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1

Trevisanut, Seline. "Immigrazione clandestina via mare e cooperazione fra Italia e Libia dal punto di vista del diritto del mare." DIRITTI UMANI E DIRITTO INTERNAZIONALE, no. 3 (December 2009): 609–20. http://dx.doi.org/10.3280/dudi2009-003009.

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Abstract:
- Since May 2009, Italian naval units have been carrying out redirection programmes of unlawful migrant vessels on the high seas and in the Libyan territorial waters. These patrols are performed jointly with Libyan authorities and in accordance with the Treaty of Friendship, Partnership and Cooperation concluded between the two countries in August 2008. These programmes shall be subjected to a legal analysis focussing on in ternational obligations, in particular on the programmes' legal basis and their respect of international standards for rescue operations at sea. The law of the sea provides the fundamental principle of the safety of human life at sea and the duty of States to render assistance. This duty to render assistance is not confined to the actual rescue operation at sea but extends to determining the place of safety where the rescued people can disembark. In light of this analysis and recent international practice, the redirection of intercepted migrants vessels to the Libyan coasts as place of safety may well be criticised.
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2

Vassallo, Paleologo Fulvio. "Il caso Cap Anamur. Assolto l'intervento umanitario." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 2 (July 2010): 87–102. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-002005.

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Abstract:
Sommario:1. Un caso internazionale montato dai fautori della politica dei respingimenti2. Un processo al soccorso umanitario3. Il soccorso umanitario non č reato4. I principi di diritto internazionale del mare sono vincolanti5. Il caso del processo ai pescatori tunisini. La giustizia č uguale per tutti?6. Le nuove pratiche di respingimento collettivo tra media e processi
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3

Pozo Serrano, Pilar. "SCOVAZZI, Tullio: Elementi di Diritto lnternazionale del mare, Giuffrè Editore, Milán, 3ª edición, 2002, 272 págs." Anuario Español de Derecho Internacional 18 (August 16, 2018): 574–75. http://dx.doi.org/10.15581/010.18.29002.

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4

Denaro, Chiara. "I rifugiati siriani sulle rotte via mare verso la Grecia. Riflessioni sul transito e sullo svuotamento del diritto d'asilo." MONDI MIGRANTI, no. 1 (May 2016): 97–119. http://dx.doi.org/10.3280/mm2016-001006.

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5

Tarantino, Antonio. "Sul fondamento dei diritti del nascituro: alcune considerazioni bioetico-giuridiche (TI)." Medicina e Morale 44, no. 6 (December 31, 1995): 1209–48. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1995.959.

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Abstract:
L'articolo (che nella sua prima parte è stato pubblicato su "Medicina e Morale" 1995,5:951-984) analizza quale etica sia confacente alla definizione dello statuto biologico dell'embrione. Dopo aver illustrato criticamente le varie posizioni filosofiche al riguardo, l'Autore ritiene decisivo per la riflessione il riconoscimento del rapporto fra ordine biologico ed ordine etico. Tale legame risponde all'esigenza di trovare dei punti fermi naturali ai quali ancorare il ragionamento e le norme che disciplinano la vita individuale e l'ordine civile in materia di tutela del diritto alla vita. Si tratta cioè di affermare che l'ordine insito nella natura umana può costituire il punto di orientamento della condotta della persona. Lo studio prosegue argomentando a favore della titolarità, da parte dell'embrione, di diritti essenziali rispetto alla madre, primo fra tutti quello alla vita, a partire dalla fecondazione. Il nascituro, quindi, va tutelato giuridicamente come persona umana. Dopo avere esaminato, alla luce di quanto precedentemente affermato, se esista un diritto della donna all'aborto volontario - arrivando ad una conclusione negativa - l'articolo si conclude auspicando che gli organi competenti nei vari Stati emanino una "Dichiarazione dei diritti del nascituro", nel rispetto di quanto affermato all'art. 3 della Dichia razione Universale dei Diritti dell'Uomo: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona".
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Corleto, Michele. "Il salvataggio di vite umane in mare: ipotesi (sconfessate) di responsabilità penale per l'attività delle ONG alla luce del diritto internazionale, nazionale e dell'Unione europea." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 2 (February 2020): 203–19. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2019-002010.

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7

Giliberto, Andrea. "Diritto del mare, giurisdizione penale e «autorìa mediata»: una recente pronuncia della Corte di cassazione in tema di traffico di migranti conferma le soluzioni proposte dalla Direzione Nazionale Antimafia." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 3 (April 2015): 135–53. http://dx.doi.org/10.3280/diri2014-003009.

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8

Long, Joëlle. "Il contributo della Corte europea dei diritti umani alla definizione dei presupposti per l'adottabilità del minorenne: luci e ombre." MINORIGIUSTIZIA, no. 1 (January 2023): 30–40. http://dx.doi.org/10.3280/mg2022-001003.

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Abstract:
L'analisi della copiosa giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani sui presupposti per l'adottabilità del minorenne mostra frequenti condanne dell'Italia per rotture infondate e frettolose dei rapporti giuridici e di fatto con la famiglia di origine. Alcune delle censure formulate nei confronti del nostro Paese stigmatizzano cattive prassi e inefficienze gravi del sistema amministrativo e giudiziario. Si pensi, per esempio, a violazioni di diritti processuali dei genitori e, dal punto di vista sostanziale, alla carenza di sufficienti azioni positive da parte dei servizi sociali per rimuovere lo svantaggio sociale derivante dalla situazione di vulnerabilità del genitore (spesso una madre single migrante). Purtuttavia, la Corte europea sembra aver distorto il contenuto dell'obbligazione positiva dello Stato di attivarsi per la tutela della vita familiare degli individui in una logica adultocentrica che enfatizza il legame di sangue e i diritti genitoriali. Negli anni, infatti, i giudici di Strasburgo hanno dato una lettura sempre più restrittiva dei presupposti per una rottura completa e definitiva dei rapporti con la famiglia di origine. Il rischio è di limitare l'uso dell'adozione piena ai soli casi di maltrattamenti genitoriali penalmente rilevanti e di escluderne a priori l'utilizzo per negligenza e rischio psicoevolutivo. Con l'aumento delle adozioni in casi particolari, inoltre, aumenteranno le situazioni ambigue in cui la famiglia di origine è stata valutata inidonea a crescere il figlio, ma ha comunque il diritto di continuare a giocare un ruolo nella vita di questi.
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Knoll, Barbara. "Il diritto al parto in anonimato." Milan Law Review 3, no. 1 (September 28, 2022): 93–115. http://dx.doi.org/10.54103/milanlawreview/18740.

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Abstract:
Il lavoro esamina i conflitti che possono nascere tra il diritto a conoscere le proprie origini e il diritto della madre di partorire in anonimato e descrive l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale sulla questione. Dopo un’attenta analisi dello status di filiazione e della sua evoluzione nell’ordinamento giuridico italiano ci si sofferma sulle diverse modalità di accertamento dello stato di figlio sia all’interno del matrimonio che al di fuori di esso. Si pone poi l’attenzione sull’istituto del parto in anonimato, la sua ratio e le sue origini. In questo ambito si menziona l’istituto post medievale della cosiddetta “ruota degli esposti”, come quello delle moderne “culle per la vita”. In chiusura si esamina il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, come interpretato dalla più recente giurisprudenza sia nazionale che sovranazionale, anche a seguito della nota sentenza Godelli della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Si ha anche modo di affrontare la questione della reversibilità o meno del segreto della madre sulla propria identità dopo il suo decesso e in caso di sua incapacità di intendere e di volere, come anche quella della possibilità data al figlio di effettuare il cosiddetto “interpello” al fine di un’eventuale revoca da parte della madre della sua dichiarazione di non voler essere nominata.
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Montanari Vergallo, Gianluca, and Natale Mario Di Luca. "La spinta verso una legislazione europea comune sul diritto di conoscere le proprie origini genetiche / The push towards common European legislation with respect to the right to know one’s genetic origins." Medicina e Morale 66, no. 6 (January 25, 2018): 747–61. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2017.518.

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Abstract:
A venti anni dalla sua approvazione, la Convenzione di Oviedo necessita di un aggiornamento. Infatti, non affronta la questione del diritto dei bambini nati da fecondazione eterologa di conoscere l’identità dei donatori di gameti. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente stabilito che: a) il diritto di conoscere le proprie origini biologiche è tutelato dall’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo; b) tale diritto deve essere bilanciato con quello della madre biologica di rimanere anonima (c.d. parto anonimo). Al fine di trovare tale bilanciamento, una possibile soluzione consiste nel richiedere ai giudici di convocare la madre per chiederle se intende revocare l’anonimato. Se la madre ribadisce la propria originaria intenzione di rimanere sconosciuta, il Tribunale non può consentire al figlio di conoscere la sua identità. Gli autori analizzano anche altre due questioni non prese in considerazione dalla Corte europea: a) l’equilibrio tra il diritto di conoscere le proprie origini e quello dei donator di gamete all’anonimato; b) se tale diritto dei bambini nati da fecondazione eterologa vincoli i genitori legali a rivelargli le modalità del concepimento. Tali problemi e l’importanza degli interessi in gioco inducono gli autori a sostenere che la scelta di usare il citato art. 8 come criterio di giudizio non è affatto ottimale. Appare preferibile affrontare queste questioni attraverso un aggiornamento della Convenzione di Oviedo o comunque con modalità tali da arrivare ad una regolamentazione che sia uniforme all’interno dell’Unione europea. ---------- Twenty years since it was opened for signature, the Oviedo Convention needs updating. It does not deal with the issue of the donor-conceived children’s right to know the identity of the gamete donors. The European Court of Human Rights has recently stated that: a) the right to know one’s biological background is protected by article 8 of the Convention on Human Rights; b) such a right must be balanced with the biological mother’s right to anonymity (anonymous birth). In order to find such balancing, a possible solution might be to require judges to summon mothers to ask them whether they would like to reverse their decision to be anonymous. If the mother reaffirms her intention to remain unknown, the court may not allow the child to learn of her identity and contact her. The authors also analyze two other issues not taken into account by the European Court: a) the balancing between the right to know one’s origins and the gamete donors’ right to anonymity; b) whether the donor-conceived children’s right to know would make it mandatory for legal parents to disclose conception procedures. These problems and the importance of the interests at stake induce the authors to argue that the choice to keep using the above mentioned article 8 as yardstick is far from ideal. It appears to be far preferable to deal with these issues while updating the Oviedo Convention or in such a way as to incentivize the enactment of legislation that would be uniform throughout the European Union.
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Alpa, Guido. "La codificazione del diritto dei consumatori. Aspetti di diritto comparato." ECONOMIA E DIRITTO DEL TERZIARIO, no. 1 (October 2009): 69–83. http://dx.doi.org/10.3280/ed2009-001003.

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Abstract:
- The constitutional dimension of consumer rights obtained definitive consecration with the approval of the Nice Charter in December 2000, made autonomous from the Constitution, in the form of the European Charter of Fundamental Rights and used not only as a political document, but also as a legal document, and with the approval of the European Constitution in October 2004, the latter subject to the ratification of all Member Countries. Among the aims of the Union, the European Charter of Fundamental Rights sets human dignity as the basic value (art.I-2) and states that the sustainable development of Europe is based on "balanced economic growth and price stability, a highly competitive social market economy, aiming at full employment and social progress"(art.I-3). The Charter recognizes and guarantees the right of individuals to physical and mental integrity (art.II-63), reaffirmed in the form of health protection (art.II-95), respect for family life (art.II-67) and protection of personal data (art.II-68) and specifically provides "a high level of protection" for consumers (art.II-98). Consequentially, a distinction should be made between consumer claims which adhere to fundamental rights, recognized in the constitutions of the member countries, and emphasised in the European Charter, and the so-called "economic rights", which are placed on the same level of those rights referring to the "professional". The elevation of individual rights - as a "consumer" - to European constitutional level has a dual value: it binds the Community institutions and the Member States, but it also binds national courts. In this way, the Drittwirkung of the recognized and guaranteed principles may take place directly - and not only as a consequence - in the relations between individuals.
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Loomis, Mark M. "Lo Sfruttamento dei fondi marini internazionali. Edited by Tullio Treves. Milan: Dott. A. Giuffrè Editore, 1982. Pp. xii, 195. L. 12.000. - La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982. By Tullio Treves. Milan: Dott. A. Giuffrè Editore, 1983. Pp. xvii, 517. L. 28.000." American Journal of International Law 79, no. 1 (January 1985): 249–51. http://dx.doi.org/10.2307/2202719.

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Rossato, Alessia. "Quale famiglia per i bambini con disabilità?" MINORIGIUSTIZIA, no. 4 (July 2022): 32–40. http://dx.doi.org/10.3280/mg2021-004004.

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Abstract:
Come riconosciuto nel Preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, la famiglia è l'unità fondamentale della società e l'ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei bambini, delle bambine e degli adolescenti. Tutti i minori hanno diritto a vivere in una famiglia, prioritariamente nella propria. Qualora questa non sia in grado di provvedere alla loro crescita, cura ed educazione si applicano gli istituti dell'affidamento familiare e, in caso di abbandono morale e materiale, dell'adozione. Nel godimento del diritto a una famiglia non sono ammesse distinzioni secondo le condizioni sanitarie in cui i bambini si trovano: il diritto ri-guarda dunque anche coloro che hanno malattie gravi o disabilità fisiche o cognitive e disturbi dello sviluppo. Anche con riferimento alla propria esperienza personale di madre affidataria di due bambine disabili e, più in generale, alle attività della Comunità Papa Giovanni XXIII, l'Autrice esamina in questo contributo le grandi potenzialità dell'accoglienza familiare per bambini con disa-bilità che non possano crescere con la famiglia di origine. Perché l'accoglienza dei minori con disabilità è possibile, attuabile e praticabile.
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Benvenuti, Marco. "Andata e ritorno per il diritto di asilo costituzionale." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 2 (July 2010): 36–58. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-002003.

