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Dissertations / Theses on the topic 'Cooperazione in materia penale'

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1

Milanesi, Francesco Carlo <1979&gt. "Cooperazione giudiziaria in materia penale: il mandato d'arresto europeo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/1587/1/Tesi_Milanesi_FrancescoCarlo.pdf.

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2

Milanesi, Francesco Carlo <1979&gt. "Cooperazione giudiziaria in materia penale: il mandato d'arresto europeo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/1587/.

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3

MONTALDO, STEFANO. "Il ruolo della corte di giustizia nella cooperazione in materia penale." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2012. http://hdl.handle.net/10281/29818.

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Abstract:
The thesis is focused on the role of the Court of justice of the EU in the development of the European cooperation in police and criminal matters (former Third Pillar of the EU). The first chapter analyses the novelties introduced by the Treaty of Lisbon and devotes a particular attention to the wording of articles 82 and 83 TFEU. The second chapter is centred on the functional aspects, that is to say the new shape and limits of the Court's jurisdiction after the entry into force of the Treaty of LIsbon. The analysis then moves to the role of the Court in safeguarding the correct exercise of EU competences. The final step relates to the interpretative role of the Court: stemming from the ordinary interprtative criteria used by the Court, the author investigates how the Court itself applies them in the field of cooperation in criminal matters. The European arrest warrant and the ne bis in idem principle are the main case-studies.
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4

Palmieri, Luigi. "Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale: da Eurojust al pubblico ministero europeo." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2012. http://hdl.handle.net/10556/355.

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Abstract:
2010 - 2011
La necessità di una cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea si è manifestata fin dal conseguimento dei primi successi raggiunti nell’ambito della costruzione comunitaria, e più che mai continua a manifestarsi oggi atteso il dilagare del crimine transnazionale. Proprio la realizzazione del mercato unico – e cioè, di uno spazio senza frontiere interne, nel quale assicurare i quattro principi fondamentali quali la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali – ha, infatti, determinato una crescita esponenziale della criminalità ed una sua estensione non solo quantitativa ma soprattutto spaziale di essa. Se, in particolare, la cd. globalizzazione dei rapporti socioeconomici, la liberalizzazione delle regole relative agli spostamenti delle persone e, dei beni e, da ultimo, lo sviluppo delle relazioni umane, (anche grazie a strumenti tecnologici) ed informatici, hanno consentito un sempre più celere progresso sociale, al tempo stesso, hanno agevolato gli autori dei più svariati crimini, consentendo loro di estendere la propria attività delinquenziale oltre confine, in tal modo coinvolgendo interessi sia individuali sia collettivi riferibili a più ordinamenti nazionali. In tale contesto, un ruolo determinante ha assunto la differenza tra le legislazioni penali degli Stati membri, la quale, nel combinarsi con le singole libertà di circolazione, ha determinato una sorta di forum shopping criminoso, consentendo ai “soggetti criminali” di scegliere la giurisdizione e la legge penale più vantaggiose così sottraendo alla giustizia se stessi ed i proventi illeciti conseguiti.In questa nuova e complessa realtà sociale e criminologica, sono diventati obsoleti i principi della territorialità della legge e della giurisdizione, così come si sono dimostrati del tutto inadeguati ed inidonei gli strumenti tradizionalmente adottati nel campo della cooperazione giudiziaria internazionale (caratterizzata dal principio della richiesta, in base al quale uno Stato sovrano presenta una richiesta ad un altro Stato sovrano, che decide se darvi o meno seguito), sia per la loro lentezza, sia anche per la loro complessità rispetto allo sviluppo anche “criminale” dell’Unione europea. Questo percorso ha fatto si che progressivamente le autorità giudiziarie cominciassero ad avere un dialogo tra loro, e nel tempo, questa prospettiva si è modificata attraverso diversi fattori: l’efficacia riflessa delle norme comunitarie sugli ordinamenti nazionali; la individuazione di beni giuridici sovranazionali ( si pensi al tema dell’ambiente); le esigenze di cooperazione giudiziaria. Questi sono stati i tre grandi motori che hanno spinto verso la costruzione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia indicato da Amsterdam tra gli obiettivi fondanti dell’Unione europea. Il ventisette Paesi dell’UE hanno rappresentato lo spazio nel quale si è cercato, con una costruzione spesso faticosa, di creare una prospettiva di sicurezza, libertà e giustizia. In questo percorso di “metamorfosi dei diritti nazionali” si è inserito Eurojust, un organismo che ha facilitato la cooperazione giudiziaria e le indagini a carattere transnazionale. [a cura dell'autore]
X n.s.
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5

Troisi, Roberta. "La cooperazione in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea per la prevenzione ed il contrasto della criminalità organizzata transnazionale." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2012. http://hdl.handle.net/10556/337.

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Abstract:
2010 - 2011
La tesi ha ad oggetto l’analisi e lo studio degli strumenti predisposti in ambito europeo per prevenire e, soprattutto, per contrastare e combattere la criminalità organizzata transnazionale, in una visione di cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati membri dell’Unione europea. Preliminarmente, analizza il fenomeno della criminalità organizzata sia in una prospettiva interna che in una prospettiva transnazionale. Da un lato mette in evidenza la difficoltà di enucleare nel nostro ordinamento una definizione normativa della categoria dei “reati di criminalità organizzata” e dall’altro pone l’accento sull’evoluzione, nell’ambito dell’Unione europea, dell’elaborazione del concetto di “criminalità organizzata transnazionale”. Si concentra, poi, sull’analisi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia predisposto anche per garantire una più efficace prevenzione ed un migliore contrasto della criminalità organizzata transnazionale. Infine, analizza gli organi e gli strumenti di cooperazione giudiziaria e di polizia apprestati specificamente dall’Unione europea per contrastare la criminalità organizzata transfrontaliera. ****** The thesis concerns the analysis and study of the tools designed in Europe to prevent and, above all, to oppose and to fight against transnational organized crime, in a vision of judicial and police cooperation between Member States of the European Union. Preliminarily, it analyzes the phenomenon of organized crime from internal perspective as from a transnational perspective. On one hand, it highlights the difficulty of identifying in our legal system whit a normative definition of the category of “crimes of organized crime” and on the other, focuses on the development within the European Union, of the elaboration of the concept of “transnational organized crime”. It focuses then on the analysis of the area of freedom, security and justice also designed to ensure a more effective prevention and a better contrast of transnational organized crime. Finally, it analyzes the organs and the instruments of judicial and police cooperation and police disposed specifically by the European Union to combat transnational organized crime. [a cura dell'autore]
X n.s.
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6

FIDELBO, MIRANDA. "LA COOPERAZIONE RAFFORZATA COME MODALITA' D'ISTITUZIONE DELLA PROCURA EUROPEA." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016. http://hdl.handle.net/10280/11374.

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Abstract:
Il Trattato di Lisbona contiene la base giuridica per l’istituzione della Procura europea, tramite regolamento da adottare con il voto unanime in seno al Consiglio. Essa avrà il compito di «individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione» (art. 86 TFUE). Il 17 luglio 2013 la Commissione ha adottato una proposta di regolamento a riguardo. Tuttavia, i negoziati fino ad ora condotti fanno ritenere che sarà difficile adottarlo all’unanimità, motivo per cui si è deciso di indagare il tema dalla prospettiva della cooperazione rafforzata. L’obiettivo della tesi consiste nel dimostrare la concreta esistenza di un valore aggiunto dell’istituzione della Procura europea da parte di un numero ristretto di Stati rispetto all’abbandono di un tale progetto per assenza di unanimità. La tesi mira a dimostrare la sua fattibilità, costruendo un sistema capace di funzionare in un contesto d’integrazione diseguale. L’elemento di novità consiste nella riscrittura della proposta di regolamento per adattarla al diverso contenuto (non più l’istituzione della Procura europea, ma l’attuazione di una cooperazione rafforzata ai fini di una tale istituzione) e nella predisposizione di modelli degli accordi disciplinanti la cooperazione tra gli Stati membri non partecipanti e l’organo di accusa europeo.
The Treaty of Lisbon contains the legal basis for the institution - by means of a regulation to be adopted by the Council acting unanimously - of the European Public Prosecutor’s Office (EPPO), which shall be «responsible for investigating, prosecuting and bringing to judgment the perpetrators of offences against the Union's financial interests» (art. 86 TFEU). In July 2013 the Commission adopted a proposal for a regulation on this matter. However, the ongoing negotiations lead to retain that it will be difficult to reach unanimity. This is the reason why this dissertation analyses the theme from the perspective of enhanced cooperation. The purpose of this thesis consists in demonstrating the concrete existence of an added value deriving from the institution of the EPPO by only some States rather than neglecting this project. Thus, it aims at proving the feasibility of this project, by constructing a functioning system, even in a context of unequal integration. The redrafting of the regulation in order to adapt it to the new object (the implementation of the enhanced cooperation for the institution of the EPPO) and the provision of the text of the agreements between non participating States and the EPPO constitute its originality.
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7

FIDELBO, MIRANDA. "LA COOPERAZIONE RAFFORZATA COME MODALITA' D'ISTITUZIONE DELLA PROCURA EUROPEA." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016. http://hdl.handle.net/10280/11374.

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Abstract:
Il Trattato di Lisbona contiene la base giuridica per l’istituzione della Procura europea, tramite regolamento da adottare con il voto unanime in seno al Consiglio. Essa avrà il compito di «individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione» (art. 86 TFUE). Il 17 luglio 2013 la Commissione ha adottato una proposta di regolamento a riguardo. Tuttavia, i negoziati fino ad ora condotti fanno ritenere che sarà difficile adottarlo all’unanimità, motivo per cui si è deciso di indagare il tema dalla prospettiva della cooperazione rafforzata. L’obiettivo della tesi consiste nel dimostrare la concreta esistenza di un valore aggiunto dell’istituzione della Procura europea da parte di un numero ristretto di Stati rispetto all’abbandono di un tale progetto per assenza di unanimità. La tesi mira a dimostrare la sua fattibilità, costruendo un sistema capace di funzionare in un contesto d’integrazione diseguale. L’elemento di novità consiste nella riscrittura della proposta di regolamento per adattarla al diverso contenuto (non più l’istituzione della Procura europea, ma l’attuazione di una cooperazione rafforzata ai fini di una tale istituzione) e nella predisposizione di modelli degli accordi disciplinanti la cooperazione tra gli Stati membri non partecipanti e l’organo di accusa europeo.
The Treaty of Lisbon contains the legal basis for the institution - by means of a regulation to be adopted by the Council acting unanimously - of the European Public Prosecutor’s Office (EPPO), which shall be «responsible for investigating, prosecuting and bringing to judgment the perpetrators of offences against the Union's financial interests» (art. 86 TFEU). In July 2013 the Commission adopted a proposal for a regulation on this matter. However, the ongoing negotiations lead to retain that it will be difficult to reach unanimity. This is the reason why this dissertation analyses the theme from the perspective of enhanced cooperation. The purpose of this thesis consists in demonstrating the concrete existence of an added value deriving from the institution of the EPPO by only some States rather than neglecting this project. Thus, it aims at proving the feasibility of this project, by constructing a functioning system, even in a context of unequal integration. The redrafting of the regulation in order to adapt it to the new object (the implementation of the enhanced cooperation for the institution of the EPPO) and the provision of the text of the agreements between non participating States and the EPPO constitute its originality.
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MONICI, SOFIA. "LA PROCURA EUROPEA NEL CONTESTO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE IN MATERIA PENALE TRA VINCOLI NAZIONALI E SOVRANAZIONALI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2018. http://hdl.handle.net/2434/565232.

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Abstract:
La tesi affronta il tema della realizzazione della Procura europea (European Public Prosecutor’s Office, acronimo EPPO), istituita con il regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017, dopo quasi un ventennio di studi e proposte e non senza significative rinunce rispetto alle originarie aspirazioni. Tradizionalmente il tema è stato affrontato dagli studiosi attraverso l’impiego di categorie concettuali proprie dei settori disciplinari del diritto penale e del diritto processuale penale, con tutti i meriti, ma ovviamente anche i limiti, di un’indagine che comporta l’adozione di una prospettiva di diritto interno. La predilezione per un simile approccio si deve, sostanzialmente, alla genesi del progetto che si è sviluppato a partire da uno studio comparatistico, ma soprattutto alle sue implicazioni. Comprensibilmente, infatti, la dottrina italiana e straniera si è interessata principalmente della sua compatibilità con gli ordinamenti nazionali, misurando la fattibilità e realizzabilità del progetto con le eterogeneità proprie delle tradizioni giuridiche degli stessi. L’elaborato inquadra, invece, il tema trattato dal punto di osservazione del diritto dell’Unione europea sul presupposto l’Ufficio è destinato ad inserirsi nel contesto giuridico-istituzionale dell’UE, nel rispetto dei principi che fondano la competenza dell’UE in materia penale, ne regolamentano l’esercizio e, infine, stabiliscono la portata e l’intensità dell’azione dell’UE in tale “delicato” settore. Nella medesima ottica, merita altrettanta considerazione il fatto che EPPO si collocherà nel panorama degli attori ed organismi di cooperazione e coordinamento già esistenti, aventi specifiche competenze in materia penale ed attivi anche nel campo della protezione degli interessi finanziari dell’UE. In tale prospettiva, il primo capitolo intende costituire la premessa metodologica e la chiave di lettura dell’intero lavoro, inquadrando l’argomento trattato nel contesto delle specificità del processo di integrazione europea in materia penale, con particolare attenzione ai suoi principi ispiratori ed ai suoi connaturati limiti. Il secondo capitolo ripercorre gli studi, le proposte, i documenti (istituzionali e non) che hanno dato avvio al dibattito intorno alla figura di un’autorità inquirente europea e che hanno condotto all’introduzione di una base giuridica ad hoc per l’istituzione dell’ufficio - inserita dal trattato di Lisbona all’art. 86 TFUE – sul cui fondamento è stato intrapreso un lungo e complesso iter legislativo conclusosi, in data 12 ottobre 2017, con l’approvazione del regolamento. Il terzo, quarto e quinto capitolo sono dedicati, rispettivamente, ai profili istituzionali, alla competenza materiale e, da ultimo, agli aspetti operativi relativi al funzionamento dell’Ufficio ed ai rapporti con i “partners”. Le previsioni del testo di regolamento sono esaminate mettendone in evidenza i profili critici e potenzialmente problematici. Il lavoro indaga anche le specifiche implicazioni connesse al ricorso alla cooperazione rafforzata.
The thesis deals with the issue of the creation of the European Public Prosecutor's Office (EPPO), established by Council Regulation (EU) 2017/1939 of 12 October 2017, after almost two decades of studies and proposals. Traditionally, the subject has been studied in the disciplinary fields of criminal law and criminal procedure, with all the merits but also all the limits of a research that involves the adoption of a perspective of domestic law. The predilection for such an approach was essentially due to the genesis of the project that developed from a comparative study, but above all to its implications. Reasonably, in fact, the Italian and foreign doctrine was mainly concerned with its compatibility with national laws and national legal traditions. Unlike these studies, the paper examines the subject from the perspective of EU law. In fact, EPPO set-up regulation must respect the principles that base the competence of the EU in criminal matters, regulate the exercise and finally establish the scope and the intensity of EU action in this "sensitive" sector. Furthermore, the Office will place itself in the panorama of the already existing cooperation and coordination actors and bodies, having specific competences in criminal matters and active also in the field of the protection of the financial interests of the EU. From this perspective, the first chapter represents the methodological premise and the key to understanding the entire work. In this chapter the issue is framed in the context of the specificities of the process of European integration in criminal matters, with particular attention to its inspiring principles and its inherent limits. The second chapter examines the studies, proposals, documents (both institutional and non-institutional) that started the debate around the figure of a European investigating authority and which led to the introduction of an ad hoc legal basis for the establishment of the Office, inserted by the Treaty of Lisbon in the art. 86 TFEU. The chapter ends with the long and complex legislative process that led to the approval of the regulation even if with significant renunciations compared to the original aspirations. First of all, the use of enhanced cooperation. The third, fourth and fifth chapters are dedicated, respectively, to institutional profiles, material competence and, lastly, to the operational aspects related to the functioning of the Office and to relations with "partners". In this part, the provisions of the regulation text are examined by highlighting the critical and potentially problematic profiles. The work also investigates the specific implications related to the use of enhanced cooperation.
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9

CASTAGNO, JEAN PAULE. "Il mandato europeo di ricerca delle prove. Presente e futuro del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2010. http://hdl.handle.net/10281/14743.

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Abstract:
L'elaborato si propone di richiamare la nozione di cooperazione giudiziaria in materia penale; analizzare il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni penali, svolgendo un excursus storico che mostri in quali contesti è nato il principio del mutuo riconoscimento e come ha ivi trovato applicazione; esaminare la decisione quadro relativa al mandato europeo di ricerca delle prove, evidenziando possibili criticità applicative; indagare le attuali difficoltà di attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, valutando il possibile suggerimento di soluzioni alternative.
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10

Pollice, Alessia. "Portare la tecnologia in cabina: le nuove tecnologie a servizio dell'interprete e il caso della simultanea con testo." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amslaurea.unibo.it/9840/.

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Abstract:
The digital revolution has affected all aspects of human life, and interpreting is no exception. This study will provide an overview of the technology tools available to the interpreter, but it will focus more on simultaneous interpretation, particularly on the “simultaneous interpretation with text” method. The decision to analyse this particular method arose after a two-day experience at the Court of Justice of the European Union (CJEU), during research for my previous Master’s dissertation. During those days, I noticed that interpreters were using "simultaneous interpretation with text" on a daily basis. Owing to the efforts and processes this method entails, this dissertation will aim at discovering whether technology can help interpreters, and if so, how. The first part of the study will describe the “simultaneous with text” approach, and how it is used at the CJEU; the data provided by a survey for professional interpreters will describe its use in other interpreting situations. The study will then describe Computer-Assisted Language Learning technologies (CALL) and technologies for interpreters. The second part of the study will focus on the interpreting booth, which represents the first application of the technology in the interpreting field, as well as on the technologies that can be used inside the booth: programs, tablets and apps. The dissertation will then analyse the programs which might best help the interpreter in "simultaneous with text" mode, before providing some proposals for further software upgrades. In order to give a practical description of the possible upgrades, the domain of “judicial cooperation in criminal matters” will be taken as an example. Finally, after a brief overview of other applications of technology in the interpreting field (i.e. videoconferencing, remote interpreting), the conclusions will summarize the results provided by the study and offer some final reflections on the teaching of interpreting.
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11

Mettica, V. F. "LA COOPERAZIONE INVESTIGATIVA NELL'UE E LE GARANZIE DIFENSIVE DELL'ACCUSATO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/371602.

