Dissertations / Theses on the topic 'Diabete mellito di tipo I'

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ROSATI, FRANCESCA. "Disuguaglianze di salute e diabete mellito di tipo 1 in età pediatrica." Doctoral thesis, Università Politecnica delle Marche, 2014. http://hdl.handle.net/11566/242868.

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Abstract:
Questo lavoro di tesi si pone come obiettivo quello di valutare il ruolo delle caratteristiche sociali, economiche e demografiche della famiglia nel controllo glicemico nei bambini/adolescenti con diabete di tipo 1. Il lavoro utilizza come base di dati le informazioni raccolte nello studio VIPKIDS (eValuation of Insulin Pump treatment in KIDS), uno studio osservazionale multicentrico, di tipo trasversale, volto a valutare la qualità della vita in funzione del metodo di somministrazione di insulina.. La prima parte (capitolo1) analizza il background introduttivo: il tema delle disuguaglianze sociali nella salute documentato da un’ampia letteratura che ha dimostrato come la salute sia largamente influenzata da fattori esterni alla medicina e al sistema sanitario, quali appunto i determinanti sociali, ambientali, economici e comportamentali. Assieme al fenomeno della malattia diabetica definendola un problema globale che richiede una gestione sinergica. La seconda parte ( capitolo 2) tratta le disuguaglianze di salute nella malattia diabetica di tipo 1 analizzando l’impatto , i costi sociale e i bisogni assistenziali dei pazienti in età evolutiva e dei loro familiari, con diabete mellito. La terza parte (capitolo 3), utilizzando come base di dati quelli dello studio VIPKIDS, indaga in merito al ruolo dell’età dei genitori e del loro livello di istruzione sul controllo glicemico dei ragazzi con bambini/adolescenti di tipo 1, misurato attraverso i valori dell’emoglobina glicata (HbA1c). I risultati ottenuti hanno evidenziato come: Il controllo glicemico migliora significativamente all’aumentare dell’età della madre (b = -0.0025; 95%CI= -0.0047 -0.0004)) e del suo livello d’istruzione scolastica (b=-0.0404; 95%CI=-0.0664-0.0144). Non sono stati trovati effetti significativi in relazione all’ età e all’istruzione del padre. Come previsto, HbA1c aumenta significativamente quando il l’indice di massa corporea (b = 0,0247; 95% CI =,0007-,0487), la durata del diabete (b = 0,0419; 95% CI = 0,0120-0,0719), la dose giornaliera di insulina basale (b = 0,7361; 95% CI = 0,1550-1,3172) aumenta. Il calcolo dei carboidrati CHO contribuisce a migliorare significativamente il controllo glicemico (b = -0,2164, 95% CI = -0.4033-0.0294). Questo lavoro di tesi ha mostrato l'importanza delle caratteristiche socio-demografiche della madre sul controllo glicemico dei pazienti, e che per i membri del team sanitario può essere importante conoscere le caratteristiche socio-demografiche della famiglia dei pazienti, perché questi aspetti possono essere utili per elaborare un programma educativo del diabete. Infine la quarta parte (capitolo 4) mostra l’importanza dei nuovi modelli assistenziali per i malati cronici, in particolare il Chronic Care Model, i cui principi generali sono ormai riconosciuti come fondamentali. Questo modello è rappresentativo del nuovo paradigma medico, volto all’empowerment del paziente, della sua famiglia e della comunità e alla qualificazione del team assistenziale.
The aim of this thesis was to investigate the role of socio-demographic family characteristics on glycaemic control in children with type 1 diabetes. The information collected in precedent study called VIPKIDS (Evaluation of Insulin Pump treatment in KIDS) have been uses as the basis of the data for our work. In particular, VIPKIDS is a multi-center, observational, cross-sectional Italian study to evaluate the quality of life according to the method of insulin delivery of adolescents. The first part (chapter 1), analyzes the introductory background information: the theme of social inequalities in health documented by an extensive literature which has demonstrated that health is largely influenced by factors external to medicine and health care , such as the social, environmental, economic and behavioural contexts. Those factors, together with the phenomenon of diabetes mellitus were defined as a global problem that requires a synergistic management. The second part (Chapter 2) deals with health inequalities in diabetes type 1 by analyzing the impact, costs and social care needs of patients in childhood and their family members with diabetes mellitus. The third part (Chapter 3), using as the basis of those data VIPKIDS study investigates about the role of parents’ age and level of education on glycaemic control with type 1 diabetes. The results obtained showed that the glycaemic control significantly improved at increasing mother's age (b = -0.0025; 95%CI= -0.0047 -0.0004) and mother’s level of education (b=-0.0404; 95%CI=-0.0664-0.0144). No significant effects were found in father’s age and education. As expected, HbA1c significantly increased when BMI (b= 0.0247; 95%CI=0.0007-0.0487), diabetes duration (b= 0.0419; 95%CI= 0.0120-0.0719), daily basal insulin dose (b= 0.7361; 95%CI= 0.1550-1.3172) increased; the use of CHO counting system significantly improved glycaemic control (b= -0.2164; 95%CI=-0.4033-0.0294). Finally, the fourth part (Chapter 4) shows the importance of new models of care for chronically ill patients, particularly the Chronic Care Model , whose general principles are now recognized as fundamental.This model is representative of the new medical paradigm, which aims to empowerment of the patient, and community and qualification of the care team
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CARDELLINI, MARINA. "TIMP3: un nuovo biomarcatore di aterosclerosi nel Diabete Mellito di tipo 2: studi in vivo ed in vitro." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1156.

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Abstract:
Nei pazienti affetti da Diabete Mellito di Tipo 2 l’aterosclerosi è fortemente accelerata da meccanismi ancora oggi sconosciuti. Il nostro gruppo recentemente ha identificato l’Inibitore Tissutale delle Metalloproteinasi 3 (TIMP3), che è l’inibitore endogeno dell’enzima TNF Converting Enzyme (TACE), anche chiamato A Disintegrin and Metalloproteasi Domain 17 (ADAM17) e di altre MetalloProteasi di Matrice (MMP), come un gene favorente lo sviluppo di insulino resistenza e infiammazione vascolare nel topo. Abbiamo quindi ipotizzato che un’aumentata attività del sistema proteolitico di membrana extracellulare, dovuta ad una alterata regolazione della diade ADAM17/TIMP3, possa essere un fattore comune allo sviluppo e progressione dell’aterosclerosi, dell’insulino resistenza e del diabete. Ulteriore scopo di questo lavoro è valutare l’associazione di TIMP3 con l’aterosclerosi in pazienti affetti da Diabete Mellito di Tipo 2 (DM2) ed identificare fattori in grado di regolare l’espressione di TIMP3. I substrati solubili circolanti di ADAM17/TACE, quali sICAM-1, sVCAM-1, sIL6R, sCXCL16 e sTNFR1, sono stati analizzati nei sieri di soggetti sani di controllo (CT, n=70), pazienti con Aterosclerosi Carotidea (CAR-Ats, n=35) e pazienti con Coronaropatia (CAD, n=170). Inoltre abbiamo valutato i livelli di espressione di ADAM10/17, MMP9, TIMP1/2/3/4 in placche aterosclerotiche carotidee umane (n=60) prelevate da pazienti con e senza diabete sottoposti ad Endoarteriectomia carotidea. Cellule muscolari lisce vascolari umane esposte a diversi stimoli metabolici sono state utilizzate per identificare i regolatori dell’espressone di Timp3. Il silenziamento genico di SirT1 mediante small interference RNA (siRNA), SirT1 cDNA e un vettore reporter per il promotore del gene TIMP3 sono stati usati per studiare la regolazione dell’espressione di TIMP3 da parte di SirT1. In questo lavoro abbiamo riscontrato che, fra i substrati solubili di ADAM17/TACE, sCXCL16, sICAM-1 e sVCAM1 sono differentemente e significativamente aumentati a seconda della localizzazione della patologia vascolare aterosclerotica e dell’alterazione del metabolismo glucidico. Abbiamo inoltre mostrato che nelle placche aterosclerotiche carotidee umane i livelli di espressione di TIMP3 sono significativamente ridotti nei soggetti con diabete mellito di tipo 2 con un conseguente aumento dell’attività di ADAM17/TACE e MMP9. La ridotta espressione di TIMP3 è stata associata in vivo ai livelli di SirT1. Nelle cellule muscolari lisce vascolari umane, l’inibizione dell’attività e dei livelli di SirT1 determina una riduzione dell’espressione di TIMP3, mentre una sovra-espressione di SirT1 aumenta l’attività del promotore di TIMP3. In conclusione, i nostri dati suggeriscono che il sistema proteolitico di membrana è gradualmente attivato in soggetti con differente localizzazione della patologia aterosclerotica. Inoltre nelle placche aterosclerotiche di soggetti con il diabete mellito di tipo 2 la deregolazione dell’attività di ADAM17/TACE e delle MMP9 è correlata con un’inadeguata espressione di TIMP3 SirT1-dipendente. Gli studi effettuati su cellule vascolari confermano il ruolo di Sirt1 nel modulare l’espressione di TIMP3.
Atherosclerosis is accelerated in patients with Type 2 Diabetes Mellitus (DM2) by unknown mechanisms. We identified Tissue Inhibitor of Metalloproteinase 3 (TIMP3), the endogenous inhibitor of A Disintegrin and Metalloprotease Domain 17 (ADAM17) and other Matrix MetalloProteinase (MMP), as a gene modifier for insulin resistance and vascular inflammation in mice. Therefore we hypothesized that an increased activity of the ectodomain shedding process, due to a dysregulation of ADAM17/Timp3 dyad, may be a common factor linking progression of atherosclerosis to insulin resistance and diabetes. Here we also tested TIMP3 association with atherosclerosis in patients with type 2 diabetes mellitus (DM2) and identified Sirtuin 1 (SirT1) as a major regulator of TIMP3 expression. ADAM17 substrates, such as soluble (s)ICAM-1, sVCAM-1, sIL6R, sCXCL16 and sTNFR1, were analyzed in serum from healthy subjects (CT, n=70), patients with Carotid Atherosclerosis (CAR-ATS, n=35) and patients with Coronary Artery Disease (CAD, n=170). Moreover we investigated ADAM10/17, MMP9, TIMP1/2/3/4 expression levels in human carotid atherosclerotic plaques (n=60) from subjects with and without diabetes. Human Vascular Smooth Muscle cells exposed to several metabolic stimuli were used to identify regulators of Timp3 expression. SirT1 small interference RNA (siRNA), cDNA and TIMP3 promoter gene reporter were used to study SirT1 dependent regulation of TIMP3. We found that, among soluble ADAM17 substrates, sCXCL16, sICAM-1 and sVCAM1 were differently and significantly increased according to location of vascular disease and impairment of glucose metabolism. We showed that in human carotid atherosclerotic plaques TIMP3 was significantly reduced in subjects with DM2 leading to ADAM17 and MMP9 overactivity. Reduced expression of TIMP3 was associated in vivo to SirT1 levels. In smooth muscle cells, inhibition of SirT1 activity and levels reduced TIMP3 expression, while SirT1 overexpression increased TIMP3 promoter activity. In conclusion, our data suggest that the ectodomain shedding process is gradually activated in patients with different location of atherosclerotic disease. Moreover in atherosclerotic plaques from subjects with Type 2 diabetes the deregulation of ADAM17 and MMP9 activities is related to inadequate expression of TIMP3 via SirT1. Studies in vascular cells confirmed the role of SirT1 in tuning TIMP3 expression.
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Capodanno, Davide Francesco Maria. "Effetti farmacodimanici di differenti regimi di somministrazione dell'aspirina in pazienti con diabete mellito di tipo II e cardiopatia ischemica." Doctoral thesis, Università di Catania, 2012. http://hdl.handle.net/10761/1090.

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Abstract:
I pazienti con diabete mellito di tipo II presentano ridotti effetti farmacodinamici piastrinici indotti dall'aspirina. Ciò potrebbe dipendere dal loro aumentato turnover piastrinico, che potrebbe a sua volta escludere una proporzione delle piastrine circolanti da una adeguata esposizione all'azione dell'aspirina. L'ipotesi di questo studio è che in pazienti con diabete mellito di tipo II e cardiopatia ischemica un incremento della frequenza di somministrazione dell'aspirina determina una maggiore inibizione piastrinica rispetto ad un aumento della dose.
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Vasta, Tramontana Paola. "Valutazione del rischio ulcerativo del piede in una popolazione di soggetti con diabete mellito tipo 2." Doctoral thesis, Università di Catania, 2012. http://hdl.handle.net/10761/1021.

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Abstract:
Studi recenti hanno evidenziato il ruolo dell arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) come importante fattore di rischio suggerendo la necessità di modificare il sistema di classificazione proposto dal gruppo di studio internazionale del piede diabetico (IWGDF) per meglio predire il rischio ulcerativo del paziente. Scopo del presente studio è stato quello di valutare, gli esiti ulcerativi ed amputativi in pazienti con diabete mellito tipo 2 (DMT2), mediante il sistema di classificazione IWGDF. Pazienti e metodi. Lo studio è stato condotto su 5177 pazienti (2710 donne e 2467 maschi) che afferivano all ambulatorio dedicato alla cura del piede del servizio di Diabetologia . Sono stati selezionati ed inclusi nello studio i pazienti con un follow-up ³ 2 anni. I pazienti sono stati sottoposti ad un visita ambulatoriale iniziale per la valutazione del rischio ulcerativo del piede. Sulla base dei fattori di rischio ulcerativo, i pazienti sono stati divisi nei seguenti gruppi: gruppo 0: neuropatia assente; gruppo 1: neuropatia periferica; gruppo 2A: neuropatia periferica + deformità; gruppo 2B: presenza di AOP; gruppo 3A: pregressa ulcera; gruppo 3B: pregressa amputazione. Risultati. I pazienti studiati avevano un età media di 64.3 ± 9.4 anni e durata del diabete di 12.7 ± 9.2. Il periodo medio di follow-up è stato di anni 5,8 (range 2,2 11,8 anni). I nuovi esiti ulcerativi ed amputativi presentavano un trend altamente significativo tra le classi di rischio esaminate (C2 for trend p< 0.0001). In particolare il rischio ulcerativo rispetto al gruppo 0 con neuropatia assente era il seguente: gruppo 1: 6.9 (3.6-13.2); gruppo 2A : 10.7 (5.4-21.4); gruppo 2B : 38.6 (20.7-71.7); gruppo 3A: 457.3 (243.8-857.9); gruppo 3B: 671.1 (308.7-1458.6) mentre il rischio amputativo era il seguente: gruppo 1: 13.8 (0.7-268.5); gruppo 2A : 14.3 (0.6-350.2); gruppo 2B : 183.9 (11-3073); gruppo 3A: 712.8 (43.3-11716); gruppo 3B: 1417 (83.9-23919. A prescindere dagli altri fattori di rischio, la presenza di una AOP era associata nel 52% dei casi a nuovi esiti ulcerativi (OR 11,5 C.I. 9.2 14.5), mentre nel 70,2 % dei casi era associata a nuovi eventi amputativi (OR 19.3 C.I. 11.3 33.2). Conclusioni. I dati del presente lavoro sembrano confermare la validità della classificazione del rischio ulcerativo proposta dal gruppo di studio internazione del piede diabetico nel predire i nuovi esiti ulcerativi. Inoltre sottolineano l importanza della AOP in quanto associata ad elevata prevalenza sia di nuovi eventi ulcerativi che di esiti amputativi.
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GALLI, ANGELICA. "Ruolo dei PUFA OMEGA-3 nella regolazione della funzione endoteliale in parenti di primo grado di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2007. http://hdl.handle.net/2108/377.

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Abstract:
Obiettivi: La disfunzione endoteliale è il meccanismo iniziale nella patogenesi dell’aterosclerosi. Costituisce una delle alterazioni vascolari presenti in soggetti apparentemente sani parenti di primo grado di pazienti affetti da Diabete Mellito Tipo 2 (FDR). Gli acidi grassi polinsaturi n-3 (PUFA n-3), come l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA), hanno un’ampia serie di proprietà antinfiammatorie. Noi abbiamo voluto testare l’ipotesi che la somministrazione di PUFA n-3 potesse migliorare la funzione endoteliale in soggetti FDR, ad elevato rischio di sviluppare precocemente aterosclerosi. DISEGNO DELLO STUDIO E METODI: Abbiamo condotto uno studio monocentrico, randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco, a gruppi paralleli. Sono stati inclusi 70 soggetti (età 30.5 ± 5.2 anni, 30 donne e 40 uomini) con un parente di primo grado affetto da Diabete di Tipo 2. I soggetti sono stati assegnati per randomizzazione ad assumere placebo (n = 34) o PUFA n-3 (n= 36) per 12 settimane. La funzione endoteliale è stata esaminata attraverso la tecnica del brachial artery reactivity test (BART) misurando la dilatazione flusso-mediata (FMD). Peso, BMI, pressione sisto-diastolica, e parametri di laboratorio (profilo lipidico, glicemia, insulinemia e C-peptide a digiuno, TNF-α, adiponectina, hs-PCR) sono stati misurati prima e dopo il trattamento. All’inizio dello studio, ciascun soggetto è stato sottoposto a una curva da carico orale di glucosio (OGTT). RISULTATI: Dopo OGTT abbiamo identificato 53 soggetti normoglicmici (NGT) e 17 soggetti con alterata tolleranza ai carboidrati (IGT). Al baseline i soggetti IGT presentavano un’età maggiore, un livello significativamente più alto di BMI, trigliceridi ed insulinemia a digiuno, un aumento dell’insulino-resistenza, e una funzione endoteliale peggiore rispetto ai soggetti NGT. Dopo trattamento, il braccio placebo, non ha mostrato significative modificazioni dei parametri valutati rispetto alle misurazioni basali; viceversa, il gruppo PUFA n-3 ha mostrato livelli significativamente ridotti di trigliceridi e TNF-α, un aumento dell’adiponectina circolante e un significativo miglioramento della funzione endoteliale. Il cambiamento dei livelli di TNF-α emergeva come unico e significativo predittore indipendente dell’aumento della FMD. CONCLUSIONI: La somministrazione di PUFA n-3 in soggetti NGT ed IGT parenti di primo grado di pazienti affetti da Diabete Mellito Tipo 2 determina un miglioramento della funzione endoteliale che si accompagna ad una diminuzione dei livelli circolanti TNF-α.
Objective: Endothelial dysfunction is the early and fundamental step in the pathogenesis of atherosclerosis. It has been indicated as one of the precocious vascular abnormalities in apparently healthy first-degree relatives of type 2 diabetic patients.(FDR). N-3 polyunsaturated fatty acids (PUFA n-3), such as eicosapentaenoic acid (EPA) and docosahexaenoico acid (DHA), have a wide range of anti-inflammatory properties. The aim of this study is that a supplementation of n3-PUFA might be effective to improve the endothelial dysfunction in FDR subjects at higher risk of developing atherosclerosis. RESEARCH DESIGN AND METHODS: We carried out a randomized, controlled with placebo, double blind, parallel-groups clinical trial. The study included 70 subjects (age 30.5 ± 5.2 years, 30 women e 40 men), all first-degree relatives of type 2 diabetic patients. The subjects were randomly assigned to assume placebo (n = 34) or n-3 PUFA (n= 36) for 12 weeks. Endothelial function was assessed by brachial artery reactivity test (BART), measuring the flow-mediated dilatation (FMD). Weight, BMI, systolic and diastolic blood pressure, and laboratory parameters (lipid profile, fasting plasma glucose, insulin, and C-peptide, TNF-α, adiponectin, hs-PCR) were assessed at baseline and after treatment. At the beginning of the study, each subject underwent a standard oral glucose tolerance test (OGTT). RESULTS: Upon OGTT we identified 53 normoglycemic subjects (NGT) and 17 subjects with impaired glucose tolerance (IGT). At baseline, the subjects IGT were older and presented significant higher levels of BMI, triglycerides, and fasting insulin, as well an increased insulin resistance, and a worse endothelial function, compared with NGT individuals. After treatment, we found only little if any change in metabolic and biomarkers levels of the participants of the placebo group (NGT and IGT); on the contrary, the n-3 PUFA group showed some difference respect to the baseline characteristics: the triglycerides and the TNF-α levels were significantly decrease, the adiponectin was increase, and the endothelial function showed a significant improvement. The changing of TNF-α levels emerged as the unique independent and significant predictor of the improvement of the FMD after the period of assumption of n-3 PUFA. CONCLUSIONS: We concluded that the N-3 PUFA oral supplementation is associated with an improvement of endothelial function via decreasing TNF-alpha in NGT and IGT subjects offspring of patients with Type 2 Diabetes.
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PEROTTI, MARIO. "EFFICACIA DEL PASSAGGIO A DEGLUDEC DA UN’ALTRA INSULINA BASALE (GLARGINE/ DETEMIR) IN UNA COORTE DI PAZIENTI CON DIABETE MELLITO TIPO 1 ( DMT1) IN CONDIZIONI DI REALE PRATICA CLINICA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2019. http://hdl.handle.net/10281/241121.

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Abstract:
La terapia del diabete tipo 1 può oggi essere più flessibile e personalizzata grazie alla disponibilità di numerosi tipi di insulina che differiscono tra loro per la farmacocinetica (inizio, picco e durata di azione). Il miglior controllo glicometabolico può essere ottenuto attraverso una terapia multiniettiva secondo uno schema basal-bolus, il quale prevede 3 somministrazioni preprandiali di un analogo rapido, che esprime meglio la fisiologica secrezione insulinica determinata dai pasti e da 1 iniezione di insulina ad azione lenta, necessaria per rispondere al fabbisogno insulinico nei periodi di digiuno (interprandiale e notturno). Il raggiungimento di un controllo glicemico ottimale mediante trattamento insulinico intensivo determina un riduzione del rischio di complicanze micro e macrovascolari, ma conduce inevitabilmente a un incremento dell’incidenza di ipoglicemie, con conseguenze potenzialmente negative per il sistema cardiovascolare e neurologico. Ottimizzare la terapia farmacologica mediante l’utilizzo di nuovi analoghi dell’insulina ad azione lenta in grado di offrire un minore rischio di ipoglicemia rappresenta un punto di fondamentale importanza. Insulina degludec presenta molte delle caratteristiche che definiscono il profilo ideale di un’insulina basale. Dopo la somministrazione nel sottocute, grazie alla particolare ingegneria chimica, degludec viene assorbita in modo continuo e uniforme con un effetto ipoglicemizzante stabile e una durata di azione che supera le 42 ore. Dopo circa tre giorni di terapia è possibile raggiungere lo steady state condizione farmacocinetica in cui i livelli circolanti di insulina si mantengano stabili riducendo così la variabilità day-to day L'utilizzo di degludec è stato ampiamente analizzato nel corso di studi clinici randomizzati ( RCT) sia in pazienti con diabete mellito tipo I sia in pazienti con diabete mellito tipo II. I risultati mostrano una non inferiorità di degludec rispetto a glargine in termine di target glicemici, ma una superiorità di degludec rispetto a glargine in termini di riduzione degli episodi di ipoglicemia soprattutto notturni. Tuttavia il contesto clinico di uno studio randomizzato può non essere completamente riproducibile nella pratica clinica quotidiana. Obiettivo di questo studio retrospettivo è la valutazione dell’efficacia clinica di degludec in una coorte di pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 precedentemente trattati con diverso analogo lento ( glargine o detemir) nella pratica clinica quotidiana di real-life. I risultati di questo studio mostrano un impatto positivo di degludec nella gestione terapeutica di pazienti con diabete mellito tipo 1 in linea con precedenti studi clinici randomizzati . Il passaggio a degludec da un altro analogo basale ( glargine o detemir) è in grado di migliorare il controllo glicemico, con una riduzione media dei valori di HbA1c di 0,20 % [-0,24;-0.17] a 6 mesi rispetto al basale (p <0.001). Inoltre i dati descritti in questo lavoro hanno evidenziato una riduzione del rischio di ipoglicemia sia totale ( rate ratio 0,79 [0,69: 0,89]), sia notturna (rate ratio 0,54 [0,42; 0,69]) sia grave (rate ratio 0,15 [0,09; 0,24]) a 6 mesi dalla modifica di terapia (p <0.001). Tale significatività rimane per tutto il periodo di follow-up di 12 mesi. Infine dopo 6 mesi di terapia con degludec, la dose totale di insulina giornaliera è diminuita del 11% rispetto al basale (p <0,001). Sulla base di questi dati, possiamo affermare che la terapia insulinica con degludec rappresenta un valido strumento terapeutico nella pratica clinica quotidiana, in grado di migliorare il compenso glicemico e la qualità di vita dei pazienti, favorendo così il raggiungimento di obiettivi glicemici più ambiziosi.
Type 1 diabetes (DMT1) leads to absolute insulin deficiency due to immunologic destruction of the islet cells. Therefore affected patients need lifelong insulin treatment. Newer therapies for type 1 diabetes are aimed at developing insulin delivery systems that mimick normal physiology, identifying newer insulins that mimick endogenous insulin. To reproduce physiologic insulin secretion, both long- and short-acting insulins are used. Long-acting insulin, given at bedtime, suppresses glucose output from the liver overnight and provides basal insulin between meals; bolus doses of short-acting insulin modulate glucose excursions associated with carbohydrate consumption. Optimal glycemic control is necessary to reduce the risk for diabetes complications. However, tight glucose control carries a risk for hypoglycemia. Hypoglycemia may accelerate the vascular complications of diabetes by increasing platelet aggregation, leading to higher cardiovascular risk and all-cause mortality. Even brief hypoglycemia can cause profound dysfunction of the brain. Insulin administration by subcutaneous route has intrinsic limitations that, together with the pharmacokinetic (PK) profile of insulin formulations, do not reproduce the physiological patterns of insulin secretion. Insulin degludec (IDeg) is an ultra-long insulin analog that has unique pharmacokinetic and pharmacodynamic properties with a half-life of more than 24 h and a duration of action of more than 42 h. Compared to insulin glargine , the insulin degludec glucose-lowering action at steady state shows four time lower day-to day variability. Randomized clinical studies of degludec have shown a reduction in nocturnal hypoglycemia compared to insulin glargine. Given this background, IDeg is an ultra-long insulin analog that exhibits low intra-individual variability and whose efficacy is comparable to IGlar, but which presents as advantages flexibility in dose timing and lower risk of hypoglycemia, benefits that may impact quality of life and adherence to therapy. In Europe data on the use or effect of degludec in the general diabetes population not exist yet. Thus collection of data under routine clinical practice is highly warranted in order to access the effectiveness of degludec in real-life clinical setting. Aim of this retrospective non interventional study is to evaluate the clinical effectiveness of switching to IDeg in insulin treated patients with DMT1 under condition of routine clinical care. In all patients (n: 900), basal insulin was switched to IDeg at least 6 months before the start of data collection. Baseline was defined as the most recent recording during the 3-month period before first prescription of IDeg. Values are presented as mean [95%CI]. HbA1c decreased by -0.20 % [-0.24; -0.17%] at 6 months vs baseline (P < .001). Rate ratio of overall (0.79 [0.69; 0.89]), non-severe nocturnal (0.54 [0.42; 0.69]) and severe (0.15 [0.09; 0.24]) hypoglycaemia was significantly lower in the 6-month post-switch period vs the pre-switch period (P < .001 for all). Total daily insulin dose decreased by -4.88 [-5.52; -4.24] U (-11%) at 6 months vs baseline (P < .001). This study demonstrates that switching patients to IDeg from other basal insulins improves glycaemic control and significantly reduces the risk of hypoglycaemia in routine clinical practice.
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MAFFIOLI, PAMELA. "Effetti sulla variabilità glicemica e sul compenso glico-metabolico di metformina, pioglitazone e sitagliptin in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2." Doctoral thesis, Università degli studi di Pavia, 2017. http://hdl.handle.net/11571/1203307.

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Abstract:
Scopo: il trattamento del diabete mellito di tipo 2 richiede spesso l'uso di più agenti ipoglicemizzanti per raggiungere un adeguato controllo glicemico. Scopo di questo studio è stato valutare gli effetti di una triplice terapia con metformina, pioglitazone e sitagliptin sul controllo glicemico e la variabilità glicemica rispetto a metformina e metformina + pioglitazone. Per valutare la variabilità glicemica è stato utilizzato un sistema di monitoraggio glicemico in continuo della glicemia. Materiali e Metodi: sono stati arruolati 66 diabetici di tipo 2 non ben controllati. I pazienti hanno assunto per tre mesi metformina 500 mg tre volte al giorno, a cui è stato, poi, aggiunto pioglitazone 15 mg due volte al giorno per altri tre mesi ed, infine, sitagliptin 100 mg, una volta al giorno, per ulteriori tre mesi. Ad ogni fase dello studio, se il paziente raggiungeva l'obiettivo di emoglobina glicata (HbA1c) desiderato (<6.5%), veniva fatto uscire dallo studio. Abbiamo valutato: l'HbA1c, la glicemia a digiuno (FPG), la glicemia post-prandiale (PPG), l'insulinemia a digiuno (FPI), l'indice HOMA (HOMA-IR), la proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP), il profilo lipidico, la lipoproteina (a) [Lp(a)], la metalloproteinasi-2 (MMP-2), la metalloproteinasi-9 (MMP-9), le molecole di adesione (sICAM-1, sVCAM-1), la sE-selectina, l'adiponectina (ADN). Risultati: abbiamo registrato una significativa riduzione di HbA1c, FPG, e PPG con metformina + pioglitazone (p < 0.05 vs basale), ed un’ulteriore riduzione con metformina + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.01 vs basale). Abbiamo osservato un miglioramento del profilo lipidico rispetto al basale con metformina + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.05 vs basale). C'è stata una riduzione di Hs-CRP, sICAM-1, sVCAM-1, ed un aumento di ADN con metformina + pioglitazone (p < 0.05 vs basale) e con metformina + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.01 vs basale). i livelli di eSelectina si sono ridotti solo con metformina + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.05 vs basale). Per quanto riguarda la variabilità glicemica, la deviazione standard è risultata minore con metformina + pioglitazone (p < 0.05 vs basale) e con metformina + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.01 vs basale). Il valore M, indice di variabilità glicemica, è risultato più basso con metformina + pioglitazone + sitagliptin. Conclusioni: la combinazione di metformina + pioglitazone + sitagliptin è risultata efficace nel migliorare il controllo glicemico e nel ridurre la variabilità glicemica e potrebbe essere un'opzione per il trattamento del diabete mellito di tipo 2.
Background and aim: the treatment of type 2 diabetes mellitus often requires the use of one or more hypoglycemic agents to reach the adequate glycemic control. The aim of the study is to evaluate the effects of a triple therapy with metformin, pioglitazone and sitagliptin on glycemic variability compared to metformin monotherapy, and compared to a combination of metformin and pioglitazone. To assess glycemic variability a continuous glucose monitoring system was used. Material and Methods: we enrolled 66 not well controlled, type 2 diabetic patients. Patients were instructed to take metformin 500 mg three times a day for the first three months, then pioglitazone 15 mg twice a day was added for further three months, and finally sitagliptin 100 mg once a day was added for the last three months. At the baseline, and every three months a continuous glucose monitoring system was performed. At any stage of the study, if the value of glycated hemoglobin reached the desired goal (<6.5%), participation in the study was interrupted. We assessed: glycated hemoglobin (HbA1c), fasting plasma glucose (FPG), post-prandial glucose (PPG), fasting plasma insulin (FPI), HOMA-index (HOMA-IR), high sensitivity C-reactive protein (hs-CRP), lipid profile, lipoprotein (a) [Lp(a)], metalloproteinase-2 (MMP-2), metalloproteinase-9 (MMP-9), soluble adhesion molecules (sICAM-1, sVCAM-1), sE-selectin, adiponectin (ADN). Results: we recorded a significant decrease of HbA1c, FPG, and PPG with metformin + pioglitazone (p < 0.05 vs baseline), and a further decrease with metformin + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.001 vs baseline). There was an improvement of lipid profile compared to baseline with metformin + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.05 vs baseline). We recorded a decrease of Hs-CRP, sICAM-1, sVCAM-1, and an increase of ADN with metformin + pioglitazone (p < 0.05 vs baseline), and with metformin + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.01 vs baseline). A decrease of eSelectin was recorded only with metformin + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.05 vs baseline). Regarding glycemic variability, standard deviation was lower with metformin + pioglitazone (p < 0.05 vs baseline), and metformin + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.01 vs baseline). The M value, an index of glycemic variability, was lower with metformin + pioglitazone + sitagliptin (p < 0.05 vs baseline). Conclusion: combination of metformin + pioglitazone + sitagliptin proved to be effective in improving glycemic control, and in decreasing glycemic variability, therefore it could be suitable for the treatment of type 2 diabetic patients.
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Coracina, Anna. "Steatosi epatica non alcolica e diabete mellito tipo 2: studio dell'associazione tra grado di steatosi, fattori metabolici e alterazioni vascolari." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426608.

