Academic literature on the topic 'Criterio dell'aumento del rischio'

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Journal articles on the topic "Criterio dell'aumento del rischio"

1

Bertossi, Francesca. "Il ruolo del microbiota nell'aumento ponderale associato alla terapia antipsicotica." PNEI REVIEW, no. 2 (November 2022): 108–22. http://dx.doi.org/10.3280/pnei2022-002010.

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Abstract:
Per il trattamento di un disturbo mentale severo e la prevenzione delle ricadute sono indicate delle terapie a lungo termine con farmaci antipsi- cotici. Gli antipsicotici di seconda generazione sono associati ad un minor numero di sintomi extrapiramidali, tuttavia sono gravati da importanti effetti collaterali di tipo metabolico e dal rischio di aumento ponderale, effetti mediati sia dai recettori centrali e periferici, sia a modifiche della composizione del microbiota. Numerose sono le evidenze del ruolo del microbiota intestinale nell'indur- re l'aumento ponderale ed i disturbi metabolici indotti dagli antipsicotici di seconda generazione attraverso un alterato segnale dello stimolo della fame e della sazietà, una riduzione della spesa energetica, la modulazione del metabolismo lipidico e glucidico, le modifiche dell'infiammazione e del- la permeabilità della barriera intestinale. Nella prevenzione e nel trattamento integrato dell'aumento ponderale as- sociato alla terapia antipsicotica, oltre alle terapie di tipo farmacologico, i programmi nutrizionali e l'attività fisica trova impiego un approccio volto a modulare il microbiota intestinale per correggere la disbiosi. Tra i diversi probiotici impiegati quello più promettente sembra essere l'Akkermansia muchiniphila.
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2

Fullin, Giovanna. "Per una "etnicizzazione" degli studi sul mercato del lavoro italiano. Alcuni esempi in tema di disoccupazione e segregazione occupazionale." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 126 (May 2012): 53–69. http://dx.doi.org/10.3280/sl2012-126004.

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Abstract:
L'articolo si propone di far emergere alcune linee di segmentazione del mercato del lavoro italiano su base etnica, mettendo sistematicamente a confronto immigrati e popolazione autoctona. L'analisi, basata sui dati della rilevazione Istat sulle forze lavoro, ha preso in considerazione innanzitutto la penalizzazione degli immigrati in termini di rischio di disoccupazione, mettendo in luce in che misura questi ultimi corrano maggiori rischi della popolazione autoctona di rimanere senza un impiego anche quando hanno caratteristiche analoghe in termini di etŕ, livello di istruzione, condizione famigliare e regione di residenza. Partendo da alcuni risultati giŕ noti in letteratura, l'attenzione si č concentrata sui primi effetti della crisi economica, che ha colpito in modo diseguale le due sottopopolazioni, accentuando la penalizzazione degli immigrati rispetto ai nativi, soprattutto per la componente maschile. Il secondo aspetto dell'inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano su cui si č concentrata l'analisi riguarda la loro segregazione nei livelli piů bassi della struttura occupazionale. A questo riguardo le analisi mettono chiaramente in luce le diseguaglianze tra immigrati e autoctoni, anche a paritŕ di etŕ, livello di istruzione e distribuzione sul territorio nazionale. Le stime mostrano, inoltre, che i rendimenti dell'istruzione sono molto maggiori per gli autoctoni che non per gli immigrati: per questi ultimi, infatti, il possesso di un titolo di studio elevato non determina una riduzione sostanziale del rischio di rimanere segregati in attivitŕ manuali, mentre ciň accade in modo evidente per i nati in Italia. Infine, la recente crisi economica sembra aver peggiorato molto la situazione, soprattutto per le donne immigrate. Queste ultime hanno risentito meno dell'aumento della disoccupazione - che č pesato soprattutto sulla componente maschile - ma al prezzo di una sempre maggior segregazione nel lavoro di cura per le famiglie.
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3

Serra, Angelo, and Grazia Bellanova. "Accertamento prenatale di rischio di patologia cromosomica fetale." Medicina e Morale 46, no. 1 (February 28, 1997): 15–35. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.886.