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Abstract:
Ricostruite le forme della cooperazione investigativa in materia penale nel panorama europeo, anche alla luce dei più recenti sviluppi, sembra potersi concludere che, sebbene gli indicatori normativi testimonino una volontà di integrazione di strutture e apparati al fine di imporre regole giuridiche tendenzialmente uniformi, la dimensione applicativa registra ancora un limitato intervento del diritto dell'Unione Europea sul piano processuale, confinandolo negli ambiti della cooperazione su base volontaria e del principio del mutuo riconoscimento, così di fatto esasperando le difficoltà operative del coordinamento investigativo e dello scambio di dati a contenuto probatorio.
Completed the picture of the attitudes of European investigative cooperation in criminal matters, especially in light of recent developments, it seems possible to conclude that, although the regulatory indicators testify the volition to come to an integration of structures and systems in order to acquire uniform legal rules, the application still faces a limited intervention of the European law on the criminal procedural level, which is confined in the areas of voluntary cooperation and mutual recognition, exacerbating the operational difficulties of investigative coordination and exchange of evidential records.
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12

De, Martino Lorenzo <1989&gt. "L'abuso del diritto nella materia penale tributaria." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amsdottorato.unibo.it/8591/1/L%27abuso%20del%20diritto%20nella%20materia%20penale%20tributaria%20rev.%2015.03.18.pdf.

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Abstract:
Il presente lavoro trae origine dal dirompente ingresso della figura dell’abuso del diritto tributario sul palcoscenico penale, divenuto protagonista di una tra le più discusse rappresentazioni di cd. ‘diritto penale giurisprudenziale’ e portato per la prima volta in scena dal celebre filone interpretativo Dolce&Gabbana. Così, una volta introdotto il concetto generale di abuso del diritto, lo si distinguerà dalle nozioni di evasione fiscale e di risparmio (lecito) d’imposta; tre concetti fondamentali i cui rispettivi limiti e interazioni costituiranno uno dei fil rouge dell’analisi. Si darà conto, poi, dell’operato del ‘diritto vivente’ in materia: una stagione giurisprudenziale caratterizzata, come si vedrà, più da ombre che da luci, intrisa di frequenti contrasti applicativi (sia diacronici che sincronici) e portatrice – in conseguenza – di una forte imprevedibilità del giudizio penale per le condotte classificate come abusive. L’analisi della genesi e dell’ascesa della punibilità dell’abuso del diritto in materia fiscale costituirà poi un’occasione per proiettarsi in una più ampia riflessione sulla crisi di legalità che affligge ormai da decenni l’ordinamento penale, di cui il filone Dolce&Gabbana ne costituisce paradigmatico esempio. Dopo avere ricondotto il fenomeno dell’abuso del diritto nell’alveo della più ampia crisi che investe la scienza penale contemporanea, si tornerà ad apprezzare il dato legislativo, rappresentato dal nuovo art. 10-bis dello Statuto del contribuente. Infine, l’indagine toccherà l’interrogativo che permane, latente, sulla materia: esistono perduranti ipotesi penalmente rilevanti di condotte riconducibili al genus dell’abuso del diritto? Come si avrà modo di osservare, oltre a fornire una risposta diretta a tale interrogativo, la riflessione sarà un’occasione per procedere ad una ridefinizione – concettuale e terminologica – degli ‘attori’ che hanno da sempre recitato in questo complesso settore del diritto penale tributario.
The PhD thesis draws its origin from the appearance of the tax abuse of right in criminal procedures and by becoming one of the main actors in one of the most controversial performances of cd. ‘ciminal jurisprudential law’, brought to our attention by the renowned interpretative branch of Dolce&Gabbana. Therefore, once introduced the general concept of tax abuse, it will be separated from the notions of tax evasion and tax savings (legal); these three fundamental concepts and their limits and interactions will be the leitmotiv of the analysis. Moreover, there will be a study on the action of the “living law”: a jurisprudential season characterized, as it may be noticed, by light and shadow, full of application contrasts (diachronic and synchronic) and with a strong unpredictability on the criminal judgement for those behaviors assessed as violations. The analysis of the origin and the development of the punishability of the violation of the law in tax policy will allow a broader consideration on the crisis of the criminal law principles. After tracing back the phenomenon of violation in the broader trend that has struck contemporary criminal science, the study will concentrate on the law data represented by the new Article 10-bis of the l. 212/2000 The novelty represented by the legislative decree 128/2015 represents a fundamental achievement on the topic: not only it (finally) gives a fundamental definition of the concept of violation of law, but also the legislator has expressly stated expressis verbis the criminal irrelevance. However, the interpretation of the article 10-bis and of its interactions with the Criminal Tax Law has its own critical points. Therefore, this study will try to suggest a possible solution.
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13

Bonomo, Elisabetta. "L'attività istruttoria della Corte penale internazionale e la cooperazione con gli Stati." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424196.

Full text
Abstract:
The investigative phase is one of the crucial moments of the criminal proceedings, since it is thanks to evidence that it is possible to understand and prove the truth. During the proceedings before international jurisdictions, this phase lives many difficulties: since these international bodies don’t have their own police forces, the Prosecutor must always rely on States’ cooperation. This research dissertation starts from this assumption in order to conduct a deep analysis on the duties of cooperation that States - individually or as part of common organs like NATO - have before the International Criminal Court (ICC). States are not the only actors that can cooperate with the ICC: therefore the research takes in consideration also possible duties of NGOs and private individuals face to the Court. The Rome Statute provides the Prosecutor with the power to conduct “on-site investigations”: this is the power to collect evidence on the territory of States, without the cooperation of national authorities. The Statute allows two modalities of “on-site investigations”: certain conditions existing, article 99(4) provides the Prosecutor with the power to do investigative activities that do not require the use of compulsive measures. Differently, article 57(3)(d) enables to do every kind of investigation, but only when after the assessment of the State’s inability to cooperate due to a substantial collapse. The research aims at analyzing this power and demonstrate their strong limits and hardly realizable conditions. The strength of the required conditions did not permit the realization of any praxis of the second kind of “on-site investigations”: therefore, the analysis has been done in light of the general principles governing the ICC and thanks to the comparison with the ad hoc International Criminal Tribunals. The substantial jurisdiction of the ICC leads to affirm that in some occasions - and in the presence of the conditions required by International law - there could be before different international jurisdictions (for examples, the ICC and the International Court of Justice) cases connected on light of the subject and/or the object. This situation of connection could happen also before national jurisdictions. Moreover, the complementarity of the ICC permits the establishment of situations of lis-pendens. In these circumstances, in order to gain the best results during the investigative phase, these jurisdictions should coordinate their activities and mutually exchange documents and information. As regards the relationship between international jurisdictions, that could be possible thanks to ad hoc agreement on mutual cooperation. On the contrary, In the Rome Statute has a specific norm, the article 99(10), permitting (but not obliging) the ICC to cooperate with States. In light of this innovative possibility, there has been an analysis of the relevant Italian norms with the aim at determine the conditions for introducing international evidence during national proceedings. The main conclusion of this research is that the fundamental element for an effective achievement of the international criminal justice is in the willingness of its international actor to cooperate with those who is called to its realization.
La fase investigativa costituisce uno dei momenti cruciali del procedimento penale, in quanto è attraverso le prove raccolte che è possibile ricostruire la verità storica dei fatti. Nell’ambito del procedimento penale internazionale celebrato di fronte alla Corte penale internazionale, questa fase è resa particolarmente difficile: non avendo un organo di polizia giudiziaria a disposizione, infatti, l’organo inquirente deve affidarsi costantemente alla cooperazione degli Stati. Partendo da questo presupposto generale, la tesi si ripropone di ricostruire gli obblighi di cooperazione che incombono sugli Stati, sia come singoli, sia come contributori nelle operazioni messe in atto dall’ONU, sua come parti di organi comuni - come la NATO -, a favore della Corte penale internazionale. Gli Stati tuttavia non sono gli unici soggetti che possono cooperare con la Corte: per questo motivo sono stati ricostruiti gli eventuali obblighi incombenti sulle organizzazioni non governative e sugli individui privati. Lo Statuto di Roma conferisce al Procuratore alcuni poteri, potenzialmente molto rilevanti in quanto consentono di svolgere di indagini sul territorio statale senza l’ausilio delle autorità nazionali. Sono quindi previste due modalità di esecuzione delle cd. “on-site investigations”: innanzitutto, l’art. 99, par. 4, consente, nel rispetto di talune condizioni, che il Procuratore possa svolgere le attività di indagine che non comportano l’uso di misure coercitive. L’art. 57, par. 3, lett. d), invece, attribuisce il potere di svolgere qualunque tipo di indagine sul territorio degli Stati parti che si trovino in una situazione di collasso tale da comportare l’assenza di qualunque autorità a cui inoltrare le rogatorie. Ciò che la disciplina delle “on-site investigations” non consente, è di superare l’ostacolo alle indagini costituito dalla mancanza di volontà di cooperare con la Corte. Inoltre, alla luce delle difficoltà di realizzazione delle condizioni richieste dallo Statuto, attualmente non si riscontrano nella prassi situazioni in cui sia stato possibile ricorrere agli strumenti attribuiti dall’art. 57, par. 3, lett. d) dello Statuto: per questo motivo, l’analisi è stata svolta principalmente alla luce dei principi generali che governano l’operato della Corte e del confronto con i Tribunali penali internazionali ad hoc e dei poteri a loro attribuiti. La giurisdizione materiale della Corte penale internazionale consente di affermare che in alcuni casi - e qualora ricorrano le circostanze previste dal diritto internazionale - si possano instaurare di fronte a diverse giurisdizioni casi connessi dal punto di vista soggettivo e/o oggettivo. Queste situazioni di connessione si possono creare sia a livello esclusivamente internazionale (ad esempio tra la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia), ma anche con le giurisdizioni nazionali. Rispetto a queste ultime, viene dimostrato come la complementarietà della giurisdizione della Corte, oltre ad essere un’ulteriore causa di possibili connessioni tra procedimenti, consenta inoltre l’instaurarsi anche di situazioni di litispendenza. Qualora sussistano queste situazioni, sarebbe opportuno che le diverse giurisdizioni si coordinino e intraprendano attività di scambio di documenti e informazioni al fine ottimizzare gli sforzi e di giungere a giudicati tra loro coerenti. In ambito esclusivamente internazionale, la reciproca cooperazione è possibile solo tramite accordi ad hoc conclusi fra le giurisdizioni. Lo Statuto di Roma, inoltre, prevede espressamente la possibilità (ma non l’obbligo) che la Corte cooperi a favore degli Stati. Si tratta di una facoltà e non di un obbligo, la cui attuazione sarebbe auspicabile alla luce del principio per cui sono gli Stati i principali attori nella lotta all’impunità dei responsabili di crimini internazionali. Alla luce di questo innovativa possibilità, è stato verificato come le prove internazionali e i giudicati possano entrare nell’ordinamento italiano e costituire materiale probatorio nell’ambito dei procedimenti penali nazionali. Le conclusioni generali che si ricavano dalla ricerca svolta sono che l’elemento fondamentale per un’efficace attuazione della giustizia penale internazionale risiede nella volontà degli attori internazionali a cooperare con coloro che di volta in volta che sono chiamati alla sua realizzazione.
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BISSARO, STEFANO. "IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ IN MATERIA PENALE. PROFILI COSTITUZIONALI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/614492.

Full text
Abstract:
Within the well-known Taricco affair, the Constitutional Court, with the refer n. 24 of 2017, raised the principle of legality in criminal law, enshrined in art. 25, second paragraph of the Constitution, to the rank of supreme principle of the constitutional legal order, insofar it requires that criminal rules must be precise and must not have retroactive effect, recognizing the extraordinary importance of the individual guarantees related to it. However, this statement of the Constitutional Judge comes into a context of deep crisis of the guarantees historically referred to the principle of nullum crimen, which, due to the distortions of legislative procedures and the increasingly importance of the jurisprudence (common and constitutional), due to the definitive affirmation of a European criminal law and of the progressive incidence of the European Court in the criminal sector, has profoundly changed its own content of guarantee, compared to the original model traced by the Constituent. This doctoral research intends to investigate, with the peculiar perspective of constitutional law, this complex ground focusing, after a brief introduction of its historical and philosophical origins, on the evolution of the principle of legality in criminal law, in light of the integration with the European Charters, with the idea of particularly deepening the most recent and controversial issues: firstly, the definition of the scope of the principle recognized by the art. 25, second paragraph of the Constitution (which is a priority topic); the current significance of the statutory clause in criminal matters in a scenario where the representative Parliament seems ousted from the definition of the criminal policy’s directives; the role played in criminal matters by the Constitutional Court, called to represent the last bastion in defense of the principle of legality and sometimes becomes itself the source of guarantees’ weakening linked to the statutory clause and the principle of certainty; and lastly, the impact on the domestic penal system brought by the criminalization’s choices taken by the institutions of the European Union and the increasingly role of supranational Courts.
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GIRGENTI, ALFIO LIVIO. "Il contratto di cooperazione nel codice dei contratti pubblici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2017. http://hdl.handle.net/10281/152404.

Full text
Abstract:
Il contratto di cooperazione è un istituto introdotto per la prima volta nel codice dei contratti pubblici, all’art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016, in attuazione delle direttive europee sui contratti pubblici di quarta generazione. In particolare, tale tipo di contratto è finalizzato alla cooperazione nei servizi pubblici in comune attraverso la condivisione di attività esposte al mercato aperto, e si presenta come una fattispecie comune alle tre direttive europee in materia di concessioni (art. 17, par. 4, dir. 2014/23/UE), appalti pubblici nei settori ordinari (art. 12, par. 4, dir. 2014/24/UE) e nelle “utilities” (art. 28, par. 4, dir. 2014/25/UE), che hanno codificato la fattispecie elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Essenzialmente, tale cooperazione per via consensuale si configura, sul piano formale, sotto forma di (i) convenzione pubblicistica conclusa esclusivamente tra enti pubblici, (ii) esente dall’obbligo di gara. La ricerca si concentra su entrambe le caratteristiche di tale tipo di contratto e persegue un duplice obiettivo: da un lato criticare, sul piano strutturale, l’adeguatezza della nozione di accordo amministrativo ai fini della qualificazione della natura di tale contratto, e dall’altro lato estendere, sul piano funzionale, la portata dell’esenzione oltre la classica libertà di cooperare e di organizzare i servizi pubblici in forma aggregata, sancita dall’art. 2, par. 1, secondo periodo, dir. 2014/23/UE. Ciò implica le seguenti due questioni: se il contratto di cooperazione si risolve in sostanza nella codificazione nell’ambito del diritto europeo di una situazione meramente interna (l’accordo di collaborazione) e, se in caso contrario, tale tipo di contratto comporta l’esenzione dall’obbligo di gara di una fattispecie che comunque non ricade nell’ambito di applicazione dalle libertà fondamentali (in quanto strumento di autoproduzione in senso lato). A tale fine, prenderò in esame le origini giurisprudenziali della fattispecie, in modo da ricostruire il percorso logico e cronologico che ha portato a differenziare tale contratto di cooperazione dal partenariato pubblico-pubblico, dai contratti in house e, infine, dall’accordo di collaborazione, attraverso il confronto con le fattispecie previste dal diritto nazionale di accordo inter-amministrativo, che il diritto europeo prende sì in considerazione, ma senza armonizzarle. Alla luce di questa analisi, si cercherà di mettere in evidenza che la nozione codificata di contratto di cooperazione rappresenta la versione evoluta dell’accordo di collaborazione, con la quale sono esentati appalti pubblici e concessioni aventi ad oggetto attività economiche esposte al mercato aperto, finalizzate all’erogazione di servizi pubblici e scambiate in regime cooperazione pubblica. Al centro di tale interpretazione sta la previsione, introdotta in modo innovativo rispetto alla precedente giurisprudenza, che ammette lo svolgimento di attività esposta al mercato aperto, come previsto alla lettera c) dell'articolo citato. In sintesi, intendo sostenere che il contratto di cooperazione è formalmente un accordo inter-amministrativo e sostanzialmente un contratto pubblico quando, sotto il profilo strutturale, può riguardare attività accessorie al servizio pubblico, e non comporta alcun rapporto in house, nonché dimostrare che, sotto il profilo funzionale, l’esenzione di tale contratto va oltre la semplice aggregazione dei servizi ed è estesa ai casi in cui si verifica la condivisione delle risorse e delle prestazioni attraverso lo svolgimento di attività complementari.
The cooperation contract is a legal type common to the three European directives on concessions (art. 17, para 4, dir. 2014/23/EU), procurement in the public sector (art. 12, para 4, dir. 2014/24/EU) and utilities (art. 28, para 4, dir. 2014/25/EU), which never introduced before, but established by the case law. Essentially, such contract is aimed to the cooperation in the public services in common through the sharing of activities exposed to the open maket, and configures, at a formal level, (i) an arrangement concluded exclusively between public bodies, (ii) exempt from the obligation to follow the competitive procedures. The research focalizes both the characteristics of the legal type and aims a twofold objective: on the one hand -structurally-, criticizing the adequacy of the concept of public agreement in order to qualify the nature of that contract, and on the other hand -functionally-, extending the scope of that exemption beyond the classic freedom of cooperation and organization of public services in aggregate form, provided by art. 2, para 1, second sentence, dir. 2014/23/EU). This entails the following two questions: whether the cooperation contract resolves essentially in the codification of European law in the context of a purely internal situation (the cooperation agreement) and, if not, this type of contract involves the exemption from the obligation to follow the competitive procedures of a situation that in any case does not fall within the scope of the fundamental freedoms (as an instrument of in house providing in a broad sense). To this purpose, I will delve into the jurisprudential origins of the present legal type, in such a way to reconstruct the logical and chronological path which leads to differentiate such a cooperation contract from the public-public partnership, from the in-house contract and, finally, from the cooperation agreement, by means of the comparison with the legal types of inter-administrative arrangement provided by the domestic law, which the European law takes into account without a full harmonization. In the light of this analysis, I will seek to point out the codified notion of cooperation contract represents the evolved version of the collaboration agreement, with which are exempted public contracts and concessions relating to economic activities exposed to the open market, aimed to the provision of public services and exchanged in cooperation within the public sector. At the core of this interpretation is the provision, introduced in innovative way than the previous case law, that allows the performance in cooperation of activities exposed to the open market, as provided in subparagraph c) of the cited articles. Furthermore, with regard to structure yet, it will observe that the cooperation contract does not overlap or interfere with the in house providing in a narrow sense, even if this kind of contract is inserted in the same statutory package. Turning to the scope of the exemption from the functional point of view, it should be noted that as part of the contractual cooperation was allowed, in the recitals of the 2014 EU directives, the integration between public bodies to carry out complementary activities. In summary, I want to argue that the cooperation contract is formally an inter-administrative arrangement and essentially a public contract as, structurally, may relate to activities ancillary to the public service, and does not imply any in house relationship, and to demonstrate that, functionally, the exemption of that contract goes beyond simple service aggregation and is extended to cases where there is the sharing of performance by carrying out complementary activities.
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LOMBARDO, Emilia. "Diritti processuali e garanzie della persona nella cooperazione giudiziaria penale: tra mutuo riconoscimento e armonizzazione." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/90927.