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Abstract:
Sommario: Prologo1. La "svolta storica nella lotta all'immigrazione clandestina", ovvero della crisi del c.d. "sistema asilo" alla luce della recente pratica dei respingimenti in mare2. L'"identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo", ovvero della funzione emulativa del diritto di asilo costituzionale3. "La presenza del richiedente il diritto di asilo nel territorio dello Stato non č condizione necessaria per il conseguimento del diritto stesso", ovvero della funzione effettiva del diritto di asilo costituzionale
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Kwiatkowska, Barbara. "T. Scovazzi, G. Francalanci, D. Romano and S. Mongardini, eds., AtlaS Of the Straight Baselines, second edn., Studi e Documenti Sul Diritto Internazionale del Mare No. 20, Dott. A. Giuffré Editore, Milan 1989, 233 pp., L. 35,000." Netherlands International Law Review 37, no. 01 (May 1990): 134. http://dx.doi.org/10.1017/s0165070x00002953.

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Lo Voi, Valentina. "Parto anonimo in Italia e il diritto all’anonimato della madre biologica in caso di morte della stessa." Revista de la Facultad de Derecho de México 69, no. 275-1 (October 29, 2019): 245. http://dx.doi.org/10.22201/fder.24488933e.2019.275-1.71165.

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Abstract:
<p>Va riconosciuto prevalente il diritto del figlio, nato da parto anonimo, di conoscere le<br />proprie origini biologiche ed il rapporto di filiazione con la madre che lo aveva partorito, specie<br />dopo la morte della donna. Lo stesso diritto sussiste nei confronti dei fratelli e delle sorelle<br />biologiche.</p>
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Sung, Myung-Je, and Jeong-Hyun Kim. "Una rassegna psichiatrica sul figlicidio." RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA, no. 3 (December 2012): 77–96. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2012-003005.

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Abstract:
Il diritto penale disciplina l'infanticidio diversamente, a seconda dei periodi storici e del ruolo ricoperto dalla madre nella famiglia e nella societŕ. L'autrice ne traccia lo sviluppo storico, la attuale disciplina e l'applicazione fattane dalla giurisprudenza. Dal fatto che l'infanticidio sia punito piů gravemente o meno dell'omicidio, e dalle circostanze che determinano la sua disciplina differenziata rispetto all'omicidio in generale, si evidenzia la specificitŕ del ruolo materno come storicamente costruito nelle diverse societŕ e l'immagine della Madre propria dei diversi sistemi penali.
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Furnari, Marianna Gensabella. "Dall’autonomia alla responsabilità: il desiderio di maternità e la possibilità della FIVET." Medicina e Morale 49, no. 5 (October 31, 2000): 879–907. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.769.

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Abstract:
Fino a che punto il desiderio di maternità, frustrato dalla sterilità, può servirsi delle nuove possibilità offerte dalla FIVET? Quale criterio ci consente di distinguere tra un dominio ragionevole ed uno irragionevole sulla natura? Il ripensamento dell’indissolubilità del nesso corpo-persona, e dell’imperativo kantiano, che impone di non considerare mai l’umanità solo come messo, aiutano a trovare una misura che appare smarrita. Ma è possibile applicare l’imperativo kantiano a tutti i soggetti coinvolti nella FIVET? Attraverso una discussione con le tesi della bioetica laica, si evidenzia come quell’imperativo vada inteso, non solo a tutela del diritto dei genitori al consenso libero e informato, ma anche a tutela dell’embrione. Al di là delle distinzioni strumentali tra pre-embrione ed embrione, e al di là della diversità di opinioni se l’embrione si o no persona, sta la certezza che l’embrione è un essere umano, certezza che impone di rispettarlo “come uno di noi”. Nel confronto con tale imperativo il desiderio di maternità trova un limite che è spesso dimenticato. Iscritto nella sfera intima, inviolabile della corporeità, il desiderio di maternità sembra regolato solo dal principio di autonomia, che su quella sfera domina. Occorre però ripensare il principio di autonomia e il modio in cui intendiamo la nostra corporeità. Rifletto come nomos che si dà un autos che è corpo/persona, il principio di autonomia trova il limite della mia indipendenza non solo nella non interferenza con gli altri, ma nella legge iscritta nella stessa corporeità, cioè nella difesa della vita, mia e altrui. È lo stesso desiderio di maternità a guidarci in questa rilettura del principio di autonomia: iscritto nel corpo, tale desiderio va oltre il corpo proprio, aprendosi alla corporeità dell’altro perché un terzo abbia vita. Di fronte alla rivendicazione dell’autonomia del procreare si leva la voce della responsabilità, da sempre insita nell’esser-madre: una voce che invita a tutelare la vita che chiamiamo al mondo sin dal suo primo apparire, e a vigilare perché le siano assicurati i diritti fondamentali dell’identità parentale e della famiglia. Inteso nella sua verità, non come desiderio di avere un figlio ma come desiderio di essere madre, il desiderio di maternità, trova in se stesso la propria regola, il correttivo a quel dilatarsi indefinito dei fini, quasi una “festa del desiderio” a cui la FIVET eterologa apre. Ciò significa imparare a cadenzare, o addirittura a fermare, il passo del desiderio, seguendo le voci antiche di Logos e Cura.
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Siccardi, Cecilia. "Mare, tratta e migrazioni: violazioni di diritti tra storia e attualità. A proposito di alcune pubblicazioni recenti." Italian Review of Legal History, no. 8 (December 22, 2022): 677–93. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19455.

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Abstract:
Due milioni e mezzo di persone che migrano sono oggetto di traffici illeciti, che, secondo le stime delle Nazioni Unite, generano profitti per decine di miliardi di euro. [...] Le criticità che pone la situazione descritta sono molto complesse e possonoessere affrontante secondo diverse prospettive, che vanno ben oltre la mera analisi degli strumenti di contrasto al traffico dei migranti e all’immigrazione irregolare. Il tema infatti coinvolge problematiche più ampie, quali la tenuta del sistema ditutela dei diritti umani di fronte ai fenomeni migratori e l’effettività dei diritti. Alla luce di tale contesto, in queste pagine, si ritiene utile indagare le origini delle problematiche che caratterizzano le migrazioni via mare.
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Fantuzzi, Gianni. "L'uso della violenza come ricerca dell'impossibile. Ipotesi interpretative per un intervento psicoanalitico." GRUPPI, no. 2 (October 2010): 119–26. http://dx.doi.org/10.3280/gru2009-002013.

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Abstract:
Come ha sottolineato Renato de Polo: "Con la violenza ci si prefigge di conseguire degli obiettivi impossibili: ogni gruppo esige di affermare la propria purificazione assoluta attribuendo la colpa all'altro per mezzo della proiezione di tutto il male su di esso". Partendo da questo spunto, si sostiene l'ipotesi che il perpetuarsi del conflitto tra israeliani e palestinesi derivi, oltre che da motivazioni geo-politiche ed economiche, anche da cause psicologiche. L'attribuzione del male e della distruttivitŕ all'altra parte ha lo scopo di purificarsi e di liberarsi dal pericolo che il proprio potenziale maligno potrebbe danneggiare anche le persone amate. L'ulteriore riflessione che viene proposta in questo lavoro riguarda il fanatismo religioso: esso permette di affermare la prospettiva di pensiero secondo la quale se il colpevole č l'altro, viene in tal modo accordata la propria purificazione e assecondato il proprio ruolo di vittima, acquisendo il diritto di uccidere l'avversario in nome del Dio. Nella lotta contro i nemici, il gruppo esporta all'esterno la minaccia di morte e assume su di sé il potere di uccidere in nome della giustizia, diventando cosě una sorta di divinitŕ. Il gruppo costituisce infatti la fonte di un sogno fondamentale che dispensa l'illusione di trascendere il limite della morte individuale. In questo contesto, la psicoanalisi con il proprio setting, oltre alle concettualizzazioni relative all'inconscio, ai processi proiettivi e al transfert, puň offrire un contributo specifico alla comprensione di questo argomento, fornendo strumenti di modulazione e di regolazione nei conflitti tra i gruppi. Il presupposto per fruire di questo contributo č innanzitutto la destituzione dell'odio e del diritto di uccidere come giustificazione alle proprie rivendicazioni.
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Suchecki, Zbigniew. "Wolnomularstwo w dokumentach Stolicy Apostolskiej i Kodeksie Prawa Kanonicznego, ze szczególnym uwzględnieniem dekretów Kongregacji Doktryny Wiary (1949-1983)." Prawo Kanoniczne 41, no. 3-4 (December 20, 1998): 133–86. http://dx.doi.org/10.21697/pk.1998.41.3-4.06.

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Abstract:
La libera muratoria (comunemente chiamata massoneria) viene trattata e presentata in molte pubblicazioni sotto diversi aspetti e svariati punti di vista. Dal punto di vista del diritto canonico non esistono pubblicazioni riguardanti la libera muratoria, manca­no anche approfonditi studi critici in materia condotti in un'ottica comparata con la filosofia, la teologia e il diritto dai studiosi cattolici. Nella nostra ricerca, passando attraverso un confronto delle disposizioni della Chie­sa previste per la libera muratoria, facciamo un riferimento diretto alla legislazione della Chiesa contenuta nel Codice di Diritto Canonico del 1917 e a numerosi docu­menti emanati dai Papi e dalle Congregazioni, per arrivare alle disposizioni del Codice di Diritto Canonico del 1983. Negli ultimi secoli la massoneria, fosse essa regolare, legittima, irregolare o «devia­ta», senza distinzioni, è stata condannata da diversi Papi ìn circa seicento documenti. La questione comunque è quanto mai attuale perché molti cattolici appartengono alla libera muratoria. La divisione fondamentale, a mio avviso, comprende la fase pre­istituzionale e la fase istituzionale. Nella fase preistituzionale emergeva la massoneria operativa propensa alla costruzione delle cattedrali, delle basiliche e delle chiese; nella fase istituzionale si sviluppa la massoneria moderna detta speculativa. I liberi muratori londinesi, il 24 giugno 1717, nella festa di S. Giovanni Battista costituivano la Gran Loggia d'Inghilterra, la Gran Loggia Madre del Mondo. Fin dall'inizio, in un testo diretto a tutti i fedeli, emerge la preoccupazione per la difficile definibilità, a livello concettuale e terminologico, della libera muratoria con i suoi effetti negativi a livello della Chiesa e della societa civile. Leone XIII, nell'enciclica programmatica Quod sectam massonum: Humanum Ge­nus, del 20 aprile 1884, in modo significativo sottolinea gli effetti negativi delle socie­ta clandestine. L'enciclica costituisce un documento fondamentale di quel periodo. Nel CIC del 1917 il legislatore menziona esplicitamente la setta massonica e le altre associazioni dello stesso genere le quali incorrono ipso facto nella scomunica riservata simpliciter alla S. Sede: «Chi si ascrive alla setta massonica o ad altre associazioni dello stesso genere, che macchinano contro la Chiesa o le legittime autorita civili, incorrono ipso facto nella scomunica riservata simpliciter alla S. Sede» (c. 2335). Un graduale approfondimento della natura e dei fini della massoneria svolto da par­te della Chiesa, prima dell'emanazione della Dichiarazione sulla massoneria del 26 novembre 1983, Quaesitum Est, permise alla Congregazione di accertare le posizioni dottrinali, filosofiche e morali dell'istituzione. Mariano Cordovani in un articolo pubblicato in prima pagina dall'Osservatore Romano sostiene che «fra le cose che risorgono e riprendono vigore, e non solo in Italia, c'è la massoneria con la sua ostilita sempre rinnovata contro la Religione Catto­lica». Egli rileva un fatto che appare nuovo: «la voce che si sparge, nei diversi ceti sociali, che la massoneria di un certo rito non sia piu in contrasto con la Chiesa, che anzi sia avvenuto un accordo tra la massoneria e la Chiesa, in forza del quale anche i cattolici possono tranquillamente iscriversi alla setta senza pericolo di scomuniche e dì riprovazione». Dopo 57 anni dall'entrata in vigore del «Codex» del 1917 «molti vescovi hanno posto il quesito a questa S. Congregazione (per la Dottrina della Fede) circa il valore el'interpretazione del can. 2335 del C.I.C. che sotto pena di scomunica vieta ai cattolici d'iscriversi alle associazioni massoniche o ad altre dello stesso tipo. Il dialogo cattolico-massonico inizia con degli incontri informali tra esponenti della Chiesa Cattolica e della massoneria. Tali incontri ebbero iniziato in Austria, Italia e Germania. Per approfondire alcuni aspetti di questo tema, si possono consultare, an­che se in modo molto critico, diverse pubblicazioni. Negli anni 1974-1980 la Conferenza Episcopale Tedesca costituisce una Commis­sione ufficialmente incaricata di esaminare la compatibilità dell'appartenenza contem­poranea alla Chiesa cattolica e alla libera muratoria. La Commissione sostenne che «Indipendentemente da tutte le concezioni soggettive, l'essenza oggettiva si manifesta nei Rituali ufficiali della libera muratoria. Percio questi documenti vennero sottoposti ad un attento e lungo esame (negli anni 1974-1980); si tratta dei Rituali dei primi tre gradi, dei quali i massoni permisero di studiare i testi, anche se i colloqui non si riferi­rono solo ai Rituali». Il fatto che la libera muratoria metta in discussione la Chiesa in modo fondamentale non è mutato. La libera muratoria non e mutata nella sua essenza. L'appartenenza ad essa mette in questione i fondamenti dell'esistenza cristiana. L'esame approfondito dei Rituali della libera muratoria e del modo di essere massonico, come pure la odierna immutata autocomprensione di sé, mettono in chiaro che l'appartenenza contempora­nea alla Chiesa cattolica e alla Libera Muratoria è esclusa. Da diverse parti del mondo arrivavano domande alla S.C. per la Dottrina della Fede sul giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria. La normativa penale del Co­dice non prevede nessuna sanzione per i fedeli che si iscrivono alla massoneria, perché la medesima non viene espressamente nominata dal legislatore; quindi prima dell'ema­nazione della Dichiarazione l'iscrizione non costituiva un delitto punibile con sanzioni a meno che la massoneria non entrasse nella categoria delle associazioni «che com­plottano contro la Chiesa» (can. 1374) e questo si doveva provare. La Dichiarazione invece afferma che gli «appartenenti alle associazioni massoniche sono in peccato gra­ve» e proibisce ai fedeli appartenenti alle associazioni massoniche l'esercizio del dirit­to soggettivo fondamentale dei fedeli di accedere alla S. Comunione. «Solo Gesù Cri­sto e, infatti, il Maestro della Verità e solo in Lui i cristiani possono trovare la luce e la forza per vivere secondo il disegno di Dio, lavorando al vero bene dei loro fratelli».
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Fanchiotti, Vittorio. "Stato di diritto e ragion di Stato: il caso Abu Omar e la Consulta." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 3 (July 2009): 7–22. http://dx.doi.org/10.3280/qg2009-003002.