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Abstract:
NAFLD (non alcoholic fatty liver disease) is defined by the presence of hepatic steatosis not associated with a significant alcohol intake nor to the assumption of specific drugs. It is frequently associated with diabetes, obesity and metabolic syndrome. Many authors support the concept that NAFLD is the hepatic manifestation of the metabolic syndrome, and that the insulin-resistance is the common soil in the pathogenesis. Although the natural history of this disease seems to be benign, an evolution toward steatohepatitis and cirrhosis, and a link between NAFLD and cardiovascular (clinical and subclinical) diseases, have been demonstrated. The objectives of this research were to evaluate prevalence and degree of steatosis in patients with type 2 diabetes and the metabolic syndrome (defined by ATP III criteria); to search for metabolic factors which are predictive for the degree of steatosis, and to evaluate the possible link between hepatic steatosis and anatomic vasculopathy (intima-media thickness – IMT and carotid plaques) and endothelial function (flow mediated dilation - FMD). An observational study was performed among 60 type 2 diabetic patients (M/F 25/35) with metabolic syndrome afferent to our Diabetes Center. Steatosis was evaluated by means of semi-quantitative ecography (4 grades) as well as by an “objective quantitative” method based on the determination of liver/kidney ratio (6 grades). The presence of carotid plaques and the IMT measurement were evaluated by means of ecocolordoppler of the supra-aortic arteries. The endothelial function was evaluated by means of ecography as the vasodilatation induced by ischemia in the brachial artery (FMD). We measured anthropometric variables (body mass index, waist circumference), metabolic parameters (lipids, HbA1c, HOMA), inflammation markers (hs-PCR, IL-6, TNFα), thrombogenic factors (fibrinogen) and an adipokine (leptin). We applied a statistical program (Ordered Probit) to evaluated the probability to predict the degree of steatosis by the combination of metabolic parameters. The prevalence of steatosis was 88% (33% mild steatosis, 33% moderate e 22% severe). IMT was 0.88 ± 0.23mm; 63% of patients had carotid plaques. FMD (calculated in 45 patients) was reduced with respect to normal values (5.02 ± 1.81%). We demonstrated a correlation between the degree of steatosis and BMI, waist, the number of metabolic syndrome’s factors, sex, diastolic pressure, insulinemia, HOMA, Hb1Ac, HDL-cholesterol (inverse), hs-PCR, fibrinogen, leptin. We didn’t demonstrate any correlation between steatosis, and medium and maximum IMT, the presence of carotid plaques and FMD. With multiple regression analysis HOMA and BMI levels were indipendent factors which predict hepatic steatosis (p 0.033). Using the combination of HbA1c, waist and insulinemia, a prediction of the exact grade of steatosis (± one steatosis grade) (evaluated by ecography) was obtained in 96.5% of cases. This study confirms that, in this population of diabetic patients with metabolic myndrome, NAFLD can be considered the hepatic manifestation of the syndrome since it correlates with HOMA and obesity. A high prevalence of increased IMT and of presence of carotid plaques, as well as a reduced FMD compared to general population, are also demonstrated, although they are not apparently linked with steatosis.
La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) si definisce come la presenza di steatosi epatica in soggetti con modesto o assente consumo di alcol e mancata assunzione/esposizione a determinati farmaci o sostanze; è frequentemente associata al diabete, all’obesità e alla sindrome metabolica, tanto da essere considerata da molti autori come la manifestazione epatica della sindrome metabolica, avendo come fattore patogenetico comune l’insulino-resistenza. La storia naturale della NAFLD sembra benigna anche se può evolvere in steatoepatite e in cirrosi ed è stata dimostrata una correlazione tra NAFLD e patologie cardiovascolari (cliniche e subcliniche). Lo scopo dello studio è stato di valutare la prevalenza ed il grado di steatosi epatica in un gruppo di pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 e sindrome metabolica (definita in base ai criteri dell’ATP III), di ricercare i fattori metabolici predittivi del grado di steatosi e di valutare l’eventuale relazione esistente tra steatosi epatica e vasculopatia anatomica (spessore medio-intimale carotideo [IMT] e placche carotidee) e funzionale (dilatazione flusso mediata [FMD]). E’ stato eseguito uno studio osservazionale su 60 pazienti (M/F 25/35) affetti da diabete mellito di tipo 2 e sindrome metabolica afferenti al nostro servizio di Diabetologia. La presenza di steatosi è stata valutata mediante ultrasonografia sia con metodica soggettiva semiquantitativa (4 gradi) sia con metodica oggettiva quantitativa mediante la determinazione del rapporto fegato/rene (6 gradi). La ricerca di placche aterosclerotiche carotidee e la misurazione dell’IMT sono stati eseguiti con ecocolordoppler dei tronchi sovraaortici; la funzione endoteliale è stata valutata mediante ultrasonografia con valutazione della vasodilatazione indotta dall’ischemia a livello dell’arteria brachiale (FMD). Sono stati misurati i parametri antropometrici (indice di massa corporea e circonferenza addominale), metabolici (assetto lipidico, HbA1c, HOMA), citochine infiammatorie (hs-PCR, IL-6, TNFα), fattori trombogenici (fibrinogeno) e adipochine (leptina). E’ stato utilizzato inoltre un programma statistico (Ordered Probit) in cui associando alcuni parametri metabolici viene predetta la probabilità del soggetto di appartenere ad una determinata classe di steatosi. La prevalenza di steatosi è risultata dell’88% (33% steatosi lieve, 33% moderata e 22% grave); l’IMT medio pari a 0.88 ± 0.23 mm; il 63% dei pazienti presentavano placche carotidee; l’FMD (calcolato su 45 pazienti) è risultato ridotto e pari a 5.02 ± 1.81%. Dividendo i pazienti per classi di steatosi abbiamo evidenziato una correlazione tra steatosi e BMI, circonferenza addominale, numero dei fattori della sindrome metabolica, sesso, pressione diastolica, insulinemia, HOMA, HbA1c, colesterolo-HDL (inversa), hs-PCR, fibrinogeno e log leptinemia. Non abbiamo dimostrato invece alcuna correlazione tra grado di steatosi e IMT medio o massimo, presenza di placche aterosclerotiche e valore di FMD. Con il modello di regressione multipla HOMA e waist sono risultati fattori indipendenti che influenzano il grado di steatosi epatica (p 0.033). Associando HbA1c, waist, insulinemia il modello statistico Ordered Probit mi predice il grado esatto o con un errore di un grado di steatosi soggettiva (valutato all’ecografia) nel 96,5% dei casi. Questo studio conferma che nei nostri pazienti diabetici con sindrome metabolica la NAFLD correla strettamente con obesità e insulino-resistenza, può essere quindi considerata la manifestazione epatica della sindrome metabolica. E’ stata dimostrata un’elevata prevalenza di aumentato IMT e di placche carotidee, così come di riduzione dell’FMD rispetto alla popolazione generale, sebbene non sembra esservi correlazione con la steatosi epatica.
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Rotondi, Silverio <1981&gt. "Studio osservazionale trasversale volto a valutare la presenza di danno vascolare in pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 con diverso grado di malattia renale cronica." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amsdottorato.unibo.it/9170/1/Rotondi_Silverio_tesi.pdf.

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Abstract:
La gravità del DMT2 e delle sue complicanze come la malattia renale cronica (CKD) comportano un aumento della rigidità vascolare, misurabile con il CAVI, e alterazioni dei livelli ematici di sostanze implicate nella danno vascolare come Klotho, FGF23, Sclerostina. Scopo dello studio era valutare il ruolo della CKD stadio 1-2 e delle eventuali alterazioni di 25(OH)Vitamin-D, FGF23, Klotho, Sclerostina sul danno vascolare precoce nel DMT2. Metodi: Pazienti inclusi: DMT2 da <10 anni, età <60 anni, nessuna terapia insulinica, eGFR≥60 ml/min/1,73m2, assenza di complicanze vascolari. Abbiamo valutato: CAVI, albumin-excretion-rate (ACR), 25(OH)Vitamin-D, Klotho, FGF23, Sclerostina. 30 soggetti sani erano il controllo per CAVI, Klotho, FGF23 e Sclerostina. Risultati: Abbiamo arruolato 40 donne e 60 uomini, età media 56 anni (IQR:52-59), DMT2 da 5 anni (IQR:2,7-7), HbA1c 6,3% (5.8-6.7), eGFR di 95 ml/min/1,73m2. FGF23 (42±10 vs controlli 29.8±11 pmol/l, p<.05) e Sclerostina (36,2±7 vs 26.6±1 pmol/l, p<.05) erano aumentati e Klotho ridotto (673±300 vs 845±330 pg/ml, p<.05). La CKD (ACR ≥30 mg/gr; eGFR fra 60-90 ml/min/1,73m2) era presente nel 12,6%. Il CAVI medio era normale e i pazienti con CAVI borderline (≥8, 33%) e patologico (≥9, 13%) erano più anziani (p.001), con maggiore durata di DMT2 (p.022) e 25(OH)Vitamin-D più bassa (p.041). Il CAVI correlava positivamente con età (p.001), Hb1Ac (p.036) e pressione arteriosa sistolica (PAS) (p.012) e pressione arteriosa diastolica (PAD) (p.001) e negativamente con la 25(OH)Vitamin-D (p.046). L’analisi multivariata evidenziava predittori positivi del CAVI età (p.001), PAD (p.0001), ACR (p.008) e Klotho (p.017). Discussione: Nella nostra popolazione DMT2 il CAVI borderline e patologico è associato a ACR aumentato, PAD elevata e 25(OH)Vitamin-D ridotta e le alterazioni di FGF23, sclerostina e Klotho, secondarie alla CKD, sono un segno precoce di possibile danno vascolare. Conclusione: ACR, 25(OH)Vitamin-D e PAD possono essere dei fattori di rischio modificabili di danno vascolare precoce nel DMT2.
The severity of DMT2 and its complications such as chronic kidney disease (CKD) lead to increase vascular stiffness, measurable with CAVI, and alterations in substances implicated in vascular damage like Klotho, FGF23, and Sclerostin. The aim of the study was to evaluate the role of CKD stage 1-2 and possible alterations of 25 (OH)Vitamin-D, FGF23, Klotho, and Sclerostin on early vascular damage in DMT2. Methods: Patients included: DMT2 from <10 years, age <60 years, no insulin therapy, eGFR≥60 ml/min/1.73m2, absence of vascular complications. We have evaluated CAVI, albumin-excretion-rate (ACR), 25(OH)Vitamin-D, Klotho, FGF23, and Sclerostin. 30 healthy subjects were the control for CAVI, Klotho, FGF23 and Sclerostin. Results: We enrolled 40 women and 60 men, average age 56 years (IQR: 52-59), 5-year DMT2 (IQR: 2.7-7), HbA1c 6.3% (5.8-6.7), eGFR of 95 ml/min/1.73m2. FGF23 (42±10 vs controls 29.8±11 pmol/l, p<.05) and Sclerostin (36.2±7 vs 26.6±1 pmol/l, p<.05) were increased and Klotho reduced (673±300 vs 845±330 pg/ml, p<.05). CKD (ACR≥30mg/gr; eGFR between 60-90 ml/min /1.73m2) was present in 12.6%. The mean CAVI was normal and the patients with borderline (≥8, 33%) and pathological (≥9, 13%) CAVI were older (p.001), with longer duration of DMT2 (p.022) and 25(OH)Vitamin-D lower (p.041). CAVI correlated positively with age (p.001), Hb1Ac (p.036), systolic blood pressure (SBP) (p.012) and diastolic blood pressure (DBP) (p.001) and correlated negatively with 25(OH)Vitamin-D (p.046). The multivariate analysis showed positive predictors of CAVI age (p.001), DBP (p.0001), ACR (p.008) and Klotho (p.017). Discussion: In our DMT2 population, borderline and pathological CAVI is associated with increased ACR, elevated DBP and reduced 25(OH)Vitamin-D and the alterations of FGF23, Sclerostin and Klotho, secondary to CKD, are an early sign of possible vascular damage . Conclusion: ACR, 25(OH)Vitamin-D and DBP can be modifiable risk factors for early vascular damage in DMT2.
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Zhukouskaya, V. "DENSITA¿ MINERALE OSSEA, QUALITA¿ DELL¿OSSO E RISCHIO DI FRATTURA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2:RUOLO DELL¿ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-SURRENE EDELLA SENSIBILITA¿ AI GLUCOCORTICOIDI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/246301.

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Abstract:
Introduzione: Nel Diabete Mellito di tipo 2 (T2D) vi è un aumento del rischio di frattura vertebrale (VFx). L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) sembra attivato nel T2D scompensato e la sensibilità ai glucocorticoidi (GC) sembra influenzare la densità minerale ossea (DMO) nei soggetti con osteoporosi. Obiettivo: Valutare il ruolo dell’asse HPA e della sensibilità ai GC, mediante i polimorfismi (SNPs) BclI e N363S del recettore GC e l’attività della 11βidrossisteroidodeidrogenasi tipo 2, (11HSD2) sulla DMO, VFx e qualità dell’osso valutata mediante il Trabecular Bone Score, (TBS), in donne con T2D compensato in menopausa. Materiali/metodi: in 92 donne con T2D (emoglobina glicata 6.7±1.2%) e 92 controlli, paragonabili per età, sesso, BMI, abbiamo valutato: 1) metabolismo calcio-fosforo, livelli ACTH, cortisoluria 24h (CLU), cortisone (CoLU) su urine 24h, cortisolo dopo 1 mg desametasone h 23 (1mgDST); 2) attività del 11HSD2 (rapporto CLU/CoLU), SNPs di BclI e N363S; 3) DMO (Z-score, lombare, LS e collo femorale, FN) e TBS (Z-score) mediante DXA e VFx mediante morfometria. Risultati: Le pazienti con T2D hanno mostrato, rispetto ai controlli, VFx aumentate (34.8 vs 19.6 %, rispettivamente, p=0.031) e DMO maggiore (LS 0.81±0.47 vs 0.17±1.32, p=0.002; FN 0.63±0.99 vs 0.04±0.94, p=0.000), mentre TBS, attività HPA e 11HSD2, e prevalenza degli SNPs di BclI e N363S sono risultate paragonabili. Le pazienti con T2D e VFx hanno mostrato un’aumentata frequenza dello SNPs N363S in eterozigosi (15.6%) e DMO e TBS minori rispetto a quelle senza VFx (3.3%, p=0.047), ma simili secrezione di cortisolo, attività 11HSD2 e frequenza dello SNP BclI. Lo stesso è risultato nei soggetti di controllo. Le VFx sono risultate associate al T2D (OR=2.6, 95%CI 1.2-5.5, p=0.015) ed allo SNP N363S in eterozigosi (OR=8.5, 95%CI 2.3-31.1, p=0.01). Conclusioni: Nel T2D compensato la prevalenza di VFx è aumentata e, come nella popolazione generale, sembra associata ad un’aumentata sensibilità ai GC.
Introduction: Patients affected by type 2 diabetes (T2D) are at increased risk of vertebral fractures (VFx). At the same time, there is evidence of activated hypothalamus-pituitary-adrenal (HPA) axis in T2D, and an increased glucocorticoid (GC) sensitivity seems to have a negative impact on bone mineral density (BMD) in osteoporosis. Objectives: To evaluate the association between HPA axis activity and GC sensitivity, measured by single nucleotide polymorphisms (SNPs) BclI, N363S of GC receptor and by activity of 11HSD2, with BMD, VFx and bone quality, evaluated with Trabecular Bone Score (TBS), in T2D postmenopausal women. Material/methods: We recruited 92 T2D women (HbA1c 6.7±1.2%) and 92 age- and BMI-matched controls. The following parameters were evaluated in all subjects: 1) calcium-phosphorus metabolism, ACTH, urine free cortisol 24h (UFC), urine free cortisone 24h (UFCo), serum cortisol after overnight 1 mg dexamethasone (1mgDST); 2) activity of 11HSD2 (ratio UFC/UFCo), SNPs of BclI, N363S; 3) BMD (Z-score, lumbar spine, LS, femoral neck, FN), TBS (Z-score) with DXA and VFx with radiography. Results: T2D subjects had increased prevalence of VFx (34.8 vs 19.6 %, respectively, p=0.031) in presence of increased BMD (LS 0.81±0.47 vs 0.17±1.32, p=0.002; FN 0.63±0.99 vs 0.04±0.94, p=0.000), in comparison to controls. There were no differences in TBS, HPA parameters, 11HSD2 activity, prevalence of BclI and N363S SNPs between groups. T2D patients with VFx had reduced levels of FN BMD, TBS and increased prevalence of the N363S SNPs (15.6%), compared to T2D ones without VFx. No differences were found in HPA parameters, 11HSD2 activity, prevalence of the BclI SNPs. The same pattern was seen in controls. In logistic regression analysis VFx were associated with T2D (OR=2.6, 95%CI 1.2-5.5, p=0.015) and N363S SNPs (OR=8.5, 95%CI 2.3-31.1, p=0.01) Conclusions: In subjects with and without T2D the presence of VFx is associated with increased GC sensitivity.
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Condorelli, Rosita Angela. "Diabete mellito: "una nuova causa di infertilità"." Doctoral thesis, Università di Catania, 2017. http://hdl.handle.net/10761/3817.

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Abstract:
Introduzione: Il diabete mellito (DM) può determinare infertilità maschile agendo a livello pre-testicolare, testicolare e post-testicolare. Scopo della tesi: valutare la presenza di infertilità maschile e i meccanismi di danno spermatico nei pazienti con DM in età fertile. Materiali e Metodi: Sono stati arruolati 34 pazienti con DM1, 55 pazienti con DM2, e 100 soggetti fertili sani controllo normale . I pazienti diabetici sono stati ulteriormente suddivisi in 3 gruppi sulla base del compenso glicometabolico e della durata di malattia. Sono stati eseguiti: esame standard del liquido seminale e valutazione citofluorimetrica dei parametri spermatici non convenzionali (frammentazione del DNA nemaspermico, valutazione del grado di vitalità, apoptosi precoce e apoptosi tardiva e del grado di condensazione cromatinica; studio del potenziale di membrana mitocondriale, MMP), formula leucocitaria nell eiaculato mediante analisi citofluorimetrica, valutazione del grado di perossidazione lipidica (PL), e dei livelli spermatici di superossido mitocondriale, ecografia didimo-epididimaria e determinazione sierica in chemiluminescenza di testosterone totale, LH. Risultati: i pazienti diabetici presentano concentrazione nemaspermica, motilità progressiva e morfologia ridotte rispetto al gruppo di controllo (p<0.05). Il volume dell eiaculato è significativamente inferiore nei pazienti con DM1 (p<0.05), ma sembra non subire variazioni significative nei pazienti con DM2 rispetto al gruppo di controllo. Le concentrazioni di leucociti risultano più elevate solo nei pazienti con DM2 (p<0.05), registrando una riduzione statisticamente significativa della percentuale di linfociti T helper nel liquido seminale e un aumento di quella dei linfociti T suppressor rispetto ai soggetti di controllo (p<0.05) L analisi dei parametri spermatici non convenzionali ha mostrato un peggioramento dell MMP nei pazienti diabetici (p<0.05). Solo i pazienti con DM2 hanno mostrato una riduzione significativa del grado di vitalità nemaspermica con aumento di apoptosi tardiva rispetto al gruppo di controllo e della frammentazione del DNA rispetto agli altri due gruppi (p<0.05). Quando suddivisi per durata di malattia, i pazienti con DM1 presentano una motilità progressiva minore nei casi di lunga (>10 anni) durata di malattia rispetto agli altri due gruppi, accompagnata da basso MMP dopo 5 anni di malattia (p<0.05). Il grado di PL è maggiore nel gruppo con DM2 rispetto agli altri due gruppi (p<0.05), mentre le concentrazioni di superossido mitocondriale risultano maggiori nei diabetici rispetto al gruppo di controllo, e maggiori nel DM2 maggiori rispetto al DM1 (p<0.05). I dati ecografici mostrano che il diametro del caput e della coda dell epididimo dopo eiaculazione sono maggiori rispetto al controllo nei pazienti con DM1 di lunga durata rispetto a quelli di breve durata (p<0.05). I livelli di TT risultano più bassi nei DM2 rispetto al gruppo di controllo (p<0.05). Conclusione: i pazienti con DM1 presentano bassi volumi dell eiaculato per mancato svuotamento epididimario, associato ad un danno mitocondriale che anticipa il successivo declino della motilità nemaspermica. A questi dati si associa comunque, un aumento dello stress ossidativo in grado di alterare anche gli altri parametri convenzionali del liquido seminale, anche se in misura minore rispetto al DM2. Il DM2 si caratterizza invece per una condizione infiammatoria con incremento leucocitaria, anche in assenza di infezione causata da specifico agente microbico, in grado di innalzare gli indici di stress ossidativo determinando un danno non solo dei parametri convenzionali del liquido seminale ma anche a carico del DNA spermatico riducendone inoltre anche la vitalità.
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Farina, Maria Grazia. "Alterazioni genetiche e fisiopatologiche nell'obesità e nel diabete tipo 2." Thesis, Universita' degli Studi di Catania, 2011. http://hdl.handle.net/10761/337.

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Abstract:
L'obiettivo generale della mia ricerca e' stato quello di studiare le alterazioni genetiche e fisiopatologiche nell'obesita' e nel diabete mellito tipo 2 (DMT2). Dapprima, ho focalizzato la mia attenzione sul ruolo dei polimorfismi (+276G>T e -11391G>A) del gene di adiponectina (adipochina prodotta dal tessuto adiposo i cui livelli circolanti si riducono negli stati infiammatori, nell' obesita', nella Sindrome Metabolica e nel DMT2) nel modulare la sensibilita' insulinica e le variazioni dell'adiponectina plasmatica dopo decremento ponderale. Poi, ho concentrato il mio interesse sul polimorfismo K121Q del gene di ENPP1 (glicoproteina di membrana in grado di inibire l'attivita' tirosino-chinasica del recettore insulinico) e sul ruolo che tale polimorfismo esercita sull'omeostasi glicemica in un'ampia coorte di adulti e adolescenti con ampio range di BMI. In secondo luogo, ho studiato, in pazienti affetti da DMT2 in trattamento con metformina, se i livelli d'espressione della proteina ENPP1 possono predire l'efficacia terapeutica del farmaco, valutata mediante la riduzione della glicemia a digiuno. Questi studi condotti durante questi 4 anni di dottorato suggeriscono che: a) il polimorfismo +276G>T del gene di adiponectina sembrerebbe coinvolto nei meccanismi che determinano il miglioramento della sensibilita' insulinica e l'aumento dei livelli di adiponectinemia dopo dimagrimento; b) la variante K121Q del gene di ENPP1 associa sia con il grado di resistenza insulinica che con una ridotta capacita' secretoria della beta cellula pancreatica e questo, probabilmente, potrebbe spiegare l'aumento del rischio di sviluppare il DMT2 nei soggetti portatori di tale polimorfismo. Infine, i livelli di espressione di mRNA di ENPP1 sono in grado di predire l'efficacia terapeutica del trattamento con metformina in pazienti con DMT2. Questa ricerca presenta degli elementi di novita' che consentono di individuare precocemente i pazienti che potranno maggiormente giovarsi (in termini di riduzione della glicemia a digiuno) del trattamento con metformina.
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Procino, Filippo. "Analisi Quantitativa del Dispendio Energetico e delle Caratteristiche della Dieta nel Paziente con Diabete Mellito: Applicazioni Cliniche di Protocolli Innovativi." Doctoral thesis, Università di Foggia, 2014. http://hdl.handle.net/11369/331790.

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Abstract:
INTRODUZIONE: Gli interventi sullo stile di vita, in particolar modo l’attività fisica e la dieta, rappresentano la prima scelta terapeutica nella gestione dei pazienti diabetici. Tuttavia anche la terapia non farmacologica richiede l’adattamento e la personalizzazione al singolo individuo. Le metodiche di valutazione dell’attività fisica e di indagine nutrizionale più accurate risultano laboriose, costose ed a volte invasive e quindi mal si adattano alle necessità e alle risorse tipiche delle realtà ambulatoriali. Gli obiettivi di questo lavoro sono stati: 1) definire il dispendio da attività fisica di persone affette da vari tipi di diabete (diabete tipo 2, diabete tipo 1, diabete gestazionale) attraverso modalità di indagine validate, semplici e realizzabili su ampia scala in un setting ambulatoriale; 2) correlare i dati sull’attività fisica con i principali parametri antropometrici, metabolici e di rischio cardiovascolare; 3) verificare l’applicabilità di questo sistema di indagine in una popolazione di pazienti anziani; 4) elaborare un metodo di valutazione semplificato per l’aderenza alle indicazioni della terapia nutrizionale. MATERIALI E METODI: Sono stati reclutati 677 pazienti affetti da diabete; dei quali 101 affetti da diabete tipo 1 (DM1) e 576 affetti da diabete tipo 2 (DM2). E’ stato analizzato anche un sottogruppo di pazienti gravide con diabete: 63 pazienti gestanti affette da diabete. Per la sotto-analisi relativa alla popolazione anziana, l’intera coorte è stata suddivisa in base all’età in pazienti “giovani” (< 65anni) e “anziani” (>65 anni). In tutti i pazienti è stato valutato il dispendio energetico da attività fisica mediante l’uso di un questionario di valutazione IPAQ. In un sottogruppo di 200 pazienti, infine, è stato testato un questionario alimentare semplificato, appositamente creato, con l’obiettivo di delineare in maniera rapida le caratteristiche della dieta dei soggetti in studio. Il rischio cardiovascolare è stato stimato mediante l’algoritmo UKPDS. Il confronto tra due gruppi di medie è stato eseguito mediante test t di Student per campioni indipendenti; il confronto tra più gruppi mediante ANOVA One Way ed analisi post hoc di Tukey. Le differenze di frequenze sono state analizzate mediante tabella di contingenza 2 x 2 e test χ-quadro. È stata inoltre effettuata un’analisi di correlazione mediante test di Pearson. RISULTATI: Il 61% dei pazienti DM1 ed il 55,9 % dei DM2 hanno mostrato un livello di dispendio energetico classificato come basso. Suddividendo i pazienti in base ai quartili (q) di spesa energetica (espressa in METs) abbiamo, rilevato nei pazienti diabetici autoimmuni, differenze statisticamente significative nella distribuzione del peso (2°q: 74.86 vs 4°q: 65.16 Kg; p=0.023) e dei Trigliceridi (2°q: 98.21vs 2°q: 58.29mg/dl; p=0.014); nei DM2 abbiamo rilevato una ridotta percentuale di rischio di ictus (1°q: 15.55 vs 4°q: 10.47%; p<0.05) di patologie coronariche (1°q: 20.72 vs 4°q: 16.27%; p<0.05) e di patologie coronariche fatali (1°q: 15.84 vs 4°q: 11.5%; p<0.05) nei quartili di spesa energetica superiore al primo. Il 45% delle pazienti gravide esaminate hanno mostrato un livello di dispendio energetico basso. Suddividendo per livelli di dispendio energetico abbiamo rilevato differenze significative nella distribuzione di col tot (basso: 250.67 vs medio: 157.33mg/dl; p<0.05) e trigliceridi (basso: 194 vs medio: 53.33mg/dl; p<0.05). Tra i pazienti anziani esaminati, il 55,6% hanno mostrato un dispendio energetico basso. Analizzando i pazienti per dispendio energetico abbiamo rilevato una differenza tendenzialmente significativa nella distribuzione dell’età (basso: 73.2 vs medio: 71.7anni; p=0.052) e della durata della malattia (basso: 14.16 vs alto: 8.82anni; p=0.057). Valutando i risultati del sottogruppo di pazienti sottoposti al questionario alimentare (punteggio min: 28 max: 112 punti) abbiamo rilevato che: il 4% dei pazienti ha ottenuto un punteggio basso (50-70 punti), medio il 78,5% (71-91 punti), alto il 17,5% (92-112 punti). Il punteggio totale del questionario correla negativamente con il BMI medio (R2: -0,125; p=0,079), e con i valori di transaminasi-GTP (R2: -0,240; p=0,044). CONCLUSIONI: L’analisi dei dati conferma che la maggior parte dei soggetti in esame hanno un grado di dispendio energetico basso, e questo suggerisce che l’implementazione della modifica dello stile di vita dovrebbe essere affrontata come un problema sociale di primaria importanza. È stata evidenziata per la prima volta una correlazione diretta tra entità del dispendio energetico e riduzione del rischio cardiovascolare: ciò appare particolarmente importante, nell’ottica dell’approccio globale al paziente diabetico. Le metodiche indagate potrebbero risultare utili nell’individuazione rapida di gruppi di pazienti omogenei da indirizzare a determinati interventi terapeutici e preventivi, al fine di personalizzare sempre più le scelte terapeutiche ed ottimizzare le risorse a disposizione dei singoli ambulatori.
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MALOBERTI, ALESSANDRO. "Effetto della terapia incretinica su funzione e struttura arteriosa in pazienti con diabete mellito tipo 2." Doctoral thesis, Università degli studi di Milano - Bicocca, 2016. http://hdl.handle.net/10281/262225.