Full text
Abstract:
La tesi di dottorato affronta le linee evolutive della cooperazione giudiziaria in materia penale onde cogliere un percorso che, dalla nascita del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, porta all’affermazione di un rapporto di cointeressenza tra il menzionato principio e il ravvicinamento delle discipline nazionali relative alle garanzie e ai diritti del soggetto coinvolto, quale imputato o indagato, nel procedimento penale. Nella menzionata tesi, infatti, si evidenzia l’emersione di una crescente attenzione delle istituzioni europee nei confronti dei diritti della persona nel processo penale; un’attenzione che, invero, affonda le sue radici nei limiti dei primi interventi normativi dell’Unione europea nel settore della cooperazione giudiziaria penale. In un primo momento, infatti, all’indomani del noto vertice di Tampere del 1999, l’azione delle istituzioni europee si dirige verso l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie: il citato principio, divenuto- proprio in occasione del menzionato Consiglio europeo- il fondamento della cooperazione giudiziaria penale, si basa sulla reciproca fiducia tra gli Stati membri nei rispettivi ordinamenti; l’esistenza di una reciproca fiducia tra i paesi europei avrebbe dovuto permettere la libera circolazione delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri dell’Unione. In realtà l’esperienza della prima, oltreché più nota, applicazione del principio del reciproco riconoscimento dimostra come la menzionata fiducia reciproca tra gli Stati membri non possa essere puramente e semplicemente proclamata, quasi come un dogma: la possibilità che gli ordinamenti nazionali considerino le decisioni giudiziarie degli altri Stati membri come equivalenti alle proprie impone un certo ravvicinamento delle legislazioni nazionali. La vicenda della “decisione quadro del Consiglio sul mandato d’arresto europeo e sulle procedure di consegna tra gli Stati membri” e del relativo recepimento sul piano interno, rappresenta un esempio emblematico di come la reciproca fiducia non possa essere presunta, ma debba essere costruita e di come l’assenza di un armonizzazione delle legislazioni nazionali possa, talvolta, tradursi in un ostacolo al funzionamento del reciproco riconoscimento. Nella tesi di dottorato vengono esaminate, pertanto, le forti resistenze manifestate dal nostro legislatore nei confronti della decisione quadro 2002/584/GAI. La legge 69/2005 e i suoi numerosi esempi di scollamento rispetto ai contenuti della decisione quadro lasciano trasparire chiaramente - nonostante i successivi interventi correttivi operati dalla giurisprudenza di legittimità- il timore, che mediante il riconoscimento delle decisioni giudiziarie le garanzie e i diritti dell’individuo, previsti dal sistema processuale interno, possano essere sacrificati. La vicenda del MAE mette in discussione il funzionamento del principio del reciproco riconoscimento e l’esistenza di una dogmatica fiducia reciproca tra gli Stati membri. Probabilmente, sono proprio le valutazioni a consuntivo di tale esperienza a determinare un mutamento di prospettiva nell’attività delle istituzioni europee. In un contesto istituzionale riformato dal trattato di Lisbona, vedono la luce il Programma di Stoccolma e la tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti processuali di indagati o imputati in procedimenti penali. Tali documenti programmatici sono la chiara manifestazione di una nuova acquisita consapevolezza in capo alle istituzioni eurounitarie: viene chiaramente affermata la necessità di dar vita a un processo di armonizzazione delle legislazioni processuali nazionali, volto a rafforzare quella reciproca fiducia necessaria al funzionamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie; una reciproca fiducia che non può presumersi ma che deve essere costruita. Sulla base dei menzionati documenti vengono adottate le prime direttive in materia di diritti processuali. Le direttive, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione e sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, oggetto di indagine nella seconda parte della presente tesi di dottorato, contribuiscono a rafforzare, attraverso la predisposizione di norme minime comuni, la fiducia reciproca tra gli Stati membri. Ancorchè connessa al più volte citato rafforzamento del principio del reciproco riconoscimento, l’adozione delle direttive citate rivela anche una rinnovata attenzione dell’Unione nei confronti dei diritti processuali della persona. Le direttive contengono norme minime comuni in materia di diritti e garanzie processuali nel procedimento penale, alle quali deve conformarsi il legislatore nazionale. La seconda parte della tesi di dottorato affronta, pertanto, i contenuti delle due direttive sul diritto all’interpretazione e alla traduzione e sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, nel tentativo di cogliere le possibili ripercussioni delle norme europee sulla disciplina interna.
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Azzariti, Ilaria <1982&gt. "La cooperazione amministrativa tra stati membri in materia fiscale: verso una amministrazione finanziaria "europea"." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6600/1/Azzariti_Ilaria_Tesi.pdf.

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Abstract:
L’armonizzazione fiscale è una importante sfida che l’Unione Europea si trova ad affrontare per la completa realizzazione del mercato interno. Le istituzioni comunitarie, tuttavia, non dispongono delle competenze legislative per intervenire direttamente negli ordinamenti tributari degli Stati membri. Svolgendo una analisi del contesto legislativo vigente, ed esaminando le prospettive de iure condendo della materia fiscale dell’Unione, il presente lavoro cerca di comprendere le prospettive di evoluzione del sistema, sia dal punto di vista della normativa fiscale sostanziale, che procedimentale. Mediante la disciplina elaborata a livello comunitario che regola la cooperazione amministrativa in materia fiscale, con particolare riferimento alle direttive relative allo scambio di informazioni e all’assistenza alla riscossione (dir. 2011/16/UE e dir. 2010/24/UE) si permette alle Amministrazioni degli Stati membri di avere accesso ai reciproci ordinamenti giuridici, e conoscerne i meccanismi. L’attuazione di tali norme fa sì che ciascun ordinamento abbia l’opportunità di importare le best practices implementate dagli altri Stati. L’obiettivo sarà quello di migliorare il proprio procedimento amministrativo tributario, da un lato, e di rendere più immediati gli scambi di informazione e la cooperazione alla riscossione, dall’altro. L’armonizzazione fiscale all’interno dell’Unione verrebbe perseguita, anziché mediante un intervento a livello europeo, attraverso un coordinamento “dal basso” degli ordinamenti fiscali, realizzato attraverso l’attività di cooperazione delle amministrazioni che opereranno su un substrato di regole condivise. La maggiore apertura delle amministrazioni fiscali dei Paesi membri e la maggiore spontaneità degli scambi di informazioni, ha una efficacia deterrente di fenomeni di evasione e di sottrazione di imposta posti in essere al fine di avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi impositivi dei vari paesi. Nel lungo periodo ciò porterà verosimilmente, gli Stati membri a livellare i sistemi impositivi, dal momento che i medesimi non avranno più interesse ad utilizzare la leva fiscale per generare una concorrenza tra gli ordinamenti.
Fiscal harmonization is an important challenge European Union has to face for the complete fulfillment of the common internal market. European institutions do not have competences set forth under the Treaties to approach the tax matter. The main aim of the paper is to understand the perspective for the development of the fiscal system among the EU, starting from the analysis of the Eu Directives in force affecting the tax administrative proceedings of the member States. Through the EU Directive on the exchange of information (dir. 2011/16/EU) and the EU Directive on the assistance for the recovery of taxes (dir. 2010/24/EU), the fiscal authorities of member States have the chance to know each other's administrative systems. In this framework, the more tax authorities will be open to exchange information, assist each other, and to cooperate on a common legal basis, the more effective will be the response against cross-border tax fraud and evasion. On the other side, the effectiveness of the exchange of information among States will prevent harmful tax competition and distortions in the tax systems. The result will be a shift in emphasis from attempting to harmonize taxes at EU level towards improving coordination between existing national tax systems, and in particular, tax authorities.
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Azzariti, Ilaria <1982&gt. "La cooperazione amministrativa tra stati membri in materia fiscale: verso una amministrazione finanziaria "europea"." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6600/.

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Abstract:
L’armonizzazione fiscale è una importante sfida che l’Unione Europea si trova ad affrontare per la completa realizzazione del mercato interno. Le istituzioni comunitarie, tuttavia, non dispongono delle competenze legislative per intervenire direttamente negli ordinamenti tributari degli Stati membri. Svolgendo una analisi del contesto legislativo vigente, ed esaminando le prospettive de iure condendo della materia fiscale dell’Unione, il presente lavoro cerca di comprendere le prospettive di evoluzione del sistema, sia dal punto di vista della normativa fiscale sostanziale, che procedimentale. Mediante la disciplina elaborata a livello comunitario che regola la cooperazione amministrativa in materia fiscale, con particolare riferimento alle direttive relative allo scambio di informazioni e all’assistenza alla riscossione (dir. 2011/16/UE e dir. 2010/24/UE) si permette alle Amministrazioni degli Stati membri di avere accesso ai reciproci ordinamenti giuridici, e conoscerne i meccanismi. L’attuazione di tali norme fa sì che ciascun ordinamento abbia l’opportunità di importare le best practices implementate dagli altri Stati. L’obiettivo sarà quello di migliorare il proprio procedimento amministrativo tributario, da un lato, e di rendere più immediati gli scambi di informazione e la cooperazione alla riscossione, dall’altro. L’armonizzazione fiscale all’interno dell’Unione verrebbe perseguita, anziché mediante un intervento a livello europeo, attraverso un coordinamento “dal basso” degli ordinamenti fiscali, realizzato attraverso l’attività di cooperazione delle amministrazioni che opereranno su un substrato di regole condivise. La maggiore apertura delle amministrazioni fiscali dei Paesi membri e la maggiore spontaneità degli scambi di informazioni, ha una efficacia deterrente di fenomeni di evasione e di sottrazione di imposta posti in essere al fine di avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi impositivi dei vari paesi. Nel lungo periodo ciò porterà verosimilmente, gli Stati membri a livellare i sistemi impositivi, dal momento che i medesimi non avranno più interesse ad utilizzare la leva fiscale per generare una concorrenza tra gli ordinamenti.
Fiscal harmonization is an important challenge European Union has to face for the complete fulfillment of the common internal market. European institutions do not have competences set forth under the Treaties to approach the tax matter. The main aim of the paper is to understand the perspective for the development of the fiscal system among the EU, starting from the analysis of the Eu Directives in force affecting the tax administrative proceedings of the member States. Through the EU Directive on the exchange of information (dir. 2011/16/EU) and the EU Directive on the assistance for the recovery of taxes (dir. 2010/24/EU), the fiscal authorities of member States have the chance to know each other's administrative systems. In this framework, the more tax authorities will be open to exchange information, assist each other, and to cooperate on a common legal basis, the more effective will be the response against cross-border tax fraud and evasion. On the other side, the effectiveness of the exchange of information among States will prevent harmful tax competition and distortions in the tax systems. The result will be a shift in emphasis from attempting to harmonize taxes at EU level towards improving coordination between existing national tax systems, and in particular, tax authorities.
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Cancellaro, Francesca <1984&gt. "La detenzione amministrativa degli stranieri. Nuove frontiere in materia di liberta' personale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/7226/1/cancellaro_francesca_tesi.pdf.

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Abstract:
La detenzione amministrativa degli stranieri, pur condividendo il carattere tipicamente afflittivo e stigmatizzante delle pene, non si fonda sulla commissione di un reato e non gode delle medesime garanzie previste dal sistema della giustizia penale. Nel nostro ordinamento l’inadeguatezza della legislazione, l’ampio margine di discrezionalità rimesso all’autorità di pubblica sicurezza, nonché il debole potere di sindacato giurisdizionale rimesso all’autorità giudiziaria, raggiungono il loro apice problematico nell’ambito delle pratiche di privazione della libertà personale che hanno per destinatari gli stranieri maggiormente vulnerabili, ossia quelli appena giunti sul territorio e il cui status giuridico non è ancora stato accertato (c.d. situazione di pre-admittance). E’ proprio sulla loro condizione che il presente lavoro si focalizza maggiormente. Le detenzioni de facto degli stranieri in condizione di pre-admittance sono analizzate, nel primo capitolo, a partire dal “caso Lampedusa”, descritto alla luce dell’indagine sul campo condotta dall’Autrice. Nel secondo capitolo viene ricostruito lo statuto della libertà personale dello straniero sulla base dei principi costituzionali e, nel terzo capitolo, sono analizzati i principi che informano il diritto alla libertà personale nell’ambito delle fonti sovranazionali, con particolare riferimento al diritto dell’Unione Europea e al sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sulla scorta dei principi indagati, nel quarto capitolo è tracciata l’evoluzione legislativa in materia di detenzione amministrativa dello straniero in Italia e, nel quinto capitolo, è approfondito il tema dei Centri dell’immigrazione e delle regole che li disciplinano. Nelle conclusioni, infine, sono tirate le fila del percorso tracciato, attraverso la valutazione degli strumenti di tutela in grado di prevenire le pratiche di privazione della libertà informali e di garantire uno standard minimo nella tutela della libertà individuale, anche nelle zone di frontiera del nostro ordinamento.
This thesis focuses on the issue of the legality of migrants’ detention immediately following disembarkation on EU shores. Under Italian practice, this phase is one of those where access to justice and legal advice are poorly protected, so that under the justification of necessity and urgency, cases of unlawful deprivation of liberty frequently take place without any legal basis and judicial review. This has been the case at the Immigration Centre located on Lampedusa Island in recent years, where under the label of ‘reception’ in reality migrants have been subjected to unlawful detention. As personally observed by the author, who carried out some fieldwork research within this Centre, the above situation has represented a case of arbitrary detention in breach of the principles established in the Italian Constitution and in International Conventions, in primis in the case law under the European Convention of Human Rights. This thesis builds on the Lampedusa case study with the aim of suggesting better ways to protect migrants’ personal liberty. Starting from the evaluation of the general legal safeguards available in the field of immigration detention in Italy, this thesis criticizes the habeas corpus system, specifically addressed to those who are in limbo’ between the arrival at the border of Europe and the determination of their individual legal status. It concludes that in Italy a migrant’s right to personal liberty is undermined by the lack of legal remedies in the Italian system.
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Cancellaro, Francesca <1984&gt. "La detenzione amministrativa degli stranieri. Nuove frontiere in materia di liberta' personale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amsdottorato.unibo.it/7226/.

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Abstract:
La detenzione amministrativa degli stranieri, pur condividendo il carattere tipicamente afflittivo e stigmatizzante delle pene, non si fonda sulla commissione di un reato e non gode delle medesime garanzie previste dal sistema della giustizia penale. Nel nostro ordinamento l’inadeguatezza della legislazione, l’ampio margine di discrezionalità rimesso all’autorità di pubblica sicurezza, nonché il debole potere di sindacato giurisdizionale rimesso all’autorità giudiziaria, raggiungono il loro apice problematico nell’ambito delle pratiche di privazione della libertà personale che hanno per destinatari gli stranieri maggiormente vulnerabili, ossia quelli appena giunti sul territorio e il cui status giuridico non è ancora stato accertato (c.d. situazione di pre-admittance). E’ proprio sulla loro condizione che il presente lavoro si focalizza maggiormente. Le detenzioni de facto degli stranieri in condizione di pre-admittance sono analizzate, nel primo capitolo, a partire dal “caso Lampedusa”, descritto alla luce dell’indagine sul campo condotta dall’Autrice. Nel secondo capitolo viene ricostruito lo statuto della libertà personale dello straniero sulla base dei principi costituzionali e, nel terzo capitolo, sono analizzati i principi che informano il diritto alla libertà personale nell’ambito delle fonti sovranazionali, con particolare riferimento al diritto dell’Unione Europea e al sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sulla scorta dei principi indagati, nel quarto capitolo è tracciata l’evoluzione legislativa in materia di detenzione amministrativa dello straniero in Italia e, nel quinto capitolo, è approfondito il tema dei Centri dell’immigrazione e delle regole che li disciplinano. Nelle conclusioni, infine, sono tirate le fila del percorso tracciato, attraverso la valutazione degli strumenti di tutela in grado di prevenire le pratiche di privazione della libertà informali e di garantire uno standard minimo nella tutela della libertà individuale, anche nelle zone di frontiera del nostro ordinamento.
This thesis focuses on the issue of the legality of migrants’ detention immediately following disembarkation on EU shores. Under Italian practice, this phase is one of those where access to justice and legal advice are poorly protected, so that under the justification of necessity and urgency, cases of unlawful deprivation of liberty frequently take place without any legal basis and judicial review. This has been the case at the Immigration Centre located on Lampedusa Island in recent years, where under the label of ‘reception’ in reality migrants have been subjected to unlawful detention. As personally observed by the author, who carried out some fieldwork research within this Centre, the above situation has represented a case of arbitrary detention in breach of the principles established in the Italian Constitution and in International Conventions, in primis in the case law under the European Convention of Human Rights. This thesis builds on the Lampedusa case study with the aim of suggesting better ways to protect migrants’ personal liberty. Starting from the evaluation of the general legal safeguards available in the field of immigration detention in Italy, this thesis criticizes the habeas corpus system, specifically addressed to those who are in limbo’ between the arrival at the border of Europe and the determination of their individual legal status. It concludes that in Italy a migrant’s right to personal liberty is undermined by the lack of legal remedies in the Italian system.
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Bianco, Floriana. "Il principio del mutuo riconoscimento in materia penale: contenuti, dinamiche, vincoli garantistici nella prospettiva di un diritto penale europeo." Doctoral thesis, Università di Catania, 2013. http://hdl.handle.net/10761/1474.

