To see the other types of publications on this topic, follow the link: Diritti culturali.

Dissertations / Theses on the topic 'Diritti culturali'

Create a spot-on reference in APA, MLA, Chicago, Harvard, and other styles

Select a source type:

Consult the top 50 dissertations / theses for your research on the topic 'Diritti culturali.'

Next to every source in the list of references, there is an 'Add to bibliography' button. Press on it, and we will generate automatically the bibliographic reference to the chosen work in the citation style you need: APA, MLA, Harvard, Chicago, Vancouver, etc.

You can also download the full text of the academic publication as pdf and read online its abstract whenever available in the metadata.

Browse dissertations / theses on a wide variety of disciplines and organise your bibliography correctly.

1

FERRI, Marcella. "La tutela dei diritti culturali nel diritto internazionale dei diritti umani." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2013. http://hdl.handle.net/10446/28977.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
2

DELLI, QUADRI Alessandra. "La (po)etica del mais. Diritti culturali ed epistemologia della cosmovisione maya." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2013. http://hdl.handle.net/10446/28974.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
3

Furlan, Clara <1995&gt. "Donne, diritti e violazioni. La questione femminile nella società Post-Jugoslava." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19695.

Full text
Abstract:
Questa tesi prende vita dalla volontà di raggiungere una sempre più effettiva parità di genere ed emancipazione femminile. Tenendo presente quanto questo sia un problema diffuso in tutto il mondo, l’elaborato si concentrerà in particolare sulla posizione della figura femminile in quello che, ad oggi, viene considerato spazio Post-Jugoslavo. Esplorerà, infatti, la posizione e il ruolo della donna dagli anni ’90 ad oggi, analizzandoli in contesti letterari, sociali, politici e culturali. Questo elaborato prenderà in esame, dapprima, la visione della donna all’interno della società jugoslava dal punto di vista storico-culturale, cercando di comprendere quale sia stata la direzione intrapresa dalle donne e quale fosse la loro posizione all’interno della società. Successivamente verrà preso in rassegna il ruolo della figura femminile e la sua funzione politica all’interno del contesto delle guerre jugoslave degli anni ’90 attraverso reportage e testimonianze significative. Infine, l’elaborato esplorerà la situazione attuale per comprendere a che punto è la condizione della donna tra il rispetto dei diritti e la violazione degli stessi esaminando i vari movimenti nati con la fine delle guerre jugoslave diffusisi in tutto il territorio. L’elaborato mira a contribuire al raggiungimento dell’obiettivo 5 dell’agenda ONU 2030 che prevede la parità di genere, l’eliminazione della violenza di genere e l'uguaglianza dei diritti umani.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
4

PICCO, Valentina. "Schiavitù e identità culturale: possono i diritti culturali diventare strumento di riappropriazione della libertà da parte della popolazione mauritana?" Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2012. http://hdl.handle.net/10446/26724.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
5

Mandrioli, Elisabetta. "La valutazione degli interventi per la promozione dei diritti e dei doveri sociali: il contributo del volontariato." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2011. http://hdl.handle.net/11577/3421581.

Full text
Abstract:
This PhD thesis aims to increase the knowledge about two related areas: 1) how voluntary organisations do interpret their role of promotion and rights’ defence in protecting (the needs of) the weaker sections of the population and 2) how the evaluation of results derived from their actions can, or could, support their role, mainly assessing effectiveness and social impact. Furthermore, this work considers the evaluation methods used in the social field and, in particular, it describes two examples of “choice experiments”. The goal is twofold: to deepen their usage in the social field, exploring potentialities and limits, and to better understand the values that orientate volunteers in order to define if changes of scenarios – as prospective assessment – can support the decision making and the future impact evaluations. Findings presented in this work relate to three research studies completed in 2009-2010. Such studies provide some clues for understanding the core issues of this thesis through dif-ferent perspectives: key people considered “expert” in the voluntary field, volunteer people and CSVs (coordinating and funding bodies). These latter were interested in assessing the impact of funded programmes comparing three different points of view: voluntary organisations funded by them, clients of services provided by voluntary organisations, representatives of the local welfare system. Qualitative and quantitative methods and tools provided data discussed in this thesis. Findings suggest that voluntary organisations must interact with institutions in order to act as stimulus and critical conscience in regard to marginalisation, actively participating in service planning and working in network for increasing their operational and strategic power, always respecting their role and autonomy and avoiding the risks of instrumental usage and institutionalisation. Furthermore, findings suggest that, in general, voluntary organisations are not completely aware of the strengths and potentialities that could derive from assessing the results of their actions, using appropriate methods and tools. The need of evaluation starts to be on the agenda of some voluntary organisations but it is important mainly for the funding bodies. Assessing the effectiveness and the social impact of voluntary actions can help to qualify ser-vices and interventions, and to give more transparency and accountability: it allows to identify priorities and plan interventions on the basis of the real need of people and communities, strengthening their credibility, creating trust with institutions and different subjects of the community, increasing the capacity of social influence. As regard the methodology, studies based on choice experiments gave positive results in terms of information gathered and their transferability to not consolidated contexts. Also results highlighted how choice experiments can support the preventive impact evaluation. Some limits refer to the complexity of the tool and the difficulties to be understood by some groups of people. For this reason we asked for more studies and research that will follow the pathway I proposed in this work.
Questa tesi di dottorato si propone di offrire un contributo conoscitivo rispetto a due aree di indagine, tra loro connesse: come il volontariato organizzato interpreta oggi il proprio ruolo di tutela dei bisogni delle persone più svantaggiate, di promozione e difesa dei loro diritti, e che supporto ne trae, o potrebbe trarne, dalla valutazione dei risultati degli interventi realizzati, soprattutto per quanto riguarda la loro efficacia e il loro impatto sociale. Inoltre, il lavoro intende portare un contributo alla riflessione sui metodi di valutazione in ambito sociale, attraverso due applicazioni degli “esperimenti di scelta”. L’obiettivo è duplice: da un lato, approfondirne le condizioni di utilizzo in campo sociale, esplorandone potenzialità e limiti; dall’altro, ottenere informazioni aggiuntive sui valori che orientano l’azione dei volontari e comprendere se simulazioni di scenario - intese come valutazione prospettica - possano favorire lo sviluppo di ipotesi da sottoporre a successiva verifica (contributo in termini di valutazione preventiva di impatto). I risultati provengono da tre studi, realizzati nel 2009-2010, che offrono una lettura dei temi oggetto di indagine da un triplice punto di osservazione: quello dei testimoni privilegiati del mondo del volontariato; quello dei volontari; quello dei Centri di servizio per il volontariato, che a loro volta hanno valutato l’impatto dei progetti finanziati attraverso la rilevazione e il confronto dei punti di vista di tre soggetti: le organizzazioni di volontariato beneficiarie dei finanziamenti, i destinatari dei servizi realizzati dalle organizzazioni, i rappresentanti del welfare locale. Per la rilevazione dei dati si è fatto uso di metodi e strumenti quantitativi e qualitativi e degli esperimenti di scelta. I risultati ottenuti suggeriscono che per riaffermare la centralità dell’interesse generale e del bene comune e riportare al centro dell’attenzione la dimensione dell’uguaglianza, della solidarietà e dei comuni diritti di cittadinanza, il volontariato deve interagire con le istituzioni, fungendo da stimolo e coscienza critica rispetto alle situazioni di emarginazione, partecipando attivamente alla programmazione dei servizi e agendo in rete per aumentare la propria forza operativa e strategica, sempre nel rispetto del proprio ruolo e della propria autonomia, evitando rischi di strumentalizzazione o di istituzionalizzazione. I risultati mostrano anche come nel volontariato non ci sia ancora una diffusa consapevolezza dell’importanza di valutare gli esiti del proprio operato, con metodi e strumenti idonei, sebbene l’esigenza cominci ad essere avvertita, soprattutto dalle punte più avanzate del volontariato, ma anche dai soggetti finanziatori. Fare valutazione delle attività realizzate in termini di efficacia e di impatto sociale qualifica l’azione delle associazioni sul piano dell’operatività, della trasparenza e della responsabilità, perché permette loro di identificare le priorità di intervento, programmare le risposte in base ai reali bisogni delle persone e delle comunità, rafforzare la propria credibilità, creare sistemi di fiducia con le istituzioni e gli altri attori del territorio, ampliare gli spazi di influenza sociale. Per quanto concerne la riflessione metodologica, il percorso avviato con il contributo degli esperimenti di scelta appare positivo sia dal punto di vista dei risultati ottenuti, per la loro portata informativa, sia per quanto riguarda la trasferibilità del metodo ad ambiti di applicazione non consolidati, sia per l’apporto in termini di valutazione preventiva di impatto. Permangono invece alcune riserve in relazione alla fruibilità dello strumento, che risulta complesso e di difficile comprensione per alcune categorie di persone. Anche per questo sono auspicabili ulteriori riflessioni e approfondimenti che proseguano la strada intrapresa.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
6

Galbersanini, C. "TUTELA E VALORIZZAZIONE DELLA DIVERSITÀ CULTURALE NELLA COSTITUZIONE PLURALISTA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/351090.

Full text
Abstract:
This work tries to afford some of the issues of the multiculturalism as a phenomenon that involve and challenge the Italian constitutional legal order. First of all, the existence of new cultural and linguistic minorities implies new needs of protection of diversity, since new minorities, composed by immigrants and second and third generations of immigrants, show different characteristics from the so called “national” or “historical” minorities existing on the territory of the State: it is required, on one hand, the development of new instruments of protection and valorization of their cultural diversity, but, on the other hand, new policies of integration. Thus, the first part of the work start from considering the protection of the so called “national” minorities, underling the link existing with the typology of the form of government in Italy, moving from the liberal State, to the authoritarian State and, finally, to the pluralist democracy, in order to achieve a better understanding of the system of protection of minority groups through article 6 of the Italian Constitution and through the principle of pluralism contained in article 2 of the Italian Constitution. The second part of the work tries to evaluate the possibility of an evolution in the interpretation of article 6 of our Constitution, which provides for a special protection of linguistic minorities. Until now, article 6 of the Constitution has constituted the constitutional grounds for a protection of the so-called “historical minorities” existing in the Country, while the new cultural and linguistic minorities have been excluded from the protection. Thus, the observations carried out start from identifying the constitutional grounds for a protection of the new linguistic minorities, underlining how it is possible to move from a literal interpretation to an extensive and evolving interpretation of article 6 of the Constitution. Then, taking into account the evolution both in jurisprudence and in literature, the proposal is to set aside the citizenship criterion as a condition to be entitled of the protection provided by article 6 of the Constitution in place of new criteria. A third part of the work tries to show how the safeguard of the cultural diversity of new minorities may be considered not only as an instrument of protection but also as a new and more inclusive constitutional value shared by all the political community, considering the Constitution not only as a legal instrument but also in its cultural and ontological nature as the expression of the values of a political community. Finally, the last part of the work is centered on the necessity of managing the phenomenon of multiculturalism, through a new “model” of integration which is able to fill the gaps shown by both the French model and the Britain model of integration, in order to afford the issue of the intercultural dialogue. In particular, the use of the intercultural dialogue may permit the coexistence of different cultures on the same territory, while maintaining the social cohesion of the society, the unity of the political community and guaranteeing the stability of the public order and it may suggest the possibility to move from the idea of a Nation that is culturally homogeneous to a dialogical Nation, where the cohesion of the political community is not based on cultural and linguistic homogeneity but on the mutual understanding of diversity, always within the limits of the respect of fundamental rights as protected in the Italian Constitution.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
7

Sredanovic, Djordje. "Diventare cittadini, rimanere cittadini: Concezioni della cittadinanza e biografie di diritti di migranti e operai locali a Ferrara." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422542.

Full text
Abstract:
This research focuses on the concept of citizenship, seen, in its internal dimension, as a set of rights, and in its external dimension, as a formal status delimited by national laws on citizenship and naturalization. It is mostly based on 60 in-depth interviews gathered in the Ferrara province, of which 25 were with migrants of four different countries (Morocco, Ukraine, Lebanon and Jordan-Palestine), 25 with local factory workers or former factory workers from three different productive contexts (the sugar refinery and the petrochemical pole of Ferrara and a metalworking factory in the province), and 10 with activists of three migration-related associations, of which 5 were locals and 5 were migrants. The interviews reconstructed biographies of rights, asking the local factory workers how their rights have changed since they started working, and the migrants how their rights changed since they arrived in Italy. The second part of the interview asked all the interviewees what they thought of the present Italian naturalization law, and if and how they would change it. More generally, I asked who and how in their opinion should be able to become an Italian citizen. The migrants’ biographies showed a declining collective trajectory of migrants’ rights in Italy, caused by increasingly strict migration legislation, but also differentiated individual trajectories that can be influenced by different kinds of migration projects, by different resources and by biographical turning points. The factory workers’ biographies also showed how the workers’ rights legislation reduced rights in a manner consistent with the theory of post-fordism, but also how different categories of workers had different trajectories, linked to different sector trade union agreements, factory organization, and trade union activity. While the present law demands for ten years of residence, no penal record and sufficient income in the last three years, most of the factory workers interviewed focused on economic aspects, pointing mostly to requirements as being in work and having a place to live, and giving less importance to cultural or residence requirements. Among the migrants, on the other hand, there were some that thought that language and culture tests should be introduced, while others thought that reduced residence criteria and the absence of penal record were enough. The majority of the interviewed thought that citizenship at birth for the children born in Italy from non-citizen parents was necessary. Trying a synthetic analysis I identified a model of citizenship based on legal behaviour, that almost all interviewed presented, a cultural model, present mostly among some migrants, that saw citizenship as based on cultural competence and identity, and an economic model of citizenship. The last one has two variants: “work as a duty”, the less frequent, maintains that every new citizen should be an active worker that contributes to general taxation, while the “rights based on works” model maintains that every worker should have guaranteed rights regardless of other considerations.
Questa ricerca si focalizza sul concetto di cittadinanza, visto, nella sua dimensione interna, come un insieme di diritti, e, nella sua dimensione esterna, come uno status formale delimitato da leggi nazionali sulla cittadinanza e sulla naturalizzazione. È basata principalmente su 60 interviste in profondità raccolte nella provincia di Ferrara, di cui 25 con migranti di quattro paesi differenti (Marocco, Ucraina, Libano e Giordania-Palestina), 25 con operai o ex-operai locali di tre differenti siti produttivi (lo zuccherificio ed il petrolchimico di Ferrara e una fabbrica metalmeccanica della provincia), e 10 con attivisti di tre associazioni nel campo delle migrazioni, di cui 5 locali e 5 migranti. Le interviste hanno ricostruito biografie di diritti, chiedendo agli operai locali come i loro diritti sono cambiati da quando hanno cominciato a lavorare, e ai migranti come i loro diritti sono cambiati dall’arrivo in Italia. La seconda parte dell’intervista ho chiesto a tutti gli intervistati cosa pensassero dell’attuale legge italiana sulla naturalizzazione, e se e come avrebbero voluto che cambiasse. Più in generale, ho chiesto chi e come secondo la loro opinione avrebbe dovuto avere la possibilità di diventare cittadino italiano. Le biografie dei migranti hanno evidenziato una traiettoria collettiva dei diritti declinante, causata da una legislazione sull’immigrazione sempre più restrittiva, ma hanno evidenziato anche traiettorie individuali differenziate che possono essere influenzate da differenti tipi di progetto migratorio, differenti risorse a disposizione e da momenti biografici determinanti. Le biografie degli operai hanno a loro volta evidenziato come la legislazione sul diritto del lavoro abbia ridotto i diritti in maniera congruente con quanto postulato dalla teoria del post-fordismo, ma anche come diverse categorie di lavoratori hanno avuto traiettorie diverse, legate a differenti contratti di categoria, organizzazione della fabbrica e attività sindacale. Se la legge attuale richiede dieci anni di residenza, assenza di precedenti penali e un reddito sufficiente negli ultimi tre anni, la maggior parte degli operai intervistati si è focalizzato su aspetti economici, indicando requisiti come la disponibilità di lavoro e la casa, e dando meno importanza a requisiti culturali o di residenza. Tra i migranti, invece, alcuni pensavano che avrebbero dovuto essere introdotti dei test di lingua e cultura, mentre altri pensavano che requisiti ridotti di residenza e l’assenza di precedenti penali sarebbero stati sufficienti. La maggioranza degli intervistati riteneva che fosse necessaria la cittadinanza alla nascita (o quasi) per i bambini nati in Italia da non-cittadini. Tentando un’analisi sintetica ho identificato un modello di cittadinanza basato sul comportamento conforme alla legge, che era presente in quasi tutte le interviste, un modello culturale, presente soprattutto presso alcuni migranti, che vedeva la cittadinanza come basata su una competenza e identità culturale, e un modello economico di cittadinanza. Quest’ultimo ha due varianti: “lavoro come dovere”, il meno frequente, si basa sull’idea che ogni nuovo cittadino dovrebbe essere un lavoratore attivo e contribuire alla tassazione generale, mentre il modello “diritti basati sul lavoro” si basa sul principio che ogni lavoratore debba avere dei diritti garantiti a prescindere da altre considerazioni.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
8

Mattioni, Matteo. "Diritto di famiglia e minoranze culturali." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423970.