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MORONI, Cinzia. "Diabete mellito e metabolismo del monossido di azoto: possibili implicazioni molecolari e prospettive future." Doctoral thesis, Università Politecnica delle Marche, 2007. http://hdl.handle.net/11566/242487.

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BASSI, GIULIA. "MOTIBOT: IL COACH VIRTUALE PER INTERVENTI DI COPING SANO PER ADULTI CON DIABETE MELLITO." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2022. http://hdl.handle.net/11577/3458737.

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Abstract:
Il diabete mellito (DM) è una malattia metabolica autogestita, in cui se l'individuo non è motivato o non è in grado di gestire regolarmente il proprio DM, i risultati medici e psicosociali saranno scarsi. Il DM è più di una condizione di salute fisica: ha impatti comportamentali, fisiologici, psicologici e sociali, e richiede alti livelli di motivazione per seguire le raccomandazioni cliniche e adottare comportamenti sani. A questo scopo, le linee guida dell'American Association of Diabetes Educators (AADE) hanno introdotto il costrutto di coping sano per identificare le strategie di coping per ridurre i sintomi di depressione, ansia, stress e disagio emotivo legato al diabete, migliorando anche il benessere degli adulti con DM. In questo contesto, i Virtual Coaches (VCs) sono diventati un importante risorsa nel supporto e nella gestione delle barriere comuni nel contesto dell'aderenza ai comportamenti sani tra gli adulti con DM. Tuttavia, pochi sono i VC specificamente sviluppati a fornire supporto psicosociale agli adulti con DM. L'obiettivo principale della presente tesi è stato, infatti, lo sviluppo di un VC per fornire supporto psicosociale agli adulti con DM di tipo 1 (T1DM) o DM di tipo 2 (T2DM). Più specificamente, questo VC mirava a motivare gli adulti con DM a ridurre sintomi di depressione, ansia, stress, il disagio emotivo legato al diabete, e a migliorare il loro benessere, incoraggiandoli ad acquisire e coltivare strategie di coping psicosociale sano. Queste abilità di coping facevano riferimento alle linee guida dell'AADE e quindi alla pratica della meditazione; in questo studio è stata, infatti, applicata la Mindfulness-Based Cognitive Therapy. La presente tesi è articolata secondo tre studi. Lo studio 1 mirava a fornire prove meta-analitiche sull'efficacia degli interventi eHealth nel sostenere il benessere psicosociale e medico degli adulti con T1DM o T2DM. Lo studio 2 mirava a testare il prototipo del VC simulato, cioè Wizard of Oz (WOZ), attraverso la piattaforma di messaggistica WhatsApp per 6 settimane, con due sessioni a settimana. In particolare, questo studio ha indagato l'accettabilità preliminare e la User Experience (UX) del protocollo di intervento, che sarà incorporato nel futuro VC. Infatti, il metodo di progettazione è stato duplice. Da un lato, è stato applicato il metodo WOZ, in cui gli studenti di psicologia credevano di interagire con un VC; invece, stavano comunicando con un essere umano. Dall'altro lato, è stato utilizzato il modello Obesity-Related Behavioural Intervention Trials (ORBIT), in particolare le sue prime fasi, poiché favorisce un approccio iterativo. Lo studio 3, seguendo le fasi successive del modello ORBIT, mirava a valutare l'efficacia preliminare del VC, chiamato Motibot - abbreviazione di Motivational bot - sviluppato attraverso una combinazione di Natural Language Processing (NLU) e regole pre-strutturate. Un totale di 13 adulti italiani con DM (Mage = 30.08, SD = 10.61) hanno interagito con Motibot attraverso l'applicazione di messaggistica Telegram per 12 sessioni, in cui il paziente poteva pianificare l'appuntamento secondo le sue esigenze: ha interagito con Motibot una o due sessioni a settimana. Motibot è stato percepito come motivante, incoraggiante e capace di innescare un'auto-riflessione sulle proprie emozioni: gli utenti e i pazienti hanno riferito di aver avuto un'esperienza molto positiva con Motibot. Motibot può essere uno strumento utile per fornire supporto psicosociale agli adulti con DM; potrebbe essere prescritto dal diabetologo come misura preventiva per il benessere del paziente e/o quando il paziente presenta sintomi psicosociali lievi e moderati. L'approccio di design centrato sull'utente e il concetto di bidirezionalità tra fattori psicosociali e medici sono punti chiave nello sviluppo di un trattamento digitale personalizzato.
Diabetes Mellitus (DM) is a self-managed, metabolic disease, in which if the individual is unwilling, unmotivated, or unable to regularly self-manage their DM, the medical and psychosocial outcomes will be poor. Indeed, DM is more than a physical health condition: it has behavioural, physiological, psychological, and social impacts, and demands high levels of motivation in order to follow the clinical recommendations and adopt healthy behaviours. To this end, the American Association of Diabetes Educators (AADE) guidelines introduced the healthy coping construct to identify healthy coping strategies for reducing symptoms of depression, anxiety, stress, and diabetes-related emotional distress while also improving the well-being of adults with DM. Virtual Coaches (VCs) have recently become more prevalent in the support and management of common barriers in the context of adherence to healthy behaviours among adults with DM, in particular those regarding medical and physical behaviours. However, few VCs were found to be specifically aimed at providing psychosocial support to adults with DM. The main aim of the present thesis was, indeed, the development and implementation of a VC for the provision of psychosocial support to adults with Type 1 (T1DM) or Type 2 DM (T2DM). More specifically, this VC aimed at motivating adults with DM to reduce depression, anxiety, perceived stress symptoms, diabetes-related emotional distress, and improve their well-being, by encouraging them to acquire and cultivate psychosocial healthy coping strategies. These coping skills referred to the AADE guidelines and thus to practicing meditation; in this study, the Mindfulness-Based Cognitive Therapy has been applied. The present thesis is articulated according to three studies. Study 1 aimed at providing meta-analytical evidence on the efficacy of eHealth interventions in supporting the psychosocial and medical well-being of adults with T1DM or T2DM. Study 2 aimed at testing the prototype of the simulated VC, namely Wizard of Oz (WOZ), via the WhatsApp messaging platform for 6-week, with two sessions per week. In particular, this study investigated the preliminary acceptability and the User Experience (UX) of the intervention protocol, which will be incorporated into the future VC. Indeed, the design method was two-fold. On the one hand, the WOZ method was applied, in which psychology students believed that they were interacting with a VC, instead they were communicating with a human being. On the other hand, the Obesity-Related Behavioural Intervention Trials (ORBIT) model was used, particularly its early phases, since it favours an iterative approach. Study 3, following the next phases of the ORBIT model, aimed at assessing the preliminary efficacy of the VC, called Motibot—the abbreviation for Motivational bot—developed through a combination of Natural Language Processing (NLU) and hand-crafted rules. A total of 13 Italian adults with DM (Mage = 30.08, SD = 10.61) interacted with Motibot through the Telegram messaging application for 12 sessions, in which the patient planned the appointment according to his/her needs: he/she interacted with Motibot one or two sessions per week. Therefore, Motibot was perceived as motivating, encouraging and able to trigger self-reflection on one’s own emotions: users and patients reported having a very positive experience with Motibot. Motibot, thus, can be a useful tool to provide psychosocial support to adults with DM; as such, it might be prescribed by the diabetologist as a preventive measure for the patient’s well-being and/or when the patient presents mild and moderate psychosocial symptoms. The user-centred design approach and the concept of bidirectionality between psychosocial and medical factors are key points in the development of a personalised treatment within the digital intervention.
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Asti, Martina <1984&gt. "Sistema nervoso enterico di cane: studio quali-quantitativo e modificazioni neurochimiche in corso di infiammazione gastroenterica e diabete mellito." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7677/1/Tesi_Asti__PDF.pdf.

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Abstract:
1) Valutazione caratteristiche neurochimiche e quantificazione dei neuroni del SNE dell’ileo di cani ctrl e cani affetti da infiammazione intestinale (spontanea). Prelevati campioni di ileo da 5 cani ctrl e 8 cani patol ed ottenute criosezioni sottoposte ad immunoistochimica. - nNOS-IR MP ctrl 33±15% (178/639 cell, n=5) vs patol 24±5% (528/2031 cell, n=7) (P=0,156). nNOS-IR SMP ctrl 8±5% (40/527 cell, n=5) vs patol 7±2% (69/1007 cell, n=4) (P= 0,735). - VIP-IR MP ctrl 6±4% (69/993 cell) vs patol 16±9% (281/1958 cell, n=8) (P=0,027*). VIP-IR SMP ctrl 29±8% (300/993 cell) vs patol 30±13% (522/1630 cell, n=7) (P=0,891,) - SP-IR MP ctrl 15±8% (209/1332 cell, n=5) vs patol 17±9% (437/2053 cell, n=8) (P=0,741). SP-IR SMP ctrl 26±7% (464/1598 cell, n=5) vs patol 24±13% (592/2024 cell, n=6) (P=0,752). - CGRP-IR MP ctrl 8±9% (41/543 cell, n=5) vs patol 16±11% (259/1444 cell, n=8) (P=0,152). CGRP-IR SMP ctrl 7±8% (32/754 cell, n=5) vs patol 14±12% (194/1138 cell, n=7) (P=0,230) - Calb-IR MP ctrl 14±9% (76/580 cell, n=5) vs patol 16±7% (324/2055 cell, n=8)(P=0,596). CGRP-IR SMP ctrl di 22±7% (218/975 cell, n=5) vs patol 23±7% (261/1207 cell, n=7) (P=0,767). Questo rappresenta il primo studio esistente sulle caratteristiche neurochimiche delle sottopopolazioni di neuroni in cani ctrl e cani affetti da patol gastroenterica. 2) Valutazione degli effetti del diabete mellito di tipo I sul SNE dell’antro pilorico e dell’ileo di cane. Prelevati campioni di antro e ileo di 8 cani ctrl e 5 patol ed ottenute criosezioni sottoposte ad immunoistochimica. nNOS-IR MP ctrl antro 30±6%, (902/3129 cellule), ileo 29±5% (795/2800 cellule). nNOS-IR MP DM antro 25±2% (727/2926 cellule), ileo (19±5%; 308/1508 cellule).(P antro=0.112), (P ileo=0.006). Questi risultati indicano che il DM determini un’alterazione dell’innervazione nitrergica maggiore rispetto nell’ileo rispetto allo stomaco.
1) Study of effects of spontaneous inflammatory bowel disease in SNE of dogs. Specimens of ileum were collected from 5 control and 8 affected dogs, use for immunohistochemistry on the cryosections - nNOS-IR MP ctrl 33±15% (178/639 cell, n=5) vs patol 24±5% (528/2031 cell, n=7) (P=0,156). nNOS-IR SMP ctrl 8±5% (40/527 cell, n=5) vs patol 7±2% (69/1007 cell, n=4) (P= 0,735). - VIP-IR MP ctrl 6±4% (69/993 cell) vs patol 16±9% (281/1958 cell, n=8) (P=0,027*). VIP-IR SMP ctrl 29±8% (300/993 cell) vs patol 30±13% (522/1630 cell, n=7) (P=0,891,) - SP-IR MP ctrl 15±8% (209/1332 cell, n=5) vs patol 17±9% (437/2053 cell, n=8) (P=0,741). SP-IR SMP ctrl 26±7% (464/1598 cell, n=5) vs patol 24±13% (592/2024 cell, n=6) (P=0,752). - CGRP-IR MP ctrl 8±9% (41/543 cell, n=5) vs patol 16±11% (259/1444 cell, n=8) (P=0,152). CGRP-IR SMP ctrl 7±8% (32/754 cell, n=5) vs patol 14±12% (194/1138 cell, n=7) (P=0,230) - Calb-IR MP ctrl 14±9% (76/580 cell, n=5) vs patol 16±7% (324/2055 cell, n=8)(P=0,596). CGRP-IR SMP ctrl di 22±7% (218/975 cell, n=5) vs patol 23±7% (261/1207 cell, n=7) (P=0,767). This is the first study about neurochemical characteristics of neuron subsets in control dogs and in gastrointestinal disease afflicted dogs. 2) Study the effects of spontaneous DM on the nitrergic neurons of the MP of the canine gastric antrum and ileum. Specimens of gastric antrum and ileum from eight control dogs and five insulin-dependent DM dogs were collected. MP neurons were immunohistochemically identified with the anti-HuC/HuD and nNOS antibody. nNOS-IR MP stomachs control dogs was 30±6%, in the DM was 25±2% (P=0.112). nNOS-IR MP ileum control dogs was 29±5%, in the DM was significantly reduced 19±5% (P=0.006). These findings indicate that DM in dogs alters intestinal nitrergic innervation more rather than the gastric one.
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Asti, Martina <1984&gt. "Sistema nervoso enterico di cane: studio quali-quantitativo e modificazioni neurochimiche in corso di infiammazione gastroenterica e diabete mellito." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7677/.

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Abstract:
1) Valutazione caratteristiche neurochimiche e quantificazione dei neuroni del SNE dell’ileo di cani ctrl e cani affetti da infiammazione intestinale (spontanea). Prelevati campioni di ileo da 5 cani ctrl e 8 cani patol ed ottenute criosezioni sottoposte ad immunoistochimica. - nNOS-IR MP ctrl 33±15% (178/639 cell, n=5) vs patol 24±5% (528/2031 cell, n=7) (P=0,156). nNOS-IR SMP ctrl 8±5% (40/527 cell, n=5) vs patol 7±2% (69/1007 cell, n=4) (P= 0,735). - VIP-IR MP ctrl 6±4% (69/993 cell) vs patol 16±9% (281/1958 cell, n=8) (P=0,027*). VIP-IR SMP ctrl 29±8% (300/993 cell) vs patol 30±13% (522/1630 cell, n=7) (P=0,891,) - SP-IR MP ctrl 15±8% (209/1332 cell, n=5) vs patol 17±9% (437/2053 cell, n=8) (P=0,741). SP-IR SMP ctrl 26±7% (464/1598 cell, n=5) vs patol 24±13% (592/2024 cell, n=6) (P=0,752). - CGRP-IR MP ctrl 8±9% (41/543 cell, n=5) vs patol 16±11% (259/1444 cell, n=8) (P=0,152). CGRP-IR SMP ctrl 7±8% (32/754 cell, n=5) vs patol 14±12% (194/1138 cell, n=7) (P=0,230) - Calb-IR MP ctrl 14±9% (76/580 cell, n=5) vs patol 16±7% (324/2055 cell, n=8)(P=0,596). CGRP-IR SMP ctrl di 22±7% (218/975 cell, n=5) vs patol 23±7% (261/1207 cell, n=7) (P=0,767). Questo rappresenta il primo studio esistente sulle caratteristiche neurochimiche delle sottopopolazioni di neuroni in cani ctrl e cani affetti da patol gastroenterica. 2) Valutazione degli effetti del diabete mellito di tipo I sul SNE dell’antro pilorico e dell’ileo di cane. Prelevati campioni di antro e ileo di 8 cani ctrl e 5 patol ed ottenute criosezioni sottoposte ad immunoistochimica. nNOS-IR MP ctrl antro 30±6%, (902/3129 cellule), ileo 29±5% (795/2800 cellule). nNOS-IR MP DM antro 25±2% (727/2926 cellule), ileo (19±5%; 308/1508 cellule).(P antro=0.112), (P ileo=0.006). Questi risultati indicano che il DM determini un’alterazione dell’innervazione nitrergica maggiore rispetto nell’ileo rispetto allo stomaco.
1) Study of effects of spontaneous inflammatory bowel disease in SNE of dogs. Specimens of ileum were collected from 5 control and 8 affected dogs, use for immunohistochemistry on the cryosections - nNOS-IR MP ctrl 33±15% (178/639 cell, n=5) vs patol 24±5% (528/2031 cell, n=7) (P=0,156). nNOS-IR SMP ctrl 8±5% (40/527 cell, n=5) vs patol 7±2% (69/1007 cell, n=4) (P= 0,735). - VIP-IR MP ctrl 6±4% (69/993 cell) vs patol 16±9% (281/1958 cell, n=8) (P=0,027*). VIP-IR SMP ctrl 29±8% (300/993 cell) vs patol 30±13% (522/1630 cell, n=7) (P=0,891,) - SP-IR MP ctrl 15±8% (209/1332 cell, n=5) vs patol 17±9% (437/2053 cell, n=8) (P=0,741). SP-IR SMP ctrl 26±7% (464/1598 cell, n=5) vs patol 24±13% (592/2024 cell, n=6) (P=0,752). - CGRP-IR MP ctrl 8±9% (41/543 cell, n=5) vs patol 16±11% (259/1444 cell, n=8) (P=0,152). CGRP-IR SMP ctrl 7±8% (32/754 cell, n=5) vs patol 14±12% (194/1138 cell, n=7) (P=0,230) - Calb-IR MP ctrl 14±9% (76/580 cell, n=5) vs patol 16±7% (324/2055 cell, n=8)(P=0,596). CGRP-IR SMP ctrl di 22±7% (218/975 cell, n=5) vs patol 23±7% (261/1207 cell, n=7) (P=0,767). This is the first study about neurochemical characteristics of neuron subsets in control dogs and in gastrointestinal disease afflicted dogs. 2) Study the effects of spontaneous DM on the nitrergic neurons of the MP of the canine gastric antrum and ileum. Specimens of gastric antrum and ileum from eight control dogs and five insulin-dependent DM dogs were collected. MP neurons were immunohistochemically identified with the anti-HuC/HuD and nNOS antibody. nNOS-IR MP stomachs control dogs was 30±6%, in the DM was 25±2% (P=0.112). nNOS-IR MP ileum control dogs was 29±5%, in the DM was significantly reduced 19±5% (P=0.006). These findings indicate that DM in dogs alters intestinal nitrergic innervation more rather than the gastric one.
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D'Urso, Carmelo. "La Prescrizione dell esercizio fisico nel diabete di tipo 2." Doctoral thesis, Università di Catania, 2012. http://hdl.handle.net/10761/1045.

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Abstract:
Gli effetti benefici dell attività fisica sulla salute ed il benessere dell individuo sono stati messi in evidenza da numerose osservazioni sperimentali e studi scientifici. Recentemente, è stato dimostrato che anche un attività fisica moderata, quale ad esempio il cammino a passo svelto, riduce in maniera simile all attività intensa la morbilità cardiovascolare, indipendentemente dall età e dal peso dell individuo. Le modificazioni metaboliche che avvengono nel corso dell attività fisica sono legate all azione degli ormoni glucoregolatori, ed in particolare dell insulina. La riduzione dei livelli insulinemici consente l utilizzazione muscolare dei subtrati energetici, senza che i livelli glicemici si riducano a valori non compatibili con una normale funzione cerebrale. La prescrizione dell attività fisica presenta notevoli aspetti critici per la presenza di diverse difficoltà oggettive (mancanza di conoscenze specifiche, mancanza di tempo da parte del medico nel suggerirla come terapia, scarsa motivazione da parte del diabetico, ecc.). Il lavoro in team pertanto diventa sempre più indispensabile per il raggiungimento in tempi brevi degli obiettivi terapeutici.
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Piraccini, Francesca. "Disuguaglianze nella qualità dell'assistenza alla popolazione adulta con diabete mellito della Regione Marche: lo studio AEQUITAS." Doctoral thesis, Università Politecnica delle Marche, 2014. http://hdl.handle.net/11566/242870.

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Abstract:
Il diabete è uno dei principali problemi di salute pubblica internazionale. La letteratura riporta la presenza di disuguaglianze di salute nella qualità dell’assistenza alle persone diabetiche, ma non vi sono dati riguardanti i servizi offerti nella realtà regionale. Utilizzando i dati dei database di 52 medici di medicina generale (MMG) e i dati amministrativi di utilizzo dei servizi sanitari regionali, il progetto di ricerca si pone l’obiettivo di valutare le differenze sociali e geografiche nell’appropriatezza del processo di cura del diabete mellito e stimare la prevalenza del diabete nella Regione Marche. All’interno del campione di 65 696 assistiti dai MMG sono stati identificati 6 494 diabetici nel periodo 2003-2010, per i quali è stata valutata l’appropriatezza delle cure prestate analizzando l’associazione tra due indicatori di appropriatezza, uno di esito (i ricoveri prevenibili per diabete, definiti secondo l’AHRQ) e uno di processo, la frequenza di controlli dell’emoglobina glicata (A1C) per ogni anno di osservazione e le variabili cliniche, strutturali e socioeconomiche dei soggetti. La prevalenza del diabete varia dal 5.4% nel 2003 al 7.8% nel 2010, con un significativo trend annuo in aumento indipendentemente dall’invecchiamento della popolazione regionale. I soggetti diabetici di età compresa tra 20 e 44 anni sono a maggior rischio sia di ospedalizzazione prevenibile sia di discontinuità nell’effettuare i controlli di A1C. Entrambi gli indicatori non si sono dimostrati influenzati dallo status socioeconomico dell’individuo, misurato dal livello di istruzione. La deprivazione del luogo di residenza ha un effetto favorente i ricoveri prevenibili e la discontinuità dei controlli nei soggetti con età maggiore di 45 anni. La deprivazione si è dimostrata un fattore indipendente protettivo per la discontinuità dei controlli, spiegabile dalla presenza di servizi specialistici diabetologici in molti comuni deprivati o molto deprivati. I risultati indicano la presenza di condizioni di vulnerabilità nella qualità dell’assistenza ai soggetti diabetici che richiede maggiori sforzi da parte di tutti gli attori del Sistema Sanitario Regionale.
Diabetes is one of the most common chronic diseases in nearly all countries. Subjects’ socioeconomic status (SES) is associated with diabetes incidence and prevalence, use of healthcare services and prevalence of diabetic complications. Considering the need to analyse if appropriate services are equally provided to different socio-economic groups at local level, and considering the role of the general practitioners (GPs) in the management of chronic disease, the project AEQUITAS was conducted. The aim of the current study was to evaluate social and economic disparity in diabetes care, analysing the association between preventable hospitalization for diabetes and frequency of controls of glicated haemoglobin (A1c) and indicators of inequality. We also evaluated the diabetes care demand estimating diabetes prevalence. This study was based on administrative archives with GPs database as the main source for case detection. A total of 6 494 subjects suffering from diabetes mellitus aged ≥ 20 years were analysed in the study period. Overall prevalence of diabetes ranged from 5.4% in 2003 to 7.8% in 2010, with a significant positive trend of 0.31%. Only 21% of subjects had two or more A1c tests in each year of observation.We found people aged ≤44 years at a significant higher risk of preventable hospitalization and of poor frequency of control of A1C than people aged >44, consistently with other Italian studies. We observed an excess of preventable admissions for people living in socioeconomic disadvantage areas and they was at significant higher risks of poor frequency of A1C controls if they were aged more than 44 years. As shown in other studies, the severity of the disease increased the frequency of controls, maybe through the care of a diabetes centre. However, educational level was significantly associated neither with the rate of preventable admissions nor with the frequency of controls. These results may indicate that patients independently by their SES appropriately use health services, but outpatient healthcare services continue to be not equally available on the regional territory. The study showed that there are considerable opportunities for improving the management of diabetes, especially in the youngest and in the disadvantage areas.
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Cozzolino, Francesco. "Implementazione di un sistema per il self-management del diabete di tipo 1." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amslaurea.unibo.it/16132/.

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Abstract:
Il diabete mellito è una malattia cronica che causa un'elevata concentrazione di glucosio nel sangue, superiore ai valori di riferimento, per lunghi periodi di tempo. La convivenza con questa patologia cronica può causare delle problematiche nella vita quotidiana. Al fine di ridurre le problematiche, oltre a seguire le prescrizioni mediche, degli accorgimenti sull'alimentazione e sull'attività fisica possono risultare fondamentali. Le persone affette da diabete, che decidono di intraprendere un percorso in cui adottano uno stile di vita più salutare, necessitano di continue informazioni sul proprio stato di salute; al fine di prendere la migliore decisione possibile. L'obiettivo di questa tesi, pertanto, è quello di realizzare un sistema in grado di fornire gli strumenti necessari per il self-Management del diabete mellito di tipo 1, adottando la visione dell'Internet of Things e del mobile Health. Nel dettaglio, si vuole realizzare un sistema che consenta all'assistito di simulare il proprio andamento glicemico attraverso il proprio smartphone; con lo scopo di ricevere dei consigli sull'alimentazione e sull'attività fisica da seguire.
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Bucci, Francesca. "Information and communication technologies nella gestione integrata del diabete mellito: stato dell'arte, progetto Metabo come caso di studio." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/9306/.

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Abstract:
Il Diabete, modello paradigmatico delle malattie croniche, sta assumendo negli ultimi anni le proporzioni di una pandemia, che non ha intenzione di arrestarsi, ma del quale, con l’aumento dei fattori di rischio, aumentano prevalenza e incidenza. Secondo stime autorevoli il numero delle persone con diabete nel 2035 aumenterà fino a raggiungere i 382 milioni di casi. Una patologia complessa che richiede lo sforzo di una vasta gamma di professionisti, per ridurre in futuro in maniera significativa i costi legati a questa patologia e nel contempo mantenere e addirittura migliorare gli standard di cura. Una soluzione è rappresentata dall'impiego delle ICT, Information and Communication Technologies. La continua innovazione tecnologica dei medical device per diabetici lascia ben sperare, dietro la spinta di capitali sempre più ingenti che iniziano a muoversi in questo mercato del futuro. Sempre più device tecnologicamente avanzati, all’avanguardia e performanti, sono a disposizione del paziente diabetico, che può migliorare tutti processi della cura, contenendo le spese. Di fondamentale importanza sono le BAN reti di sensori e wearable device, i cui dati diventano parte di un sistema di gestione delle cure più ampio. A questo proposito METABO è un progetto ICT europeo dedicato allo studio ed al supporto di gestione metabolica del diabete. Si concentra sul miglioramento della gestione della malattia, fornendo a pazienti e medici una piattaforma software tecnologicamente avanzata semplice e intuitiva, per aiutarli a gestire tutte le informazioni relative al trattamento del diabete. Innovativo il Clinical Pathway, che a partire da un modello Standard con procedimenti semplici e l’utilizzo di feedback del paziente, viene progressivamente personalizzato con le progressive modificazioni dello stato patologico, psicologico e non solo. La possibilità di e-prescribing per farmaci e device, e-learning per educare il paziente, tenerlo sotto stretto monitoraggio anche alla guida della propria auto, la rendono uno strumento utile e accattivante.
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Rimondi, Glenda. "Il Diabete Mellito e i relativi Dispositivi di Home Care: supporto al malato e al Servizio Sanitario Nazionale." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amslaurea.unibo.it/14646/.

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Abstract:
Con il seguente trattato si espone la condizione di diffusione del diabete come malattia cronica principale di questo periodo nei paesi socialmente ed economicamente sviluppati. Questo è dovuto ad un miglioramento dello stile di vita ed un aumento della sedentarietà, associato ad una peggiore educazione alimentare. Dopo, quindi, un'esposizione della malattia dal punto di vista fisiologico e delle terapie necessarie, si vede come l'innovazione di nuove tecnologie possa aiutare il malato nella gestione della patologia, ma anche il SSN nel contenimento dei costi. Grazie, infatti, ai dispositivi di HomeCare, la telemedicina offre la migliore soluzione per poter migliorare l'attuale condizione sociale ed economica della Sanità Pubblica. Vengono successivamente presi in esame: il progetto METABO e i lavori per migliorare l'interoperabilità tra i dispositivi, fatti da aziende come IHE o Continua Health Alliance. Infine, alcuni esempi di dispositivi medici per il monitoraggio continuo della glicemia, per l'infusione continua dell'insulina e sistemi integrati.
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RUSSO, LUCIA. "Ricerca di nuovi autoantigeni nel diabete di tipo 1:immunoproteomica delle isole pancreatiche umane." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/209587.

