Academic literature on the topic 'Criminalità ambientale'

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Journal articles on the topic "Criminalità ambientale"

1

Simioli, Maria. "Un racconto lungo la domiziana. il valore del vivere informale." CRIOS, no. 22 (March 2022): 72–79. http://dx.doi.org/10.3280/crios2021-022007.

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Abstract:
"Quali sono le ragioni che in poco più di trent'anni hanno portato a questo drastico cambiamento?" È a partire da questa domanda che l'autore tenta di ricostruire, in un volume che raccoglie le testimonianze di oltre cinquanta intervistati, la trama di una complessa vicenda che ha segnato, a partire dagli anni '80, il declino di un'intera area. Una narrazione che avviene su un doppio binario, in superficie il vivere informale dei tanti migranti giunti a Castel Volturno, e sullo sfondo la crisi economica, politica, sociale ed ambientale dove i fenomeni di abusivo costiero, la speculazione edilizia, la diffusa rete capillare della criminalità organizzata e il depauperamento delle risorse ambientali, non solo costituiscono la cornice entro cui queste vicende si disvelano ma rappresentano la radice del problema.
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Bulsei, Gian-Luigi. "Strategie solidali. Organizzazioni nonprofit e sviluppo sostenibile." SOCIOLOGIA DEL LAVORO, no. 118 (July 2010): 94–110. http://dx.doi.org/10.3280/sl2010-118007.

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Abstract:
Cosa significa per le organizzazioni nonprofit occuparsi di sviluppo locale? L'articolo analizza tre differenti casi: il coinvolgimento del terzo settore nelle politiche urbane come modalitŕ per integrare interventi materiali e qualitŕ sociale in alcuni quartieri di Torino; la cooperazione sociale come strumento per trasformare la lotta alla criminalitŕ organizzata (la confisca dei beni alla mafia in Sicilia) in opportunitŕ di sviluppo economico e civile; l'impresa sociale di comunitŕ come soluzione innovativa per garantire sostenibilitŕ economica ed ambientale alla produzione di energia in una valle del Trentino. L'autore sostiene che tra organizzazioni nonprofit e territorio c'č un doppio legame: un supporto del contesto locale all'imprenditorialitŕ sociale ed un contributo delle cooperative alla qualitŕ della vita in una determinata area. Un mix di inclusione, attivazione, innovazione sta alla base di strategie solidali per lo sviluppo sostenibile delle societŕ locali.
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Arcidiacono, Caterina, Fortuna Procentese, Agostino Carbone, Maria Grazia Cerasuolo, and Alfredo Natale. "Il modello ecologico come strumento di analisi di una comunitŕ di migranti in una realtŕ locale." PSICOLOGIA DI COMUNITA', no. 1 (September 2010): 41–52. http://dx.doi.org/10.3280/psc2010-001004.

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Abstract:
La ricerca ha voluto applicare il modello ecologico di Prilleltensky allo studio di una realtŕ locale. Lo scopo č stato individuare i fattori che caratterizzano la vita della comunitŕ di immigrati dell'agro aversano. La realtŕ presa in esame č San Marcellino, piccolo paese della periferia Casertana, terra di criminalitŕ, ingiustizia e immigrazione. Č in questo territorio che a trovare la propria dimora č la comunitŕ di musulmani maghrebini, che da anni risiede stabilmente in questi luoghi. Lo studio ha considerato molteplici livelli d'analisi, a partire da quello individuale a quello socio-ambientale, rintracciando i fattori promotori di benessere e all'opposto quelli di rischio. A tal fine, abbiamo utilizzato la Grounded Theory grazie alla quale siamo giunti a costruire teorie di riferimento a partire dalle interviste fornite dai partecipanti. Abbiamo poi considerato il ruolo del potere e della politica nell'informare il benessere di questa comunitŕ, rintracciando i fattori che ci permettono di analizzare questioni solitamente non indagate, come ad esempio, l'inaccessibilitŕ alle infrastrutture, una burocrazia rigida, assenza di tutele legislative. A fungere da supporto sociale č la presenza di associazioni di volontariato, e soprattutto, della moschea locale, luogo d'incontro, supporto e condivisione per eccellenza.
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Bralić, Snježana, and Maja Bezić. "LA RAPPRESENTAZIONE MEDIATICA DEL MIGRANTE TRA ACCOGLIENZA E DIFFIDENZA." Folia linguistica et litteraria XI, no. 30 (2020): 301–17. http://dx.doi.org/10.31902/fll.30.2020.17.

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Abstract:
Negli ultimi decenni del Novecento le nuove guerre, le pulizie etniche e i disastri ambientali hanno creato un alto numero di migranti e profughi, persone in fuga e in transito che si spostano alla ricerca di migliori condizioni di vita. Dato che l'Europa, e in particolar modo l'Italia, si sentono in pericolo, colpiti dalla sindrome d'invasione per i continui arrivi di immigrati, si sono formati nuovi muri, non solo materiali, ma anche muri e frontiere mentali. Il nuovo clima ha favorito la nascita di parole nuove relative ai movimenti migratori e alla percezione della figura del migrante. Con la crescita del fenomeno, si è diffusa un'epidemia di pregiudizi e stereotipi di fronte alle persone percepite come oggettivamente diverse. I termini e le espressioni, a cui si ricorre per indicare i nuovi arrivati, abbondano di etichette del migrante la cui rappresentazione mediatica risulta per lo più negativa. Da diversi studi che trattano questo argomento si percepisce che il discorso mediatico italiano, centrato sull’emergenza, contribuisce alla stereotipizzazione negativa dello straniero, legata alla criminalità e pericolosità. Secondo Maneri e Dal Lago lo straniero viene percepito come una minaccia alla società italiana ed europea e discriminato innanzitutto dal linguaggio usato per rappresentarlo, mentre la contrapposizione tra Noi e Loro viene rafforzata da generalizzazioni e dall’uso del lessico metaforico. Il corpus che si propone di studiare e analizzare si riferisce agli articoli sul tema delle migrazioni, tratti dai due giornali quotidiani italiani di diffusione nazionale. Si prendono in esame gli articoli pubblicati in due periodi diversi, corrispondenti ai differenti contesti sociopolitici della realtà italiana (settembre 2015 e aprile 2017), e in tal modo si tenta di osservare e studiare la lingua nel suo ruolo da protagonista nella costruzione dell’immagine mediatica dei migranti.
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Caria, Marzia. "«Non so scrivere inglese, a momenti neppure italiano… datemi una “giobba” qualsiasi»: gli emigrati italiani nel teatro di Nino Randazzo." Italianistica Debreceniensis 26 (December 1, 2020): 56–68. http://dx.doi.org/10.34102/itde/2020/9381.