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Abstract:
- La vicenda di Abu Omar: i segreti di pulcinella2. La sentenza n. 106 del 2009 nei suoi riflessi sul processo in corso3. Un'interpretazione orwelliana: tutti i princěpi supremi sono inviolabili, ma uno č preminente e piů inviolabile degli altri4. Bene captum, male retentum5. L'articolo 112 della Costituzione tra fair play e trabocchetti6. "Effetti collaterali" delle renditions sul diritto interno e internazionale7. Il COPASIR: un convitato di pietra8. La ripresa del dibattimento tra strettoie e incognite.
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Abbatecola, Emanuela, Davide Filippi, and Marco Omizzolo. "Incursioni L'inconsistenza dei diritti. Il Grave Sfruttamento del Lavoro migrante in Italia. Introduzione. Dal caporalato al padronato. Riflessioni critiche sul sistema del Grave Sfruttamento Lavorativo." MONDI MIGRANTI, no. 2 (July 2022): 9–36. http://dx.doi.org/10.3280/mm2022-002001.

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Abstract:
L'articolo analizza la complessità del fenomeno del grave sfruttamento lavorativo e la sua sistematizzazione organica quale espressione propria del capitalismo con-temporaneo. Assunti i limiti entro cui, nel mondo accademico e nel dibattito pub-blico, si riflette su queste dinamiche, gli autori propongono una nuova definizione del concetto di grave sfruttamento lavorativo, tentando di integrare approcci e sguardi che in letteratura risultano frammentati. Questa definizione è fondata su tre dimensioni: economica, sociale-riproduttiva, ambientale, da considerare in una relazione circolare nella quale le conseguenze dell'una si ripercuotono sulle altre. In questo quadro, la condizione della forza lavoro, soprattutto migrante, si è trasfor-mata in un crocevia sul quale converge un pluralismo regolativo, formale e infor-male, che determina subordinazione e gravi forme di sfruttamento. È un processo che non è circoscrivibile nel solo ambito agricolo, ma diffuso in molteplici settori produttivi, ognuno dei quali con specifiche modalità di funzionamento. La rifles-sione supera dunque la centralità assunta negli anni dal concetto di caporalato per introdurre quella di padronato, dove le responsabilità sono da individuare nella si-stematicità dei fenomeni connessi al grave sfruttamento lavorativo.
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Trębski, Krzysztof. "La surrogazione di maternità nel contesto della procreazione medicalmente assistita. Valutazione nella luce della dottrina morale della Chiesa cattolica." Roczniki Teologiczne 69, no. 3 (March 15, 2022): 117–30. http://dx.doi.org/10.18290/rt22693.8.

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Abstract:
La surrogazione di maternità diventa un mezzo per realizzare il desiderio di procreare e, utilizzando moderne tecnologie riproduttive, provvede alla gestazione da parte di una donna per conto di una o più persone, che saranno il genitore o i genitori del nascituro. L’articolo tenta di valutare il fenomeno nell’ottica della morale cattolica, presentando la maternità surrogata nel contesto dell’uso di tecniche di inseminazione/fecondazione artificiale in vitro e il trasferimento dell’embrione, che in genere sono un passo fondamentale della procedura. La Chiesa cattolica esprime disapprovazione per la maternità surrogata, sottolineando che essa viola la dignità umana e distorce il carattere originario della maternità/paternità. Questa pratica non tiene conto della complementarietà dei sessi, del rispetto reciproco e del diritto degli sposi a diventare padre o madre insieme all’altro coniuge. Un essere umano ha il diritto di essere concepito in un matrimonio come frutto di uno specifico atto d’amore tra gli sposi. Altrettanto, la Chiesa giudica in maniera negativa l’utilizzo delle procedure medico-tecniche che permettono il trapianto dell’embrione nell’utero in caso di surrogazione gestazionale, sottolineando che minacciano seriamente la sua sopravvivenza. Inoltre, la surrogazione di maternità è vista come procedura disumanizzante, perché tratta la madre surrogata come «strumento umano usato per fini di riproduzione».
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Aznar, Justo, and Julio Tudela. "Gestational surrogacy. Ethical aspects / Maternità surrogata. Questioni etiche." Medicina e Morale 67, no. 3 (July 30, 2018): 277–90. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2018.539.

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Abstract:
Gestational surrogacy is the practice that takes place when a woman becomes pregnant with a foetus with which she is not genetically related, and the eggs used to produce it come from a donor or the contracting mother, to whom the baby will be handed over after the birth. The woman acting as surrogate may be contracted commercially and remunerated for her service, or the surrogacy may be altruistic, a circumstance that arises when, generally, a member of the family or friend selflessly volunteers. The ethical debate lies in which should prevail: the hypothetical right of the parents to have a child, the reproductive rights of the woman, or even the good of the child itself. At the heart of the matter is the risk of “objectification” of the gestational mother and the child itself. To resolve this question, we must assess the overall ethical principles of the reproductive process and what it implies for all parties involved, as well as the ethicality of the means used and the end pursued. Instrumentalisation of mother and child invalidates any other reason that may be adduced to positively value gestational surrogacy, from an ethical point of view.----------La maternità surrogata è quella pratica che ha luogo allorché una donna rimane incinta di un feto con il quale non è geneticamente collegata, e le uova usate per produrlo provengono da un donatore o da una madre con cui si sia stipulato un contratto, a cui il bambino sarà consegnato dopo la nascita. Con la donna che agisce come surrogata può essere stipulato un contratto commerciale ed ella può essere remunerata per il suo servizio, oppure la maternità surrogata può essere altruistica, una circostanza che si verifica, in genere, quando un membro della famiglia o un amico si offre volontariamente in maniera disinteressata. Il dibattito etico si riferisce a quel che dovrebbe prevalere: l’ipotetico diritto dei genitori di avere un figlio, i diritti riproduttivi della donna, o anche il bene del bambino stesso. Il nocciolo della questione è il rischio di “oggettivazione” della madre gestazionale e del bambino stesso. Per affrontare questa questione, occorre valutare i principi etici generali del processo riproduttivo e quel che implica per tutte le parti coinvolte, nonché l’eticità dei mezzi utilizzati e il fine perseguito. Da un punto di vista etico, la strumentalizzazione della madre e del bambino invalida qualsiasi altra ragione che possa essere addotta per sostenere il valore positivo della maternità surrogata.
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Terrasi, Alfredo. "I respingimenti in mare di migranti alla luce della Convenzione europea dei diritti umani." DIRITTI UMANI E DIRITTO INTERNAZIONALE, no. 3 (December 2009): 591–607. http://dx.doi.org/10.3280/dudi2009-003008.

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Abstract:
- Italian authorities have recently undertaken a new policy to face migration flows from north african coasts. Since May, 6th 2009 Italian coastguard and financial police vessels have intercepted a large number of boats carrying migrants and returned them to Libya, in force of a readmission agreement between Italy and Libya. These operations, even if they take place on the high seas, have to comply with the European Convention for Human Rights, considering that the migrants fall under jurisdiction of Italian authorities within the meaning of art. 1 of the Convention. In particular, on the basis of the European Court of Human Rights case law, it can be argued that returning migrants to Libya, as long as they can be exposed to torture or inhuman and degrading treatment, is prohibited by art. 3. Moreover, art. 4 or the Fourth Protocol prohibits the collective expulsions of aliens. Notwithstanding, it's uncertain whether forcible return of aliens is consistent with the latter provision considering that the European Court requires that aliens ‘leave the country' in order to apply art. 4. In the end the praxis of Italian authorities is inconsistent with the Convention non-refoulement obligation deriving from art. 3.
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Ciardiello, Patrizia. "Rispetto dei diritti umani in carcere Dalle mele marce ai cattivi cestini." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 4 (September 2012): 27–54. http://dx.doi.org/10.3280/qg2012-004003.

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Barbisan, Benedetta. "Apprendimento e resistenze nel dialogo fra Corte costituzionale e Corte di Strasburgo: il caso del diritto all'anonimato della madre naturale." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 1 (September 2016): 157–65. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2016-su1007.

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Briole, Guy. "Nati da Y. Segreto e anonimato." ATTUALITŔ LACANIANA, no. 9 (April 2009): 9–12. http://dx.doi.org/10.3280/ala2009-009002.

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Abstract:
- Nella scoperta freudiana il segreto si situa nel punto in cui la psicoanalisi si annoda con l'intimo delle famiglie. Con le infinite combinazioni che la tecnica permette, la modernitŕ della procreazione rimescola le filiazioni. Cosě il segreto si sposterebbe dall'intimo delle famiglie verso un esterno in cui si trovano il legislatore e i medici che hanno il compito di vigilare su questo. Il reale della procreazione non dissolve i fantasmi né i segreti d'alcova piů di quanto i desideri e le loro impasse non possano ridursi a una carta cromosomica. I soggetti nati da gameti anonimi si organizzano in associazioni per il diritto di sapere quale sia la parte mancante del loro patrimonio genetico: il segreto diventa la barriera contro la rivelazione dell'anonimato. Essi si definiscono "geneticamente" figli di madre ma non del padre e la forza della formula non impedisce lo scivolamento verso le questioni proprie di ogni soggetto nevrotico. Parole chiave: segreto - padre reale - significante - fantasmi - desiderio di sapere.
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Bianchi, Andrea. "Il tempio e i suoi sacerdoti. Considerazioni su retorica e diritto a margine del caso Germania c. Italia." DIRITTI UMANI E DIRITTO INTERNAZIONALE, no. 2 (July 2012): 293–309. http://dx.doi.org/10.3280/dudi2012-002003.

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Abstract:
This article aims at exploring the rhetorical structure of the recent ICJ Judgment o The Jurisdictional Immunity of the State (Germany v. Italy). By showing that the Court has a particular audience, the article sets out to investigate how the ICJ attempts to exercise its influence on the actors that make up such an audience. It is submitted that the rhetorical adequacy of the judgment to the needs and expectations of the Court's audience is key to understanding the outcome of the case (as well as its apparent persuasive force) and to explaining why arguments based on the protection of human rights were unlikely to succeed.
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Serra, Angelo, and Grazia Bellanova. "Accertamento prenatale di rischio di patologia cromosomica fetale." Medicina e Morale 46, no. 1 (February 28, 1997): 15–35. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.886.

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Abstract:
Da circa trenta anni la diagnosi prenatale di sindromi causate da alterazioni dell’informazione genetica è entrata nella prassi dell’assistenza medica. Criteri deontologici e considerazioni etiche circa il rispetto delle giuste esigenze e diritti della coppia parentale, da una parte, e dell’incolumità del concepito, dall’altra, avevano portato a stabilire alcune precise indicazioni per l’esecuzione della diagnosi prenatale: l’età della madre non doveva essere superiore ai 35-38 anni. Nella prospettiva eugenistica che sta prevalendo nella società, appoggiata anche da provvedimenti legislativi, tale criterio venne considerato insufficiente perchè sarebbero rimasti a farne parte ancora troppi soggetti “indesiderati”, affetti da serie e gravi malformazioni. Furono, perciò, intraprese indagini al fine di trovare altri parametri atti a rivelare abbastanza presto durante la gravidanza un aumentato rischio di patologia cromosomica per un embrione o un feto, quali il test delle alfa-feto-proteine, e il triplo-test. Dal punto di vista etico, è buona e lecita la ricerca di un corretto ed efficiente metodo predittivo di rischio di feto affetto da patologia cromosomica e la sua applicazione qualora il fine per cui il metodo venga applicato sia buono, ossia non abbia scopi eugenetici, e non rechi danno alla donna, al bambino o alla società. Dal punto di vista deontologico, supposta la bontà etica gli autori sottolineano soprattutto l’obbligo del consenso informato all’esame, ossia una completa e rigorosa informazione e un severo controllo di qualità; in altri termini, un accertamento esatto dell’età gestazionale del feto e una corretta definizione del rischio.
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Sapienza, Rosario. "Il caso Englaro e la Convenzione europea dei diritti umani." DIRITTI UMANI E DIRITTO INTERNAZIONALE, no. 2 (July 2009): 345–55. http://dx.doi.org/10.3280/dudi2009-002007.