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Abstract:
La tesi è incentrata sul principio del mutuo riconoscimento in materia penale, analizzato nella peculiare dimensione da questo assunta con riguardo alla definizione dello spazio penale europeo inteso quale spazio che vede la progressiva affermazione e il consolidamento di un diritto penale europeo, e che riflette, più in generale, un significativo salto di qualità realizzato - in particolare con le ultime riforme dei Trattati - dalla costruzione europea. L analisi delle origini e delle principali tappe evolutive della cooperazione giudiziaria europea consente di cogliere i momenti di snodo fondamentali a partire dai quali l azione dell ente sovrannazionale ha progressivamente realizzato un significativo mutamento di scala : da intervento funzionale e di agevolazione alla cooperazione tra Stati a vera e propria politica europea, come definita a Lisbona, passando attraverso la consacrazione operata dal Trattato di Amsterdam dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia quale obiettivo dell Unione. L evoluzione della cooperazione in materia penale trova il suo momento culminante nell affermazione del principio del mutuo riconoscimento, principio da tempo consolidato nell ordinamento comunitario ma pressoché rivoluzionario laddove trasposto alla sfera d azione della cooperazione giudiziaria. Sebbene il mutuo riconoscimento non sembra necessitare, ai fini del suo funzionamento, modifiche alle legislazioni penali nazionali, l analisi si propone di mettere in luce come, al contrario, il ravvicinamento delle normative penali nazionali sia una componente essenziale, al fine di instaurare e consolidare quella fiducia reciproca che, a sua volta, rappresenta un elemento imprescindibile di efficacia ed effettività del principio. Il reciproco riconoscimento e l armonizzazione delle legislazioni proposti in origine come meccanismi alternativi, separati e autonomi , sono al contrario due modelli che operano tra loro in stretta sinergia, e per tal via, raggiungono il fondamentale obiettivo costituito dalla realizzazione dell integrazione penale europea. Inquadrato il principio e la sua ratio essendi, l analisi prosegue con un indagine relativa alla mise en uvre del suddetto principio, dapprima a livello europeo attraverso l adozione di numerose decisioni-quadro poi a livello nazionale, con specifico riferimento agli ordinamenti giuridici italiano e francese. L attuazione del mutuo riconoscimento in materia penale, in uno spazio che insieme alla sicurezza, deve caratterizzarsi, altresì, per la garanzia della libertà e della giustizia, rivela un rapporto ambivalente tra il principio e i diritti fondamentali della persona. L indagine viene, quindi, concentrata dapprima sulle tensioni tra il mutuo riconoscimento e taluni principi fondamentali di matrice penalistica, primo fra tutti il principio di legalità in materia penale, come anche sulle frizioni tra tale principio e taluni diritti fondamentali di carattere procedurale. Attraverso l analisi degli ostacoli e delle tensioni rilevate nell attuazione degli strumenti di mutuo riconoscimento, si individua nell armonizzazione il percorso-chiave dell integrazione europea, quale veicolo di quel comune sentire valoriale che non può non essere alla base della costituenda identità europea, sia nelle scelte di penalizzazione che l Unione è ormai competente ad esprimere, sia nella dimensione garantistica della tutela dei diritti che deve trovare espressione in ogni manifestazione dell ordinamento sovrannazionale. Sotto altro profilo, il mutuo riconoscimento si è affermato quale significativo strumento di garanzia dei diritti fondamentali; emblematico, a tale riguardo, il riferimento al principio del ne bis in idem che, oltre ad essere una forma di riconoscimento delle decisioni giudiziarie costituisce, altresì, attuazione di un diritto fondamentale, espressamente sancito dall art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea.
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Schiavon, Alessia. "I comportamenti devianti e criminali dei digital native: una riflessione comparata in materia di cyberbullismo e sexting." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3425873.

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Abstract:
Over the past twenty years, the Internet has become an integral part of people’s lives, especially young people, the socalled digital natives. Children and adolescent have eagerly embraced its potential for communication, entertainment and information-seeking. Today, minors grow up in a technology-mediated environment and are especially attracted by the possibilities of the Web. For them, the distinction between online and offline has increasingly become meaningless, and they move effortlessly between the two. This opens tremendous prospects that were unimaginable only half a generation ago. While such availability would uniformly be seen as positive, there are increasing concerns about the risks that access to technology might bring for young people. This massive use of ICTs by children and adolescents represents a circumstance not devoid of legal relevance. As a matter of fact, the Internet revolution has brought about a change in the criminological scenario, especially in relation to young people. This work intends to investigate the new virtual phenomena characterizing the digital natives and known as cyberbullying and sexting, adopting an interdisciplinary research approach. Following an in-depth investigation into the sociological and criminological aspects that characterize the phenomena, the research provides an evaluation of the current legal framework at the international, European and national level in relation to the protection of minors in the digital world. Consequently, on the basis of a comparative analysis involving common law (Australia, Canada) and civil law (Spain, Italy) systems, the study aspires firstly to identity the legal issues and debates arose by cyberbullying and sexting, estimating the effectiveness of the criminal justice model in relation to these types of criminal and deviant behaviours. Secondly, it aims to reflect on the role of criminal law in relation to the new challenges posed by the cyberspace.
Negli ultimi vent'anni, Internet è diventato parte integrante della vita delle persone, in particolare dei giovani, i cosiddetti nativi digitali. I bambini e gli adolescenti hanno abbracciato con entusiasmo il suo potenziale di comunicazione, intrattenimento e di ricerca di informazioni. Oggi, i minori crescono in un ambiente mediato dalla tecnologia e sono particolarmente attratti dalle possibilità del Web. Per loro, la distinzione tra online e offline è diventata sempre più priva di significato, e si spostano con facilità tra i due. Questo ha aperto enormi prospettive che erano inimmaginabili solo una mezza generazione fa. Sebbene tale disponibilità debba considerarsi positiva, a preoccupare sono i crescenti rischi che l'accesso alla tecnologia potrebbe comportare per i giovani. L’uso significativo delle tecnologie della comunicazione da parte di bambini e adolescenti rappresenta una circostanza non priva di rilevanza giuridica. Di fatto, la rivoluzione di Internet ha determinato un cambiamento nello scenario criminologico, specialmente in relazione ai giovani. Questo lavoro intende investigare i nuovi fenomeni virtuali che caratterizzano i nativi digitali e conosciuti come cyberbullismo e sexting, adottando un approccio di ricerca interdisciplinare. A seguito di un'indagine approfondita sugli aspetti sociologici e criminologici che caratterizzano i fenomeni, la ricerca fornisce una valutazione dell'attuale quadro giuridico a livello internazionale, europeo e nazionale in relazione alla protezione del minore nel contesto digitale. In seguito, sulla base di un'analisi comparativa che coinvolge sistemi di common law (Australia, Canada) e civil law (Spagna, Italia), lo studio aspira innanzitutto a identificare le questioni e i dibattiti legali stimolati dal cyberbullismo e dal sexting, stimando l'efficacia del criminale modello di giustizia in relazione a tali comportamenti criminali e devianti. In secondo luogo, mira a riflettere sul ruolo del diritto penale con riferimento alle nuove sfide poste dal cyberspazio.
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Abbadessa, G. "PENA MINACCIATA E ATTI ESECUTIVI: UNO STUDIO IN MATERIA DI TENTATIVO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2012. http://hdl.handle.net/2434/203767.

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Santangelo, Alessandra <1989&gt. "Il principio di prevedibilità in materia penale. Riflessi sulle garanzie fondamentali di una analisi comparata sulla "cultura del precedente"." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amsdottorato.unibo.it/9418/1/A.%20Santangelo_Il%20principio%20di%20prevedibilit%C3%A0.pdf.

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Abstract:
Nell’epoca di profonda transizione dell’era «pos-moderna», il modello tradizionale di legalità che conferisce al Parlamento il monopolio in materia penale entra in crisi in ragione della frammentazione delle fonti del diritto - a livello nazionale e sovranazionale - nonché delle spinte di globalizzazione capaci di incidere, ormai, ben oltre il mero piano economico. A fronte della incapacità del legislatore di rispondere in termini effettivi alla urgenza di razionalizzare e riformare il sistema penale, quindi, il potere giudiziario ha assunto una funzione di sostanziale supplenza, generando inevitabili attriti con il nullum crimen e i suoi corollari. Ne deriva che il Giudice di legittimità sempre più si preoccupa di assicurare la prevedibilità dei mutamenti interpretativi, specie se in malam partem, tenendo a mente gli ultimi approdi della giurisprudenza di Strasburgo in riferimento all’art. 7 CEDU. In particolare, tanto nelle motivazioni delle decisioni quanto nei contributi dottrinali, si diffonde graduale il riferimento a istituti propri del modello di common law: la recente riforma dell’art. 618, co 1 bis, c.p.p., del resto, è stata descritta a più voci come l’avvio della diffusione nell’ordinamento interno della c.d. “cultura del precedente”. In tale frangente, diviene utile approfondire l’opportunità dell’accostamento tra il modello di common law e di civil law, conducendo uno studio comparato tra i due ordinamenti quanto all’esercizio del potere punitivo che intende esaminare l’opportunità di acquisire rimedi propri della esperienza secolare del diritto judge-made in un ordinamento governato dalla soggezione del giudice alla legge.
The research aims to investigate the interconnections among common law and civil law legal orders, in relation to the rule of law and the necessary separation of powers. In the criminal field, a recent Italian legislative reform risks modifying the Court of Cassation's structure: it conferred more power to its Supreme Section (so called Sezioni Unite) binding the smaller sections and implying some aspects of the ‘culture of precedent’. This reform became necessary since the judicial activism by Italian jurisprudence had started jeopardising the foreseeability of criminal sanctions: the nullum crimen sine lege became influenced not only by legislative decisions but, rather, by case law. In this frame, a great role is played by the case law of the Strasbourg Court. In fact, the substantive approach the Court adopted to define criminal charges under Art 7 ECHR firmly determined broad changes for national judges. The Convention requires each signatory State to comply with qualitative requirements in order to strengthen the predictability of penalties. Thus, while the case-law is behaving as a co-protagonist within the criminal field, it is possible to affirm that common law rules are influencing civil law legal orders being passed on by the supranational approach. The thesis intends to compare civil law and common law paradigms examining whether the stare decisis doctrine could be exported under a different ground.
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DELLA, TORRE LUCIA. "Le frontiere mobili del diritto punitivo. Le contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro e immigrazione, tra sfera penale e amministrativa." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2010. http://hdl.handle.net/10280/886.

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Abstract:
Le contravvenzioni si collocano lungo il confine tra il sistema amministrativo e quello propriamente penale. Da tale posizione esse derivano la loro peculiare struttura, che spesso sanziona condotte di mera disobbedienza (frequentemente omissive) piuttosto ensangui sul piano soggettivo; su un piano dinamico, fanno da contrappunto allo scarso disvalore del fatto tipico la rapidità dei giudizi e la mitezza delle sanzioni. Le contravvenzioni sembrano così differenziarsi con una certa nettezza dagli illeciti penali tradizionali, avvicinandosi piuttosto agli illeciti c.d. amministrativi: esse mancherebbero della “personalità” che, invece, dovrebbe caratterizzare il reato alla luce anche del dettato costituzionale. Abbiamo tentato di testare la tenuta della categoria contravvenzionale in due settori della “parte speciale”: il diritto penale del lavoro e il diritto penale dell'immigrazione. Nel primo caso le riforme hanno dato luogo a un'amministrativizzazione del diritto penale: essa è connotata da pene sostanzialmente amministrative, con tratti penalistici annacquati; nel secondo caso, invece, le sperimentazioni hanno determinato una penalizzazione del diritto amministrativo, che si caratterizza soprattutto perché conduce a una forma di limitazione della libertà personale per così dire “innominata”, cioè esclusa dal novero delle pene tipiche di cui all'art. 39 c.p.
Misdemeanors are placed along the border between the administrative and the penal system. From that position they derive their peculiar structure, which often punishes mere disobediences carried out without malice or recklessness. The speed of the assessments and the mildness of the sanctions are the dynamic counterpoints to the low negative value of the typical fact. Misdemeanors seem to be quite different from the traditional criminal offenses, and rather similar to the administrative ones: they lack the "personality" which should characterize a constitutionally shaped crime. We attempted to test the internal consistency of the misdemeanors category in the the criminal labor and immigration law. In the first case, reforms have led to essentially administrative sanctions, with the criminal features watering down; in the second case, they have brought to penalties which, though formally administrative, are punitive in character: the most typical of these is a “unnamed” restriction of liberty, which is excluded from the range of typical sentences listed in article 39 c.p.
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DELLA, TORRE LUCIA. "Le frontiere mobili del diritto punitivo. Le contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro e immigrazione, tra sfera penale e amministrativa." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2010. http://hdl.handle.net/10280/886.

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Abstract:
Le contravvenzioni si collocano lungo il confine tra il sistema amministrativo e quello propriamente penale. Da tale posizione esse derivano la loro peculiare struttura, che spesso sanziona condotte di mera disobbedienza (frequentemente omissive) piuttosto ensangui sul piano soggettivo; su un piano dinamico, fanno da contrappunto allo scarso disvalore del fatto tipico la rapidità dei giudizi e la mitezza delle sanzioni. Le contravvenzioni sembrano così differenziarsi con una certa nettezza dagli illeciti penali tradizionali, avvicinandosi piuttosto agli illeciti c.d. amministrativi: esse mancherebbero della “personalità” che, invece, dovrebbe caratterizzare il reato alla luce anche del dettato costituzionale. Abbiamo tentato di testare la tenuta della categoria contravvenzionale in due settori della “parte speciale”: il diritto penale del lavoro e il diritto penale dell'immigrazione. Nel primo caso le riforme hanno dato luogo a un'amministrativizzazione del diritto penale: essa è connotata da pene sostanzialmente amministrative, con tratti penalistici annacquati; nel secondo caso, invece, le sperimentazioni hanno determinato una penalizzazione del diritto amministrativo, che si caratterizza soprattutto perché conduce a una forma di limitazione della libertà personale per così dire “innominata”, cioè esclusa dal novero delle pene tipiche di cui all'art. 39 c.p.
Misdemeanors are placed along the border between the administrative and the penal system. From that position they derive their peculiar structure, which often punishes mere disobediences carried out without malice or recklessness. The speed of the assessments and the mildness of the sanctions are the dynamic counterpoints to the low negative value of the typical fact. Misdemeanors seem to be quite different from the traditional criminal offenses, and rather similar to the administrative ones: they lack the "personality" which should characterize a constitutionally shaped crime. We attempted to test the internal consistency of the misdemeanors category in the the criminal labor and immigration law. In the first case, reforms have led to essentially administrative sanctions, with the criminal features watering down; in the second case, they have brought to penalties which, though formally administrative, are punitive in character: the most typical of these is a “unnamed” restriction of liberty, which is excluded from the range of typical sentences listed in article 39 c.p.
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ERTOLA, FRANCESCA. "RICERCA E ACQUISIZIONE DELLA PROVA ALL'ESTERO: L'ORDINE EUROPEO DI INDAGINE PENALE." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2022. http://hdl.handle.net/10280/122447.

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Abstract:
Scopo della presente ricerca è quello di tracciare i confini entro cui si articola la (attuale e futura) cooperazione probatoria nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Premessa una breve ricostruzione storico-normativa, la Parte I è incentrata sulle novità introdotte dalla direttiva 2014/41/UE e sui possibili vulnus di tutela derivanti da un acritico operare del mutuo riconoscimento, in assenza di uno statuto europeo di mutual admissibility of evidence. La Parte II è invece focalizzata sulla trasposizione della direttiva OEI nell’ordinamento italiano, con particolare attenzione agli inediti diritti – informativi, partecipativi e di impugnazione – riconosciuti alla difesa. Da ultimo, la Parte III è dedicata alle ricadute dell’OEI sui sistemi nazionali e le possibili soluzioni de iure condendo in tema di armonizzazione. Anzitutto, la ricerca intende dimostrare il superamento del tradizionale principio di non-inquiry, verso un regime di equiparazione, in punto di utilizzabilità, tra la prova “allogena” e quella “domestica”. In secondo luogo, ci si interroga se, in forza del principio di proporzionalità sancito dall’art. 7 d.lgs. n. 108 del 2017, sia possibile individuare nuove forme di invalidità probatoria. Infine, mediante il costante confronto tra i vari ordinamenti nazionali, la giurisprudenza sovranazionale e le direttive di Stoccolma, vengono individuati gli ambiti di intervento della futura politica processual-penalistica dell’Unione, al fine di ottenere una law of evidence comune dotata di un sufficiente grado di precisione.
The research aims to investigate the EU cross-border gathering and use of evidence in criminal matters, focusing on the protection of fundamental rights in transnational proceedings. Given the current framework, Part I is dedicated to the critical examination of the Directive 2014/41/EU on the European investigation order and the problems connected with mutual recognition, in the absence of a prior harmonization. Part II focuses on the transposition of the EIO directive into the italian system, with particular attention to the defence rights. Finally, Part III examines the impact of the EIO on national systems and points out the possible solutions in order to introduce minimum rules of mutual admissibility of evidence.
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Maisto, V. "PROFILI PENALISTICI DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2013. http://hdl.handle.net/2434/217771.

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Abstract:
This work is composed by 4 chapters. In the first of them an analysis of the international and the national politics in immigration matters is conducted with a particular reference to the constitutional principles. In the second one, more specifically, the focus is on the penological profiles of the immigration laws. In the third chapter, the research is about the administrative measures to contrast the phenomenon of the irregular immigration - such as refoulement or confinement in the centers for identification and explusion- that are stringent measures; their nature seems to be the one of the penal laws, but there are no adeguate guarantees for the ones to which they are applied. In the last part of the work, we try to demonstrate that, in our legal order, the control of the immigration fluxes could be deregulated and this would seem the most effective solution and the better one in order to respect and to enforce the constitutional principles. This last idea could seem an hazardous idea, even for the ones that strongly support the thesis of an universal protection of the human rights, but it seems to be supported by the economic data and those about the imprisonment rate.
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Mazzarelli, Stefania <1989&gt. "Normativa in materia di sicurezza alimentare in Cina: analisi, traduzione e commento traduttologico di una sentenza penale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/7161.

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Abstract:
Il presente lavoro di tesi è incentrato sulla traduzione di una sentenza penale emessa dalla Corte Intermedia del Popolo della Repubblica Popolare Cinese. Il lavoro è stato suddiviso in tre capitoli, di cui due inerenti al testo che si è tradotto, e uno di natura introduttiva dell'argomento trattato nel testo. Nel primo capitolo viene presentata la normativa vigente in Cina in materia di sicurezza alimentare, quadro legislativo in cui si contestualizza il testo giuridico. In particolare, viene analizzata la Legge sulla sicurezza alimentare del 2009 attualmente vigente in Cina, presentandone contenuto, cenni storici, principali problematiche e applicazione nel contesto internazionale; successivamente viene presentata l'evoluzione della normativa, in prospettiva dell'imminente entrata in vigore della nuova legge, che avverrà nell'ottobre dell'anno 2015, e di cui si descrivono le principali innovazioni e i settori di applicazione. Il capitolo si conclude con la presentazione del sistema delle pene previsto in ambito di sicurezza alimentare, ponendo le basi per l'introduzione della traduzione del testo della sentenza, quale strumento di applicazione della legge e di irrogazione delle pene. Seguono, nell'ultimo capitolo, l'analisi e il commento traduttologico del testo preso in esame, in cui si espongono il progetto concepito per la realizzazione della traduzione, le strategie di attuazione di tale progetto, e gli aspetti caratteristici del testo originale e del metatesto.
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RECCHIA, Nicola. "Il giudizio di proporzionalità in materia penale. Prospettive e limiti come strumento critico delle scelte di criminalizzazione." Doctoral thesis, Università degli studi di Ferrara, 2017. http://hdl.handle.net/11392/2487926.