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Abstract:
Da circa trenta anni la diagnosi prenatale di sindromi causate da alterazioni dell’informazione genetica è entrata nella prassi dell’assistenza medica. Criteri deontologici e considerazioni etiche circa il rispetto delle giuste esigenze e diritti della coppia parentale, da una parte, e dell’incolumità del concepito, dall’altra, avevano portato a stabilire alcune precise indicazioni per l’esecuzione della diagnosi prenatale: l’età della madre non doveva essere superiore ai 35-38 anni. Nella prospettiva eugenistica che sta prevalendo nella società, appoggiata anche da provvedimenti legislativi, tale criterio venne considerato insufficiente perchè sarebbero rimasti a farne parte ancora troppi soggetti “indesiderati”, affetti da serie e gravi malformazioni. Furono, perciò, intraprese indagini al fine di trovare altri parametri atti a rivelare abbastanza presto durante la gravidanza un aumentato rischio di patologia cromosomica per un embrione o un feto, quali il test delle alfa-feto-proteine, e il triplo-test. Dal punto di vista etico, è buona e lecita la ricerca di un corretto ed efficiente metodo predittivo di rischio di feto affetto da patologia cromosomica e la sua applicazione qualora il fine per cui il metodo venga applicato sia buono, ossia non abbia scopi eugenetici, e non rechi danno alla donna, al bambino o alla società. Dal punto di vista deontologico, supposta la bontà etica gli autori sottolineano soprattutto l’obbligo del consenso informato all’esame, ossia una completa e rigorosa informazione e un severo controllo di qualità; in altri termini, un accertamento esatto dell’età gestazionale del feto e una corretta definizione del rischio.
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4

Bruno, Sabrina. "Le contestazioni degli Attorney General americani alla luce del diritto eurounionale." Trusts, no. 6 (December 1, 2022): 1102–7. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.222.

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Abstract:
Tesi Il cambiamento climatico è un rischio di natura finanziaria e non un criterio etico. Gli investitori istituzionali ed i gestori di attivi devono pertanto tenerne conto, nella gestione delle azioni, al fine di perseguire l’interesse dei beneficiari e dei clienti quale contenuto del duty of care verso questi. Trattasi di un principio generale applicabile in tutti gli ordinamenti a prescindere dall’esistenza di una disciplina specifica in tal senso. The author’s view Climate change is a financial risk and not an ethical criterion. Institutional investors and asset managers must therefore take this into account when managing shares in order to pursue the interest of beneficiaries and clients as the content of the duty of care towards them. This is a general principle applicable in all legal systems irrespective of the existence of specific regulations to this effect.
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Bompiani, A. "Riflessioni etiche sulla produzione e commercializzazione di organismi animali e vegetali geneticamente modificati." Medicina e Morale 49, no. 3 (June 30, 2000): 449–504. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.781.

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Abstract:
L’Autore esamina sotto l’aspetto etico il vasto dibattito in corso sulle biotecnologie, riferendosi in particolare agli organismi geneticamente modificati. L’Autore approfondisce l’attuale concorso delle biotecnologie allo sviluppo umano, soffermandosi sull’eticità della “manipolazione” della natura vivente secondo una visione antropocentrica moderata, nella adeguata tutela della biodiversità ambientale e di un sufficiente grado di benessere animale. L’articolo si sofferma poi sui “rischi”, che costituisce una delle principali domande etiche maggiormente avvertite dall’opinione pubblica. Riconoscendo la difficoltà attuale di una valutazione epidemiologica precisa del “rischio” derivante dall’uso di alimenti geneticamente modificati attualmente commercializzati per la salute umana, lo studio si conclude affermando che è necessario: 1. Promuovere una maggiore informazione pubblica sui temi complessi delle biotecnologie e degli organismi geneticamente modificati; 2. Sostenere il criterio della valutazione scientifica del rischio, adottando peraltro il “principio di precauzione” (che tuttavia va meglio specificato in senso giuridico nelle applicazioni biotecnologiche); 3. Prevedere uno sviluppo di armonici rapporti fra i diversi settori interessati dalle biotecnologie (produttori, università per le attività di ricerche e formazione, consumatori, etc.), anche mediante l’assunzione dei criteri di massima “trasparenza” e di facoltà di scelta; 4. Assicurare a tutti i popoli della terra i benefici che possono derivare dalle applicazioni biotecnologiche.
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6

Gozzetti, Giovanni. "Dalla superficie alla profonditŕ. Un equivoco epistemologico circa fenomenologia e psicoanalisi." GRUPPI, no. 3 (May 2010): 11–18. http://dx.doi.org/10.3280/gru2009-003002.

