Academic literature on the topic 'Destandardizzazione dei corsi di vita'

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Journal articles on the topic "Destandardizzazione dei corsi di vita"

1

Vannoni, Francesca. "Il contributo dei modelli dei corsi di vita allo studio delle disuguaglianze sociali di salute." SALUTE E SOCIETÀ, no. 1 (March 2009): 194–98. http://dx.doi.org/10.3280/ses2009-001017.

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2

Toraldo, Domenico Maurizio. "Il trattamento del cancro polmonare: evidenze scientifiche e valori bioetici in conflitto nelle scelte terapeutiche." Medicina e Morale 50, no. 4 (August 31, 2001): 741–78. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2001.732.

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Abstract:
Il cancro del polmone costituisce una delle principali cause di morte dei paesi europei. La malattia se inoperabile ha una prognosi generalmente infausta e circa l’80% dei pazienti muore entro un anno dalla diagnosi. Stabilire un efficace piano di trattamento costituisce una priorità di salute pubblica e oggetto di continuo dibattito scientifico. La diagnosi precoce offre la possibilità al malato di usufruire del trattamento chirurgico che può guarire la malattia. La polichemioterapia e la radioterapia si rivelano spesso fallimentari e nel migliore dei casi possono allungare di qualche mese la vita del malato al costo di sofferenze importanti. Nella pratica clinica in molti ospedali italiani pur non esistendo un protocollo diagnostico-terapeutico di riferimento, e il trattamento medico viene proposto, nella maggior parte dei casi, senza un adeguato consenso informato che spieghi al paziente le difficoltà e la complessità terapeutiche ed il paziente nella maggior parte dei casi non partecipa alle decisioni che lo riguardano. L’Autore attraverso una revisione della letteratura scientifica recente mette a punto il problema dal punto di vista tecnico e affronta contestualmente i numerosi problemi bioetici e deontologici sollevati dall’assenza sia di un’etica della comunicazione nelle problematiche della diagnosi e della terapia sia della relazione di cura cioè nella conduzione della terapia nel tempo, mettendo in evidenza le inesauribili possibilità curative che il medico dovrebbe evidenziare con la su presenza e con il suo attaccamento al malato. Viene analizzato il ruolo decisivo del medico nelle ultime fasi della vita del paziente e l’utilità della medicina palliativa nella sedazione del dolore e nel controllo dei sintomi come forma di rispetto della dignità della persona. Infine l’Autore auspica la necessità di una formazione etica e deontologica attraverso corsi di aggiornamento obbligatorio del medico ospedaliero per poter acquisire una consapevolezza dei valori in gioco.
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3

Maconi, Simone. "Un tentativo di propaganda locale: i protagonisti dell'Istituto fascista di cultura di Milano negli anni Venti." STORIA IN LOMBARDIA, no. 1 (September 2022): 94–114. http://dx.doi.org/10.3280/sil2022-001003.

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Abstract:
Nel 1924 nasce a Milano l'Istituto fascista di cultura. I suoi fondatori sono il presidente Dino Alfieri e il direttore Leo Pollini. Entrambi danno vita al nuovo ente con l'intenzione di arginare la violenza squadrista attraverso il dibattito culturale. Successivamente Alfieri pone come obiettivo principale quello di diffondere i principi fascisti tra i cittadini milanesi non inquadrati nel Partito. Ad affiancarlo è presente Pollini, il quale organizza le attività da cui emergono i tratti identificativi dell'Istituto, come il legame con Milano o l'educazione delle nuove generazioni. Il suo operato è guidato da una concezione elitaria della cultura che impedisce tuttavia il raggiungimento degli scopi del presidente. La prova è data dai corsi del quinto anno accademico, ideati appositamente a fini propagandistici. La scelta delle lezioni e dei conferenzieri dimostra la capacità dell'Istituto di procurarsi le attenzioni del regime e la collaborazione di intellettuali di prestigio, sebbene non sempre aderenti all'ideologia fascista, ma anche la difficoltà a includere la popolazione milanese. Il presente saggio si propone dunque di analizzare il ruolo dell'Istituto nella propaganda locale e i suoi risultati.
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Pistellini, Nadia. "Anna Fraentzel Celli ed il suo ideale di Infermiera attraverso l'analisi di fonti archivistiche." Dissertation Nursing 2, no. 1 (January 30, 2023): 86–109. http://dx.doi.org/10.54103/dn/19399.