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Abstract:
Introduction: Type 1 Diabetes is the autoimmune form of diabetes mellitus and accounts for about 5-10% of all cases of diabetes. It is one of the most common severe chronic childhood illnesses characterized by insulin deficiency as a result of the progressive T-cell mediated destruction of pancreatic Langerhans islet - cells. The factors initiating the destructive process are largely unknown but genetic and nongenetic factors are involved. It manifests a biphasic progression with a preclinical phase “insulitis” and a clinical phase “diabetes onset”. The preclinical phase is also characterized by the presence of circulating autoAbs targeted to a different, yet limited, series of molecules that are expressed specifically and unspecifically in the pancreatic islet -cells. To date, 5 are the known autoAbs: ICA (Islets Cell Ab), GADA (Glutammic Acid Decarboxylase 65kDa Ab), IA-2A (Tyrosin phosphatase-like insulinoma Ag 2 Ab), IAA (Insulin Ab), ZnT8A (Cation efflux Zinc Transporter 8 Ab). Search for T1D-autoAbs in patients with recent diagnosis of diabetes is utilized for diagnostic purposes, and in first-degree relatives as predictive markers of disease. The first type of autoAb, islet-cell autoantibody, “ICA” was described >35 years ago; however, the entire panel of T1D-autoAgs is not complete at the moment. For example, it has been recently (2007) identified a new major autoAg, ZnT8, that was found in 26% of T1D subjects previously classified as autoAbs-negative. Because up to 5% of children with the clinical features/diagnosis of T1D test negative for known autoAbs it is likely that other specific autoAbs/Ags remain to be identified. Aim: We set up a search for new autoantigens involved in T1D using a method that has to be considered innovative in its application to this organ-specific autoimmune disease, that we named immunoproteomic approach; in addition we developed a radioimmunobinding assay to the goal of detecting serum reactivity on a large-scale as validation of two new potential autoantigen molecules identified by immunoproteomic. Materials and Methods: We studied the autoantibody repertoire of subject with diabetes of early onset (1- 10 years of age), divided in different groups of sera: A1) Subjects with diabetes negative to all autoAbs (ICA, GADA, IA-2A, IAA, ZnT8A) and to the search for mutations in neonatal diabetes genes -INS, KCNJ11, ABCC8 and GCK- (5 sera); B) T1D subjects positive only to IAA (4 sera); C) T1D subjects positive only to ZnT8A (4sera) and D) T1D subjects positive only to GADA and IA-2A (8 sera). Sera from patients with diabetes due to insulin mutations were used as “negative” control (group E1). The reactivity of these sera was tested against cytoplasmic/membrane-enriched protein fraction from human pancreatic islets or from exocrine pancreas sera in order to exclude any source of contamination of pancreatic islets from this tissue. After bidimensional electrophoresis and classical Western Blot, images were acquired and spot detection/matching performed by Progenesis software. Spots revealed by control sera (group E1) were subtracted as “noise” in each categories of T1D-sera. For matching the reactivity between groups of sera we detected specific spots of each group and common spots to two or more groups of the type 1 diabetic patients. These spots were identified on the corresponding stain gel by Mass Spectrometry. Among identified protein spots of islets two molecules (IOH-X1 and IOH-X2) were chosen to be validated as new potential autoAgs with a “radioimmunobinding assay” in subjects with T1D developed early (≤10 years of age). We studied IOH-X1 in five constructs (ORF: aa 1-445; N-terminal: aa 1-125; Domain 2: aa 120-225; Central Fragment: aa 215-337 and C-terminal: aa 338-445), whereas IOH-X2 in three constructs (ORF: aa 1-165; N-terminal: aa1-80 and C-terminal: aa 75-165). ORF and selected constructs were amplified by PCR from corresponding human islet cDNA using specific coupled of primers. They were cloned in an eucariotic vector and then expressed in an in vitrocoupled transcription/translation reticulocyte lysate reaction in presence of a radioactive aminoacid (MetS35). The products purified on a sephadex column were used with human serum samples of diabetic and control patients in an immunoprecipitation assay and finally the radioactivity was valued by an appropriate instrument. Results: Matching revealed that among protein spots detected in pancreatic islet cytoplasmic/membraneenriched protein fraction, 10 were in common between negative to 5 autoAbs sera (group A1) and those IAA positive (group B), 24 were in common between group A1 and those ZnT8A positive sera (group C) and 14 spots were common to all three groups. We then proceeded to identifying these protein spots by MALDI MS/MS. Our initial analysis revealed the IOH-X1 protein among spots detected by all groups of T1D-sera and the IOH-X2 molecule among protein spots detected only by the negative to 5 autoAb sera group. Among potential autoantigens we also identified tubulins, a common spot by all three groups of sera, and the Protein disulfide isomerase/PDIA3, as a specific spot of ZnT8A positive sera group. Tubulins and PDI are known as uncommon antigens in T1D, already identified by others. To confirm protein identity of spots we performed a preliminary validation by Western Blot. We recognized with protein-specific primary antibodies the corresponding spots that were picked and identified on stain-gel by Maldi MS/MS as IOH-X1 and IOH-X2. At the same time, to confirm the robustness of our method, we set up the detection of a known autoAg spot by using GADA positive sera and subsequently a polyclonal anti-GAD65 antibody on the same nitrocellulose. In our preliminary study we tested only the ORF and the C-terminal construct of IOH-X1 protein whereas the others remain to be analysed. In the C-terminus assay, applied on 100 patients with type 1 diabetes, 100 controls (obese) and 100 children with coeliac disease, when the 99° percentile cut-off was utilized, we found that 24% patients with T1D and 9% patients with coeliac disease were positive to the assay. Conclusions: These results seem to indicate that our “immunoproteomic” method can detect known T1D autoantigens as well as it’s feasible for novel autoantigens identification. Further analysis remain to be performed to assess if these potential new biomarkers may be useful to improving the accuracy of T1D diagnosis in high risk patients and general population, and to provide new targets for tolerance induction strategies
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Nania, Salvatore. "Effetti dell'esercizio aerobico e di resistenza nel Diabete di tipo 2 con sindrome metabolica." Doctoral thesis, Università di Catania, 2012. http://hdl.handle.net/10761/1046.

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Donati, Michele. "Simulazione agent-based di un sistema di m-Health per il self-management del diabete di tipo 1." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amslaurea.unibo.it/10680/.

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Abstract:
L'obiettivo della tesi è dimostrare l'utilità e i vantaggi che può fornire il Self-Management del diabete mellito di tipo 1 in un sistema di mobile Health a partire da un modello computazionale Agent-Based. Viene quindi affrontata in maniera approfondita la tematica del mobile Health ed il suo sviluppo nei paesi a basso/medio reddito, illustrando i risultati ottenuti dalla ricerca scientifica fino ad oggi, ed il concetto di Self-Management di malattie croniche, un processo di cura caratterizzato dalla partecipazione autonoma del paziente stesso, fornendo una panoramica degli approcci computazionali sviluppati. Viene quindi studiato il diabete mellito in ogni sua caratteristica, seguito dall'illustrazione di diverse applicazioni per la gestione autonoma della suddetta patologia tutt'ora in commercio. Nel caso di studio vengono effettuate diverse simulazioni, tramite la piattaforma di simulazione MASON, per realizzare varie dinamiche della rete fisiologica di un paziente al fine di stabilire feedback qualitativi per il Self-Management della patologia.
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COPPOLA, ANDREA. "Fisiopatologia della disfunzione epatica nel diabete di tipo 2: nuovi biomarker di rischio e/o patologia." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1155.

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Abstract:
La determinazione di nuovi biomarker nel Diabete di tipo 2(DM2) rappresenta una nuova frontiera per lo sviluppo di nuovi farmaci e ulteriori approcci terapeutici; l’identificazione di biomarker può inoltre avere una grande importanza per la diagnosi precoce e lo sviluppo di terapie mirate ad evitare l’insorgenza del Diabte Mellito di tipo 2. HMGB1 è una proteina non-istonica associata alla cromatina possiede una duplice funzione a seconda dello stato in cui si trova la cellula: in condizioni basali si trova nel nucleo e favorisce l’interazione di alcuni fattori di trascrizione con il DNA, in condizioni infiammatorie viene secreta nello spazio extracellulare ed esercita le funzioni di una citochina pro-infiammatoria. Utilizzando come modello cellulare epatociti murini WT ed epatociti IRKO abbiamo effettuato una serie di trattamenti che mimano le condizioni patologiche che si riscontrano nel DT2: stato iperglicemico (Glucosio 30mM), complicanze associate al DT2 (Glucosamina 7.5 mM), obesità (acido oleico 0.66mM e/o acido palmitico 0.33mM), stato infiammatorio cronico (TNF-alpha 100ng/mL). Abbiamo dimostrato che, in condizioni di stress infiammatorio (trattamenti con glucosamina, acidi grassi e TNF-alpha)nei nostri modelli cellulari si osserva secrezione di HMGB1 che è molto maggiore nelle WT rispetto agli epatociti IRKO. L’esposizione ad iperglicemia non induce secrezione. La funzionalità del recettore dell’ insulina è quindi cruciale per la secrezione della HMGB1. In risposta ai nostri trattamenti, gli epatociti IRKO risultano più esposti alla produzione di ROS e all’apoptosi rispetto agli epatociti WT. Sono state dosate concentrazioni di HMGB1 nei sieri di pazienti diabetici e pazienti diabetici affetti o meno da steatosi epatica non alcoolica in cura presso la Fondazione Policlinico di Tor Vergata: da risultati ottenuti su una coorte di 51 pazienti in terapia. Risulta una correlazione inversa tra secrezione di HMGB1 e livello di steatosi mentre è presente una correlazione diretta tra livello di steatosi e secrezione di insulina e steatosi e livelli di PCR e Gamma GT anche se queste ultime non raggiungono la significatività statistica.
New biomarker determination in Type 2 Diabetes(T2D) represents a new perspective in the development of new drugs and further therapeutics approaches: their identification can have a great importance for early diagnosis and potentially lead to development of new therapies to avoid the onset of type 2 diabetes Our study focused on High Mobility Group Box 1(HMGB1), because in our laboratory, by using proteomic techniques, we previously showed that HMGB1 is differently expressed in hepatocytes WT(Hep WT) and in insulin receptor knock out (IRKO) hepatocytes. HMGB1 is a chromatin-linked non-histonic protein that has a dual function depending on the cellular condition: in the basal condition, HMGB1 is inside the nucleus and helps the interaction of transcriptional factors with DNA, however in an inflammatory condition it is secreted into extracellular space and acts as a pro-inflammatory cytokine. Using murine Hep WT and Hep IRKO as cellular models we performed some treatments that reproduce Type 2 Diabetes pathological conditions: hyperglycemia (Glucose 30mM), Type 2 Diabetes-related complications (Glucosamine 7.5 mM), obesity (Oleic acid 0.66mM and/or Palmitic acid 0.33 mM), chronic inflammatory state (TNF-alpha 100ng/mL). In our models we showed that HMGB1 is secreted under the inflammatory stress condition; however this secretion in much higher in Hep WT than Hep IRKO. Treatment with Glucose does not induce secretion of HMGB1: our data support the hypothetical importance of insulin receptor functionality. Under our experimental conditions, Hep IRKO produce more Reactive Oxygen Species(ROS) than Hep WT do and are also more sensitive to apoptosis. Our study also focused on HMGB1 dosage in human sera. In particular we concentrated on diabetic patients as well as on diabetics with non alcoholic steatosis. Both these groups patients received treatment at PTV. We performed our experiments on a 51 patients cohort, and we demonstrated that there is an inverse correlation between HMGB1 secretion and hepatic steatosis. This is despite a direct correlation between hepatic steatosis and all of the following: insulin secretion, CRP and gamma GT
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Righi, Cristina <1991&gt. "La MTC nel trattamento del diabete di tipo 2 e neuropatie associate: proposta di traduzione di tre articoli medici." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/7096.

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Abstract:
La presente tesi si focalizza sulla MTC e alcune sue pratiche volte al trattamento del diabete di tipo 2 e delle neuropatie associate. Sia la MTC che la medicina occidentale si sono occupate del trattamento del diabete e delle neuropatie diabetiche periferiche, sviluppando una serie di pratiche per prevenirne il peggioramento e alleviarne i sintomi. Due dei tre articoli tradotti si occupano del trattamento del diabete di tipo 2 (l’articolo 1 si focalizza su un caso specifico, mentre l’articolo 2 espone le teorie più diffuse e gli ultimi risultati ottenuti dalla ricerca in questo settore). L’articolo 3, invece, presenta le pratiche della MTC volte al trattamento delle neuropatie associate. In ognuno di questi articoli l’attenzione è posta sulle erbe medicinali e i farmaci utilizzati nella terapia, stabiliti in base alle sindromi manifestatesi nei pazienti, e su un confronto tra le pratiche della MTC e quelle della medicina occidentale. L’obiettivo di questa tesi è fornire una traduzione di questi tre articoli che rispetti gli standard di genere, e per raggiungere questo risultato è stata scelta un strategia di tipo familiarizzante, focalizzandosi sul linguaggio e sui testi d’arrivo, favorendo così l’approccio dei lettori futuri. Il capitolo finale della tesi è dedicato ai problemi morfo-sintattici, linguistici e culturali incontrati durante la traduzione e alle strategie applicate per risolverli. Dal momento che, essendo testi scientifici, si sono trovati numerosi termini specifici, questi sono stati riuniti in un glossario, che potesse risultare un utile strumento per gli eventuali lettori futuri.
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SANTINI, VANINA. "Incretine e diabete di tipo di 2 : effetti di Exenatide bis and die sul metabolismo glucidico e sulla composizione corporea (massa grassa, massa magra, peso corporeo, circonferenza vita, BMI, metabolismo energetico) in una popolazione di adulti affetti da diabete di tipo 2." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/1200.

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Abstract:
Le alterazioni della secrezione insulinica costituiscono l’evento precoce e determinante la patogenesi e l’evoluzione del diabete di tipo 2 e sono conseguenti a difetti che coinvolgono sia il funzionamento che la massa della beta cellula . Tali difetti motivano il perché, alla diagnosi, si osserva sovente la perdita di ben il 50 % della funzione e della massa beta cellulare. Da qui la ricerca di nuovi farmaci in grado di preservare sia la capacità secretiva sia la massa della b cellula. Gode di queste proprietà “exenatide”, un incretino-mimetico agonista del recettore del GLP-1 in grado sia di stimolare la funzione che la capacità riproduttiva della beta cellula sia, di indurre un calo ponderale nei pazienti diabetici di tipo 2. -- Scopo. Scopo del nostro studio è quello di valutare l’effetto positivo sul compenso metabolico e sul calo ponderale in una popolazione di diabetici di tipo 2 in cattivo compenso metabolico e sovrappeso in accordo ai dati della letteratura e di valutare se il farmaco in questione abbia un effetto anche sulla composizione corporea (Massa grassa-MG, massa magra-MM, metabolismo energetico-ME) in modo da ipotizzare un’associazione tra calo ponderale ed eventuale calo della massa grassa. -- Metodi. Sono stati studiati 16 pazienti affetti da diabete di tipo 2(5M/11F) con storia di diabete da circa 11 anni (11+5) ed età media di 57 anni (57,13±7.8) che, per essere inclusi, presentavano FPG>200 mg/dl, HbA1c>7,5% e BMI>28. A tutti è stata aggiunta alla terapia basale stabile da 3 mesi al max dosaggio(Glibenclamide 2,5 mg per3 die, Repalinide 2 Mg per 3 die; Glicazide 30 Mg 2 cp die) ed alla metformina 2,5 gr die, exenatide e dieta. Exenatide veniva somministrato sotto cute alla posologia di 5 mg bis and die per 1 mese (in accordo alla nota AIFA) e 10 mg bis and die per i sei mesi successivi. Tutti i pazienti sono stati sottoposti al basale , dopo 1 mese di terapia con exenatide 5 mg bis and die e dopo sei mesi di terapia con exenatide 10 mg bis and die, a dexa per la valutazione della massa grassa e della massa magra e ad impedenziometria per il calcolo del metabolismo basale mentre, a scadenza settimanale, veniva valutata la compliance farmacologia e dietologica, la sicurezza sul paziente indagando sulla comparsa di effetti collaterali (quali nausea, vomito, dolore addominale) ed il suo effetto sulla glicemia valutando il diario glicemico del paziente. Ogni mese, invece, venivano prese le misurazioni antropometriche (circonferenza vita e fianchi, BMI), il peso corporeo e veniva richiesto al paziente un prelievo ematico per valutare l’HbA1c, la funzione renale, quella epatica ed il profilo lipidico. -- Risultati. All’inizio dello studio la popolazione si presentava in cattivo compenso metabolico (HbA1c pari a 9 + 1 %) ed in sovrappeso (BMI>28). Era omogenea rispetto all’età, alla durata del diabete ed alla presenza di ipertensione e dislipidemia (14 pazienti su 16) e rispetto alle caratteristiche antropometriche, quali peso (valore medio 89 Kg+16), indice di massa corporea ( BMI Kg/m2 33+5), circonferenza vita (104 +11) e per il metabolismo energetico (1587+197). Per la composizione corporea, era notevole la DS e, nel dettaglio, la massa magra al basale era di 49 Kg +9,2 e la grassa 38,2 Kg +11,0. Dopo 1 mese di terapia, alla somministrazione di exenatide 5 μg bis/die, abbiamo osservato: 1) riduzione statisticamente significativa dell’HbA1c del 2 % (9,1 %vs7,7 % con p = 0,001); 2) riduzione di 1 Kg di peso corporeo con p =0,01 e riduzione del BMI da 33,8% a 33,5% con p =0,01; 3) aumento della massa magra di 1 Kg (passaggio da 48,9 Kg a 49,6 Kg) e riduzione statisticamente significativa della massa grassa di 1 Kg (da 38 Kg a 37 con p =0,001); 4) aumento di 100 Kcal del metabolismo energetico da 1578 a 1678. Terminato il primo mese dall’inizio dello studio, dopo 6 mesi di trattamento con exenatide sc 10 mg bis and die, abbiamo notato rispetto al basale una ulteriore riduzione con significatività statistica di :1) HbA1c a 6,7 % (-3 % rispetto al basale, p =0,003) 2) una riduzione del peso di 3 Kg,p=0,01 , della circonferenza vita di 3 cm (105 cm vs 102 cm,p=0,07) e del BMI del 2 % (38,9 vs32,6; p=0,02); 3) mantenimento della massa magra a 49 Kg e riduzione ulteriore e statisticamente significativa della massa grassa (37 Kgvs35 Kg,p=0,01). Il metabolismo basale, infine, è rimasto invariato e pari a 1600 in media. -- Conclusioni. Il nostro studio ha dimostrato che il farmaco exenatide oltre ad indurre un miglioramento importante del compenso metabolico e del peso corporeo, in accordo ai dati della letteratura, presenta una associazione positiva con la riduzione della massa grassa in una popolazione di diabetici di tipo2. Tale dato, fortemente innovativo, potrebbe costituire un importante ed ulteriore vantaggio nella terapia con exenatide in una popolazione, come quella diabetica, spesso soprappeso e con presenza di obesità viscerale. Nel nostro studio abbiamo inoltre evidenziato che questi dati positivi sono già presenti quando la posologia del farmaco è bassa per poi amplificarsi al dosaggio più elevato. La nostra popolazione infine, non ha mai presentato effetti collaterali tali da portare alla sua sospensione e, visti i benefici, la quasi totalità dei pazienti sta continuando con questa terapia. Il nostro studio è stato il primo a valutare la presenza di una potenziale associazione tra exenatide e composizione corporea ed è nostra intenzione amplificare il numero dei pazienti per poter offrire maggiore credibilità a quanto dimostrato. Parole chiave : exenatide, HbA1c, peso corporeo, massa grassa, massa magra, body mas index, metabolismo basale.
The alterations of the secretion insulinic constitute the precocious and conclusive event the patogenesi and the evolution of the diabetes type 2 and they are consequent to defects that involve both the operation and the mass of the β cell. Such defects motivate the why, to the diagnosis, the loss is often observed of well 50% of the function and of the mass beta cellular. From here the search of new treatment able to preserve both the secretive ability is the mass of the β cell. It enjoys of these ownerships "exenatide", an incretino-mimetic agonist of the receptor of the GLP-1 able both to stimulate the function and the reproductive ability of the β cell both, to induce a decrease ponder her in the diabetic patients type 2. -- AIM. Aim of our study is that to appraise the positive effect on the metabolic remuneration and on the decrease ponder her in a population of diabetics type 2 in bad metabolic remuneration and overweight in accord to the data of the literature and to appraise if the medicine in matter also has an effect on the bodily (Mass fat-MG, mass thin-MM, metabolism energetic-me) composition so that to hypothesize an association among decrease ponder her and possible decrease of the fat mass. -- METHODS. 16 patient with type 2diabetes (5M/11F) with history of diabetes from about 11 years (11 +5-mean +DS) and aged 57,13 ±s 7.8 that. Inclusion criteria were: FPG > 200 mg/dl, HbA1c>7,5% and BMI >28 Kg/m2. To all has been assistant to the stable basal therapy from 3 months to the max dosing (Glibenclamide 2,5 mg per3 die, Repalinide 2 Mg for 3 die; Glicazide 30 Mg 2 cp die) and to the metformina 2,5 grs die, exenatide subcutaneus and diet. Exenatide was administered under skin to the dosage of 5 μg bis and die for 1 month (in accord to the note AIFA) and 10 μg bis and die for the six following months. All the patients have been submitted to the basal, after 1 month of therapy with exenatide 5 μg bis and die and after six months of therapy with exenatide 10 μg bis and die, to dexa for the evaluation of the total fat mass and the lean mass and to impedenziometria for the calculation of the basal metabolism, to weekly expiration, the compliance was appraised pharmacology and dietologica, the safety on the patient investigating on the appearance of collateral (what it nausea, vomit, abdominal pain) effects and its effect on the glicemia appraising the glicemic diary of the patient. Every month, the antropometric parameters were taken (waist/hip BMI), the body weight and glycemic parameters (Hba1c), the renal and liver function, and lipid profile. -- RESULTS. From basal, the popolation was homogeneous in comparison to the age, to the duration of the diabetes and the presence of hypertension and dislipidemia (14 patients on 16) and in comparison to the antropometrics parameters (weight 89 Kg+16, BMI33+5Kg/m2, waist104 +11 cm) and for the energy metabolism (1587+197Kcal). For the body composition, it was notable the DS and, in the detail, the lean mass to the basal one was of 49 Kg +9,2 and the fat 38,2 Kg +110. After 1 month of therapy, to the administration of exenatide 5 μg bis/die, has observed: 1) decreasing statistically of the HbA1c% (9,1% vs7,7% with p = 0001); 2) decreasing of 1 Kg of body weight with p = 0,01 and reduction of the BMI from 33,8% to 33,5% with p = 0,01; 3) increase of the lean mass of 1 Kg (from 48,9 Kg to 49,6 Kg) and decreasing statistically of the fat mass of 1 Kg (38 Kg to 37 with p = 0001); 4) increase of 100 Kcal of the energetic metabolism from 1578 to 1678. After 6 months of treatment with exenatide 10 μg bis and die in comparison to the basal, the study shows :1) decreasing HbA1c to 6,7% (- 3% from to the basal, p = 0003) 2) decreasing of the weight of 3 Kg, p=0,01 and of the wist of 3 cm (105 vs 102 p=007) and of the BMI (38,9 vs32,6 Kg/m2 p=002); 3) no influence of the lean mass and the basal energy to the basal bat decreasing of total fat mass (37Kg vs 35 p=001). -- CONCLUSIONS. The study show that exenatide further to induce an important improvement of the glycemic control and the body weight, in accord to the litterature, introduces a positive association with the reduction of the fat mass in patiens with type 2 diabetes. Such datum, strongly innovative, could constitute a main point and further advantage in the therapy with exenatide in a population as the diabetic, often overweight and with presence of visceral obesity. In our study we have underlined besides that these positive data are already present when the dosage of the treatment is low for then to amplify him to the most larger doses. Finally our population has never introduced such collateral effects to bring to its suspension, and, sees the benefits, it totality of the patients is almost continuing with this therapy. Our study has been the first one to appraise the presence of a potential association between exenatide and body composition and it is our intention to amplify the number of the patients to be able to offer great credibility to how much shown. key words : diabetes type 2, obesity, thin mass, fat mass, index of bodily mass, incretine.
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Migliorino, Valentina. "Relazione tra dati ultrasonografici ossei e caratteristiche cliniche in un gruppo di pazienti con diabete di tipo 1." Doctoral thesis, Università di Catania, 2013. http://hdl.handle.net/10761/1460.

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Abstract:
INTRODUZIONE Il Diabete Mellito tipo 1 è associato ad una riduzione del 10% della Densità Minerale Ossea (BMD) rispetto ad una popolazione adulta non diabetica. Esistono inoltre evidenze del ruolo esercitato dalle complicanze microvascolari e dalla neuropatia presenti nel diabete nella maggiore incidenza di osteoporosi. Al contrario numerosi studi non documentano una chiara correlazione tra scadente compenso glicemico e ridotta BMD in questi pazienti. DISEGNO DELLO STUDIO E METODI I partecipanti allo studio sono 22 pazienti di sesso femminile con età media 26,7 anni, tutte afferenti al Centro Diabetologico del Dipartimento di Medicina Clinica e Biomolecolare dell Università di Catania. In tutte queste pazienti è stata valutata l emoglobina glicosilata, la presenza di complicanze croniche del diabete, il fabbisogno insulinico, la durata di malattia, l introito giornaliero di calcio. È stato condotto un esame ultrasonometrico delle falangi per ottenere una misurazione indiretta della BMD (attraverso indici specifici della qualità dell osso quali Ad-SoS e UBPI) e questi parametri sono stati correlati con le caratteristiche metaboliche e cliniche delle pazienti. RISULTATI Abbiamo riscontrato una correlazione statisticamente significativa tra durata di malattia e ridotti valori di T-score (p= 0,013) e Z-score (p= 0,05). L analisi statistica per valori di T-score ha evidenziato una correlazione statisticamente significativa tra maggiore fabbisogno insulinico e più elevati livelli di T-score (p= 0,001). Non abbiamo riscontrato una correlazione significativa tra la presenza di complicanze croniche del diabete e i dati ultrasonografici ottenuti. CONCLUSIONI Il diabete mellito di tipo 1 è associato a ridotti valori di densità minerale ossea e la durata della malattia nel nostro studio correla maggiormente con questo dato sebbene i meccanismi sottostanti a tale associazione non siano definitivamente chiariti. Tuttavia la possibilità di eseguire un test diagnostico di basso costo e privo di rischi come l ultrasonografia ossea permette un approccio utile nel paziente diabetico anche se giovane ed eventualmente un follow-up a lungo termine che possa mettere in atto misure di prevenzione per le fratture da fragilità.
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Valentino, Giulia. "Modello a lungo termine per la dinamica del glucosio-insulina nel diabete di tipo 1." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amslaurea.unibo.it/22994/.

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Abstract:
L’elaborato ha l’obiettivo di studiare il modello a lungo termine per la dinamica del glucosio-insulina nel diabete di tipo 1, proposto da Magdelaine e coll. nel 2015 per superare i limiti dei modelli precedenti. Nell’introduzione viene presentato il problema di trovare un modello insulina-glucosio a lungo termine in grado di aiutare il paziente nella gestione del diabete. Nel primo capitolo si descrive la regolazione del sistema glucosio-insulina mediata attraverso la secrezione degli ormoni insulina e glucagone. Nel secondo capitolo si classifica il diabete secondo criteri eziopatogenetici definendo brevemente il diabete di tipo 1, di tipo 2, altre tipologie specifiche di diabete e il diabete mellito gestazionale. Il terzo capitolo si concentra sul diabete di tipo 1 e sulla terapia insulinica consistente nell’automonitoraggio della glicemia e nella somministrazione di insulina, il tutto gestito attraverso “strumenti” che compongono la terapia insulinica funzionale. Il quarto capitolo descrive in modo conciso due modelli matematici a breve termine: il Modello Minimo e il Modello di De Gaetano e Arino, evidenziandone i limiti. Nel quinto capitolo si illustra il modello matematico a lungo termine di Magdelaine e coll., costituito da tre sottosistemi relativi alla dinamica del glucosio, dell’insulina e della digestione. Il modello completo è composto da cinque variabili di stato e nove parametri; da questo si possono ricavare le proprietà a regime e i parametri utili per la terapia insulinica funzionale. Per validare il modello, Magedelaine e coll. hanno raccolto dati clinici su cinque pazienti per più di due giorni, a partire dai quali sono stati identificati i parametri in modo da minimizzare l’errore sulla glicemia. Infine, la conclusione ripercorre i cinque capitoli evidenziando che il modello a lungo termine, pur fornendo risultati interessanti, non è ancora in grado di riprodurre la variabilità nel tempo di alcuni parametri clinici.
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GARBAGNATI, FRANCESCA MARIA. "Dieta a contenuto di sodio controllato e neodiagnosi di ipertensione: valutazione dell'efficacia in soggetti con diabete di tipo 2 e normoglicemici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/214309.