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Abstract:
L'articolo prende in esame la rappresentazione culturale, sociale e linguistica degli italiani emigrati in Australia nella scrittura per il teatro di Nino Randazzo, drammaturgo di origine eoliana, emigrato a Melbourne nel 1952, considerato uno degli autori più importanti e prolifici nel contesto della cosiddetta “letteratura dell'emigrazione”, e più in particolare della letteratura italo-australiana in lingua italiana. Di particolare interesse è il tema dei pregiudizi culturali e sociali degli anglo-australiani nei confronti delle persone di origine italiana, etichettati come ignoranti, impossibili da acculturare e disciplinare, in gran parte legati alle organizzazioni criminali, che parlano per lo più una varietà mista di italiano e inglese. Così, in particolare, nella commedia Il Sindaco d'Australia (1981), in cui l'immagine stereotipata (ma esilarante) dell'emigrante del sud Italia, impulsiva e ambiziosa, caratterizzata a livello linguistico dall'uso di termini italo-australiani; e nella commedia Victoria Market (1982), concepita da Randazzo come protesta contro la tendenza degli anglo-australiani a costruire stereotipi nei confronti degli italo-australiani, in questo caso quello del'italiano mafioso. Il teatro di Randazzo, tuttavia, riesce a distinguersi dalle opere della maggior parte dei drammaturghi italo-australiani di prima generazione per il suo tentativo di demistificare in modo divertente tali pregiudizi e luoghi comuni. È nella scelta di un tono popolare della commedia, ottenuta anche attraverso la sapiente mescolanza di forme italiane più tradizionali con termini italo-australiani tipici degli anni in cui sono ambientati gli eventi narrati, che risiedono gli aspetti specifici di questo autore.
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Rosti, Marzia. "Difensori dell’ ambiente, popoli indigeni e violenza organizzata nell’America Latina contemporanea. l’opportunità dell’Acuerdo de Escazú." Rivista di Studi e Ricerche sulla criminalità organizzata 7, no. 4 (June 25, 2022). http://dx.doi.org/10.54103/cross-18073.

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Abstract:
Il saggio ripercorre i contenuti dell’Acuerdo de Escazú, il primo trattato sull’ambiente in vigore da circa un anno fra dodici Stati dell’America Latina, che aspira a realizzare la democrazia ambientale e che impone di proteggere gli ambientalisti. In particolare, si illustra il contesto regionale in cui l’Accordo si inserisce, caratterizzato dall’estrattivismo, dal simmetrico incremento dei conflitti socio-ambientali, della violenza contro gli ambientalisti e contro alcune comunità indigene, che si oppongono all’avanzare della frontiera estrattiva nei loro territori, e dalla presenza in alcune aree della criminalità organizzata.
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Gutiérrez Navarro, Alonso, Luis Enrique Garcìa Barrios, Manuel Parra Vázquez, and Peter Rosset. "De la supresión al manejo del fuego en la Reserva de la Biosfera La Sepultura, Chiapas: perspectivas campesinas." región y sociedad 29, no. 70 (July 14, 2017). http://dx.doi.org/10.22198/rys.2017.70.a329.

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Abstract:
Las políticas sobre el combate de incendios dentro de áreas naturales protegidas han transitado de un enfoque de supresión a uno de manejo del fuego, lo que ha tenido consecuencias para las prácticas y las perspectivas de las poblaciones campesinas. En el estudio la pregunta es cómo la regulación, la restricción y la prohibición del uso y el manejo del fuego, cuyo objetivo es la conservación, confronta, trasforma o criminaliza dichas prácticas en las parcelas. Desde la ecología política se analiza la institucionalización del discurso del fuego en la Reserva de la Biosfera La Sepultura, en Chiapas. Por medio de entrevistas, encuestas y observación participante se reconstruye la modificación de las prácticas y de las perspectivas campesinas en la zona. Los resultados muestran que existe un cambio diferencial en el uso y la percepción del fuego, lo cual refiere a una capacidad adaptativa, junto a una especie de “clientelismo ambiental”, como respuesta a las políticas ambientales del gobierno. Las conclusiones apuntan a conocer la forma en que los habitantes de las áreas naturales protegidas están respondiendo al modelo de conservación neoliberal implementado en el país. From fire suppression to fire management in La Sepultura Biosphere Reserve in Chiapas: peasant perspectivesPolicies on firefighting within protected natural areas have shifted from a suppression approach to one of fire management, which has had consequences for the practices and perspectives of peasant populations. The study poses the question of how regulation, restriction and prohibition on the use and management of fire, whose objective is conservation, confront, transform or criminalize these practices in the parcels. From a political ecology perspective, the institutionalization of the discourse of fire in the La Sepultura Biosphere Reserve in Chiapas is analyzed. Through interviews, surveys and participant observation, modification of practices and peasant perspectives in the area is reconstructed. The results show that there is a differential change in the use and perception of fire, which refers to an adaptive capacity along with a sort of “environmental clientelism,” as a response to governmental environmental policies. The conclusions allow to know the way in which the inhabitants of the protected natural areas are responding to the neoliberal conservation model implemented in the country.
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Pegorini, Marta. "Caccia e bracconaggio come conflitti socio-ambientali in Africa: violenza, ineguaglianze e politiche (neo)coloniali." Geography Notebooks 3, no. 2 (November 19, 2020). http://dx.doi.org/10.7358/gn-2020-002-pego.

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Abstract:
Starting from a reflection about the role held by political ecology, anthropology, critical theories in a possible dialogue between social and environmental dimension, I would like to demonstrate how strong is the connection between them, how much nature is a category culturally created and a translation of specific politics, specific social and power relations: social environmental conflicts totally represent this condition and, in particular, poaching proves to be a context of widespread violence, organized criminality and social economical decay in local contexts, as well as example of cruelty against non human endangered species. Environmental crimes as social environmental conflicts prove the urgency to formulate international politics, create collaborations between governments, NGO, academics, activists and review epistemological categories for a holistic knowledge and interconnected fields of study.
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Dissertations / Theses on the topic "Criminalità ambientale"

1

BONZANNI, LUCA. "CRIMINALITÀ E COMUNITÀ. IL CASO DELLE VALLI BERGAMASCHE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/738710.