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Abstract:
La tesi dottorale ha ad oggetto il tema centrale per la riflessione penalistica dei limiti alle scelte di criminalizzazione, concentrandosi sui limiti giuridici effettivamente azionabili dinanzi ad organi di giustizia costituzionale. Si esplora, dunque, a tale proposito il giudizio di proporzionalità o di bilanciamento, così come elaborato e progressivamente affinato nella giurisprudenza di alcuni dei più importanti tribunali costituzionali e corti sovranazionali. Dopo averlo brevemente introdotto nei suoi aspetti generali, la prima parte del lavoro si occupa di ricostruirne la struttura e i passaggi fondamentali in materia penale, cercando di adattarlo alle peculiarità proprie delle norme penali. Tale esercizio di sistematizzazione è tentato a partire da una cospicua rassegna giurisprudenziale di molteplici corti costituzionali e sovranazionali. In particolare, dopo aver mappato i differenti diritti fondamentali aggrediti dalle scelte di incriminazione, si imposta un autonomo giudizio di proporzionalità per ciascuno di essi. Nel descrivere i differenti passaggi del giudizio di proporzionalità si ha cura di indicare con chiarezza le differenze sussistenti rispetto a concetti, talvolta molto affini, propri della riflessione penalistica in questo ambito (ad esempio, bene giuridico, offensività, sussidiarietà, harm principle ecc.). Nella seconda parte del lavoro si passa a considerare le peculiarità del giudizio di proporzionalità all'interno dei differenti ordinamenti nazionali, sulla base della differente struttura, a monte, del giudizio di costituzionalità in essi presente. Grande attenzione è posta in particolare sugli strumenti decisori previsti dai diversi ordinamenti in caso di illegittimità del bilanciamento sottostante ad una scelta di criminalizzazione legislativa. Nelle riflessioni conclusive del lavoro la prospettiva dischiusa dal giudizio di proporzionalità è confrontata con i richiamati strumenti concettuali elaborati dalla scienza penalistica.
The doctoral thesis deals with the key topic of the limits of criminal law and, in particular, of the legal limits that can be enforced by means of constitutional litigation in front of constitutional or human rights courts. In doing so, the work explores the proportionality test as developed by many important constitutional and human rights courts around the globe. After having introduced this test in its general aspects, the first part of the work tries to elaborate the structure of this test when applied to criminal offences, taking into account the peculiarities of criminal law. In order to do so, a vast overview of the relevant case–law of different constitutional and human rights courts is undertaken. The thesis identifies first of all the different fundamental rights limited by criminal offences, then an autonomous test for each of these fundamental rights is sketched out. By analysing the different steps of the proportionality test a clear distinction is made between them and similar concepts developed by the criminal law scholarship (e.g. Rechtsgut, ultima ratio, harm principle, etc.). In the second part of the work are analysed the peculiarities of the proportionality test in each legal order considering the different models of judicial review of legislation adopted. In particular the work tries to analyse the different kinds of decision available for the constitutional or human rights courts in cases of an unconstitutional criminal offence. In the conclusion of the work the proportionality test is then compared with the already mentioned concepts developed by the criminal law scholarship, in order to asses which of these two conflicting approaches best serves the identification of legal limits to the criminal power of the state.
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DE, LUCA CARLOTTA. "L'ORDINE EUROPEO D'INDAGINE PENALE: DISCIPLINA NORMATIVA E PRIME ESPERIENZE APPLICATIVE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2022. http://hdl.handle.net/2434/919437.

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Abstract:
L’ordine europeo di indagine penale, introdotto dalla direttiva 2014/41/UE, è uno strumento di cooperazione giudiziaria nel settore delle prove divenuto imprescindibile a fronte della crescente dimensione transnazionale assunta dalla criminalità, quale conseguenza dell’evaporazione dei confini geografici nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea. La direttiva sovranazionale, recepita nell’ordinamento italiano attraverso il d.lgs. n. 108 del 2017, ha dato vita a un istituto avente natura ibrida, animato dal principio del reciproco riconoscimento, che conserva, al contempo, alcuni tratti tipici della mutua assistenza giudiziaria tradizionale, nel tentativo di coniugare l’efficienza investigativa e la tutela delle garanzie fondamentali. Sullo sfondo di un contesto caratterizzato dall’assenza di armonizzazione tra le regole processuali e probatorie nazionali, il meccanismo di acquisizione della prova all’estero ruota attorno al principio di proporzionalità, che prende forma nel giudizio di bilanciamento, da condursi in concreto tenendo conto delle peculiarità del caso, tra le esigenze connesse all’accertamento del reato e il sacrificio imposto ai diritti delle persone a vario titolo coinvolte nelle procedure di emissione ed esecuzione dell’ordine. La presente tesi di dottorato intende fornire un’analisi a trecentosessanta gradi dell’ordine europeo d’indagine, prendendo le mosse dalla disciplina normativa, con l’obiettivo di mettere in luce le principali problematiche emerse nelle sue prime esperienze applicative e individuare soluzioni in grado di accorciare le distanze che separano teoria e prassi. A tal fine, ampio spazio è dedicato alla ricostruzione delle prime pronunce giurisprudenziali rese sul tema dalla Corte di giustizia e dalla Corte di cassazione, che rivelano complessivamente la tendenza a prediligere le istanze di efficienza investigativa a scapito dei diritti della difesa, per poi esporre, in chiave critica, alcuni casi pratici selezionati presso le Procura della Repubblica di Milano e di Monza
The European criminal investigation order, introduced by Directive 2014/41/EU, is an instrument of judicial cooperation in the field of evidence, which has become necessary, given the growing transnational dimension of crime as a result of the sublimation of geographical boundaries in the European Union's Area of Freedom, Security and Justice. The supranational directive, implemented by Italian Legislative Decree no. 108 of 2017, has given rise to a construct of hybrid nature, inspired by the principle of mutual recognition, which maintains, at the same time, certain features typical of traditional mutual legal assistance, in an attempt to combine investigative efficiency and protection of fundamental guarantees. In an underlying backdrop still characterized by the absence of harmonization of national procedural and evidentiary rules, the mechanism for adducing evidence in a foreign country revolves around the principle of proportionality, which in turn takes shape in the context of a balancing judgement - to be conducted in the actual case and taking into consideration the specificities of such case - between the needs related to the detection of crime and the sacrifices imposed on the rights of the persons involved, for various reasons, in the procedures aimed at issuing and executing the relevant order. This doctoral thesis intends to provide a comprehensive analysis of the European Investigation Order, beginning with its legal framework, for the purposes of highlighting the main problems that have emerged in its early-stage enforcement and of identifying solutions capable of shorten the gap between theory and practice. To this end, a large space is firstly dedicated to the analysis of the early case-law rendered by the Court of Justice and by the Italian Court of Cassation on this theme, which reveals the overall tendency to prefer purposes of investigatory efficiency to the detriment of defense rights; secondly, this thesis critically evaluates some practical cases selected at the Public Prosecutor's Office of Milan and Monza.
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DE, NINO FRANCESCO. "La responsabilità da reato dell'ente in materia di salute e sicurezza del lavoro. Profili problematici e prospettive di tutela." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1232.

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Abstract:
L’oggetto specifico della ricerca è costituito dalle previsioni legislative sulla responsabilità degli enti collettivi per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro. L’indagine analizza la novità normativa in questione, alla luce delle previsioni del t.u. 81/2008, nel quadro generale della responsabilità penale in materia di salute e sicurezza del lavoro e della responsabilità da reato dell’ente. A tale fine, individuato il problema “empirico” degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e il potenziale criminogeno degli enti collettivi e focalizzata l’attenzione sulle risposte giuridiche invalse in Inghilterra, Francia e Spagna, partendo dall’analisi della responsabilità individuale per i reati di omicidio e lesioni sul terreno della sicurezza del lavoro si procede alla disamina dei rapporti fra i reati presupposto di cui all’art. 25 septies e i criteri generali d’imputazione della responsabilità dell’ente e ad un’analisi specifica dei modelli di organizzazione in materia di sicurezza del lavoro. Infine, vengono tracciate possibili linee di evoluzione del sistema di tutela della salute e della sicurezza del lavoro e dell’assetto della responsabilità da reato dell’ente, anche avendo riguardo alle proposte di legge di modifica del d.lgs. 231/2001.
The research specifically focuses on the statutory provisions on corporations’ liability for offenses of manslaughter and unintentional injuries committed in breach of the rules on protection of work health and safety. The survey analyses the new legislation in this area, in light of the provisions of Italian t.u. 81/2008, within the framework of criminal liability in work health and safety and the related corporate accountability. To this end, having identified the "empirical" problem of work accidents and diseases and the criminal potentiality of corporate bodies, and based on the assessment of the legal responses formulated in England, France and Spain, the research - starting from the analysis of individual liability for crimes of homicide and injury in the field of work safety – proceeds, on one hand, to consider the relationship between the offenses referred to in article 25 septies and the general criteria of attribution of corporate responsibility; on the other, to specifically analyse the business models in the field of work safety. Finally, the research draws the possible trends of development of the health protection and work safety system, and of the legal regime of corporate liability arising out from offenses; in this respect, the statutory proposals for amending the D.Lgs. 231/2001 are also taken into account.
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DE, NINO FRANCESCO. "La responsabilità da reato dell'ente in materia di salute e sicurezza del lavoro. Profili problematici e prospettive di tutela." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1232.

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Abstract:
L’oggetto specifico della ricerca è costituito dalle previsioni legislative sulla responsabilità degli enti collettivi per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro. L’indagine analizza la novità normativa in questione, alla luce delle previsioni del t.u. 81/2008, nel quadro generale della responsabilità penale in materia di salute e sicurezza del lavoro e della responsabilità da reato dell’ente. A tale fine, individuato il problema “empirico” degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e il potenziale criminogeno degli enti collettivi e focalizzata l’attenzione sulle risposte giuridiche invalse in Inghilterra, Francia e Spagna, partendo dall’analisi della responsabilità individuale per i reati di omicidio e lesioni sul terreno della sicurezza del lavoro si procede alla disamina dei rapporti fra i reati presupposto di cui all’art. 25 septies e i criteri generali d’imputazione della responsabilità dell’ente e ad un’analisi specifica dei modelli di organizzazione in materia di sicurezza del lavoro. Infine, vengono tracciate possibili linee di evoluzione del sistema di tutela della salute e della sicurezza del lavoro e dell’assetto della responsabilità da reato dell’ente, anche avendo riguardo alle proposte di legge di modifica del d.lgs. 231/2001.
The research specifically focuses on the statutory provisions on corporations’ liability for offenses of manslaughter and unintentional injuries committed in breach of the rules on protection of work health and safety. The survey analyses the new legislation in this area, in light of the provisions of Italian t.u. 81/2008, within the framework of criminal liability in work health and safety and the related corporate accountability. To this end, having identified the "empirical" problem of work accidents and diseases and the criminal potentiality of corporate bodies, and based on the assessment of the legal responses formulated in England, France and Spain, the research - starting from the analysis of individual liability for crimes of homicide and injury in the field of work safety – proceeds, on one hand, to consider the relationship between the offenses referred to in article 25 septies and the general criteria of attribution of corporate responsibility; on the other, to specifically analyse the business models in the field of work safety. Finally, the research draws the possible trends of development of the health protection and work safety system, and of the legal regime of corporate liability arising out from offenses; in this respect, the statutory proposals for amending the D.Lgs. 231/2001 are also taken into account.
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PALUMBO, ANDREA. "IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE INFORMATIVA. L’ESPERIENZA TEDESCA IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2017. http://hdl.handle.net/10281/170831.

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Abstract:
La sentenza sul Censimento del 1983 della Corte Costituzionale tedesca (la cosiddetta Volkszählungsurteil), ad oltre trent’anni dalla sua pubblicazione, rappresenta ancor oggi un punto di riferimento in materia di protezione dei dati personali. Nonostante le novità tecnologiche e normative che si sono susseguite dalla sua pubblicazione, le teorie ivi contenute risultano sempre attuali e innovative. Con questa pronuncia, infatti, si afferma l’esistenza, in capo a tutti i cittadini tedeschi, di un “diritto all’autodeterminazione informativa”, che garantisce a ciascuno la possibilità di stabilire a chi rivelare i propri dati, quando ed entro quali limiti. Si tratta di un diritto fondamentale, ma non assoluto, e la sua lesione compromette non solo i diritti dei singoli, ma la società democratica stessa, che si compone di individui liberi di autodeterminarsi. Tale diritto si configura, quindi, come un diritto alla cogestione dei dati personali, in cui più soggetti (il Legislatore, le Pubbliche Amministrazioni, l’Autorità Indipendente e l’interessato stesso) compartecipano all’attività di elaborazione delle informazioni. Nella sentenza, pertanto, si rifiuta qualsiasi teoria che preveda, in capo ad un singolo individuo, una signoria sui suoi dati personali o un diritto al loro esclusivo controllo. La società moderna si basa sulla collaborazione tra gli individui e sulla comunicazione: i singoli, pertanto, devono necessariamente accettare limitazioni al proprio diritto all’autodeterminazione informativa, purché basate su provvedimenti normativi rispettosi dei principi costituzionali e diretti alla realizzazione di interessi generali superiori. I Giudici tedeschi, con questa sentenza, arrivano addirittura a delineare i caratteri della disciplina sulla protezione dei dati personali, che deve prevenire qualsiasi lesione della dignità dei singoli e del loro diritto alla personalità.
After more than thirty years, the Census Act Judgement (1983) of the German Constitutional Court (the so called Volkszählungsurteil) represents still today a reference point in data protection law. In spite of technological and legal novelties developed after its publication, the theories therein result still actual and modern. The judgement establishes a right of informational self-determination that guarantees the right of the person to determine for himself who, when and to what extent his data can be processed. It’s a fundamental, but not absolute, right and its prejudice compromises not only the right of the individuals, but the democratic society itself, made of self-determinated people. It is described as a right to the joint administration of personal data, where several subjects (such as legislator, the public administrations, the independent authority or the data subject itself) jointly managed the information. In this judgement, however, the German Constitutional Court denies the existence of a property right on data or a right to their exclusive control. Modern society is based on the cooperation among the individuals and on the communication: individuals should accept limitation to their own right of informational self-determination, as long as based on legal provision in accordance with the constitutional principles aimed at superior general interests. The German Constitutional Court, with that judgement, outlines even the nature of data protection law, which should prevent any offense to the human dignity and personality rights.
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Capozzolo, Michela. "La «libera circolazione» delle decisioni in materia civile e commerciale nello Spazio giudiziario europeo. Regime generale e settori specifici." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2017. http://hdl.handle.net/10556/3175.

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Abstract:
2015 - 2016
The doctoral thesis analyses the discipline of the “circulation” of judgments in civil and commercial matters within the European judicial area, comparing the evolution of the “general” regime - in the light of the amendments made by Regulation (EU) No. 1215/2012, which systematically reproduces and revises Regulation (EC) No 44/2001 (Brussels I) - with that of the sectoral regulations, which have to varying degrees been inspired by this regime. The work consists of two parts and has been structured in the form of a comparison between the general and sectoral regulations. The first part analyses the so-called Brussels I-bis system in order to highlight its innovations and its elements of continuity with the previous system, in particular by identifying the changes made to the system of recognition and enforcement of judgments. The second part is aimed at examining the rules governing the recognition and enforcement of judgments and extrajudicial decisions in specific areas of civil and commercial practice. Dealing with these pieces of legislation is far from easy, especially in relation to the sensitivity and transversality of the legislation at issue. Ultimately, the techniques of “automatic” recognition and enforcement, supported by the acquired equivalence between the procedural systems of the Member States and by a high degree of functional subsidiarity of their national law, are proving to be the most radical means to achieve the overriding objective of establishing and maintaining equivalent protection throughout the European judicial area. [edited by Author]
XXIX ciclo
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Scutellari, Alessandro. "Il ruolo delle Regioni italiane in materia di diritti umani, cultura di pace e cooperazione allo sviluppo, alla luce del nuovo titolo V della Costituzione." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425949.

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Abstract:
In the last century, from the end of the eighties, the Italian Regions began to equip themselves with a law regarding the promotion of human rights, a culture of peace and developmental cooperation. Based on new article 117, comma IX, of the Constitution, the power of the Regions to conclude understandings with territorial component units within foreign States and agreements with foreign States has been expressly considered, even only in the cases and with the disciplinary forms of the laws of the State. The Regions are not subjects of international law insofar as they are subject to a superior authority and therefore fail to meet the requirements for independence. To realize developmental cooperation initiatives in favour of emerging countries or also the protection of human rights and promotion of a culture of peace in those countries, the Regions can: turn to the contractual tool; formally conclude understandings and agreements; realize projects and initiatives directly or by delegating the execution to public and private agencies and corporations; contribute financially to projects which are to be realized completely by public and private agencies and corporations. When they are concurring to achieve acts that might create rights and obligations at an international level, the Regions always operate as organs of the State of which inseparably form part (that is the Italian Republic)
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CRIPPA, MARIA. "LA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE DI FRONTE AI TRIBUNALI DOMESTICI. PROPOSTE PER L¿ADEGUAMENTO DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA IN MATERIA DI CRIMINA IURIS GENTIUM." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2022. http://hdl.handle.net/2434/932370.