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Abstract:
- In a decision issued in December 2008, a Chamber of the European Court of Human Rights declared inadmissible eight joined applications in the case of Ada Rossi and Others v. Italy (applications nos. 55185/08, 55483/08, 55516/08, 55519/08, 56010/08, 56278/08, 58420/08 and 58424/08). The applications were lodged by six Italian disabled persons, represented by their guardians, and six Italian associations made of relatives and of medical personnel who assist the persons concerned. They complained that the decision issued on June 2008 by the Court of Appeal of Milan, by which Beppino Englaro (father and guardian of Eluana Englaro, the comatose woman at the centre of an euthanasia debate that has divided Italy) was granted the authorization to discontinue his daughter's artificial nutrition and hydration, could eventually have adverse effects on their situations. The Chamber concluded that the applicants could not claim to be victims, neither direct nor potential, of the decision and therefore concluded for the inadmissibility of the application. Our comment, while approving the Chamber inadmissibility decision, goes into the matter recalling previous case-law by the Court and showing that there could have possibly been a case for application of article 8 of the Convention (which, however, was not relied on by the applicants).
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Gruppuso, Maria Cristina. "Un caso intricato di rapporti fra trust e diritto successorio (App. Roma, 25 maggio 2021)." marzo-aprile, no. 2 (April 7, 2022): 320–23. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.86.

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Abstract:
Massima La circostanza per cui la moglie, pochi mesi dopo aver depositato ricorso per separazione personale con addebito al marito, ceda le quote della S.r.l. di cui è titolare alla madre, e che quest’ultima, successivamente alla morte della figlia, conferisca tali quote in trust, affidandone l’amministrazione ad un trustee, soggetto estraneo, e indicando quali beneficiarie le nipoti (figlie della de cuius), non lascia presumere che l’atto di trasferimento delle quote e l’atto istitutivo di trust siano stati posti in essere in esecuzione di un negozio fiduciario, in violazione dei principi in materia di rappresentanza e gestione dei beni dei minori in capo ai genitori e dei principi in materia di successioni - in particolare in violazione dell’art. 458 cod. civ. Il trustee è privo di interesse a impugnare la sentenza che dichiara l’inefficacia dell’atto istitutivo di trust, in quanto svolge unicamente la funzione di gestire e amministrare i beni conferiti e non è titolare di alcun diritto autonomo da far valere rispetto all’azione volta ad ottenere l’invalidità del trust.
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Romagnoli, Matteo. "La Corte costituzionale difende l'idea di Unione Europea come «comunità di diritto»." La Nuova Giuridica 1, no. 1 (September 14, 2022): 123–44. http://dx.doi.org/10.36253/lng-1819.

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Abstract:
At present, there is a crisis in the relationship between legal systems. Is the constitutional architecture of the EU solid enough to withstand the various jurisdictional earthquakes such as those that occurred with the May 2020 judgment of the BVerfG or the K3/21 judgment of the Polish Court? Integration through dialogue has stalled in other countries because of conflicts due to overlapping competencies introduced by the Lisbon Treaty. Yet, there is another way to deal with interordinamental conflict: the one provided by the Italian Constitutional Court. The Consulta had no fear of challenges and kept trying to find a way that relied on dialogue as a method. With its peculiar way of dealing with such problems made up of some cataloguing tricks, it is possible to say how the CC can reawaken a sense of community of the Union in law. In the work of the Court, we can read the traits of that conception whereby the outcome of integration is a “community based on the rule of law”.
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Giardini, Anna, Marcella Ottonello, Carlo Pasetti, Debora Pain, and Ines Giorgi. "Cosa voglio fare alla fine della vita? Consapevolezza della malattia, conoscenza delle procedure cliniche e delle direttive anticipate in pazienti con malattie croniche progressive / What do I want to be done at end-of-life? Disease awareness, knowledge of clinical procedures and of advanced directives in patients with chronic progressive diseases." Medicina e Morale 67, no. 1 (March 23, 2018): 11–24. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2018.525.

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Abstract:
Scopo del nostro studio osservazionale cross-sectional è di studiare la consapevolezza di malattia, la conoscenza delle procedure cliniche e delle dichiarazioni anticipate di trattamento in pazienti italiani affetti da patologie croniche progressive. Metodo. Sono stati valutati 115 soggetti (23 con Sclerosi Laterale Amiotrofica – SLA; 30 con Scompenso Cardiaco Cronico – SCC; 32 con Insufficienza Renale Cronica – IRC; 30 con Tumore Avanzato –TA) su: conoscenza sui temi della salute, diritto ad essere informati, significato delle Direttive Anticipate (DA) e delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT). Risultati. 86% dei pazienti hanno evidenziato il diritto di conoscere diagnosi e prognosi e di essere informati sull’evoluzione di malattia. Molti pazienti non conoscevano il significato di procedura invasiva (52%) o di trattamento aggressivo (81%). Il 72% non conosceva il significato di DA e di DAT; il 94% riteneva che le DA o le DAT potessero parzialmente o totalmente garantire il desiderio del paziente di prendere parte alle decisioni sulla gestione del fine vita. Una volta informati sul significato delle AD (vincolanti) e delle DAT (non vincolanti) I pazienti con SLA preferivano la scelta di direttive vincolanti rispetto ai pazienti con TA e con SCC (SLA vs SCC p=.005; SLA vs TA p=.001). I pazienti con IRC preferivano direttive vincolanti rispetto ai pazienti con SCC (p=.02). Conclusioni. Deve essere parte integrante nella pratica clinica l’informare e il guidare il paziente dal momento della diagnosi fino alle fasi ultime di vita. ---------- Introduction. Many steps forward within the legal field to facilitate end-of-life communication have been taken, but Mediterranean countries can be considered as a step back. Aim of our observational cross-sectional study is to observe disease awareness, knowledge of clinical procedures and of advanced directives in patients with chronic progressive diseases in Italy. Methods. 115 subjects (23 with Amyotrophic Lateral Sclerosis – ALS, 30 with Chronic Heart Failure - CHF, 32 with Chronic Kidney Failure – CKF, and 30 with Advanced Cancer – AC) were assessed on health literacy, their right to be informed and meaning of Advance Directives (AD) and of Advance Declaration of Treatment (ADT). Results. 86% of patients claimed the right to know diagnosis and prognosis and to be informed of disease progression. Patients did not know the meaning of invasive therapy (52%) and of aggressive treatment (81%). 72% did not know the meaning of AD and of ADT; 94% believed that AD or ADT could partially or totally guarantee patient’s will to make decisions on end-of-life, with frequency difference on AD or ADT efficiency between CHF and ALS patients (p=.01). Once informed on the definitions of AD (legally binding) and ADT (not legally binding), ALS patients preferred legally binding directives, compared to patients with AC and with CHF (ALS vs CHF p=.005; ALS vs AC p=.001). Patients with CKF would prefer legally binding proposal compared to CHF patients (p=.02). Conclusion. To inform and to guide patients from diagnosis to end-of-life should be an integral part of medical practice.
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De Sena, Pasquale. "La dottrina internazionalistica italiana e la tutela internazionale dei diritti dell'uomo (1945-2005)." DIRITTI UMANI E DIRITTO INTERNAZIONALE, no. 3 (December 2012): 513–37. http://dx.doi.org/10.3280/dudi2012-003003.

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Abstract:
This paper is aimed at providing an overview of the general trends of the Italian international law scholarship concerning the international protection of human rights during the period from 1945 to 2005. The idea is advanced that human rights have been considered (with one exception) only in the framework of some general issues of international law between 1945 and 1960 (para. 2), whereas human rights issues have been managed increasingly as autonomous legal issues, starting from 1960 (para. 3). Between 1970 and 1987, Italian scholars have mainly focused on judicial or quasi-judicial aspects of the international protection of human rights; at the same time, a widespread attitude to submit human rights-oriented thesis has arisen (para. 4). Moreover, some different methodological approaches have progressively been elaborated (ibid.). These tendencies increased during the period between 1987 and 2005, due to the establishment of some human rights-journals, as well as to the large attention paid by scholars to criminal international law issues and to the impact of human rights on some traditional legal issues (para. 5). Some critical remarks are made in paragraph 6, aimed at stressing the different features of the above mentioned approaches. Furthermore it is shown that, regardless of these differences, a certain methodological eclecticism has come to prevail. It is also maintained that the Italian international law scholarship cannot be considered as "human rightist" ("Droits-de-l'-hommiste"), in spite of the said attitude to advance human rights-oriented thesis.
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Fiori, Angelo. "Contro la fecondazione eterologa." Medicina e Morale 46, no. 2 (April 30, 1997): 241–66. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.881.

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Abstract:
Il processo di progressiva accettazione della fecondazione eterologa può indurre gli oppositori ad abbandonare le proprie posizioni prendendo atto della loro sostanziale inutilità ed accettando di fatto il principio secondo cui i prodotti del progresso devono essere disponibili a tutti coloro che desiderano fruirne. Per contro, l’autore ritiene che la fecondazione assistita nel suo insieme, non solo la fecondazione eterologa con i suoi peculiari problemi, comincia a presentare nel suo contesto crepe che ora si tenta di occultare, ma che sono destinate a minare in tempo abbastanza breve certezze finora presentate nei consueti termini del trionfalismo biomedico. Molti sono infatti i problemi, scientifici ed etici, che essa solleva: la natura del trattamento di fecondazione eterologa, i rischi per la madre e per il feto, l’anonimato per il donatore e i rischi di approdo alla selezione eugenetica a seguito dei progressi della genetica molecolare, i diritti dei figli, la crioconservazione degli embrioni soprannumerari e l’ipotesi della “donazione di embrione”. Oggi non è possibile prevedere quale sarà il destino delle pratiche di fecondazione assistita, particolarmente della fecondazione eterologa. Tuttavia, a medio termine l’autore si sente di prevedere il loro declino e la loro futura scomparsa a causa dell’aggrovigliarsi progressivo dei problemi che essa implica. Massimo deve essere l’apprezzamento del desiderio di avere un figlio, sono infatti le leggi biologiche che ispirano con la loro forza questi potenti desideri; ma la fecondazione eterologa da padre anonimo non è la risposta a queste speranze. Altre sono le strade.
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Musio, Alessio. "Differentemente. Per un’etica dell’accomodamento ragionevole / Differently. For a reasonable accommodation ethics." Medicina e Morale 67, no. 6 (January 25, 2019): 641–52. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2018.560.

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Abstract:
Nel testo della Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità (2007) l’espressione “accomodamento ragionevole” è decisiva. Se lo scopo è quello di promuovere «il pieno e uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità» (così l’art. 1), la categoria di “accomodamento ragionevole” emerge sin da subito come il mezzo riflessivo di tale finalità. Scopo del presente saggio è riflettere sul significato etico dell’accomodamento ragionevole, alla luce di una riflessione sul rapporto tra uguaglianza e differenza umane. L’uguaglianza come equità, infatti, non ha nulla a che vedere con l’egualitarismo. L’ideale morale dell’uguaglianza richiede, al contrario, un’etica che sappia valutare il tema delle differenze, andando oltre il tema della sola diversità di genere (maschile/femminile), per pensare direttamente i temi della disabilità. Ne deriva la possibilità di rispondere a quell’indifferenza che nell’epoca delle tecno-scienze tende a diventare, da semplice fatto, una vera e propria cultura antitetica alle logiche della giustizia sociale e dell’amore. ---------- “Reasonable accommodation” is a fundamental term for The United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities (2007). If the aim is to promote “the full and equal enjoyment of all human rights and fundamental freedoms by all persons with disabilities” (Article 1), the category of “reasonable accommodation” emerges immediately as the reflective means of this purpose. The aim of the present article is to reflect on the ethical meaning of reasonable accommodation, in the light of a reflection around the relationship between equality and human difference. In fact, equality as fairness, has nothing to do with egalitarianism. The moral ideal of equality requires, on the contrary, an ethic able to evaluate the topic of differences, going beyond the theme of gender diversity (male/female), in order to think directly about the issues of disability. The result is the possibility of responding to the indifference that in the age of techno-sciences tends to become, from a simple fact, a true antithetical culture to the logic of social justice and love.
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Monegat, Maria Grazia. "Oligarchi e azione revocatoria: profili di diritto civile inglese (<i>Akhmedova</i> v <i>Akhmedov</i>, 21 aprile 2021)." settembre-ottobre, no. 5 (October 6, 2022): 912–21. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.191.