Full text
Abstract:
The thesis aims to analyze the issue of the effectiveness in the Italian legal system of foreign legal devices concerning family law – in particular, those pertaining to the most represented cultural minorities in Italy, which our courts have mostly dealt with. After a concise historical reconstruction of the legal protection of minorities in national and international systems, the analysis goes into the ground of private law. The research is divided into the two sectors corresponding to the traditional division of family law: that of the relationship between spouses and that of the relationship between parents and children. The relationship between the family core individuals is considered first. The analysis is primarily devoted to the problem – emerging from the conflict between the principle of free will and the cases of planned or forced weddings. Secondly, the issue of polygamous marriages is examined, especially for the purpose of family reunification. Finally, the thesis deals with the Islamic repudiation, which can deploy certain limited effects in Italian law. The second part of the work is devoted to the status of children belonging to cultural minorities. The survey is first conducted with reference to “extra-conventional” forms of adoption and custody, like the kafalah of Islamic law. Second, instruction and education of children are considered, with particular reference to the issues of religious freedom. The work highlights the absolute centrality of public order, in which it is identified the real core of the cultural minorities legal issue: every political approach in this field is ultimately based on different modulations of this concept, which represents the outer limit a legal system opposes to the effectiveness of “alien” legal devices.
Il presente lavoro mira a indagare il tema dell’efficacia nell’ordinamento italiano di istituti “alieni” in materia familiare e, in particolare, di quelli proprî delle minoranze culturali più rappresentate sul territorio nazionale, di cui la nostra giurisprudenza si è maggiormente occupata. Premessa una sintetica ricostruzione in chiave storica della tutela giuridica delle minoranze in ambito nazionale e sovranazionale, l’indagine si articola sul terreno del diritto privato. L’ambito della ricerca è suddiviso nei due settori corrispondenti alla tradizionale partizione del diritto di famiglia: quello dei rapporti tra coniugi e quello rapporti tra genitori e figli. Vengono quindi in considerazione, anzitutto, i rapporti tra gli individui costituenti il nucleo fondamentale della famiglia. In primo luogo, l’analisi è dedicata al problema della libertà matrimoniale, emergente dal contrasto tra il principio della libera volontà nuziale e la realtà delle unioni programmate o forzate. Si passa quindi all’esame del fenomeno delle unioni poligamiche, venuto all’attenzione della giurisprudenza soprattutto ai fini del ricongiungimento familiare. Infine, viene analizzato l’istituto del ripudio, suscettibile di dispiegare taluni limitati effetti nell’ordinamento italiano. La seconda parte della tesi è dedicata allo status dei minori appartenenti alle minoranze culturali. L’indagine è condotta, prima, con riferimento alle forme “extraconvenzionali” di adozione e affidamento: in particolare, viene presa in considerazione la giurisprudenza riguardante la kafalah di diritto islamico. In secondo luogo, sono analizzati i profili di disciplina in tema di istruzione ed educazione dei minori, specialmente a proposito del problema della libertà religiosa. Il lavoro pone in luce l’assoluta centralità del concetto di ordine pubblico, nel quale si identifica il vero fulcro del problema giuridico delle minoranze culturali: ogni possibile approccio politico alla questione si traduce, in definitiva, in differenti modulazioni di tale concetto, il quale rappresenta il limite opposto dall’ordinamento al dispiegamento al proprio interno di effetti giuridici da parte di fattispecie connotate da elementi di estraneità.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
9

Granata, Gianluca <1992&gt. "IL DIRITTO INTERNAZIONALE APPLICATO ALLE INDUSTRIE CULTURALI." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17134.

Full text
Abstract:
La tesi analizza il trattamento riservato alle opere culturali dei media nel quadro delle norme e dei principi inerenti al diritto degli scambi commerciali sul piano internazionale ed europeo. Le paure rese pubbliche da molte persone riguardo alle conseguenze del processo di globalizzazione collettiva, legislativa e finanziaria in atto sulle particolarità e le usanze culturali locali, si ampliano e raggiungono l’apice nel momento in cui trattano le politiche sul mercato dei media: in tale ambito, i negoziati sul commercio e sugli investimenti si sono incagliate sul tema di “eccezione culturale” che permetterebbe di concedere ai beni e ai servizi culturalmente importanti un trattamento privilegiato rispetto ad altri generi di prodotti o servizi con la concezione che per svilupparsi, la filiera culturale abbia bisogno di un sussidio pubblico. Se, nel diritto internazionale, il tema si è presentato con tutte le sue complicazioni alla fine dell’Uruguay Round del 1994, con l’introduzione, fra le norme commerciali, di una riserva che escludeva la cinematografia e altri beni audiovisivi dalle leggi adottate con il negoziato, nel procedimento di integrazione europea la necessità di tutelare le differenze culturali è destinata ad essere in contrasto con lo slancio verso la concretizzazione del mercato unico. Sul differente ambito della collaborazione in campo culturale, la Dichiarazione Unesco sulla diversità culturale del 2001 ha messo le fondamenta per una serie di progetti internazionali le quali, finalizzate a promuovere l’istituzione di standard per la difesa della cultura nelle sue numerose espressioni, sono arrivate all’apice nel 2005, con la ratifica della Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, primo strumento vincolante rivolto a tutelare le differenze culturali. Provando ad offrire una ricognizione generale sui legami che la produzione artistico/culturale dei media ha con la regolamentazione degli scambi commerciali, la tesi sarà prima di tutto volta ad intendere quale sia il ruolo ricoperto da tali opere nel più esteso ambito del patrimonio culturale. Inoltre la tesi presenta un approfondimento sulle industrie culturali dal punto di vista economico con maggiore attenzione per quanto riguarda il comparto audiovisivo.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
10

Paladino, Alessandra. "Identità culturale e diritto penale. Riflessioni sul reato culturalmente motivato." Doctoral thesis, Università di Catania, 2014. http://hdl.handle.net/10761/1621.

Full text
Abstract:
Oggetto della trattazione e' la disamina delle soluzioni dottrinarie e giurisprudenziali piu'significative e stimolanti nel dibattito aperto sul reato culturalmente motivato. Il punto di partenza e' l'affermazione del ruolo della cultura nella vita degli individui. L'istituto della cultural defense e' individuato come strumento potenzialmente atto a garantire il diritto alla cultura, il diritto alla liberta'di religione e coscienza, il principio di uguaglianza, nei limiti del rispetto dei diritti umani tutelati dalle norme di diritto internazionale.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
11

GAY, Petra. "MOVIMENTI MIGRATORI E REATI CULTURALI IL DIRITTO PENALE NELL'EUROPA DEI MIGRANTI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/90872.