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Abstract:
La giustizia penale internazionale di fronte ai tribunali domestici. Proposte per l’adeguamento della legislazione italiana in materia di crimina iuris gentium. La tesi si concentra sulla proposta di soluzioni per l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle disposizioni sostanziali dello Statuto della Corte penale internazionale (Cpi), la cui incorporazione domestica risulta, allo stato attuale, ancora assente. L’indagine si è, in particolare, sviluppata intorno a tre direttrici principali. La prima sezione ha delineato i confini entro i quali deve attestarsi l’elaborazione delle proposte di introduzione di una disciplina domestica dei crimini internazionali, con particolare riferimento, innanzitutto, alla ricostruzione del complesso sistema delle fonti del diritto penale internazionale e al ruolo della consuetudine, alla luce delle tensioni che questa pone nel rapporto con il principio di legalità (internazionale e costituzionale). La verifica delle esperienze dei tribunali internazionali e, in particolare, dei limiti che queste presentano, ha imposto di spostare il campo di indagine alla attuazione indiretta del diritto penale internazionale, al fine di delineare soluzioni maggiormente efficaci per la realizzazione di un sistema integrato di giustizia penale internazionale, secondo la prospettiva descritta dal principio di complementarietà (artt. 1, 17 Statuto Cpi). In questa cornice, ci si è interrogati sulla estensione degli obblighi di introduzione di disposizioni domestiche sui crimini internazionali, nonché, in prospettiva comparata, sulle modalità degli interventi normativi stranieri, alla luce dell’ampio margine di discrezionalità che lo Statuto Cpi concede ai legislatori nazionali. La seconda parte è stata dedicata alla verifica della estensione delle giurisdizioni nazionali ai crimini internazionali commessi oltre i limiti territoriali degli ordinamenti domestici. L’analisi si è concentrata, in primo luogo, sulla ricostruzione della nozione e delle criticità strutturali che hanno caratterizzato, a partire da secondo dopoguerra, le applicazioni del principio di universalità nel sistema di giustizia penale internazionale. Così ricostruiti i tratti fondamentali del principio di giurisdizione universale, ci si è, quindi, proposti di verificare la controversa estensione ‘tendenzialmente universale’ della legge penale italiana, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità alle ipotesi di cui agli artt. 7 – 10 c.p., in riferimento a fattispecie di fatto sussumibili nella definizione dei crimini internazionali. Il cuore della ricerca è costituito, infine, dalla terza sezione, dedicata alla valutazione di compatibilità delle disposizioni attualmente in vigore nell’ordinamento penale domestico con il diritto penale internazionale e della conseguente introduzione di una disciplina specifica, laddove siano riscontrate lacune e contraddizioni rispetto allo Statuto Cpi. La verifica di compatibilità della disciplina italiana in vigore è stata condotta, innanzitutto, in riferimento alla parte speciale del diritto penale, al fine di indagare la rispondenza delle fattispecie ordinarie alla definizione dei crimini internazionali contenuta negli artt. 5 e seguenti Statuto Cpi (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e aggressione). Per quanto concerne, invece, l’analisi della parte generale, si è vagliata, da un lato, l’adeguatezza dei criteri ordinari di attribuzione della responsabilità penale e, dall’altro lato, la necessità di introdurre contestualmente una disciplina ad hoc, laddove richiesto dalle istanze specifiche della giustizia penale internazionale. Il riferimento è, in particolare, alle ipotesi di responsabilità del superiore civile e del comandante militare, di responsabilità delle persone giuridiche, di irrilevanza delle immunità funzionali, nonché di estinzione del reato o della pena per il decorso della prescrizione e di provvedimenti, generali o individuali, di clemenza. L’indagine ha voluto, in ultima istanza, verificare se l’adozione delle disposizioni sostanziali di diritto penale internazionale consenta all’ordinamento italiano di aderire ad un sistema integrato di giustizia penale internazionale, nonché, in senso più ampio, di contribuire allo sviluppo del diritto penale internazionale. La tardiva attuazione dello Statuto Cpi nell’ordinamento domestico costituisce infatti, secondo le conclusioni alle quali l’analisi è pervenuta, una occasione per ampliarne le disposizioni, nel superamento dei compromessi imposti in sede negoziale e al fine di ottemperare ai più recenti sviluppi del diritto penale internazionale. Una simile conclusione consentirebbe, in questo modo, di rilanciare il ruolo dell’ordinamento italiano nel sistema di giustizia penale internazionale e di renderne l’intervento legislativo, nonché le sue future applicazioni giurisprudenziali, un modello di riferimento sullo scenario internazionale.
International criminal justice before domestic courts. Proposals for the implementation of Italian provisions on crimina iuris gentium. The thesis aims at proposing solutions for the incorporation into the Italian legal system of International Criminal Court (ICC) Statute’s substantive provisions, whose domestic implementation is, at the moment, still lacking. The research develops, in particular, along three main sections. The first part sketches the main features of the indirect implementation of international criminal law by domestic legal systems. It deals, first of all, with the complex system of sources of international criminal law, as well as with the role of customs, in light of its tensions with the (international and constitutional) principle of legality. The analysis of international courts’ shortcomings leads to shift the scope of enquiry to the indirect implementation of international criminal law, in order to shape effective solutions for an integrated system of international criminal justice, under the complementarity principle (articles 1 and 17 ICC Statute). Within this framework, the extent of positive obligations to adopt domestic provisions on international crimes effects, in a comparative perspective, different solutions implemented by national legislators, considering the wide margin of discretion granted them by the ICC Statute. The second part outlines the extension of national jurisdictions to international crimes committed beyond their traditional territorial borders. The research focuses, firstly, on the notion and the structural shortcomings that characterize the principle of universal jurisdiction in the enforcement of international criminal justice since the Second World War. The section further sets out to verify the controversial 'tendential universality' of Italian criminal law, according to the interpretation of articles 7 - 10 Italian Criminal Code favored by the Italian jurisprudence, regarding in particular cases amounting to international crimes. The third section represents the heart of the research, dedicated to the evaluation of the compliance of provisions currently in force in the Italian criminal system and international criminal law. The research further proposes the introduction of a specific discipline, whenever gaps and shortcomings with respect to the ICC Statute are found. The analysis moves from the special part of criminal law, in order to investigate the conformity of criminal provisions already in place with the definition of international crimes contained in articles 5 et seq. ICC Statute (genocide, crimes against humanity, war crimes and aggression). The general part is examined with the aim to investigate, on the one hand, the adequacy of ordinary criteria for the attribution of criminal responsibility and, on the other hand, the need to introduce an ad hoc discipline where required by specific instances of international criminal law. The reference is, in particular, to the hypotheses of command and superior responsibility, legal entities liability, irrelevance of functional immunities, as well as statutes of limitations. The research ultimately seeks to ascertain whether the adoption of substantive provisions on international crimes enables the Italian legal order to adhere to an integrated system of international criminal justice and, in a broader sense, to contribute to the development of international criminal law. Indeed, the late implementation of the ICC Statute into the domestic legal system constitutes, according to the conclusions reached by the analysis, an opportunity to expand its provisions in order to overcome its possible shortcomings and to comply with the most recent developments of international criminal justice. Such conclusion would enable to relaunch the role of the Italian legal system in the international criminal justice system and make its legislative intervention, as well as its future jurisprudential applications, a model on the international scene.
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PIAZZA, MARIKA. "LA COLPEVOLEZZA NEI REATI OMISSIVI PROPRI: RILIEVI CRITICI E SPUNTI DI RIFLESSIONE ALLA LUCE DELLA RECENTE GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI REATI TRIBUTARI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2017. http://hdl.handle.net/2434/471677.

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Abstract:
Peculiarities which characterize crimes of omission, besides affecting the structure of intent and the knowledge of criminal law, also affect the probability of anomalies and borderline situations which could become considerable obstacles to the person who has to fulfil his duties. Particularly, against the economic crisis which characterizes the present historical moment, many judges have faced the theme of the serious lack of liquid assets as a circumstance which makes it “impossible” the execution of duties: this way judges have also requalified the concept of “conduct which can’t be required” as an element that can exclude criminal liability (condemnation and punishment) in some criminal trials concerning the omission of the payment of certificated withholding taxes, and of VAT. Throw this composition the most burning questions about crimes of omission are analysed, also in order to individuate the parameters which should be observed by the Lawgiver who represses omissions with penalties. Starting from the analysis of the structure of the crime of omission as the only one without an event, profiles of conflict with the function and limits of the so called ius criminalis are investigated; then the guilty mind and particularly the knowledge of the dutiful action in crimes of omission with a neutral typical structure are examined. Finally the category of “conduct which can’t be required” is studied: in our legal system its difficult dogmatic position and the friction whit the principle of legality clash whit the request of respect for civil rights claimed by supporters of the existence of a general and uncodified cause of exclusion of criminal mind.
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MONTORSI, MATTEO. "Passato, presente e futuro della confisca di prevenzione." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2021. http://hdl.handle.net/10281/314916.

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Abstract:
Il presente lavoro si propone di analizzare la complessa evoluzione della confisca di prevenzione ed evidenziare le problematiche più rilevanti che caratterizzano questo strumento per come attualmente concepito ed applicato. A tal fine l’analisi muove dalla ricostruzione storica e normativa della nascita e dell’affermazione del sistema preventivo, in origine composto da misure solamente di carattere personale che, tuttavia, ancora oggi condividono con le misure patrimoniali il presupposto “identitario” costituito dalla possibilità di inquadrare il prevenuto in una fattispecie di pericolosità sociale. L’analisi è poi estesa alla giurisprudenza convenzionale più rilevante in tema di misure preventive e forme di confisca allargata dei proventi, nonché ai principali atti normativi che delineano la politica dell’Unione Europea in quest’ultima materia. L’ascesa di strumenti patrimoniali “moderni”, e in parte simili alla confisca di prevenzione, anche nelle altre legislazioni dell’Unione Europea ha peraltro suggerito l’opportunità di una breve comparazione con i modelli più interessanti del panorama europeo, ed in particolare con la corrispondente disciplina spagnola in tema di misure preventive e confisca dei proventi. Il lavoro si conclude con la formulazione di alcune osservazioni che, muovendo dalle ultime pronunce della Corte Costituzionale in tema di natura cd “ripristinatoria” della confisca di prevenzione (e della confisca allargata), si propongono di mettere a fuoco la perdurante problematicità -anche- della nuova impostazione prospettata, formulando comunque qualche spunto per un suo parziale superamento
Thesis aims to analyze the complex evolution of preventive italian confiscation and highlight the most relevant problems that characterize this tool as it is currently conceived and applied. The analysis starts from historical and normative reconstruction of birth and development of the preventive system, originally composed by personal measures that still today share with the preventive confiscation the presupposition constituted by the possibility to place the person whom it is addressed into a (more or less specific) cases of social dangerousness. The analysis is then extended to the most relevant ECHR jurisprudence about preventive measures and extended confiscation of proceeds of crime, as well as to the main regulatory acts that outline the policy of the European Union in the latter matter. The rise of "modern" type of tools in many other European Union legislations (which often share some aspects of the Italian preventive confiscation structure) has also suggested the opportunity of a brief comparison with the most interesting European models, especially regarding the corresponding Spanish legislation on preventive measures and confiscation of proceeds and assets of crime, Starting from the latest rulings of the Constitutional Court about the so-called "restorative" nature of the preventive confiscation (and of the extended confiscation), this work concludes with some observations that aim to focus on the main persisting problems of this tool (concern also the recent perspective mentioned before), however formulating some ideas for its partial overcoming
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Bruttomesso, Nicole <1991&gt. "La cooperazione multilaterale in materia di istruzione della CPLP e l’allineamento delle politiche nazionali dei suoi Paesi Membri all' obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17079.

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Abstract:
In linea con uno degli obiettivi strategici dell’Università Cà Foscari di Venezia, ovvero la diffusione e promozione dell’Agenda 2030 e i relativi 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, questa tesi di laurea magistrale si propone dapprima di esaminare se i principi e valori generali integrati nell’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile siano inclusi o meno nelle politiche di cooperazione multilaterale in materia di istruzione promosse dalla Comunità di Paesi di Lingua Portoghese (CPLP). Successivamente si intende verificare se vi sia un allineamento delle politiche nazionali di istruzione dei nove Paesi Membri della CPLP (Angola, Brasile, Capo Verde, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Mozambico, Portogallo, San Tomè e Principe, Timor Est) all’obiettivo 4, in particolar modo per quanto concerne il tema della promozione dello sviluppo sostenibile per mezzo dell’istruzione (target 4.7).
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Careri, Alessia. "La compatibilità del sistema repressivo del "doppio binario" sanzionatorio con il diritto fondamentale al ne bis in idem: tra prospettiva interna ed europea." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3421816.

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Abstract:
This paper is aimed at analyzing the actual compatibility between the conventional principle of ne bis in idem and the so called "double track" of sanctions, with particular reference to the applicability of a double sanction, criminal and administrative, towards the same person for the same offence. After clarifying the importance of the principle of ne bis in idem in the national and supranational legal system, this research aims at defining the autonomous notion of "matiere penale", also in the light of the qualification of the administrative offenses and procedure as "substantially" criminal on the ground of the Engel criteria, as well as the concepts of "idem" and "bis", as set out by the Court of Strasbourg and largely accetped by the EU Court of Justice (and vice versa). Subsequently, this research tries to identify and highlight, as a suggestion, certain legal interpretations, in the framework of conflict of rules under national law, which comply with the indications set forth by the European Courts. Finally, some technical and legal solutions have been proposed to ensure the efficient functioning of the sanction system: in particular, one of the possible solutions could perhaps be identified in reserving only to the criminal courts the power to apply both penal and administrative punitive sanctions, in the context of a single proceeding which implies a global assessment of the conduct that it has actually been carried out.
Scopo del presente lavoro è l'analisi dell'effettiva compatibilità tra il principio del ne bis in idem convenzionale ed il sistema repressivo del c.d. "doppio binario" sanzionatorio, con particolare riferimento alla possibilità di una doppia sanzione, penale ed amministrativa, nei confronti dello stesso soggetto in risposta alla commissione di un fatto illecito sostanzialmente unitario. Chiarito il rilievo del ne bis in idem nell'attuale ordinamento giuridico nazionale e sovranazionale, la ricerca proposta mira a definire la nozione autonoma di matière pénale, anche alla luce della qualificazione dell'illecito e della procedura amministrativa come "sostanzialmente" penali sulla base dei c.d. criteri di Engel, nonché i concetti di idem e di bis elaborati dalla Corte di Strasburgo e ripresi in buona parte dalla Corte di giustizia e viceversa. Successivamente si è tentato di individuare e di evidenziare, in termini propositivi, talune possibili interpretazioni dei criteri ermeneutici attualmente utilizzati in materia di concorso di norme nel contesto dell'ordinamento nazionale, che risultino conformi alle indicazioni provenienti dalle Corti europee. Nell'ultima parte del lavoro, infine, sono state proposte talune soluzioni tecnico-giuridiche idonee a garantire l'efficiente funzionamento del sistema sanzionatorio: in particolare, una delle possibili soluzioni potrebbe forse essere individuata nell'attribuzione al solo giudice penale del potere di irrogare sia le sanzioni penali sia quelle amministrative punitive, nell'ambito di un unico procedimento che presuppone una valutazione unitaria del fatto concretamente realizzato.
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Salerno, Martina. "Il fondamento giustificativo delle scelte di prevenzione e protezione in materia di prostituzione : quale legittimità ? : studio critico di diritto penale comparato tra Italia e Francia." Thesis, Paris 10, 2020. http://www.theses.fr/2020PA100052.

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Abstract:
L’expression ‘le plus ancien métier du monde’ suggère l’idée d’inter-temporalité dans la prostitution. En réalité, bien que le phénomène de la prostitution ait toujours existé, le traitement juridique de cette activité est diversifié et en constante évolution. Sur le plan juridico-pénal, le panorama comparatif actuel révèle la difficulté d’identifier une discipline commune et universelle en matière de prostitution dans les différents systèmes démocratiques libéraux. Cela est dû au fait que le traitement juridique de la prostitution n’est que le résultat d’un conflit de valeurs. En d’autres termes, les différents régimes de réglementation du phénomène de la prostitution et les choix de politique criminelle différenciés résultent de la conception acceptée par chaque législateur national des notions fondamentales de vulnérabilité, de dignité et de disponibilité du corps, qui sont pertinentes dans ce contexte, et l’équilibre qui en découle. Dans ce contexte, à partir de l’étude comparée de la législation et des pratiques d’application de pays ayant adopté différents modèles de réglementation - en l’occurrence l’Italie et la France - il sera notamment tenu compte de la justification commune qui sous-tend ces différentes approches. En fait, le présent travail vise précisément à examiner la question de la criminalisation de la prostitution à partir de la racine, en concentrant l’enquête sur le rapport entre les différentes théories, les choix législatifs et les décisions jurisprudentielles adoptées dans le domaine de la prostitution, en particulier dans les systèmes juridiques italien et français. Cette étude permet tout d’abord de comprendre le sens des décisions jurisprudentielles et des réformes législatives les plus récentes en matière de lutte contre le phénomène de la prostitution. Deuxièmement, cette analyse permet de vérifier dans quelle mesure les choix de politique criminelle adoptés par les différentes autorités législatives et judiciaires sont suffisamment justifiés ou étayés par des arguments solides, tout en garantissant la protection des droits fondamentaux des personnes prostituée
The expression “the oldest job in the world” suggests the idea of inter-temporality in prostitution. In reality, although the phenomenon of prostitution has always existed, the legal treatment of this activity is diversified and constantly evolving. From a juridical point of view, the current comparative picture reveals the difficulty of identifying a common and universal discipline to deal with prostitution in the various liberal-democratic systems. This is due to the fact that the legal treatment of prostitution is nothing but the result of a conflict of values. In other words, the different regimes of regulation of prostitution and the differentiated choices of criminal policy are the result of the conception accepted by each national legislator on the fundamental notions of vulnerability, dignity and availability of the body, which are relevant in this particular context, and the consequent balance that derives from it. In this context, starting from the comparative study of legislation and tribunal practice of countries that have adopted different regulatory models - Italy and France in particular – attention will be focused on the common justification that lies behind these different approaches. In fact, the present work aims precisely to consider the question of the criminalization of prostitution from the root, focusing the investigation on the ratio of the different theories, the legislative choices and the jurisprudential decisions adopted in the field of prostitution, particularly in the Italian and French legal systems. This study will allow, first of all, the understanding of the meaning of the most recent jurisprudential decisions and legislative reforms in the field of prostitution. Secondly, it will make it possible to verify to what extent the choices of criminal policy adopted from time to time by the various legislative and judicial authorities are sufficiently justified or supported by solid arguments and, at the same time, they guarantee the protection of the fundamental rights of prostitutes
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BERNARDONI, PIETRO. "DIRITTI FONDAMENTALI E PREVENZIONE DEL TERRORISMO NEL SISTEMA MULTILIVELLO. ALLA RICERCA DI UN BILANCIAMENTO TRA ESIGENZE DI SICUREZZA E TUTELA DELLE LIBERTÀ AI MARGINI DELLA 'MATERIA PENALE'." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2021. http://hdl.handle.net/2434/852161.