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Abstract:
Tesi I soldi non fanno la felicità, perché anche le famiglie più abbienti possono essere infelici e i matrimoni da sogno concludersi con il divorzio. Quando poi l’ex marito - con la complicità del figlio maggiore e i consigli dei propri consulenti - architetta complessi schemi per distrarre il proprio patrimonio pur di non pagare quanto la sentenza di divorzio ha riconosciuto in favore dell’ex moglie, è possibile che la situazione peggiori. La sentenza della Corte Inglese intervenuta sull’azione revocatoria proposta dall’ex moglie di un oligarca russo è spunto per un confronto tra il nostro ordinamento ed il sistema di common law, offrendo l’occasione anche per una riflessione sui professionisti che ruotano intorno ai procedimenti in materia di diritto di famiglia. The author’s view Money does not make you happy, because even the wealthiest families can be unhappy and dream marriages can end in divorce. When the ex-husband - with the complicity of his eldest son and the advice of his advisors - concocts complex schemes to divert his assets in order not to pay what the divorce decree has awarded in favour of his ex-wife, the situation can get worse. The English Court's ruling on the revocatory action brought by the ex-wife of a Russian oligarch is a cue for a comparison between our legal system and the common law system, also offering an opportunity to reflect on the professionals who revolve around family law proceedings.
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Voce, Valentina. "Licenza di uccidere. Per un’analisi critica delle tesi di Jeff McMahan / Licence to kill. For a critical analysis of Jeff McMahan’s theses." Medicina e Morale 68, no. 1 (April 10, 2019): 67–82. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2019.568.

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Abstract:
Questo articolo prende in esame la riformulazione del concetto di persona, proposta dal filosofo Jeff McMahan in The Ethics of Killing, come embodied mind. La proposta teorica di McMahan ha una chiara valenza pratica perché, in accordo con una prospettiva funzionalista, identifica la persona con l’acquisizione delle sue capacità cognitive, tracciando una linea discriminatoria tra esseri umani: alcuni non sarebbero persone e pertanto non potrebbero condividere gli stessi diritti che “noi” persone abbiamo. McMahan sviluppa, sulla base di questa impostazione, una gerarchia etica che rende legittima l’uccisione di tutti quegli esseri umani che, a suo avviso, non si possono considerare persone come ad esempio embrioni, feti e individui in stato vegetativo. Il saggio, che rende conto di alcune interessanti annotazioni critiche svolte dalla filosofa Eva Kittay alla proposta di McMahan, si propone di valutare la consistenza teorica di questa teoria e di porla in riferimento alla questione etica e sociale connessa con la tutela dei diritti delle persone con disabilità cognitiva grave. Sulla base delle considerazioni svolte, si è giunti alla conclusione che le teorie di McMahan, e le conseguenze che ne derivano per l’etica pratica, vadano respinte in quanto la separazione tra la nozione di persona e quella di essere umano non risulta adeguatamente giustificata, essendo fondata su una mistificazione dell’uomo privato della sua fondamentale dimensione corporea. ---------- This article takes into account the redefinition of the concept of personhood as embodied mind, proposed by philosopher Jeff McMahan in his book The Ethics of Killing. McMahan’s theoretical proposal has clear practical implications because, according with a functionalist perspective, he identifies personhood with the acquisition of sophisticated cognitive abilities, drawing a discriminatory line among human beings: some are non-persons and therefore they do not share the same rights we persons have. Based on this approach, McMahan develops an ethical hierarchy that makes legitimate the killing of all human beings who, according to his theories, can not be considered as persons, such as embryos, fetuses, and individuals in a vegetative state. The essay, which considers some interesting critical annotations made by philosopher Eva Kittay to McMahan’s proposal, intends to evaluate the theoretical consistency of his theory and to connect it to the ethical and social matter of recognizing and protecting the rights of people with severe cognitive disability. On the basis of our considerations, we concluded that McMahan’s theories, and their consequences for practical ethics, should be rejected because the disjunction between the notion of personhood and that of human being is not properly demonstrated, being based on a mystification of mankind deprived of its fundamental bodily dimension.
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Spola, Roberta. "La tentazione dell’eutanasia neonatale nella gestione del neonato gravemente compromesso / The temptation of neonatal euthanasia in the management of seriously compromised infants." Medicina e Morale 66, no. 4 (October 11, 2017): 439–55. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2017.500.

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Abstract:
Negli ultimi quarant’anni, lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate ha comportato in ambito neonatologico un’impennata nella rianimazione e nell’assistenza di neonati estremamente pretermine o con grave patologia, tale da spostare sempre più il limite di sopravvivenza. Parallelamente, si è fatto strada in questi anni un atteggiamento eugenetico verso patologie cosiddette life-limiting, ovvero verso neonati pretermine o affetti da gravi malformazioni. Numerosi interrogativi mettono il medico a dura prova nel quotidiano: quando trattare? Quando sospendere le cure? Che importanza dare all’autonomia dei genitori? I centri di assistenza neonatale hanno dato via via risposte multiformi a tali interrogativi con protocolli e raccomandazioni che risentono alla radice dell’antropologica di riferimento. Il corretto atteggiamento che vuole evitare l’accanimento terapeutico laddove il decesso del bambino è inevitabile e imminente, rischia di sconfinare in ambiti dove si vuole anticipare e programmare la morte del bambino al fine di evitare supposte o ipotetiche sofferenze future, valutate dal medico in base a criteri prefissati. La vita giudicata quindi indegna di essere vissuta non avrà diritto alle cure. Dall’altro lato si sono fatti strada invece approcci terapeutici che hanno come obiettivo il miglioramento della qualità della vita, non tramite la morte, ma tramite la cura. Ne sono esempi la medicina fetale, che tratta le patologie in epoca prenatale e la comfort care, che si prende cura del grave neonato in epoca postnatale. Questo articolo vuole delineare un percorso storico e geografico di tali differenti approcci, cercando di chiarire le basi etiche sottese ad essi. ---------- In the last forty years, the development of ever more advanced technologies has resulted in a surge of intensive care as well as of assistance of extremely preterm newborns or neonates with severe diseases within neonatology, as to move more and more the survival limit. At the same time, it has made its way in recent years a eugenic attitude towards so-called life-limiting illnesses, like preterm infants or those with severe malformations. Several issues put physicians to the test in everyday life: when to treat? When to stop the treatment? How important is autonomy of parents? The neonatal intensive care units have gradually provided multifarious answers to these questions with protocols and recommendations that are influenced by the anthropological reference. The correct attitude, that seeks to avoid aggressive treatment when the child’s death is inevitable and imminent, risks to ending up in areas where the death of the child is anticipated and planed in order to avoid supposed or hypothetical future suffering, evaluated by the physician in accordance to predetermined criteria. Therefore, life judged as unworthy will not have right to care. On the other side, new therapeutic approaches aimed to improve quality of life, not through death, but through the cure have emerged. Examples include fetal medicine, which treats diseases prenatally and comfort care, which takes care of serious baby in the postnatal period. This article will outline a historical and geographical pathway of these different approaches, trying to clarify the underlying ethical basis.
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Gozzelino, Giulia, and Federica Matera. "Pedagogical lines and critical consciousness for quality education at the time of the Covid-19 pandemic." Form@re - Open Journal per la formazione in rete 21, no. 3 (December 31, 2021): 191–99. http://dx.doi.org/10.36253/form-10178.

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Abstract:
In a global context of children’s material and cultural deprivation, the Covid-19 pandemic contributed to redefine the human condition’s vulnerability, favoring the emergence of new forms of poverty and invisibility. Starting from the analysis of the consequences caused by the spread of the pandemic on children’s environment and fundamental development factors, the contribution focuses on the emerging educational challenges, to offer a pedagogical reflection on the possibilities of quality education at the time of emergency. The interviews – carried out as part of the Research Project Povertà educativa e Covid-19: linee di riflessione pedagogica e di advocacy per i minori – make possible to restore visibility and voice to the discomfort of mothers and children between zero and six years old, acting as a starting point for the development of some work’s lines for a reappropriation of relationality, awareness and corporeality, with a look at the children’s rights and at the society’s ethical and civil responsibility in their global protection. Linee pedagogiche e sentieri di coscientizzazione per un’educazione di qualità al tempo della pandemia Covid-19. In un contesto globale di forte deprivazione materiale e culturale dell’infanzia e dell’adolescenza, la pandemia da Covid-19 ha contribuito a ridefinire i volti della vulnerabilità della condizione umana, favorendo l’emergere di nuove forme di povertà e di invisibilità. A partire dall’analisi delle conseguenze provocate dalla pandemia sugli ambienti e sui fattori di sviluppo fondamentali della minore età, il contributo si concentra sulle sfide educative emergenti, per offrire una riflessione pedagogica sulle possibilità di una relazione e di una educazione di qualità dentro il tempo dell’emergenza. Le interviste svolte nell’ambito del Progetto di Ricerca Povertà educativa e Covid-19: linee di riflessione pedagogica e di advocacy per i minori hanno consentito di restituire visibilità e parola al disagio delle mamme dei bambini tra gli zero e i sei anni, ponendosi come punto di partenza per lo sviluppo di alcune linee di lavoro per una riappropriazione della relazionalità, della consapevolezza e della corporeità, con uno sguardo ai diritti dei minori e alla responsabilità etica e civile della società tutta nella loro tutela globale. In un contesto globale di forte deprivazione materiale e culturale dell’infanzia e dell’adolescenza, la pandemia da Covid-19 ha contribuito a ridefinire i volti della vulnerabilità della condizione umana, favorendo l’emergere di nuove forme di povertà e di invisibilità. A partire dall’analisi delle conseguenze provocate dalla diffusione della pandemia sugli ambienti e sui fattori di sviluppo fondamentali della minore età, il contributo si concentra sulle sfide educative emergenti, per offrire una riflessione pedagogica sulle possibilità di una relazione e di una educazione di qualità dentro il tempo dell’emergenza. Le interviste svolte nell’ambito del Progetto di Ricerca “Povertà educativa e Covid-19: linee di riflessione pedagogica e di advocacy per i minori” hanno consentito di restituire visibilità e parola al disagio delle mamme dei bambini tra gli zero e i sei anni, ponendosi come punto di partenza per lo sviluppo di alcune linee di lavoro per una riappropriazione della relazionalità, della consapevolezza e della corporeità, con uno sguardo ai diritti dei minori e alla responsabilità etica e civile della società tutta nella loro tutela globale.
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Curto, Natascia, and Cecilia Maria Marchisio. "Inclusion processes for persons with intellectual disability through multiple negotiation networks." Form@re - Open Journal per la formazione in rete 22, no. 1 (April 30, 2022): 229–44. http://dx.doi.org/10.36253/form-12568.

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Abstract:
This article explores multiple aspects of the inclusion processes related to the CRPD (Convention on the Rights of persons with disabilities) implementation process carried out in Asti (NW Italy) between 2016 and 2020. For the purpose of this article, data have been collected regarding the work of social work professionals, who supported individuals and families following the methodology of “enabling co-design”. The results show the necessity to allow interventions that create a support network to achieve full and equal citizenship, rethinking the transition to adult life through new epistemological categories that make it possible to overcome, both in theory and in practice, what is currently defined as a special adulthood. This goal may be achieved by adopting approaches that are more coherent with the scenario defined by the approval of the CRPD for the rights of persons with disabilities. Processi di inclusione per persone con disabilità intellettiva attraverso le reti negoziali multiple. Questo articolo esplora molteplici aspetti dei processi di inclusione relativi al percorso di attuazione della CRPD svolto ad Asti tra il 2016 e il 2020. Ai fini del presente articolo sono stati raccolti dati relativi al lavoro degli operatori che hanno sostenuto persone con disabilità e famiglie seguendo l’approccio della coprogettazione capacitante. I risultati mostrano la necessità di promuovere interventi che creino una rete di supporto per raggiungere una cittadinanza piena e paritaria, ripensando il passaggio alla vita adulta attraverso nuove categorie epistemologiche che permettano di superare, sia in teoria che in pratica, ciò che è attualmente definito come un adulto speciale. Questo obiettivo può essere raggiunto adottando approcci più coerenti con lo scenario definito dall'approvazione della CRPD per i diritti delle persone con disabilità.
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Harhoff, Frederik. "Securing criminal evidence in armed conflicts abroad." Military Law and the Law of War Review 58, no. 1 (November 25, 2020): 2–30. http://dx.doi.org/10.4337/mllwr.2020.01.01.

