giurisdizioni, i fondamenti costituzionali della Commander in Chief Clause, alla luce delle interpretazioni dottrinali. La seconda parte descrive come la pratica istituzionale abbia modellato l'esercizio del potere del Comandante in Capo verso un'innegabile, anche se problematica, preminenza presidenziale. L'articolo si conclude con osservazioni comparative sulla necessità di normalizzare alcuni aspetti del ruolo, in particolare nel mantenerlo sotto controllo democratico. El objeto del artículo es analizar comparativamente la doctrina sobre los poderes constitucionales del Presidente como Comandante en Jefe tanto en el Derecho estadounidense como francés. El análisis comparativo se centra en la cuestión descriptiva del alcance de los poderes de guerra presidenciales mediante el examen de sus implicaciones normativas en términos de los desafíos que plantean para la gobernabilidad democrática. Se argumenta que si bien ambos sistemas constitucionales han favorecido al presidente como el principal tomador de decisiones en asuntos militares, reflejando así una elección normativa asumida de eficiencia sobre responsabilidad, la realidad es sin embargo más compleja. El artículo consiste en dos partes. La primera parte analiza críticamente los fundamentos constitucionales de la Cláusula de Comandante en Jefe en ambas jurisdicciones a la luz de interpretaciones doctrinales. La segunda parte explica cómo la práctica institucional ha moldeado el ejercicio del poder del Comandante en Jefe hacia una preeminencia presidencial innegable, aunque problemática. El artículo concluye con observaciones comparativas sobre la necesidad de normalizar ciertos aspectos de la función, en particular para mantenerlo bajo control democrático. Ziel dieses Artikels ist es, eine vergleichende doktrinäre Analyse der konstitutionellen Macht des Präsidenten als Oberfehlshaber, unter Bezug auf französisches und US-Recht, vorzunehmen. Diese vergleichende Analyse konzentriert sich auf die deskriptive Frage der Tragweite der Präsidialkriegsgewalt, indem ihre normativen Konsequenzen in Bezug auf die Herausforderungen für die demokratische Staatsführung geprüft werden. Dabei wird behauptet, dass, obwohl beide konstitutionellen Systeme den Präsidenten als wichtigsten Entscheidungsträger in Militärangelegenheiten bevorzugt haben, was eine allgemein akzeptierte normative Wahl für Effizienz vor Rechenschaftspflicht widerspiegelt, die Wirklichkeit nuancierter ist. Der Artikel ist in zwei Teilen aufgeteilt. Der erste Teil analysiert auf kritische Weise die konstitutionellen Grundlagen der Oberbefehlshaberklausel in den beiden Rechtsprechungen im Licht doktrinärer Interpretationen. Im zweiten Teil wird erklärt, wie die institutionelle Praxis die Ausübung der Oberbefehlshabergewalt zu einer unleugbaren – wenn auch problematischen – präsidialen Vorrangstellung gestaltet hat. Der Artikel beschließt mit vergleichenden Bemerkungen zur Notwendigkeit, gewisse Aspekte der Rolle zu normalisieren, insbesondere indem sie demokratischen Kontrollen unterworfen wird.
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Vacca, Michael Arthur. "A reexamination of conscience protections in healthcare." Medicina e Morale 62, no. 6 (December 30, 2013). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2013.78.

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Abstract:
Rispondendo ad un articolo di Lisa Harris, pubblicato su New England Journal of Medicine 2012; 367: 981-983, il presente contributo riesamina la coscienza da un punto di vista giuridico. Si analizza l’obiezione di coscienza nel contesto della legge federale statunitense sulla tutela della libertà religiosa e si spiega perché coloro che obiettano moralmente di eseguire aborti hanno il legittimo diritto all’obiezione di coscienza. Al contrario, si argomenta che gli abortisti non hanno diritto di eseguire aborti per ragioni di “coscienza”, perché il concetto giuridico di coscienza preclude l’intrusione nei diritti di altri, e nel caso dell’aborto, l’abortista va ad intromettersi nel diritto alla vita di un innocente, un essere umano non ancora nato. Il concetto giuridico di “coscienza” non può ignorare o respingere la conclusione scientifica ed empiricamente verificabile che la vita di un essere umano inizia al momento della fecondazione. Inoltre, è tracciata una distinzione tra diritti negativi e positivi nel contesto della legge federale statunitense, che rende ancor più insostenibile l’uso della “coscienza” come giustificazione per eseguire aborti. L’enfasi dell’articolo è sulla realtà oggettiva e i limiti della coscienza come concetto giuridico, affermando che, mentre la coscienza procede da un soggetto umano, non è pertanto arbitraria e quindi inutilizzabile come concetto giuridico. Riconoscendo i diversi approcci e le implicazioni derivanti dal concetto di coscienza, l’articolo mira semplicemente a difendere la coscienza come un concetto giuridico praticabile, radicato nella legge federale degli Stati Uniti e nella ragione umana. In questo modo, si prefigge di promuovere l’autentica libertà della persona umana a vivere secondo i dettami della propria coscienza. ---------- Responding to Dr. Lisa Harris’ article in the September 13, 2012 issue of the New England Journal of Medicine, this article reexamines conscience from a legal perspective. It analyzes conscientious objection in the context of U.S. federal law protecting religious freedom and explains why those who morally object to performing abortions have a legitimate right to conscientious objection. In contrast, the argument is made that abortionists have no such right to perform abortions for reasons of “conscience” because the legal concept of conscience precludes intruding upon the rights to others, and in the case of abortion, the abortionist is intruding upon the right to life of an innocent, unborn human being. The legal concept of “conscience” cannot ignore or dismiss the scientific and empirically verifiable conclusion that a human being comes into existence at the moment of fertilization. Furthermore, a distinction is drawn between negative and positive rights in the context of U.S. federal law which renders the use of “conscience” as a justification for performing abortions all the more untenable. The emphasis of the article is on the objective reality and limits of conscience as a legal concept, affirming that, while conscience proceeds from a human subject, it is not, therefore, arbitrary and thus unworkable as a legal concept. Recognizing the various approaches to and implications ensuing from the concept of conscience, the article simply aims to defend conscience as a workable legal concept rooted in U.S. federal law and human reason. In this way, it seeks to advance the authentic freedom of the human person to live in accordance with the dictates of his/her conscience.
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Persano, Fabio. "Evoluzione della giurisprudenza costituzionale statunitense in materia d’aborto (I)." Medicina e Morale 60, no. 4 (August 30, 2011). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2011.161.