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Abstract:
L’ipertensione è considerata uno dei principali responsabili dell’incremento delle malattie croniche da cui dipende la maggior parte delle cause di mortalità e di disabilità a livello globale. Un recente rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha dettagliatamente preso in esame quali sono i fattori di rischio responsabili della mortalità globale, ha individuato l’ipertensione quale uno dei principali responsabili, unitamente ad elevati livelli di glucosio e di colesterolo, alla scarsa attività fisica, alla presenza di sovrappeso/ obesità, ed allo scarso consumo di frutta e verdura. L’ipertensione arteriosa è quindi un problema di grande rilevanza per la salute pubblica con una prevalenza che è stimata essere del 26% nella popolazione adulta, che è in continuo aumento e che cresce con l’aumentare dell’età. Inoltre recenti dati indicano che soltanto il 25‐50% di tutta la popolazione ipertesa sa di esserlo, e che anche tra gli ipertesi in trattamento una quota rilevante è sottoposta ad un inadeguato controllo pressorio. Se poi si considera il problema dell’ipertensione nei soggetti affetti da diabete mellito tipo 2, occorre evidenziare che queste due condizioni patologiche sono strettamente correlate. La prevalenza di ipertensione arteriosa è raddoppiata rispetto alla popolazione generale e riguarda circa l’80% di tutti i diabetici, in quanto le due condizioni presentano una patogenesi comune che, anche se non completamente nota, ha come condizione iniziale l’insulino‐resistenza. Spesso l’ipertensione arteriosa è presente al momento della diagnosi di diabete e si associa ad altre alterazioni cardiovascolari e metaboliche. Il diabete espone chi ne è affetto ad un rischio cardiovascolare importante paragonabile ad un pregresso infarto miocardico acuto, per cui in questi soggetti il controllo dei valori pressori deve essere più severo. A tal fine, le Linee Guida europee stabiliscono valori soglia inferiori per la diagnosi di ipertensione in soggetti diabetici (130/85 mm Hg), rispetto ai non diabetici e a coloro che presentano meno di 2 fattori di rischio cardiovascolare. In ogni caso ed in ogni tipologia di paziente, l’ipertensione rappresenta anche uno tra i più importanti fattori di rischio modificabili non solo attraverso una adeguata terapia farmacologica ma anche attraverso modificazioni dello stile di vita ed in particolare la riduzione del consumo di sale che, anche se modesta dell’ordine di 4‐5 g al giorno riduce la pressione arteriosa di circa 2,5/5mm Hg in individui ipertesi e di 2/1 mm Hg in individui normotesi, con una sicura correlazione positiva tra entità della riduzione di consumo di sale ed entità della riduzione dei valori pressori. La consapevolezza dell’importanza del controllo pressorio basata anche sul controllo degli stili di vita ed in primo luogo sul consumo di sale sta diventando motivo ricorrente delle politiche nazionali ormai di molti paesi che, tra gli obiettivi per la salute pubblica, inseriscono proprio le azioni volte a creare nella popolazione una riduzione del consumo di sale quale premessa per la riduzione delle patologie correlate all’incremento della pressione. Tuttavia, nei pazienti diabetici, nonostante l'elevato rischio cardiovascolare e le ragioni teoriche a sostegno di una maggiore sensibilità al sale, scarsi sono gli studi di intervento volti a valutare la reale efficacia ed effetto di una riduzione del consumo di sale, come riconosciuto anche dalla position statement relativa al trattamento dell’ipertensione nel paziente diabetico del 2002 (Arauz‐Pacheco et al. 2002). 2 Obiettivi. Lo studio d’intervento “Dieta a contenuto di sodio controllato e neodiagnosi di ipertensione: valutazione dell'efficacia in soggetti con diabete tipo 2 e normoglicemici” è stato condotto presso il “Centro per la Cura e la Prevenzione del Diabete e dell’Ipertensione” (Asl RM B‐ Università degli studi di Roma Tor Vergata) su due popolazioni distinte, costituite da un campione di soggetti appartenenti al corpo dei vigili urbani afferenti ad un comando di Roma e da un campione di pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 e si è articolato in due fasi, una conoscitiva attraverso uno screening pressorio ed una di intervento dietetico iposodicosu soggetti con neodiagnosi di ipertensione/preipertensione. Obiettivi della fase 1 (screening) sono stati valutare nei due campioni delle popolazioni considerate la prevalenza di ipertensione arteriosa/preipertensione, il raggiungimento dei target pressori e identificare i soggetti che erano ipertesi pur non sapendo di esserlo al fine inserirli nella fase di intervento. Obiettivi della fase 2 (intervento) sono stati verificare l’impatto sulla pressione arteriosa di un regime dietetico iposodico controllato, rispetto ad una dieta moderatamente iposodica nei soggetti con neodiagnosi di ipertensione lieve/preipertensione e verificare la compliance ai due trattamenti dietetici iposodici nel breve e nel lungo periodo. Obiettivo secondario nei soggetti diabetici è stato valutare l’effetto di una dieta iposodica sui parametri della rigidità arteriosa. Metodi Fase1. La popolazione della fase 1 è rappresentata da un campione di vigili urbani (n=83 di cui 54 maschi e 29 femmine) e da un campione di pazienti affetti da diabete tipo 2 afferenti al “Centro per la Cura e la Prevenzione del Diabete e dell’Ipertensione” (n=300 di cui 164 maschi e 138 femmine). La misurazione della pressione arteriosa è avvenuta sia a livello ambulatoriale sia per automisurazione domiciliare effettuata per nove giorni consecutivi ed utilizzando identico strumento di misurazione. A seguito della fase di monitoraggio pressorio sono stati identificati i soggetti con una condizione di ipertensione/preipertensione neo diagnosticata e non in trattamento farmacologico a cui è stato proposto di partecipare alla successiva fase di intervento dello studio. Fase2. Nella fase di intervento i soggetti di identificati come neoipertesi sono stati suddivisi in due gruppi sperimentali per un trattamento dietetico iposodico strettamente controllato: Gruppo Low‐Na (L‐Na) (Intake complessivo di 1,4 g/die di sodio pari a 3,5 g di cloruro di sodio) e Medium‐Na (M‐Na) (Intake complessivo di 2,3 g/die di sodio pari a 5,75 g di cloruro di sodio). Il controllo del consumo di sodio è avvenuto attraverso una dieta iposodica (Na < 700mg/die) e l’utilizzazione di bustine di sale predosate (bustine da 1 g di NaCl ciascuna). Le bustine di sale sono state fornite a ciascun volontario nelle quantità idonee a raggiungere i target di Na previsti , ed erano utilizzate dagli stessi per salare ogni pietanza consumata, previa cottura in assenza di sale. L’efficacia dei due trattamenti dietetici sulla pressione arteriosa (PA) è stata valutata al termine dei 20 giorni di intervento dietetico controllato e nei mesi successivi, ad intervalli di tempo regolari, monitorando l’andamento pressorio e l’aderenza al regime dietetico proposto. I 20 giorni di trattamento a contenuto di sodio strettamente controllato hanno rappresentato anche un periodo di training dietetico durante il quale il soggetto, sulla base della percezione gustativa, aveva la possibilità di imparare ad autodosare la quantità di sale da utilizzare quotidianamente, anche al termine del periodo di intervento con le bustine predosate. L’efficacia dei due trattamenti dietetici sulla pressione arteriosa (PA) è stata valutata al termine dei 20 giorni di intervento dietetico controllato e nei mesi successivi, ad intervalli di tempo regolari, monitorando l’andamento pressorio e l’aderenza al regime dietetico proposto. I 20 giorni di trattamento a contenuto di sodio strettamente controllato hanno inoltre rappresentato anche un periodo di training dietetico durante 3 il quale il soggetto, sulla base della percezione gustativa, aveva la possibilità di imparare ad autodosare la quantità di sale da utilizzare quotidianamente. In aggiunta alle determinazioni della pressione arteriosa misurata a livello ambulatoriale e domiciliare, sono stati valutati i parametri dello stato nutrizionale (peso, BMI, circonferenza vita). Nel campione di diabetici sono stati valutati parametri della rigidità arteriosa, l’Augmentation Index (AiX) la Pulse Wave Velocity (PWV). L’aderenza alla dieta iposodica è stata valutata attraverso la determinazione del sodio urinario nelle 24 ore. Risultati. Fase 1. Il monitoraggio pressorio è stato effettuato su 83 vigili urbani (VG) di cui 54 maschi e 29 femmine di un’età media di 52,3±8,0 anni, e su 300 pazienti affetti da diabete tipo 2 (DB), di cui 164 maschi e 138 femmine e di età media 60,5 ± 11,8 anni. Nelle due popolazioni si osserva una netta prevalenza di sovrappeso/ obesità con un IMC medio pari a 27,7±5,2 kg/m2 nella popolazione VG e IMC= 30,7±5,8 kg/m2 nella popolazione DB. Il monitoraggio della pressione nelle due popolazioni considerate ha fornito valori pressori registrati ambulatorialmente mediamente più elevati rispetto a quelli misurati a livello domiciliare. La misurazione domiciliare ha registrato un valore medio di PAS pari a 138,8±22,0 mmHg e di PAD 84,5±12,0 mmHg nella popolazione VG, e di PAS=126,0±18,2 mmHg e PAD=74,9±10,1 nella popolazione DB. L’analisi separata all’interno del gruppo DB mostra che la pressione media dei diabetici alla prima visita risulta essere superiore rispetto a quella riscontrata nei diabetici già in cura presso il centro (140,2±15,4 mmHg vs 135,7±13,7 mmHg) . La ripartizione percentuale dei soggetti in base allo stato pressorio (normotesi/ ipertesi) presenta profonde differenze nei soggetti DB rispetto ai VG, in quanto circa la metà dei VG è normoteso contro un 80% di pazienti diabetici che presentano condizione di ipertensione già nota o neo diagnosticata. I soggetti con neoipertensione corrispondono circa al 20% rispetto alle rispettive popolazioni su cui è stato effettuato lo screening pressorio (21,2% nei VG e 22,6% nei DB). Fase 2. Nella fase di intervento sono stati inseriti 16 vigili (12 M, 4F) di età media 54,6±9,1 anni e 36 soggetti (25 M; 11 F) di età media di 54±9,9 anni. La presenza di sovrappeso/obesità è minore nel gruppo VG rispetto al gruppo DB (BMI medio 28,9 ±5,3kg/m2 vs 30,4 ± 4,7 kg/m2). I valori pressori basali di PAS e PAD per le due popolazioni sono rispettivamente di 145,5 ± 10,8 mmHg e 84,1 ±6,12 mmHg per i VG; 140,4 ±6,1 mmHg e 81,5 ±5,7 per i DB, con una omogeneità intergruppo, relativamente ai parametri oggetto dello studio. Nella popolazione VG al termine dei 20 giorni di dieta iposodica controllata si è osservata riduzione statisticamente significativa della Pressione arteriosa con una riduzione della PAS di ‐12,0 ±7,3 mmHg (p=0,002) (‐7,8% rispetto a t‐0) nel gruppo L‐Na e di ‐5,9±3,8 mmHg (p=0,006) (‐4,1% rispetto a t‐0) nel gruppo M‐Na. Nella popolazione DB si è osservata una riduzione statisticamente significativa della PAS sia domiciliare che ambulatoriale, con una variazione media di ‐8,1±7,9 mmHg per la PAS domiciliare (p<0,002) (‐5,9% rispetto a t‐0), nel gruppo L‐Na. Nel gruppo M‐Na la variazione è stata di entità minore pari a ‐6,2 ±5,3 mmHg(p=0,002) (‐4,4%). Nella popolazione VG al termine dei tre mesi successivi di osservazione si è osservato che il trend di decremento sistolico è continuato nel gruppo M‐Na, mentre nel gruppo L‐Na si è riscontrato un incremento dei valori pressori che pur rimangono inferiori rispetto ai basali e si uniformano ai valori ottenuti nel gruppo M‐Na. Nella popolazione DB, i monitoraggi avvenuti a 3, 6, 9, 12, 15, 18 mesi evidenziano che il trend di decremento di PAS è continuato sia nel gruppo L‐Na, che nel gruppo MNa con una consistente variazione rispetto ai valori basali. L’analisi di regressione per misure ripetute ha mostrato come esista una significativa interazione del trattamento con il tempo (p<0,002). Nella popolazione DB si sono osservate anche significative variazioni per quanto riguarda gli indici della rigidità arteriosa. Al termine dei 20 giorni di dieta, l’AiX brachiale mostra una riduzione di -17,7% nel gruppo L-Na (p<0,002) e di -14,6% nel gruppo M‐Na (p<0,05); la variazione della PWV (Pulse Wave Velocity) è stata maggiore nel gruppo L-Na dove ha raggiunto la significatività (p<0,05), con una riduzione di -1,6 m/s. 4 Conclusioni Lo studio ha dimostrato che nelle due popolazioni prese in esame esiste una quota di soggetti che, pur essendo ipertesi, non conoscono la loro situazione pressoria. Tali individui, se correttamente monitorati e trattati anche solo con modifiche dello stile di vita, ed in particolare con una riduzione del consumo di sodio, possono esercitare un favorevole controllo sui valori di pressione, con una plausibile conseguente riduzione del rischio cardiovascolare. In entrambe le popolazioni una riduzione a 3,75 g di sale/die ha effetti molto più evidenti e incisivi rispetto a 5,5g/die nel breve periodo, mentre l’aderenza al regime dietetico iposodico si dimostra efficace in modo simile anche su un più lungo periodo. Il mantenimento dei valori pressori entro i range di riferimento dimostra che i risultati sono tanto più efficaci quanto maggiore è il tempo dedicato ai controlli, alla identificazione personalizzata dei comportamenti alimentari corretti e al loro rafforzamento
Hypertension is considered as one of the main contributors to chronic diseases increase, from which most of the causes of death and disability depend worldwide. A recent report of World Health Organization about the main risk factors responsible for global mortality, identified hypertension as one of the main contributors, together with high emetic levels of glucose and cholesterol, physical inactivity, overweight/obesity, and low consumption of vegetables and fruits. Hypertension is therefore a problem of great relevance for public health, with a constantly growing incidence estimated to be at 26% in adult population, and even higher as the age increase. Moreover, recent data indicate that among the hypertensive people only 25‐50% is aware of being hypertensive, and that among those subjected to medical treatment a significant part receives an inadequate pressure control. As regards hypertension in patients suffering from type 2 diabetes, it should be noted that these two pathological conditions are closely related. The incidence of hypertension among them is doubled respect to normal population and covers 80% of all diabetic patients, since both diseases have a common pathogenesis which, although not fully understood, has insulin resistance as an initial condition. Hypertension is often present when diabetes is diagnosed and is associated with other cardiovascular and metabolic disorders. Diabetes exposes patients to a cardiovascular risk similar to a previous acute myocardial infarction, therefore these patients must be subjected to a more rigorous blood pressure control. For such a reason, the European Guidelines establish lower threshold values for the diagnosis of hypertension in diabetic patients (130/85 mm Hg) than in non diabetic people. In every case and for any kind of patient, hypertension represents one of the main modifiable risk factors not only by an adequate pharmacological therapy, but also by modifications to the lifestyle, and in particular by a reduction of salt consumption, which, even in the order of 4‐5 g per day, reduces blood pressure of about 2.5/5 mm Hg in hypertensive patients and of about 1/2 mm Hg in normotensive people, with a positive correlation between the level of reduction of salt consumption and the level of blood pressure reduction. The awareness of the importance of blood pressure control by means of lifestyle control and of the reduction of salt consumption is becoming a recurring theme of national politics in many countries, which, among the public health objectives, insert measures directed to create a reduction of salt consumption in the population as a precondition for a reduction of the pathologies related to high blood pressure. However, despite the high cardiovascular risk and the theoretical reasons supporting a higher sensitivity to salt, there are few studies of intervention on diabetic patients with the aim of evaluating the efficacy of the reduction of salt consumption, as recognized even by a 2002 position statement on the treatment of hypertension in diabetic patient (Arauz‐Pacheco). Aims of the work The intervention study “Controlled sodium diet and new hypertension diagnosis : evaluation of efficacy on diabetic and normoglycemic patients” was carried out in the “Diabetes and Hypertension Prevention 2 Center“ (Asl RM B‐ Università degli Studi di Roma Tor Vergata). The study involved two different populations of patients: a group was formed by patients belonging to the City Police of Rome; the second one involved type II diabetes patients. The study was divided into two phases: the first phase was aimed at blood pressure screening in both groups; the second phase consisted of the administration of a low sodium diet in the group of patients with new diagnosis of hypertension. Objectives of the screening phase were to evaluate arterial and pre‐hypertension in the two populations, to reach the pressure targets and to identify unaware hypertensive patients in order to include them into the intervention phase. Objectives of the intervention phase were to verify the impact of a low controlled sodium regime on arterial blood pressure, compared to a moderate controlled content sodium diet, in subjects with newly diagnosed mild hypertension, and to verify the compliance with the two dietetic interventions in the short and long term. Secondary objective on the diabetic patients was to evaluate the effects of low salt diet on arterial stiffness parameter. of type II diabetes patients followed by the “Diabetes and Hypertension prevention Centre“ (n=300; 164 M and 138 F). Arterial blood pressure was measured either in a medical centre or at home for nine days, by identical instruments. During the arterial blood pressure monitoring phase, subjects with either no diagnosis of hypertension/pre‐hypertension or with a newly diagnosed hypertension/pre‐hypertension were identified. These subjects had no pharmacological treatment and were proposed to participate in the following intervention phase. Phase II. During the intervention phase, subjects identified as neo‐hypertensive patients, were divided into two groups, which underwent a strictly controlled low salt treatment: the Low‐Na group (L‐Na) had a sodium intake of 1.4g/die, equivalent to 3.5g/die sodium chloride; the Medium‐ Na group (M‐Na) had a sodium intake of 2.3 g/die, equivalent to 5.75g/die sodium chloride. Sodium consumption was controlled by a low salt diet (less than 700mg/die of sodium from diet) and the use of sachets containing 1g of NaCl each one. Patient were told to cook meals without any salt and then add only the supplied sachets onto their portion of food in order to reach the right amount of salt, relevant to their intervention group. The efficacy of the two diet regimens on arterial blood pressure (BP) was evaluated after 20 days of controlled diet regimen and afterwards at regular intervals, by monitoring both the compliance with dietetic regimen and BP trend. During this period, patients were able to learn how to adjust the amount of salt in the food, based on their sensitive perception. Furthermore, weight, BMI and waist circumference were also evaluated; in diabetic patients, arterial stiffness, the augmentation index and the pulse wave velocity, were monitored. Compliance with the low salt diet was evaluated by checking the 24 hour urinary sodium excretion. Results Phase 1. The blood pressure monitoring was performed on 83 city‐policemen (VG) including 54 males and 29 females with a mean age of 52.3 ± 8.0 years, and in 300 patients with type 2 diabetes (DB), of which 164 were males and 138 females and whose average age was 60.5 ± 11.8 years. In the two populations a clear prevalence of over‐weight/obesity was observed; in VG population BMI was 27.7±5.2 kg/m2 while in diabetic population BMI was 30.7±5.8 kg/m2. It is noticeable that BP values measured at the medical centre were higher than those measured at home. Indeed, home measurements had a mean value of Systolic blood pressure (PAS) 138.8 ±22.0 mmHg and diastolic blood pressure (PAD) 84.5± 12.0 mmHg in VG population, and PAS=126,0±18,2 mmHg e PAD=74,9±10 in diabetic patients. Inside the group of diabetic patients, mean BP at the 1st visit was higher than that measured in patients followed by the diabetic centre. Distribution of normo vs hypertensive patients is different in diabetic patients, compared to VG; indeed, about 50% of VG has high value of BP, while in DP this value increases to 80%, including both patients with a history of hypertension and patients with a recent diagnosis. Patient with a recent neo diagnosis of hypertension are about 20% of the population in both the screened groups (VG: 21,2% ; DB: 22,6%). Phase 2. In the intervention phase, 16 VG (12 M, 4F) mean age 54,6±9,1 year, and 36 DB (25 M; 11 F) mean age 54±9,9 year, were included. Overweight or obese patients were less in the VG group, than in the diabetic patients. Basal PAS and PAD values were 145,5 ± 10,8 mmHg and 84,1 ±6,1 mmHg in VG population; 140,4 ±6, 1 mmHg and 81,5 ±5,6 in DB population; moreover, inter‐group homogeneity was high. In the VG group after 20 days of controlled low salt diet, a significant reduction in BP was observed. The mean PAS variation was ‐12,0 ±7,3 mmHg (p=0,002) (‐7,8% ) in L‐Na group and ‐5,9±3,8 mmHg (p=0,006) (‐4,1%) in M‐Na group. In DB population, a significant reduction in BP was observed, both in values checked at the centre, and in those taken at home, with a PAS mean change ‐8,1±7,9 mmHg (p<0,002) (‐5,9%) in the L‐Na group. The reduction in PAS was in the Medium salt group equal to ‐6,2±5,3 mmHg (p=0,002) (‐ 4,4%). In the VG group, the trend to the lowering of BP was constant all along the three months of observation, while in the L‐Na group an increase in BP was observed, although values still remain lower than the basal values. It is noticeable that BP values in M‐Na group were quite the same as in the L‐Na group, at the end of three months. In the DB population, BP monitoring for 15 months showed that the negative trend continued both in the L‐Na group and in the M‐Na group, leading to a relevant decrease of BP over the basal level. The regression for repeated measurements clearly showed the positive interaction between treatment and time (p<0.02). In the DB population a significant variation in arterial stiffness index was also observed. Indeed, after 20 days of strict diet, brachial AIX decreased by 17.7% in the L‐Na group and by 14.6% in the M‐Na group. PWV variation was higher in the L‐Na group, with a statistically significant reduction of 1.6m/s. Conclusions The study demonstrated that in the two populations studied there was a relevant number of subjects who, although hypertensive, did not know their blood pressure situation. If correctly monitored and treated even with only small changes of their lifestyle, in particular as regards the sodium intake, these subjects may exert a positive control on blood pressure, with a consequent possible reduction of cardiovascular risk. In both the populations studied, a salt intake of 3.75 mg per day has more evident and incisive effects in the short term respect to a salt intake of 5.5 mg per day, while the observance of a diet with low sodium intake is effective in a similar way on the long term. The preservation of pressure values within the reference range demonstrates that results are more effective depending on as much time is dedicated to controls. The more time is dedicated to controls, to a personalized identification of correct eating habits and to their strengthening of such a life style, the more efficacy the results are . Phase 1. Phase 1 population consisted of a sample of City Policemen (n=83; 54 M and 29 F) and of a sample
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Boscari, Federico. "Artificial pancreas development in type 1 diabetic patients." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3425238.

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Abstract:
Introduction and background: In type 1 diabetic patients good glycaemic control is associated with complication reduction. Nevertheless a minority of patients, also treated with insulin pumps and continuous glucose monitoring (SAP therapy) achieve a satisfactory metabolic control. Several researchers are developing automatic systems, called artificial pancreas (AP) or Closed Loop Control (CLC). This system are composed by an insulin pump, a continuous glucose monitoring device and a control algorithm which modifies insulin infusion from data derived by continuous glucose monitoring. Several AP models exist, composed by different insulin pumps, different continuous glucose monitoring system and by different control algorithms that determine the precision of glucose control. Method: we evaluated our AP model efficacy and safety at patients home compared to SAP therapy. In our AP model, the Algorithm is installed in a smartphone (DiAS, Diabetes Assistant) that communicate with pump and CGM thought blue tooth connection. We developed 5 studies that tested the system in free life condition, first during evening and night, than for 24 hours and for longer period (6 months). We finally evaluated this system in pediatric population. Results: In a randomized cross over study of 2 month AP use during evening and night vs SAP therapy, system usage improved time in target (70-180 mg/dl) from 58.1% to 66.7% ( P < 0.0001), reduce mean glucose concentration (162 mg/dl vs 167 mg/dl, P=0.0053) and time spent in hypoglycemia (<70 mg/dl) from 3.0% to 1.7% (P < 0.0001) and lead to reduction in HbA1c values. Extension of this study for a month using AP 24 hours/day demonstrated an improvement of time in target vs SAP (64.7 ± 7.6% vs. 59.7 ± 9.6%, P = 0.01), reduction of time below the target (1.9 ± 1.1% vs. 3.2 ± 1.8%, P = 0.001). A third trial evaluated a different algorithm for 2 weeks during overnight e for 2 weeks for 24 hours, comparing these period with 2 weeks of SAP therapy. In overnight period AP improved glucose metric vs SAP: time spent in hypoglycaemia dropped from 3.0% to 1.1% (P < 0.001), time in target increased from 61% to 75% (P < 0.001) , time spent above 180 mg/dl dropped from 37% to 24% (P < 0.001), the mean glucose concentration dropped from 163 to 150 mg/dL (P = 0.002). Similarly, metrics of glucose control in the 24-hour AP usage vs SAP demonstrated reduction of the time below target from 4.1% to 1.7% (P < 0.001), increase of time in target from 65% to 73% (P < 0.001), decrease of time above target from 32% to 25% (P = 0.001). Comparing the overnight and 24 hours CLC, a reduction in time spent in hypoglycaemia was observed when AP was used for 24 hours. A subgroup of patients extended AP use for other 5 months, confirming AP efficacy (time in target:77% vs. 66%, P<0.001, time in hypoglycaemia: 4.1% vs 1.3%, P < 0.001, time above target 31% vs 22%, P = 0.01). Finally we tested the system in paediatric population, enrolling in a summer camp 30 subject 5-9 years old. During the night AP reduced time in hypoglycaemia (P < 0.002), with no difference in time in target. During 24 hours we observed reduction of the time in hypoglycaemia, from 6.7% to 2.0% (P < 0.001), but an increase of mean glucose (147 mg/dL vs. 169 mg/dL, P < 0.001) and a decrease of time spent in target (63.1% vs. 56.8%, P = 0.022) Conclusions: These results demonstrated our model safety and efficacy. Some improvements are necessary to ameliorate glycaemiec control on pediatric population and during day time.
Introduzione: Nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1, il buon controllo glicemico si associa con la riduzione delle complicanze. Tuttavia solo una parte di questi pazienti, anche se trattati con sistemi per il monitoraggio in continuo della glicemia e con microinfusori per la somministrazione in continuo di insulina (SAP therapy), raggiungono un controllo metabolico soddisfacente. Diversi gruppi di studio stanno sviluppando sistemi automatici, chiamati pancreas artificiale o sistemi ad ansa chiusa (CLC, closed loop control). Tale sistema è costituito da una pompa insulinica (microinfusore), da un sistema per il monitoraggio in continuo della glicemia e da un algoritmo di controllo in grado di modificare la velocità di infusione di insulina in maniera automatica, sulla base dei valori registrati dal sensore glicemico. Materiali e metodi: abbiamo valutato l'efficacia e la sicurezza del nostro modello di Pancreas Artificiale nei confronti della SAP therapy. Nel nostro modello di pancreas artificiale l'algoritmo di controllo è installato all'interno di uno smartphone (DiAS, Diabetes Assistant), in grado di comunicare via bluetooth con il sistema di monitoraggio in continuo della glicemia e con il microinfusore. Abbiamo portato a termine 5 studi, che saranno oggetto di questa tesi, nei quali abbiamo testato il sistema a domicilio del paziente, dapprima durante la notte, in seguito per l'intera giornata e per periodi progressivamente piu lunghi fino ad arrivare a 6 mesi di utilizzo. Abbiamo quindi testato il sistema in ambito pediatrico. Risultati: in un trial cross over randomizzato della durata di 2 mesi in cui si utilizzava il pancreas artificiale durante la sera e la notte, confrontato a SAP Therapy, l'utilizzo del sistema portava ad un incremento del tempo trascorso in target (70-180 mg/dl), dal 58.1% al 66.7% ( P < 0.0001), ad una riduzione della glicemia media, (162 mg/dl vs 167 mg/dl, P=0.0053) e del tempo trascorso in ipoglicemia (<70 mg/dl) dal 3.0% al 1.7% (P < 0.0001) e a una riduzione dei valori di emoglobina glicata. Il proseguimento di tale studio prevedeva l'utilizzo del pancreas artificiale per l'intera giornata per un mese, dimostrando nei confronti della SAP therapy, un miglioramento del tempo trascorso in target (64.7 ± 7.6% vs. 59.7 ± 9.6%, P = 0.01) e una riduzione del tempo trascorso in ipoglicemia (1.9 ± 1.1% vs. 3.2 ± 1.8%, P = 0.001). In un terzo trial abbiamo valutato un differente algoritmo di controllo per 2 settimane durante il periodo notturno e per 2 settimane durante l'intera giornata, paragonando tali periodi a settimane di SAP therapy. Durante il periodo notturno il pancreas artificiale ha ridotto il tempo trascorso in ipoglicemia dal 3.0% al 1.1% (P < 0.001), incrementato il tempo in target dal 61% al 75% (P < 0.001) ridotto la glicemia media da 163 a 150 mg/dL (P = 0.002). Allo stesso modo il pancreas artificiale ha migliorato il controllo glicemico anche nelle 24 ore, riducendo il tempo trascorso in ipoglicemia dal 4.1% al 1.7% (P < 0.001), incrementando il tempo trascorso nel target dal 65% al 73% (P < 0.001), riducendo il tempo trascorso in iperglicemia dal 32% al 25% (P = 0.001). Confrontando l'utilizzo notturno del pancreas artificiale con l'utilizzo nelle 24 ore si è osservata un ulteriore riduzione del tempo trascorso in ipoglicemia con l'utilizzo del sistema per l'intera giornata. Un sottogruppo di pazienti ha proseguito l'utilizzo del pancreas artificiale per ulteriori 5 mesi, confermando l'efficacia del sistema (tempo in target:77% vs. 66%, P<0.001, tempo in ipoglicemia: 4.1% vs 1.3%, P < 0.001, tempo in iperglicemia 31% vs 22%, P = 0.01). Infine abbiamo testato il sistema in una popolazione pediatrica durante un campo scuola estivo, arruolando pazienti diabetici di età compresa tra i 5 e i 9 anni. Durante il periodo notturno il pancreas artificiale ha portato ad una riduzione delle ipoglicemie (P < 0.002), senza differenze riguardo il tempo trascorso nel target. Durante le 24 ore si osservava una riduzione del tempo trascorso in ipoglicemia, dal 6.7% al 2.0% (P < 0.001), ma un incremento della glicemia media (147 mg/dL vs. 169 mg/dL, P < 0.001) e una riduzione dle tempo trascorso nel target (63.1% vs. 56.8%, P = 0.022). Conclusioni: questi risultati hanno dimostrato la sicurezza e l'efficacia del nostro modello di pancreas artificiale. Sono ovviamente necessari alcuni miglioramenti per portare ad ottimizzare il controllo in ambito pediatrico e durante le ore diurne.
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Condorelli, Angelo Giuseppe. "Basi molecolari della differente risposta delle cellule alpha e beta del pancreas di mammifero all apoptosi mediata da citochine: implicazioni patogenetiche nel Diabete Mellito." Doctoral thesis, Università di Catania, 2015. http://hdl.handle.net/10761/1683.

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Abstract:
L apoptosi è considerata la forma principale di morte delle beta cellule pancreatiche produttrici di insulina nel Diabete mellito di tipo 1 (T1DM) e di tipo 2 (T2DM). Nel T1DM, la forma autoimmune della patologia, l apoptosi è il risultato di una complessa cascata di eventi che inizia con l esposizione delle beta cellule pancreatiche a molecole citotossiche espresse o secrete dalle cellule del sistema immunitario ed infiltranti l isola del Langerhans nel corso dell insulite; tra le citochine pro-infiammatorie l IL-1b, l IFNg ed il TNFa rappresentano i principali effettori degli eventi descritti. E interessante notare come l azione deleteria delle citochine sia specificatamente rivolta alle cellule beta pancreatiche, mentre le cellule alpha risultano più resistenti ai loro effetti citotossici. Sebbene le pathways proapoptotiche innescate dalle citochine nelle beta cellule siano state ampiamente (anche se non completamente descritte), i meccanismi molecolari alla base della risposta differenziale dei due tipi cellulari erano quasi del tutto inesplorati. Mediante un approccio sperimentale di tipo sistemico, per la prima volta abbiamo indagato il profilo di espressione e la funzione biologica di microRNA e geni codificanti per proteine in cellule aTC1-6 e bTC1 trattate con citochine proinfiammatorie, un sistema modello che mima in vitro lo stato infiammatorio cronico del Diabete Mellito. Scopo di questo lavoro è stato: (i) descrivere i meccanismi molecolari responsabili della resistenza delle cellule alpha pancreatiche e della suscettibilità della controparte beta cellulare all apoptosi indotta dalle citochine pro-infiammatorie (IL-1b, IFNg e TNFa); (ii) identificare nuovi marcatori beta cellulari di disfunzione. L analisi dell espressione genica differenziale nelle due linee cellulari in condizioni fisiologiche (steady state) e dopo trattamento con citochine ci ha permesso di caratterizzare il ruolo dei microRNA 296-3p e 298-5p nella resistenza all apoptosi citochino-mediata delle cellule aTC1-6 [Barbagallo D, Piro S, Condorelli AG et al. miR-296-3p, miR-298-5p and their downstream networks are causally involved in the higher resistance of mammalian pancreatic alpha cells to cytokine-induced apoptosis as compared to beta cells. BMC Genomics, 2013] e del fattore trascrizionale C/EBPa nell apoptosi delle cellule bTC1 [Barbagallo D, Condorelli AG, Piro S et al. CEBPA exerts a specific and biologically important proapoptotic role in pancreatic beta cells through its downstream network targets. Mol Biol Cell, 2014].
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Trevisiol, Enrica. "Angiogenesi e popolazioni mieloidi CD33 positive nelle complicanze agli arti inferiori nel diabete di tipo 2." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3421959.