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Abstract:
INTRODUZIONENell’ultimo decennio dell’Ottocento emerse l’esigenza di formare una figura infermieristica che assistesse i malati efficacemente. In Italia vennero istituiti i primi Corsi per Infermiere laiche con l’obiettivo di introdurre un’istruzione adeguata per lo svolgimento della professione. Questo fu possibile grazie alla collaborazione di due figure di rilievo dell’epoca, Anna Frantzel Celli (1878-1958) ed Ersilia Majno (1859-1933), attiviste dell’Unione Nazionale Femminile che riuscirono a porre le prime basi della formazione professionale Infermieristica. SCOPORipercorrere ed indagare il ruolo che ebbe Anna Fraentzel Celli nello sviluppo della professione infermieristica. MATERIALI E METODIPer la realizzazione dell’elaborato sono state consultate le banche dati PubMed, JSTOR e Historical Abstracts, testi storici e fonti archivistiche fra cui “Uomini che non scompaiono”, biografia scritta dalla stessa Celli sotto lo pseudonimo di “Heid L.M.” esistente in poche copie nel mondo. RISULTATISono state approfondite tematiche legate alla formazione infermieristica attraverso l’istituzione dei primi corsi per Infermieri laici sul territorio nazionale antecedente al Regio Decreto 1832 del 1925, che contribuì ad assicurare la graduale evoluzione del personale assistenziale, la fondazione del Comitato per le Scuole e la successiva costruzione di scuole nell’Agro Romano. E’ stato reperito materiale concernente un’estesa campagna di ricerca, prevenzione e cura contro la malaria nelle Campagne Romane e l’apertura di uno fra i primi ambulatori a gestione infermieristica denominato “La Scarpetta”. DISCUSSIONI E CONCLUSIONISono state evidenziate tappe inattese che hanno caratterizzato la vita e il percorso di Anna Fraentzel Celli, identificando in esse la chiave di volta nel raggiungimento dell’assistenza moderna.
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Maisto, Antonella, Maria Gabriella Schettino, and Francesco De Caro. "La formazione al tempo del Covid." La Sanità Pubblica. Ricerca applicata 2, no. 2 (July 25, 2021): 99–104. http://dx.doi.org/10.48268/covid/2021/0001.4.

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Abstract:
La formazione non è appannaggio solo del sistema scolastico ma è propria anche del mondo professionale e aziendale. Nei mesi di emergenza Covid vi è stata l'immediata urgenza di assicurare la continuità della formazione per corsi imprescindibili quali: Salute, Sicurezza e Ambiente. Si è delineato un mondo a due velocità, nel quale una parte ha dovuto rallentare o addirittura fermarsi, mentre l'altra ha subito un’accelerazione improvvisa ed in quest’ultima rientra la Sanità “in prima linea”, posta di fronte ad un fenomeno nuovo e, soprattutto, da affrontare e studiare contemponeamente. La recente epidemia da SARS Cov 19 ha determinato un radicale cambiamento nelle organizzazioni sanitarie come in tutte le organizzazioni che coinvolgono la vita ed il lavoro degli uomini, impossibilitati a proseguire con le abitudinarie modalità relazioni professionali e personali. Ma uno dei settori che in epoca Covid non si è potuto arrestare è la Sanità e la Ricerca: dove c’è ricerca c’è formazione ed informazione; quindi, anche se i decreti hanno chiesto di evitare assembramenti ed hanno chiuso le aule, d’altro canto hanno chiesto di non chiudere i canali di formazione ed informazione. Questi non si sono arrestati ma sono stati oggetto di trasformazione, evoluzione e cambiamento: parole come DAD, FAD, e-learning, ma anche webinar, videoconferenza, smart-working, prima conosciute e utilizzate solo dagli esperti di settore o in specifici contesti, sono divenute in un breve lasso di tempo di uso comune.
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"IL CAREGIVER TRA TUTELA NORMATIVA, COMUNICAZIONE E STILE DI VITA." Diritto Dello Sport 1, no. 2 - 2020 (October 20, 2020). http://dx.doi.org/10.30682/disp0102c.