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Abstract:
Negli anni recenti, lo studio del fenomeno mafioso ha trovato sempre più “cittadinanza accademica”, attraverso una feconda pluralità di discipline e di approcci, sia in Italia sia nel resto del mondo. Sulla definizione di mafia, gli autori hanno sviluppato un ricco dibattito capace di intrecciare sensibilità e prospettive diverse: la mafia come cultura, la mafia come ordinamento giuridico, la mafia come impresa, la mafia come organizzazione. La letteratura, tuttavia, mostra un vuoto rilevante nella descrizione di quei fenomeni che presentano caratteristiche simili al modello mafioso, ma che non posseggono la storicità, i modelli di autorappresentazione, i codici culturali definiti e specifici che contraddistinguono le mafie. Eppure, lo scenario criminale attuale restituisce un quadro effervescente, popolato di compenetrazioni e ibridazioni tra modelli e organizzazioni, disegnando contesti in cui i confini tra legale e legale sono sempre più labili e indecifrabili. Le domande di ricerca della presente tesi indagano proprio il confine tra il fenomeno mafioso e altre manifestazioni criminali, nonché la possibilità per cui gruppi criminali senza alcun legame con organizzazioni mafiosi sviluppino sistemi di condotte prossimi a quelle più tipicamente espressi dalle mafie sia nei territori tradizionali sia in quelli di più recente insediamento; in particolare, si indagano i fattori di contesto – istituzionali, economici, sociali e culturali – che facilitano la nascita spontanea su un territorio di queste forme autoctone di criminalità organizzata. A un tentativo di risposta si giunge attraverso l’analisi di due casi di studio localizzati nelle valli di Bergamo, provincia a circa 50 chilometri di distanza da Milano, nel Nord Italia. Il primo è il comune di Foppolo, un piccolo villaggio dell’alta valle Brembana (180 abitanti circa), al centro di una importante inchiesta della procura di Bergamo, in cui un gruppo di amministratori locali e imprenditori, dotati di forte legittimazione e consenso, ha monopolizzato la vita economica e amministrativa per oltre un decennio, attraverso pratiche collusive, di micro-violenza e di controllo sociale. Il secondo caso di studio riguarda la Locatelli Costruzioni, storica impresa di Grumello del Monte, località della Val Calepio, che ha sviluppato in modo sistematico pratiche di smaltimento illecito di rifiuti (attività tradizionale della mafia) e di corruzione, costruendo uno strettissimo rapporto col tessuto sociale di riferimento, fatto di controllo del mercato locale del lavoro, legittimazione e giustificazione. In entrambe le vicende, si delinea una istituzionalizzazione delle pratiche illecite. I due casi di studio sono analizzati attraverso una ricerca qualitativa basata su un dataset di circa 30 interviste semi-strutturate a magistrati, poliziotti, giornalisti, sindacalisti, amministratori locali, funzionari pubblici, e sull’analisi di atti giudiziari, documenti istituzionali, archivi di giornale. La cornice teorica di riferimento, d’impronta sociologica, attinge agli studi specifici in materia di organizzazioni criminali e si combina alla sociologia dell’organizzazione e alla sociologia economica. Incrociando le risultanze dei casi di studio con la letteratura sui temi di mafia, criminalità organizzata e criminalità economica, e fornito un tentativo di risposta alle domande di ricerca, lo scopo conclusivo dell’elaborato è giungere una comparazione tra i tratti peculiari – consolidati in letteratura – del modello mafioso e gli output dei casi di studio nei medesimi tratti, al fine di osservare punti di contatto e differenze, e per elaborare l’appropriata definizione applicabile ai fenomeni osservati. Ciò che verrà messo in evidenza – in costante ottica comparativa con le definizioni consolidate di mafia – sono dunque i fattori di genesi, la morfologia organizzativa, le similitudini e le differenze con le mafie tradizionali nel modus operandi, nell’amministrazione della violenza e nel profilo degli attori, la centralità del capitale sociale e del rapporto con la comunità in cui il fenomeno si inserisce.
In the last years, the study of the mafia phenomenon has increasingly found an ‘academic citizenship’ through a prolific plurality of disciplines and approaches. Around the definition of mafia, scholars have developed a rich debate that has intertwined different sensibilities and perspectives: mafia as a culture, mafia as a legal order, mafia as a power, mafia as a company, mafia as an organization. Scientific literature, however, shows a significant void in the description of criminal experiences that have characteristics similar to the mafia model but are not attributable to the mafia, i.e. to organizations characterized by historicity, by models of self-representation, by defined and specific cultural codes. Yet, the current criminal scenario returns an effervescent ‘picture’, populated by interpenetrations and hybridizations between models and organizations, offering contexts in which the boundaries between legal and legal are increasingly blurred and indecipherable. The research questions of the thesis, therefore, investigate the boundary between and other criminal phenomena and the possibility that criminal groups without any link with mafia organizations develop systems of conduct close to those most typically expressed by mafia organizations. In particular, we investigate the ‘contextual factors’ (institutional, economic, social and cultural factors) that facilitate the spontaneous ‘birth’ on a territory of these peculiar, autochthonous criminal groups. To try to answer these questions we have chosen two case studies located in the valleys of Bergamo, a province about 50 kilometres away from Milan, in Northern Italy. The first case concerns the municipality of Foppolo, a small village in the upper Brembana valley (about 180 inhabitants), in which a group of local administrators and entrepreneurs, endowed with strong legitimation and consent, has monopolized economic and administrative local life for over a decade, through a collusive system and practices of micro-violence and social control. The second case study concerns the ‘Locatelli Construction’, a company from Grumello del Monte, a town in the Val Calepio, founded in 1950s, which – simultaneously to the great economic crisis of 2007-2008 – has systematically developed illegal waste disposal (a traditional activity of mafia groups) and corruption, through a very close relationship with the surrounding social fabric, made up of control of the local labour market, connections with local politicians, symbolic violence, legitimation and justificationism. Both events outline an institutionalization of illicit practices. The two case studies are analysed through a qualitative research based on a dataset of about 30 semi-structured interviews with judges, police officers, journalists, trade unionists, officials, and on the analysis of judicial documents, institutional reports, newspapers archives. The theoretical framework (a sociological framework) draws from specific studies on criminal organizations and is combined with the sociology of the organization and economic sociology. Crossing the results of the case studies with the literature on mafia, the final aim of the thesis is to reach a comparison between the peculiar features of mafia model and the outputs from case studies, in order to observe points of contact and differences, and to elaborate the appropriate definition of the observed phenomena.
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2

Pesavento, Valeria <1993&gt. "Politiche ambientali per l’inquinamento e criminalità." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14328.

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Abstract:
Il primo capitolo è incentrato sulla differenza tra beni comuni ed esternalità. Il secondo capitolo tratta delle politiche ambientali sia internazionali che europee. Il terzo capitolo riguarda la criminalità legata all’ambiente.
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Aversano, Tatiana. "Impresa illecita e illecito d'impresa nel quadro della responsabilità degli enti da reato, con riferimento in particolare ai reati associativi." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3424569.