Full text
Abstract:
La presente ricerca ha avuto ad oggetto l’analisi della criminalità culturale di matrice immigratoria nel contesto europeo contemporaneo. Tradizionalmente con il termine reato culturalmente orientato o motivato si intende quel comportamento realizzato dal membro di una cultura minoritaria che è considerato reato dall’ordinamento giuridico della cultura dominante, ma che viene accettato, condonato, o addirittura incoraggiato all’interno del gruppo culturale del soggetto agente. Dedicare la ricerca esclusivamente alla criminalità culturale di matrice immigratoria significa restringere il campo dell’analisi ai reati culturali commessi da immigrati, escludendo i reati culturali commessi da minoranze autoctone. Esulano, tra l’altro, dall’analisi i reati riconducibili all’immigrazione clandestina e le forme di terrorismo transnazionale di matrice ideologica. Il particolare tipo di reato culturale di cui si è occupata la presente ricerca può dunque essere definito come il comportamento che l'immigrato pone in essere in quanto normale, approvato, o incoraggiato dalla propria cultura e che, invece, è considerato reato nello Stato di residenza. Alla nozione di reato culturale e di cultural defence, nonché alla delimitazione dell’ambito di indagine è dedicato il primo capitolo della tesi, nell’ambito del quale vengono spiegate le difficoltà che si incontrano nel definire il concetto di cultura e di pratica culturale. La ricerca è volta a valutare la possibile rilevanza penale da riconoscere al condizionamento esercitato sul reo dall'appartenenza a una determinata cultura, ossia al c.d. fattore culturale. La definizione di reato culturale è tale da comprendere situazioni molto diverse tra loro, rispetto alle quali è necessario trovare un equilibrio tra tutela dei diritti fondamentali e diritto – o, meglio, diritti – alla specificità. Vengono alla mente pratiche riconducibili alle tradizioni di determinati gruppi etnici, quali la mutilazione degli organi genitali femminili, lo stupro che precede il matrimonio, l’impiego di minori nell’accattonaggio, o i matrimoni poligamici. Con ogni evidenza, si tratta di comportamenti che – ammesso e non concesso che siano (ancora) legittimamente praticati nei Paesi di provenienza dell'immigrato – rappresentano un problema nel momento in cui vengono posti in essere in uno Stato ospitante che ne riconosce la rilevanza penale. I flussi migratori che negli anni hanno accompagnato il processo di integrazione europea ed internazionale hanno messo in contatto persone portatrici di tradizioni culturali estremamente distanti tra loro, facendo della c.d. criminalità culturale uno dei temi più complessi, discussi e controversi del panorama giuridico contemporaneo. Dal punto di vista comunitario, tra l'altro, la nascita dell’area Schengen e il progressivo enlargement europeo hanno incrementato il fenomeno migratorio, imponendo anche a Paesi che non avevano vissuto in passato esperienze immigratorie di confrontarsi con le sfide del multiculturalismo. Spesso si pensa all’immigrazione e alla società multiculturale come una sfida per il diritto penale statale. L'area penale è, infatti, la più resistente alla sottrazione della sovranità che il processo di integrazione europea ed internazionale comporta perché rappresenta uno degli ambiti in cui maggiormente si riflette l'identità costituzionale degli Stati. La norma penale è una delle più alte manifestazioni dei valori prevalenti in una determinata area culturale. Da un lato, questo significa che l’ordinamento nazionale si riserva gelosamente la potestà di decidere quali comportamenti costituiscono reato all'interno del proprio territorio. Dall’altro lato, proprio per questo suo essere espressione della cultura di appartenenza di un determinato soggetto, la norma penale fa parte del bagaglio del migrante: l’individuo percepisce come reato ciò che per la propria cultura è reato e potrebbe non comprendere, e magari neanche percepire, le fattispecie vigenti nel territorio in cui emigra. Sullo sfondo dei reati culturali vi è una forma di conflitto culturale tra Paese ospitante e individuo ospite, che porta con sé la necessità di stabilire come devono essere giudicate le condotte poste in essere da chi appartiene a culture diverse da quella ritenuta dominante. Nell’ambito della ricerca che ha portato alla presente tesi è stato analizzato il trattamento dei culturally motivated crimes con particolare riferimento al sistema italiano e a quello del Regno Unito. L'Italia, alla quale è dedicato il secondo capitolo della tesi, storicamente è stata il punto di partenza dei migranti; soltanto nell'ultimo trentennio è divenuta una meta per gli immigrati e si è dovuta confrontare con la criminalità culturale di matrice immigratoria. Il modello italiano di gestione della diversità culturale, oltre ad essere particolarmente giovane, è considerato di stampo assimilazionista. La legislazione italiana non chiarisce la rilevanza penale da attribuire al fattore culturale, né tantomeno codifica una qualche forma di cultural defence. La strategia che, soprattutto negli ultimi anni, il nostro legislatore penale sembra portare avanti è quella di introdurre alcuni singoli reati culturalmente orientati, spesso con interventi caratterizzati da una decisa reazione sanzionatoria. In questo senso dal punto di vista legislativo vengono in particolare in rilievo due recenti interventi normativi: la legge n. 7 del 2006, con la quale è stato introdotto il delitto di mutilazioni genitali femminili e la legge n. 94 del 2009, con la quale è stato innalzata a delitto la contravvenzione di impiego dei minori nell’accattonaggio. Dal punto di vista giurisprudenziale in Italia si registra una mancanza di coerenza nelle decisioni che hanno ad oggetto i reati culturali. Per quanto attiene il sistema italiano vengono inoltre analizzate le sentenze pronunciate da tribunali esteri nell'ambito di procedimenti che hanno riguardato italiani accusati di reati culturalmente motivati. Si tratta di un’ottica molto interessante perché permette di superare l’atteggiamento paternalista mascherato da tolleranza che spesso accompagna il tema della diversità culturale. Il Regno Unito è stato scelto come secondo modello di riferimento e gli viene dedicato il terzo capitolo della tesi. Oltre ad aver vissuto un’esperienza immigratoria precedente rispetto all’Italia, la Gran Bretagna nel contesto europeo è considerata portatrice del modello c.d. multiculturalista di gestione della diversità culturale, che si contrappone al modello c.d. assimilazionista, al quale è invece riconducibile il sistema italiano. L’approccio multiculturalista è ispirato da una logica di uguaglianza sostanziale e tradizionalmente si caratterizza per il riconoscimento delle diversità culturali e l’elaborazione di politiche volte alla loro tutela. Nel Regno Unito l’appartenenza a una determinata minoranza culturale giustifica un diverso trattamento giuridico: si pensi al Road Traffic Act e all’Employment Act, che esonerano gli indiani sikh dall’uso del casco nei cantieri di lavoro e in moto, consentendo loro di indossare il tradizionale turbante. Espressione del multiculturalismo all'inglese sono anche gli Sharia Councils, pseudo-Corti formate da membri autorevoli della comunità islamica alle quali può rivolgersi la popolazione britannica musulmana affinché determinate controversie vengano risolte in applicazione della shari'a, la legge islamica. Lo studio degli Sharia Councils è stato una parte fondamentale del percorso di ricerca, svolto anche grazie alla partecipazione all'attività del Council di Londra. Questi organismi operano nell'alveo dell'Arbitration Act e sono oggi al centro di un fervente dibattito per due principali motivi. Prima di tutto nel Regno Unito si discute molto di parallel legal systems, ossia della possibilità di istituire per soggetti culturalmente diversi degli ordinamenti paralleli. Alcuni Autori ritengono che gli Sharia Councils esercitino una vera e propria competenza di carattere giurisdizionale. Assumendo questa tesi - invero minoritaria - il multiculturalismo all'inglese raggiungerebbe il cuore dell'ordinamento, all'interno del quale creerebbe una vera e propria spaccatura: ogni cittadino avrebbe la “sua” legge e il “suo” tribunale. Un altro problema fondamentale è quello dell'esercizio da parte dei Councils di una competenza di carattere penale: l'accusa rivolta a queste istituzioni è, infatti, quella di essersi arrogate una competenza in tema di violenza domestica forzando le maglie delle decisioni in tema di divorzio. Accanto all’analisi dedicata al sistema italiano e a quello inglese, per la ricerca si sono rivelate fondamentali anche le esperienze di Francia, Stati Uniti e Canada. Il sistema francese è considerato nel panorama europeo il principale modello assimilazionista: a questo proposito si parla di processo di francesizzazione degli immigrati, o anche cittadinizzazione senza integrazione. Gli Stati Uniti, spesso considerati la società multiculturale per eccellenza, sono la patria del dibattito sulla cultural defence, la strategia difensiva fondata sul fattore culturale come causa di giustificazione o come causa di diminuzione della pena. Il Canada, infine, è il portatore nel contesto internazionale del modello multiculturalista inglese: il multiculturalismo è espressamente previsto come principio nella Carta dei diritti e delle libertà, a partire dall'inizio degli anni novanta è stato reintrodotto per gli Inuit il circle sentencing, grazie al quale le decisioni, anche in materia penale, vengono adottate da una sorta di collegio composto dal giudice e da membri delle comunità interessate. Tra l’altro, è stata la Corte costituzionale canadese a formalizzare per la prima volta il c.d. test culturale, negli anni novanta. L’analisi del modello italiano, giovane e di stampo assimilazionista, e di quello multiculturalista inglese consente, anche grazie ai continui riferimenti ai sistemi adottati negli Stati Uniti, in Canada e in Francia, di assumere un punto di vista più generale sul trattamento dei reati culturali. I processi che riguardano vicende di criminalità culturale testimoniano spesso una difficoltà di integrazione degli immigrati che non è solo culturale, ma prima di tutto sociale. Sotto questo punto di vista ciò che accade nelle aule dei tribunali diventa il metro di valutazione della politica legislativa statale in tema di immigrazione. Obiettivo della ricerca è stato quello di identificare gli strumenti per gestire la criminalità culturale, individuando le strade che si possono concretamente percorrere per superare le tensioni tra società multiculturale e sistema penale, alla ricerca di un equilibrio tra tutela dei diritti fondamentali e diritti alla diversità che non metta in discussione principi cardine dell’ordinamento penale quali quello di eguaglianza e quello di proporzionalità della pena. Preso atto della complessità del problema, la prima conclusione cui si giunge all’esito della ricerca è l’impossibilità di conferire una rilevanza penale generale al fattore culturale. Non è possibile introdurre nella parte generale del Codice penale una causa di giustificazione culturale, così come non è possibile codificare una circostanza attraverso la quale dare un rilievo sanzionatorio predefinito e generale alla componente culturale che porta il reo a delinquere. Più volte tra le pagine del lavoro si sottolinea che rientrano nella nozione di reato culturale condotte che non sono neanche lontanamente paragonabili dal punto di vista del disvalore sociale che le connota e rispetto alle quali non è possibile fare un discorso di carattere generale. Così come non è possibile lavorare sulla parte generale del Codice penale, anche la scelta di introdurre fattispecie di reato create ad hoc per incriminare specifiche pratiche culturali non è condivisibile. Ed infatti, da un lato identificare e tipizzare una pratica culturale è spesso realmente difficile – e nel codice penale non c’è spazio per l’indeterminatezza – e dall’altro le esperienze italiana e inglese rivelano che l’operazione è alquanto inutile. A livello legislativo l’unica strada valutabile sembra essere quella di prevedere delle specifiche cause di non punibilità che permettano di dare una rilevanza – in maniera controllata – al fattore culturale in determinate ipotesi. Questa opzione consente di prendere in considerazione determinate pratiche culturali e di cucire su di esse la non punibilità, senza che questo implichi una scelta ordinamentale di carattere generale. Sembra, tuttavia, che sia una strada difficilmente praticabile: tra l’altro, un tema delicato come quello della criminalità culturale potrebbe non trovare facilmente una maggioranza parlamentare tale da consentire di legiferare e, comunque, ciò potrebbe avvenire in tempi decisamente lunghi. Ebbene, allo stato la chiave della questione è nel trattamento delle singole e concrete vicende di criminalità culturale e, dunque, nel ruolo del giudice. Anche in questo caso sorgono dei problemi: basti pensare che nel momento in cui il legislatore penale si astiene dal prevedere in via generale una forma di cultural defence, il fattore culturale potrebbe anche essere preso in considerazione contra reum, ad esempio a fini deterrenti, per chiarire inequivocabilmente l’intollerabilità di un determinato comportamento, o per prevenire una vendetta da parte del gruppo di appartenenza culturale della vittima. Il dato è preoccupante perché, come sottolineano gli Autori che si occupano di criminalità culturale, in presenza di un reato culturalmente orientato o motivato il grado di rimproverabilità dell'autore si attenua in conseguenza di una minore esigibilità della conformazione al precetto penale. Per arginare il rischio che il fattore culturale venga preso in considerazione per aggravare il giudizio di responsabilità del reo è dunque indispensabile sensibilizzare i giudici e munirli degli strumenti adatti per gestire la diversità culturale. In tale ottica la ricerca presenta l’analisi di alcuni strumenti che vengono utilizzati nei Paesi analizzati e dai quali è possibile prendere spunto: vengono così in rilievo l’Equal Treatment Bench Book inglese, il circle sentencing canadese, e la possibilità, sul modello francese, di integrare l’organo chiamato a giudicare un reato culturale. Di queste strade quella concretamente più praticabile è l’Equal Treatment Bench Book, un vademecum destinato agli operatori giudiziari nell’ambito del quale si rinvengono linee guida per la gestione pratica delle diversità culturali. Si tratta di un prodotto non immediatamente importabile, poiché non sarebbe sufficiente tradurlo per applicarlo, ad esempio, in Italia. È dunque necessario che i singoli Paesi adottino il proprio Bench Book; in quest’ottica la ricerca presenta alcune indicazioni da prendere in considerazione sia per quanto attiene chi potrebbe essere chiamato a scrivere il vademecum, sia per quanto attiene il contenuto del documento. In conclusione va richiamata una riflessione di carattere più generale: il modo corretto di affrontare la criminalità culturale di matrice immigratoria si basa sulla consapevolezza che prevenire è meglio che reprimere. Sicuramente, l’attenzione al ruolo del giudice e agli strumenti di concreta gestione della diversità culturale sono molto importanti, ma lo sono ancor di più le politiche per l’integrazione della società multiculturale, nella quale si assiste a un processo di scambio e di fusione culturale che si rivela il momento privilegiato per determinare l’equilibrio tra valori indiscutibili e diritti alla diversità.
The research focuses on culturally motivated crimes related to migratory flows in the European area. A cultural offence is defined as an act by a member of a minority culture, which is considered an offence by the legal system of the dominant culture; that same act is nevertheless, within the cultural group of the offender, condoned, accepted as normal behaviour and approved or even endorsed and promoted in the given situation. The specific focus on immigration means that the research does not analyse crimes committed by native minorities. Moreover, crimes related to illegal immigration and transnational terrorism are not part of the dissertation. Thus, the specific type of cultural offences analysed in the research can be defined as the immigrant’s behaviours that is normal, approved or promoted in his/her culture, but is considered offences in the State where he/she lives. The first chapter of the thesis is devoted to defining the notion of cultural crimes and cultural defence, and to outline the research analysis. This chapter acknowledges the difficulties encountered in defining the concepts of culture and cultural custom. The purpose of the research is to evaluate to what extent the fact that the defendant based his/her actions on a cultural norm can be taken into account in determining his/her responsibility within the criminal legal system of the country where the action takes place. Many different behaviours can be linked to cultural crimes and in all these circumstances there is the need to find a balance between fundamental rights protected by the domestic legal system and the specificity rights of minority groups. Consider the case of female genital mutilations, rape before wedding, or polygamy. These acts – even if they are (still) permitted in the country of the immigrant – may be considered offences in the country where the immigrant lives. Due to the immigration phenomenon related to the process of European and international integration, people coming from really different cultural backgrounds live together and nowadays the cultural crime rate has become one of the most problematic and debated legal issues. Furthermore with the gradual European enlargement more and more countries have had to face with problems related to multiculturalism. Immigration and multicultural society are often considered as a challenge for the criminal law, which is one of the more resistant areas of the whole legal system and opposes the process of European and international integration. This happens because the criminal law mirrors the essential nature of a country through the choice of the acts that are considered offences in the national territory. This choice is deeply influenced by the cultural background of the country and the criminal law is part of the cultural baggage of the immigrant. When people immigrate they bring with themselves the awareness that a behaviour is considered an offence in their country and they may not know or understand what is considered an offence in the country where they decide to live. Culturally motivated crimes stem from a conflict between the immigrant and the legal system of the country where he/she decides to live, between a cultural norm and a legal standard. With this regard, Van Broeck noted that the cultural offence has to be caused directly by the fact that the minority group the offender is a member of uses a different set of moral norms when dealing with the situation in which the offender was placed when he committed the offence: the conflict of divergent legal cultures has to be the direct cause of the offence. The research analyses how legislator and judges deal with cultural offences in Italy (Chapter II) and in the United Kingdom (Chapter III). For a long time Italy has been the starting point for immigrants and only in the last thirty years it has become their destination. For this reason the problem of determining the relevance of the cultural factor on the structure of an offence is more recent in Italy than in the United Kingdom, where the multicultural society is the result of the long story of the colonialism and the Commonwealth of Nations. Furthermore, the Italian system of handling cultural diversity is basically considered an example of assimilationism while the English one is considered an example of multiculturalism. This means that in the United Kingdom, more than in Italy, the legislation aims at preserving minority customs. In addition to the analysis of the Italian and the English systems, also the experience of France, of the United States and of Canada has been essential for the research. In the European context the French system is considered the best example of assimilationism. The law banning the wearing of a niqab or full-face veil in public is the clearest instance of this approach to different cultures which is usually regarded as gallicization of immigrants. The United States, often considered the multicultural society par excellence, are the birthplace of the debate about the cultural defence. In the international context Canada is considered an example of a multicultural system: multiculturalism is mentioned in the Canadian Charter of Rights and Freedoms of 1982 and since the 90’s the circle sentencing can be used to solve disputes in the Inuit group with the participation of members of the community in addition to the judges. Furthermore, in the same period the Canadian court formalized for the first time the distinctive cultural test. The comparison between the Italian and the English systems in handling cultural differences deriving from immigration and all the references to the American, Canadian and French systems allow the research to adopt a more general point of view in analysing cultural crimes. Trials concerning culturally motivated crimes often give evidence of a difficulty in immigrants’ integration; an issue that is not only a cultural problem, but primarily a social dilemma. From this point of view what happens in courtrooms becomes a device to evaluate a state immigration policy. The purpose of the research is to identify useful tools to manage cultural offences, finding a balance between victims’ fundamental rights and the cultural specificity of a minority group. The first conclusion reached in the dissertation regards the impossibility to provide a general relevance to the cultural factor in the criminal system, so that it is not possible to introduce a cultural defence. Many different behaviours can be considered cultural offences and it is not possible to treat as homogeneous a broad range of acts. At the same time, also the introduction of type of offences to criminalize a specific cultural practice is not the right way to solve the problem of the cultural factor in the structure of the offence. First of all there would be many problems in identifying a cultural practice, because it is really hard to recognize which behaviour can be related to the cultural background of the minority group of the defendant. Moreover, as can be noticed when problems concerning the criminalization of the female genital mutilation in Italy and the United Kingdom are analysed, this way seems almost useless. A good option is to adopt methods which do not impose a penalty to the defendant, taking into account his/her cultural background in certain circumstances. This can be done using the absolute discharge of the English legal system or the category of the cause di non punibilità of the Italian one. In this case the chance not to impose a penalty to an immigrant defendant can be achieved without any consequence on the nature of offence of the behaviour in the legal system of the country where he/she decides to live. In a similar way in the Italian system it could be difficult to find the parliamentary majority to approve a legislation introducing the specific causa di non punibilità. Thus, the more practicable solution concerns the judges’ activity. In this case, there is the need to avoid that the cultural factor is used contra reum worsening, for instance, the penalty. This modus operandi would not be fair because in the case of actions determined by a cultural norm commonly accepted by a minority group, the degree of reproach of these behaviours should be alleviated. In order to avoid that the cultural factor could be taken into account contra reum the first thing to do is to sensitize judges to the problems of the criminal law in a multicultural society. With this regard, the research analyses some tools used in the analised systems: in particular, the English Equal Treatment Bench Book, the Canadian system of the circle sentencing and the possibility, as in the French legislation, to integrate the judging body with lay judges in trials concerning cultural offences. The most workable solution is the Equal Treatment Bench Book, a guide for judges, magistrates, and all other judicial office-holders to handle cultural differences in trials. This English vademecum is not immediately importable in other European countries. In fact, it is not enough to translate it to solve the problem of sensitizing judges in so different legal systems. Thus, it is necessary to adopt a document like the English Bench Book in every country where immigration puts cultural offences on the agenda. From this point of view the research gives some hints about the drawing up of this vademecum. In conclusion it is possible to affirm that the correct way to approach cultural offences committed by immigrants is to understand that prevention is better than cure. Surely, it is important to pay attention to the role of judges and to the tools they can use in handling criminal offences. It is even truer that all the policies for the integration of the multicultural society are the most important instrument to determine the balance between fundamental rights and specificity rights of minority groups, that is also the key to handle cultural crimes.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
12

SGARAMELLA, TERESA MARIA. "I SERVIZI PUBBLICI NEL WELFARE CULTURALE: INTEGRAZIONE FRA CULTURA E SALUTE." Doctoral thesis, Università degli studi della Basilicata, 2022. https://hdl.handle.net/11563/162666.

Full text
Abstract:
Nel presente lavoro di tesi, ci si è posti l’obiettivo di introdurre nel mondo del diritto amministrativo e, segnatamente, dei servizi pubblici, il tema del cd. welfare culturale sollevando temi di riflessione sulle possibili connessioni fra i servizi pubblici appartenenti alla sanità e a quelli propri dei servizi culturali.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
13

BELOTTI, Francesca. "Il diritto al patrimonio culturale. Il caso di Sétif (Algeria)." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2014. http://hdl.handle.net/10446/30375.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
14

VARESANO, BRIGIDA. "I CRIMINI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE: NUOVE PROSPETTIVE DI TUTELA DEI DIRITTI UMANI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/791194.