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Abstract:
"Scopo di questo articolo è quello di far rilevare al lettore come quella che si definisce nel testo una categoria, cioè quella dei caregiver, è diventata in questi anni una categoria che il Legislatore deve tenere sempre più in considerazione al fine di migliorarne lo stile di vita. Il disegno di legge 1461 del 2019 , ribadisce il valore sociale ed economico dell’attività di cura svolta da parte del caregiver familiare previsto già nella Legge 27 dicembre, n. 205 e introduce alcuni elementi quali: la nomina, i contributi figurativi e la tutela previdenziale, le agevolazioni nel settore sociale e le possibili detrazioni fiscali, la conciliazione tra assistenza e lavoro, le agevolazioni nel settore sociale e le possibili detrazioni fiscali e infine, l’accesso ai benefici, tutti elementi utili a caratterizzarne il ruolo. Considerando poi che il caregiver è sottoposto a un’attività fisica fatta di movimenti abituali e routinari, diventa determinante, per migliorarne le condizioni fisiche, l’uso di una apposita ed adeguata strumentazione che, rispetto all’età, aiuti a migliorarne le condizioni e lo stile di vita. L’articolo è un momento di riflessione per una categoria bisognosa di tutela normativa, una categoria che in silenzio aspetta un conforto, un riconoscimento ed una tutela dal Legislatore, una categoria soggetta a forte stress ossidativo, che ha bisogno di capire come rapportarsi e comunicare con l’ammalato o con il soggetto disabile che assiste, e che quando lo fa, riesce a farlo per esperienza e non attraverso appositi corsi formativi dei quali avrebbe estremo bisogno. "
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Dissertations / Theses on the topic "Destandardizzazione dei corsi di vita"

1

ARGENTIN, GIANLUCA. "Lauree, competizione di mercato e riproduzione sociale. Caratteristiche, percorsi ed esiti occupazionali dei neolaureati italiani in un contesto in rapido mutamento." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2010. http://hdl.handle.net/10281/13196.

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Abstract:
In recent years, two main reforms have occurred in Italy, changing the general context where youth transition processes take place. First of all, there has been a deep labour market deregulation. This has increased the amount of unstable job positions, especially among cohorts looking for their first job after 1997. Secondly, but no less importantly, there has been an increase in the enrolment rate to tertiary education and the Bologna process introduced relevant innovation to the Italian University system. The graduate population is then, not only an increasing part of the overall youth population of the country, but also the subgroup which has been doubly affected by the reforms. For this reason, I decided to investigate this subgroup of young people more deeply, analysing how the transition from university to work has changed over time. I used the last five waves of the ISTAT Survey on the transition to work of University graduates (1995 to 2007) and an AlmaLaurea database to investigate the graduates labour market condition five years after the degree. I use mainly multinomial logistic regression models and I adopted the marginal effects approach to compare models over time and between groups. I also used propensity score matching. I observed that there has been a de-standardization process: the typical “from university to work” description is no longer a good representation of the concrete processes taking place after the graduation. In fact there has been an increase in participation in the labour market before graduation (anticipation in the transition process) and to post-tertiary enrolment (delay). Moreover, there has been in recent years an increase in the unstable job position of graduates three years after graduation. This de-standardization process does not imply individualization: social origins and gender continue to shape the graduates transition into labour market. It seems that two main pathways are emerging: the first, more frequent for children coming from higher social origins, is based on fast transition through University with a high performance that leads to post-tertiary enrolment; the second, more frequent among lower origins students is, instead a mix of work and study during university which leads more frequently to a stable occupation after the degree, but paying the price of higher over-education. This suggests that, in a context of expansion of higher education, the returns to it could differ among social classes.
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SBRANA, ALESSANDRO. "Faculty Development Centri di Professionalità Accademica (CPA)." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251175.