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Abstract:
Type 2 Diabetes Mellitus is a chronic weakening disease involving about 400 million people worldwide, in particular in the civilized countries. It is associated with many chronic complications, both macrovascular and microvascular: nephropathy, retinopathy, cardio-vascular disease and erectile dysfunction. In particular, one important long-term complication involved the vascular district and, together with diabetic neuropathy, leads to permanent nerve damage and augmented risk of diabetic ulcers or wounds in legs and foot. One process that controls vascular regeneration is angiogenesis, that is reported to be dysregulated in type 2 diabetes. Indeed, new vessels formation in diabetes is augmented on the retina and reduced in peripheral limbs, in particular in foot lesions. S100B is a low molecular weight protein expressed in several cell types, of both neural and vascular origin. It exerts both intracellular and extracellular effects, that are mediated by its interaction with RAGE transmembrane receptor. S100B can regulate different steps of the angiogenic process, in particular cell proliferation and migration, but these effects are not fully explained. The first chapter of the thesis aims to investigate in vitro and in vivo the role of the protein in different steps of the angiogenic process, and to verify the relevance of S100B-RAGE ligation and the involvement of ERK1/2 Kinase pathway. A good immune system is also necessary to prevent infections on diabetic foot. Blood myeloid cell population is actively involved in defensive mechanisms by the recruitment of circulating monocytes and their interaction with endothelial cells. Dendritic cells instead are essential to process and present the antigen to lymphocytes, promoting the immune response. A recurrent marker expressed on almost all myeloid cells at different degree of intensity is CD33, that is considered a marker of immunity but its role is still unclear. CD33 contains ITIM inhibitory motifs that can control the inflammatory response, preventing cytokine signalling and monocytes activation, but there are no informations about the connection with the diabetic disease. The second chapter of the thesis aims to evaluate the presence of CD33 on peripheral blood cells in type 2 diabetic patients with or without complications and to mimic the in vivo hyperglycemic environment on cultured mononuclear cell to assess the behavior of CD33 in monocytes and dendritic cells in healthy controls and diabetic patients with foot lesions.
Il diabete di tipo 2 rientra tra le patologie di maggior impatto sanitario nel mondo occidentale, con costi elevati sia in termini di spesa sanitaria sia in termini di benessere e sopravvivenza del paziente. La malattia infatti è caratterizzata da complicanze a carico di diversi distretti, in particolar modo neurologico e vascolare. La compromissione a livello dei vasi può causare deficit in organi importanti quali il rene e l’occhio ed essere parte integrante dei meccanismi che causano il fenomeno del piede diabetico, insieme a neuropatia ed infezione. Tra i processi che controllano la rigenerazione vascolare e che sono disregolati nel diabete rientra l’angiogenesi. La formazione di nuovi vasi infatti è accentuata sulla retina mentre si riduce drasticamente a livello degli arti inferiori, con una marcata deplezione di precursori endoteliali in pazienti con lesioni ai piedi. S100B è una proteina a basso peso molecolare espressa in cellule di diversa origine, sia neuronale che muscolare che vascolare. La sua azione dipende dalla concentrazione di proteina e dal legame con il recettore RAGE, esercitando effetti sia di tipo intracellulare che extracellulare. È stato evidenziato un possibile ruolo di S100B nel regolare alcuni processi chiave nell’angiogenesi, ad esempio proliferazione e migrazione cellulare, ma il ruolo esatto, la concentrazione di utilizzo e i pathway coinvolti ancora non sono stati pienamente dimostrati. La prima parte di questa tesi si propone pertanto di mettere in luce il ruolo della proteina in diverse tappe del processo angiogenico quali proliferazione, migrazione e capacità di formare strutture capillaro-simili in vitro su cellule endoteliali da vena di cordone ombelicale e in vivo, verificando la necessità del legame S100B-RAGE e valutando il coinvolgimento del pathway mediato dalla chinasi ERK1/2. Una componente importante della complicanza agli arti inferiori è la presenza di un corretto funzionamento del sistema immunitario, per prevenire e debellare le eventuali infezioni in corso.La popolazione cellulare mieloide è attivamente coinvolta a livello sanguigno nel promuovere meccanismi di difesa di tipo infiammatorio, in particolar modo con l’ausilio di monociti circolanti e la loro interazione con le cellule endoteliali vascolari.5 La popolazione dendritica invece si rivela indispensabile nei processi di presentazione dell’antigene batterico o virale ai linfociti, inducendo una successiva risposta cellulo-mediata. Un marcatore di origine midollare presente sulla superficie delle cellule di linea mieloide è CD33, molecola utilizzata come marcatore di immaturità ma dal ruolo non ancora chiaro. La proteina infatti contiene dei motivi detti ITIM, con funzione inibitoria, ed è stato riportato come possa controllare la risposta infiammatoria prevenendo il signaling dato dalle citochine e l’attivazione dei monociti, ma non sono ancora disponibili sufficienti evidenze per quanto riguarda il link con la patologia diabetica. La seconda parte di tesi si propone pertanto di evidenziare la presenza di CD33 su sangue periferico di pazienti con diabete di tipo 2 non complicato o con complicanze per capire se può essere considerato un marcatore di interesse nella progressione della lesione. La ricerca si propone inoltre di valutare il comportamento di CD33 su diverse classi di popolazioni cellulari mieloidi isolate da controlli sani o da pazienti diabetici con lesioni agli arti inferiori, in particolar modo monociti classici e non classici e cellule dendritiche, mimando in vitro l’ambiente iperglicemico protratto nel diabete.
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Dalmaz, Caroline Abrão. "Polimorfismos de inserção/deleção do gene da ECA e K121Q do gene PC-1 em pacientes com Diabete Mellito tipo 1 normoalbuminúricos : estudo com 10 anos de acompanhamento." reponame:Biblioteca Digital de Teses e Dissertações da UFRGS, 2001. http://hdl.handle.net/10183/2697.

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Abstract:
O objetivo deste estudo foi analisar o papel do polimorfismo de I/D do gene da Enzima Conversora de Angiotensina (ECA) e o polimorfismo K121Q da PC-1 nas modificações das taxas de filtração glomerular (TFG), excreção urinária de albumina (EUA) e pressão arterial em uma coorte de pacientes diabéticos tipo 1 normoalbuminúricos (EUA<20μg/min) em um estudo com seguimento de 10,2 ± 2,0anos (6,5 a 13,3 anos). A EUA (imunoturbidimetria), TFG (técnica da injeção única de 51Cr-EDTA), HbA1c (cromatografia de troca iônica) e pressão arterial foram medidas no início do estudo e a intervalos de 1,7 ± 0,6 anos. O polimorfismo I/D e K121Q foram determinados através da PCR e restrição enzimática. Onze pacientes apresentaram o genótipo II, 13 o ID e 6 apresentaram o genótipo DD. Pacientes com o alelo D (ID/DD) desenvolveram mais freqüentemente hipertensão arterial e retinopatia diabética. Os 3 pacientes do estudo que desenvolveram nefropatia diabética apresentaram o alelo D. Nos pacientes ID/DD (n=19) ocorreu maior redução da TFG quando comparados com os pacientes II (n=11) (-0,39 ± 0,29 vs – 0,12 ± 0,37 ml/min/mês; P=0,035). A presença do alelo D, em análise de regressão múltipla linear (R2=0,15; F=4,92; P=0,035) foi o único fator associado à redução da TFG (-0,29 ± 0,34 ml/min/mês; P<0,05). Já o aumento da EUA (log EUA = 0,0275 ± 0,042 μg/min/mês; P=0,002) foi associado somente aos níveis iniciais de EUA (R2=0,17; F=5,72; P=0,024). Um aumento significativo (P<0,05) no desenvolvimento de hipertensão arterial e de novos casos de retinopatia diabética foi observado somente nos pacientes com os genótipos ID/DD. Vinte e dois pacientes apresentaram genótipo KK, 7 KQ e 1 apresentou genótipo QQ. Pacientes com os genótipos KQ/QQ apresentaram um aumento significativo (P=0,045) de novos casos de retinopatia diabética. Em conclusão a presença do alelo D nesta amostra de pacientes DM tipo 1 normoalbuminúricos e normotensos está associada com aumento na proporção de complicações microvasculares e hipertensão arterial.
The aim of this study was to analyze the role of the ACE gene insertion/deletion (I/D) polymorphisms and of the PC-1 gene K121Q polymorphism in the changes of glomerular filtration rate (GFR), urinary albumin excretion rate (UAER), and blood pressure levels in a cohort of normoalbuminuric type 1 diabetic patients. This was a 10.2 ± 2.0 year prospective study of 30 normotensive normoalbuminuric type 1 diabetic patients. UAER (immunoturbidimetry), GFR (51Cr-EDTA single injection technique), GHb (ion-exchange chromatography) and blood pressure levels were measured at baseline and at 1.7 ± 0.6 year intervals. The presence of ACE gene I/D and PC-1 gene K121Q polymorphisms was determined by polymerase chain reaction and restriction enzyme techniques. Eleven patients was a II genotype, 13 the ID and 6 was the DD genotype. Three patients developed diabetic nephropathy; all were carriers of allele D of the ACE gene. The presence of allele D was the only predictor (R2=0.15; F=4.92; P=0.035) of the observed GFR decline (-0.29 ± 0.34 ml/min/month; P<0.05). UAER increased during the study (log UAER change = 0.0275 ± 0.042 μg/min/month; P=0.002) and was associated with baseline UAER levels only (R2=0.17; F=5.72; P=0.024). A significant increase (P<0.05) in cases of hypertension and new cases of retinopathy were observed only ID/DD and not in II patients. Twenty-two patients was KK genotype, 7 the KQ and 1 was the QQ genotype. Patients with the KQ/QQ (n=8) presented a significant increase (P=0.045) in new cases of retinopathy. In conclusion the presence of D allele of ACE gene in this sample of normoalbuminuric normotensive type 1 diabetes patients was associated with a higher proportion of microvascular complications and hypertension.
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GARBAGNATI, FRANCESCA MARIA. "Dieta a contenuto di sodio controllato e neodiagnosi di ipertensione: valutazione dell'efficacia in soggetti con diabete tipo 2 e normoglicemici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/214445.

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Abstract:
L’ipertensione è considerata uno dei principali responsabili dell’incremento delle malattie croniche da cui dipende la maggior parte delle cause di mortalità e di disabilità a livello globale. Un recente rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha dettagliatamente preso in esame quali sono i fattori di rischio responsabili della mortalità globale, ha individuato l’ipertensione quale uno dei principali responsabili, unitamente ad elevati livelli di glucosio e di colesterolo, alla scarsa attività fisica, alla presenza di sovrappeso/ obesità, ed allo scarso consumo di frutta e verdura. L’ipertensione arteriosa è quindi un problema di grande rilevanza per la salute pubblica con una prevalenza che è stimata essere del 26% nella popolazione adulta, che è in continuo aumento e che cresce con l’aumentare dell’età. Inoltre recenti dati indicano che soltanto il 25‐50% di tutta la popolazione ipertesa sa di esserlo, e che anche tra gli ipertesi in trattamento una quota rilevante è sottoposta ad un inadeguato controllo pressorio. Se poi si considera il problema dell’ipertensione nei soggetti affetti da diabete mellito tipo 2, occorre evidenziare che queste due condizioni patologiche sono strettamente correlate. La prevalenza di ipertensione arteriosa è raddoppiata rispetto alla popolazione generale e riguarda circa l’80% di tutti i diabetici, in quanto le due condizioni presentano una patogenesi comune che, anche se non completamente nota, ha come condizione iniziale l’insulino‐resistenza. Spesso l’ipertensione arteriosa è presente al momento della diagnosi di diabete e si associa ad altre alterazioni cardiovascolari e metaboliche. Il diabete espone chi ne è affetto ad un rischio cardiovascolare importante paragonabile ad un pregresso infarto miocardico acuto, per cui in questi soggetti il controllo dei valori pressori deve essere più severo. A tal fine, le Linee Guida europee stabiliscono valori soglia inferiori per la diagnosi di ipertensione in soggetti diabetici (130/85 mm Hg), rispetto ai non diabetici e a coloro che presentano meno di 2 fattori di rischio cardiovascolare. In ogni caso ed in ogni tipologia di paziente, l’ipertensione rappresenta anche uno tra i più importanti fattori di rischio modificabili non solo attraverso una adeguata terapia farmacologica ma anche attraverso modificazioni dello stile di vita ed in particolare la riduzione del consumo di sale che, anche se modesta dell’ordine di 4‐5 g al giorno riduce la pressione arteriosa di circa 2,5/5mm Hg in individui ipertesi e di 2/1 mm Hg in individui normotesi, con una sicura correlazione positiva tra entità della riduzione di consumo di sale ed entità della riduzione dei valori pressori. La consapevolezza dell’importanza del controllo pressorio basata anche sul controllo degli stili di vita ed in primo luogo sul consumo di sale sta diventando motivo ricorrente delle politiche nazionali ormai di molti paesi che, tra gli obiettivi per la salute pubblica, inseriscono proprio le azioni volte a creare nella popolazione una riduzione del consumo di sale quale premessa per la riduzione delle patologie correlate all’incremento della pressione. Tuttavia, nei pazienti diabetici, nonostante l'elevato rischio cardiovascolare e le ragioni teoriche a sostegno di una maggiore sensibilità al sale, scarsi sono gli studi di intervento volti a valutare la reale efficacia ed effetto di una riduzione del consumo di sale, come riconosciuto anche dalla position statement relativa al trattamento dell’ipertensione nel paziente diabetico del 2002 (Arauz‐Pacheco et al. 2002). 2 Obiettivi. Lo studio d’intervento “Dieta a contenuto di sodio controllato e neodiagnosi di ipertensione: valutazione dell'efficacia in soggetti con diabete tipo 2 e normoglicemici” è stato condotto presso il “Centro per la Cura e la Prevenzione del Diabete e dell’Ipertensione” (Asl RM B‐ Università degli studi di Roma Tor Vergata) su due popolazioni distinte, costituite da un campione di soggetti appartenenti al corpo dei vigili urbani afferenti ad un comando di Roma e da un campione di pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 e si è articolato in due fasi, una conoscitiva attraverso uno screening pressorio ed una di intervento dietetico iposodicosu soggetti con neodiagnosi di ipertensione/preipertensione. Obiettivi della fase 1 (screening) sono stati valutare nei due campioni delle popolazioni considerate la prevalenza di ipertensione arteriosa/preipertensione, il raggiungimento dei target pressori e identificare i soggetti che erano ipertesi pur non sapendo di esserlo al fine inserirli nella fase di intervento. Obiettivi della fase 2 (intervento) sono stati verificare l’impatto sulla pressione arteriosa di un regime dietetico iposodico controllato, rispetto ad una dieta moderatamente iposodica nei soggetti con neodiagnosi di ipertensione lieve/preipertensione e verificare la compliance ai due trattamenti dietetici iposodici nel breve e nel lungo periodo. Obiettivo secondario nei soggetti diabetici è stato valutare l’effetto di una dieta iposodica sui parametri della rigidità arteriosa. Metodi Fase1. La popolazione della fase 1 è rappresentata da un campione di vigili urbani (n=83 di cui 54 maschi e 29 femmine) e da un campione di pazienti affetti da diabete tipo 2 afferenti al “Centro per la Cura e la Prevenzione del Diabete e dell’Ipertensione” (n=300 di cui 164 maschi e 138 femmine). La misurazione della pressione arteriosa è avvenuta sia a livello ambulatoriale sia per automisurazione domiciliare effettuata per nove giorni consecutivi ed utilizzando identico strumento di misurazione. A seguito della fase di monitoraggio pressorio sono stati identificati i soggetti con una condizione di ipertensione/preipertensione neo diagnosticata e non in trattamento farmacologico a cui è stato proposto di partecipare alla successiva fase di intervento dello studio. Fase2. Nella fase di intervento i soggetti di identificati come neoipertesi sono stati suddivisi in due gruppi sperimentali per un trattamento dietetico iposodico strettamente controllato: Gruppo Low‐Na (L‐Na) (Intake complessivo di 1,4 g/die di sodio pari a 3,5 g di cloruro di sodio) e Medium‐Na (M‐Na) (Intake complessivo di 2,3 g/die di sodio pari a 5,75 g di cloruro di sodio). Il controllo del consumo di sodio è avvenuto attraverso una dieta iposodica (Na < 700mg/die) e l’utilizzazione di bustine di sale predosate (bustine da 1 g di NaCl ciascuna). Le bustine di sale sono state fornite a ciascun volontario nelle quantità idonee a raggiungere i target di Na previsti , ed erano utilizzate dagli stessi per salare ogni pietanza consumata, previa cottura in assenza di sale. L’efficacia dei due trattamenti dietetici sulla pressione arteriosa (PA) è stata valutata al termine dei 20 giorni di intervento dietetico controllato e nei mesi successivi, ad intervalli di tempo regolari, monitorando l’andamento pressorio e l’aderenza al regime dietetico proposto. I 20 giorni di trattamento a contenuto di sodio strettamente controllato hanno rappresentato anche un periodo di training dietetico durante il quale il soggetto, sulla base della percezione gustativa, aveva la possibilità di imparare ad autodosare la quantità di sale da utilizzare quotidianamente, anche al termine del periodo di intervento con le bustine predosate. L’efficacia dei due trattamenti dietetici sulla pressione arteriosa (PA) è stata valutata al termine dei 20 giorni di intervento dietetico controllato e nei mesi successivi, ad intervalli di tempo regolari, monitorando l’andamento pressorio e l’aderenza al regime dietetico proposto. I 20 giorni di trattamento a contenuto di sodio strettamente controllato hanno inoltre rappresentato anche un periodo di training dietetico durante 3 il quale il soggetto, sulla base della percezione gustativa, aveva la possibilità di imparare ad autodosare la quantità di sale da utilizzare quotidianamente. In aggiunta alle determinazioni della pressione arteriosa misurata a livello ambulatoriale e domiciliare, sono stati valutati i parametri dello stato nutrizionale (peso, BMI, circonferenza vita). Nel campione di diabetici sono stati valutati parametri della rigidità arteriosa, l’Augmentation Index (AiX) la Pulse Wave Velocity (PWV). L’aderenza alla dieta iposodica è stata valutata attraverso la determinazione del sodio urinario nelle 24 ore. Risultati. Fase 1. Il monitoraggio pressorio è stato effettuato su 83 vigili urbani (VG) di cui 54 maschi e 29 femmine di un’età media di 52,3±8,0 anni, e su 300 pazienti affetti da diabete tipo 2 (DB), di cui 164 maschi e 138 femmine e di età media 60,5 ± 11,8 anni. Nelle due popolazioni si osserva una netta prevalenza di sovrappeso/ obesità con un IMC medio pari a 27,7±5,2 kg/m2 nella popolazione VG e IMC= 30,7±5,8 kg/m2 nella popolazione DB. Il monitoraggio della pressione nelle due popolazioni considerate ha fornito valori pressori registrati ambulatorialmente mediamente più elevati rispetto a quelli misurati a livello domiciliare. La misurazione domiciliare ha registrato un valore medio di PAS pari a 138,8±22,0 mmHg e di PAD 84,5±12,0 mmHg nella popolazione VG, e di PAS=126,0±18,2 mmHg e PAD=74,9±10,1 nella popolazione DB. L’analisi separata all’interno del gruppo DB mostra che la pressione media dei diabetici alla prima visita risulta essere superiore rispetto a quella riscontrata nei diabetici già in cura presso il centro (140,2±15,4 mmHg vs 135,7±13,7 mmHg) . La ripartizione percentuale dei soggetti in base allo stato pressorio (normotesi/ ipertesi) presenta profonde differenze nei soggetti DB rispetto ai VG, in quanto circa la metà dei VG è normoteso contro un 80% di pazienti diabetici che presentano condizione di ipertensione già nota o neo diagnosticata. I soggetti con neoipertensione corrispondono circa al 20% rispetto alle rispettive popolazioni su cui è stato effettuato lo screening pressorio (21,2% nei VG e 22,6% nei DB). Fase 2. Nella fase di intervento sono stati inseriti 16 vigili (12 M, 4F) di età media 54,6±9,1 anni e 36 soggetti (25 M; 11 F) di età media di 54±9,9 anni. La presenza di sovrappeso/obesità è minore nel gruppo VG rispetto al gruppo DB (BMI medio 28,9 ±5,3kg/m2 vs 30,4 ± 4,7 kg/m2). I valori pressori basali di PAS e PAD per le due popolazioni sono rispettivamente di 145,5 ± 10,8 mmHg e 84,1 ±6,12 mmHg per i VG; 140,4 ±6,1 mmHg e 81,5 ±5,7 per i DB, con una omogeneità intergruppo, relativamente ai parametri oggetto dello studio. Nella popolazione VG al termine dei 20 giorni di dieta iposodica controllata si è osservata riduzione statisticamente significativa della Pressione arteriosa con una riduzione della PAS di ‐12,0 ±7,3 mmHg (p=0,002) (‐7,8% rispetto a t‐0) nel gruppo L‐Na e di ‐5,9±3,8 mmHg (p=0,006) (‐4,1% rispetto a t‐0) nel gruppo M‐Na. Nella popolazione DB si è osservata una riduzione statisticamente significativa della PAS sia domiciliare che ambulatoriale, con una variazione media di ‐8,1±7,9 mmHg per la PAS domiciliare (p<0,002) (‐5,9% rispetto a t‐0), nel gruppo L‐Na. Nel gruppo M‐Na la variazione è stata di entità minore pari a ‐6,2 ±5,3 mmHg(p=0,002) (‐4,4%). Nella popolazione VG al termine dei tre mesi successivi di osservazione si è osservato che il trend di decremento sistolico è continuato nel gruppo M‐Na, mentre nel gruppo L‐Na si è riscontrato un incremento dei valori pressori che pur rimangono inferiori rispetto ai basali e si uniformano ai valori ottenuti nel gruppo M‐Na. Nella popolazione DB, i monitoraggi avvenuti a 3, 6, 9, 12, 15, 18 mesi evidenziano che il trend di decremento di PAS è continuato sia nel gruppo L‐Na, che nel gruppo MNa con una consistente variazione rispetto ai valori basali. L’analisi di regressione per misure ripetute ha mostrato come esista una significativa interazione del trattamento con il tempo (p<0,002). Nella popolazione DB si sono osservate anche significative variazioni per quanto riguarda gli indici della rigidità arteriosa. Al termine dei 20 giorni di dieta, l’AiX brachiale mostra una riduzione di -17,7% nel gruppo L-Na (p<0,002) e di -14,6% nel gruppo M‐Na (p<0,05); la variazione della PWV (Pulse Wave Velocity) è stata maggiore nel gruppo L-Na dove ha raggiunto la significatività (p<0,05), con una riduzione di -1,6 m/s. 4 Conclusioni Lo studio ha dimostrato che nelle due popolazioni prese in esame esiste una quota di soggetti che, pur essendo ipertesi, non conoscono la loro situazione pressoria. Tali individui, se correttamente monitorati e trattati anche solo con modifiche dello stile di vita, ed in particolare con una riduzione del consumo di sodio, possono esercitare un favorevole controllo sui valori di pressione, con una plausibile conseguente riduzione del rischio cardiovascolare. In entrambe le popolazioni una riduzione a 3,75 g di sale/die ha effetti molto più evidenti e incisivi rispetto a 5,5g/die nel breve periodo, mentre l’aderenza al regime dietetico iposodico si dimostra efficace in modo simile anche su un più lungo periodo. Il mantenimento dei valori pressori entro i range di riferimento dimostra che i risultati sono tanto più efficaci quanto maggiore è il tempo dedicato ai controlli, alla identificazione personalizzata dei comportamenti alimentari corretti e al loro rafforzamento.
Hypertension is considered as one of the main contributors to chronic diseases increase, from which most of the causes of death and disability depend worldwide. A recent report of World Health Organization about the main risk factors responsible for global mortality, identified hypertension as one of the main contributors, together with high emetic levels of glucose and cholesterol, physical inactivity, overweight/obesity, and low consumption of vegetables and fruits. Hypertension is therefore a problem of great relevance for public health, with a constantly growing incidence estimated to be at 26% in adult population, and even higher as the age increase. Moreover, recent data indicate that among the hypertensive people only 25‐50% is aware of being hypertensive, and that among those subjected to medical treatment a significant part receives an inadequate pressure control. As regards hypertension in patients suffering from type 2 diabetes, it should be noted that these two pathological conditions are closely related. The incidence of hypertension among them is doubled respect to normal population and covers 80% of all diabetic patients, since both diseases have a common pathogenesis which, although not fully understood, has insulin resistance as an initial condition. Hypertension is often present when diabetes is diagnosed and is associated with other cardiovascular and metabolic disorders. Diabetes exposes patients to a cardiovascular risk similar to a previous acute myocardial infarction, therefore these patients must be subjected to a more rigorous blood pressure control. For such a reason, the European Guidelines establish lower threshold values for the diagnosis of hypertension in diabetic patients (130/85 mm Hg) than in non diabetic people. In every case and for any kind of patient, hypertension represents one of the main modifiable risk factors not only by an adequate pharmacological therapy, but also by modifications to the lifestyle, and in particular by a reduction of salt consumption, which, even in the order of 4‐5 g per day, reduces blood pressure of about 2.5/5 mm Hg in hypertensive patients and of about 1/2 mm Hg in normotensive people, with a positive correlation between the level of reduction of salt consumption and the level of blood pressure reduction. The awareness of the importance of blood pressure control by means of lifestyle control and of the reduction of salt consumption is becoming a recurring theme of national politics in many countries, which, among the public health objectives, insert measures directed to create a reduction of salt consumption in the population as a precondition for a reduction of the pathologies related to high blood pressure. However, despite the high cardiovascular risk and the theoretical reasons supporting a higher sensitivity to salt, there are few studies of intervention on diabetic patients with the aim of evaluating the efficacy of the reduction of salt consumption, as recognized even by a 2002 position statement on the treatment of hypertension in diabetic patient (Arauz‐Pacheco). Aims of the work The intervention study “Controlled sodium diet and new hypertension diagnosis : evaluation of efficacy on diabetic and normoglycemic patients” was carried out in the “Diabetes and Hypertension Prevention 2 Center“ (Asl RM B‐ Università degli Studi di Roma Tor Vergata). The study involved two different populations of patients: a group was formed by patients belonging to the City Police of Rome; the second one involved type II diabetes patients. The study was divided into two phases: the first phase was aimed at blood pressure screening in both groups; the second phase consisted of the administration of a low sodium diet in the group of patients with new diagnosis of hypertension. Objectives of the screening phase were to evaluate arterial and pre‐hypertension in the two populations, to reach the pressure targets and to identify unaware hypertensive patients in order to include them into the intervention phase. Objectives of the intervention phase were to verify the impact of a low controlled sodium regime on arterial blood pressure, compared to a moderate controlled content sodium diet, in subjects with newly diagnosed mild hypertension, and to verify the compliance with the two dietetic interventions in the short and long term. Secondary objective on the diabetic patients was to evaluate the effects of low salt diet on arterial stiffness parameter. Methods Phase 1. Phase 1 population consisted of a sample of City Policemen (n=83; 54 M and 29 F) and of a sample of type II diabetes patients followed by the “Diabetes and Hypertension prevention Centre“ (n=300; 164 M and 138 F). Arterial blood pressure was measured either in a medical centre or at home for nine days, by identical instruments. During the arterial blood pressure monitoring phase, subjects with either no diagnosis of hypertension/pre‐hypertension or with a newly diagnosed hypertension/pre‐hypertension were identified. These subjects had no pharmacological treatment and were proposed to participate in the following intervention phase. Phase II. During the intervention phase, subjects identified as neo‐hypertensive patients, were divided into two groups, which underwent a strictly controlled low salt treatment: the Low‐Na group (L‐Na) had a sodium intake of 1.4g/die, equivalent to 3.5g/die sodium chloride; the Medium‐ Na group (M‐Na) had a sodium intake of 2.3 g/die, equivalent to 5.75g/die sodium chloride. Sodium consumption was controlled by a low salt diet (less than 700mg/die of sodium from diet) and the use of sachets containing 1g of NaCl each one. Patient were told to cook meals without any salt and then add only the supplied sachets onto their portion of food in order to reach the right amount of salt, relevant to their intervention group. The efficacy of the two diet regimens on arterial blood pressure (BP) was evaluated after 20 days of controlled diet regimen and afterwards at regular intervals, by monitoring both the compliance with dietetic regimen and BP trend. During this period, patients were able to learn how to adjust the amount of salt in the food, based on their sensitive perception. Furthermore, weight, BMI and waist circumference were also evaluated; in diabetic patients, arterial stiffness, the augmentation index and the pulse wave velocity, were monitored. Compliance with the low salt diet was evaluated by checking the 24 hour urinary sodium excretion. Results Phase 1. The blood pressure monitoring was performed on 83 city‐policemen (VG) including 54 males and 29 females with a mean age of 52.3 ± 8.0 years, and in 300 patients with type 2 diabetes (DB), of which 164 were males and 138 females and whose average age was 60.5 ± 11.8 years. In the two populations a clear prevalence of over‐weight/obesity was observed; in VG population BMI was 27.7±5.2 kg/m2 while in diabetic population BMI was 30.7±5.8 kg/m2. It is noticeable that BP values measured at the medical centre were higher than those measured at home. Indeed, home measurements had a mean value of Systolic blood pressure (PAS) 138.8 ±22.0 mmHg and diastolic blood pressure (PAD) 84.5± 12.0 mmHg in VG population, and PAS=126,0±18,2 mmHg e PAD=74,9±10 in diabetic patients. Inside 3 the group of diabetic patients, mean BP at the 1st visit was higher than that measured in patients followed by the diabetic centre. Distribution of normo vs hypertensive patients is different in diabetic patients, compared to VG; indeed, about 50% of VG has high value of BP, while in DP this value increases to 80%, including both patients with a history of hypertension and patients with a recent diagnosis. Patient with a recent neo diagnosis of hypertension are about 20% of the population in both the screened groups (VG: 21,2% ; DB: 22,6%). Phase 2. In the intervention phase, 16 VG (12 M, 4F) mean age 54,6±9,1 year, and 36 DB (25 M; 11 F) mean age 54±9,9 year, were included. Overweight or obese patients were less in the VG group, than in the diabetic patients. Basal PAS and PAD values were 145,5 ± 10,8 mmHg and 84,1 ±6,1 mmHg in VG population; 140,4 ±6, 1 mmHg and 81,5 ±5,6 in DB population; moreover, inter‐group homogeneity was high. In the VG group after 20 days of controlled low salt diet, a significant reduction in BP was observed. The mean PAS variation was ‐12,0 ±7,3 mmHg (p=0,002) (‐7,8% ) in L‐Na group and ‐5,9±3,8 mmHg (p=0,006) (‐4,1%) in M‐Na group. In DB population, a significant reduction in BP was observed, both in values checked at the centre, and in those taken at home, with a PAS mean change ‐8,1±7,9 mmHg (p<0,002) (‐5,9%) in the L‐Na group. The reduction in PAS was in the Medium salt group equal to ‐6,2±5,3 mmHg (p=0,002) (‐ 4,4%). In the VG group, the trend to the lowering of BP was constant all along the three months of observation, while in the L‐Na group an increase in BP was observed, although values still remain lower than the basal values. It is noticeable that BP values in M‐Na group were quite the same as in the L‐Na group, at the end of three months. In the DB population, BP monitoring for 15 months showed that the negative trend continued both in the L‐Na group and in the M‐Na group, leading to a relevant decrease of BP over the basal level. The regression for repeated measurements clearly showed the positive interaction between treatment and time (p<0.02). In the DB population a significant variation in arterial stiffness index was also observed. Indeed, after 20 days of strict diet, brachial AIX decreased by 17.7% in the L‐Na group and by 14.6% in the M‐Na group. PWV variation was higher in the L‐Na group, with a statistically significant reduction of 1.6m/s. Conclusions The study demonstrated that in the two populations studied there was a relevant number of subjects who, although hypertensive, did not know their blood pressure situation. If correctly monitored and treated even with only small changes of their lifestyle, in particular as regards the sodium intake, these subjects may exert a positive control on blood pressure, with a consequent possible reduction of cardiovascular risk. In both the populations studied, a salt intake of 3.75 mg per day has more evident and incisive effects in the short term respect to a salt intake of 5.5 mg per day, while the observance of a diet with low sodium intake is effective in a similar way on the long term. The preservation of pressure values within the reference range demonstrates that results are more effective depending on as much time is dedicated to controls. The more time is dedicated to controls, to a personalized identification of correct eating habits and to their strengthening of such a life style, the more efficacy the results are .
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DI, BELLA Giovanna. "Il magnesio ionizzato negli anziani diabetici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91245.