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Abstract:
Negli Stati Uniti il dibattito sull’aborto è un tema sempre molto caldo. Questo saggio, diviso in due parti (la seconda parte sarà pubblicata sul prossimo numero della rivista) prova a ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale statunitense in materia d’aborto, evidenziando i cambiamenti che ciascuna decisione ha apportato al quadro giuridico precedente. In questa prima parte viene chiarito anzitutto il meccanismo di funzionamento del sistema di giustizia costituzionale statunitense e il ruolo della Corte Suprema Americana nell’ordinamento giudiziario. Viene poi dato spazio ai prodromi di Roe v. Wade (che è la prima sentenza importante in materia d’aborto), ed in particolare alle sentenze che hanno pronunciato il diritto all’uso degli anticoncezionali: fra queste Griswold v. Connecticut ed Eisenstadt v. Baird. È anche importante la decisione United States v. Vuitch del 1971, che già si occupa dell’aborto ed interpreta la Costituzione nel senso di una tendenza alla liberalizzazione. La sentenza più importante è comunque la ben nota Roe v. Wade (1973), cui è dedicata un’ampia trattazione, con particolare attenzione ai passaggi della motivazione della Suprema Corte che hanno portato ad affermare il diritto all’aborto nella scansione trimestrale che poi è stata imitata anche dal legislatore italiano. Nel presente saggio vengono avanzate dure critiche a Roe v. Wade, critiche condivise – oltretutto – da alcuni giudici della Corte Suprema Americana, di cui si riportano stralci dell’opinione dissenziente. Accanto a Roe v. Wade, è molto importante anche la meno nota sentenza Doe v. Bolton dello stesso giorno, che precisò cosa dovesse intendersi per “salute della donna”: tale fattore era stato ritenuto da Roe v. Wade decisivo ai fini del riconoscimento della libertà di abortire. Con Doe v. Bolton la salute della donna viene estesa fino a ricomprendere praticamente qualsiasi cosa. Questa prima parte si conclude con l’analisi di alcune decisioni successive a Roe e Doe, ed in particolare Webster v. Reproductive Health Services, che costituisce in parte già un passo in controtendenza rispetto a Roe. Nel prossimo numero della rivista vedremo quali ulteriori cambiamenti ci sono stati nella giurisprudenza costituzionale statunitense in materia d’aborto. ---------- Abortion debate is always a hot subject in the United States. This essay, divided into two parts (the second part is going to be published on the next issue of this review) tries to go along the development of U.S. constitutional case-law about abortion, pointing out the change that each judgement caused to the previous law picture. In this first part, the functioning of U.S. constitutional judicial system and the role of U.S. Supreme Court in its judiciary are primarily explained. Then, some space is given to the premonitory signs of Roe v. Wade (that is the first important judgement about abortion), and to the judgement in particular that delivered the right to contraception: Griswold v. Connecticut and Eisenstadt v. Baird. Also United States v. Vuitch in 1971 is important: this judgement is already about abortion and interprets the Constitution in the trend of permission. However, the most important judgement is Roe v. Wade (1973): a wide treatment is dedicated to it, particularly to the passages about the Supreme Court reasoning that affirmed abortion right in the trimestral sharing, imitated by the italian legislator too. In this essay there are hard blames to Roe v. Wade: moreover, a few Supreme Court judges agree with blames and extracts of dissenting opinion are reported. Next to Roe v. Wade, also the less-known judgement Doe v. Bolton is very important: it is contemporary to Roe and it stated precisely what was “woman health”: this element was considered decisive by Roe in order to recognize the abortion right. In Doe v. Bolton woman health was enlarged and took in almost everything. This first part ends up with the analysis of a few following Roe and Doe judgements; in particular Webster v. Reproductive Health Services is a partial coming back as to Roe. In the next issue we will see the further subsequent changes in U.S. constitutional case-law about abortion.
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Persano, Fabio. "Evoluzione della giurisprudenza costituzionale statunitense in materia d’aborto (II)." Medicina e Morale 60, no. 5 (October 30, 2011). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2011.157.

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Abstract:
Negli Stati Uniti il dibattito sull’aborto è sempre un tema molto caldo. Questo saggio, diviso in due parti (la prima parte è stata pubblicata sul precedente numero della rivista) prova a ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale statunitense in materia d’aborto, evidenziando i cambiamenti che ciascuna decisione ha apportato al quadro giuridico precedente. In questa seconda parte, la dissertazione sui singoli casi giurisprudenziali decisi dalla Suprema Corte prosegue con il caso Planned Parenthood v. Casey. Esso è stato una vera occasione mancata nella storia dell’aborto negli Stati Uniti, perchè venne sfiorata la overrule di Roe v. Wade. Ciononostante, venne sostanzialmente confermato l’impianto delle decisioni precedenti, in considerazione del fatto che una decisione contraria all’aborto avrebbe spiazzato un popolo che per decenni aveva organizzato la propria vita in funzione anche della possibilità di abortire. Con questa decisione si distinse la gravidanza in due periodi: quello della pre-viabilità, in cui la donna era completamente libera di abortire in accordo col medico; quello della post-viabilità, in cui gli Stati avrebbero potuto legiferare, pur dovendo consentire l’aborto nel caso di pericolo per la vita o la salute della madre. Inoltre il diritto d’aborto venne radicato nella libertà riconosciuta nel XIV Emendamento della Costituzione. Nel successivo caso Stenberg v. Carhart fu oggetto di giudizio l’aborto a nascita parziale: una legge del Nebraska aveva bandito questa pratica, ma la legge fu annullata dalla Corte Suprema, nonostante il duro dissenso di ben quattro giudici, fra cui Anthony Kennedy. Successivamente a questa decisione, il Congresso prese l’iniziativa di emanare il Partial Birth Abortion Ban Act. Questa legge fu impugnata in via d’azione davanti alla Corte Suprema e ne scaturì la sentenza Gonzalez v. Carhart. In questa decisione la Corte fece un passo indietro rispetto a Stenberg, affermò la legittimità del bando, sostenne che l’aborto a nascita parziale non è mai necessario per tutelare la vita della donna e che Stenberg era fondato su convinzioni erronee sul punto. Il saggio si conclude con delle interessanti considerazioni in merito ai possibili sviluppi futuri circa il tema dell’aborto negli Stati Uniti, auspica la “liberalizzazione del diritto alla vita” ed avanza una originale proposta, valida per tutti i Paesi in cui l’aborto è legalizzato. ---------- Abortion debate is always a hot subject in the United States. This essay, divided into two parts (the first part has been published on the previous issue of this review) tries to go along the development of U.S. constitutional caselaw about abortion, pointing out the change that each judgement caused to the previous law framework. In this second part, the dissertation about U.S. Supreme Court single case-law goes on by Planned Parenthood v. Casey. It was a real missed occasion in the abortion affair in the United States, because it was on the verge of overruling Roe v. Wade. However, the framework of the previous cases was substantially confirmed, considering that a decision against abortion would place out people who for a long time organized their own life in connection to the right of abortion. By this judgement, pregnancy was divided into two periods: pre-viability, when woman was completely free to have an abortion in agreement with her doctor; post-viability, when States could restrict abortion, except for woman life or health risks. Moreover, abortion right was founded on liberty, acknowledged by XIV Amendement. In the following case Gonzalez v. Carhart, partial-birth abortion was judged: a statute of Nebraska banned this activity, but it was stroked down by Supreme Court, despite of the dissenting opinion of four judges (Anthony Kennedy was one of them). After this judgement, the Congress wanted to issue Partial Birth Abortion Ban Act. This statute was pre-enforcement challenged to the Supreme Court, and Gonzalez v. Carhart was poured. In this judgment, the Court drew back Stenberg, it stated the ban was legitimate, partial-birth abortion never is necessary to safeguard woman health, and Stenberg was founded on wrong beliefs on this matter. This essay concludes with interesting considerations about possible developments about abortion affair in the United States, wishes “liberty of right to life” and proposes a solution for all the countries where abortion is legal.
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Dissertations / Theses on the topic "Diritto statunitense"

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MARIANI, MARIA SIMONA. "Lo spoils system: un confronto tra sistema italiano e sistema statunitense." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2014. http://hdl.handle.net/2108/202693.

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Accardo, Fabiana <1991&gt. "Sistemi reputazionali e responsabilità civile : un'analisi comparata delle esperienze italiana e statunitense." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/17822.