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Abstract:
Thesis: Illegal and illicit business within the framework of the corporate entity’s liability for the offense, with particular emphasis on criminal enterprises. In recent years, the distinction between illicit and illegal business has assumed significant importance in Italian criminal law; the point relates to the relationship between crimes and conspiracy, and the effects of sanctions on assets and particularly confiscation. Part one outlines the concept of illegal business, as it relates to the offense of criminal corporate enterprise, as written in art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001, as defined by L.94 / 2009. Theoretically, the distinction is clear. Illegal business is the result of companies whose economic activity is aimed exclusively at crime. For example, considering a company that operates exclusively in drug trafficking or money laundering or fraudulent misrepresentation to obtain public subsidies, or to a company set up for the sole purpose of committing tax fraud (in particular to VAT). Such activity is akin to the Continuing Criminal Enterprise, punished by the US Code § 848. Illicit business is, by contrast, a crime committed by a company that is operating within the law. The criminal consequences for both are clear. Illegal business is a form of organized crime and normally requires the participation of all members of the company; so all of them can be subject to the confiscation of their assets. Illicit business, on the other hand, holds responsible only those people who commit the crime. For them, confiscation applies only to the product, profit or, at most, their equivalent value. However, new laws and new practices have drastically changed the parameters. The most interesting suggestions come from the analysis of criminal associations that are practiced within "legal contexts". That is the borderline between illicit and illegal organizations. Companies who practice traditional crimes tend to use intimidating methods to make profits that border on lawlessness and extortion. You can find these kinds of criminal organizations, with increasing frequency, in successful businesses with a lot of economic turnover. It’s essential to realize that within companies, there is an important distinction between corporate crime and organized crime, and article 416 of the Italian Criminal Penal Code can be applied only to organized crime. Sometimes the distinction between lawful and unlawful organizations (or business enterprises) is not so clear, especially in the field of Environmental Criminal Law and rules relating to criminal waste. These rules are aimed at entrepreneurs and not at private citizens. The analysis breaks down in two areas of investigation. On the one hand we need to define what makes an organization illegal, even looking into civil law. On the other hand, we also need to examine the rules laid out in art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001. This article was incorporated by Law no.94 / 2009, and was designed to provide timely legislative action against companies who operate with the appearance of legitimacy, but in reality are connected to criminal elements. So, when corporate organizations show evidence of criminal involvement, they are practicing illegal rather than illicit associations. In these cases article 416 of the Italian Criminal Penal Code. et seq. and art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001 can be applied. Article 24 -ter can also be used for a wide range of other crimes not specified in this law. This sets a dangerous precedent for all companies, because this law could be widely interpreted. The problem is that the loose interpretation makes it difficult for companies to create valid and efficient compliance programs. What is more, aspects of the law are being constantly updated. The second part of the thesis examines the conflicts that arise as a result of criminal corporate liability, especially in relation to tax fraud legislation. The lack of specifics in this legislation described in Decree 231/2001 has created a lot of problems and a serious legal debate. Some jurists wish to see the law more strictly applied. Proponents believe that the system should have better overall effectiveness in terms of the fight against tax fraud and tax evasion. Opponents fear that it would create unnecessary obstacles for companies by increasing the number of sanctions that could be brought against them. In general, the legislature's choice of excluding tax fraud from the Decree 231/2001 has been widely criticized and subject to subsequent attention from Parliament, which –in 2013- tried to include tax crimes in the Legislative Decree. Tax fraud is the trademark of organized economic crime. There is an intense need for criminal policy to strengthen the fight against tax evasion. The point is to prevent illegal tax evasion by adopting valid compliance structures and programs. After reviewing the complex debate on the inclusion of tax fraud into the Legislative Decree no. 231/2001, this theses aims to identify multiple methods by which tax fraud has an indirect impact on corporate criminal liability. a) Firstly the Legislative Decree no. 231/2001 already addresses some tax crimes, for example money laundering. b) Secondly, some links have recently been made between tax fraud and Legislative Decree no. 231/2001, for example with the introduction of seizure and confiscation taxes. Finally, the last part of the thesis makes interesting comparisons between the Italian system and corporate criminal liability in China on the one hand, and the Anglo-American model on the other hand. Chinese law provides for different types of crimes, attributable both to persons and to companies. The Chinese model has been qualified as a "social system of personalized responsibility," this expression means a system in which the company has its own will and operating methods, so its actions are not to be confused with those of individuals. Whereas in US law the rules of “diversion procedures” (deviations from the normal sequence of the criminal process before the delivery of sentencing) can also be applied to companies. They are, today, the main instrument used to fight against corporate crimes. Since the '90s, we have noticed the gradual growth of the DPA (deferred prosecution agreement) and NPA (non-prosecution agreement). Also the United Kingdom has recently introduced a specific regulation regarding corporate criminal liability.
Il lavoro si pone l’obiettivo di esaminare un tema di alta difficoltà e complessità. In anni recenti, la distinzione tra impresa illecita e illecito d’impresa ha assunto nel diritto penale italiano un’importanza significativa: il rilievo attiene sia ai rapporti tra concorso di persone nel reato e associazione per delinquere, sia agli effetti dell’applicazione delle sanzioni di natura patrimoniale e della confisca in particolare. La prima parte delinea il concetto di impresa illecita, in rapporto all’illecito penale dell’impresa e alla sua qualificazione avvenuta con l’art. 24-ter del D.Lgs. 231/2001, così come definito dalla L.94/2009. In via teorica e in astratto, la distinzione è precisa. L’impresa penalmente illecita è l’impresa (o società) la cui attività economica è volta esclusivamente al crimine: si pensi ad una società che opera esclusivamente nel traffico degli stupefacenti o nel riciclaggio di denaro o nella percezione fraudolenta di sovvenzioni pubbliche, oppure ad una società costituita al solo scopo di commettere frodi fiscali (all’Iva in particolare). La figura, dunque, è affine al Continuing Criminal Enterprise, punito dal § 848 US Code. L’illecito penale dell’impresa è, invece, il reato commesso episodicamente da un’impresa dedita ad un’ attività economica lecita in sé. La distinzione, ancora in via teorica ed in astratto, è precisa anche per le conseguenze penali. L’impresa penalmente illecita si colloca nel campo della criminalità organizzata e comporta normalmente l’applicazione dei delitti associativi a tutti i soggetti partecipi dell’impresa; nel contempo la confisca si può applicare all’impresa nel suo complesso. L’illecito penale dell’impresa (lecita), invece, comporta la responsabilità