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Abstract:
This article concerns an issue that has become increasingly relevant for international coalition forces participating in joint military operations abroad, viz. the duty to collect, document, record and secure evidence of serious violations of international humanitarian law (IHL) and international human rights committed in armed conflicts. The point, simple as it seems, is that respect for justice and international humanitarian law requires that perpetrators of war crimes etc. be brought to justice. Yet prosecution and trial of these crimes cannot succeed without material proof and information that meet the standards for admission into evidence in criminal trials. However, judicial experience from international criminal trials suggests that much of the evidence produced in Court fails to meet this standard – and is therefore dismissed. The article highlights the need to secure evidence of these crimes and proposes five simple basic recommendations for military personnel who come across evidence of serious violations of international humanitarian law in armed conflicts: (1) be familiar with the elements of genocide, crimes against humanity, war crimes and aggression; (2) know the rules of the game regarding collection of evidence, including the duty to respect local norms and authorities and to follow any international rules or agreements, and the duty to comply with obligations to seek authorization for investigation from domestic authorities; (3) be careful in your registration and handling of evidence material; (4) be careful not to hurt yourself or others when you search for evidence; and (5) stay critical and impartial to all material and information you receive from others. Cet article aborde un problème que les forces armées des coalitions internationales rencontrent de plus en plus souvent lorsqu’elles participent à des opérations militaires conjointes à l’étranger: l’obligation de rassembler, de documenter, d’enregistrer et de garantir des preuves de violations graves du droit international humanitaire et des droits de l’homme lors de conflits armés. Aussi simple qu’il paraisse, le principe est le suivant: le respect de la justice et du droit international humanitaire implique que les auteurs de crimes de guerre et autres soient traduits en justice. Toutefois, les poursuites judiciaires et le procès qui s’ensuit ne peuvent aboutir sans preuves matérielles et informations qui répondent aux normes d’admission de la preuve dans les procès au pénal. L’expérience judiciaire de ces procès internationaux suggère néanmoins que bon nombre des preuves présentées au tribunal ne répondent pas à ces normes et sont dès lors rejetées. L’auteur insiste sur le besoin de fournir des preuves de ces crimes et propose cinq recommandations de base pour le personnel militaire qui aurait des preuves de violations graves du droit international humanitaire dans les conflits armés: (1) informez-vous sur les différents éléments qui composent le génocide, les crimes contre l’humanité, les crimes de guerre et les agressions; (2) connaissez les règles relatives au rassemblement de preuves, y compris le devoir de respecter les normes et autorités locales, de suivre les règles et accords internationaux, et de se conformer à l’obligation d’obtenir une autoris­ation des autorités nationales pour mener une enquête; (3) soyez prudents lorsque vous enregistrez et utilisez des éléments de preuve; (4) veillez à ne pas causer de tort aux autres ni à vous-même lorsque vous cherchez des preuves; et (5) restez critique et impartial lorsque vous recevez des informations d’autres personnes. Dit artikel bespreekt een kwestie die van toenemend belang is voor internationale coalitietroepen die deelnemen aan gezamenlijke militaire operaties in het buitenland, nl. de plicht om bewijs van ernstige schendingen van het internationaal humanitair recht (IHR) en van de mensenrechten in gewapende conflicten te verzamelen, te staven, vast te leggen en veilig te stellen. Het punt, hoe eenvoudig ook, is dat het respect voor de rechtspleging en het internationaal humanitair recht vereist dat de daders van oorlogsmisdaden enz. voor het gerecht worden gebracht. Toch kunnen deze misdaden niet succesvol vervolgd en berecht worden zonder materieel bewijs en informatie die voldoen aan de normen om als bewijs in strafprocessen te worden toegelaten. De ervaring uit internationale strafprocessen leert echter dat veel van het bewijsmateriaal dat in de rechtbank wordt aangedragen, niet aan deze norm voldoet – en daarom wordt verworpen. Het artikel benadrukt de noodzaak om het bewijs van deze misdaden veilig te stellen en stelt vijf eenvoudige basisaanbevelingen voor aan militairen die in gewapende conflicten bewijzen van ernstige schendingen van het internationaal humanitair recht aantreffen: (1) wees op de hoogte van de elementen van genocide, misdaden tegen de menselijkheid, oorlogsmisdaden en agressie; (2) ken de regels van het spel met betrekking tot het verzamelen van bewijs, met inbegrip van de plicht om de lokale normen en autoriteiten te respecteren en om alle internationale regels of overeenkomsten te volgen, evenals de plicht om te voldoen aan de verplichting dat aan binnenlandse autoriteiten toestemming moet worden gevraagd om een onderzoek in te stellen; (3) let op bij het registreren en behandelen van bewijsmateriaal; (4) zorg ervoor dat je jezelf of anderen geen schade berokkent wanneer je naar bewijs zoekt; en (5) blijf kritisch en onpartijdig ten opzichte van al het materiaal en de informatie die je van anderen ontvangt. El artículo aborda un problema que con el tiempo ha adquirido una importancia relevante para las fuerzas en coalición que participan en operaciones conjuntas en el exterior, tal cual es el deber de recoger, documentar, registrar y asegurar las pruebas de crímenes graves contra el Derecho Internacional Humanitario (DIH) y contra los derechos humanos cometidos en los conflictos armados. El asunto, tan simple como parece, es que el respeto por la justicia y el Derecho Internacional Humanitario exige que en definitiva los perpetradores de crímenes de guerra sean llevados ante la justicia. Sin embargo, la acusación y el enjuiciamiento de estos crímenes no pueden prosperar sin una prueba material e información que reúna los requisitos necesarios para ser admitida como prueba de cargo en juicios penales. Al hilo de esto, la experiencia judicial en procedimientos penales internacionales demuestra que muchas de estas pruebas presentadas ante un tribunal no cumplen con estos estándares y, por consiguiente, son rechazadas. El artículo resalta la necesidad de asegurar la prueba de estos crímenes y propone cinco recomendaciones básicas para el personal militar que deba requisar estas pruebas relativas a crímenes graves contra el Derecho Internacional Humanitario en conflictos armados: (1) Familiarizarse con los elementos constitutivos del crimen de genocidio, crímenes contra la humanidad, crímenes de guerra y crimen de agresión; (2) Conocer las reglas del juego relativas a la recogida de pruebas, incluido el deber de respetar las normas y a las autoridades locales y cualquier otra regla o acuerdo internacional, y el deber de cumplir con la obligación de solicitar autorización a las autoridades locales para llevar a cabo investigaciones; (3) Ser diligente en el registro y manejo de las pruebas materiales; (4) Tener cuidado de no dañarse o dañar a otros en la búsqueda de las pruebas; y (5) tener una actitud crítica e imparcial ante las pruebas e información que se reciba de otros. Questo articolo tratta di una questione che è diventata sempre più rilevante per le forze di coalizione internazionali che partecipano ad operazioni militari congiunte all’estero, vale a dire il dovere di raccogliere, documentare, registrare e mettere al sicuro le prove di gravi violazioni al diritto internazionale umanitario (IHL) e dei diritti umani commesse nei conflitti armati. Il punto, semplice come appare, è che il rispetto della giustizia e del diritto internazionale umanitario richiedono che gli autori di crimini di guerra etc. siano assicurati alla giustizia. Però l’azione penale e il processo per tali crimini non possono avere successo senza prove materiali e informazioni che soddisfino gli standard per l’ammissione come prova nei processi penali. Tuttavia, l’esperienza giudiziaria dei tribunali penali internazionali suggerisce che molte delle prove prodotte nei tribunali non soddisfano questi standard e perciò vengono respinte. Questo articolo evidenzia la necessità di garantire prove di questi crimini e propone cinque semplice raccomandazioni di base per il personale militare che si imbatte in prove di serie violazioni al diritto internazionale umanitario nei conflitti armati: (1) Conoscere gli elementi del genocidio, dei crimini contro l’umanità, dei crimini di guerra e dell’aggressione; (2) Conoscere le regole del gioco riguardo la raccolta delle prove, compreso il dovere di rispettare le norme e autorità locali e di seguire qualsiasi regola o accordo internazionale, e il dovere di rispettare gli obblighi di chiedere l’autorizzazione alle indagini alle autorità nazionali; (3) Fare attenzione nella registrazione e gestione del materiale probatorio; (4) Fare attenzione a non fare del male a se stessi od altri nella ricerca delle prove; e (5) Rimanere critici ed imparziali nei confronti di tutto il materiale e delle informazioni ricevute da altri. Dieser Artikel behandelt eine Angelegenheit, die für die Streitkräfte internationaler Koalitionen, die sich an gemeinsamen Militäreinsätzen im Ausland beteiligen, an Relevanz gewinnt, nämlich die Pflicht, Beweismittel schwerer Verletzungen des internationalen humanitären Rechts und internationaler Menschenrechte in bewaffneten Konflikten zu sammeln, zu dokumentieren, aufzuzeichnen und sicherzustellen. Der Kernpunkt, so einfach dieser scheinen mag, besteht darin, dass Respekt vor der Justiz und dem internationalen humanitären Recht erfordert, dass Täter von Kriegsverbrechen, usw. vor Gericht gebracht werden sollen. Dennoch können die Verfolgung und Ahndung dieser Verbrechen ohne materiellen Beweis und Informationen, die den Standards zur Zulassung als Beweismittel in Strafprozessen gerecht werden, nicht gelingen. Die gerichtliche Erfahrung internationaler Strafprozesse weist allerdings darauf hin, dass manche der dem Gericht unter­breiteten Beweise diesen Standards nicht gerecht werden, und somit abgewiesen werden. Der Autor unterstreicht, dass es notwendig ist, Beweise für diese Verbrechen sicher­zustellen, und schlägt fünf einfache Grundempfehlungen für Militärangehörige vor, die auf Beweise schwerer Verletzungen des internationalen humanitären Rechts in bewaffneten Konflikten stoßen: (1) Sorgen Sie dafür, dass Sie die Elemente des Genozids, der Verbrechen gegen die Menschlichkeit, Kriegsverbrechen und Aggressionen kennen; (2) seien Sie mit den Spielregeln hinsichtlich der Sammlung von Beweisen vertraut, und dies einschließlich der Pflicht, örtliche Normen und Autoritäten zu respektieren, irgendwelche internationale Regeln oder Abkommen zu befolgen und die Verpflichtungen zu erfüllen, um die Genehmigung zur Durchführung von Ermittlungen von den Behörden des betreffenden Landes einzuholen; (3) seien Sie vorsichtig bei Ihrer Erfassung von bzw. Ihrem Umgang mit Beweismaterial; (4) sorgen Sie dafür, dass Sie sich selbst oder anderen keinen Schaden zufügen, wenn Sie nach Beweisen suchen; und (5) bleiben Sie kritisch und unvoreingenommen in Bezug auf all das Material und alle Informationen, die Sie von anderen erhalten.
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Montero Herrero, Santiago. "La mujer romana y la expiación de los andróginos." Vínculos de Historia. Revista del Departamento de Historia de la Universidad de Castilla-La Mancha, no. 8 (June 20, 2019): 33. http://dx.doi.org/10.18239/vdh_2019.08.02.

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Abstract:
RESUMENEl nacimiento en la Antigua Roma de niños con rasgos sexuales masculinos y femeninos a la vez, los llamados andróginos o hermafroditas, eran considerados como un gravísimo prodigio. Su expiación, necesaria para el restablecimiento de las buenas relaciones entre los hombres y los dioses, quedó en manos exclusivamente de mujeres: ancianas, matronas y virgines.PALABRAS CLAVE: Antigua Roma, Matrona, prodigio, expiación, andróginoABSTRACTThe birth in ancient Rome of children with both male and female sexual features, so-called androgynes or hermaphrodites, was regarded as a an extraordinary phenomenon. Their expiation, necessary for the restoration of good relations between men and gods, remained exclusively in the hands of women: old women, midwives and virgines.KEY WORDS: Ancient Rome, midwife, prodigy, expiation, androgynus BIBLIOGRAFÍAAbaecherly Boyce, A. (1937), “The expiatory rites of 207 B. C.”, TAPhA, 68, 157-171.Allély, A. 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Carroll, Gunnar. "Clearing the smoke: evaluating the United States policy toward white phosphorus munitions in urban contexts." Military Law and the Law of War Review 59, no. 1 (June 2, 2021): 3–22. http://dx.doi.org/10.4337/mllwr.2021.01.01.