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Abstract:
Superficie e profonditŕ indicano una dimensionalitŕ dal fuori al dentro, che richiama la topica di Freud e ha rapporti con alcune immagini derivate dalla fenomenologia di Husserl, che riguardano una concezione stratificata della psiche. I manuali diagnostici come i DSM esigono obbedienza e concedono come premio l'esattezza diagnostica, nei limiti della loro criteriologia. Essi provengono dalle concezioni di un empirista logico, Carl Hempel, e si basano sulla rinuncia alla validitŕ per accontentarsi del piů modesto criterio della affidabilitŕ tra osservatori. Se solo, perň, consultassimo un buon dizionario per esaminare i nostri termini, che, crediamo, in buona fede, neutri, ci accorgeremmo che corriamo il rischio di seppellire il nostro paziente in un nulla di parole artificiose, dal momento che il conoscere, nel nostro campo, non č solo sapere, ma ha la vibrazione del sentire. Siamo cioč costretti, in fondo, ad eleggere la soggettivitŕ a conoscenza, cercando di dare ad essa una consistenza. Karl Jaspers č partito da questo per forgiare il metodo psicopatologico della fenomenologia comprensiva, che ha per base uno strumento, la comprensione, Verstehen, vale a dire la capacitŕ dell'osservatore di mettersi al posto del paziente, grazie alle autodescrizioni, e, per empatia, cogliere i suoi vissuti, rivivendoli. Accanto a questa fenomenologia soggettiva, c'č quella oggettiva, che vuole accedere direttamente ai fenomeni psicopatologici. L'indagine fenomenologica obiettiva ha per momento iniziale la "riduzione", da intendersi come il metodo per il quale metto momentaneamente tra parentesi ogni teoria data, in modo da cercare di raggiungere una descrizione "pura" dei fenomeni. Metto tra parentesi e conservo: il metodo fenomenologico non č qui inteso come un rifiutare il sapere psichiatrico e psicoanalitico, ma come un esercizio, che permette di avvicinarsi a quella conoscenza implicita che non nega la conoscenza abituale. Si cerca quello che giŕ si sa, senza averne conoscenza esplicita e questo sapere implicito lo scopriamo in modo semplice e rigoroso, con uno sguardo attento alla descrizione di superficie. «Nel lavoro scientifico, dice Freud, č piů promettente affrontare il materiale che ci sta di fronte, per la cui indagine si apre uno spiraglio. Se lo si fa con scrupolo, senza ipotesi o aspettative preconcette, e se si ha fortuna, anche da un lavoro cosě privo di pretese puň scaturire l'appiglio allo studio dei grandi problemi, grazie al nesso che lega tutto con tutto, anche il piccolo col grande». Questo potrŕ forse dispiacere a chi ama le scorribande avventurose nello psichismo arcaico, ma forse la superficie puň dare piů interrogativi e celare piů misteri di quanto una teoretica dei primi palpiti di vita possa immaginare e permette comunque di stare col paziente nello stesso luogo in una prossimitŕ di incontro.
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Dissertations / Theses on the topic "Criterio dell'aumento del rischio"

1

MARIOTTI, MARCO. ""Responsabilità colposa 'per fatto altrui"." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/630694.