soltanto del soggetto che ha commesso quel reato che sia riconducibile all’impresa: se i soggetti sono più di uno si applica l’istituto del concorso di persone; nel contempo, la confisca riguarda soltanto il prodotto, profitto, prezzo di quel reato o, tutt’al più, il valore equivalente di essi. Tuttavia, nuove leggi e nuove prassi hanno mutato profondamente i termini della questione. Le suggestioni più interessanti in tema di organizzazione sono quelle che provengono dall’analisi giurisprudenziale e dottrinale in materia di associazione per delinquere applicata a “contesti leciti”. Ecco farsi strada la problematica del confine tra organizzazioni illecite e illeciti delle organizzazioni. Superate queste premesse di tipo tradizionale, la ricerca vive all’interno di uno scenario più complesso dove la criminalità tradizionale cerca di assomigliare all’impresa lecita e dove le imprese lecite tendono a usare mezzi di ricerca del profitto che sfiorano l’illegalità, anche metodi intimidativi ed estorsivi tipicamente mafiosi. L’impressione è che si debba andare alla ricerca delle premesse criminologiche di questa realtà nuova, in condizione di crisi economica, tra agire sul mercato, lecito o illecito che sia, e aggirare il mercato, lecito o illecito che sia. L’associazione per delinquere, con sempre maggiore frequenza, trova un campo d’applicazione privilegiato rispetto a ipotesi delittuose tipicamente riconducibili allo svolgimento di attività economiche, in particolare di carattere imprenditoriale. Dall’analisi condotta, il soggetto collettivo non rappresenta l’effettivo destinatario dell’arricchimento patrimoniale conseguente alla realizzazione delle fattispecie oggetto del programma criminoso, e nemmeno il destinatario, anche indiretto, della risposta sanzionatoria. Siamo, piuttosto, di fronte alla strumentalizzazione dell’ente a opera di soggetti che realizzano le fattispecie criminose per un fine e un profitto esclusivamente personali. L’affermazione si regge sull’interpretazione che vuole, ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, non l'apposita creazione di un'organizzazione sia pure rudimentale, ma di una struttura che può anche essere preesistente all’ideazione criminosa, anche se dedita a finalità lecite. Fenomeno concettualmente distinto, riconducibile al caso in cui l’organizzazione lecita sia funzionale alla sola perpetrazione di reati, si ha nell’ipotesi in cui l’associazione per delinquere si annidi all’interno di un’organizzazione indiscutibilmente lecita, utilizzandone la struttura per la commissione di reati, senza tuttavia piegarla a finalità criminali. La liceità dei fini dell’associazione destinataria dei profitti si riverbera sul dolo di ciascun imputato, il quale, se convinto di partecipare alla realizzazione di scopi leciti, non poteva essere consapevole di partecipare a un’associazione criminale. Trattasi, dunque, di reiterate condotte criminose non rappresentanti l’ordinarietà quanto piuttosto di “deviazioni occasionali dalle regole di condotta generali” , tali da non fondare una responsabilità ex art. 416 c.p.. L’organizzazione rappresenta, dunque, uno degli argomenti interpretativi portati a sostegno della ontologica distinzione tra fenomeno dell’accordo e fenomeno associativo. Porre l’accento sull’elemento organizzativo consente di prospettare un interessante spunto di indagine. Si impone quindi di guardare con particolare attenzione ai concetti di organizzazione lecita e organizzazione illecita e ai fenomeni a essi sottesi della criminalità d’impresa e della criminalità organizzata. Criminalità d’impresa e criminalità organizzata mantengono ambiti soggettivi e oggettivi non coincidenti . La criminalità d’impresa è definita come una manifestazione della criminalità economica colta nel suo momento genetico, quale espressione di un organismo produttivo e indipendentemente dall’incidenza lesiva che può coinvolgere interessi individuali e collettivi. A delimitare la categoria risulta comunque indispensabile un requisito di base: parlando di impresa si postula un’attività economica fondamentalmente lecita. E si tratta di una liceità sotto il profilo dell’attività dedotta quale oggetto dell’impresa ovvero della natura dei beni o servizi forniti al mercato. Pertanto, la criminalità d’impresa può riflettere occasionalmente delle défaillances oppure può affondare le radici in una “politica” viziata, ma sempre sul presupposto di una iniziativa come tale accettabile, tendenzialmente positiva sul piano sociale, che non può essere estranea a priori alla garanzia dell’art. 41 Cost. Proprio il carattere incidentale rispetto a una legittimità di fondo, differenzia la criminalità d’impresa dalla criminalità organizzata, nella quale la violazione della legge penale assurge a scopo, a oggetto dello scopo associativo. Perciò, anche nelle sue forme più gravi la criminalità di impresa non può varcare la soglia dell’art. 416 c.p. . In termini di rilevanza penale la distinzione risulta chiara: data un’associazione criminale, la semplice partecipazione costituisce reato, indipendentemente dal concorso nei delitti scopo; la criminalità d’impresa pone al contrario un problema di imputazione delle manifestazioni devianti, nessun rilievo assumendo il mero inserimento nell’organizzazione. Nel secondo caso, a differenza che nel primo, posta la valenza neutrale e anzi costruttiva dell’iniziativa imprenditoriale, si impone una repressione “oggettivamente (nei limiti degli aspetti devianti) e soggettivamente mirata”. L’esigenza di dare risposta alla domanda prospettata in precedenza, ovvero la necessità di definire cosa debba intendersi per illiceità del requisito organizzativo, se esistano delle caratteristiche che rendano l’organizzazione intrinsecamente illecita o se tale tratto dipenda, in ultima istanza, dalla mera scelta dell’interprete in sede di applicazione della fattispecie incriminatrice, induce a soffermarsi sulla disciplina dei reati in materia di rifiuti. Infatti nel settore del diritto penale ambientale si realizza, quella commistione concettuale, precedentemente evidenziata, tra impresa lecita e impresa illecita. Commistione che, tuttavia, rappresenta il frutto di una certa tipizzazione delle fattispecie incriminatrici. Sebbene si tratti di fattispecie comuni, realizzabili da chiunque tenga la condotta incriminata, sia che si tratti di gestione, traffico o attività organizzata, la gran parte dei reati possono essere commessi solo nell’ambito di attività d’impresa, posto che la produzione e la gestione nella quale rientrano la raccolta, il trasporto, lo smaltimento e il recupero di rifiuti sono quasi sempre appannaggio di imprenditori e non di privati cittadini. L’analisi si scompone a questo punto in due aree d’indagine. Da un lato vi è la necessità di proseguire nella definizione, laddove possibile, di cosa renda illecita un’organizzazione, anche indagando settori disciplinari complementari a quello penale, come la disciplina civilistica ed in particolare l’ipotesi di impresa illecita come impresa apparentemente lecita. Nella disciplina civilistica il concetto di organizzazione non si connota in termini di neutralità, non si presta agevolmente ad essere plasmato in relazione alle esigenze di tutela che emergono in sede applicativa. Ciò è fatto palese proprio dal rilievo costituzionale dato all’attività economica, che nella quasi totalità dei casi è organizzata a impresa, ancorché l’esercizio di un’attività d’impresa non è sinonimo dell’esercizio di un’attività economica. L’attività imprenditoriale, dunque, produce ricchezza ed è preordinata alla circolazione di questa con una positiva ricaduta sulla comunità, per questo l’art. 41 Cost. ne indica i caratteri e le finalità, nonché i limiti da osservare. Nell’ottica civilistica, l’organizzazione è fatta coincidere con un’attività che corrisponde in modo sistematico alle esigenze di funzionalità e di efficienza di un’impresa, per lo più collettiva. E che, per la giurisprudenza, diviene la capacità dell’imprenditore di organizzare uno qualsiasi dei fattori della produzione e quindi anche il solo capitale, non essendo l’assunzione della qualità di imprenditore necessariamente correlata all’utilizzazione del lavoro altrui, o, addirittura, la mera attività svolta in modo sistematico e