Full text
Abstract:
Tra le strategie di contrasto ai multiformi fenomeni criminosi afferenti al patrimonio culturale, riveste un ruolo cruciale l’affermarsi, a livello internazionale, del principio della responsabilità penale individuale. A fronte dell’attuale scenario internazionale, in cui i beni culturali sono stati sovente oggetto della furia iconoclasta di gruppi estremisti, la presente ricerca si propone di acclarare quale rilevanza penale sia riconosciuta dal diritto internazionale, in una prospettiva de iure condito, alla distruzione intenzionale del patrimonio culturale quand’anche questa sia svincolata dai conflitti armati. Onde risolvere tale queastio iuris, la ricerca adotta quel preciso ragionamento giuridico, sviluppato dai tribunali internazionali penali, al fine di affermare la responsabilità penale individuale per la violazione di norme internazionali. In specie l’indagine si occupa di verificare la sussistenza dei tre requisiti che, in ossequio alla giurisprudenza internazionale penale, sono necessari affinché un individuo possa ritenersi penalmente responsabile a livello internazionale per la distruzione di beni culturali: ovverosia, (a) l’esistenza di una norma internazionale che imponga un determinato obbligo di tutela dei beni culturali; (b) la produzione di serious conseguenze in seguito alla violazione della suddetta norma; (c) la generalizzata comminatoria della sanzione penale negli ordinamenti nazionali. Ciò posto, la prima parte del lavoro – avente perlopiù carattere introduttivo – è volta a fornire un inquadramento sistematico del corpus normativo posto a tutela del patrimonio culturale all’interno del sistema di garanzia dei diritti umani. In questo contesto, viene in evidenza come l’interesse del legislatore internazionale in materia si sia declinato in diversi approcci connotati, sia da una progressiva estensione della nozione di bene giuridico protetto, che dall’evoluzione della ratio di tutela perseguita. Al fine di dimostrare quanto detto, si analizza: in primo luogo il diritto internazionale umanitario, le cui disposizioni hanno riconosciuto un’immunità al patrimonio culturale nella sua consistenza materiale, salvaguardandolo dai danni, seppur collaterali, derivanti dalle ostilità armate; e in secondo luogo, la normativa di più ampio respiro che, abbracciando la più estesa nozione di cultural heritage, ha inteso la tutela del bene culturale quale componente essenziale del rispetto dei diritti umani. Una volta chiarita la genesi del sistema normativo, ci si sofferma funditus sulla evoluzione dello stesso, prestando particolare attenzione all’emersione di nuove finalità di tutela. Tramite l’analisi del law enforcement attuato dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte interamericana dei diritti umani, in materia di diritti culturali dell’uomo, si provvede ad inquadrare gli obblighi internazionali a protezione dei beni culturali sotto la lente dei diritti umani. Passaggio, questo, che appare centrale onde comprendere la reale portata del divieto di distruggere il patrimonio culturale in qualsivoglia contesto, e non solo in quello bellico. Esaurita la trattazione concernente le norme primarie, ed individuata dunque la sussistenza di specifici obblighi internazionali, l’indagine si concentra poi sulle conseguenze scaturenti, sul piano secondario, in caso di violazioni. Avendo riguardo alle reazioni poste in essere nella Comunità internazionale, essenzialmente realizzate tramite forme istituzionalizzate, quali quelle dell’UNESCO e delle Nazioni Unite, ci si occupa di appurare il grado di gravità riconosciuto alla rottura della legalità in materia. Sicché, guardando al dato fattuale, cioè all’azione solidale ed istituzionale attuata dagli omnes in risposta alla distruzione iconoclasta, si ricostruisce la natura erga omnes del divieto di distruggere il patrimonio culturale, e più in generale degli obblighi protettivi a questo relativi. Acclarato che la distruzione deliberata del patrimonio culturale integra una violazione grave del diritto internazionale, l’ultima parte dell’indagine – che rappresenta forse quella più innovativa – è volta ad accertarne la rilevanza penale nell’ambito dei sistemi giuridici nazionali. Infine, seguendo un ragionamento induttivo, che muove quindi dalle esperienze nazionali, e che si colloca comunque in una prospettiva de iure condito, potrà evincersi l’esistenza o meno di un principio generale, comune agli ordinamenti interni, volto a responsabilizzare penalmente l’individuo per la distruzione deliberata del patrimonio culturale in tempo di pace.
The principle of individual criminal responsibility plays a crucial role among all the different strategies to face the manifold criminal phenomena which currently undermine cultural heritage. Against the recent historical background, where the cultural heritage has been intentionally injured because of iconoclastic waves, the present research pursues a main objective, which can be summarized into the following query: is it possible to affirm the consolidation of the principle of the individual criminal responsibility vis-à-vis the intentional destruction of cultural property committed during peace time? In order to solve this question, the research follows the reasoning adopted by international criminal courts in order to affirm the principle of individual criminal responsibility for violations of international law. In particular the present work, which consists of two parts, aims to ascertain the fulfillment of the three criteria enunciated by the international criminal courts: (a) the existence of rules of international law laying down a specific obligation to protect cultural property; (b) the production of serious consequences in case of violation of such rules; (c) the generalized criminalization, into national legal systems, of a such offence. Consequently, the first part of the work – of an introductive character – is addressed to a systematic overview of the relevant legal framework, whose evolution highlights how the international tools have been characterized by either a progressive extension of cultural good notion, or an evolution of the pursued ratio legis. Therefore, the analysis takes moves from the ius in bello norms which have granted an immunity to cultural property, based on its civilian character and aiming to prevent those damages which are typically caused by armed conflicts. Finally, and especially, it considers those norms of a wider scope which – embracing the broader notion of cultural heritage – have interpreted the cultural property protection as a constituent part of the human rights protection system. Thus, addressing the attention on the most recent achievements of this evolutional process, the research turns to those legal instruments – such as Article 27 of the Universal Declaration of Human Rights (1948) and Article 15 of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (1966) – whereby the international obligations related to cultural property could be interpreted as tools to defend a humankind interest, namely the peaceful enjoyment of the cultural rights: i.e. the right to take part to cultural life, as well as the right to have a cultural identity. However, the pivot of the present research is its second part, which is focused on the consequences deriving from the violations of the relevant international rules protecting cultural property and, consequently, from the cultural rights infringements. Indeed, the second part intends to establish whether the Rome Statute provisions has been overtaken by new rules of customary international law, according to which the intentional destruction of cultural heritage constitutes, besides a war crime, even a crime against humanity. To this scope, the analysis deals with the reactions that international actors have implemented for facing the iconoclasm plague. In order to ascertain the criminalization degree, the work firstly focuses on the pertinent case-law of the international criminal tribunals: indeed it is known that the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia before, and the Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia then, have already condemned the intentional attacks directed against cultural sites as crimes against humanity sub specie of persecution. Ultimately, the object of the last part is represented by the national legal systems, whereby it is given to retrace the criminal relevance degree which is recognized to the destruction of cultural heritage.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
15

Fosco, Martina <1994&gt. "La fiscalità dei beni culturali." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/14009.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
16

Bedin, Barbara <1979&gt. "Beni culturali e catastrofi naturali." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16231.

Full text
Abstract:
Il presente lavoro si propone di indagare il tema delle catastrofi naturali con riferimento al rischio che esse rappresentano e all’impatto che esse producono sui beni culturali. Lo studio muove da una disamina delle fonti giuridiche applicabili alla materia, distinguendo tra norme internazionali e nazionali, tra strumenti di hard law e di soft law. Ne risulta un quadro frammentato, in cui non emerge nessuno strumento specificamente concepito per questo tema, bensì la necessità di adattare a quest’ultimo norme ideate per il perseguimento di obiettivi diversi. La seconda parte della ricerca si concentra sui soggetti che, a vario titolo, entrano in gioco in caso di catastrofi naturali, passando in rassegna le competenze proprie di organizzazioni internazionali (prima fra tutte UNESCO) per poi restringere la prospettiva al livello nazionale, soffermandosi, in particolare, su quanto svolto dalla Protezione civile e dal MiBAC. La terza parte, infine, affronta alcuni casi-studio, distinti nei tre momenti che caratterizzano i disastri: prevenzione, emergenza e recupero.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
17

FERLA, LARA. "I percorsi delle cultural defenses tra garanzie di legalità e richieste di riconoscimento delle identità culturali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2010. http://hdl.handle.net/10281/9456.

Full text
Abstract:
In modern pluralistic society minorities and indigenous groups sometimes ask the legal system to recognize their cultural heritage and their costumary law in deciding criminal cases. This request is often rejected by the Courts, because of the difficulty of adopting solutions which appear prejudicial to the rights of victims and because of the need to solve conflicts that require special knowledge and expertise in cultural matter. Especially in United States of America there is an extraordinary range of cases in which individual attempted to invoke a special legale excuse, the "Cultural Defense", in order to avoid penalty or to obtain a mitigation of sanctions. This legal institute has appeared first in the judicial practise and then recently has become object of careful study by scholars, who have shown some features and characteristic, including arguments for and against the acceptance of this excuse. This study attempts to analyze the Cultural Defense and the Cultural Motivated Crime (Cultural Offense) precisely starting from the U.S. legal framework to reach Europe and Italy, where cultural diversity is mostly represented by immigrants and nomadic people. The aim is to understand the possible relevance in these Country, especially in Italy, of defendant's cultural background in explaining criminal behaviour. After examining the most recent legislative reforms in criminal law and judicial practise, it may be possible to underline some points of convergence or dissonance with U.S. context and to highlight the current trend in progress into Italian criminal justice system about the possibility for Courts to take into account cultural factors to consider and evaluate the personal culpability and to mitigate sanctions.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
18

Bischi, Barbara. "La buona fede del diritto privato e del diritto pubblico: dalla ragione dell'origine alla cultura della dicotomia." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3421746.

Full text
Abstract:
This paper aims to analyze the various facets that bona fides has in public and civil law in the current legal system. Whilst in civil law this clause provides the necessary extrajudicial criteria instrumental to justice and fairness, in addition to those provided by positive law, which are lacking per se, in public law bona fides is often confused with the principle of "non-contradiction" in administration and takes on the connotations of the principle of reasonableness, which governs the discretionary activities of public administration and is closely linked to and regulated according to the constitutional principles enshrined in article 97. This analysis starts with a historical reconstruction of bona fides, illustrating the reasons that gave life to this rule under Roman and canon law, while offering possible explanations to the current internal contradictions characterizing bona fides in Italian law. This paper has underscored the formal virtuality of legal language and its categories and calls upon jurisprudence to reflect upon those implications that risk creating a chasm between law and relations among citizens as well as those between citizens and social entities, which should reflect, through law, the individuals forming it and their needs.
“La buona fede del diritto privato e del diritto pubblico: dalla ragione dell’origine alla cultura della dicotomia”, è un contributo che ha interessato la ricerca in varie discipline giuridiche; il diritto romano, quello canonico, la storia del diritto italiano e straniero, anche in chiave comparativa, la buona fede del diritto civile e la buona fede del diritto amministrativo. Il motivo delle tematiche affrontate nel testo è fondato sul tentativo di ricomporre, dove possibile, l’aspetto aporetico che connota, nell’ordinamento giuridico contemporaneo, la clausola della buona fede, la quale si propone in modo antitetico come buona fede del diritto privato e buona fede del diritto pubblico, seppure entrambe siano riconducibili sotto lo stesso nomem iuris. Quest’unità ‘formale’, tuttavia, presuppone l’unità ontologica della clausola generale, che viene ricostruita nella prima parte del lavoro e la circostanza dimostra come le attuali interpretazioni, così distanti tra loro, siano il prodotto di ragioni diverse e contrapposte, maturate in una certa parte della storia del diritto, ovvero con la nascita dello Stato moderno. E’ con questa consapevolezza che sono stati assegnati i nomi dei primi due capitoli che compongono il lavoro, quindi, buona fede ‘la ragione dell’origine’ e ‘la cultura della dicotomia: storia e dibattiti’, nel tentativo di mettere a confronto due diverse letture della clausola generale. La prima, che evidenzia come la buona fede sia espressione della dimensione etica della natura umana, funzionale al buon esito di ogni relazione intrapresa e naturalmente destinata a regolamentarne gli effetti, prima e oltre il testo normativo; la seconda fondata sulla intervenuta frattura tra la dimensione umana e il diritto statale, dove la buona fede spesso si contrappone alla forza autoritativa della norma giuridica con esiti problematici e contraddittori, che il contributo si propone di analizzare e, se possibile, di ricomporre. La parte iniziale del lavoro tiene in particolare considerazione il contributo, dato all’argomento, da L. Lombardi Vallauri, grazie al quale si evidenzia come ogni possibile predicato riferito al sostantivo fides, nel corso dell’evoluzione della civiltà romana, si giustifichi e possa essere ricondotto all’eticità che governa la relazione umana, sia tra pari, sia tra impari. La fides dell’origine, legata ai concetti di lealtà, credenza, fiducia reciproca, è regola dei rapporti poiché espressione della stessa virtù dell’uomo, tanto che la sua eventuale violazione è motivo di biasimo da parte della collettività, in ragione del rispetto portato ai valori cui il sostantivo rimanda non anche, o non prevalentemente, poiché la loro violazione possa essere perseguita legalmente o nel processo. Da qui la congenita forza integrativa della fides che si sviluppa in bona fides, obbligando le parti ad agire conformemente a ciò che hanno veramente voluto oltre la lettera dell’accordo formalmente concluso tra loro; d’altro canto la fides, definita publica, vincola l’azione del potente alla temperanza nella sua esecuzione, in un contesto in cui nemmeno il sottoposto al potere altrui (nexus, cliens, pupillus) può essere violato sol perché in posizione di disuguaglianza rispetto al superiore. La fides, matrice unitaria delle diverse connotazioni assunte dal sostantivo e delle quali il testo dà conto, si rispecchia nei tria precepta iuris di Ulpiano, nel pensiero di Platone, Aristotele, Agostino e Tommaso, dove l’uomo era naturalmente teso alla socialità e al bene comune, oltre i limiti della natura o del peccato, tanto che il lavoro dimostra come, nella civiltà giuridica romana (ci si riferisce alla monarchia e alla repubblica) e medievale, la clausola sia regola di convivenza civile alla quale l’ordinamento attinge perché a essa è destinato e a essa appartiene. La nascita dello Stato moderno, al contrario, affievolisce la ragione dell’uomo ‘virtuoso’ e la stessa capacità di trarvi parametri cogenti di condotta: prevale la figura del ‘suddito’ o del ‘cittadino’, asservita alla potenza invasiva del diritto statale, che sussume in esso ogni condotta umana per regolarla in via eteronoma e autoritativa. Il lavoro, a tal proposito, dimostra come la dicotomia che coinvolge la buona fede del privato e del pubblico sia fondata sul segnalato cambiamento di rotta, teso a circoscriverne la relazione e gli effetti entro l’ipotesi di ordinate fattispecie astratte generalmente applicabili anche tramite la sanzione. Dare conto della cultura della dicotomia, com’è chiamata nel testo, ha condotto la ricerca verso i pensieri di Hobbes, Locke, Rousseau, ma per la verità anche a quelli di Kant, di Kelsen, di Ross: l’ipotesi dello stato di natura, si sostiene, fonda il sapere scientifico moderno, il quale sta alla base della denunciata ‘virtualità’ del diritto che, per quanto emergerà nel seguito, giustifica la deriva scientifica sulla quale si stanziano le due categorie della buona fede a discapito della ragione unitaria che l’ha vista nascere. Neppure l’introduzione della Carta Costituzionale italiana, contribuisce a ricomporre il valore unitario assegnato alla fides dell’origine; le parti del lavoro dedicate al diritto civile e al diritto amministrativo rilevano la difficoltà che la dottrina incontra nell’interpretare la clausola in senso unitario, laddove, al contrario, la buona fede è assorbita da precetti costituzionali di diverso segno e diversa finalità. Se la buona fede del diritto privato è ricondotta, dalla dottrina, al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, viceversa, sul fronte del diritto amministrativo, essa è collocata nell’ambito dell’art. 97 e diventa strumento di attuazione della legittimità, del buon andamento e della imparzialità amministrativa ai quali l’esercizio del potere è vincolato. Sul fronte della giurisprudenza, tuttavia, la divisione rappresentata si presenta non priva di fratture: il giudice, tramite la clausola della buona fede, può accedere a un’idea di giustizia dove il divieto evangelico e agostiniano, che impone di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe ricevere, continua a mantenere unito il piano umano delle relazioni con quello dell’ordinamento giuridico, seppure la circostanza sia più facilmente giustificata alla luce della forza integrativa di mutevoli valori sociali e della storia, piuttosto che sulla base del riconoscimento di un’innata ragione umana nell’ambito della quale si collocano principi di giustizia imperituri e naturale virtù. Il testo evidenzia, tuttavia, la vitalità del diritto naturale che spesso integra e reinterpreta la legge statale: gli esempi forniti, a questo proposito, si riferiscono all’abuso del diritto o, dal punto di vista della più giovane dottrina del diritto amministrativo, alle nuove interpretazioni che hanno ad oggetto l’eccesso di potere, il quale si presenta come violazione di una legalità non formale e spesso riconducibile alla clausola della buona fede. Sono molti gli esempi forniti dal contributo per evidenziare il limite del diritto positivo rispetto alla forza giuridica dei valori praeter legem ai quali la buona fede rimanda: si farà riferimento, ad esempio, alla particolare interpretazione assegnata al comando di cui all’art. 1175 del c.c. e, d’altra parte, alle recenti modificazioni che hanno coinvolto la legge sul procedimento amministrativo. In entrambi i casi l’obbligo di correttezza nelle relazioni tra pari e tra impari può considerarsi preesistente all’ordine normativo del privato e del pubblico, giacché strettamente legato al dovere di solidarietà reciproca al quale ogni tipo di relazione deve ispirarsi: di tal guisa, ad esso può essere riconosciuta forza precettiva, propulsiva, integrativa e correttiva delle distinte discipline giuridiche, nella speranza che al fenomeno segnalato segua un’interpretazione giuridica senza contraddizioni. Da questa prospettiva, de iure condendo, la divisione tra il piano umano delle relazioni e quello dei rapporti giuridici, la conseguente distinzione tra fatti umani e fattispecie normativa, sembra superabile, al fine di realizzare quell’idea di giustizia in concreto, che l’esistenza della legge statale, alla quale riferire il caso controverso, da sola non può garantire. Difatti, nel diritto civile, non senza difficoltà e defezioni, la validità della regola di condotta, ancorché extragiuridica, è ammessa con minor sforzo (si citeranno i pensieri di Betti, Messineo, Natoli, Levi, Rodotà, Castronovo ecc.) e la circostanza valorizza la tendenza verso quell’uniformità d’interpretazione dei fenomeni a valenza giuridica ai quali, per dirla con F. Gentile o con E. Opocher, la filosofia non può rimanere estranea. Il lavoro denuncia, tuttavia, la preclusione ideologica che spesso è opposta al ragionamento prospettato, che non trova immuni nemmeno le teoriche più all’avanguardia in argomento: il rischio che viene evidenziato è, nella migliore delle ipotesi, quello di circoscrivere la buona fede nelle dinamiche dell’evoluzione della società e dei costumi, laddove spesso il valore della giustizia coincide con il quantum di giustizia possibile, mentre la buona fede, per sua natura, sovverte il peso della convenzione in favore del particolare, sovverte l’assetto di un ordinamento iniquo in favore di ogni essere umano di fatto violato. Le conclusioni del lavoro, ripercorrono i temi in breve anticipati e, molto semplicemente, legano il superamento della dicotomia che coinvolge la regola della buona fede a un profondo ripensamento dell’idea del diritto, laddove il piano giuridico delle relazioni dovrà essere ricondotto alla realtà dell’incontro, fondato sulla fiducia nella virtù dell’uomo.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
19

Bencini, Riccardo <1995&gt. "La lotta al traffico illecito di beni culturali." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/18110.