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Abstract:
La tesi si incentra sull’analisi di alcuni degli strumenti di prevenzione del terrorismo alla luce del relativo statuto garantistico; in particolare, si sono considerate le blacklists elaborate da ONU e Unione europea nonché le misure di prevenzione disciplinate dal d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nel tentativo di individuare il filo comune che unisce tali misure apparentemente assai distanti tra loro. In quest’ottica, il lavoro si muove lungo una duplice direttrice: da un lato, l’individuazione delle garanzie che devono presidiare gli istituti di prevenzione, anche alla luce della loro natura giuridica nell’ottica del concetto di “materia penale” di origine convenzionale; dall’altro, la ricostruzione della disciplina degli istituti, in base alle fonti e alla giurisprudenza nazionale e sovranazionale. Tale analisi è contenuta, principalmente nei capp. III e IV, dedicati rispettivamente all’individuazione di un possibile statuto garantistico valevole per il diritto della prevenzione e alla ricostruzione della disciplina positiva degli istituti considerati. A questa parte, che costituisce il fulcro del lavoro, sono premessi due capitoli con funzione di inquadramento teorico (cap. I) e storico (cap. II). Il primo capitolo, infatti, vuole fornire un quadro di riferimento delle coordinate concettuali in cui ci si muove nella parte successiva del lavoro; esso è suddiviso idealmente in tre parti, che rappresentano i tre assi portanti dell’intera tesi. Il primo asse, quello delle garanzie, è oggetto di attenzione nell’ottica della ricostruzione del concetto di “materia penale” di origine convenzionale; il secondo, per certi versi contrapposto al precedente, è incentrato sulla ricostruzione del concetto di “sicurezza”, intesa come il bene giuridico alla cui tutela è volto l’intero apparato preventivo antiterrorismo. Infine, l’ultimo asse rappresenta un tentativo di sintesi dei due ambiti già delineati, attraverso il c.d. meccanismo del bilanciamento in chiave di giudizio di proporzionalità. Lo schema adottato nel primo capitolo è quindi riproposto nella parte successiva e centrale del lavoro, cui si è già fatto cenno: il tema delle garanzie è ripreso e approfondito nel cap. III; nel cap. IV, poi, si analizzano gli istituti elaborati dal legislatore nazionale e sovranazionale con lo scopo di garantire la “sicurezza”; nel quinto ed ultimo capitolo si tenta di vagliare – in un’ottica di bilanciamento – i meccanismi predisposti a tutela di istanze securitarie alla luce delle indefettibili garanzie individuali. È in questa sede che si è cercato di avanzare anche qualche proposta di rimodulazione del sistema, al fine di eliminare alcuni degli aspetti di incompatibilità di esso con i diritti fondamentali. Il tema della natura giuridica degli istituti esaminati, nella prospettiva in cui ci si è posti, risulta quindi sdrammatizzato dalla centralità attribuita al criterio di proporzionalità come strumento di bilanciamento tra contrapposte esigenze. Allo stesso modo, categorie come “diritto penale del nemico”, “diritto penale di lotta” e “diritto dell’emergenza”, oggetto di analisi nel primo capitolo, sono poco utilizzate in chiave critica. La prospettiva che si è scelto di privilegiare, infatti, non è quella di una valutazione onnicomprensiva in termini di legittimità-illegittimità dell’intero sistema, ma, piuttosto, un’analisi il più possibile puntuale e specifica degli istituti esaminati alla luce dello statuto garantistico elaborato dalle Corti dei diritti.
The thesis focuses on some of the terrorism prevention tools in the light of the related guarantee statute; in particular, the listing systems developed by the UN and the European Union were considered, as well as the prevention measures governed by Legislative Decree 6 September 2011, no. 159; the attempt is to identify the common thread that unites these apparently very distant measures. From this point of view, the work moves along a twofold direction: on the one hand, the identification of the guarantees that must guard the prevention institutes, also in light of their legal nature in the perspective of the conventional concept of "criminal matter"; on the other hand, the reconstruction of the discipline of the institutes, based on national and supranational sources and jurisprudence. This analysis is contained mainly in Chapters III and IV, dedicated respectively to the identification of a possible guarantee statute valid for the prevention system as a whole and the reconstruction of the positive discipline of the institutions considered. This part, which constitutes the main focus of the work, is preceded by two chapters, with function of theoretical (Ch.. I) and historical framework (Ch. II). The first Chapter, in fact, wants to provide a frame of the conceptual coordinates in which we move in the next part of the work; it is ideally divided into three parts, which represent the three pillars of the entire thesis. The first axis, that of guarantees, is the object of attention by reconstructing the conventional and constitutional concept of "criminal matter"; the second, in some ways opposed to the previous one, focuses on the analysis of the concept of "security", understood as the value that the entire preventive anti-terrorism system is aimed at protecting. Finally, the last axis represents an attempt to synthesize the two areas already outlined, through the so-called balancing mechanism in terms of proportionality. The scheme adopted in the first Chapter is therefore re-proposed in the following and central part of the work, which has already been mentioned: the issue of guarantees is taken up and elaborated on in Chap. III; in Chap. IV, then, the analysis focuses on the institutes elaborated by the national and supranational legislator with the aim of guaranteeing “security”; in the fifth and final Chapter, an attempt is made to sift - with a view to balancing - the mechanisms set up to protect security claims in the light of fundamental individual guarantees. It is here that attempts have also been made to put forward some proposals for remodeling the system, in order to eliminate some of the aspects of its incompatibility with fundamental rights. The issue of the legal nature of the institutes examined, in the perspective in which it has been placed, is therefore played down by the centrality attributed to the criterion of proportionality as a balancing tool between opposing needs. Similarly, categories such as "enemy criminal law", "struggle criminal law " and "emergency law", even if considered in the first Chapter, are not used critically. The chosen perspective, in fact, is not that of an all-encompassing evaluation in terms of legitimacy-illegitimacy of the entire system, but, rather, an analysis that is as precise and specific as possible of the institutions examined in the light of the guarantee statute. elaborated by the Courts of Rights.
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Borghi, M. "IL CONCORSO COLPOSO NEL REATO COLPOSO E NEL REATO DOLOSO.TEORIA E PRASSI IN ITALIA E IN GERMANIA." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/234162.

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Abstract:
Il presente lavoro verte sul concorso colposo nel reato colposo e nel reato doloso all’interno dell’ordinamento penale italiano e in quello tedesco. Nella prima parte del lavoro si ricostruiscono i contrasti dottrinali e giurisprudenziali sviluppatisi durante la vigenza del Codice Zanardelli circa la compatibilità tra l’istituto del concorso di persone e la colpa. Si mette quindi in evidenza che il legislatore italiano del 1930, sollecitato anche dalla preoccupazione di colmare eventuali lacune d’impunità, ha scelto di introdurre nel codice penale l’art. 113, che prevede la “cooperazione nel delitto colposo”. Si analizza poi in modo particolare quale sia l’elemento che caratterizza la cooperazione colposa rispetto al “concorso di cause colpose indipendenti” di cui all’art. 41 c.p.: secondo la soluzione a cui si è inteso aderire nel presente lavoro, tale elemento consiste nella “consapevolezza di cooperare con altri”. Si evidenzia che la norma, oltre che adempiere a una funzione di disciplina, svolge una funzione incriminatrice per i reati a forma vincolata, per i reati propri, per i reati di mera condotta e, in alcuni casi, per i reati omissivi, ma non con riferimento ai reati di evento a forma libera (come sostenuto, invece, da parte della dottrina). Si rileva poi che è possibile, sulla base dell’art. 110 c.p., ritenere configurabile anche un concorso colposo nelle contravvenzioni colpose. Quanto alla controversa configurabilità del concorso colposo nel reato doloso, si pone in rilievo che il c.d. dogma dell’unitarietà del titolo di responsabilità dei concorrenti è superabile e che tale forma di concorso, sulla base di diverse argomentazioni, appare ammissibile alla luce delle norme vigenti. Nella seconda parte del lavoro, nel capitolo 1, si pone in luce che recentemente in Germania alcune voci della dottrina si sono espresse a favore della configurabilità di una “coautoria colposa (fahrlässige Mittäterschaft)” ai sensi del § 25, Abs. 2, StGB. Non sembra che sussistano preclusioni per tale istituto nella lettera della legge; inoltre, l’esperienza italiana mostra che è superabile la teoria per cui il concorso di persone possa ammettersi solo in presenza del dolo. Tuttavia, non appare condivisibile l’orientamento che considera non necessaria nell’ipotesi di fahrlässige Mittäterschaft la prova del nesso di causalità tra il singolo contributo e l’evento. Nel secondo e ultimo capitolo si tratteggiano le principali tappe del dibattito sviluppatosi in Germania intorno al tema del concorso colposo nel reato doloso: si prendono le mosse dall’analisi della più antica dottrina del c.d. divieto di regresso (Regressverbot) fino a giungere all’attuale soluzione elaborata dalla dottrina dell’imputazione oggettiva dell’evento. È condivisibile l’opinione che ritiene configurabile la responsabilità (seppure, nell’ordinamento tedesco, a titolo monosoggettivo) in capo al primo agente in colpa, qualora costui favorisca la riconoscibile l’inclinazione al reato del secondo agente.
This work focuses on the negligent aiding and abetting someone else’s negligent or intentional crime in Italian and German criminal law. The first part provides an analysis of the scholarship and the case law developed under the Zanardelli Code, on the incompatibility between cooperation in a crime and negligence. Art. 113 of that Code, indeed, aiming at filling possible gaps of impunity, introduced the “cooperation in negligent crime”. In particular, this analysis attempts to identify the distinguishing feature of negligent cooperation, in contrast with the “simultaneous presence of independent causes due to negligence”, regulated by art. 41 of the penal code: such element consists in the “awareness of cooperating with other persons”. Not only does this rule display a regulatory function, but it also performs an incriminating function for various types of crimes:. It’s then pointed out that it’s also possible, on the basis of art. 110 p.c., to construct a crime of negligent aiding and abetting someone’s negligent misdemeanors. As to the controversial hypothesis of the negligent aiding and abetting someone’s intentional crime, the so called dogma of unity of abettors’ responsibility can be overcome by other arguments, suggesting that this form of cooperation, is admissible in the light of the law in force. The second part of the work is concerned with German law. recently some German scholars supported the configurability of a “negligent cooperation in committing a crime (fahrlässige Mittäterschaft)” according to § 25, Abs. 2, StGB. There are no rules that prevent this solution. moreover, the Italian debate shows that the theory that limits persons’ cooperation in committing a crime only to intentional crimes can be overcome. Nevertheless, in the case of fahrlässige Mittäterschaft, the proof that the single contribution caused the event should be considered necessary. The remaining chapter analyzes the main developments of the German debate about negligent cooperation in an intentional crime, from the oldest doctrine of the so called prohibition of recourse (Regressverbot) to the current doctrine of the objective ascription of the event. According to the more persuasive opinion, it is possible to construct a responsibility of the first negligent abetter (although in his own personal capacity), if he aids the second one’s recognizable inclination to crime.
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Aversano, Tatiana. "Impresa illecita e illecito d'impresa nel quadro della responsabilità degli enti da reato, con riferimento in particolare ai reati associativi." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3424569.