continuo anche con mezzi rudimentali e limitati. Ne deriva che il discorso sull’organizzazione è un discorso sulle modalità di esercizio dell’attività. Per esercitare l’attività, occorre necessariamente l’opera di coordinamento dei fattori produttivi – capitale, lavoro, terra – nel senso che l’imprenditore deve organizzarsi e organizzare tali fattori. Dall’altro lato, si ritiene necessario esaminare la disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, specie dopo che il legislatore vi ha ricondotto, come ipotesi di reato-presupposto, alcune fattispecie associative previste dall’art. 24 ter del d.lgs. 231/2001. Nel volgere di alcuni anni si è assistito ad un progressivo allontanamento dall’originario modello di responsabilità degli enti, che operano per il perseguimento di finalità lecite al cui interno possono essere commessi reati che non incidono sulla generale liceità dell’esercizio d’impresa. Quindi, a seguito di molteplici interventi normativi sul d.lgs 231/2001 l’ipotesi di ente criminale – prima rappresentata come del tutto eccezionale – adesso si delinea come figura destinataria del precetto. La legge n.94/2009, inserendo nel d.lgs. 231 i reati di associazione - prima rilevanti solo se aventi il carattere della trasnazionalità (ai sensi della legge n. 146 del 2006) - aveva l’obiettivo di rispondere alla necessità di prevedere un opportuno intervento legislativo contro le ipotesi in cui l’attività illecita derivasse da un intervento da parte di associazioni mafiose o fosse direttamente realizzata da un’impresa mafiosa, operanti con apparenza di legittimità ma in realtà dirette da poteri criminali. Dunque, quando si estende la responsabilità degli enti rispetto ai reati che sembrano essere espressione di associazioni per delinquere, allora ci troveremo di fronte ad associazioni illecite piuttosto che ad illeciti di associazione. Di conseguenza nel caso in cui, all’interno dell’ente, vengano commessi reati espressione di associazioni penalmente rilevanti, da soggetti i quali avvalendosi proprio della struttura organizzata dell’ente ne intacchino la liceità, si rientrerà all’interno delle fattispecie sanzionate dagli artt. 416 c.p. e seg. e dall’art. 24 ter D.lgs. 231/2001. La peculiarità di questi nuovi reati presupposto, introdotti nel 2009, è proprio quella di non essere accomunati dall’obiettivo di tutela di un determinato bene giuridico da particolari forme di offesa (si pensi ai reati contro la P.A, ai reati finanziari, ai reati colposi della sicurezza sul lavoro). Il collante dei nuovi delitti è essenzialmente empirico-criminologico, essendo tutti diretti a contrastare attività criminose particolarmente gravi, normalmente appannaggio delle grandi organizzazioni criminali e spesso strumentali alla loro stessa esistenza. In questa prospettiva di lotta alla criminalità organizzata sono ricompresi sia alcuni importanti reati-fine (traffico di stupefacenti, commercio e fabbricazione di armi, sequestro di persone a scopo di estorsione), sia i due principali reati-mezzo codicistici, cioè le condotte associative in senso stretto tipizzate dagli artt. 416 e 416 bis c.p.). È proprio il richiamo a queste due fattispecie incriminatrici che potrebbe determinare effetti di estensione delle ipotesi tipiche di responsabilità dell’ente probabilmente assai più ampi di quelli che il legislatore aveva preventivato. Sul piano dell’organizzazione societaria è allora evidente come il reato associativo sia astrattamente contestabile per il semplice fatto che l’ente abbia realizzato degli illeciti. Le conseguenze pericolose: difficoltà di predisporre validi ed efficaci modelli organizzativi di gestione e prevenzione dei reati che rischieranno di risultare vaghi ed inadeguati, proprio per il fatto che si pone l’ulteriore variabile di poter estendere l’applicazione dell’art. 24 ter anche a fattispecie delittuose non comprese nel novero dei reati presupposto di cui al d.lgs 231/2001. È evidente come il legislatore abbia impresso alla disciplina della responsabilità degli enti, prevista dal D.Lgs. 231, una doppia velocità: - da un lato l’apparato sostanzialmente immutato, delle disposizioni di parte generale con i principi di garanzia, i presupposti della responsabilità dipendente da reato, l’apparato sanzionatorio e le norme processuali; - dall’altro lato una serie di reati presupposto caratterizzato dal rapido ampliamento rispetto alla soluzione iniziale alquanto ristretta. La seconda parte del lavoro, esamina alcuni conflitti che sorgono nell’ambito della disciplina della responsabilità delle organizzazioni, soprattutto in relazione al rapporto con la normativa tributaria, alla possibilità di aggredire i beni della persona giuridica e alla questione delle effettive vie di ingresso dei reati tributari all’interno del decreto sulla responsabilità degli enti da reato. Nell’ambito del sistema previsto dal decreto 231/2001, e specificamente nell’elencazione dei reati presupposto per la configurabilità della punibilità degli enti, spicca la mancanza dei reati di tipo tributario. La produzione normativa comunitaria alla base del decreto 231 era volta innanzitutto a tutelare gli interessi finanziari dell’UE e dello Stato, eppure il legislatore italiano scelse consapevolmente di non inserire i reati tributari nella delega al governo per la costruzione della responsabilità da reato degli enti. I reati tributari, tuttavia, pur assenti dalla lista dei delitti presupposto della responsabilità dell’ente, sono concettualmente e logicamente al centro dell’attività di mappatura dei rischi, che costituisce l’antecedente logico necessario per l’elaborazione del modello di organizzazione e gestione individuato come una specifica forma di esonero della responsabilità dell’ente. La scelta politico-criminale del legislatore è sicuramente criticabile in quanto è fisiologico che gli adempimenti tributari, di maggiore spessore e consistenza, concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa alle quali conseguono vantaggi indebiti per l’ente. Infatti insieme ai reati societari, i reati tributari sono gli antecedenti logici per la costituzione di fondi riservati destinati ad alimentare i reati di scopo, come la corruzione. Dunque, le aree strumentali più pericolose sono proprio quelle dimensioni organizzative dell’ente che presiedono alla gestione di risorse economiche o di strumenti di tipo finanziario che possono supportare la commissione dei reati nelle aree a rischio di reato. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di spiegare come attraverso la contraddizione tra l’assenza dell’architettura della responsabilità degli enti e la colonizzazione dei gangli vitali del sistema 231, si può raccontare il rapporto tra i reati tributari e la responsabilità degli enti collettivi: da un lato il dibattito sulla loro mancata introduzione e dall’altro lato le vie sostanziali attraverso cui i reati tributari realizzano un’incidenza diretta sulla responsabilità da reato delle persone giuridiche. La disciplina fissata dal diritto penale tributario ha suscitato un intenso dibattito dottrinario in merito all’opportunità di includere le fattispecie di cui al d.l. n. 74/2000 tra i reati presupposto di cui al decreto n. 231/2001. I fautori di tale inclusione evidenziano come il sistema potrebbe avere un’efficacia complessiva migliore anche sul piano della lotta alla criminalità in ambito tributario: l’introduzione degli illeciti fiscali tra i reati di cui al decreto n. 231/2001 non presenterebbe comunque un’innovazione problematica, visto che l’ordinamento nazionale già prevede casi in cui vi sia contestualmente una responsabilità penale, una responsabilità amministrativa ed una responsabilità dell’ente di cui al decreto stesso, come ad esempio nel caso del “market abuse” di cui agli artt. 25-sexies del decreto n. 231/2001, 187-quinquies e 187-terdecies del TUF. I contrari invece all’inclusione dei reati fiscali nell’elencazione di cui al decreto n. 231/2001 ritengono che il diritto vigente già prevede la possibilità di irrogare una sanzione tributaria all’ente, ai sensi dell’art. 19, comma 2, del d.l. n. 74/2000; inoltre, è necessario evitare una moltiplicazione delle sanzioni a carico dell’ente, secondo un sistema che dovrebbe prevedere la sanzione penale per la persona fisica, la