Full text
Abstract:
La tesi affronta il tema della circolazione illecita dei beni culturali a livello internazionale, con particolare riferimento al fenomeno nell'area mediorientale. In primo luogo, si analizzano le principali fonti relative alla disciplina del traffico illecito, che comprendono sia gli strumenti internazionali, sia gli strumenti interni adottati da Siria ed Iraq. Nel secondo capitolo, nella sezione I, si effettua un'analisi comparativa, analogie e differenze, tra la Convenzione UNESCO del 1970, concernente le misure per interdire ed impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali, e la Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati. Nell'ambito di tale comparazione, si indagano le motivazioni che hanno portato alla redazione della Convenzione UNESCO, le norme in essa contenute ed i suoi limiti, come successivamente superati dalla Convenzione UNIDROIT. Nella sezione II, si analizza la disciplina giuridica europea in materia di circolazione e restituzione dei beni culturali illecitamente esportati. Il terzo capitolo si concentra sulle caratteristiche di funzionamento del contemporaneo traffico illecito di beni, nonché sulle connessioni che esso presenta con il crimine organizzato, con specifico riferimento alla situazione attuale dei paesi mediorientali. Al riguardo, viene condotta un'attenta analisi in merito alle modalità con cui l'Isis gestisce, sia direttamente sia con strumenti indiretti, l'intero processo del traffico illecito di antichità nei territori occupati. Da ultimo, nella sezione III, si illustrano gli strumenti internazionali e sovranazionali di contrasto al fenomeno, con particolare riguardo al Nuovo Regolamento (UE) 2019/880 relativo all'introduzione e all'importazione di beni culturali da paesi terzi, emanato con lo specifico intento di precludere una delle vie di finanziamento del terrorismo internazionale, costituita dal traffico di opere d’arte trafugate da siti archeologici caduti in mano ad organizzazioni terroristiche come l’ISIS.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
20

Cappelletti, R. "ANTROPOLOGIE DEI DIRITTI UMANI. PERCORSI AFRICANI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2011. http://hdl.handle.net/2434/150178.

Full text
Abstract:
The Human Rights topic is increasing its relevance in the field of legal studies and in the agenda of inter/transnational actors. The Sociology of Law is deeply engaged in this dialogue, but some of its contributions seem to share a common lack of concern about the dimensions of cultural legitimacy and politics of imagination. Refusing the “simplistic” vision of «legal transplants», the approach in term of regionalization and the genealogical theories (i.e. the so called generations of human rights), the thesis aims to outline a multidisciplinary frame, trying to merge the anthropological and the socio-legal knowledge to shed light on the «anthropologies of human rights». The use of the plural suggests several orders of realities: firstly, it reflects the high fragmentation which characterizes the epistemological and methodological debate of contemporary anthropology, as a disciplinary field. An “internal” multiplication of points of view which becomes even more striking in its interactions whit the HR subject and its own kind of internal dissemination. Secondly (and consequently), it enlightens that the “pluralisation” of human rights discourse could be better understood as a proliferation of world-visions and axiologies. In this second meaning, the summoned «anthropologies» have to be intended in term of theories on human beings, on social reality and social order, shaped by cultural assumptions, taken-for-granted and (shared) symbolical repertoires. Deeply merged within every manifestation of the «humanitarian transnational narration», these world-versions need to be studied as sources of influence and inspiration for legal claims, texts and declarations that build the corpus of international humanitarian law. Lastly, this plurality which stems from the relationship between the macro-narrative of the International Bill of Human Rights and its situated appropriations points out the potentiality of a cultural analysis of the social life of (human) rights in avoiding the dichotomist models (universalism versus relativism, global versus local and so on) in favor of a representation in term of narrative encounters between different conceptions of human dignity, human beings, normative orders and social realities. To grasp this mutual and multilayered overlapping, the first part of the thesis builds an analytical framework destined to be applied, in the second part, to the specific context of the «African system of human rights». This choice was dictated by the peculiarities which seem to distinguish it from others regional systems: amongst these features, the African Charter on Human and Peoples’ Rights deserves a special place, considered its aspects of relevant innovation and creativity as well its signs of criticism and its lack of real efficacy. In the first chapter we start from the general liaison between Law and Culture, looking for a «relational paradigm» which rejects determinist or reductionist presentations of this organic link. Adopting a pluralist point of view (centered on the idea of «normative pluralism» preferred to the classical one in term of «legal pluralism»), we borrow some insights from early anthropological researches on «primitive law» and on the co-existence of plural normative orders in colonial settings. The second chapter deals with the concept of «legal culture», trying to discuss a cardinal notion of sociology of law that often pretend to exhaustively grasp the complexity of law/culture nexus. We explore the richness and the pitfalls of influent theorizations about this topic, sorting out three dimensions which seem to require a deeper engagement: the power, the (construction of the) collective identities and the pluralism. In strict dialogue with the studies on «legal consciousness» and «legal socialization», we move towards a textual description of culture. The third chapter sketches a theory of culture in term of cognitive and normative interface between men and the meaningful world they try to create (and to live in). Borrowing from Clifford Geertz the fundamental ideas about the «social traffic of meanings», the textual dimension of cultures and the law as a way of world-making – or better, of imaging the reality –, we keep developing our model in a more comprehensive perspective which dismisses the “literary” constraints entrenched in the idea of «text». The forth chapter deals with some assumptions of the so-called «narrative paradigm», trying to “dissolve” the persisting rigidities of the textual frame into a larger and (more) universal human ability: the narrative competence. We examine the coalescence between narrative attitude and normative attitude, stressing the similarities and the constitutive power of both of them. Starting from narration as a meta-model for the social construction of reality, we move towards the specificities of «legal narration» as expression of the legal construction of social reality. This narrative standpoint can be synthesized as follow: the human skill to produce, to understand and to manipulate tales (and other sources of narrative production) is the key that ensures the transmission and the socializations of cultural meanings, representations and symbols. Trough the narrativization of culture it becomes easier to conceive the narrativization of legal cultures as shared, contested, polyphonic repertories of legal and social ideas. In the fifth chapter we start applying our theoretical framework to the human rights topic. We begin with a preliminary set of issues regrouped under the label of «spatial problematic». It underlines the paradox of the Universalist project, with its claims of cultural independence and planetary applicability on the one hand, and the need of cultural resonance and local relevance on the other. We explore critical contributions about the «globalization talk», which stress some traps of this overriding way of representing social and socio-legal phenomena in the contemporary world. Aiming to reject monodimensional explanations, we merge the «rhetoric of flaws» with the sensibility for «friction events» generated by and trough the encounters between transnational narratives and specific local (and cultural) settings. The concept of «vernacularization» helps us to conceive these interactions/intersections between global flows and punctual frictions. The sixth chapter introduces the main elements of the African context, starting from a sketched portrait of what we define its «radical normative pluralism». In order to cope with the complex reality of the African human rights system, we outline a historical (and political) description of the events that preceded the creation of the Organization for the African Unity, the institutional body which had the main responsibility in the consolidation of the system itself. We also examine various “legal” precedents (the so-called Lagos Law, the Universal Declaration of the Rights of Peoples and so on) which influenced the elaboration of the African Charter with their moral and political authority. Whit the seventh chapter we finally land the heart of our topic: the narrative analysis of the African Charter of Human and Peoples’ Rights. After a quick identification of the focal features of the document, we approach the meaningful core of the Charter: the organic/holistic relationship between individual human rights and collective dimension of peoples’ (human) rights. We split our investigation in two different but related paths: the individual/people pole and the rights/duties pole, assuming they are two dissimilar strategies to arrange this underlying “cohabitation”. We also draw to several pronunciations of the African Commission of human and peoples’ rights exploring the potential meanings of people and peoples’ rights to clarify the official/institutional position on the subject. Anthropological and sociological studies on the ongoing modifications of collective frames of reference (the family, the ethnic group and other strategies of kinship allegiance) in contemporary Africa are employed to complete our inquiry. In the eighth chapter we (temporary) leave the African Charter in favor of other documents and protocols produced by the African system, strictly related to the «culture variable»: the Pan-African Cultural Manifesto, the Cultural Charter for Africa and the Charter for African Cultural Renaissance. After that, we approach three other texts more engaged on the promotion and protection of human rights for specific categories of people: the African Charter on the rights and welfare of the child, the Protocol to the African Charter on human and peoples’ rights on the rights of women in Africa and the African Youth Charter. Our aim is to show how cultural assumptions about the subjects concerned shape or influence the normative prescriptions designed to protect them. The ninth chapter, finally, outlines a general evaluation of our analytical model trough the exploration of its weakness and its points of strength. It shows the hermeneutical advantages provided by the «gius-narrative» key, which enabled us to trace and emphasize the links between myths and foundational narratives of social groups and theirs normative constructions. It also stresses the need for a cultural study of social life of human rights, to (try to) grasp the many faces that the struggle for human rights is showing in its continuous spread around the world.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
21

Zoni, Achille <1985&gt. "L'arte di strada come patrimonio culturale?" Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2596.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
22

Civiero, Ilaria <1987&gt. "La distruzione intenzionale del patrimonio culturale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4347.

Full text
Abstract:
La tesi analizza la distruzione volontaria del patrimonio culturale, sia in caso di conflitto armato, che in tempo di pace. Nel primo capitolo dedicato alle fonti vengono presi in considerazione i principali strumenti a carattere internazionale volti a preservare e tutelare il patrimonio culturale, tangibile ed intangibile. Il secondo capitolo è interamente dedicato alla Dichiarazione UNESCO sulla Distruzione Intenzionale del Patrimonio Culturale, con messa a fuoco, in particolare, sui motivi e gli avvenimenti che hanno condotto l’UNESCO alla sua redazione, nonché i punti di forza e i limiti della stessa. Nel terzo capitolo sono stati infine approfonditi due casi: la distruzione del ponte di Mostar durante la guerra nella Bosnia-Erzegovina e la recente distruzione dei mausolei musulmani di Timbuctù, nel Mali,(successivamente iscritti nella Lista del Patrimonio dell’Umanità a rischio) perpetrata dal gruppo fondamentalista Ansar Dine.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
23

Stifanic, Tea <1985&gt. "La politica culturale dell'Unione Europea." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2855.

Full text
Abstract:
L'originario progetto europeo, guidato dal desiderio degli Stati fondatori di conseguire la pace, attraverso la creazione di uno spazio economico e politico unificato non era inteso a un’unificazione culturale. Difatti, il Trattato istitutivo della CEE non determinava una politica culturale comunitaria, né sanciva alcuna norma espressa ad azioni per la cultura. È con il Trattato di Maastricht che la cultura diventa formalmente competenza europea, mediante l’introduzione dell’attuale titolo XIII composto solamente dall’art. 167 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Tale provvedimento fondamentale deve essere letto in corrispondenza con l’art. 3, par. 3, u.c. che assieme ad altre norme forma il quadro giuridico della cultura nell’UE. Poiché nell’ordinamento giuridico dell’Unione la cultura può essere vista alla luce delle modalità in cui si manifesta o delle funzioni che assume, si è voluto qui distinguere tra il profilo strutturale e funzionale della cultura. Con rispetto al profilo strutturale si possono distinguere gli interventi dell’Unione in matteria culturale fondati su strumenti premiali contrapposti alla vasta area in cui la cultura funge come limite alla piena applicazione delle regole di altri settori di competenza dell’Unione. Quanto al secondo profilo la cultura si presenta con due funzioni distinte: creare valore aggiunto autonomo rispetto alle culture nazionali e subnazionali e con l’alternativa funzione di rafforzamento delle politiche culturali nazionali e locali, ossia come politica culturale europea in senso proprio e come fenomeno del cultural mainstreaming. Il profilo funzionale vedeva la cultura ricoprire ruoli differenti in ordine ai fini preposti in diversi momenti dell’azione culturale dell’Unione. Seguendo l’evoluzione normativa, si è cercato di dare una visione filosofico – politica a tale percorso per comprendere l’andamento della politica culturale europea fino ad oggi ed ipotizzare gli sviluppi futuri soprattutto alla luce delle modifiche apportate alla materia culturale dal Trattato di Lisbona.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
24

Pedio, Silvia <1996&gt. "Il delitto d’onore fra tradizionalismo culturale e diritto penale: Il caso della Giordania." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/18224.

Full text
Abstract:
La tesi affronta la tematica del delitto d’onore soffermandosi sul caso della Giordania. In particolare propone uno studio del fenomeno dal punto di vista sociale partendo da un’ottica internazionale. In secondo luogo la tesi offre un’analisi della presunta relazione di consequenzialità fra religione islamica e il fenomeno in sé per poi soffermarsi definitivamente sullo studio del codice penale Giordano. L’ultima parte tratta dell’esperienza diretta in Giordania attraverso delle interviste effettuate ad Amman fra settembre 2019 e gennaio 2020.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
25

Iuffrida, Marco <1982&gt. "Il cane e l'uomo nella cultura e nel diritto dell'alto medioevo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/5011/1/Iuffrida_Marco_Tesi.pdf.