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MILIĆ, Jovana. "Relazioni chiave tra steatosi epatica, insulino-resistenza, diabete mellito, fragilità, terapia antiretrovirale basata sugli inibitori dell'integrasi e aumento di peso nelle persone che vivono con HIV." Doctoral thesis, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, 2021. http://hdl.handle.net/11380/1253896.

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Abstract:
Introduzione La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è diventata una condizione emergente nella popolazione generale che invecchia e la causa più comune di malattia epatica cronica. Abbiamo ipotizzato che NAFLD potrebbe essere un determinante significativo di fragilità, nel contesto di una natura multisistemica di entrambe queste condizioni. L'obiettivo dello studio era quello di indagare la correlazione tra steatosi epatica e fibrosi significativa da sola e in associazione (NAFLD con fibrosi) e fragilità, come misura dell'età biologica, in PLWH. Metodi Questo è stato uno studio cross-sectional su pazienti consecutivi che hanno frequentato la Modena HIV Metabolic Clinic nel 2018-2019. Sono stati esclusi i pazienti con assunzione pericolosa di alcol e co-infezione da epatite virale. La steatosi epatica è stata diagnosticata mediante il parametro di attenuazione controllata (CAP), mentre la fibrosi epatica è stata diagnosticata mediante misurazione della rigidità epatica (LSM). NAFLD è stata definita come presenza di steatosi epatica (CAP≥248), mentre fibrosi epatica significativa o cirrosi (stadio ≥F2) come LSM> 7,1 kPa. La fragilità è stata valutata utilizzando un indice di fragilità di 36 elementi (FI). La regressione logistica è stata utilizzata per esplorare i predittori di fragilità utilizzando la steatosi e la fibrosi come covariate. Risultati Abbiamo analizzato 707 PLWH (età media 53,5 anni, 76,2% maschi, CD4 mediano 700 μl, 98,7% con HIV RNA non rilevabile). NAFLD con fibrosi era presente nel 10,2%; Il 18,9% e il 3,9% dei pazienti sono stati classificati rispettivamente come fragili e più fragili. L'analisi univariata ha dimostrato che deterioramento neurocognitivo (OR = 5.1, 1.6-15), insufficienza di vitamina D (OR = 1.94, 1.2-3.2), obesità (OR = 8.1, 4.4-14.6), diabete (OR = 3.2, 1.9-5.6) e l'osteoporosi (OR = 0,37, 0,16-0,76) erano significativamente associati a NAFLD con fibrosi. I predittori di FI includevano: steatosi (OR = 2.1, 1.3-3.5), fibrosi (OR = 2, 1-3.7), NAFLD con fibrosi (OR = 9.2, 5.2-16.8), diabete (OR = 1.7, 1-2.7) e multimorbidità (OR = 2,5, 1,5-4). Conclusione La steatosi epatica e NAFLD con fibrosi erano associate a fragilità. La NAFLD con fibrosi ha superato la multimorbilità nella previsione della fragilità, suggerendo la prima come indicatore dell'età metabolica nella PLWH.
Background Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD) has become an emerging condition in general aging population and the most common cause of chronic liver disease. We hypothesized that NAFLD could be a significant determinant of frailty, in the context of a multisystemic nature of both these conditions. Therefore, the objective of the study was to investigate the correlation between liver steatosis and significant fibrosis alone and in association (NAFLD with fibrosis) and frailty, as a measure of biological age, in PLWH. Methods This was a cross-sectional study of consecutive patients attending Modena HIV Metabolic Clinic in 2018-2019. Patients with hazardous alcohol intake and viral hepatitis co-infection were excluded. Liver steatosis was diagnosed by controlled attenuation parameter (CAP), while liver fibrosis was diagnosed by liver stiffness measurement (LSM). NAFLD was defined as presence of liver steatosis (CAP≥248), while significant liver fibrosis or cirrhosis (stage ≥F2) as LSM>7.1 kPa. Frailty was assessed using a 36-Item frailty index (FI). Logistic regression was used to explore predictors of frailty using steatosis and fibrosis as covariates. Results We analyzed 707 PLWH (mean age 53.5 years, 76.2% males, median CD4 700 μL, 98.7% with undetectable HIV RNA). NAFLD with fibrosis was present in 10.2%; 18.9% and 3.9% of patients were classified as frail and most-frail, respectively. Univariate analysis demonstrated that neurocognitive impairment (OR=5.1, 1.6-15), vitamin D insufficiency (OR=1.94, 1.2-3.2), obesity (OR=8.1, 4.4-14.6), diabetes (OR=3.2, 1.9-5.6) and osteoporosis (OR=0.37, 0.16-0.76) were significantly associated with NAFLD with fibrosis. Predictors of FI included : steatosis (OR=2.1, 1.3-3.5), fibrosis (OR=2, 1-3.7), NAFLD with fibrosis (OR=9.2, 5.2-16.8), diabetes (OR=1.7, 1-2.7) and multimorbidity (OR=2.5, 1.5-4). Conclusion Liver steatosis and NAFLD with fibrosis were associated with frailty. NAFLD with fibrosis exceeded multimorbidity in the prediction of frailty, suggesting the former as an indicator of metabolic age in PLWH.
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BELLIA, ALFONSO. "Effetti vascolari e metabolici delle statine in una coorte di pazienti affetti da diabete tipo 2 e dislipidemia secondaria." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/832.

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Abstract:
The effects of statins on glucose metabolism are controversial. In particular, it is not clear if statins may affect insulin sensitivity besides LDL-cholesterol and vascular reactivity improvement in diabetic patients. The present randomized, double-blind trial has been direct to evaluate the acute effects of rosuvastatin compared to simvastatin on glucose control, insulin-sensitivity and endothelial function in diabetic patients with untreated dyslipidemia. Twenty non obese male subjects (aged 56±8, mean±SD) with type 2 diabetes in OAD treatment and dyslipidemia were given rosuvastatin 20 mg (Group R, n=10) or simvastatin 20 mg (Group S, n=10) daily for one month. The following data were collected at baseline and after follow-up (differences in mean values assessed by t-test for paired data): BMI, waist circumference, fasting glucose, HbA1c, lipid profile, hs CRP, fibrinogen, leptin, adiponectin, insulin sensitivity assessed by euglycemic hyperinsulinemic clamp and endothelial function evaluated by brachial artery reactivity technique (BART). At baseline, subjects in the two arms had comparable anthropometric parameters, were in good glycemic control (Group R: fasting glucose 139±24 mg/dl, HbA1c 6.4±0.6%. Group S: fasting glucose 135±25 mg/dl, HbA1c 6.6±0.4%) with mild dyslipidemia (Group R: total cholesterol 197±17 mg/dl, HDL 37±5 mg/dl, LDL 136±13 mg/dl, triglycerides 127±83 mg/dl. Group S: total cholesterol 210±27 mg/dl, HDL 44±8 mg/dl, LDL 144±22 mg/dl, triglycerides 126±30 mg/dl). After 30 days of treatment, LDL-cholesterol decreased of 55% in Group R (56±13 mg/dl, p<0.001) and 38% in Group S (84±12 mg/dl, p<0.001) and HDL-cholesterol raised of 8% (39±5 mg/dl) and 9% (47±11 mg/dl), respectively (p<0.05 for both). No patients changed OAD therapy or modified their own life-style habits. In both arms fasting glucose and HbA1c did not differ from baseline, as well as insulin sensitivity assessed by glucose disposal during euglycemic hyperinsulinemic clamp (Group R: 4.2±1.0 vs 4.9±1.7 mg/Kg/min. Group S: 6.1±2.7 vs 6.4±2.3 mg/Kg/min, p=NS). All two treatment arms significantly improved flow-mediated dilation (Group R: 7.0±3.0% vs 10.3±0.6%, p=0.005. Group S 7.6±3.3% vs 11.4±2.3%, p=0.01), while no statistical differences from baseline were detected in both groups in hs CRP, fibrinogen, leptin and adiponectin concentrations. In conclusion, these preliminary data on patients with type 2 diabetes and mild untreated hypercholesterolemia showed that short-treatment (30 days) with rosuvastatin 20 mg or simvastatin 20 mg daily do not affect glucose control and insulin sensitivity, faced to a marked reduction in LDL-cholesterol and an improvement of vascular reactivity.
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Patrizi, Alyssa. "Validazione e ottimizzazione di un modello computazionale integrato della terapia emodialitica e della cinetica glucosio-insulina." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amslaurea.unibo.it/18701/.

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Abstract:
Negli ultimi anni l’incidenza dell’insufficienza renale cronica è andata sempre più crescendo a causa dell’invecchiamento della popolazione e della diffusione di malattie, quali il diabete e l’ipertensione arteriosa. Dal momento che per molti dei pazienti con insufficienza renale cronica la terapia dialitica è l’unica soluzione percorribile, la direzione è quella di rendere i trattamenti il più possibile personalizzabili in modo da garantire l’adattabilità della terapia allo specifico paziente anche in situazioni di co-morbilità. Con la presente tesi si è effettuato un lavoro rivolto alla validazione e all’ottimizzazione di un modello matematico integrato, a cui è associato un codice numerico, capace di simulare le interazioni tra processo dialitico e il sottosistema glucosio-insulina, evidenziandone le potenzialità di utilizzo. Dall’approccio modellistico, traggono potenziali benefici la prescrizione clinica e le modalità di trattamento: analizzare l'impatto della terapia e/o di differenti prescrizioni anche in sottogruppi specifici di pazienti; ridurre il carico di lavoro dell'operatore con terapie auto-adattanti; ridurre il costo della terapia grazie a una minore incidenza di effetti collaterali che possono richiedere l'intervento di operatori o la ripetizione del trattamento.
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Ragazzini, Giulia. "Dieta di sostituzione con alimenti a base di grano khorasan KAMUT in pazienti affetti da diabete di tipo 2: Valutazione dell'effetto sull'espressione genica in campioni di sangue intero." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amslaurea.unibo.it/14588/.

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Abstract:
Il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) è una patologia cronica multifattoriale, la cui incidenza è correlata a fattori socio-economici e comportamentali. Sono ormai numerose le evidenze epidemiologiche che dimostrano la correlazione tra uno stile di vita scorretto e l’insorgenza di T2DM. Essendo la dieta uno dei maggiori fattori di rischio modificabili, la ricerca in ambito nutrizionale si è adoperata nell’ultimo decennio al fine di ridurre il rischio di insorgenza di T2DM e di possibili complicanze attraverso il miglioramento del controllo glicemico e lipidico. In tale ambito, l’Università di Firenze, in collaborazione con l’Ospedale Careggi di Firenze, ha condotto recentemente un trial clinico di intervento per valutare se il consumo regolare di alimenti a base di grano khorasan KAMUT® potesse coadiuvare le terapie nel controllo glicemico, rispetto ad una dieta a base di prodotti con grani moderni. Dati i risultati clinici positivi, è nata una collaborazione con l’Università di Bologna volta a chiarire il meccanismo alla base delle evidenze cliniche mediante valutazione dell’espressione di alcuni geni chiave. Poiché il diabete causa infiammazione cronica e sbilanciamento dell’omeostasi redox, si è ipotizzato il coinvolgimento di meccanismi molecolari connessi alla protezione dal danno ossidativo e infiammatorio, nonché al controllo glicemico. Pertanto, è stata valutata l’espressione del fattore di trascrizione PPARG, coinvolto nell’omeostasi lipidica, di geni legati alla via del segnale PI3K/AKT/mTOR, fondamentale nella regolazione del metabolismo glico-lipidico, e geni della via del segnale Nrf2–Keap1, strettamente connessa alle difese antiossidanti. A seguito di analisi tramite qPCR, è stata riscontrata una down-regolazione del gene codificante per Keap1, dalla dieta con prodotti a base di grano KAMUT® e, al contrario, una up-regolazione dalla dieta con prodotti a base di grani moderni. Tuttavia, le basi molecolari di tali effetti risultano ancora da chiarire.
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Pappalardo, Alessandro Orazio Giovanni. "Ruolo del recettore Gabaa nelle cellule alfa pancreatiche e suo coinvolgimento nelle fasi di desensibilizzazione indotta dalla lipotossicità nel diabete di tipo II." Doctoral thesis, Università di Catania, 2016. http://hdl.handle.net/10761/3991.

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Abstract:
Il GABA o acido gamma-aminobutirrico è il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale (SNC) dei mammiferi. Circa il 20 - 50% di tutte le sinapsi utilizzano questo neurotrasmettitore. Esso è presente in quantità elevate, anche nello spazio interstiziale delle isole pancreatiche e nelle beta cellule pancreatiche dalle quali viene secreto. Il GABA oltre ad avere funzione trofica sulle beta cellule, attraverso il suo recettore (GABAA) controlla la riduzione della secrezione di glucagone insieme con lâ insulina. Nel nostro lavoro abbiamo studiato gli effetti dell'esposizione cronica al palmitato sul signaling del GABA e sulla pathway dellâ insulina in un modello di alfa cellule pancreatiche. Le cellule alfa-TC1-C6 sono state coltivate in presenza o in assenza di palmitato (0,5 mmol / l) per 48 h. Al termine del trattamento si osservava un aumento della secrezione basale di glucagone, induzione di uno stato di insulino-resistenza (diminuzione della fosforilazione di IRS-1 e Akt), e riduzione dellâ effetto inibitorio del GABA sulla secrezione di glucagone; inoltre anche la fosforilazione del canale GABAA indotta dal GABA era notevolmente ridotta dopo l'esposizione a palmitato. Nella seconda parte di questo lavoro abbiamo studiato la possibilità di prevenire i danni causati dell'esposizione cronica al palmitato sul nostro sistema co-trattando le nostre cellule con GLP-1 (100 nmol /l ). Nei gruppi trattati con GLP-1, la secrezione basale di glucagone non risultava aumentata e l'effetto inibitorio del GABA sulla secrezione di glucagone non era ridotto. Questi risultati indicano che il clone alfa-TC1 6, una linea cellulare di cellule pancreatiche alfa, coltivate per 48 ore in presenza di elevate concentrazioni di palmitato (0,5 mmol / l) sviluppano insulino resistenza attraverso la riduzione della fosforilazione di IRS-1 e Akt; questo percorso controlla la secrezione di glucagone ed è critico per la traslocazione del recettore GABAA sulle membrane cellulari e quindi per la polarizzazione della membrana delle alfa cellule. Il GLP-1 sembra in grado di prevenire tali alterazioni. Questi risultati supportano l'ipotesi che l'esposizione cronica agli acidi grassi può contribuire alla alterazione della secrezione di glucagone; e il GLP-1 mostra un effetto positivo sulla prevenzione dell'insulino-resistenza e sull'attivazione del canale GABA.
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CAMERLINGO, NUNZIO. "Migliorare la gestione dell'ipoglicemia nel diabete di tipo 1 mediante sensori CGM: modelli del comportamento del paziente, ottimizzazione della durata di monitoraggio nei trial clinici e suggerimento in tempo reale di carboidrati preventivi." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2022. http://hdl.handle.net/11577/3458744.

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Abstract:
Nella gestione del diabete di tipo 1 (T1D), gli individui sono tenuti a svolgere compiti quotidiani gravosi per compensare l'assenza di insulina endogena e mantenere la loro concentrazione di glucosio nel sangue (BG) all'interno di un range target. Per controllare la glicemia e decidere azioni terapeutiche, gli individui possono avvalersi di sensori di monitoraggio in continua della glicemia (CGM), moderni dispositivi in grado di fornire letture di glicemia quasi in continua. Il rischio di ipoglicemia (BG<70 mg/dL) è però sempre presente, con complicazioni a breve termine molto pericolose ed un impatto negativo sulla qualità della vita. L'enorme mole di dati forniti dal CGM può essere usata per quantificare l'efficacia della terapia mediante i cosiddetti “time-in-ranges”, che esprimono la percentuale di tempo spesa con CGM entro un certo intervallo glicemico. Per esempio, la percentuale di tempo con CGM<70 mg/dL è indicata come “time below range” (TBR). Oggigiorno, la sperimentazione di nuove terapie per il T1D è molto più semplice, grazie a simulatori che mimano efficacemente la fisiologia e le decisioni terapeutiche, consentendo di eseguire studi clinici simulati (ISCT) a costi limitati, senza rischi per i soggetti reali. I suddetti progressi tecnologici hanno permesso di accelerare la ricerca clinica nella gestione del diabete, ma sono ancora presenti questioni che richiedono nuovi sviluppi metodologici nel campo della bioingegneria. L'obiettivo della presente tesi di dottorato è quello di proporre risposte a tre domande specifiche relative alla gestione dell'ipoglicemia: i) Quanto il comportamento subottimo degli individui nel rispettare la terapia impatta sull'ipoglicemia? ii) Per quanto tempo bisogna monitorare i soggetti con CGM per quantificare efficacemente il loro TBR? iii) Come sfruttare i dati CGM per suggerire contromisure appropriate per mitigare l'ipoglicemia? Per rispondere a queste domande, abbiamo fatto ricorso a metodologie legate principalmente allo sviluppo di modelli matematici, all'analisi di serie temporali e alla progettazione di algoritmi di supporto alla decisione. La tesi è organizzata in 5 capitoli. Nel capitolo 1, dopo aver introdotto cause, conseguenze e gestione dell'ipoglicemia, si discute l'importanza di affrontare alcuni problemi aperti. Un approfondimento è dedicato ad un popolare strumento per eseguire ISCT nel T1D, il “T1D patient decision simulator” (T1D-PDS). Nel Capitolo 2, ricorrendo a tecniche di apprendimento automatico, sviluppiamo ed incorporiamo nel T1D-PDS nuovi modelli matematici per descrivere quantità dei carboidrati (CHO) e programmazione dei pasti e dei boli correttivi d’insulina. Il simulatore è poi usato per eseguire un'analisi di sensibilità per valutare l'impatto dei fattori comportamentali sul TBR, ottenendo una classifica dei comportamenti determinanti l'ipoglicemia, da cui si evince che la stima della quantità di CHO dei pasti è cruciale per raggiungere gli obiettivi glicemici stabiliti. Nel capitolo 3, deriviamo un'equazione che lega la durata di monitoraggio CGM alla precisione delle stime TBR e la validiamo in soggetti con caratteristiche eterogenee e diversi sensori. Poi presentiamo un calcolatore web sviluppato per facilitare i professionisti nell'uso di tale formula in diversi scenari clinici. Infine confrontiamo il nostro approccio con un altro metodo di letteratura. Nel capitolo 4, proponiamo un nuovo algoritmo che suggerisce in tempo reale CHO preventivi ad azione rapida, per minimizzare il TBR, sfruttando due misure di rischio per distinguere la severità degli eventi ipoglicemici. La nuova strategia è valutata in-silico mediante confronto con le linee guida standard per l'ipoglicemia ed altri algoritmi di predizione. I risultati mostrano che il nuovo algoritmo è in grado di ridurre il TBR con un numero limitato di azioni preventive. Infine, il capitolo 5 riassume i principali risultati.
In type 1 diabetes (T1D) management, individuals are required to perform burdensome daily tasks to compensate the absence of endogenous insulin, and to maintain their blood glucose (BG) concentration within the target range. To control BG and to tune therapeutic actions, individuals can use continuous glucose monitoring (CGM) sensors, modern devices providing BG readings almost continuously. However, the risk of hypoglycemia (BG<70 mg/dL) is always present, with extremely dangerous short-term complications and a negative impact on quality of life. The huge amount of information provided by CGM can be used to quantify the therapy effectiveness through the computation of the so-called time-in-ranges, expressing the percentage of time with CGM within a certain glycemic range. For example, the percent time with CGM<70 mg/dL is indicated as time below range (TBR). Nowadays, the test of new T1D therapies can be much more easily pursued thanks to simulation tools that effectively capture individual physiology and therapy-related behavior, and allow performing in-silico clinical trials (ISCTs) at limited costs, without risks for real subjects. The above-mentioned technological advances allowed accelerating clinical research in diabetes management, but several questions requiring new methodological developments in the bioengineering domain are still open. The objective of the present PhD thesis is to propose answers to three specific questions related to hypoglycemia management: i) How much individuals' unideal behavior in performing therapeutic tasks impact on hypoglycemia? ii) For how long should patients be monitored with CGM sensors to effectively quantify their TBR? iii) How to exploit the CGM datastream to suggest appropriate countermeasures for mitigating hypoglycemia? To answer these questions, we resorted to methodologies mainly related to the development of mathematical models, the analysis of time-series, and the design of decision support algorithms. The thesis is organized in 5 chapters. In Chapter 1, after introducing causes, consequences, and management of hypoglycemia, the importance of addressing some open issues is discussed. Special attention is paid to a popular tool to perform ISCTs in T1D, the T1D patient decision simulator (T1D-PDS). In Chapter 2, we address the issue of identifying the behavioral determinants of hypoglycemia. First, by resorting to machine learning techniques, we develop and embed in the T1D-PDS new mathematical models meal carbohydrates (CHO) amount and timing, and insulin bolus timing. Then, we use the enhanced simulator to perform a sensitivity analysis to evaluate the impact of behavioral factors on TBR. The resulting ranked list of behavioral determinants of hypoglycemia shows that the estimation of meals’ CHO amount is crucial to achieve the established glycemic goals. In Chapter 3, we address the issue of determining the minimum CGM duration to precisely quantify TBR. We formulate this problem as an estimator convergence problem, and derive a mathematical equation linking the CGM recording length to the precision around TBR estimates. We validate the formula in subjects with heterogeneous characteristics and different sensors. Then, we present an online calculator developed to facilitate practitioners in using our approach in different clinical scenarios. Finally, we compare our approach against another literature method. In Chapter 4, we address the issue of mitigating hypoglycemia using CGM data only. We propose a new real-time algorithm to suggest preventive doses of fast-acting CHO to minimize TBR, based on two risk measures to distinguish the severity of hypoglycemic events. The new strategy is assessed in-silico by comparison against standard guidelines for hypoglycemia and prediction-based algorithms. Results show that the new algorithm is able to reduce TBR with a limited number of preventive actions. Finally, Chapter 5 summarizes the major findings.
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Cinti, Francesca. "Evidence of beta cell dedifferentiation in human type 2 diabetes." Doctoral thesis, Università Politecnica delle Marche, 2016. http://hdl.handle.net/11566/243145.

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Abstract:
Recenti studi sugli animali hanno dimostrato che le cellule β del pancreas nei modelli murini di diabete di tipo 2, diventano dedifferenziate in risposta all’iperglicemia, ritornando ad uno stato simile alla cellula progenitrice. Inoltre, le cellule β si convertono in altre cellule endocrine, comprese cellule che producono glucagone, dette "α-like", fornendo così una potenziale spiegazione per l’ iperglucagonemia che accompagna il diabete. Partendo dai risultati ottenuti con il modello murino, abbiamo analizzato, con tecniche di immunofluorescenza al confocale e microscopia elettronica, campioni di pancreas umani fissati e inclusi in OCT di 15 donatori sani e 15 donatori con diabete di tipo 2 (M/F 9/6 vs 7/8 NS; età (±SD) 56±18 vs 66±17 NS; BMI (kg/m2) 26±6 vs 29±6 NS; anni dalla diagnosi di diabete di tipo 2 12±8). All’esito di tali analisi abbiamo rilevato, nei soggetti diabetici, un aumento di quasi tre volte del numero di cellule delle isole pancreatiche che non producono più nessuno dei quattro principali ormoni pancreatici, ma che ancora conservano le caratteristiche di cellule endocrine (positività per Sinaptofisina e Cromogranina A). Tali cellule rappresentavano il 31,9% delle cellule β nei diabetici rispetto all’8,7% dei controlli, e costituivano il 16,8% di tutte le cellule endocrine nelle isole dei diabetici, contro il 6,5% dei controlli (p <0.001). Inoltre, l’espressione dei fattori di trascrizione FOXO1 e NKX6.1, marcatori della β cellula matura, sono risultati diminuiti o dislocalizzati (dal nucleo al citoplasma) nelle cellule β dei diabetici, confermando che la disfunzione β cellulare si accompagna ad una perdita della maturità della cellula stessa. Un 15% delle cellule glucagone-positive nei diabetici è risultato positivo per FOXO1 citoplasmatico, con un aumento di 7 volte rispetto ai controlli (p=0.005). Poiché FOXO1 citoplasmatico è inattivo, i risultati sono compatibili con la spiegazione che queste cellule rappresentano antiche cellule β che, attraverso la perdita di funzione di FOXO1, sono in fase di conversione in cellule che producono glucagone-"α-like". Infine, nei roditori le cellule β dedifferenziate ritornano ad una fase di cellula progenitrice, caratterizzata dall’espressione del fattore di trascrizione Neurogenin3. Neurogenin3 è assente nel pancreas umano adulto. Tuttavia, utilizzando le informazioni raccolte dal profilo di espressione genica di modelli animali di de-differenziazione β cellulare, abbiamo scoperto che ALDH1A3 rappresenta un nuovo marker di tale popolazione cellulare. Abbiamo trovato un aumento di quasi quattro volte del numero di cellule positive per ALDH1A3 con NKX6.1 citoplasmatico (marker esclusivo della β cellula) nei diabetici rispetto ai controlli (p=0.009). Inoltre, queste cellule erano insulino-negative. Questi dati sono coerenti con la possibilità che, allorché le cellule β perdono la loro identità (indicato dalla perdita di insulina e trasferimento di NKX6.1 nel citoplasma), esse acquisiscono l’immunoreattività per ALDH1A3, presentando un aspetto dedifferenziato. I nostri dati sostengono quindi i risultati ottenuti dai modelli sperimentali, suggerendo che, nel diabete di tipo 2, le cellule β non si perdono in modo permanente e in parte si convertono in cellule α, potendo quindi giustificare l’iperglucagonemia che si riscontra nei soggetti diabetici. In conclusione, l'ipotesi è che le cellule β sottoposte allo stress iperglicemico dedifferenzino per trovare riposo (sleeping cells), preservando la ri-differenziazione a condizioni metaboliche più favorevoli.
Context. Diabetes is associated with a deficit of insulin-producing beta cells. Animal studies show that beta cells become dedifferentiated in diabetes, reverting to a progenitor-like stage, and partly converting to other endocrine cell types. Objective. To determine whether similar processes occur in human type 2 diabetes, we surveyed pancreatic islets from 15 diabetic and 15 non-diabetic organ donors. Design. We scored dedifferentiation using markers of endocrine lineage, beta cell-specific transcription factors, and a newly identified endocrine progenitor cell marker, aldehyde dehydrogenase 1A3 (ALDH1A3). Results. By these criteria, dedifferentiated cells accounted for 31.9% of beta cells in type 2 diabetics vs. 8.7% in controls, and for 16.8% vs. 6.5% of all endocrine cells (p<0.001). The number of ALDH1A3-positive/hormone-negative cells was threefold higher in diabetics compared to controls. Moreover, beta cell-specific transcription factors were ectopically found in glucagon- and somatostatin-producing cells of diabetic subjects. Conclusions. The data support the view that pancreatic beta cells become dedifferentiated and convert to alpha- and delta-“like” cells in human type 2 diabetes. The findings should prompt a reassessment of goals in the prevention and treatment of beta cell dysfunction.
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Cipponeri, E. "STEATOSI EPATICA NON ALCOLICA E COMPLICANZE CRONICHE NEL DIABETICO DI TIPO 1: RUOLO DELLA VITAMINA D E DEI POLIMORFISMI DEL RECETTORE DELLA VITAMINA D." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424220.