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Abstract:
As the world becomes more urbanized and wars are fought in more condensed areas it is important to continue to evaluate the propriety of certain methods of warfare in these new and varied contexts. This article offers that when debates arise over the propriety of using certain weapons systems, an outright or systematic ban of that weapon system should rarely be the outcome. Rather, it is far more appropriate to provide armies with as many tools as possible to bring an armed conflict to a quick and decisive end and to hold those commanders and warfighters accountable to using those tools in accordance with international law, treaties, and norms. To do otherwise would unnecessarily handcuff and endanger those that are doing the fighting. This article presents this argument through the lens of the United States’ policy toward using white phosphorus munitions in urban contexts. The United States, among other militaries, has continued to employ white phosphorus munitions in the face of increased international scrutiny. This article evaluates that policy and concludes that it is both legal and appropriate provided that targeting decisions are made in accordance with traditional law of armed conflict principles and with an eye toward humanitarian imperatives. This conclusion is supported by a survey of relevant international treaties, various states’ practice, and is illustrated by hypothetical anecdotes provided by the author. Dans un monde de plus en plus urbanisé, où des guerres se déroulent dans des régions plus densément peuplées, il est important de continuer à évaluer l’opportunité de certaines méthodes de guerre dans ces contextes nouveaux et variés. Cet article avance que, lorsque l’opportunité d’utiliser certains systèmes d’arme fait débat, cela ne devrait que rarement résulter dans une interdiction totale ou systématique du système d’arme en question. Au contraire, il est bien plus opportun de munir les armées d’autant d’instruments que possible pour mettre un terme aux conflits armés de manière rapide et décisive, et de tenir les commandants et les combattants responsables de l’utilisation de ces instruments, conformément au droit international, aux traités et aux normes. Agir autrement représenterait une entrave et une mise en danger inutiles des combattants sur le terrain. Cet article présente cette argumentation au travers de la politique des États-Unis en matière d’utilisation de munitions au phosphore blanc en milieu urbain. L’armée des États-Unis, parmi d’autres, a continué à utiliser des munitions au phosphore blanc malgré une surveillance internationale accrue. L’article évalue cette politique et conclut qu’elle est à la fois légale et appropriée, à condition que les décisions en matière de ciblage soient prises conformément aux principes consacrés du droit des conflits armés et en gardant à l’esprit les impératifs humanitaires. Cette conclusion est étayée par une étude des traités internationaux pertinents et des pratiques de différents États, et est illustrée par des anecdotes hypothétiques fournies par l’auteur. Aangezien de wereld steeds meer verstedelijkt en oorlogen in compactere gebieden worden uitgevochten, is het belangrijk om te blijven evalueren of bepaalde methoden van oorlogvoering gepast zijn in deze nieuwe en diverse contexten. Dit artikel stelt dat, wanneer er discussie is over de gepastheid van het gebruik van bepaalde wapensystemen, dit zelden zou moeten leiden tot een regelrecht of systematisch verbod van dat wapen­systeem. Integendeel, het is veel beter om legers van zoveel mogelijk middelen te voorzien om een gewapend conflict snel en beslissend te beëindigen en om commandanten en oorlogvoerende partijen verantwoordelijk te houden voor het gebruik van deze middelen overeenkomstig het internationaal recht en de internationale verdragen en normen. Anders zou dat degenen die de strijd voeren, onnodig beknotten en in gevaar brengen. Dit artikel bekijkt dit argument door de lens van het beleid van de Verenigde Staten betreffende het gebruik van witte fosformunitie in stedelijke omgevingen. De Verenigde Staten zijn, net zoals andere legers, doorgegaan met het gebruik van witte fosformunitie ondanks to­egenomen internationaal toezicht. In dit artikel wordt dat beleid geëvalueerd en wordt geconcludeerd dat het zowel wettig als gepast is op voorwaarde dat de beslissingen over de doelbestrijding worden genomen in overeenstemming met de traditionele beginselen van het recht van de gewapende conflicten en met het oog op humanitaire vereisten. Deze conclusie wordt ondersteund door een overzicht van de relevante internationale verdragen en de praktijk van diverse staten, en wordt geïllustreerd aan de hand van hypothetische anekdotes van de auteur. A medida que el mundo se vuelve más urbanizado y las guerras se libran en áreas más concentradas, es importante continuar evaluando la idoneidad de ciertos métodos de guerra en estos nuevos y variados contextos. Este artículo sugiere que cuando surgen debates sobre la conveniencia de usar ciertos sistemas de armas, el resultado raramente debería ser una prohibición total o sistemática de ese sistema de armas. Más bien, es mucho más apropiado proporcionar a los ejércitos tantas herramientas como sea posible para llevar un conflicto armado a un final rápido y decisivo y hacer que esos comandantes y combatientes sean responsables del uso de esas herramientas de conformidad con el derecho, los tratados y las normas internacionales. Hacer lo contrario limitaría innecesariamente y pondría en peligro a quienes están combatiendo. Este artículo presenta este argumento a través de la lente de la política de los Estados Unidos hacia el uso de municiones de fósforo blanco en contextos urbanos. Estados Unidos, entre otros ejércitos, ha seguido empleando municiones de fósforo blanco ante el creciente escrutinio internacional. Este artículo evalúa esa política y concluye que es legal y apropiada siempre que las decisiones de selección de objetivos se tomen de acuerdo con los principios del Derecho tradicional de los conflictos armados y teniendo en cuenta los imperativos humanitarios. Esta conclusión está respaldada por un estudio de los tratados internacionales relevantes, la práctica de varios Estados y está ilustrada por anécdotas hipotéticas proporcionadas por el autor. Man mano che il mondo diventa più urbanizzato e le guerre si combattono in aree più concentrate, è importante continuare a valutare la correttezza di alcuni metodi di guerra in questi nuovi e cambiati contesti. Questo articolo afferma che quando sorgono dibattiti sull’opportunità di usare determinati armamenti, raramente il risultato dovrebbe essere un divieto totale o sistematico di quel sistema d’arma. Piuttosto, è molto più appropriato fornire agli eserciti quanti più strumenti possibili per porre fine in modo rapido e decisivo a un conflitto armato e ritenere quei comandanti e combattenti responsabili dell'uso di quegli strumenti in conformità con il diritto internazionale, i trattati e le norme. Fare altrimenti significherebbe immobilizzare inutilmente e mettere in pericolo coloro che stanno combattendo. Questo articolo presenta l’argomento attraverso l’ottica della politica degli Stati Uniti nei confronti dell'uso delle munizioni al fosforo bianco in contesti urbani. Gli Stati Uniti, tra gli altri eserciti, hanno continuato a impiegare munizioni al fosforo bianco a fronte di un maggior controllo internazionale. Questo articolo valuta tale politica e conclude che è sia legale che appropriata, a condizione che le decisioni a tal fine siano prese in conformità con i principi tradizionali del diritto dei conflitti armati e con attenzione agli imperativi umanitari. Questa conclusione è sostenuta da una revisione dei trattati internazionali pertinenti, dalla pratica di vari Stati, ed è corredata da ipotetici aneddoti forniti dall'autore. Da die Welt immer stärker urbanisiert wird und Kriege in immer stärker verdichteten Zonen geführt werden, ist es wichtig, die Geeignetheit bestimmter Methoden der Kriegsführung in diesen neuen und unterschiedlichen Kontexten weiterhin zu bewerten. Dieser Artikel behauptet, dass sich, wenn sich eine Debatte über die Geeignetheit der Verwendung bestimmter Waffensysteme anspinnt, daraus selten ein absolutes oder systematisches Verbot des betreffenden Waffensystems ergeben soll. Vielmehr ist es angebracht, Armeen mit möglichst vielen Mitteln auszustatten, damit ein bewaffneter Konflikt zu einem raschen und entscheidenden Ausgang gebracht wird, sowie Befehlshaber und Kombattanten hinsichtlich der Verwendung dieser Mittel in Übereinstimmung mit dem Völkerrecht, Verträgen und Normen zur Rechenschaft zu ziehen. Eine andere Vorgehensweise würde denjenigen, die kämpfen, unnötig Zügel anlegen und sie gefährden. Dieser Artikel betrachtet dieses Argument durch die Linse der Politik der Vereinigten Staaten in Bezug auf die Verwendung weißer Phosphormunition in einer städtischen Umgebung. Die Streitkräfte der Vereinigten Staaten haben, wie auch andere Streitkräfte, angesichts zunehmender internationaler Kritik, weiterhin weiße Phosphormunition verwendet. Der Artikel be­wertet diese Politik und schlussfolgert, dass diese sowohl rechtmäßig als geeignet ist, vorausgesetzt, dass die Zielentscheidungen in Übereinstimmung mit den herkömmlichen Grundsätzen des Rechts der bewaffneten Konflikte und unter Berücksichtigung humanitärer Gebote getroffen werden. Diese Schlussfolgerung wird mit einem Überblick über relevante internationale Abkommen und die Praxis verschiedener Staaten untermauert und wird mit hypothetischen Anekdoten vom Autor illustriert.
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Cirimwami, Ezéchiel Amani, and Pacifique Muhindo Magadju. "Prosecuting rape as war crime in the Democratic Republic of the Congo: lessons and challenges learned from military tribunals." Military Law and the Law of War Review 59, no. 1 (June 1, 2021): 44–70. http://dx.doi.org/10.4337/mllwr.2021.01.03.