Full text
Abstract:
Attraverso l’indagine di fonti altomedievali come le Leges dei barbari si è potuto valutare, da un punto di vista pragmatico e fattuale, l’intenzione umana – a volte incidentale e pure difficoltosa – di inquadrare e definire il rapporto con un animale domestico come il cane, che continua e si evolve tra Antichità ed Alto Medioevo e senza una cesura netta. Per completare il quadro culturale e storico-sociale della ricerca, oltre alla trattatistica antica e alla letteratura medievale sugli animali, si è passato in rassegna espressioni documentarie come i capitularia mundana ed ecclasiastica, che hanno destato ulteriore interesse in quanto in esse sussiste il riflesso di un’attenzione tutta “altomedievale” per il cane e per quell’attività che da millenni lega l’uomo a questo animale: la caccia. L’argomento venatorio presuppone l’associazione con il cane nella quasi totalità dei provvedimenti sulla caccia, trasmettendo testimonianze stimabili del connubio homo cum canibus. Ne risulta ora un’amicitia, ora un legame impedito come nelle continue interdizioni venatorie rivolte agli ecclesiastici, uomini – e donne – di Chiesa che andavano a caccia. Pur non fornendo le stesse informazioni minuziose sui cani delle Leggi dei barbari, i capitularia propongono suggestivi scorci di un mondo in cui la caccia, forse la sola attività attraverso cui uomo e cane condividono le medesime trepidazioni primordiali, non era violenza gratuita ma un fondamento della cultura, soprattutto, ma non solo, di ambito aristocratico.
This thesis analyzes the relationship between man and dog through a novel interpretative grid informed by the cultural approach adopted by a complex assemblage of barbarians (Visigoths, Franks, Lombards, Frisians, etc.). Solidarity or otherness? Examination of the early medieval Leges of the barbarians and the capitularia has facilitated a pragmatic and fact-based assessment of humanity’s fraught and somewhat haphazard attempts at understanding and defining its relations with domestic animals such as dogs. This analysis also allows us to bring to light the new roles that increased the significance of the dog in daily life (different types of dogs listed, i.e. barmbraccus, petrunculus, canis acceptoricius, triphunt, hovawart, etc.). The intrinsic peculiarity of the Laws of the barbarians means we can now underscore the substantial difference between classical civilization and the barbarian world in the context of which the dog took on a specific role that was complementary to man’s activities, above all hunting.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
26

Iuffrida, Marco <1982&gt. "Il cane e l'uomo nella cultura e nel diritto dell'alto medioevo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/5011/.

Full text
Abstract:
Attraverso l’indagine di fonti altomedievali come le Leges dei barbari si è potuto valutare, da un punto di vista pragmatico e fattuale, l’intenzione umana – a volte incidentale e pure difficoltosa – di inquadrare e definire il rapporto con un animale domestico come il cane, che continua e si evolve tra Antichità ed Alto Medioevo e senza una cesura netta. Per completare il quadro culturale e storico-sociale della ricerca, oltre alla trattatistica antica e alla letteratura medievale sugli animali, si è passato in rassegna espressioni documentarie come i capitularia mundana ed ecclasiastica, che hanno destato ulteriore interesse in quanto in esse sussiste il riflesso di un’attenzione tutta “altomedievale” per il cane e per quell’attività che da millenni lega l’uomo a questo animale: la caccia. L’argomento venatorio presuppone l’associazione con il cane nella quasi totalità dei provvedimenti sulla caccia, trasmettendo testimonianze stimabili del connubio homo cum canibus. Ne risulta ora un’amicitia, ora un legame impedito come nelle continue interdizioni venatorie rivolte agli ecclesiastici, uomini – e donne – di Chiesa che andavano a caccia. Pur non fornendo le stesse informazioni minuziose sui cani delle Leggi dei barbari, i capitularia propongono suggestivi scorci di un mondo in cui la caccia, forse la sola attività attraverso cui uomo e cane condividono le medesime trepidazioni primordiali, non era violenza gratuita ma un fondamento della cultura, soprattutto, ma non solo, di ambito aristocratico.
This thesis analyzes the relationship between man and dog through a novel interpretative grid informed by the cultural approach adopted by a complex assemblage of barbarians (Visigoths, Franks, Lombards, Frisians, etc.). Solidarity or otherness? Examination of the early medieval Leges of the barbarians and the capitularia has facilitated a pragmatic and fact-based assessment of humanity’s fraught and somewhat haphazard attempts at understanding and defining its relations with domestic animals such as dogs. This analysis also allows us to bring to light the new roles that increased the significance of the dog in daily life (different types of dogs listed, i.e. barmbraccus, petrunculus, canis acceptoricius, triphunt, hovawart, etc.). The intrinsic peculiarity of the Laws of the barbarians means we can now underscore the substantial difference between classical civilization and the barbarian world in the context of which the dog took on a specific role that was complementary to man’s activities, above all hunting.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
27

Andreotti, Elisa <1993&gt. "La gestione dei beni culturali e del turismo nei centri storici." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/22064.

Full text
Abstract:
La ricerca della tesi dottorale “Gestione dei beni culturali e del turismo nei centri storici” si è promossa l’indagine della gestione di questi oggetti all’insegna di un modello di governance partecipata tra pubblico e privato, secondo modelli improntati a principi di integrazione, sussidiarietà, sostenibilità. La prima parte della trattazione ha indagato le discipline che esercitano le principali funzioni di interesse pubblico con riferimento al centro storico nonché la qualificazione del centro storico che da esse emerge. I principali plessi normativi che si contendono la disciplina delle funzioni della conservazione e della trasformazione del centro storico sono il diritto dei beni culturali, il diritto del paesaggio e l’urbanistica. L’elaborato si rivolge poi all’indagine della funzione di gestione dei beni culturali e dei principali strumenti disposti nella normativa statale del codice dei beni culturali e del paesaggio e di altre normative nazionali, in particolare il codice dei contratti pubblici, ai fini della realizzazione delle attività di gestione dei beni culturali. L’analisi ha posto in luce una notevole diffusione di modelli di partenariato pubblico – pubblico e partenariato pubblico privato e la significativa applicazione del principio di cooperazione e collaborazione tra soggetti pubblici e soggetti privati. Attraverso le esperienze italiane di gestione dei beni comuni in contesti cittadini e locali si è poi posta in luce l’importanza di affermare un nuovo modello di gestione declinato sottoforma di co – gestione e co – amministrazione, fondate sulla partecipazione della comunità e della cittadinanza. In questo modo si ricapitola il quadro dei beni culturali e dei beni comuni urbani nell’ambito dei centri storici, evidenziando appunto che la forma della gestione preferibile sia quella di tipo partenariale e partecipata. Il centro storico forma poi oggetto di gestione e considerazione autonoma da parte della UNESCO World Heritage Convention. Si tratta di una fonte internazionale di tutela del patrimonio culturale e naturale di eccezionale valore che rende obbligatoria la redazione di piani di gestione per promuovere lo sviluppo sostenibile dei siti culturali e naturali. Tali piani di gestione rappresentano dei piani cornice o piani integrati capaci di considerare in modo globale tutte le politiche insistenti sul territorio, per elaborare un insieme di principi che informino tutte le politiche territoriali di settore. Quanto all’aspetto della gestione del turismo, la ricerca ha poi posto in luce le principali criticità che questa attività economica comporta per i centri storici, osservando anche il fenomeno specifico delle locazioni turistiche brevi. Di qui la necessità che il turismo sia gestito secondo il paradigma della sostenibilità rispetto alle capacità di carico e di rigenerazione delle risorse del territorio di riferimento. Un modello di gestione efficacie per il soddisfacimento di tale obiettivo è il modello di destination governance, che si afferma a livello locale e si serve, eventualmente, di un soggetto regista di natura mista pubblico – privata. Inoltre, il modello di destination governance, in analogia con il modello di gestione dei siti UNESCO, è improntato al metodo della pianificazione strategica. La finalità principale resta dunque quella di integrare e armonizzare la gestione del turismo con altre politiche di settore in un quadro di sviluppo sostenibile per il territorio di riferimento. La ricerca pone pertanto in luce, anche attraverso l’indicazione di casi ed esperienze pratiche, l’importanza di promuovere la pianificazione strategica territoriale per i centri storici, per poter coordinare le politiche di settore entro una visione condivisa da parte di tutti gli stakeholders e della comunità.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
28

Callegari, Valentina <1988&gt. "La circolazione illecita dei beni culturali a livello internazionale. Il caso Cina." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4562.

Full text
Abstract:
L'oggetto della tesi è la circolazione internazionale illecita dei beni culturali, con particolare riferimento ai beni culturali cinesi. Inizialmente vengono analizzate le principali fonti dedite alla disciplina del traffico illecito, che comprendono sia gli strumenti internazionali, sia gli strumenti interni adottati dalla Cina. Nel secondo capitolo si passa ad un'analisi più approfondita della Convenzione UNESCO concernente le misure per interdire e impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali del 1970 e della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati del 1995: si analizzano le motivazioni che hanno portato alla redazione della Convenzione dell'UNESCO, le norme in essa contenute ed i suoi limiti, superati successivamente con la stesura della Convenzione dell'UNIDROIT. Nell'ultimo capitolo si cerca di capire come la Cina, Stato Membro di entrambe le convenzioni sopracitate, sta affrontando il problema della circolazione illecita dei beni culturali. Dopo aver dato un quadro generale della situazione cinese, si prendono in esame le norme interne in materia, l'applicazione degli strumenti internazionali ed, infine, alcuni casi specifici di ritrovamento di opere d'arte cinesi rubate o illecitamente esportate e restituite alla Cina.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
29

Gobich, Virginia <1992&gt. "Beni culturali e agevolazioni fiscali: una necessaria sinergia fra pubblico e privato." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12739.

Full text
Abstract:
È noto che le risorse a disposizione del comparto “cultura” non sono dimensionate all’immenso e diffuso patrimonio culturale italiano, la cui tutela è principio costituzionale fondamentale e compito primario dello Stato. Alle restrizioni di bilancio non giovano né il protratto periodo di ristagno economico di inizio 21° secolo, né la dilatazione che il termine “patrimonio culturale” ha subito nelle ultime decadi del secolo scorso, arrivando a ricomprendere addirittura i “beni culturali volatili”. L’intervento dei privati, pertanto, è più che auspicabile ed è compito dello Stato agevolarlo e incentivarlo, favorendo sia la proprietà del bene e la sua circolazione, sia la liberalità disinteressata, premiata con l’Art Bonus qualora indirizzata verso il bene culturale pubblico. Le norme agevolative, se ben strutturate, potrebbero essere in grado di smuovere consistenti risorse economiche e di inserire, con i nuovi profili di valorizzazione, nuovi soggetti e interessi in campo, compreso il vasto settore del non profit, dal 2018 Terzo Settore. Potrebbero diventare uno degli strumenti più duttili anche in ordine al perseguimento del principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost., in perfetta armonia con la concezione di fiscalità attiva e funzionale, che orienta il comportamento dei privati cittadini, singoli o associati, verso la realizzazione dei principi costituzionalmente garantiti.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
30

Poggese, Elisa <1981&gt. "Il traffico illecito di beni culturali provenienti da zone di conflitto armato." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14612.

Full text
Abstract:
Analisi della lotta al traffico illecito di beni culturali dal punto di vista del diritto internazionale, con un focus sui territori occupati dallo Stato Islamico e sulle misure di contrasto adottate dai paesi di destinazione dell'esportazione illecita.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
31

Pelusi, Francesco. "La procreazione nell’epoca della sua riproducibilità tecnica: l’omogenitorialità in Italia tra diritto e pratiche." Doctoral thesis, Urbino, 2022. http://hdl.handle.net/11576/2700729.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
32

Tacchella, Anna <1993&gt. "Appropriazione e circolazione illecita dei beni culturali. Il caso del Museo di Castelvecchio." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16736.

Full text
Abstract:
Il lavoro concerne l'ambito della circolazione illecita delle opere d'arte e della loro restituzione, prendendo come caso di analisi il furto avvenuto al Museo di Castelvecchio a Verona. La sera del 19 novembre 2015 vennero rubati 17 dipinti di inestimabile valore che vennero trovati, l’anno successivo, nella regione di Odessa in Ucraina e fecero ritorno solamente dopo una lunga attesa. La tesi si articola in tre capitoli: nel primo vengono analizzate le fonti internazionali, europee, italiane ed ucraine che disciplinano la salvaguardia del patrimonio culturale e nello specifico la loro lecita circolazione e la loro restituzione in caso di esportazione illecita. Il secondo capitolo si articola in due sezioni. Nella prima vengono approfonditi gli strumenti internazionali ed europei che possono essere utilizzati per la restituzione del patrimonio culturale: si tratta della Convenzione dell'UNESCO del 1970 (lo strumento è l'unico ratificato sia dall’Ucraina che dall'Italia e, quindi, è l'unico che può essere utilizzato nel nostro specifico caso per la restituzione delle opere) e della Direttiva 2014/60/UE applicabile invece a livello europeo. Quest’ultima sostituisce la precedente Direttiva 93/7/CEE, elaborata a seguito della creazione del mercato interno UE, il quale prevedeva la libera circolazione delle merci e perciò anche delle opere d'arte. Nella seconda sezione del capitolo secondo, viene analizzato il rapporto politico e culturale tra Ucraina ed Unione Europea: dopo un breve inquadramento storico, vengono approfondite le Politiche di Vicinato e gli Accordi di associazione siglati tra l'Istituzione e l'Ucraina, con l'intento di esaminare il legame sorto tra i due, anche a livello culturale. A tale scopo, la sezione si conclude con l'analisi della legislazione ucraina inerente all'ambito della circolazione e restituzione delle opere d'arte, e vengono ricercati i punti di affinità ed estraneità con la normativa europea: l’obiettivo è di esaminare gli elementi di discordanza tra le due legislazioni e di vedere come, a seguito dell'unione doganale disciplinata nell'Accordo di associazione (entrato in vigore nel 2017), sia disciplinata la circolazione delle opere d'arte. L'ultimo capitolo concerne il caso specifico avvenuto al Museo di Castelvecchio: vengono descritti i fatti riguardanti la rapina, le indagini svolte dal Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale in collaborazione con Eurojust ed Interpol, il ritrovamento dei dipinti, il lungo processo della loro restituzione ed infine il processo ai responsabili della rapina. Successivamente viene analizzata la cooperazione europea che entra in azione nell'ambito del contrasto del traffico illecito del patrimonio culturale, cooperazione che ha permesso la piena riuscita dell'operazione di ritrovamento e di restituzione delle opere appartenenti al Museo scaligero.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
33

Munari, Bruno <1992&gt. "Individuazione e circolazione di beni culturali mobili in ambito nazionale, europeo e internazionale." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/22060.

Full text
Abstract:
Il presente lavoro consiste nell’analisi critica del contenuto della legislazione speciale operante in materia di individuazione e circolazione nazionale, europea e internazionale di beni culturali mobili. L’approfondimento svolto tiene conto delle più rilevanti questioni problematiche sollevate nel tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa, anche al netto delle più recenti riforme legislative. L’intento ultimo della trattazione consiste nel dimostrare come la legittima fuoriuscita di beni culturali mobili dal territorio nazionale non sempre determina un depauperamento del patrimonio culturale nazionale quanto, al contrario, una possibile occasione di condivisione e promozione delle cd. testimonianze materiali aventi valore di civiltà con la comunità europea e internazionale, in nome di un progressivo sviluppo della cultura e dell’arte in ogni accezione e in vista della progressiva formazione di una comune identità culturale europea e internazionale. Tale assunto trova riscontro non solo in una politica culturale orientata sempre di più ad una dimensione globale dei beni culturali, ma anche in una certa lettura costituzionalmente orientata delle norme di sistema.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
34

ORRU', MARTINA. "Analisi comparata dei delitti sessuali con particolare riferimento agli elementi normativi culturali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Cagliari, 2017. http://hdl.handle.net/11584/249628.

Full text
Abstract:
Migratory phenomenon is an important factor in criminal law. It rappresents fast cultural changes and therefore the everlasting issue of the relationship between criminal law and heritage and morality. Sensitive institutions are the normative elements, in particular the extra-legal component. In the first section it analyzes the tenets of the normative elements in criminal law, with focus on the german tenets. The second one is the in-depth analysis of the cultural, normative elements in german and italian sexual offences legislation.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
35

piovene, porto godi alessandra. "Vite e vino tra i fattori di mercato e patrimonio culturale: profili giuridici europei ed internazionali." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422514.