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Abstract:
Il lavoro ha ad oggetto i casi in cui l’agente che ha tenuto una condotta colposa risponde penalmente anche se la lesione del bene giuridico protetto non sia stata da lui direttamente provocata, ma sia piuttosto immediatamente riconducibile alla condotta eterolesiva o al comportamento autolesivo di un altro soggetto. Tale forma di responsabilità “in relazione ad un fatto altrui”, lungi dall’essere del tutto eccezionale, si presenta in numerosi casi di omesso controllo, di inadempiuto obbligo di impedimento del reato altrui, di lavoro in équipe o all’interno di organizzazioni complesse quali grandi realtà produttive. La tesi esplora le problematiche strutturali di questa forma di responsabilità, individuando alcune “note relazionali”, elementi che fanno dipendere la definizione e la misura della responsabilità di chi è meno prossimo alla lesione del bene giuridico anche dalla condotta altrui. L’analisi, che interessa diversi elementi del reato, mira a valutare se a questi tratti di relazionalità corrispondano altrettanti istituti giuridici adeguatamente sviluppati, o se le incertezze dogmatiche e applicative impediscano una chiara ripartizione delle responsabilità tra i vari soggetti coinvolti nella realizzazione del reato. Nell’ambito del fatto tipico, viene analizzato il problema della sovrapposizione ed interruzione del nesso causale tra le diverse condotte e l’evento del reato, e ribadita la validità del paradigma condizionalistico, anche per accertare l’influenza del comportamento di un soggetto sulle deliberazioni prese da un altro (c.d. causalità psichica). Vengono poi criticamente analizzate le diverse teorie sulle fonti delle posizioni di garanzia, in cui la responsabilità del garante esiste e si manifesta necessariamente in dipendenza del comportamento di un altro soggetto. Sul punto, viene svolta una comparazione con l’ordinamento tedesco, che in tempi recenti ha optato per un approccio tassonomico dei singoli casi di omesso impedimento del fatto altrui, in chiave espansiva rispetto al riferimento alle sole fonti legali e negoziali, con il rischio, tuttavia, di aggirare il canone di tipicità. Con riguardo alla colpevolezza, il tema è la dimensione “relazionale” della colpa, che si declina in vari istituti: nella formulazione stessa di alcune regole cautelari che impongono di tener conto della condotta altrui; nel principio di affidamento, che limita la responsabilità dei singoli coinvolti in un’azione plurisoggettiva, e richiede un delicata individuazione dei suoi confini per non generare vuoti di tutela; nell’annoso tema della c.d. “causalità della colpa”, in particolare poiché l’interposizione della condotta di un altro soggetto rende quantomai incerta la verifica dell’evitabilità dell’evento. Infine, vengono esplorati i travagliati istituti concorsuali colposi. Dopo aver evidenziato le incertezze strutturali e la limitata funzione incriminatrice della cooperazione colposa, viene affermata la sostanziale inutilità dell’istituto: proprio grazie alle numerose “note relazionali” presenti nella struttura del reato, la parametrazione della responsabilità del singolo può tenere conto dell’interazione con un altro soggetto anche nella forma monosoggettiva. Ancora più significativi i dubbi concernenti il concorso colposo in reato doloso. Da ultimo, viene sostenuta l’autonomia dell’imputazione ex art. 40, comma 2 c.p. rispetto alle figure concorsuali, dal momento che anch’essa esprime una responsabilità monosoggettiva, anche se in un contesto plurisoggettivo.
This thesis provides a critical analysis of the circumstances in which an agent, who performs a negligent act, is held criminally liable for damage which was however not directly caused by his or her negligent act, but rather was caused by the act of another (with the view of causing damage either to another or to itself). This form of criminal liability “in relation to the conduct of another”, far from being exceptional, is common in many cases of failure to control or failure to prevent the commission of criminal offences by others, particularly in the context of team-working, and even more so within complex organisations having large corporate structures. The thesis examines the structural problems with this form of criminal liability. It identifies “relational elements”, the elements which enable the creation of a link between the responsibility of the agent whose conduct was the furthest to the damage, and the conduct of those having directly caused the damage. These relational elements impact both the basis on which liability attaches to the negligent agent, and the extent to which this liability exists. This analysis will cover both elements of a criminal offence, that is both the actus reus and the mens rea, with the aim of evaluating whether the legal framework at its current state effectively deals with “relational elements” as grounds for attaching liability, or whether too many uncertainties subsist when making this link– in both theoretical and practical terms– which prevent the clear and effective allocation of criminal liability among the different agents involved. First of all, with regards to the actus reus, this paper addresses the issue of concurring and intervening causes which may break the chain of causality between the agent’s action and the consequence of the actus reus, reaffirming the “sine qua non” paradigm. Furthermore, the research assesses the relevance in this context of the influence which one agent’s behaviour can have on the decisions subsequently taken by others, (known as a “psychological cause” of an action). The paper also critically analyses different theories regarding the basis of guarantees, whereby the guarantor’s liability only exists in relation to the act of another. On this point, a comparative analysis has highlighted how German case law has developed in such a way as to allow guarantees to arise from a factual basis, as opposed to solely through contract or other legally binding instruments, thus running the risk of violating the rule of law. Secondly, with regard to the mens rea element of an offence, the research examines three different examples of “relational elements”, by which another’s conduct needs to be taken into consideration, therefore entering into the mens rea element: (i) precautionary rules which can require the agent to observe another subject’s behaviour and to act accordingly; (ii) the expectation that other subjects involved will act lawfully, which needs to be accurately evaluated in order not to leave any gaps in the prevention of crime; (iii) the complex issue of foreseeability and avoidability of the consequences of one’s conduct, becomes even more intricate with the interposition of another’s conduct. Lastly, the paper will focus on joint enterprise in negligence cases. Having first of all stressed the structural uncertainties and the limited prosecutorial use of the concept of joint enterprise in the context of negligence offences, the thesis argues that through the different “relational elements” present in an offence, each agent’s liability can be independently determined by taking into account the interactions with others. It is worth noting that in the case where the mens rea element of an offence requires intentional participation to another’s negligent behaviour, these uncertainties appear to be even greater. In conclusion, the paper will point out that the liability of guarantors is independent from their participation in the joint criminal enterprise, as this type of liability arises from the guarantee itself.
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