sanzione tributaria per la persona giuridica e la sanzione di cui al decreto n. 231/2001sempre per la persona giuridica. In generale, comunque, la scelta del legislatore di escludere i reati tributari dal novero dei reati presupposto è stata ampiamente criticata e oggetto di successive attenzioni da parte del Parlamento: si segnala a tal proposito il disegno di legge S.19- Grasso del 15 marzo 2013 con il quale si proponeva di “estendere la responsabilità da reato degli enti ai reati tributari, colmando così una lacuna ingiustificabile sul terreno politico-criminale”. Analizzando più a fondo la problematica appare evidente come il sistema del decreto 269 del 2003, in tema di responsabilità amministrativa da illecito tributario, sia orientato esclusivamente a una funzione risarcitoria del danno subito dall’erario per il mancato introito fiscale; non conosce finalità di tipo preventivo. La responsabilità da reato degli enti, invece, è pensata e costruita allo scopo di catalizzare i processi di adeguamento spontaneo alle normative di riferimento, di modernizzare i procedimenti interni volti alla gestione e al controllo dei centri di rischio di commissione di illeciti penali. C’è una sorta di sistema etico che prova a introdurre nella realtà organizzativa e gestionale dell’ente misure cautelari di impedimento di reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Questa è la ragione principale per cui non è possibile sostenere la scelta di non inserimento dei reati tributari, neanche facendo riferimento all’argomento della moltiplicazione delle sanzioni per un medesimo fatto. In settori particolarmente delicati, come si è visto, l’ordinamento conosce molti livelli di sanzione per un medesimo fatto. Sono ambiti in cui massima è l’attenzione alla prevenzione e non solo alla punizione degli illeciti. La soluzione non potrebbe essere proprio quella della obliterazione della responsabilità da reato degli enti; sarebbe più ragionevole, invece, una tecnica legislativa che prevedesse criteri di sussidiarietà, o che accorpasse nel decreto 231 tutta la normativa sulla responsabilità degli enti per illecito tributario. Per i reati tributari che sono l’emblema della delinquenza economica organizzata, c’è un’intensa esigenza di politica criminale che orienta la normativa al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale; e la politica criminale in questo settore non può che essere quella della prevenzione mediante organizzazione, con relativa responsabilizzazione per difetto organizzativo. Non si tratta, in sostanza, di punire maggiormente un illecito tributario, la questione è quella di prevenire gli illeciti tributari incentivando gli enti all’adozione di strutture di compliance volte all’introduzione di regole cautelari mediamente dirette all’impedimento di reati tributari. Tale prevenzione si realizza attraverso la segmentazione del attività esecutive in tema di gestione degli obblighi fiscali, di monitoraggio sulle attività strumentali alla costituzione di fondi riservati, con la ramificazione di procedure e protocolli ispirati dall’adeguamento a standard procedurali internazionali. Questo è il motivo per cui non si può prescindere dalla ricomprensione dei reati tributari nel sistema creato da decreto sulla responsabilità degli enti da reato; oltre naturalmente ad una maggiore incisività del contesto processuale penale e del sistema sanzionatorio dovuta alla disponibilità di sanzioni interdittive, alla possibilità di applicare misure cautelari, alla effettività e dissuasività della sanzione della confisca per equivalente che rende inutile l’occultamento del profitto ed esonera l’accusa dalla prova della diretta provenienza del delitto. Dopo aver esaminato il complesso dibattito sull’inserimento dei reati tributari nella disciplina del decreto 231, il presente lavoro mira ad individuare molteplici itinerari attraverso i quali i reati tributari realizzano un’incidenza indiretta sulla responsabilità da reato degli enti collettivi: a) in primo luogo alcuni reati tributari possono essere in concreto elementi o parti di un reato già presupposto della responsabilità ex d.lgs. 231/2001. A questa tipologia si possono ricondurre le problematiche attinenti l’associazione per delinquere, anche transnazionale, finalizzata alla commissione di un reato tributario e il riciclaggio dei proventi da illecito tributario. La nuova normativa antiriciclaggio introduce di fatto per le persone giuridiche la possibilità di configurare la loro responsabilità per tali illeciti e dunque la responsabilità diretta degli enti in caso di comportamenti illeciti di persone che agiscono per loro conto. b) in secondo luogo si sono venuti a formare nel corso del tempo dei luoghi di intersezione tra reati fiscali e disciplina della responsabilità degli enti collettivi. A questo gruppo, invece, possono essere ricondotte alcune recenti decisioni in tema di sequestro preventivo e confisca tributaria. A tale proposito le Sezioni Unite nel 2014 hanno aderito all’orientamento contrario all’estensione della confisca per equivalente per reati tributari alle persone giuridiche, per assenza di una base normativa alla quale ricondurre tale sanzione, confermando, invece, l’ammissibilità della confisca diretta del profitto del reato nei confronti dell’ente. Tuttavia, nonostante l’affermazione del principio dell’inapplicabilità della confisca per equivalente all’ente, la lettura estensiva della confisca diretta fornita dalla Corte, potrebbe portare ad un’estensione di fatto nell’applicazione della sanzione contro gli enti, quando il profitto dei reati tributari è rimasto nella disponibilità della società. Infine, nell’ultima parte del lavoro sono stati inseriti degli interessanti profili di comparazione, partendo dall’assunto in base al quale il diritto è una creazione storica, politica, sociale, intellettuale, la cui esistenza e funzionamento in una data società poggia soprattutto sulla cultura della società stessa, è stata svolta un’analisi comparata tra il sistema italiano e la responsabilità penale degli enti in Cina da una parte e il modello anglo-americano dall’altra. Il diritto cinese prevede diverse tipologie di reati ascrivibili a persone fisiche ed enti: vi sono reati che possono essere commessi dall’ente e dalla persona fisica responsabile per l’ente, reati che possono essere commessi da una persona fisica o da un ente, reati che possono essere commessi da persone fisiche incaricate o responsabili del controllo, secondo una strutturazione che non segue un criterio unico a livello politico-sociale. Il modello cinese è stato qualificato come un “sistema sociale di responsabilità personalizzata”, intendendo con tale espressione un sistema in cui l’ente ha una propria volontà e capacità, per cui le sue azioni non vanno confuse con quelle delle persone fisiche. Nell’ordinamento statunitense, si assiste, invece, alla progressiva estensione, agli enti collettivi, di procedimenti di diversione processuale (deviazioni dalla normale sequenza di atti del processo penale, prima della pronuncia dell’imputazione) i quali sono diventati, oggi, lo strumento privilegiato per fronteggiare la criminalità d’impresa. A partire dagli anni ’90, si assiste alla progressiva estensione agli enti collettivi dei DPA (deferred prosecution agreement) e NPA (non prosecution agreement), con due obiettivi principali: chiamare a rispondere, degli illeciti commessi in ambito aziendale, un numero sempre maggiore di imprese, seppur mediante meccanismi di diversion più flessibili e più rapidi; scongiurare le ricadute negative che i procedimenti penali normalmente riversano sul mercato. Anche il Regno Unito ha, di recente, introdotto una disciplina ad hoc. Tale è la pervasività della giustizia dilatoria che la stessa ha finito per stravolgere i regimi di corporate liability vigenti nei sistemi di area anglo-americana, fornendo al contempo spunti comparativi anche in prospettiva di riforma del d. lgs. n. 231 del 2001.
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Machado, Tom?s Grings. "Ofensa de cuidado-de-perigo e legitima??o dos crimes ambientais : o princ?pio da ofensividade como limite ? criminaliza??o de condutas." Pontif?cia Universidade Cat?lica do Rio Grande do Sul, 2008. http://tede2.pucrs.br/tede2/handle/tede/4795.