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Abstract:
Il frammentato panorama dell’economia dell’informazione è ad oggi contraddistinto dall'emersione di peculiari fenomeni nello scenario della Rete. Uno di questi è costituito dai sistemi reputazionali. Si tratta di strumenti elaborati al fine di ridurre i fallimenti di mercato derivanti dalle situazioni di asimmetria informativa e predisposti ex ante allo scopo preordinato di stabilire la credibilità del singolo. I sistemi reputazionali sono stati definiti come «strutture informative che aggregano e diffondono dati relativi alla reputazione individuale entro un certo contesto di riferimento, con la funzione di offrire indicazioni utili alla conclusione degli affari e favorire la creazione di fiducia nel mercato». È evidente che essi siano forieri di molteplici problematiche e che in misura sempre più rilevante informino il contesto giuridico. A tal proposito, innumerevoli sono le controversie recentemente sorte sul contenuto di questi sistemi: recensioni e feedback online stanno causando degli effetti distorsivi rispetto allo scopo della loro originaria elaborazione. In questo contesto è l’apporto giurisprudenziale a fornire i primi risultati tangibili sul tema, ma il pieno sviluppo degli orientamenti sulla responsabilità eventualmente ascritta alle piattaforme che elaborano i sistemi di reputazione è tuttora ostacolato dalle lacune normative sul punto. Da ciò ne deriva la difficoltà di fornire un chiaro indirizzo sulle modalità utilizzate per affrontare il dilagante fenomeno delle recensioni false ed ingannevoli, le cui conseguenze lesive sono pregiudizievoli sia nei confronti di operatori economici presenti sulla Rete che dei consumatori, spesso fuorviati nel loro consenso contrattuale. Occorre allora valutare se, allo stato dell’arte, sia possibile intravedere delle proposte di regolazione o se i sistemi di reputazione siano lasciati alle incontrollabili logiche di mercato dei grandi “colossi” dell’informazione.
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MERONI, VALENTINA. "Il diritto al confronto nel sistema processuale statunitense e influenze sul processo penale italiano." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2018. http://hdl.handle.net/10281/199207.

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Abstract:
Il diritto al confronto con il teste d'accusa come elemento fondante del sistema processuale angloamericano è stato posto alla base di importanti riforme del codice di rito. Tuttavia, il sistema di procedura penale italiano è fondato su principi costituzionali ostativi alla piena omologazione delle due tipologie di accertamento penale.
The right of the accused to confront with the witness against him is a milestone of the American adversarial trial. Even though it has inspired important reformations of the Italian criminal procedure code, the latter is based on a different set of constitutional principles. These fundamental differences prevent the Italian criminal trial from embracing the American confrontation's model to the fullest.
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Miotto, Linda. "Interesse sociale e finanziatori insider: l'esperienza statunitense sui conflitti e le prospettive del diritto italiano." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426600.