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Abstract:
mondo universitario ha subito un’ondata di cambiamenti che si possono ricondurre alla ricerca dell’eccellenza, declinata secondo le due dimensioni della valutazione e della rendicontazione. Tre sono quelli più evidenti: il primo, il passaggio da una ricerca curiosity driven a una ricerca funzionale al raggiungimento di risultati valutabili in tempi brevi; dalla ricerca pura a quella applicata, da un approccio problem-making a uno problem-solving, da una conoscenza come processo a una conoscenza come prodotto, da un modello disinteressato a uno utilitaristico (Barnett, 1994); il secondo, riguardante l’offerta formativa: dal momento che si è modificato il modo di concepire l’apprendimento; i curricula tendono a essere definiti in termini di risultati di apprendimento predefiniti (Blackmore, 2016); il terzo, peculiare della struttura amministrativa: dal momento in cui sono divenute essenziali una serie di nuove sovrastrutture (programmazione, valutazione, controlli, comunicazione) rispetto al mandato originario della struttura universitaria si registra un aumento consistente del personale delle strutture amministrative. Questi cambiamenti devono fare i conti con la perdita di prestigio della vita accademica, il cambiamento del ruolo dello studente, che è diventato sempre più importante e l’aumento delle procedure burocratiche che rischiano di ingessare un sistema un tempo caratterizzato da un’elevata autonomia. Per consentire alle strutture universitarie di affrontare le sfide culturali a partire dagli anni Settanta nelle università nord-americane si sono strutturate iniziative finalizzate allo sviluppo e alla promozione di una migliore offerta formativa. Tali iniziative vengono definite con l’espressione Faculty Development (FD), una policy accademica finalizzata a creare le condizioni per un miglioramento delle competenze di tutti coloro che sono coinvolti nelle attività svolte in un ateneo. Nella realtà italiana emerge la mancanza di una vera politica di formazione al teaching per i ricercatori e i docenti universitari, per non parlare dell’esigenza di superare il pregiudizio, di gentiliana memoria, secondo il quale non è necessario apprendere a insegnare, ma sia sufficiente avere successo nella ricerca, cui si aggiunge nell’ultimo decennio una continua e affannata richiesta al personale accademico di azioni organizzative, valutative e documentali, che assorbono tempo e energie senza il supporto di adeguati apparati gestionali e senza predisporre indagini valutative capaci di misurare l’effettivo esito di tutte queste azioni. L’effetto finale è un evidente declino (Capano et al., 2017) dell’istituzione universitaria. Si può ipotizzare che la cultura del organizzazione propria del Faculty Development possa contribuire nel contesto italiano a fornire azioni a supporto del cambiamento: è quanto mai essenziale dotare gli atenei di risorse funzionali a riqualificare la vita accademica, fornendo al personale accademico gli strumenti necessari per performare una buona scholarship, realizzare un’efficace offerta formativa e attuare adeguate forme di terza missione, capaci di incrementare la vita culturale della comunità. Il presente studio si propone come un’analisi sistematica della letteratura sul tema del Faculty Development, che persegue l’obiettivo di sviluppare una disamina estesa dell’oggetto, in modo che l’esplicitazione della datità raccolta fornisca un’analisi del fenomeno che possa essere di supporto a un’avveduta educational policy nel campo della formazione universitaria. Nel contesto italiano ad oggi non esiste una cultura di attenzione ai contesti di apprendimento universitario. L’offerta formativa è concepita come offerta di pacchetti curriculari e la predisposizione delle condizioni di apprendimento per il conseguimento del titolo