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Abstract:
Several armed conflicts have marked the past two decades in the Democratic Republic of the Congo (DRC). As a result, the DRC is facing an unprecedented humanitarian disaster with the death of hundreds of thousands of people, the large-scale displacement of civilians and the rape of thousands of women, girls and men. These armed conflicts have led to the metamorphosis of the concept of ‘crime’ with the emergence of new forms of sexual violence, particularly the widespread sexual violence used by armed groups as a tactic of war. In response to this avalanche of sexual violence, the DRC has taken a series of legislative measures. It began with the ratification of the Statute of the International Criminal Court (Rome Statute) on 11 April 2002. This was followed by the promulgation of the Military Judicial Code and the Military Criminal Code on 18 November 2002 (MJC and MCC, respectively) criminalizing, inter alia, war crimes, crimes against humanity and genocide. In 2006, the Congolese legislator criminalized various forms of sexual crimes as defined by international law in the Military Penal Code. On 31 December 2015, the Congolese authorities promulgated Law No. 15/022, amending and supplementing the Military Penal Code, for the implementation of the Rome Statute. Through this Law, the legislator has included in the Congolese Ordinary Criminal Code rape and other sexual assaults constituting war crimes, and in some circumstances, crimes against humanity. In terms of prosecutions, around 40 cases of rape classified as war crimes and crimes against humanity have been tried by Congolese military courts, and a few other cases are being investigated. This article seeks to assess the progress made by the DRC in prosecuting rape as a war crime and the challenges to such prosecutions. La République démocratique du Congo (RDC) a été marquée par plusieurs conflits armés au cours des deux dernières décennies. Il en résulte que ce pays est confronté à une catastrophe humanitaire sans précédent avec la mort de centaines de milliers de personnes, le déplacement à grande échelle de civils et le viol de milliers de femmes, de filles et d'hommes. Ces conflits armés ont entraîné une métamorphose du concept de ‘crime’ avec l'émergence de nouvelles formes de violence sexuelle, notamment la violence sexuelle généralisée utilisée par les groupes armés comme tactique de guerre. En réponse à cette avalanche de violences sexuelles, la RDC a adopté une série de mesures législatives. La première fut la ratification du Statut de la Cour pénale internationale (Statut de Rome) le 11 avril 2002. Cette ratification fut suivie par la promulgation du Code judiciaire militaire et du Code pénal militaire le 18 novembre 2002 (respectivement le CMJ et le CCM) qui criminalisent, entre autres, les crimes de guerre, les crimes contre l'humanité et le génocide. En 2006, le législateur congolais a incriminé dans le Code pénal militaire diverses formes de crimes sexuels tels que définis par le droit international. Le 31 décembre 2015, les autorités congolaises ont promulgué la loi no 15/022, modifiant et complétant le Code pénal militaire, pour la mise en œuvre du Statut de Rome. A travers cette loi, le législateur a inclus dans le Code pénal ordinaire congolais les viols et autres agressions sexuelles constitutifs de crimes de guerre, et dans certaines circonstances, de crimes contre l'humanité. En termes de poursuites, une quarantaine de cas de viols qualifiés de crimes de guerre et de crimes contre l'humanité ont été jugés par les tribunaux militaires congolais, et quelques autres cas sont en cours d'instruction. Cet article vise à évaluer les progrès réalisés par la RDC en matière de poursuites pénales pour viol en tant que crime de guerre et les défis auxquels ces poursuites sont confrontées. Verschillende gewapende conflicten hebben de afgelopen twee decennia hun stempel gedrukt op de Democratische Republiek Congo (DRC). Als gevolg daarvan wordt de DRC geconfronteerd met een ongekende humanitaire ramp die gepaard gaat met de dood van honderdduizenden mensen, de grootschalige ontheemding van burgers en de verkrachting van duizenden vrouwen, meisjes en mannen. Die gewapende conflicten hebben geleid tot een metamorfose van het begrip ‘misdaad’ met de opkomst van nieuwe vormen van seksueel geweld, in het bijzonder het wijdverspreide seksuele geweld dat door gewapende groepen als oorlogstactiek wordt gebruikt. Als reactie op die lawine van seksueel geweld heeft de DRC een reeks wetgevende maatregelen genomen. Het begon met de ratificatie van het Statuut van het Internationaal Strafhof (Statuut van Rome) op 11 april 2002, gevolgd door de afkondiging van het militair gerechtelijk wetboek en het militair strafwetboek op 18 november 2002. Daarin worden onder meer oorlogsmisdaden, misdaden tegen de mensheid en genocide strafbaar gesteld. In 2006 heeft de Congolese wetgever verschillende vormen van seksuele misdrijven, zoals omschreven in het internationaal recht, strafbaar gesteld in het militair strafwetboek. Op 31 december 2015 hebben de Congolese autoriteiten wet nr. 15/022 tot wijziging en aanvulling van het militair strafwetboek uitgevaardigd, met het oog op de uitvoering van het Statuut van Rome. Met die wet heeft de wetgever verkrachting en andere vormen van seksueel geweld die te beschouwen zijn als oorlogsmisdaden, en in sommige omstandigheden misdaden tegen de mensheid, in het gewone Congolese Wetboek van Strafrecht opgenomen. Wat vervolging betreft, zijn ongeveer 40 gevallen van verkrachting die als oorlogsmisdaden en misdaden tegen de mensheid werden aangemerkt, door de Congolese militaire rechtbanken berecht, en enkele andere gevallen worden momenteel onderzocht. Deze studie heeft tot doel na te gaan welke vooruitgang de DRC heeft geboekt bij de vervolging van verkrachting als oorlogsmisdaad en voor welke uitdagingen dergelijke vervolgingen staan. Varios conflictos armados han dejado huella en las dos décadas pasadas en la República Democrática del Congo (RDC). A resultas de ello, la RDC se está enfrentando a un desastre humanitario sin precedentes con la muerte de cientos de miles de personas, desplazamiento de civiles a gran escala y la violación de miles de mujeres, niñas y hombres. Estos conflictos armados han llevado a la metamorfosis del concepto de ‘crimen’ con la aparición de nuevas formas de violencia sexual, en particular el uso generalizado de la violencia sexual por grupos armados como táctica de guerra. En respuesta a esta avalancha de violencia sexual, la RDC ha adoptado una serie de medidas legislativas. Todo comenzó con la ratificación del Estatuto de la Corte Penal Internacional (Estatuto de Roma) el 11 de abril de 2002. A esto siguió la promulgación del Código Judicial Militar y del Código Penal Militar el 18 de noviembre de 2002 (Código Judicial Militar y Código Penal Militar, respectivamente), penalizando, entre otros, los crímenes contra la humanidad y el genocidio. En 2006, el legislador congoleño introdujo en el Código Penal Militar varias modalidades de crimen sexual tal y como se definen en el Derecho Internacional. El 31 de diciembre de 2015, la autoridades congoleñas promulgaron la Ley Núm. 15/022, reformando y complementando el Código Penal Militar, con objeto de implementar el Estatuto de Roma. A través de esta ley, el legislador ha tipificado en el Código Penal Común la violación y otros ataques sexuales que constituyen crímenes de guerra y, en algunas circunstancias, crímenes contra la humanidad. En términos de procedimientos instruidos, cerca de 40 casos de violación tipificada como crímenes de guerra y crímenes contra la humanidad han sido tramitados por los tribunales militares congoleños, y varios casos más continúan siendo objeto de investigación. Este estudio busca valorar el progreso de la RDC en la persecución de la violación como crimen de guerra y los retos a los que se ha tenido que hacer frente en dicha tarea. Gli ultimi due decenni della Repubblica Democratica del Congo (RDC) sono stati segnati da diversi conflitti armati. Di conseguenza, la RDC sta affrontando un disastro umanitario senza precedenti con la morte di centinaia di migliaia di persone, lo sfollamento di civili su larga scala e lo stupro di migliaia di donne, ragazze e uomini. Questi conflitti armati hanno portato alla metamorfosi del concetto di ‘crimine’ con l'emergere di nuove forme di violenza sessuale, in particolare la diffusa violenza sessuale usata dai gruppi armati come tattica di guerra. In risposta a questa valanga di violenza sessuale, la RDC ha adottato una serie di misure legislative. È iniziato tutto con la ratifica dello Statuto della Corte penale internazionale (Statuto di Roma) l'11 aprile 2002. A ciò è seguita la promulgazione del Military Judicial Code and the Military Criminal Code il 18 novembre 2002 (rispet­tivamente Codice giudiziario militare e Codice penale militare), che hanno criminalizzato, tra l'altro, crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio. Nel 2006, il legislatore congolese ha definito come crimini varie forme di reati sessuali così come definito dal diritto internazionale nel Codice Penale Militare. Il 31 dicembre 2015 le autorità congolesi hanno promulgato la Legge n. 15/022, che modifica e integra il Codice Penale Militare, per l'attuazione dello Statuto di Roma. Attraverso questa legge, il legislatore ha incluso nel Codice penale Ordinario congolese lo stupro e altre aggressioni sessuali definiti crimini di guerra e, in alcune circostanze, crimini contro l'umanità. In termini di procedimenti penali, circa 40 casi di stupro classificati come crimini di guerra e crimini contro l'umanità sono stati processati dai tribunali militari congolesi e alcuni altri casi sono oggetto di indagine. Questo studio cerca di valutare i progressi compiuti dalla RDC nel perseguire lo stupro come crimine di guerra e l’impegno in tali procedimenti penali. Mehrere bewaffnete Konflikte haben die vergangenen zwei Jahrzehnte in der Demokratischen Republik Kongo (DRK) geprägt. Als Folge dessen steht die DRK vor einer beispiellosen humanitären Katastrophe mit dem Tod von Hunderttausenden von Menschen, der massiven Vertreibung von Zivilisten und der Vergewaltigung von Tausenden von Frauen, Mädchen und Männern. Diese bewaffneten Konflikte haben zu einer Metamorphose des Begriffs ‘Verbrechen’ mit dem Aufkommen neuer Formen sexueller Gewalt geführt, insbesondere der weit verbreiteten sexuellen Gewalt, die von bewaffneten Gruppen als Kriegstaktik eingesetzt wird. Als Reaktion auf diese Lawine sexueller Gewalt hat die DRK eine Reihe von gesetzlichen Maßnahmen ergriffen. Es begann mit der Ratifizierung des Statuts des Internationalen Strafgerichtshofs (Römisches Statut) am 11 April 2002. Es folgte die Verkündung des Militärgerichtsgesetzbuchs und des Militärstrafgesetzbuchs am 18. November 2002, die unter anderem Kriegsverbrechen, Verbrechen gegen die Menschlichkeit und Völkermord unter Strafe stellen. Im Jahr 2006 hat der kongolesische Gesetzgeber im Militärstrafgesetzbuch verschiedene Formen von Sexualverbrechen im Sinne des Völkerrechts unter Strafe gestellt. Am 31. Dezember 2015 haben die kongolesischen Behörden das Gesetz Nr. 15/022 zur Änderung und Ergänzung des Militärstrafgesetzbuchs im Hinblick auf die Umsetzung des Römischen Statuts verkündet. Mit diesem Gesetz hat der Gesetzgeber Vergewaltigung und andere sexuelle Übergriffe, die Kriegsverbrechen und unter gewissen Umständen auch Verbrechen gegen die Menschlichkeit darstellen, in das kongolesische ordentliche Strafgesetzbuch aufgenommen. Was die Strafverfolgung anbelangt, so wurden etwa 40 Fälle von Vergewaltigung, die als Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit eingestuft werden, von kongolesischen Militär­gerichten abgeurteilt, und einige weitere Fälle werden derzeit untersucht. Diese Studie versucht, die Fortschritte der DRK bei der strafrechtlichen Verfolgung von Vergewaltigung als Kriegsverbrechen und die Herausforderungen für solche Verfolgungen zu bewerten.
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Pereira, Jeremias, and Lívia Haygert Pithan. "Il rapporto tra diritto internazionale pubblico e diritto petrolifero: studio del caso tra Timor-Leste e l'Australia." Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, December 11, 2019, 31–51. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/legge/diritto-internazionale-pubblico.

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Abstract:
Questo articolo ha lo scopo di analizzare la Legge del Mare e il Petrolio per comprendere le ragioni che hanno generato, per più di un decennio, il conflitto tra Timor-Leste e l'Australia per quanto riguarda la definizione di confini marittimi definitivi. Timor-Leste è già stato sfruttato e invaso da diverse nazioni. A causa dell'abbondanza di petrolio e gas naturale, ha sofferto per ottenere l'indipendenza nel 2002, così come ha lottato per godere del suo territorio marittimo fino al 2018, da questo nuovo contesto del trattato di frontiera marittima firmato tra Timor-Leste e la Australia. La linea di equidistanza mediana è stato il parametro utilizzato per definire i confini definitivi di Timoresi, concedendo il diritto di godere del loro territorio marittimo. Il patto definitivo sulle frontiere ha contribuito notevolmente allo sviluppo di Timor Est, grazie allo sfruttamento delle ricchezze marine, oltre a riconoscere la necessità del paese di compagnie petrolifere che contribuiscano all'evoluzione di Timor-Leste in modo specifico e puntuale. Ciò deve ora essere ratificato dai parlamenti nazionali di entrambi i paesi. Il processo di ratifica dovrebbe essere completato nel 2019. Timor-Leste sta attualmente cercando di negoziare i suoi confini marittimi con l'Indonesia, ma questi sono stati sospesi durante il processo di conciliazione obbligatorio con l'Australia. Ora che questo processo è finito, i due paesi possono riprendere le discussioni. Parole chiave: diritto petrolifero, diritto internazionale, diritto marittimo.
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Meaney, Joseph, Marina Casini, Emanuela Midolo, and Antonio G. Spagnolo. "The human rights to life and conscience and resolving conflicts of human rights." Medicina e Morale 65, no. 5 (November 23, 2016). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2016.457.

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Abstract:
Gli autori affrontano la questione del criterio da seguire per risolvere le situazioni in cui i diritti umani legalmente riconosciuti entrano in conflitto tra loro. La questione è aggravata dalla mancanza di consenso per quanto riguarda le priorità tra i diritti umani. Tuttavia, gli autori ritengono che quando è in gioco il diritto alla vita, questo – sia dal punto di vista etico che giuridico – dovrebbe prevalere sulle rivendicazioni di altri diritti, quanto meno nella sua formulazione negativa (non cagionare la morte). Si tratta infatti, logicamente e cronologicamente del più fondamentale dei diritti. Gli autori ritengono che vi sia una forte logica a stabilire una priorità tra le tre generazioni di diritti umani andando dal più al meno importante. È comunque un utile esercizio quello di esaminare – nella dimensione del conflitto tra diritti – la questione del diritto al rispetto della coscienza nell’ambito sanitario, cercando di stabilire l’ordine delle priorità. Gli autori approvano la posizione assunta da legislazioni e decisioni giudiziarie che generalmente assicurano il riconoscimento del diritto al rispetto della coscienza per gli operatori sanitari.The authors raise the question of what should be done when legally recognized human rights come into conflict. This serious problem is further complicated by a lack of consensus concerning prioritization among human rights. Nevertheless, the authors believe that a solid legal and ethical case can be made that the right to life should trump other human rights claims, particularly in its negative version. It is in fact, logically and chronologically the most basic human right. The authors believe that there is a strong logic to prioritizing the three generations of human rights as generally more important to less so. Viewing the problem of conscience rights in healthcare settings through the prism of conflicting rights and attempting to determine which rights should prevail is also a helpful exercise. The authors concur with the generally high position that the human right of conscience of healthcare professionals has been granted in most legislation and court decisions on the issue.
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"RECENSIONES." Spanish Yearbook of International Lawi 2, no. 71 (September 20, 2019): 319–46. http://dx.doi.org/10.17103/redi.71.2.2019.4.

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Abstract:
Ballesteros Barros, Á. M., La responsabilidad de la sociedad dominante en los grupos internacionales de sociedades, Navarra, Civitas-Thomson Reuters, 2018, 362 pp., por Lucas Andrés Pérez Martín Belintxon Martín, U., Cooperación, seguro y actividades deportivas transfronterizas, Navarra, Aranzadi-Thomson Reuters, 2018, 198 pp., por María del Carmen Chéliz Inglés Caligiuri, A., L’arbitrato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, 272 pp., por Eduardo Jiménez Pineda Campuzano Díaz, B., Los acuerdos de elección de foro. Un análisis comparado de su regulación en el Convenio de La Haya de 2005 y en el Reglamento 1215/2012, Granada, Comares, 2018, 259 pp., por Mónica Herranz Ballesteros Chéliz Inglés, M.ª C., La sustracción internacional de menores y la mediación. Retos y vías prácticas de solución, Valencia, Tirant lo Blanch, 2019, 405 pp., por M.ª Ángeles Rodríguez Vázquez Cortés Marín, J. M., Avatares del proceso de adhesión de la Unión Europea al Convenio Europeo de Derechos Humanos, Madrid, Reus, 2018, 247 pp., por Casilda Rueda Fernández Díaz Barrado, C. M., América en busca de la integración: rasgos y principios desde la óptica del Derecho internacional, Valencia, Tirant lo Blanch, 2018, 311 pp., por Manuel Cienfuegos Mateo Fernández Illanes, S., La codificación y decodificación del Derecho internacional por los organismos internacionales, Valencia, Tirant lo Blanch, 2018, 145 pp., por Eduardo Vilariño Pintos Gómez Isa, F., Churruca Muguruza, C. y Wouters, J. (eds.), EU Human rights and democratization policies. Achievements and challenges, Routledge, 2018, 188 pp., por Noé Cornago Gómez Jene, M., Arbitraje Comercial Internacional, Cizur Menor, Civitas-Thomson Reuters, 2018, 536 pp., por Juan José Álvarez Rubio Hornero Méndez, C., Ybarra Bores, A., González Martín, N. y Rodríguez Martínez, E. (coords.), Derecho Sucesorio Comparado. Las experiencias española y mexicana en un contexto internacional, Ciudad de México, Tirant lo Blanch, 2019, 425 pp., por Carlos H. Reyes Díaz Igl esias Buigues, J. L. y Palao Moreno, G. (dirs.), Régimen económico matrimonial y efectos patrimoniales de las uniones registradas en la Unión Europea. Comentarios a los Reglamentos (UE) núms. 2016/1103 y 2016/1104, Valencia, Tirant lo Blanch, 2019, 583 pp., por Pilar Blanco-Morales Limones Manero Salv ador, A., Los tratados de libre comercio de Estados Unidos y de la Unión Europea, Barcelona, Bosch, 2018, 367 pp., por Antonio Segura Serrano Oanta, G. A. (coord.), El Derecho del Mar y las personas y grupos vulnerables, Bosch Editor, 2018, 426 pp., por Rafael Casado Raigón Santaolalla Montoya, C., La Política de Competencia en su Proyección sobre el Agro Español, Navarra, Aranzadi-Thomson Reuters, 2018, 299 pp., por Julio Antonio García López They, M., La protection internationale du patrimoine culturel de la mer: les compétences de l’État sur les biens culturels submerges, Leiden/Boston, Brill/ Martinus Nijhoff (Études de Droit International, vol. 9), 2018, 655 pp., por Mariano J. Aznar Gómez
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