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Abstract:
The research aims at studying the corporate interest in the framework of the new financing techniques provided by the reform of company law in order to implement the investors’ mentoring and monitorig activities in the start up as well as in the corporate reorganization process. Part I provides a comparative and historical overview of the two basic models that have long competed in corporate law scholarship about the nature and the purpose of a corporation: institutionalism and contractualism. The claim is to underline that these two paradigms, which seem pointed in opposite directions because ultimately rested on strongly conflicting political visions of the appropriate foundations of corporate law, in another perspective, and specifically in the context of contemporary corporate law, are to be reconciled at least because the depth of the disagreement is not understandable in the light of the existing complex set of the firm’s contractual relationships. The shareholder primacy conception – which holds that a corporation is owned by its stockholders and that managers have a duty to maximize stockholder wealth - is unsatisfactory as a descriptive matter, in particular because to disregard the claims of nonshareholder constituencies is inconsistent with the positive role that creditors can play in the corporate governance. Under this approach, the analysis of the complexity of capital structure in relation to control rights becomes a central framework to inquiry. Part II sets out underlying that the contracts between the various corporate financial claimants and the corporation are inevitably incomplete because of the high transaction costs of fully specifying state-contingent agreements that would cover all possible circumstances. The hybrid securities are placed in this context as one of the legal structures introduced to promote economic efficiency. The debate over nonshareholder protection, with special regard to the question if fiduciary duties run also to bondholders and preferred shareholders, demonstrates, first, that while the bond indenture is an imperfect instrument, fiduciary duty is not a panacea, second, that much of the basis for distinctions between stockholder and bondholder remedies is outdated. Commentators posit that corporations should maximize value for shareholders alone mainly for an instrumental claim, that is because shareholders, as residual claimants, have the greatest incentive to maximize the value of the society as a whole. However, the diversification of the financial instruments leads to redefine the relation between ownership and control besides the notion of “residual claimant”, and supports the idea that, also the corporate interest, as like as the corporate control, is subject to negotiation. This conclusion, in turn, induce to treat the bondholders with voting rights as controlling the corporation and, thereby, to examine the broad issue of creditors’ responsibility so that the bond contract serves as the font of all rights and duties. In so doing, Part III attempts to shed some light, on the one hand, upon the implications of the power to influence or control corporate decisionmaking on the lender liability and, on the other hand, upon the opportunity to refer to bondholders the rules recently enacted in the field of s.r.l. In spite of nonshareholders rarely find it in their interest to contract with shareholders to vary the shareholder-primacy default rule and to play an active role in corporate governance, however, in certain contexts such as insolvency, circumstances can change so it is important to find in the liability (and in the confidence in the efficacy of judicial intervention) a balance between the renewed faith in the institution of contract and the opportunity to take into consideration also the creditors called “outsiders”. The dominant model in today's scholarship suggests that voluntary debt adjustments by enterprises in financial distress systematically disadvantage dispersed bondholders, that have a little bargaining power and are subject to debtor or institutional investors strategic behavior. The “liability lever”, nonetheless, could dissuade banks from investing in hybrid securities. On account of this, Part IV focuses on the bankruptcy law reform to evaluate the profitability of the new financing techniques in financial distress. In particular, the attention is paid to the choice between the two restructuring regimes (bankruptcy and out-of-court restructuring) and its impact on the governance system. Impeding financial distress as often as not means to avoid responsibility; at the same time using covenants to contractually secure various control rights typically assigned to equity holders creditors are enabled to address the restructuring perspective. In this perspective, the economic efficiency of the "half-way" instruments between shares and debentures is enhanced by the intersection of multiple mechanisms, including private restructuring, the market for corporate control, management incentives, creditor activism, and a host of others. An understanding of the unique dynamics of bankruptcy and non bankruptcy legislation has become essential to understand the fundamentals of corporate governance and its balance with relation to the behavior of the corporate interest in front of the borrowing claims.
Le pagine che seguono intendono offrire una rilettura dell’interesse sociale alla luce degli strumenti con i quali le più recenti riforme legislative hanno voluto consentire il coinvolgimento dei finanziatori nel governo della società dalla fase di start up a quella di crisi. Il primo capitolo opera una ricostruzione storica e comparata della contrapposizione tra le due scuole di pensiero che tradizionalmente si misurano sulla nozione di società e di interesse sociale: istituzionalismo e contrattualismo. L’intento è fare emergere come questi due moduli interpretativi, sebbene appaiano destinati ad una divergenza insuperabile perché radicata in ultima analisi su approcci politici profondamente configgenti sui fondamenti stessi del diritto societario, in un’altra prospettiva e specificamente nel contesto dell’assetto normativo attuale, necessitano viceversa d’essere conciliati in un quadro unitario. Ciò quantomeno perché le ragioni tradizionalmente addotte a fondamento del divario interpretativo hanno per la più parte perso aderenza al dato normativo dopo che questo è stato ridisegnato dalla riforma componendo in una diversa pluralità di forme le relazioni contrattuali inerenti alla società. La teoria della primazia dei soci – la quale ravvisa nella società una proprietà degli azionisti e nella massimizzazione della ricchezza di questi ultimi l’interesse in funzione del quale la società deve essere amministrata - non è soddisfacente sul piano descrittivo, in particolare perché negando ogni considerazione alle istanze dei non soci si mostra incoerente con il ruolo attivo che il legislatore ha consentito ai creditori nella stessa corporate governance. L’osservazione di questo nuovo elemento sposta dunque il baricentro dell’indagine sulla relazione tra la complessità della struttura finanziaria della società e la titolarità di diritti di controllo sulla stessa. La relativa analisi è condotta nel capitolo secondo, che muove dalla considerazione per cui i contratti tra i vari finanziatori e la società soffrono di un’incompletezza resa inevitabile dagli alti costi di transazione associati alla pretesa di disciplinare in sede negoziale ogni possibile evenienza. Gli strumenti ibridi di partecipazione trovano collocazione in questo contesto in quanto meccanismo legale innovativo di promozione dell’efficienza economica connessa alle istanze di competitività nell’accesso al finanziamento della piccola o media impresa. Un’efficienza, questa auspicata, da valutarsi soprattutto con riguardo al dibattito sul fondamento legale o contrattuale delle tutele da riconoscere agli investitori non azionisti, la ricostruzione del quale dimostra anzitutto che né il contratto di finanziamento né la tutela giudiziale successiva possono considerarsi strumenti perfetti, e in secondo luogo che il contesto normativo riformato impone di porre in discussione molti dei presupposti sui quali è tracciata la distinzione in punto di tutela tra azionisti e non azionisti. Rileva in tal senso l’argomento dottrinale secondo il quale le società dovrebbero massimizzare il valore per i soli azionisti perché così facendo – in considerazione delle pretese residuali di cui tale categoria è referente – otterrebbe di massimizzare il valore per l’intero ente. Ebbene, tale assunto è oggi posto in discussione dalla diversificazione degli strumenti di finanziamento, che sollecita a ridefinire la relazione tra proprietà e controllo nonché la nozione stessa di “residual claimant”, e supporta l’idea che anche l’interesse sociale, così come il controllo sociale, si presti ad essere determinato in via negoziale. Questa conclusione, a sua volta, induce a valutare la posizione dei finanziatori con poteri di voice in termini di controllo sulla società e, di conseguenza, ad esaminare l’ampio tema della responsabilità dei creditori nella prospettiva che il contratto di finanziamento sia veicolo non solo di diritti ma anche di oneri di condotta. Così procedendo, il terzo capitolo si prefigge di fare luce, anzitutto, sulle implicazioni che l’attribuzione ai finanziatori del potere di influenzare o controllare il processo decisionale della società esercita in tema di responsabilità e, sotto un secondo profilo, sull’opportunità di riferire ai portatori di strumenti partecipativi la disciplina recentemente dettata in seno al corpo normativo delle s.r.l. con riguardo alla responsabilità patrimoniale e gestionale dei soci. Premesso che raramente è da ritenere che i finanziatori istituzionali possano trovare conforme ai loro interessi alterare in sede contrattuale il principio residuale di primazia degli azionisti per svolgere in luogo di questi ultimi un ruolo attivo nella governance della società, ciononostante non è da escludere che in determinati contesti – e in specie in quello di crisi - le valutazioni di convenienza possano essere diverse. Potrebbe quindi essere rilevante trovare nella responsabilità (e nell’efficacia dell’intervento giudiziale) un bilanciamento tra la rinnovata fiducia nell’autonomia contrattuale e l’opportunità di prendere in considerazione anche i creditori privi di capacità di conseguire in sede di negoziazione un livello idoneo di tutela (cd. finanziatori “outsider”): ciò soprattutto in quanto il modello dominante in dottrina evidenzia che le politiche di debito assunte dalle società in stato di crisi svantaggiano sistematicamente la massa non organizzata dei creditori, che si trovano pertanto esposti a comportamenti strategici del debitore o degli investitori istituzionali. D’altro canto proprio la leva della responsabilità potrebbe dissuadere le banche dall’investire negli strumenti ibridi di finanziamento, così vanificando l’innovazione legislativa e con essa gli intenti di garantire maggiore competitività al nostro ordinamento. In considerazione di questi diversi elementi, il quarto capitolo si volge allo studio della recente riforma fallimentare, per valutare la profittabilità delle nuove tecniche finanziarie nella fase di crisi. In particolare, l’attenzione è riposta sulle soluzioni concordate alla crisi dell’impresa e sul relativo impatto sul sistema di governance. Per un verso emerge come evitare la procedura fallimentare nel più dei casi significhi sottrarsi dall’essere convenuti in azioni di responsabilità; per altro verso si delinea come ricorrendo a clausole contrattuali attributive di diritti di controllo i creditori ottengano di indirizzare non solo le politiche di investimento ma anche quelle di risanamento delle società finanziate, e con ciò dunque di poter contenere il rischio dell’attivarsi delle responsabilità da eterogestione. Se si considera come l’opzione per le soluzioni pre-fallimentari possa avvantaggiare l’intera massa dei creditori, si è indotti a ritenere che l’efficienza economica degli ibridi finanziari trovi realizzazione solo nell’intersezione di molteplici prospettive, legate alla privatizzazione dell’insolvenza, al mercato del controllo delle società, al coinvolgimento dei creditori negli assetti di governo delle società finanziate. La comprensione unitaria di tali dinamiche, legate al contempo alla solvenza e all’insolvenza, si pone quindi come momento essenziale per l’interpretazione degli equilibri di governance in relazione al complesso atteggiarsi dell’interesse sociale in relazione alle istanze di finanziamento.
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BONFANTI, SILVIA. "L'arbitrato nelle controversie di lavoro: analisi comparata dei modelli nazionale e statunitense." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/222180.