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Abstract:
Made available in DSpace on 2015-04-14T14:47:54Z (GMT). No. of bitstreams: 1 410008.pdf: 156255 bytes, checksum: c8efe458f89cb43f3074879c9cabcfe5 (MD5) Previous issue date: 2008-12-18
O presente estudo busca analisar tanto o contexto em que vivemos, os reflexos que os avan?os tecnol?gicos j? percebidos ensejam no tratamento e na compreens?o do direito penal ambiental, como as dificuldades que decorrem do reconhecimento do direito penal enquanto fruto de uma racionalidade t?cnico-instrumental que passa a exigir a sua supera??o em raz?o de uma equivocada e insustent?vel valoriza??o da dimens?o puramente formal do il?cito. A an?lise aqui empreendida se d? no sentido de que a recondu??o do direito penal aos limites de legitimidade impostos pela ordem constitucional apenas se mostra vi?vel por meio de uma revis?o e de um profundo aprimoramento do conte?do material do il?cito. Uma categoria que (re)pensada a partir dos limites evidenciados pela racionalidade t?cnicoinstrumental ganha significativa capacidade de rendimento para uma demarca??o efetiva da mat?ria penalmente relevante. Orienta??o essa que adota uma reflex?o do direito penal de base onto-antropol?gica (Faria Costa), cujo fundamento se encontra na rela??o matricial de cuidado-de-perigo e que torna poss?vel a identifica??o de um elemento material do il?cito junto aos crimes de perigo abstrato expresso pela sua correspondente forma de ofensa: a ofensa de cuidado-de-perigo (D Avila). Tais quest?es, mais do que pontos de partida s?o essenciais para uma adequada e leg?tima compreens?o dos crimes de perigo-abstrato e da sua correspondente forma de ofensa, precisamente por considerarem na sua an?lise tanto a complexa natureza do bem jur?dico que se est? a tutelar, como o complexo contexto no qual as condutas ofensivas ao meio ambiente encontram espa?o. A pesquisa se encontra vinculada ? Linha de Pesquisa: Sistemas Jur?dico-Penais Contempor?neos, ?rea de Concentra??o: Sistema Penal e Viol?ncia, do Programa de P?s- Gradua??o em Ci?ncias Criminais da PUCRS.
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Books on the topic "Criminalità ambientale"

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Ecomafia 2012: Le storie e i numeri della criminalità ambientale. Milano: Edizioni Ambiente, 2012.

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Gli svantaggi dei comuni sardi: Povertà, istruzione, servizi, salute, lavoro, ambiente, criminalità : la prima radiografia accurata del territorio dell'isola, commentata dagli esperti : sistema informativo IDMS 2011-P.O. FSER Sardegna 2007/2013. Trento: Tangram edizioni scientifiche, 2011.

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Martino, Vittorio Di, and Duncan Chappell. Violence at Work. International Labour Organisation (ILO), 2006.

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4

Violence at Work. 3rd ed. International Labor Office, 2006.

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