Full text
Abstract:
ABSTRACT The main goal of this thesis is to study the possibility of considering wine not only as an agricultural and commercial product but also as representative of a particular culture and its main features. To this purpose, the thesis is divided in two parts. The first part analyzes the laws and regulations which were established at the EU and at other international levels to protect the wine production and trade. The analysis of the EU law started with the study of the EU agricultural law and discipline and with the analysis of the evolution of the Common Agricultural Policy from the Rome Treaty until the Lisbon Treaty. The second Chapter is dedicated to the analysis of the evolution of the wine laws and regulations and of the most relevant case law. The analysis focused especially on the recent reforms of the discipline and the important changes and innovations they implied. The third Chapter is dedicated to the study of the interactions between the wine sector and policy and other EU policies and initiatives, such as the actions taken to protect human health, the EU environmental policy and the initiatives taken to promote different forms of tourism. This analysis is followed, in the fourth Chapter, by the analysis of the main international agreements that have been adopted both in the context of international organizations and with third States. This analysis shows how wine production has always been viewed and considered as one of the most important in European agriculture and its ability to combine the needs of trade with other goals such as human health protection, the safeguarding of the natural environment and the development of the most disadvantages regions. The need to protect and enhance the quality of the wines produced by different regions, which was always one of the main goals of the laws dedicated to wine, can be seen also as one important index in order to consider wine and its traditional production techniques as cultural values that deserve to be protected. With this possibility in mind, the second part of the thesis reconsidered, in the fifth Chapter, some of the rules and regulations that were adopted at the European level, such as the regulations on Geographical Indications and Designations of Origin or regulations on agricultural products and foodstuffs as traditional specialities guaranteed, in order to verify if they can be considered not only as economic instruments and regulations, aimed at protecting the interests of consumers and producers but also as a means for safeguarding particular production methods and wine traditions that helped to shape the culture of the different wine regions. The sixth Chapter is dedicated to the analysis of the main instruments which were adopted at an international level to protect cultural heritage, in order to verify the possibility of extending this protection also to wine production, which can be seen as an example of traditions, local culture and the values associated therein. The analysis conducted to see if the systems that were established to protect quality wines could be perceived also as protection and preservation of cultural traditions, reveals that those same systems could be used, even with some imagination, to safeguard the characteristic production methods of the different regions. However this kind of protection is linked to the needs and characteristics of the local market dynamics, as it is limited to special products and materials with certain geographical features and specific production techniques. Considering that the intellectual property rights are inevitably limited to quality products, the analysis focuses on the search for other means to protect wine production methods and wine as a product which is the result of traditions and techniques often transmitted from generation to generation for centuries. Furthermore, wine consumption is associated with values and symbols in different environments such as religious beliefs and other social occasions. Considering that some famous wine production sites have been included as cultural landscapes in the List of the cultural heritage of humanity created by the 1972 Convention concerning the protection of the World Cultural and Natural Heritage, the analysis focuses on the hypothesis of including wine, the values and symbols associated with its consumption, and its production techniques which are used in the different regions of the world in the Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity which has been created by the 2003 UNESCO Convention for the safeguarding of the intangible cultural heritage. The protection was already granted to cultural vineyard landscapes by the 1972 Convention concerning the protection of the World Cultural and Natural Heritage, a clear example of protecting wine and its production not only from an economic perspective but also in a social, environmental and cultural one. This protection is concentrated not on wine as an agricultural product but on its ability to change and influence the local environment and its characteristics and to tie in with local traditions and beliefs. In order to verify the possibility of protecting wine and wine production methods by virtue of the 2003 UNESCO Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, the analysis focuses, first of all, on the activities and programs which led to the adoption of the Convention and the systems it established to guarantee the safeguarding of the intangible cultural heritage at the national and international level. This analysis is followed by the study of cases about practices that were presented to the Intergovernmental Committee for the safeguarding of the intangible cultural heritage for inclusion in the Representative List of the intangible cultural heritage of humanity which deal with or already include wine, its production methods and techniques and the symbols and values associated with the product such as traditional Mexican cuisine, the gastronomic meal of the French and the Mediterranean Diet. The study of these examples and practice led to the analysis reported lastly, of the reasons and ways that could justify the possibility of protecting both wine and its production as part of the intangible cultural heritage, in order to offer an extra level of protection, in addition to the existing laws and regulations on quality wines.
RIASSUNTO Questo lavoro ha inteso analizzare la possibilità di considerare il vino non soltanto quale prodotto agricolo e commerciale ma anche come prodotto culturale e rappresentativo di una determinata civiltà e delle sue caratteristiche. A tal fine il lavoro è stato suddiviso in due parti. La prima parte ha esaminato la regolamentazione dedicata ai prodotti vitivinicoli tanto nel contesto dell’Unione Europea quanto nel contesto internazionale. L’analisi della disciplina predisposta a livello europeo ha preso le mosse dall’esame delle fonti del diritto agrario e dell’evoluzione della politica agricola comune dal Trattato di Roma al Trattato di Lisbona. Il secondo capitolo è stato dedicato all’esame dello sviluppo della normativa e della giurisprudenza dedicate al vino e ai prodotti vitivinicoli nel diritto dell’Unione Europea, ponendo particolare attenzione alle riforme più recenti e alle importanti modifiche da esse introdotte, mentre il terzo capitolo si è concentrato sull’esame delle interazioni con altre iniziative ed obiettivi fondamentali dell’azione dell’Unione, quali le iniziative intraprese nel settore della protezione della salute umana, della tutela dell’ambiente naturale e del turismo. L’analisi degli interventi dedicati al settore vitivinicolo in ambito europeo è stata seguita, nel quarto capitolo, da quella della disciplina stabilita dai principali accordi internazionali conclusi sia a livello multilaterale che a livello bilaterale con i principali Stati terzi produttori. L’esame così condotto ha dimostrato come la produzione di vino sia stata sempre considerata una delle produzioni agricole maggiormente importanti dell’agricoltura di diversi Stati europei, in grado di coniugare le esigenze relative al mercato con le politiche, collegate alla produzione vitivinicola, di tutela della salute umana, dell’ambiente naturale e dello sviluppo delle regioni più svantaggiate. L’attenzione dedicata alla promozione e valorizzazione della qualità dei vini prodotti, da sempre presente negli interventi dedicati al settore, contribuisce alla possibilità di ipotizzare la protezione del vino e delle sue tecniche di produzione come valori tradizionali suscettibili di tutela anche dal punto di vista culturale. Su questa base, la seconda parte del lavoro ha ripreso, nel capitolo quinto, l’analisi di alcune discipline già stabilite in ambito europeo, come quella relativa alle indicazioni geografiche e alle denominazioni di origine o quella relativa alle specificità tradizionali garantite, al fine di verificare se esse vengano in rilevo non soltanto come strumenti di carattere economico, in grado di tutelare gli interessi dei produttori e dei consumatori, ma anche come strumenti idonei alla preservazione e alla salvaguardia delle tecniche di produzione e delle tradizioni vitivinicole tipiche delle singole regioni. Il sesto capitolo è stato dedicato all’esame dei principali strumenti adottati sul piano internazionale per la protezione del patrimonio culturale, al fine di verificare l’esistenza di elementi indicativi di una possibilità di estensione di tale protezione anche alla produzione vitivinicola, in quanto significativa di tradizioni, cultura locale e dei valori ad essa associati. La rilettura in chiave culturale degli strumenti riguardanti la tutela delle produzioni di qualità ha dimostrato come tali normative possano essere richiamate, pur con qualche perplessità, anche per la protezione e tutela delle tradizionali caratteristiche di produzione delle regioni. La tutela di questi elementi rimane comunque circoscritta alle dinamiche di mercato, essendo limitata alla protezione dei prodotti che presentano caratteristiche particolari, dovute vuoi alla loro origine geografica vuoi alle specifiche materie prime o tecniche di produzione impiegate dai produttori. Tale delimitazione ha suggerito un’indagine sull’esistenza di ulteriori ambiti di tutela alla luce delle specifiche caratteristiche del vino e della sua coltivazione, fondata su tradizioni secolari, su tecniche tramandate di generazione in generazione e sul valore simbolico assunto dal prodotto sia in ambito sociale che in molti credi religiosi. Partendo dalla considerazione che anche i paesaggi vitivinicoli sono stati inclusi nella Lista del patrimonio mondiale istituita dalla Convenzione UNESCO del 1972 sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, si è ipotizzata l’inclusione dei particolari metodi invalsi nelle diverse regioni del mondo per la produzione del vino e dei significati simbolici attribuiti al suo consumo nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale intangibile, istituita dalla Convenzione UNESCO del 2003 sulla salvaguardia del patrimonio culturale intangibile. La protezione già approntata ai paesaggi vitivinicoli come paesaggi culturali (cultural vineyard landscapes) nell’ambito della Convenzione del 1972 sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale ha permesso di enfatizzare l’importanza della produzione di vino non soltanto sotto il profilo economico ma più in generale sotto il profilo ambientale, sociale e culturale. La protezione si rivolge, infatti, non al prodotto ma alla capacità della coltivazione vitivinicola di incidere in misura determinante sull’ambiente circostante e sulle sue caratteristiche, evidenziando i legami con la tradizione anche culturale. Per verificare poi la possibile riconducibilità del vino nell’ambito di protezione della Convenzione del 2003 sulla salvaguardia del patrimonio culturale intangibile, è stato analizzato, in primo luogo, il percorso che ha portato all’adozione dello strumento e il sistema da esso predisposto per garantire la salvaguardia degli elementi del patrimonio culturale intangibile a livello nazionale ed internazionale. In secondo luogo è stata analizzata la prassi relativa all’accordo e sono state esaminate alcune delle domande di candidatura e le relative decisioni di inclusione di elementi idonei a coinvolgere il vino, le sue tecniche di produzione e i valori simbolici ad esso associati, quali la cucina messicana, il pranzo gastronomico dei francesi o la dieta mediterranea. Sulla base degli spunti offerti dalla prassi sono state, infine, analizzate le ragioni che potrebbero giustificare una ipotetica riconducibilità anche del vino alla nozione di patrimonio culturale intangibile, al fine di configurare una protezione ulteriore, che si affianchi a quella già predisposta sulla base delle normative sui vini di qualità e che comprenda tutti gli aspetti collegati alla valenza culturale del vino e delle sue tecniche di produzione.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
36

Pantano, Maria Maddalena <1987&gt. "La Convenzione UNESCO sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali: gli ultimi sviluppi." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3247.

Full text
Abstract:
La tesi cercherà di affrontare lo studio della Convenzione Unesco del 2005 sulla protezione e sulla promozione della diversità delle espressioni culturali analizzando in particolar modo il rapporto che essa ha con i diritti culturali. In primo luogo si cercherà di costruire un quadro giuridico (internazionale, regionale e nazionale) di riferimento, inerente all'eterogenea e vasta tematica della diversità culturale. Secondariamente si dedicherà ampio spazio ad uno studio critico della Convenzione cercando di cogliere gli elementi caratterizzanti del testo, i punti di debolezza e l'evoluzione delle disposizioni della Convenzione attraverso la presentazione dei contenuti delle linee guida operative più recenti. Infine si cercherà di comprendere quale contributo possa dare la Convenzione Unesco del 2005 nell'arricchimento e nell'affermazione dei diritti culturali alla luce dello studio delle fonti giuridiche e delle linee guida precedentemente analizzate.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
37

Trusinova, Lucia <1990&gt. "La protezione dei beni culturali nei conflitti armati: Il caso del Museo Nazionale di Beirut." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14391.

Full text
Abstract:
L’elaborato di studio ha lo scopo di analizzare la situazione del patrimonio culturale del Libano durante la guerra civile negli anni 1975-1990, in particolare la collezione dei reperti archeologici custoditi nel Museo Nazionale di Beirut e il ruolo di quest’ultimo durante e dopo il conflitto, soprattutto nel processo di riconciliazione con il passato. Si intraprenderà questo percorso trattando nel Primo Capitolo quelle che sono le fonti giuridiche, ovvero dapprima tutti gli strumenti giuridici (a carattere universale e non), che concorrono alla protezione del patrimonio culturale in caso di conflitto armato, ma anche strumenti applicabili in situazione di pace, per poi proseguire analizzando la normativa libanese relativa alla tutela dei beni culturali. Nel Secondo Capitolo vengono affrontati, con una breve analisi, i principali strumenti giuridici a carattere internazionale applicabili in tale delicata situazione, ovvero la Convenzione dell’Aja del 1954, il suo Secondo Protocollo del 1999 e la Convenzione di Parigi del 1970, interrogandosi sull’esistenza di norme consuetudinarie in materia di protezione e restituzione di beni culturali e sugli aspetti positivi e negativi che da essi emergono. Il capitolo prosegue poi con un’attenta ricostruzione dell’evoluzione della legislazione sulla tutela del patrimonio culturale libanese. Inoltre, sempre nel Secondo Capitolo viene svolta una analisi della protezione tecnica delle istituzioni che custodiscono il patrimonio culturale durante conflitti armati, i relativi rischi e la adeguata preparazione ad affrontare le situazioni di eventi bellici. Il Terzo Capitolo, infine, affronta la questione della salvaguardia del patrimonio culturale in Libano durante la guerra civile con particolare riguardo al Museo Nazionale di Beirut.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
38

Fidelbo, Costanza <1993&gt. "“Unite for Heritage: la protezione del patrimonio culturale nelle aree di crisi”." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/13155.

Full text
Abstract:
Il presente lavoro di tesi analizza quale risposta la comunità internazionale abbia dato agli attacchi deliberati e violenti perpetrati a detrimento del patrimonio culturale nell’ambito di situazioni di crisi e di conflitto. La trattazione si articola in tre capitoli, ognuno dei quali è organizzato in sezioni, paragrafi e sotto-paragrafi. Il I capitolo esamina le fonti di diritto internazionale in materia (fonti universali, atti delle Organizzazioni internazionali, fonti regionali). Il II capitolo si focalizza sull’azione condotta dall’UNESCO (dal 2015 ad oggi), volta ad adeguare la risposta internazionale rispetto a fenomeni – distruzione, saccheggio, traffico illecito – lesivi dell’integrità culturale dei popoli e dei territori colpiti e, dunque, del patrimonio culturale mondiale. Il risultato principale è rappresentato dall’adozione da parte della Conferenza Generale della “Strategia per il rafforzamento dell’azione dell’UNESCO per la protezione della cultura e la promozione del pluralismo culturale in caso di conflitto armato”. In questa cornice, specifica attenzione è rivolta allo studio di uno degli strumenti più innovativi ivi previsto, ovvero l’istituzione di meccanismi di rapido intervento e mobilitazione di esperti nazionali (“Task Force”). Il III capitolo esamina interventi e logiche di conservazione, restauro e ricostruzione (anche mediante il ricorso a tecnologie all’avanguardia) del patrimonio culturale colpito o distrutto in aree di crisi (Mali, Iraq e Siria).
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
39

Bortoluz, Sara <1990&gt. "Cultural genocide: an unpunished crime? Rethinking the value of culture." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5534.

Full text
Abstract:
La maggior parte degli studi nell'ambito del genocidio si focalizza principalmente sul concetto di "omicidio di massa". Il culturicidio o genocidio culturale resta invece nell'ombra e costituisce tuttora un campo pressoché inesplorato. Tuttavia, quando Raphael Lemkin coniò il termine "genocidio" nel 1944, egli incluse nella sua definizione anche una componente culturale di non minore importanza. Ma perché allora il culturicidio viene trascurato? E perché a differenza del genocidio fisico, il genocidio culturale non è ancora ritenuto illegale dal diritto internazionale? Scopo di questo lavoro è far conoscere la tematica del genocidio culturale, spesso ingiustamente trascurata e collocarla nel panorama giuridico, politico e sociale. Inoltre, il lavoro ha come obiettivo quello di far comprendere la necessità di un’analisi e di una riflessione più profonda sul tema, nel contesto internazionale, mirante all’adozione di misure efficaci per prevenire e punire il genocidio culturale che ad oggi non costituisce un crimine di diritto internazionale.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
40

Balistreri, Luana Francesca <1983&gt. "Il traffico illecito transnazionale dei beni culturali. Il contenzioso sulla restituzione all'Italia della "Venere" di Morgantina." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2453.