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Abstract:
Il legislatore, negli ultimi anni, ha operato diverse modifiche in materia di arbitrato; tuttavia, le iniziative atte a promuovere i sistemi alternativi di soluzione delle controversie, come strumenti per deflazionare la giustizia statuale e ottimizzare in tal modo l’efficienza del sistema giudiziario, non hanno ottenuto risultati incoraggianti. Nell’ordinamento nazionale si nota, infatti, una chiara prevalenza degli strumenti di composizione giudiziale delle controversie, condotti dal giudice, alla quale si contrappone un’apparente assenza di ADR. Negli Stati Uniti è chiara l’idea che “arbitration is a creature of contract, and the parties themselves, by their submission, define the power of arbitrators”; questo trova sostegno nel fatto che se l’accesso al sistema giudiziario è troppo costoso e insoddisfacente, chi è in grado di scegliere tenderà a sottrarsi al processo, sottoscrivendo clausole compromissorie o compromessi. La soluzione adottata dall’ordinamento statunitense prevede un “multi-door Courthouse”, dove il cittadino può scegliere la strada di risoluzione della lite più consona alle proprie esigenze. La situazione italiana è molto più problematica; certamente la frammentarietà delle disposizioni legislative ha creato una generale sfiducia nei confronti degli strumenti di risoluzione alternativa della lite, a partire dall’arbitrato sino ad arrivare alle ipotesi di mediazione. Le cause più profonde all’origine di tale atteggiamento negativo sono da ricercare innanzitutto nella diversità culturale dei due sistemi. La formazione giuridica dell’ordinamento italiano, civil law, riconosce la realizzazione dei diritti nella sentenza che decide la controversia e vede il ricorso al giudice solo in questa prospettiva. Occorre una trasformazione culturale per provare a concepire la risoluzione delle controversie in un’ottica diversa da quella tradizionale. Tuttavia, se si vuole che lo strumento alternativo contribuisca a realizzare una nuova cultura giuridica, occorre che ogni aspetto delle procedure di ADR avvenga nel contraddittorio tra le parti e nel rispetto dei fondamentali principi di giustizia. Le garanzie che queste forme alternative di soluzione della lite offrono dovrebbero essere le stesse che il processo ordinario garantisce alle parti, così da poter affermare che al diritto ad un equo processo corrisponde il diritto ad un “equo arbitrato”. In particolare, due sembrano essere le garanzie che, anche nel sistema americano, assumono un forte rilievo: esse sono quella del contraddittorio e quella dell’imparzialità dell’arbitro. Le ADR, nello specifico l’arbitrato, non rappresentano sicuramente la panacea per tutti i mali della giustizia italiana; costituiscono, però un passo verso la giusta direzione che potrebbe condurre ad una vera e propria riforma del sistema processuale nazionale. Il presente lavoro si prefigge, pertanto, l’obiettivo di affrontare lo studio dell’arbitrato nell’ordinamento nazionale e statunitense, focalizzando l’attenzione, nel primo capitolo, sull’evoluzione giuridica dell’istituto; si vedrà, come in passato, il ricorso all’arbitrato in materia di lavoro è sempre stato piuttosto teorico, in quanto, come ricordava Gino Giugni “intorno al sindacato si era formata, negli anni precedenti alla riforma (del processo del lavoro), una grande lobby forense, che ha sempre avversato l’arbitrato”. La sostanziale inutilizzazione dell’istituto è derivata essenzialmente, oltre che dal monopolio sindacale dei casi nei quali poteva espletarsi, anche dalla facoltà delle parti di rivolgersi in ogni caso al giudice e, soprattutto, dall’impugnabilità giudiziale del lodo per violazione delle disposizioni inderogabili di legge e di contratti collettivi (previsione questa, dettata dapprima dall’art. 5, co. 2 e 3, della l. 533 del 1973 e, dopo la sua abrogazione ad opera dell’art. 43, co. 7, d.lgs. 80/1988, dai contratti collettivi). La rivitalizzazione dell’istituto ha inizio con l’eliminazione del monopolio sindacale attraverso la previsione legale di varie forme arbitrali e della limitazione dell’impugnabilità del lodo ai soli casi di cui all’art. 808-ter cod. proc. civ. (che esclude la possibilità di denunziare al giudice la violazione delle regole legali e collettive relative al merito della controversia). Nel secondo capitolo, verranno trattate le principali tematiche e criticità del modello risolutivo nazionale, con particolare attenzione alle novità connesse alla clausola compromissoria, all’ipotesi di arbitrato obbligatorio ed alle problematiche correlate alla facoltà consentita alle parti di scegliere l’equità, come criterio di giudizio. Si vedrà, infatti, che alla luce delle modifiche introdotte dal Collegato Lavoro, in relazione alle materie di cui all’articolo 409 cod. proc. civ., le parti contrattuali (ove previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, o, in assenza di essi, secondo quanto attuato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto) possono pattuire clausole compromissorie di cui all’articolo 808 cod. proc. civ., che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato, di cui agli articoli 412 e 412-quater. Non mancherà l’analisi delle critiche, anche veementi, sollevate da parte della dottrina circa i dubbi di legittimità costituzionale delle nuove disposizioni (in relazione alle varie norme che tutelano il lavoro in modo inderogabile, artt. 3, 4, 41, 97 Cost., ed altre), risultando evidente il tentativo di comprimere lo spazio di esercizio della giurisdizione e di dirottare la tutela di quei diritti verso forme di giustizia privata, ignorando il disequilibrio, quanto a poteri giuridici e mezzi economici, tra datore di lavoro e lavoratore. La stessa Associazione nazionale magistrati, il 5 marzo 2010, espresse forti perplessità, ritenendo “preoccupante” l’intento che traspare dalla legge 183 del 2010 di mortificare il ruolo del giudice del lavoro. A sua volta l’Organismo unitario dell’avvocatura osservò che, con il provvedimento in esame, si confonde la necessità di rendere i tempi della giustizia più celeri con la riduzione degli spazi di tutela del cittadino. Alcuni commentatori si concentrarono anche sul tema dell’utilità effettiva dell’istituto, osservando che “l’arbitrato, nelle varie forme, dovrebbe “deflazionare” il ricorso al giudice del lavoro sul quale, è bene ricordarlo, gravano, in forte misura, le c.d. “cause previdenziali”, non toccate dalla attuale riforma. La materia dei licenziamenti resta fuori dalla procedura arbitrale che può riguardare soltanto altri aspetti del rapporto di lavoro. Tutto questo, seppur apprezzabile nello spirito, necessita della volontà delle parti: se questa non c’è (e ne è una dimostrazione l’art. 5 della legge n. 108/1990 che prevede, dopo il mancato accordo, la possibilità, di chiedere per il licenziamento nelle imprese sottodimensionate alle quindici unità, la costituzione di un collegio arbitrale), non c’è niente da fare. Diverso è, invece, il discorso relativo ai collegi arbitrali irrituali, ex art. 7 della legge n. 300/1970, che, in questi quaranta anni, hanno trovato piena agibilità presso le parti ed hanno contribuito a risolvere, in maniera equa e veloce, una serie di vertenze di natura disciplinare”. In quest’ultimo caso, però il successo dell’istituto si ricollega alla peculiarità delle regole procedurali che stabiliscono la sospensione dell’efficacia della sanzione disciplinare o la sua definitiva inefficacia, in relazione al comportamento ostativo alla procedura arbitrale del datore di lavoro. Si esaminerà, anche il dibattito dottrinale relativo all’istituto legale della nuova clausola compromissoria, a fronte dei rilievi pervenuti, come noto, dal Presidente della Repubblica, che aveva rinviato al Parlamento il disegno di legge, censurando, nello specifico, la disciplina dell’arbitrato e della clausola compromissoria. Tali rilievi mantengono la loro immutata attualità anche all’esito delle limitate modifiche governative successivamente apportate al provvedimento (quali il divieto di sottoscrizione della clausola compromissoria prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto dal contratto, o prima del decorso di trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, l’esclusione della possibilità che la clausola compromissoria riguardi le controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro); “la introduzione nell’ordinamento di strumenti idonei a prevenire l’insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalità di definizione può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto, ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i principi della volontarietà dell’arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole, (...) principi costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale” in relazione “al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione)”. Ci si focalizzerà, poi, sugli ulteriori motivi di perplessità rinvenuti nell’analisi della novella del 2010, che riguardano la possibilità che la clausola compromissoria possa comprendere anche la richiesta di decidere secondo equità (anche se oggi, all’esito delle modifiche al disegno di legge originario, il ricorso all’equità è consentito nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, inclusi quelli derivanti da obblighi comunitari). Nel terzo ed ultimo capitolo si affronterà lo studio dell’arbitrato americano, riprendendo alcuni temi comuni all’arbitrato italiano, quali, a titolo esemplificativo, la nascita dell’employment arbitration che si lega alla sorte delle organizzazioni sindacali americane e dell’istituto del labor arbitration. Verrà, altresì, trattata la problematica relativa all’arbitrato obbligatorio ed alla vincolatività della clausola compromissoria con particolare attenzione a quanto fu stabilito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Gilmer. Nel prosieguo del capitolo verranno, poi, esaminate le problematiche relative alla complessità ed allo spazio attribuito al controllo giurisdizionale dei lodi arbitrali ed ai motivi di impugnazione previsti dal Federal Arbitration Act (FAA). Si evidenzierà quanto, nell’ordinamento americano, sia preferibile l’utilizzo di meccanismi di risoluzione delle controversie, perché più rapidi, concreti e meno costosi, rispetto alle procedure giudiziali. Lo studio, quindi, proverà a dimostrare che l’esigenza di una maggiore flessibilità rappresenta un’idea riformatrice certamente percorribile, la cui realizzazione, però non potrà essere affidata in modo prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie. Verranno, altresì, confermate le evidenti difficoltà di trasposizione dei rimedi americani nell’ordinamento italiano, a causa della frammentarietà della normativa italiana, della differente cultura giuridica, ma soprattutto dell’insuperabile diffidenza sviluppatasi nei confronti dell’uso “di strumenti alternativi” al processo.
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Piermartini, Gabriele <1966&gt. "La prova penale nelle indagini difensive. Analisi comparata degli strumenti processuali concessi alla difesa nei sistemi italiano e statunitense." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/7220/1/PIERMARTINI_GABRIELE_TESI.pdf.