universitario si risolve nella organizzazione di una serie di lezioni, frontali o laboratoriali, senza che tutto questo sia innervato da una specifica intenzionalità didattica. Questa immagine poco confortante non intende affatto trascurare tutti i casi di buone prassi sviluppati nei vari corsi di studio, ma il buono che emerge è demandato all’impegno del singolo, senza che l’istituzione universitaria si interroghi sul come predisporre le condizioni per il potenziamento della qualità dei processi di apprendimento. A fronte di questa situazione la necessità di migliorare la qualità dell’insegnamento non è mai stata così stringente e sfidante come lo è oggi, in un clima di continuo cambiamento della formazione superiore. Nuove tendenze definiscono la formazione superiore, attraversando confini istituzionali e nazionali. Essi influiscono sul modo in cui un insegnamento efficace viene concettualizzato, condotto e supportato, valutato, valorizzato e riconosciuto. È necessario affrontare temi quali l’inadeguata preparazione per il lavoro accademico nei corsi di studio magistrali, l’incapacità dei docenti a trasferire competenze, la crescente complessità degli ambienti accademici, le attese e le responsabilità istituzionali, la necessità di preparare meglio gli studenti con bisogni diversi, e la necessità di stare al passo con i balzi della conoscenza e i cambiamenti nelle professioni. Migliorare la qualità della didattica è inoltre essenziale perché consente di ridurre il numero degli abbandoni. È venuto il momento di transitare da un’offerta formativa di tipo episodico a una prospettiva di esperienze di apprendimento in continuità nel tempo, per accompagnare la formazione dei docenti in un modo strutturalmente organizzato (Webster-Wright, 2009). Sulla base della rilevazione fenomenica, sono emerse le seguenti domande di ricerca: che cosa è il FD? Cosa consente di fare? Come si mette in pratica? Quali sono le potenzialità? Quali sono i limiti? Il FD ha il compito di incentivare i docenti ad interessarsi ai processi di insegnamento e apprendimento e a procurare un ambiente sicuro e positivo nel quale fare ricerca, sperimentare, valutare e adottare nuovi metodi (Lancaster et al. 2014). È finalizzato a promuovere cambiamento sia a livello individuale sia a livello organizzativo. Occupa un posto centrale il miglioramento delle competenze di teaching (Steinert, 2014). Due importanti obiettivi sono rappresentati dalla promozione delle capacità di leadership e di gestione dei contesti (Steiner et al., 2012). Una volta definite le metodologie del teaching, che possono essere oggetto di apprendimento da parte del personale accademico, è risultato necessario identificare le principali modalità formative che un centro di Faculty Development (FDc) dovrebbe mettere in atto per favorire l’apprendimento delle competenze didattiche. Per comprenderne la funzione reale è stato utile prendere in esame le attività proposte dai più importanti centri del panorama accademico nordamericano, analizzandone la struttura organizzativa, le risorse disponibili ed identificandone le due figure principali: il responsabile dell’organizzazione dei processi formativi e il responsabile della struttura. L’analisi dei casi ha consentito di evidenziare i molteplici servizi che possono essere forniti da un FDc. Questa analisi di realtà è risultata molto utile poiché ha offerto indicazioni pragmatiche ai fini di una politica accademica innovativa anche in ambito italiano. Alla luce degli argomenti sviluppati è stato possibile ipotizzare anche per gli atenei italiani l’istituzione di “Centri per la professionalità accademica”, indicando possibili iniziative da essi realizzabili, che potrebbero trovare spazio nella realtà del nostro paese.
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Books on the topic "Destandardizzazione dei corsi di vita"