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Abstract:
Introduzione e background. La malattia epatica su base non alcolica (NAFLD) ha una prevalenza del 20-30% tra gli adulti occidentali. Tale dato raggiunge il 90% nei pazienti affetti da obesità patologica. Recenti studi hanno dimostrato un incremento della incidenza di NAFLD anche tra i pazienti affetti da diabete di tipo 1 (T1D) in cui si assocerebbe ad una maggiore incidenza di nefropatia diabetica cronica (CKD) e altre malattie microvascolari. Inoltre dati in letteratura indicano che basse concentrazioni di vitamina D si associano alla severità della steatosi, alla necroinfiammazione ed alla fibrosi nella NAFLD. Parallelamente la vitamina D interviene nella patogenesi del T1DM ed i polimorfismi (SNPs) del suo recettore (VDR) sono stati descritti tra i fattori di suscettibilità per il T1DM. Benché i dati in letteratura supportino la correlazione tra NAFLD e vitamina D ad oggi, a nostro sapere, non ci sono studi che abbiano analizzato la correlazione tra NAFLD, vitamina D e diabete di tipo 1. Materiali e metodi. Sono stati reclutati in maniera consecutiva 265 pazienti affetti da diabete di tipo 1. I pazienti hanno eseguito una ecografia epatica ed un prelievo ematico per il dosaggio di vitamina D, PTH, calcio, fosforo, magnesio e per la determinazione dei Single Nucelotide Polymorphism (SNPs) del recettore della vitamina D. Sono stati studiati i più comuni SNPs del recettore della vitamina D: Fok, Bsm, Apa, Taq. Gli aplotipi del VDR dei siti polimorfici per B-A-T sono: aplotipo 1 (base GGT), aplotipo 2 (base ATC), aplotipo 3 (base GTT), aplotipo 4 (base ATT). Sulla base dei parametri ematochimici e biometrici valutati, è stato calcolato il fatty liver index, marcatore non invasivo di stetaosi epatica, utilizzato come parametro di conferma del reperto ecografico di statosi epatica. Per il calcolo del FLI viene utilizzato un algoritmo basato su BMI, circonferenza vita, trigliceridi, e gamma glutamil transpeptidasi. Per valori di FLI≥60, la probabilità di avere steatosi epatica è superiore al 78%; per valori inferiori a 20 la probabilità invece di non presentare tale patologia supera il 91%. Risultati. Risultati metabolici. La stetaosi non sembra essere influenzata dai livelli di vitamina D. Nella nostra popolazione la steatosi si associava ad una maggior prevalenza di nefropatia diabetica ed a maggiori spessori medio intimali. I livelli di vitamina D non influenzavano la presenza di complicanze croniche. Risultati genetici. 183 pazienti presentavano l’aplotipo 1 ed 85 pazienti gli altri aplotipi (aplotipo 2, aplotipo 3); L’aplotipo 1 si associava ad un maggiore deficit di vitamina D, ad un peggior compenso metabolico, ad una maggiore prevalenza di sindrome metabolica nonchè ad un maggior spessore del grasso peritoneale e preperitoneale. Dall’analisi in trend per diversi aplotipi, è emerso il rischio crescente di sviluppare complicanze passando dall'aplotipo 3 all’aplotipo 1. Conclusioni. Nel nostro studio la steatosi epatica e la vitamina D non appaiono essere correlate, né i livelli di vitamina D sembrano influenzare la presenza di complicanze croniche legate al diabete. Tra gli SNPs del VDR i pazienti con aplotipo 1 non presentavano segni di steatosi epatica bensì presentavano la sindrome metabolica, contrariamente a quanto comunemente riscontrato in letteratura in cui la stetaosi epatica è anche considerata un marker epatico di sindrome metabolica. Tale aplotipo sembrerebbe invece essere un elemento favorente la presenza di complicanze e di sindrome metabolica che, in questi pazienti, si manifesterebbero a prescindere dalla presenza di NAFLD.
Introduzione e background. La malattia epatica su base non alcolica (NAFLD) ha una prevalenza del 20-30% tra gli adulti occidentali. Tale dato raggiunge il 90% nei pazienti affetti da obesità patologica. Recenti studi hanno dimostrato un incremento della incidenza di NAFLD anche tra i pazienti affetti da diabete di tipo 1 (T1D) in cui si assocerebbe ad una maggiore incidenza di nefropatia diabetica cronica (CKD) e altre malattie microvascolari. Inoltre dati in letteratura indicano che basse concentrazioni di vitamina D si associano alla severità della steatosi, alla necroinfiammazione ed alla fibrosi nella NAFLD. Parallelamente la vitamina D interviene nella patogenesi del T1DM ed i polimorfismi (SNPs) del suo recettore (VDR) sono stati descritti tra i fattori di suscettibilità per il T1DM. Benché i dati in letteratura supportino la correlazione tra NAFLD e vitamina D ad oggi, a nostro sapere, non ci sono studi che abbiano analizzato la correlazione tra NAFLD, vitamina D e diabete di tipo 1. Materiali e metodi. Sono stati reclutati in maniera consecutiva 265 pazienti affetti da diabete di tipo 1. I pazienti hanno eseguito una ecografia epatica ed un prelievo ematico per il dosaggio di vitamina D, PTH, calcio, fosforo, magnesio e per la determinazione dei Single Nucelotide Polymorphism (SNPs) del recettore della vitamina D. Sono stati studiati i più comuni SNPs del recettore della vitamina D: Fok, Bsm, Apa, Taq. Gli aplotipi del VDR dei siti polimorfici per B-A-T sono: aplotipo 1 (base GGT), aplotipo 2 (base ATC), aplotipo 3 (base GTT), aplotipo 4 (base ATT). Sulla base dei parametri ematochimici e biometrici valutati, è stato calcolato il fatty liver index, marcatore non invasivo di stetaosi epatica, utilizzato come parametro di conferma del reperto ecografico di statosi epatica. Per il calcolo del FLI viene utilizzato un algoritmo basato su BMI, circonferenza vita, trigliceridi, e gamma glutamil transpeptidasi. Per valori di FLI≥60, la probabilità di avere steatosi epatica è superiore al 78%; per valori inferiori a 20 la probabilità invece di non presentare tale patologia supera il 91%. Risultati. Risultati metabolici. La stetaosi non sembra essere influenzata dai livelli di vitamina D. Nella nostra popolazione la steatosi si associava ad una maggior prevalenza di nefropatia diabetica ed a maggiori spessori medio intimali. I livelli di vitamina D non influenzavano la presenza di complicanze croniche. Risultati genetici. 183 pazienti presentavano l’aplotipo 1 ed 85 pazienti gli altri aplotipi (aplotipo 2, aplotipo 3); L’aplotipo 1 si associava ad un maggiore deficit di vitamina D, ad un peggior compenso metabolico, ad una maggiore prevalenza di sindrome metabolica nonchè ad un maggior spessore del grasso peritoneale e preperitoneale. Dall’analisi in trend per diversi aplotipi, è emerso il rischio crescente di sviluppare complicanze passando dall'aplotipo 3 all’aplotipo 1. Conclusioni. Nel nostro studio la steatosi epatica e la vitamina D non appaiono essere correlate, né i livelli di vitamina D sembrano influenzare la presenza di complicanze croniche legate al diabete. Tra gli SNPs del VDR i pazienti con aplotipo 1 non presentavano segni di steatosi epatica bensì presentavano la sindrome metabolica, contrariamente a quanto comunemente riscontrato in letteratura in cui la stetaosi epatica è anche considerata un marker epatico di sindrome metabolica. Tale aplotipo sembrerebbe invece essere un elemento favorente la presenza di complicanze e di sindrome metabolica che, in questi pazienti, si manifesterebbero a prescindere dalla presenza di NAFLD.
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SERINO, MATTEO. "Aploinsufficienza di TACE e omeostasi del glucosio: effetti protettivi su insulino-resistenza e obesità durante un regime di dieta grassa." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2008. http://hdl.handle.net/2108/434.

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Abstract:
E’ noto che il TNF (Tumor Necrosis Factor)-α altera la sensibilità insulinica e i metabolismi glucidico e lipidico attraverso meccanismi diversi e ridondanti, sia a livello traduzionale che post-traduzionale. Il TNF-α esercita i suoi effetti paracrini in seguito al taglio proteolitico della forma ancorata alla membrana plasmatica e al rilascio della forma solubile ad opera dell’enzima TACE (TNF-α Converting Enzyme), che regola la funzione di altre proteine di membrana come il recettore dell’interleuchina-6 e i ligandi del recettore EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor). Per comprendere il ruolo ancora sconosciuto di TACE nell’obesità indotta da dieta grassa e nelle sue complicanze metaboliche, topi Tace+/- e topi WT (Wild Type) sono stati alimentati con una dieta standard (Standard Chow, SC) o grassa (High Fat Diet, HFD) per sedici settimane. E’ stato osservato che i topi Tace+/- risultano parzialmente protetti da obesità e insulino-resistenza rispetto ai topi WT. Infatti, quando sottoposti ad un regime di HFD, i topi WT mostrano obesità viscerale, aumentati livelli plasmatici di acidi grassi liberi, aumento dell’espressione genica per MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1), ipoadiponectinemia, intolleranza al glucosio e insulino-resistenza, rispetto ai topi Tace+/-. Inoltre i topi Tace+/- hanno mostrato aumentati livelli di espressione genica per UCP-1 (UnCoupling Protein-1) e GLUT (GLUcose Transporter)-4 nel tessuto adiposo bianco. Questi risultati suggeriscono che lo sviluppo di molecole in grado di modulare l’attività di TACE può rappresentare un importante passo nella prevenzione dell’obesità e delle sue complicanze metaboliche.
TNF (Tumor Necrosis Factor)-α is known to affect glucose and lipid metabolism through alternative and redundant mechanisms at different levels. TNF-α exerts its paracrine effects once the membrane-anchored form is shed and the soluble form is released from the cell membrane. TNF-α cleavage is regulated by TACE (TNF-α Converting Enzyme), which regulates the shedding and the function of several transmembrane proteins, such as IL-6R (Interleukin-6 Receptor) and EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) ligands. To shed light into the unknown role of TACE in high fat diet (HFD)-induced obesity and its metabolic complications we used Tace+/- mice fed with a standard or HFD for 16 weeks. We observed that Tace+/- mice are relatively protected from obesity and insulin resistance compared with WT littermates. When fed a HFD, WT mice exhibited visceral obesity, increased FFA (Free Fatty Acids) and MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1) levels, hypoadiponectinemia, glucose intolerance and insulin resistance (all features of the metabolic syndrome) compared with Tace+/- mice. Interestingly, Tace+/- mice exhibited increased UCP-1 (UnCoupling Protein-1) and GLUT (GLUcose Transporter)-4 expression in white adipose tissue. These results suggest the development of pharmacological modulators of TACE activity as a novel way to treat obesity and its metabolic complications.
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MEREU, ELISABETTA. "Joint whole exome sequencing and linkage analysis in a multigenerational family segregating Type 1 Diabetes." Doctoral thesis, Università degli Studi di Cagliari, 2015. http://hdl.handle.net/11584/266614.

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Abstract:
Backround: Type 1 diabetes (T1D) is a complex autoimmune disease with a strong familial segregation. On the other hand, the recent and rapid increase in incidence is a proof of the importance of environmental factor in the etiology of disease. Linkage and Genome-wide association studies had revealed almost 60 loci associated with the risk of T1D, explaining about 80% of the total heritability, mostly due to HLA locus. However, many familial T1D cases remains unexplained. Objective: To identify rare variants contributing to T1D susceptibility, we studied a Sardinian family with 9 individuals affected across 3 generations. Methods: We performed exome sequencing in 3 affected members and a healthy individual. In addition, all samples were extensively genotyped using Illumina OmniExpress beadchips for about 750K SNPs. A combined linkage analysis was carried out. Results: This combined approach identified three variants predicted to be damaging that are very rare in the general population (frequency <1%) and that are likely causing the disease.
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TORRE, ELEONORA. "Role of SERCA stimulation and voltage-dependent Ca2+ channels in improving Ca2+ handling and sustaining heart automaticity." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2020. http://hdl.handle.net/10281/261917.

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Abstract:
Parte 1. La cardiomiopatia diabetica (DCM) è una malattia caratterizzata da una precoce disfunzione diastolica (DD). I meccanismi che possono ripristinare il rilassamento cardiaco, migliorando la dinamica intracellulare di Ca2+, rappresentano un promettente approccio terapeutico per le malattie cardiovascolari associate alla DD. Istaroxime è un inibitore di NaK-ATPase (NKA) e stimolatore del recupero di Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico (SR) attraverso la pompa del SR per il Ca2+ (SERCA2a). Il progetto mira a caratterizzare gli effetti di Istaroxime a una concentrazione che minimamente influenza NKA per isolare i suoi effetti dipendenti da SERCA2a in un modello di diabete di tipo 1. I ratti trattati con streptozotocina (STZ) sono stati valutati a 9 settimane dopo l'iniezione di STZ rispetto ai controlli (CTR). I ratti STZ hanno mostrato una riduzione del livello e dell'attività della proteina SERCA2a e un aumento del rapporto PLNmonomerico/SERCA2a. Le dinamiche del Ca2+ intracellulare e l'attività elettrica sono state valutate in miociti ventricolari isolati. Nei miociti STZ, la downregulation di SERCA ha causato 1) aumento di Ca2+ diastolico 2) riduzione del contenuto di Ca2+ nel SR e dell’ampiezza del transiente di Ca2+, 3) ricarica del SR più lenta con inibito lo scambiatore Na/Ca, 4) stabilità del SR e numero di sparks di Ca2+ invariati. I potenziali d'azione (AP) sono stati significativamente prolungati, con conseguente aumento della short-term variability (STV) dell'APD. Istaroxime (100 nM) ha stimolato in modo significativo l'attività di SERCA2a ripristinando gli effetti indotti da STZ 1) riducendo Ca2+ diastolico, 2) aumentando l’ampiezza del transiente e il contenuto del SR di Ca2+ e 3) accelerando il recupero di Ca2+ nel SR nel gruppo STZ. Inoltre, Istaroxime, stimolando SERCA2a, ha parzialmente ripristinato le caratteristiche delle sparks di Ca2+. La stimolazione di SERCA2a da parte di Istaroxime ripristina le anomalie delle dinamiche del Ca2+ intracellulare indotte da STZ. Pertanto, la stimolazione SERCA2a può essere considerata un promettente approccio terapeutico per il trattamento della DD. Parte 2. L'automaticità cardiaca è generata nel nodo seno-atriale (SAN) attraverso i canali ionici della membrana plasmatica e il rilascio di Ca2+ dipendente dal recettore intracellulare della rianodina (RyR). Le cellule del SAN sono caratterizzate dall'espressione dei canali Cav1.3 di tipo L e Cav3.1 di tipo T (Cav). Per studiare il significato dell'espressione di Cav nell'automaticità cardiaca abbiamo usato topi mutanti con delezione genetica individuale o concomitante di Cav1.3 e Cav3.1. La delezione del CaV ha ridotto in modo additivo la frequenza cardiaca nei topi. Le registrazioni ECG dei cuori intatti di Cav1.3-/-/Cav3.1-/- hanno mostrato una dissociazione del ritmo atrioventricolare e una ritmicità prevalentemente giunzionale, anziché del SAN. La mappatura ottica dell'automatismo ha mostrato l'interruzione dell'automaticità primaria in SAN Cav1.3- -/Cav3.1-/- e uno spostamento dei principali siti di pacemaker al di fuori dell'area SAN. Abbiamo anche studiato il ruolo dei canali f- (HCN) attivati dall'iperpolarizzazione e dei canali Na+ (Nav) sensibili al TTX nell'automaticità residua dei topi mutanti. L'inibizione farmacologica concomitante dei canali Nav sensibili a f-HCN e TTX ha rallentato l'automaticità atriale in wild-type e Cav3.1- -, mentre è stata arrestata in alcuni Cav1.3-/- e Cav1.3- /-/Cav3.1- -. Gli stessi risultati sono stati confermati in cellule di pacemaker SAN Cav1.3-/-/Cav3.1-/- isolate. L'eliminazione dei canali Cav1.3 e Cav3.1 interrompe la normale automaticità cardiaca inducendo bradicardia e alterando la conduzione cardiaca. Inoltre, con la doppia delezione dei Cav1.3 e Cav3.1, i canali f-HCN e i canali Nav sensibili al TTX sono i meccanismi predominanti a sostegno dell'attività del pacemaker.
Part 1. Aim. Diabetic cardiomyopathy (DCM) is a multifactorial disease characterized by an early onset of diastolic dysfunction (DD). Mechanisms that can restore cardiac relaxation (lusitropic effect) improving intracellular Ca2+ dynamics, represent a promising therapeutic approach for cardiovascular diseases associated to DD. Istaroxime is a NaK ATPase (NKA) inhibitor with the property of accelerating Ca2+ re-uptake into sarcoplasmic reticulum (SR) through the SR Ca2+ pump (SERCA2a) stimulation. The project aims to characterize Istaroxime effects at a concentration mostly unaffecting NKA to isolate its effects dependent on SERCA2a only in a model of mild diabetes (type 1). Methods and results. Streptozotocin (STZ) treated rats were evaluated at 9 weeks after STZ injection in comparison to control (CTR) ones. SERCA2a-dependent Istaroxime effects were evaluated in cell-free system and in isolated left ventricular (LV) myocytes. STZ animals showed reduced SERCA2a protein level and activity and increased monomeric PLN/SERCA2a ratio. Intracellular Ca2+ handling and electrical activity were evaluated in isolated ventricular myocytes. In STZ myocytes, SERCA downregulation caused 1) increased diastolic Ca2+, 2) reduction in SR Ca2+ content and Ca2+ transient amplitude following control of membrane potential, 3) slower SR reloading process under Na/Ca exchanger (NCX) inhibition, 4) unchanged SR stability and Ca2+ sparks rate. Action potentials (APs) were significantly prolonged, resulting in an increased short-term variability (STV) of APD. Istaroxime (100 nM) significantly stimulated SERCA2a activity and reverted STZ-induced effects by 1) reducing diastolic Ca2+, 2) increasing Ca2+ transient amplitude and SR Ca2+ content, and 3) accelerating SR Ca2+ reuptake in STZ group. Moreover, Istaroxime, by stimulating SERCA2a, partially restored Ca2+ sparks characteristics and significantly accelerated Ca2+ sparks decay. Conclusions. SERCA2a stimulation by Istaroxime restores STZ-induced intracellular Ca2+ handling anomalies. Thus, SERCA2a stimulation can be considered a promising therapeutic approach for DD treatment. Part 2. Aim. Heart automaticity is generated in the sino-atrial node (SAN) by a functional interplay between ion channels of the plasma membrane and intracellular ryanodine receptor (RyR)-dependent Ca2+ release. SAN cells are characterized by the expression of voltage-gated L-type Cav1.3 and T-type Cav3.1 Ca2+ (Cav) channels in addition to L-type Cav1.2 channels, which are ubiquitously expressed in the heart. To investigate the significance of Cav expression for heart automaticity we used mutant mice carrying individual or concomitant genetic ablation of Cav1.3 and Cav3.1. Methods and results. Cav ablation additively reduced heart rate in mice. ECG recordings of intact Cav1.3-/-/Cav3.1-/- hearts showed atrioventricular rhythm dissociation and predominantly junctional, rather than SAN driven rhythmicity. Optical mapping of automaticity showed disruption of primary automaticity in Cav1.3-/-/Cav3.1-/- SAN and a shift of the leading pacemaker sites outside the SAN area. We also investigated the role of hyperpolarization-activated f-(HCN) channels, and TTX-sensitive Na+ (Nav) channels in residual automaticity of mutant mice. Concomitant pharmacologic inhibition of f-HCN and TTX-sensitive Nav channels slowed atrial automaticity in wild-type and Cav3.1-/-, while arrested it in 4/6 of Cav1.3-/-, 3/6 of Cav1.3-/-/Cav3.1-/-. Same results were confirmed in isolated Cav1.3-/-/Cav3.1-/- SAN pacemaker cells. Conclusions. Cav1.3 and Cav3.1 Ca2+ channels deletion disrupts normal heart automaticity by inducing bradycardia and altering cardiac conduction. Moreover, in the concomitant absence of Cav1.3 and Cav3.1 channels, f-HCN channels and TTX-sensitive Nav channels are the predominant mechanisms sustaining pacemaker activity.
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Zecchin, Chiara. "Online Glucose Prediction in Type-1 Diabetes by Neural Network Models." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3423574.

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Abstract:
Diabetes mellitus is a chronic disease characterized by dysfunctions of the normal regulation of glucose concentration in the blood. In Type 1 diabetes the pancreas is unable to produce insulin, while in Type 2 diabetes derangements in insulin secretion and action occur. As a consequence, glucose concentration often exceeds the normal range (70-180 mg/dL), with short- and long-term complications. Hypoglycemia (glycemia below 70 mg/dL) can progress from measurable cognition impairment to aberrant behaviour, seizure and coma. Hyperglycemia (glycemia above 180 mg/dL) predisposes to invalidating pathologies, such as neuropathy, nephropathy, retinopathy and diabetic foot ulcers. Conventional diabetes therapy aims at maintaining glycemia in the normal range by tuning diet, insulin infusion and physical activity on the basis of 4-5 daily self-monitoring of blood glucose (SMBG) measurements, obtained by the patient using portable minimally-invasive lancing sensor devices. New scenarios in diabetes treatment have been opened in the last 15 years, when minimally invasive continuous glucose monitoring (CGM) sensors, able to monitor glucose concentration in the subcutis continuously (i.e. with a reading every 1 to 5 min) over several days (7-10 consecutive days), entered clinical research. CGM allows tracking glucose dynamics much more effectively than SMBG and glycemic time-series can be used both retrospectively, e.g. to optimize metabolic control therapy, and in real-time applications, e.g. to generate alerts when glucose concentration exceeds the normal range thresholds or in the so-called “artificial pancreas”, as inputs of the closed loop control algorithm. For what concerns real time applications, the possibility of preventing critical events is, clearly, even more appealing than just detecting them as they occur. This would be doable if glucose concentration were known in advance, approximately 30-45 min ahead in time. The quasi continuous nature of the CGM signal renders feasible the use of prediction algorithms which could allow the patient to take therapeutic decisions on the basis of future instead of current glycemia, possibly mitigating/ avoiding imminent critical events. Since the introduction of CGM devices, various methods for short-time prediction of glucose concentration have been proposed in the literature. They are mainly based on black box time series models and the majority of them uses only the history of the CGM signal as input. However, glucose dynamics are influenced by many factors, e.g. quantity of ingested carbohydrates, administration of drugs including insulin, physical activity, stress, emotions and inter- and intra-individual variability is high. For these reasons, prediction of glucose time course is a challenging topic and results obtained so far may be improved. The aim of this thesis is to investigate the possibility of predicting future glucose concentration, in the short term, using new models based on neural networks (NN) exploiting, apart from CGM history, other available information. In particular, we first develop an original model which uses, as inputs, the CGM signal and information on timing and carbohydrate content of ingested meals. The prediction algorithm is based on a feedforward NN in parallel with a linear predictor. Results are promising: the predictor outperforms widely used state of art techniques and forecasts are accurate and allow obtaining a satisfactory time anticipation. Then we propose a second model, which exploits a different NN architecture, a jump NN, which combines benefits of both feedforward NN and linear algorithm obtaining performance similar to the previously developed predictor, although the simpler structure. To conclude the analysis, information on doses of injected bolus of insulin are added as input of the jump NN and the relative importance of every input signal in determining the NN output is investigated by developing an original sensitivity analysis. All the proposed predictors are assessed on real data of Type 1 diabetics, collected during the European FP7 project DIAdvisor. To evaluate the clinical usefulness of prediction in improving diabetes management we also propose a new strategy to quantify, using an in silico environment, the reduction of hypoglycemia when alerts and relative therapy are triggered on the basis of prediction, obtained with our NN algorithm, instead of CGM. Finally, possible inclusion of additional pieces of information such as physical activity is investigated, though at a preliminary level. The thesis is organized as follows. Chapter 1 gives an introduction to the diabetes disease and the current technologies for CGM, presents state of art techniques for short-time prediction of glucose concentration of diabetics and states the aim and the novelty of the thesis. Chapter 2 discusses NN paradigms from a theoretical point of view and specifies technical details common to the design and implementation of all the NN algorithms proposed in the following. Chapter 3 describes the first prediction model we propose, based on a NN in parallel with a linear algorithm. Chapter 4 presents an alternative simpler architecture, based on a jump NN, and demonstrates its equivalence, in terms of performance, with the previously proposed algorithm. Chapter 5 further improves the jump NN, by adding new inputs and investigating their effective utility by a sensitivity analysis. Chapter 6 points out possible future developments, as the possibility of exploiting information on physical activity, reporting also a preliminary analysis. Finally, Chapter 7 describes the application of NN for generation of preventive hypoglycemic alerts and evaluates improvement of diabetes management in a simulated environment. Some concluding remarks end the thesis.
Il diabete mellito è una patologia cronica caratterizzata da disfunzioni della regolazione della concentrazione di glucosio nel sangue. Nel diabete di Tipo 1 il pancreas non produce l'ormone insulina, mentre nel diabete di Tipo 2 si verificano squilibri nella secrezione e nell'azione dell'insulina. Di conseguenza, spesso la concentrazione glicemica eccede le soglie di normalità (70-180 mg/dL), con complicazioni a breve e lungo termine. L'ipoglicemia (glicemia inferiore a 70 mg/dL) può risultare in alterazione delle capacità cognitive, cambiamenti d'umore, convulsioni e coma. L'iperglicemia (glicemia superiore a 180 mg/dL) predispone, nel lungo termine, a patologie invalidanti, come neuropatie, nefropatie, retinopatie e piede diabetico. L'obiettivo della terapia convenzionale del diabete è il mantenimento della glicemia nell'intervallo di normalità regolando la dieta, la terapia insulinica e l'esercizio fisico in base a 4-5 monitoraggi giornalieri della glicemia, (Self-Monitoring of Blood Glucose, SMBG), effettuati dal paziente stesso usando un dispositivo pungidito, portabile e minimamente invasivo. Negli ultimi 15 anni si sono aperti nuovi orizzonti nel trattamento del diabete, grazie all'introduzione, nella ricerca clinica, di sensori minimamente invasivi (Continuous Glucose Monitoring, CGM) capaci di misurare la glicemia nel sottocute in modo quasi continuo (ovvero con una misurazione ogni 1-5 min) per parecchi giorni consecutivi (dai 7 ai 10 giorni). I sensori CGM permettono di monitorare le dinamiche glicemiche in modo più fine delle misurazioni SMBG e le serie temporali di concentrazione glicemica possono essere utilizzate sia retrospettivamente, per esempio per ottimizzare la terapia di controllo metabolico, sia prospettivamente in tempo reale, per esempio per generare segnali di allarme quando la concentrazione glicemica oltrepassa le soglie di normalità o nel “pancreas artificiale”. Per quanto concerne le applicazioni in tempo reale, poter prevenire gli eventi critici sarebbe chiaramente più attraente che semplicemente individuarli, contestualmente al loro verificarsi. Ciò sarebbe fattibile se si conoscesse la concentrazione glicemia futura con circa 30-45 min di anticipo. La natura quasi continua del segnale CGM rende possibile l'uso di algoritmi predittivi che possono, potenzialmente, permettere ai pazienti diabetici di ottimizzare le decisioni terapeutiche sulla base della glicemia futura, invece che attuale, dando loro l'opportunità di limitare l'impatto di eventi pericolosi per la salute, se non di evitarli. Dopo l'introduzione nella pratica clinica dei dispositivi CGM, in letteratura, sono stati proposti vari metodi per la predizione a breve termine della glicemia. Si tratta principalmente di algoritmi basati su modelli di serie temporali e la maggior parte di essi utilizza solamente la storia del segnale CGM come ingresso. Tuttavia, le dinamiche glicemiche sono determinate da molti fattori, come la quantità di carboidrati ingeriti durante i pasti, la somministrazione di farmaci, compresa l'insulina, l'attività fisica, lo stress, le emozioni. Inoltre, la variabilità inter- e intra- individuale è elevata. Per questi motivi, predire l'andamento glicemico futuro è difficile e stimolante e c'è margine di miglioramento dei risultati pubblicati finora in letteratura. Lo scopo di questa tesi è investigare la possibilità di predire la concentrazione glicemica futura, nel breve termine, utilizzando modelli basati su reti neurali (Neural Network, NN) e sfruttando, oltre alla storia del segnale CGM, altre informazioni disponibili. Nel dettaglio, inizialmente svilupperemo un nuovo modello che utilizza, come ingressi, il segnale CGM e informazioni relative ai pasti ingeriti, (istante temporale e quantità di carboidrati). L'algoritmo predittivo sarà basato su una NN di tipo feedforward, in parallelo ad un modello lineare. I risultati sono promettenti: il modello è superiore ad algoritmi stato dell'arte ampiamente utilizzati, la predizione è accurata e il guadagno temporale è soddisfacente. Successivamente proporremo un nuovo modello basato su una differente architettura di NN, ovvero una “jump NN”, che fonde i benefici di una NN di tipo feedforward e di un algoritmo lineare, ottenendo risultati simili a quelli del modello precedentemente proposto, nonostante la sua struttura notevolmente più semplice. Per completare l'analisi, valuteremo l'inclusione, tra gli ingressi della jump NN, di segnali ottenuti sfruttando informazioni sulla terapia insulinica (istante temporale e dose dei boli iniettati) e valuteremo l'importanza e l'influenza relativa di ogni ingresso nella determinazione del valore glicemico predetto dalla NN, sviluppando un'originale analisi di sensitività. Tutti i modelli proposti saranno valutati su dati reali di pazienti diabetici di Tipo 1, raccolti durante il progetto Europeo FP7 (7th Framework Programme, Settimo Programma Quadro) DIAdvisor. Per valutare l'utilità clinica della predizione e il miglioramento della gestione della terapia diabetica proporremo una nuova strategia per la quantificazione, in simulazione, della riduzione del numero e della gravità degli eventi ipoglicemici nel caso gli allarmi, e la relativa terapia, siano determinati sulla base della concentrazione glicemica predetta, utilizzando il nostro algoritmo basato su NN, invece che su quella misurata dal sensore CGM. Infine, investigheremo, in modo preliminare, la possibilità di includere, tra gli ingressi della NN, ulteriori informazioni, come l'attività fisica. La tesi è organizzata come descritto in seguito. Il Capitolo 1 introduce la patologia diabetica e le attuali tecnologie CGM, presenta le tecniche stato dell'arte utilizzate per la predizione a breve termine della glicemia di pazienti diabetici e specifica gli scopi e le innovazioni della presente tesi. Il Capitolo 2 introduce le basi teoriche delle NN e specifica i dettagli tecnici che abbiamo scelto di adottare per lo sviluppo e l'implementazione di tutte le NN proposte in seguito. Il Capitolo 3 descrive il primo modello proposto, basato su una NN in parallelo a un algoritmo lineare. Il Capitolo 4 presenta una struttura alternativa più semplice, basata su una jump NN, e dimostra la sua equivalenza, in termini di prestazioni, con il modello precedentemente proposto. Il Capitolo 5 apporta ulteriori miglioramenti alla jump NN, aggiungendo nuovi ingressi e investigando la loro utilità effettiva attraverso un'analisi di sensitività. Il Capitolo 6 indica possibili sviluppi futuri, come l'inclusione di informazioni sull'attività fisica, presentando anche un'analisi preliminare. Infine, il Capitolo 7 applica la NN per la generazione di allarmi preventivi per l'ipoglicemia, valutando, in simulazione, il miglioramento della gestione del diabete. Alcuni commenti e osservazioni concludono la tesi.
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