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Abstract:
L’elaborato si occupa di fare il punto in materia di indagini difensive a tre lustri dall’entrata in vigore della legge n. 397/2000, epilogo di un lungo processo evolutivo che ha visto da un lato, una gestazione faticosa e travagliata, dall’altro, un prodotto normativo accolto dagli operatori in un contesto di scetticismo generale. In un panorama normativo e giurisprudenziale in continua evoluzione, i paradigmi dettati dagli artt. 24 e 111 della Costituzione, in tema di diritto alla difesa e di formazione della prova penale secondo il principio del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, richiedono che il sistema giustizia offra sia all’indagato che all’imputato sufficienti strumenti difensivi. Tenuto conto delle diversità che caratterizzano naturalmente i ruoli dell’accusa e della difesa che impongono asimmetrie genetiche inevitabili, l’obiettivo della ricerca consiste nella disamina degli strumenti idonei a garantire il diritto alla prova della difesa in ogni stato e grado del procedimento, nel tentativo di realizzare compiutamente il principio di parità accusa - difesa nel processo penale. La ricerca si dipana attraverso tre direttrici: l’analisi dello statuto sulle investigazioni difensive nella sua evoluzione storica sino ai giorni nostri, lo studio della prova penale nel sistema americano e, infine, in alcune considerazioni finali espresse in chiave comparatistica. Le suggestioni proposte sono caratterizzate da un denominatore comune, ovvero dal presupposto che per contraddire è necessario conoscere e che solo per tale via sia possibile, finalmente, riconoscere il diritto di difendersi indagando.
The paper is concerned with making the point in defensive investigations fifteen years after the entry into force of Law no. 397/2000, the epilogue of a long evolutionary process that has seen the one hand, a laborious and troubled gestation, on the other hand, a regulatory product welcomed by operators in the context of a general skepticism. In an evolving regulatory landscape, the paradigms dictated by Articles. 24 and 111 of the Constitution, concerning the right to defense and training of criminal evidence according to the adversarial principle between the parties on an equal footing, requiring that the justice system has support for both the suspect that the accused sufficient defensive tools. Given the diversity across the course of the prosecution and defense roles that present genetic and inevitable asymmetries, the aim of the research is the examination of the instruments that guarantee the right to evidence of the defense in any stage of the proceedings, in an attempt to fully realize the equal's principle between accused and defense in criminal trials. The research unfolds through three areas: the analysis of the Statute on the defensive investigations in its historical evolution to the present day, the study of criminal evidence in the American system and, finally, in some final thoughts expressed in a comparative key. The suggestions offered are characterized by a common denominator, that for contradicting you need to know and that only in this way it is possible, finally, to recognize the right to defend themselves investigating.
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Piermartini, Gabriele <1966&gt. "La prova penale nelle indagini difensive. Analisi comparata degli strumenti processuali concessi alla difesa nei sistemi italiano e statunitense." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/7220/.

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Abstract:
L’elaborato si occupa di fare il punto in materia di indagini difensive a tre lustri dall’entrata in vigore della legge n. 397/2000, epilogo di un lungo processo evolutivo che ha visto da un lato, una gestazione faticosa e travagliata, dall’altro, un prodotto normativo accolto dagli operatori in un contesto di scetticismo generale. In un panorama normativo e giurisprudenziale in continua evoluzione, i paradigmi dettati dagli artt. 24 e 111 della Costituzione, in tema di diritto alla difesa e di formazione della prova penale secondo il principio del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, richiedono che il sistema giustizia offra sia all’indagato che all’imputato sufficienti strumenti difensivi. Tenuto conto delle diversità che caratterizzano naturalmente i ruoli dell’accusa e della difesa che impongono asimmetrie genetiche inevitabili, l’obiettivo della ricerca consiste nella disamina degli strumenti idonei a garantire il diritto alla prova della difesa in ogni stato e grado del procedimento, nel tentativo di realizzare compiutamente il principio di parità accusa - difesa nel processo penale. La ricerca si dipana attraverso tre direttrici: l’analisi dello statuto sulle investigazioni difensive nella sua evoluzione storica sino ai giorni nostri, lo studio della prova penale nel sistema americano e, infine, in alcune considerazioni finali espresse in chiave comparatistica. Le suggestioni proposte sono caratterizzate da un denominatore comune, ovvero dal presupposto che per contraddire è necessario conoscere e che solo per tale via sia possibile, finalmente, riconoscere il diritto di difendersi indagando.
The paper is concerned with making the point in defensive investigations fifteen years after the entry into force of Law no. 397/2000, the epilogue of a long evolutionary process that has seen the one hand, a laborious and troubled gestation, on the other hand, a regulatory product welcomed by operators in the context of a general skepticism. In an evolving regulatory landscape, the paradigms dictated by Articles. 24 and 111 of the Constitution, concerning the right to defense and training of criminal evidence according to the adversarial principle between the parties on an equal footing, requiring that the justice system has support for both the suspect that the accused sufficient defensive tools. Given the diversity across the course of the prosecution and defense roles that present genetic and inevitable asymmetries, the aim of the research is the examination of the instruments that guarantee the right to evidence of the defense in any stage of the proceedings, in an attempt to fully realize the equal's principle between accused and defense in criminal trials. The research unfolds through three areas: the analysis of the Statute on the defensive investigations in its historical evolution to the present day, the study of criminal evidence in the American system and, finally, in some final thoughts expressed in a comparative key. The suggestions offered are characterized by a common denominator, that for contradicting you need to know and that only in this way it is possible, finally, to recognize the right to defend themselves investigating.
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Libralato, Alessandro <1995&gt. "Confronto fra la disciplina europea e la disciplina statunitense in materia di pubblicità comparativa ed analisi dell'interferenza con la disciplina del marchio." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/20301.

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Abstract:
L’obiettivo del presente lavoro è di illustrare il fenomeno della pubblicità comparativa, confrontare la disciplina europea ed americana in materia ed analizzarne l’interferenza con le rispettive discipline del marchio. Nel primo capitolo è stata analizzata in generale la pubblicità comparativa. Nel secondo capitolo sono state analizzate nello specifico la disciplina statunitense e la disciplina europea in materia di pubblicità comparativa. In merito alla prima disciplina è stata analizzata la prima legge in materia, l'attuale quadro normativo, i vari organi di controllo, gli strumenti di tutela preposti ed i “case law”. Per quanto concerne il contesto europeo è stata illustrata l’evoluzione della disciplina europea in materia di pubblicità comparativa fino ad arrivare all'attuale quadro normativo. Infine, sono state evidenziate le differenze e le similarità fra le due discipline in analisi. Nel capitolo terzo è stata analizzata l’interferenza fra le due discipline in materia di pubblicità comparativa e le rispettive discipline del marchio. In seguito sono state evidenziate le differenze fra le disposizioni statunitensi e quelle europee in merito all’utilizzo del marchio all’interno di una pubblicità comparativa. Al quarto capitolo viene fornita una dimostrazione pratica di come pubblicità comparative lecite ai sensi delle due discipline in analisi creata per l’impresa Tecnozoo s. r. l.
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TORLASCO, FRANCESCA. "Violenza sessuale: prassi applicative e prospettive di riforma anche alla luce dell'esperienza statunitense." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2020. http://hdl.handle.net/10281/262947.