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Bosco, Nicoletta, and Nicola Negri. Corsi di vita, povertà e vulnerabilità sociale: Metodi per lo studio dinamico dei rischi di povertà. Milano: Guerini scientifica, 2003.

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Coonan, Carmel Mary, Ada Bier, and Elena Ballarin. La didattica delle lingue nel nuovo millennio. Venice: Edizioni Ca' Foscari, 2018. http://dx.doi.org/10.30687/978-88-6969-227-7.

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Abstract:
Atti del IV Congresso della società di Didattica delle Lingue e Linguistica Educativa DILLE (Università Ca’ Foscari Venezia, 2-4 febbraio 2017). Il fenomeno dell’internazionalizzazione è sempre più presente in ogni sfera della vita economica, sociale e culturale del paese. In ambito educativo, l’internazionalizzazione è associata a nuove condizioni culturali e linguistiche, nuove esigenze e problemi, e i suoi effetti sono ad ampio raggio, dal momento che il fenomeno produce un impatto importante sull’educazione linguistica, sui programmi formativi per gli studenti, sulla formazione dei docenti, sull’erogazione di corsi. Dietro lo sfondo della crescente natura internazionale del sistema educativo, i contributi presentati al Congresso hanno esplorato le implicazioni per l’insegnamento/apprendimento delle lingue e per l’educazione linguistica in generale.
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Casalbuoni, Roberto, Giovanni Frosali, and Giuseppe Pelosi, eds. Enrico Fermi a Firenze. Florence: Firenze University Press, 2014. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6655-673-2.

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Abstract:
Enrico Fermi – Premio Nobel per la Fisica nel 1938 – ha insegnato alla Regia Università degli Studi di Firenze. La permanenza di Fermi a Firenze fu breve, solo due anni accademici (1924-25 e 1925-26); in questi anni tenne i corsi di «Fisica Matematica» e di «Meccanica Razionale». Il presente volume è un contributo alla ricostruzione di questo periodo non molto noto della vita di Fermi, ma segnato scientificamente dalla pubblicazione della statistica che prende il suo nome, base tra l’altro della fisica dei semiconduttori e quindi dell’elettronica moderna. Vengono anche riprodotte nel testo le «Lezioni di Meccanica Razionale» tenute da Enrico Fermi nel periodo predetto agli studenti di Scienze e del biennio propedeutico agli studi di Ingegneria. I temi affrontati da Enrico Fermi nelle sue lezioni includono la cinematica e la dinamica del punto, la cinematica e la statica dei sistemi rigidi, inclusa la statica di sistemi più in generale. Infine le lezioni contengono le equazioni di «Lagrangia» e alcuni elementi di idromeccanica. Questo libro inaugura una collana di pubblicazioni associata alla rivista «Il Colle di Galileo» della Firenze University Press.
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Casalbuoni, Roberto, Daniele Dominici, and Giuseppe Pelosi, eds. Enrico Fermi a Firenze. Florence: Firenze University Press, 2020. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6453-960-7.

Full text
Abstract:
Enrico Fermi – Premio Nobel per la Fisica nel 1938 – ha insegnato alla Regia Università degli Studi di Firenze. La permanenza di Fermi a Firenze fu breve, solo due anni accademici (1924/25 e 1925/26); in questi anni tenne i corsi di «Fisica Matematica» e di «Meccanica Razionale». Il presente volume è un contributo alla ricostruzione di questo periodo non molto noto della vita di Fermi, ma segnato scientificamente dalla pubblicazione della statistica che prende il suo nome e che porterà Fermi alla ribalta internazionale, grazie alle applicazioni della statistica nei settori più disparati della fisica. Questo lavoro è alla base, tra l’altro, della fisica dei semiconduttori e quindi dell’elettronica moderna. Vengono anche riprodotte nel testo le «Lezioni di Meccanica Razionale» tenute da Enrico Fermi nel periodo predetto agli studenti di Scienze e del biennio propedeutico agli studi di Ingegneria. I temi affrontati da Enrico Fermi nelle sue lezioni includono la cinematica e la dinamica del punto, la cinematica e la statica dei sistemi rigidi, inclusa la statica di sistemi più in generale. Infine le lezioni contengono le equazioni di 'Lagrangia' e alcuni elementi di idromeccanica.
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