Full text
Abstract:
L'oggetto della mia tesi è il lungo contenzioso internazionale sulla restituzione della Venere di Morgantina tra lo Stato italiano e il Museo Getty di Malibù. Questo costituisce senza alcun dubbio una delle più interessanti vicende annoverabili a questioni di natura giuridica e diplomatica, non solo perché a seguito di uno dei più grandi furti archeologici di tutti i tempi, data la valenza storica-artistica ed il valore economico del reperto, ma soprattutto perché ha chiarito al mondo intero il modo di operare di una tra le più grandi istituzioni museali. Questi ed altri motivi mi hanno così spinto ad indagare sulle condizioni attuali in materia di traffico transnazionale di beni culturali, concentrandomi soprattutto sul complesso ed articolato sistema di norme di diritto internazionale e sul ruolo assunto dai musei, a partire dalla vicenda trattata.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
41

Lia, Giulia <1989&gt. "LA CONVENZIONE UNIDROIT: BENI CULTURALI RUBATI O ILLECITAMENTE ESPORTATI. LE PROBLEMATICHE NEI PAESI DELL'AREA MEDITERRANEA." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/2070.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
42

Lot, Enrica <1986&gt. "Il contenzioso sulla restituzione dei beni culturali sottratti durante la dominazione coloniale : un conflitto destinato a riesplodere?" Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1613.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
43

Lucchese, Anna <1989&gt. "La circolazione transnazionale dei beni culturali a scopo non lucrativo : il prestito delle opere d'arte per mostre." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4150.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
44

Larena, Fulvia <1995&gt. "La nuova Convenzione del Consiglio d'Europa sulle offese relative ai beni culturali. Un efficace strumento di tutela?" Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16988.

Full text
Abstract:
Si analizza la nuova Convenzione sulle offese ai beni culturali, firmata dal Consiglio dei ministri del consiglio d'Europa il 3 maggio 2017, ancora non entrata in vigore. Si cercherà di capire se il nuovo strumento rappresenti, in mezzo a quelli già esistenti, un punto di svolta e/o uno strumento efficace per la tutela e salvaguardia internazionale dei beni culturali
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
45

Tasso, Marta <1986&gt. "Dolomiti Patrimonio dell'Umanità. Bene naturale o bene (anche) culturale? Primi spunti di riflessione." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5130.

Full text
Abstract:
Nel presente lavoro vengono delineati la storia ed il percorso riguardanti la candidatura alla Lista del Patrimonio Mondiale del bene seriale naturale Dolomiti alla luce della Convenzione UNESCO sul Patrimonio culturale e naturale mondiale del 1972. La tesi identifica ed evidenzia i complessi meccanismi necessari per conseguire il riconoscimento UNESCO sulla base delle indicazioni fornite dalle Linee Guida Operative alla Convenzione sul Patrimonio Mondiale. La ricerca si è sviluppata ulteriormente facendo emergere un interessante capitolo della storia dolomitica antecedente al percorso di candidatura ufficiale. Sulla base di questo significativo contributo si è ragionato sulla valenza culturale del bene Dolomiti e sui possibili sviluppi in termini di tutela dei valori culturali inclusi nel territorio dolomitico. Per raggiungere tale risultato fondamentale è stato lo studio della normativa vigente in materia di tutela ambientale, presentata nella prima parte dell' elaborato. Successivamente è stata affrontata la regolamentazione fornita dall' UNESCO utile per presentare una candidatura alla Lista del Patrimonio Mondiale, tenendo conto che dalla prima versione delle Linee Guida Operative ad oggi sono state redatte ben 25 versioni con relativi ampliamenti e modificazioni. L'indagine si è sviluppata nell'analisi del caso "Dolomiti" per poi provare a darne una lettura organica e complessiva fornendo degli spunti di riflessone per delle possibili evoluzioni.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
46

Goor, Marie-Claire <1995&gt. "La difficile protezione del patrimonio culturale iracheno. Tra innovazione giuridica e sensibilità artistica." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19081.

Full text
Abstract:
La tesi si propone di analizzare la protezione del patrimonio culturale iracheno secondo una duplice prospettiva. Da un lato si analizzeranno le fonti giuridiche volte alla tutela del patrimonio culturale iracheno nel drammatico scorcio dell'ultimo secolo. Dall'altro lato si prenderanno in considerazione quelle sensibilità artistiche che, particolarmente colpite dalla situazione di pericolo dei beni culturali iracheni, svilupperanno pratiche volte al recupero e alla preservazione della storia culturale dell'Iraq. Il primo capitolo prenderà in analisi il contenuto delle fonti, partendo dalle fonti internazionali vincolanti e non vincolanti, passando per le fonti giuridiche regionali fino alla legislazione nazionale irachena. Il secondo capitolo prenderà in analisi l'evoluzione della sensibilità giuridica internazionale e nazionale anche a fronte delle gravi perdite del patrimonio culturale: si ricorderanno fra tutti il caso del saccheggio dell'Iraq Museum e le distruzioni e i saccheggi operati dell'ISIS. Sarà inoltre evidenziata la cooperazione internazionale operata sul territorio dell'Iraq dal CRAST. Infine il terzo capitolo metterà in luce come parallelamente all'evoluzione giuridica si siano sviluppate pratiche artistiche attente ai medesimi principi diffusi dal diritto internazionale, in particolare nell'opera di artisti contemporanei iracheni, uno su tutti Michael Rakowitz, e della comunità internazionale.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
47

Pardini, Diletta <1991&gt. "Il caso Kimura: un'analisi dal punto di vista giuridico e socio-culturale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12134.

Full text
Abstract:
La presente ricerca si propone di analizzare da un punto di vista giuridico e socio-culturale il “caso Kimura”, spesso considerato il caso pilota della cultural defense in termini di esimente culturale, e di trattare in modo approfondito le questioni etiche e sociali da esso scaturite. A Santa Monica, l'immigrata giapponese Fumiko Kimura, in seguito alla scoperta del tradimento del marito, decide di togliere la vita a sè stessa e ai suoi figli. L'atto in giapponese viene definito oyako-shinjū, traducibile in senso ampio come omicidio-suicidio di genitore e figli. Kimura, unica sopravvissuta, si trova a dover affrontare un processo in cui viene incriminata per omicidio di primo grado. Nel primo capitolo dell’elaborato si espongono le premesse e una ricostruzione oggettiva dei fatti avvenuti. Il secondo si focalizza sull’analisi del caso attraverso le lenti dell’accusa e della difesa e sui suoi aspetti giuridici più rilevanti. Il terzo si concentra sull’approccio al caso da parte della comunità giapponese in California e da parte dei media. Infine nel quarto e ultimo capitolo si affrontano i temi cosiddetti etici che hanno reso il caso oggetto di acceso dibattito e si cerca di dare risposta alla domanda: "la risonanza mediatica del caso può essere legata al fatto che questo fosse diventato caposaldo di uno scontro tra il tribunale californiano e la minoranza nippo-americana, la quale insisteva nel valutare la vicenda attraverso l'appartenenza nazionale e culturale di Kimura?".
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
48

BONFANTI, VERONICA. "Sponsorizzazioni e realizzazione di opere pubbliche a carico di soggetti privati. L'esperienza relativa ai beni culturali." Doctoral thesis, Università degli Studi dell'Aquila, 2020. http://hdl.handle.net/11697/144546.

Full text
Abstract:
Il presente lavoro mira allo studio del fenomeno della sponsorizzazione pubblica che ha assunto in Italia una crescente notorietà ed importanza in quanto le amministrazioni pubbliche hanno sempre più frequentemente considerato il contratto di sponsorizzazione come uno dei mezzi utili per realizzare le politiche di contenimento della spesa pubblica. D’altro canto, le politiche d’impresa hanno individuato la sponsorizzazione come uno strumento utile per accreditare un prodotto, un marchio, la ditta, la denominazione dell’impresa o del gruppo societario d’imprese. Oggi l’attività contrattuale dell’amministrazione pubblica, a seguito della forte crisi economica cha ha spinto la legislazione ad accogliere figure procedurali più flessibili, consente un miglior impiego delle risorse pubbliche, continuando ad assicurare la più ampia concorrenza e l’accesso al mercato da parte delle imprese, soprattutto medio-piccole. Questo processo ha portato, soprattutto nel settore delle opere pubbliche, a sperimentare ed utilizzare strumenti contrattuali diversi dall’appalto pubblico, caratterizzati da una minore rigidità in quanto non regolamentati, che hanno trovato la loro naturale collocazione del partenariato pubblico privato. Questo strumento si è dimostrato in grado, attraverso un maggiore coinvolgimento del privato a livello di progettazione ed esecuzione dell’intervento, nonché nella fase di gestione delle opere stesse, di assicurare un risparmio alle pubbliche amministrazioni. La pubblica amministrazione è stata così legittimata ad avviare col privato una sempre più ampia collaborazione “alla pari”, utilizzando figure contrattuali che fino a qualche anno prima non erano d’impiego comune e che, grazie alla loro flessibilità, hanno consentito un migliore adattamento alle nuove combinazioni di finalità pubbliche e interessi privati. Si tratta di una tendenza evolutiva che apporta nuova linfa alla contrattualistica pubblica e dà maggior rilievo alla capacità negoziale riconosciuta all’ente pubblico, accrescendone non solo l’ambito di discrezionalità in relazione alla gestione delle procedure selettive, ma altresì l’autonomia contrattuale che si suole riconoscere alla p.a. Ci troviamo quindi in un contesto in cui si ricercano nuovi strumenti di funding alternativi a quelli tradizionali per fronteggiare la scarsità di risorse economiche a disposizione degli enti pubblici, cercando di trovare possibili soluzioni per garantire il perseguimento dell’interesse pubblico anche attraverso modelli privatistici. Dall’incontro tra il bisogno proprio del soggetto pubblico e la disponibilità del soggetto privato nasce il contratto di sponsorizzazione, oggetto di studio del presente lavoro, al fine di realizzare maggiori economie e migliorare la qualità dei servizi erogati ai cittadini. Lo studio ha voluto mettere in risalto le peculiarità del rapporto giuridico che si instaura tra la pubblica amministrazione ed il soggetto privato che decide di associare la propria immagine a quella della p.a. al fine di ricavarne valore in termini economici, professionali e sociali attraverso il ritorno di immagine positivo.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
49

De, Pol Francesca <1993&gt. "Unioni Territoriali e risvolto culturale: il caso dell’UTI delle Valli e delle Dolomiti Friulane." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15137.

Full text
Abstract:
All’interno dei meccanismi della Pubblica Amministrazione, il decentramento della funzione amministrativa indiretta si esercita a partire dalle singole realtà territoriali, in particolare da Province e Comuni. In tempi recenti, le problematiche inerenti i piccoli comuni fanno sì che questi non riescano a concretizzare pienamente obiettivi e finalità, tanto che la via della collaborazione tra gli stessi sembra essere la scelta più ambita per razionalizzare risorse ed energie. Attraverso questo elaborato, si vuole comprendere il fenomeno dell’associazionismo intercomunale in Italia e in particolar modo in Friuli Venezia Giulia. Nella prima parte dell’elaborato, attraverso il supporto di un’analisi normativa, si intende studiare le principali forme di aggregazione intercomunale con particolare attenzione alle Unioni di Comuni. Nel secondo capitolo vengono esaminati i meccanismi di governance che riguardano l’assetto costitutivo delle Unioni di Comuni, cercando di dare un quadro amministrativo dell’insieme. Attualmente, la regione Friuli Venezia Giulia è soggetta a meccanismi di riordino territoriale, e in particolare, nel nord-est della provincia di Pordenone è nata, lo scorso 2016, una nuova realtà intercomunale che prende il nome di Unione Territoriale Intercomunale delle Valli e delle Dolomiti Friulane. La parte conclusiva del lavoro ripercorre la storia dell’Unione territoriale in questione, analizzando inoltre i cambiamenti inerenti il settore culturale.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
50

Garcia, Lozano Luis Miguel <1985&gt. "Administración y Bienes Culturales. Una comparación entre Italia y España." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/6793/1/Garc%C3%ADa_Lozano_Luis_Miguel_Tesi.pdf.

Full text
Abstract:
En este estudio se analizó la Administración Pública que tiene el encargo de la tutela y revalorización del Patrimonio Cultural, en una perspectiva comparativa entre los dos países. La investigación se dividió en dos partes. Una primera en la que se analizan las soluciones legales adoptadas por los diversos regímenes durante los siglos. Se busca analizar la respuesta legal dada históricamente a los problemática social de la conservación del Patrimonio Cultural y entender las políticas que la Administración había adoptado finalmente. Este histórico viaje terminará con la legislación vigente, y con el análisis de la Legislación inminentemente anterior, que ha sentado las bases de la actual estructura de la Administración Pública, que ejercerá las competencias relativas a la protección del patrimonio cultural. El estudio continúa con una segunda parte en la que, con dos capítulos, se procede a examinar la legislación que regula la organización de la Administración Pública tanto de Italia como de España. En cada uno de los países se analizan todos los niveles territoriales, así como los organismos o instituciones autónomas creadas dentro de los Organismos Públicos de cada Estado. El tercer capítulo supone una comparación y una crítica de ambas organizaciones. Ambas estructuras en ocasiones han surgido a partir de un punto en común, incluso, a pesar de haber tenido evoluciones distintas de conformidad a la especificidad del país, todavía presentan similitudes. Por otra parte, ambos países se han visto perjudicadas recientemente por las políticas relacionadas con los recortes en el gasto público, lo que llevó a la reducción de la Administración Pública, aunque no de un modo tan satisfactorio, como esperábamos. El estudio finaliza con las conclusiones obtenidas tras el análisis concienzudo de ambas administraciones.
In this study we analyzed the Public Administration in its function of protection and enhancement of Cultural Heritage, in a comparative perspective between the two countries. The research was divided into two parts. A first in which analyzes the legal solutions prepared by the various regimes during the centuries. In fact, it is only seeking the answers proposed legal historically the social problem that we can understand the policies that the Administration would have to introduce the subject.        This historic journey will end with the legislation in force, and with the analysis of the previous legislation, which has represented the conditions of the current structure of the Public Administration, which will exercise the powers relating to the Protection of Cultural Heritage. The study continues with a second part in which, with two chapters, we proceed to examine the legislation regulating the organization of the Public Administration of both states. In each of the countries we analyze all territorial levels, as well as the bodies or autonomous institutions created within the Public Bodies of each State. The third chapter supposes comparison and criticism of both organizations. Both structures have arisen from a common point, even if they have had a different development linked to the specificity of the country. Moreover, both countries have seen recently damaged by the policies related to the cuts in public spending, which led to the reduction of the government, though not satisfactory, as we expected. The study ends with the conclusions drawn at the end the search.
In questo studio si è analizzata l’Amministrazione Pubblica nella sua funzione di tutela e valorizzazione dei Beni Culturali, in un’ottica comparata tra i due Paesi. La ricerca è stata suddivisa in due parti. Una prima in cui vengono analizzate le soluzioni giuridiche approntate dai vari regimi durante il trascorrere dei secoli. Infatti, è solo cercando le risposte giuridiche proposte storicamente alla problematica sociale che possiamo comprendere le politiche che l’Amministrazione avrebbe dovuto introdurre in materia. Questo percorso storico si esaurisce nella normativa in vigore, e con l’analisi dei precedenti normativi che hanno rappresentato i presupposti dell’attuale struttura della Pubblica Amministrazione, che dovrà esercitare le competenze relative alla Tutela del Patrimonio Culturale. Lo studio prosegue con una seconda Parte nella quale, con due capitoli, si procede ad esaminare la normativa regolamentare dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione di entrambi gli Stati. In ciascuna delle Nazioni si analizzano tutti i livelli territoriali, così come anche gli organismi o le istituzioni autonome create all’interno degli Organi Pubblici di ogni Stato. Il terzo capitolo suppone la comparazione e la critica di entrambe le organizzazioni. Entrambe le strutture sono nate da un punto comune, anche se hanno avuto uno sviluppo diverso legato alla specificità del paese. Inoltre, entrambi i paesi si sono visti recentemente danneggiati dalle politiche relative ai tagli della spesa pubblica, che hanno portato alla riduzione delle amministrazioni, anche se non in modo soddisfacente, come si ci aspettava. Lo studio termina con le conclusioni tratte al finire la ricerca.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
We offer discounts on all premium plans for authors whose works are included in thematic literature selections. Contact us to get a unique promo code!

To the bibliography