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Abstract:
A ventuno anni dalla riforma che ha riguardato i reati sessuali è opportuno chiedersi se la normativa vigente, sostanzialmente da allora rimasta immutata, sia tuttora (e se lo sia mai stata) efficace a contrastare il fenomeno della violenza sessuale nelle sue forme di manifestazione. Seppur si avverta la necessità di un cambiamento (ne è espressione anche l’approvazione della recente legge 69/2019), tuttavia non si è ancora posto mente ad una rivisitazione complessiva della disciplina. La legge n. 69 del 19 luglio 2019, nota come “Codice Rosso”, infatti, pur contenendo rilevanti modifiche in tema di reati contro la persona, sia sotto il profilo sostanziale che processuale, non impatta sulla struttura base del reato di violenza sessuale. Sollecitazioni in merito ad un mutamento della disciplina provengono anche dalla giurisprudenza di merito. Ciò è quanto emerge dall’indagine empirica condotta su procedimenti penali, con imputazione ex art. 609 bis c.p., definiti dal Tribunale di Milano nell’arco del triennio 2015 – 2017. L’analisi dei casi giurisprudenziali permette di cogliere come gli interpreti, già da tempo, si spingano a letture evolutive del dato teorico, con argomentazioni capaci di offrire nuove prospettive applicative delle fattispecie incriminatrici dei reati sessuali. Riforme in materia sono state peraltro adottate in vari Paesi stranieri. La rilevanza di uno studio comparato si traduce nella possibilità, che il raffronto tra differenti sistemi giuridici offre, di individuare quali profili della normativa di altri ordinamenti siano maggiormente apprezzabili e quali, invece, più criticabili. Il comune denominatore delle riforme succedutesi negli ordinamenti di civil law diversi dal nostro e nei principali sistemi di common law si rinviene nella necessità di realizzare una tutela più pregnante contro i reati sessuali, condividendo principi ispiratori incentrati sull’importanza di valorizzare la libertà di autodeterminazione della persona nella sfera della propria sessualità e di costruire fattispecie di reato incentrate sul requisito della mancanza del consenso della vittima. Significative le modifiche apportate alla disciplina dei reati sessuali in Germania, Spagna e Svezia. Nell’area del common law spiccano l’ordinamento giuridico inglese, nonché quello statunitense. Proprio con riferimento a quest’ultimo, spinte riformistiche negli Stati Uniti d’America si sono diffuse già dalla metà degli anni ‘60 e sono proseguite fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, anni in cui le rilevazioni statistiche relative al reato di violenza carnale hanno registrato picchi allarmanti tanto da far parlare di “rape epidemic”. Già si insisteva sulla necessità di abbandonare il requisito della resistance come elemento necessario per la sussistenza del reato e sull’opportunità di individuare parametri univoci da cui inferire il non consenso della vittima. In tale ottica, di assoluto rilievo è la modifica compiuta dallo Stato della California, che ha emanato il 28 settembre 2014 una legge dal titolo “Yes means Yes” secondo cui è richiesto “an affirmative consent standard in the determination of wether consent was given by both parties to sexual activity”. Definita dalle testate giornalistiche come “la nuova legge anti-stupro”, è una misura approvata per arginare la piaga delle violenze sessuali commesse nei campus universitari: il silenzio o la mancanza di resistenza da parte della vittima non sono sufficienti a integrare il consenso al rapporto sessuale. L’attenzione posta dall’ordinamento californiano sulla valorizzazione della mancanza del consenso della persona offesa offre spunti di riflessione in un’ottica di riforma del diritto interno in materia di violenza sessuale.
Generally, sexual assault is defined as an unwanted sexual contact. In the Italian penal code the regulation of sexual crimes is the result of a reform that is now twenty years old. The aim of the work is to focus on the controversial issues related to this topic. In particular, the author believes that a new reform is needed. For example, it could be appropriate to diversify the criminal behaviors, by distinguishing sexual harassment from sexual abuse and rape. Then, it could be interesting ad useful to focus on the lack of consent of the victim, in order to punish these kind of crimes. From this point of view it’s really important to make a comparison with the U. S. system. In the U.S.A. a relevant issue concerning the way criminal laws punish sexual assaults is linked to the debate if it should be better focused on the defendant’s use of force or violence, or on the victim’s lack of consent (in this case, it’s important to define which is the best consent standard to use). Some legislations require proof of both: either lack of consent or force by itself isn’t enough to constitute the crime. An interesting food for thought might be found by considering the way in which some U.S. legislations deal with the problem. On September 28, 2014 the State of California, with the goal of addressing the phenomenon of sexual assaults campus colleges, adopted the “Yes means Yes” bill, to amend Section 67386 of the Education code, relating to student safety. This law requires colleges and universities in California to adopt specific policies regarding sexual assault, including the introduction of a new affirmative consent standard in the determination of whether consent was given by a complainant. The law requires colleges and universities to adopt these policies in order to receive state funds for student financial assistance. This new legislation was followed - on July 7, 2015 - by another similar one, adopted in the State of New York, titled “Enough is Enough”, which requires all colleges to adopt a set of comprehensive procedures and guidelines, including a uniform definition of affirmative consent. Affirmative consent is a relatively new concept in the law. In effect, it requires a university student accused of sexual misconduct to establish that the accuser affirmatively consented to the sexual contact. These changes in California and New York do not alter the criminal definition of sexual assault, which continues to require the state to prove the lack of consent. However, the laws also require colleges to create and implement methods for educating students about affirmative consent. Such educational programs likely include clear and frank discussions about sex and about sexual dignity and autonomy. Therefore, it is important to understand whether this new standard could be a significant step towards reforming criminal rape laws and creating a more sensible, compassionate view of sex in society generally.
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PLANCHENSTAINER, FRANCESCO. "La gestione delle crisi e delle emergenze alimentari: un'analisi comparativa multilivello del quadro giuridico europeo e statunitense." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2014. http://hdl.handle.net/10280/2472.

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Abstract:
La presente tesi analizza la gestione delle crisi e delle emergenze alimentari negli USA e nell’UE addottando il triplice punto di vista delle autorita’ pubbliche, industria, consumatori). Le crisi e le emergenze provocate da incidenti di sicurezza alimentare sono eventi ad alto impatto sia in termini umani che economici. Crisi e emergenze sono il prodotto sia della crescente complessita’ della catena alimentare sia anche della crescente incertezza scientifica delle societa’ postmoderne. La tesi intende dimostrare che le crisi alimentri sono sempre piu’ a crocevia fra igiene pubblica, salute animale e sicurezza alimentare. Il primo capitolo descrive le piu’ importanti crisi alimentari degli ultimi vent’anni: gli eventi sono analizzati comparativamente al fine di evidenziare i tratti salienti in comune. Il secondo capitolo affronta il ruolo ricoperto dalle le istituzioni pubbliche, l’industria e i consumatori in caso di incidenti di sicurezza alimentare. Il capitolo considera i diversi punti di vista dei soggetti coinvolti mettendo in luce gli interessi in gioco e il comportamento di industria e consumatori in relazione al rischio alimentare. Il quarto capitolo rappresenta il cuore dell’intera tesi analizzando in maniera comparativa il sistema giuridico statunitense ed europeo. Nelle conclusioni sono offerte possibili soluzioni per fare fronte alle problematiche analizzate.
This dissertation analyses the management of food safety emergencies and crises in the US and the EU adopting a threefold perspective (i.e., public authorities, industry, consumers). Food safety emergencies and crises are highly burdensome events that may leave behind high fatalities tolls and severe economic consequences. Crises and emergencies are the outcome of both the increasing complexity of the food chain and the growing scientific uncertainty that modern societies are called to face. While it is impracticable to eradicate these events, countries may build prevention and preparedness in advance. This work attempts to capture an original way the role covered by different stakeholder in crises preparedness and response. The dissertation also aims to demonstrate that food safety crises are increasingly at the intersection between Public Health, animal health and food safety. The first chapter provides a case history of the most relevant food safety crises in the last two decades. From the BSE scandal that hit Europe in 1996 to the most recent E.coli outbreak in Germany of 2011, the events are analyzed in a comparative way as to point out the essential features of food safety crises. The second chapter canvasses the role played by public authorities, industry and consumer in food safety incidents. In the attempt to define crises and emergencies, a review of most important theories from organizational literature is provided, with an emphasis on the importance of scientific uncertainty. The chapter deals with stakeholders’ different perspectives outlining the interest at stake and describing at the same time stakeholders’ behavior vis-à-vis food related risks. The fourth chapter represents the core of the dissertation analyzing the legal framework of the US and the EU. The dissertation considers not only food safety provisions but also Public Health provisions describing rights and duties of the subjects involves in these events. The chapter focuses also on the problem of information at the intersection with different aspirations (e.g., the right to know and confidentiality). The dissertation ends with some concluding remarks suggesting possible solution to solve the mentioned shortcomings.
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Books on the topic "Diritto statunitense"

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Picone, Luca G. La reorganization nel diritto fallimentare statunitense. Milano: A. Giuffrè, 1993.

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Pascuzzi, Giovanni. I diritti sulle opere digitali: Copyright statunitense e diritto d'autore italiano. Padova: CEDAM, 2002.

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3

Gandolfi, Maria Letizia Ruffini. Mass media e tutela dell'identità personale: Il problema nel diritto statunitense. Milano: Dott. A. Giuffrè, 1987.

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4

Bernini, Anna Maria. Profili della comunicazione nel diritto comparato: Ordinamento statunitense e ordinamento italiano. Padova: CEDAM, 2001.

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Torre, Valeria. La «privatizzazione» delle fonti di diritto penale. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg266.

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Abstract:
Il declino della legislazione di fonte statuale e la progressiva espansione della tendenza alla cosiddetta autonormazione hanno determinato un fenomeno per effetto del quale la disciplina di ampi settori delle attività sociali non è più rimessa all’originaria competenza statale, ma è, invece, affidata a quelli che sono i suoi più diretti destinatari, sì da dar luogo ad una sostanziale autodisciplina dei loro rapporti. Tali procedure di autoregolamentazione urtano, sul terreno del diritto penale, con il principio-cardine di questo ramo dell’ordinamento giuridico, che è rappresentato dal principio di [ii]riserva di legge . L’Autrice ritiene che questo contrasto possa essere superato in forza delle garanzie di democraticità interna che quelle procedure di autonormazione e di co-legislazione assicurano; e che, d’altra parte, le statuizioni, che ne sono il prodotto, paiono garantire un grado di effettività ben maggiore di quello associabile a quelle promananti da una legislazione statuale (che si vuole) esposta ad un alto grado di ineffettività. La materia sulla quale viene vagliata la tenuta complessiva di questi assunti è la disciplina penale della sicurezza sul lavoro. Si intraprende, in tal senso, un’ampia e articolata indagine comparata, che ha ad oggetto i paesi di common law e in particolare i modelli offerti dall’esperienza inglese e statunitense. Questa documentata disamina vale a confortare l’assunto per cui il ricorso all’autodisciplina, in sede di normazione avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro nelle imprese, lungi dal condurre a riedizioni occulte del liberismo, garantisce il rispetto di tutti gli interessi in gioco; ciò in specie se e nella misura in cui alla stessa autodisciplina si abbina un sistema di controlli pubblici efficienti.
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Tassinari, Davide. Nemo tenetur se detegere. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg263.

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Abstract:
Il tema dei profili sostanziali del nemo tenetur se detegere è stato di rado analizzato dalla letteratura penalistica italiana, che se ne è occupata in pochi – ma assai pregevoli – studi. La possibile valenza del principio quale causa di non punibilità, operante al di fuori dell’angusto ambito segnato dall’art. 384 c.p., è stata, a seconda dei diversi punti di vista, tout court esclusa, ovvero ricondotta all’ambito dell’antigiuridicità penale, ovvero ancora al discusso contesto della inesigibilità. La problematica viene affrontata attraverso un’analisi del principio, estesa ai suoi profili storici e filosofici, nei sistemi di common law, ove esso è stato per la prima volta affermato ed ha altresì trovato un espresso riconoscimento nel quinto Emendamento della Costituzione statunitense. Lo studio di diritto comparato assume un ruolo centrale per la ricostruzione della struttura e dei contenuti del se detegere anche nell’ordinamento italiano. In particolare, il principio si rivela connotato da una duplice valenza, oggettiva e soggettiva, al contempo valore dell’ordinamento e prerogativa individuale, e perciò interagisce con i diversi livelli della struttura del reato: tipicità, antigiuridicità e colpevolezza. Nell’ambito dell’antigiuridicità, il suo modus operandi viene ricostruito mediante un’innovativa analisi dei problemi (di fatto lasciati irrisolti dal dibattito dottrinale del nostro Paese) del bilanciamento di interessi e del concorso di persone nel reato; nel contesto della colpevolezza, per contro, emergono i profili umanistici del se detegere, ed esso non viene in considerazione quale diritto, ma assume una fisionomia ribelle e anarchica, dominata dall’impulso del reo alla ricerca dell’impunità.
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Bologna, Chiara. Stato federale e «national interest». Le istanze unitarie nell'esperienza statunitense. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg253.

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Abstract:
Le crescenti richieste di maggior autonomia da parte degli enti territoriali, stimolate dal processo di globalizzazione dell'economia e dalla crisi fiscale dello stato sociale, non fanno venir meno la necessità di interventi delle istituzioni nazionali che preservino l'unità giuridica e la coesione sociale dello stato. L'esperienza del regionalismo italiano è sotto questo profilo emblematica: il venir meno, con la riforma costituzionale del 2001, della clausola dell'interesse nazionale, non ha fatto venir meno l'esigenza di tutelare le istanze unitarie, richiedendo, come ha sottolineato la Corte costituzionale in più occasioni, «una deroga alla normale ripartizione di competenze». Può essere allora interessante cercare di capire come tale deroga sia avvenuta in un ordinamento, come quello statunitense, che si confronta da più di due secoli con la ripartizione verticale del potere e che sembra oggi, con la presidenza di Barack Obama, avviarsi ad una nuova stagione di vigorosi interventi nazionali. L'osservazione di un sistema come quello statunitense, propriamente federale, è ancor più utile in presenza di un innegabile avvicinamento tra il modello dello stato federale e quello dello stato regionale. Con quali meccanismi, allora, la federazione statunitense ha superato i limiti che il catalogo dei poteri enumerati in Costituzione sembrava assegnarle? Con quali strumenti è intervenuta, ad esempio, per garantire diritti civili e sociali?
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