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Abstract:
Thesis: Illegal and illicit business within the framework of the corporate entity’s liability for the offense, with particular emphasis on criminal enterprises. In recent years, the distinction between illicit and illegal business has assumed significant importance in Italian criminal law; the point relates to the relationship between crimes and conspiracy, and the effects of sanctions on assets and particularly confiscation. Part one outlines the concept of illegal business, as it relates to the offense of criminal corporate enterprise, as written in art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001, as defined by L.94 / 2009. Theoretically, the distinction is clear. Illegal business is the result of companies whose economic activity is aimed exclusively at crime. For example, considering a company that operates exclusively in drug trafficking or money laundering or fraudulent misrepresentation to obtain public subsidies, or to a company set up for the sole purpose of committing tax fraud (in particular to VAT). Such activity is akin to the Continuing Criminal Enterprise, punished by the US Code § 848. Illicit business is, by contrast, a crime committed by a company that is operating within the law. The criminal consequences for both are clear. Illegal business is a form of organized crime and normally requires the participation of all members of the company; so all of them can be subject to the confiscation of their assets. Illicit business, on the other hand, holds responsible only those people who commit the crime. For them, confiscation applies only to the product, profit or, at most, their equivalent value. However, new laws and new practices have drastically changed the parameters. The most interesting suggestions come from the analysis of criminal associations that are practiced within "legal contexts". That is the borderline between illicit and illegal organizations. Companies who practice traditional crimes tend to use intimidating methods to make profits that border on lawlessness and extortion. You can find these kinds of criminal organizations, with increasing frequency, in successful businesses with a lot of economic turnover. It’s essential to realize that within companies, there is an important distinction between corporate crime and organized crime, and article 416 of the Italian Criminal Penal Code can be applied only to organized crime. Sometimes the distinction between lawful and unlawful organizations (or business enterprises) is not so clear, especially in the field of Environmental Criminal Law and rules relating to criminal waste. These rules are aimed at entrepreneurs and not at private citizens. The analysis breaks down in two areas of investigation. On the one hand we need to define what makes an organization illegal, even looking into civil law. On the other hand, we also need to examine the rules laid out in art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001. This article was incorporated by Law no.94 / 2009, and was designed to provide timely legislative action against companies who operate with the appearance of legitimacy, but in reality are connected to criminal elements. So, when corporate organizations show evidence of criminal involvement, they are practicing illegal rather than illicit associations. In these cases article 416 of the Italian Criminal Penal Code. et seq. and art. 24-ter of Legislative Decree no. 231/2001 can be applied. Article 24 -ter can also be used for a wide range of other crimes not specified in this law. This sets a dangerous precedent for all companies, because this law could be widely interpreted. The problem is that the loose interpretation makes it difficult for companies to create valid and efficient compliance programs. What is more, aspects of the law are being constantly updated. The second part of the thesis examines the conflicts that arise as a result of criminal corporate liability, especially in relation to tax fraud legislation. The lack of specifics in this legislation described in Decree 231/2001 has created a lot of problems and a serious legal debate. Some jurists wish to see the law more strictly applied. Proponents believe that the system should have better overall effectiveness in terms of the fight against tax fraud and tax evasion. Opponents fear that it would create unnecessary obstacles for companies by increasing the number of sanctions that could be brought against them. In general, the legislature's choice of excluding tax fraud from the Decree 231/2001 has been widely criticized and subject to subsequent attention from Parliament, which –in 2013- tried to include tax crimes in the Legislative Decree. Tax fraud is the trademark of organized economic crime. There is an intense need for criminal policy to strengthen the fight against tax evasion. The point is to prevent illegal tax evasion by adopting valid compliance structures and programs. After reviewing the complex debate on the inclusion of tax fraud into the Legislative Decree no. 231/2001, this theses aims to identify multiple methods by which tax fraud has an indirect impact on corporate criminal liability. a) Firstly the Legislative Decree no. 231/2001 already addresses some tax crimes, for example money laundering. b) Secondly, some links have recently been made between tax fraud and Legislative Decree no. 231/2001, for example with the introduction of seizure and confiscation taxes. Finally, the last part of the thesis makes interesting comparisons between the Italian system and corporate criminal liability in China on the one hand, and the Anglo-American model on the other hand. Chinese law provides for different types of crimes, attributable both to persons and to companies. The Chinese model has been qualified as a "social system of personalized responsibility," this expression means a system in which the company has its own will and operating methods, so its actions are not to be confused with those of individuals. Whereas in US law the rules of “diversion procedures” (deviations from the normal sequence of the criminal process before the delivery of sentencing) can also be applied to companies. They are, today, the main instrument used to fight against corporate crimes. Since the '90s, we have noticed the gradual growth of the DPA (deferred prosecution agreement) and NPA (non-prosecution agreement). Also the United Kingdom has recently introduced a specific regulation regarding corporate criminal liability.
Il lavoro si pone l’obiettivo di esaminare un tema di alta difficoltà e complessità. In anni recenti, la distinzione tra impresa illecita e illecito d’impresa ha assunto nel diritto penale italiano un’importanza significativa: il rilievo attiene sia ai rapporti tra concorso di persone nel reato e associazione per delinquere, sia agli effetti dell’applicazione delle sanzioni di natura patrimoniale e della confisca in particolare. La prima parte delinea il concetto di impresa illecita, in rapporto all’illecito penale dell’impresa e alla sua qualificazione avvenuta con l’art. 24-ter del D.Lgs. 231/2001, così come definito dalla L.94/2009. In via teorica e in astratto, la distinzione è precisa. L’impresa penalmente illecita è l’impresa (o società) la cui attività economica è volta esclusivamente al crimine: si pensi ad una società che opera esclusivamente nel traffico degli stupefacenti o nel riciclaggio di denaro o nella percezione fraudolenta di sovvenzioni pubbliche, oppure ad una società costituita al solo scopo di commettere frodi fiscali (all’Iva in particolare). La figura, dunque, è affine al Continuing Criminal Enterprise, punito dal § 848 US Code. L’illecito penale dell’impresa è, invece, il reato commesso episodicamente da un’impresa dedita ad un’ attività economica lecita in sé. La distinzione, ancora in via teorica ed in astratto, è precisa anche per le conseguenze penali. L’impresa penalmente illecita si colloca nel campo della criminalità organizzata e comporta normalmente l’applicazione dei delitti associativi a tutti i soggetti partecipi dell’impresa; nel contempo la confisca si può applicare all’impresa nel suo complesso. L’illecito penale dell’impresa (lecita), invece, comporta la responsabilità soltanto del soggetto che ha commesso quel reato che sia riconducibile all’impresa: se i soggetti sono più di uno si applica l’istituto del concorso di persone; nel contempo, la confisca riguarda soltanto il prodotto, profitto, prezzo di quel reato o, tutt’al più, il valore equivalente di essi. Tuttavia, nuove leggi e nuove prassi hanno mutato profondamente i termini della questione. Le suggestioni più interessanti in tema di organizzazione sono quelle che provengono dall’analisi giurisprudenziale e dottrinale in materia di associazione per delinquere applicata a “contesti leciti”. Ecco farsi strada la problematica del confine tra organizzazioni illecite e illeciti delle organizzazioni. Superate queste premesse di tipo tradizionale, la ricerca vive all’interno di uno scenario più complesso dove la criminalità tradizionale cerca di assomigliare all’impresa lecita e dove le imprese lecite tendono a usare mezzi di ricerca del profitto che sfiorano l’illegalità, anche metodi intimidativi ed estorsivi tipicamente mafiosi. L’impressione è che si debba andare alla ricerca delle premesse criminologiche di questa realtà nuova, in condizione di crisi economica, tra agire sul mercato, lecito o illecito che sia, e aggirare il mercato, lecito o illecito che sia. L’associazione per delinquere, con sempre maggiore frequenza, trova un campo d’applicazione privilegiato rispetto a ipotesi delittuose tipicamente riconducibili allo svolgimento di attività economiche, in particolare di carattere imprenditoriale. Dall’analisi condotta, il soggetto collettivo non rappresenta l’effettivo destinatario dell’arricchimento patrimoniale conseguente alla realizzazione delle fattispecie oggetto del programma criminoso, e nemmeno il destinatario, anche indiretto, della risposta sanzionatoria. Siamo, piuttosto, di fronte alla strumentalizzazione dell’ente a opera di soggetti che realizzano le fattispecie criminose per un fine e un profitto esclusivamente personali. L’affermazione si regge sull’interpretazione che vuole, ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, non l'apposita creazione di un'organizzazione sia pure rudimentale, ma di una struttura che può anche essere preesistente all’ideazione criminosa, anche se dedita a finalità lecite. Fenomeno concettualmente distinto, riconducibile al caso in cui l’organizzazione lecita sia funzionale alla sola perpetrazione di reati, si ha nell’ipotesi in cui l’associazione per delinquere si annidi all’interno di un’organizzazione indiscutibilmente lecita, utilizzandone la struttura per la commissione di reati, senza tuttavia piegarla a finalità criminali. La liceità dei fini dell’associazione destinataria dei profitti si riverbera sul dolo di ciascun imputato, il quale, se convinto di partecipare alla realizzazione di scopi leciti, non poteva essere consapevole di partecipare a un’associazione criminale. Trattasi, dunque, di reiterate condotte criminose non rappresentanti l’ordinarietà quanto piuttosto di “deviazioni occasionali dalle regole di condotta generali” , tali da non fondare una responsabilità ex art. 416 c.p.. L’organizzazione rappresenta, dunque, uno degli argomenti interpretativi portati a sostegno della ontologica distinzione tra fenomeno dell’accordo e fenomeno associativo. Porre l’accento sull’elemento organizzativo consente di prospettare un interessante spunto di indagine. Si impone quindi di guardare con particolare attenzione ai concetti di organizzazione lecita e organizzazione illecita e ai fenomeni a essi sottesi della criminalità d’impresa e della criminalità organizzata. Criminalità d’impresa e criminalità organizzata mantengono ambiti soggettivi e oggettivi non coincidenti . La criminalità d’impresa è definita come una manifestazione della criminalità economica colta nel suo momento genetico, quale espressione di un organismo produttivo e indipendentemente dall’incidenza lesiva che può coinvolgere interessi individuali e collettivi. A delimitare la categoria risulta comunque indispensabile un requisito di base: parlando di impresa si postula un’attività economica fondamentalmente lecita. E si tratta di una liceità sotto il profilo dell’attività dedotta quale oggetto dell’impresa ovvero della natura dei beni o servizi forniti al mercato. Pertanto, la criminalità d’impresa può riflettere occasionalmente delle défaillances oppure può affondare le radici in una “politica” viziata, ma sempre sul presupposto di una iniziativa come tale accettabile, tendenzialmente positiva sul piano sociale, che non può essere estranea a priori alla garanzia dell’art. 41 Cost. Proprio il carattere incidentale rispetto a una legittimità di fondo, differenzia la criminalità d’impresa dalla criminalità organizzata, nella quale la violazione della legge penale assurge a scopo, a oggetto dello scopo associativo. Perciò, anche nelle sue forme più gravi la criminalità di impresa non può varcare la soglia dell’art. 416 c.p. . In termini di rilevanza penale la distinzione risulta chiara: data un’associazione criminale, la semplice partecipazione costituisce reato, indipendentemente dal concorso nei delitti scopo; la criminalità d’impresa pone al contrario un problema di imputazione delle manifestazioni devianti, nessun rilievo assumendo il mero inserimento nell’organizzazione. Nel secondo caso, a differenza che nel primo, posta la valenza neutrale e anzi costruttiva dell’iniziativa imprenditoriale, si impone una repressione “oggettivamente (nei limiti degli aspetti devianti) e soggettivamente mirata”. L’esigenza di dare risposta alla domanda prospettata in precedenza, ovvero la necessità di definire cosa debba intendersi per illiceità del requisito organizzativo, se esistano delle caratteristiche che rendano l’organizzazione intrinsecamente illecita o se tale tratto dipenda, in ultima istanza, dalla mera scelta dell’interprete in sede di applicazione della fattispecie incriminatrice, induce a soffermarsi sulla disciplina dei reati in materia di rifiuti. Infatti nel settore del diritto penale ambientale si realizza, quella commistione concettuale, precedentemente evidenziata, tra impresa lecita e impresa illecita. Commistione che, tuttavia, rappresenta il frutto di una certa tipizzazione delle fattispecie incriminatrici. Sebbene si tratti di fattispecie comuni, realizzabili da chiunque tenga la condotta incriminata, sia che si tratti di gestione, traffico o attività organizzata, la gran parte dei reati possono essere commessi solo nell’ambito di attività d’impresa, posto che la produzione e la gestione nella quale rientrano la raccolta, il trasporto, lo smaltimento e il recupero di rifiuti sono quasi sempre appannaggio di imprenditori e non di privati cittadini. L’analisi si scompone a questo punto in due aree d’indagine. Da un lato vi è la necessità di proseguire nella definizione, laddove possibile, di cosa renda illecita un’organizzazione, anche indagando settori disciplinari complementari a quello penale, come la disciplina civilistica ed in particolare l’ipotesi di impresa illecita come impresa apparentemente lecita. Nella disciplina civilistica il concetto di organizzazione non si connota in termini di neutralità, non si presta agevolmente ad essere plasmato in relazione alle esigenze di tutela che emergono in sede applicativa. Ciò è fatto palese proprio dal rilievo costituzionale dato all’attività economica, che nella quasi totalità dei casi è organizzata a impresa, ancorché l’esercizio di un’attività d’impresa non è sinonimo dell’esercizio di un’attività economica. L’attività imprenditoriale, dunque, produce ricchezza ed è preordinata alla circolazione di questa con una positiva ricaduta sulla comunità, per questo l’art. 41 Cost. ne indica i caratteri e le finalità, nonché i limiti da osservare. Nell’ottica civilistica, l’organizzazione è fatta coincidere con un’attività che corrisponde in modo sistematico alle esigenze di funzionalità e di efficienza di un’impresa, per lo più collettiva. E che, per la giurisprudenza, diviene la capacità dell’imprenditore di organizzare uno qualsiasi dei fattori della produzione e quindi anche il solo capitale, non essendo l’assunzione della qualità di imprenditore necessariamente correlata all’utilizzazione del lavoro altrui, o, addirittura, la mera attività svolta in modo sistematico e continuo anche con mezzi rudimentali e limitati. Ne deriva che il discorso sull’organizzazione è un discorso sulle modalità di esercizio dell’attività. Per esercitare l’attività, occorre necessariamente l’opera di coordinamento dei fattori produttivi – capitale, lavoro, terra – nel senso che l’imprenditore deve organizzarsi e organizzare tali fattori. Dall’altro lato, si ritiene necessario esaminare la disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, specie dopo che il legislatore vi ha ricondotto, come ipotesi di reato-presupposto, alcune fattispecie associative previste dall’art. 24 ter del d.lgs. 231/2001. Nel volgere di alcuni anni si è assistito ad un progressivo allontanamento dall’originario modello di responsabilità degli enti, che operano per il perseguimento di finalità lecite al cui interno possono essere commessi reati che non incidono sulla generale liceità dell’esercizio d’impresa. Quindi, a seguito di molteplici interventi normativi sul d.lgs 231/2001 l’ipotesi di ente criminale – prima rappresentata come del tutto eccezionale – adesso si delinea come figura destinataria del precetto. La legge n.94/2009, inserendo nel d.lgs. 231 i reati di associazione - prima rilevanti solo se aventi il carattere della trasnazionalità (ai sensi della legge n. 146 del 2006) - aveva l’obiettivo di rispondere alla necessità di prevedere un opportuno intervento legislativo contro le ipotesi in cui l’attività illecita derivasse da un intervento da parte di associazioni mafiose o fosse direttamente realizzata da un’impresa mafiosa, operanti con apparenza di legittimità ma in realtà dirette da poteri criminali. Dunque, quando si estende la responsabilità degli enti rispetto ai reati che sembrano essere espressione di associazioni per delinquere, allora ci troveremo di fronte ad associazioni illecite piuttosto che ad illeciti di associazione. Di conseguenza nel caso in cui, all’interno dell’ente, vengano commessi reati espressione di associazioni penalmente rilevanti, da soggetti i quali avvalendosi proprio della struttura organizzata dell’ente ne intacchino la liceità, si rientrerà all’interno delle fattispecie sanzionate dagli artt. 416 c.p. e seg. e dall’art. 24 ter D.lgs. 231/2001. La peculiarità di questi nuovi reati presupposto, introdotti nel 2009, è proprio quella di non essere accomunati dall’obiettivo di tutela di un determinato bene giuridico da particolari forme di offesa (si pensi ai reati contro la P.A, ai reati finanziari, ai reati colposi della sicurezza sul lavoro). Il collante dei nuovi delitti è essenzialmente empirico-criminologico, essendo tutti diretti a contrastare attività criminose particolarmente gravi, normalmente appannaggio delle grandi organizzazioni criminali e spesso strumentali alla loro stessa esistenza. In questa prospettiva di lotta alla criminalità organizzata sono ricompresi sia alcuni importanti reati-fine (traffico di stupefacenti, commercio e fabbricazione di armi, sequestro di persone a scopo di estorsione), sia i due principali reati-mezzo codicistici, cioè le condotte associative in senso stretto tipizzate dagli artt. 416 e 416 bis c.p.). È proprio il richiamo a queste due fattispecie incriminatrici che potrebbe determinare effetti di estensione delle ipotesi tipiche di responsabilità dell’ente probabilmente assai più ampi di quelli che il legislatore aveva preventivato. Sul piano dell’organizzazione societaria è allora evidente come il reato associativo sia astrattamente contestabile per il semplice fatto che l’ente abbia realizzato degli illeciti. Le conseguenze pericolose: difficoltà di predisporre validi ed efficaci modelli organizzativi di gestione e prevenzione dei reati che rischieranno di risultare vaghi ed inadeguati, proprio per il fatto che si pone l’ulteriore variabile di poter estendere l’applicazione dell’art. 24 ter anche a fattispecie delittuose non comprese nel novero dei reati presupposto di cui al d.lgs 231/2001. È evidente come il legislatore abbia impresso alla disciplina della responsabilità degli enti, prevista dal D.Lgs. 231, una doppia velocità: - da un lato l’apparato sostanzialmente immutato, delle disposizioni di parte generale con i principi di garanzia, i presupposti della responsabilità dipendente da reato, l’apparato sanzionatorio e le norme processuali; - dall’altro lato una serie di reati presupposto caratterizzato dal rapido ampliamento rispetto alla soluzione iniziale alquanto ristretta. La seconda parte del lavoro, esamina alcuni conflitti che sorgono nell’ambito della disciplina della responsabilità delle organizzazioni, soprattutto in relazione al rapporto con la normativa tributaria, alla possibilità di aggredire i beni della persona giuridica e alla questione delle effettive vie di ingresso dei reati tributari all’interno del decreto sulla responsabilità degli enti da reato. Nell’ambito del sistema previsto dal decreto 231/2001, e specificamente nell’elencazione dei reati presupposto per la configurabilità della punibilità degli enti, spicca la mancanza dei reati di tipo tributario. La produzione normativa comunitaria alla base del decreto 231 era volta innanzitutto a tutelare gli interessi finanziari dell’UE e dello Stato, eppure il legislatore italiano scelse consapevolmente di non inserire i reati tributari nella delega al governo per la costruzione della responsabilità da reato degli enti. I reati tributari, tuttavia, pur assenti dalla lista dei delitti presupposto della responsabilità dell’ente, sono concettualmente e logicamente al centro dell’attività di mappatura dei rischi, che costituisce l’antecedente logico necessario per l’elaborazione del modello di organizzazione e gestione individuato come una specifica forma di esonero della responsabilità dell’ente. La scelta politico-criminale del legislatore è sicuramente criticabile in quanto è fisiologico che gli adempimenti tributari, di maggiore spessore e consistenza, concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa alle quali conseguono vantaggi indebiti per l’ente. Infatti insieme ai reati societari, i reati tributari sono gli antecedenti logici per la costituzione di fondi riservati destinati ad alimentare i reati di scopo, come la corruzione. Dunque, le aree strumentali più pericolose sono proprio quelle dimensioni organizzative dell’ente che presiedono alla gestione di risorse economiche o di strumenti di tipo finanziario che possono supportare la commissione dei reati nelle aree a rischio di reato. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di spiegare come attraverso la contraddizione tra l’assenza dell’architettura della responsabilità degli enti e la colonizzazione dei gangli vitali del sistema 231, si può raccontare il rapporto tra i reati tributari e la responsabilità degli enti collettivi: da un lato il dibattito sulla loro mancata introduzione e dall’altro lato le vie sostanziali attraverso cui i reati tributari realizzano un’incidenza diretta sulla responsabilità da reato delle persone giuridiche. La disciplina fissata dal diritto penale tributario ha suscitato un intenso dibattito dottrinario in merito all’opportunità di includere le fattispecie di cui al d.l. n. 74/2000 tra i reati presupposto di cui al decreto n. 231/2001. I fautori di tale inclusione evidenziano come il sistema potrebbe avere un’efficacia complessiva migliore anche sul piano della lotta alla criminalità in ambito tributario: l’introduzione degli illeciti fiscali tra i reati di cui al decreto n. 231/2001 non presenterebbe comunque un’innovazione problematica, visto che l’ordinamento nazionale già prevede casi in cui vi sia contestualmente una responsabilità penale, una responsabilità amministrativa ed una responsabilità dell’ente di cui al decreto stesso, come ad esempio nel caso del “market abuse” di cui agli artt. 25-sexies del decreto n. 231/2001, 187-quinquies e 187-terdecies del TUF. I contrari invece all’inclusione dei reati fiscali nell’elencazione di cui al decreto n. 231/2001 ritengono che il diritto vigente già prevede la possibilità di irrogare una sanzione tributaria all’ente, ai sensi dell’art. 19, comma 2, del d.l. n. 74/2000; inoltre, è necessario evitare una moltiplicazione delle sanzioni a carico dell’ente, secondo un sistema che dovrebbe prevedere la sanzione penale per la persona fisica, la sanzione tributaria per la persona giuridica e la sanzione di cui al decreto n. 231/2001sempre per la persona giuridica. In generale, comunque, la scelta del legislatore di escludere i reati tributari dal novero dei reati presupposto è stata ampiamente criticata e oggetto di successive attenzioni da parte del Parlamento: si segnala a tal proposito il disegno di legge S.19- Grasso del 15 marzo 2013 con il quale si proponeva di “estendere la responsabilità da reato degli enti ai reati tributari, colmando così una lacuna ingiustificabile sul terreno politico-criminale”. Analizzando più a fondo la problematica appare evidente come il sistema del decreto 269 del 2003, in tema di responsabilità amministrativa da illecito tributario, sia orientato esclusivamente a una funzione risarcitoria del danno subito dall’erario per il mancato introito fiscale; non conosce finalità di tipo preventivo. La responsabilità da reato degli enti, invece, è pensata e costruita allo scopo di catalizzare i processi di adeguamento spontaneo alle normative di riferimento, di modernizzare i procedimenti interni volti alla gestione e al controllo dei centri di rischio di commissione di illeciti penali. C’è una sorta di sistema etico che prova a introdurre nella realtà organizzativa e gestionale dell’ente misure cautelari di impedimento di reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Questa è la ragione principale per cui non è possibile sostenere la scelta di non inserimento dei reati tributari, neanche facendo riferimento all’argomento della moltiplicazione delle sanzioni per un medesimo fatto. In settori particolarmente delicati, come si è visto, l’ordinamento conosce molti livelli di sanzione per un medesimo fatto. Sono ambiti in cui massima è l’attenzione alla prevenzione e non solo alla punizione degli illeciti. La soluzione non potrebbe essere proprio quella della obliterazione della responsabilità da reato degli enti; sarebbe più ragionevole, invece, una tecnica legislativa che prevedesse criteri di sussidiarietà, o che accorpasse nel decreto 231 tutta la normativa sulla responsabilità degli enti per illecito tributario. Per i reati tributari che sono l’emblema della delinquenza economica organizzata, c’è un’intensa esigenza di politica criminale che orienta la normativa al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale; e la politica criminale in questo settore non può che essere quella della prevenzione mediante organizzazione, con relativa responsabilizzazione per difetto organizzativo. Non si tratta, in sostanza, di punire maggiormente un illecito tributario, la questione è quella di prevenire gli illeciti tributari incentivando gli enti all’adozione di strutture di compliance volte all’introduzione di regole cautelari mediamente dirette all’impedimento di reati tributari. Tale prevenzione si realizza attraverso la segmentazione del attività esecutive in tema di gestione degli obblighi fiscali, di monitoraggio sulle attività strumentali alla costituzione di fondi riservati, con la ramificazione di procedure e protocolli ispirati dall’adeguamento a standard procedurali internazionali. Questo è il motivo per cui non si può prescindere dalla ricomprensione dei reati tributari nel sistema creato da decreto sulla responsabilità degli enti da reato; oltre naturalmente ad una maggiore incisività del contesto processuale penale e del sistema sanzionatorio dovuta alla disponibilità di sanzioni interdittive, alla possibilità di applicare misure cautelari, alla effettività e dissuasività della sanzione della confisca per equivalente che rende inutile l’occultamento del profitto ed esonera l’accusa dalla prova della diretta provenienza del delitto. Dopo aver esaminato il complesso dibattito sull’inserimento dei reati tributari nella disciplina del decreto 231, il presente lavoro mira ad individuare molteplici itinerari attraverso i quali i reati tributari realizzano un’incidenza indiretta sulla responsabilità da reato degli enti collettivi: a) in primo luogo alcuni reati tributari possono essere in concreto elementi o parti di un reato già presupposto della responsabilità ex d.lgs. 231/2001. A questa tipologia si possono ricondurre le problematiche attinenti l’associazione per delinquere, anche transnazionale, finalizzata alla commissione di un reato tributario e il riciclaggio dei proventi da illecito tributario. La nuova normativa antiriciclaggio introduce di fatto per le persone giuridiche la possibilità di configurare la loro responsabilità per tali illeciti e dunque la responsabilità diretta degli enti in caso di comportamenti illeciti di persone che agiscono per loro conto. b) in secondo luogo si sono venuti a formare nel corso del tempo dei luoghi di intersezione tra reati fiscali e disciplina della responsabilità degli enti collettivi. A questo gruppo, invece, possono essere ricondotte alcune recenti decisioni in tema di sequestro preventivo e confisca tributaria. A tale proposito le Sezioni Unite nel 2014 hanno aderito all’orientamento contrario all’estensione della confisca per equivalente per reati tributari alle persone giuridiche, per assenza di una base normativa alla quale ricondurre tale sanzione, confermando, invece, l’ammissibilità della confisca diretta del profitto del reato nei confronti dell’ente. Tuttavia, nonostante l’affermazione del principio dell’inapplicabilità della confisca per equivalente all’ente, la lettura estensiva della confisca diretta fornita dalla Corte, potrebbe portare ad un’estensione di fatto nell’applicazione della sanzione contro gli enti, quando il profitto dei reati tributari è rimasto nella disponibilità della società. Infine, nell’ultima parte del lavoro sono stati inseriti degli interessanti profili di comparazione, partendo dall’assunto in base al quale il diritto è una creazione storica, politica, sociale, intellettuale, la cui esistenza e funzionamento in una data società poggia soprattutto sulla cultura della società stessa, è stata svolta un’analisi comparata tra il sistema italiano e la responsabilità penale degli enti in Cina da una parte e il modello anglo-americano dall’altra. Il diritto cinese prevede diverse tipologie di reati ascrivibili a persone fisiche ed enti: vi sono reati che possono essere commessi dall’ente e dalla persona fisica responsabile per l’ente, reati che possono essere commessi da una persona fisica o da un ente, reati che possono essere commessi da persone fisiche incaricate o responsabili del controllo, secondo una strutturazione che non segue un criterio unico a livello politico-sociale. Il modello cinese è stato qualificato come un “sistema sociale di responsabilità personalizzata”, intendendo con tale espressione un sistema in cui l’ente ha una propria volontà e capacità, per cui le sue azioni non vanno confuse con quelle delle persone fisiche. Nell’ordinamento statunitense, si assiste, invece, alla progressiva estensione, agli enti collettivi, di procedimenti di diversione processuale (deviazioni dalla normale sequenza di atti del processo penale, prima della pronuncia dell’imputazione) i quali sono diventati, oggi, lo strumento privilegiato per fronteggiare la criminalità d’impresa. A partire dagli anni ’90, si assiste alla progressiva estensione agli enti collettivi dei DPA (deferred prosecution agreement) e NPA (non prosecution agreement), con due obiettivi principali: chiamare a rispondere, degli illeciti commessi in ambito aziendale, un numero sempre maggiore di imprese, seppur mediante meccanismi di diversion più flessibili e più rapidi; scongiurare le ricadute negative che i procedimenti penali normalmente riversano sul mercato. Anche il Regno Unito ha, di recente, introdotto una disciplina ad hoc. Tale è la pervasività della giustizia dilatoria che la stessa ha finito per stravolgere i regimi di corporate liability vigenti nei sistemi di area anglo-americana, fornendo al contempo spunti comparativi anche in prospettiva di riforma del d. lgs. n. 231 del 2001.
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MARIOTTI, MARCO. ""Responsabilità colposa 'per fatto altrui"." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/630694.

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Abstract:
Il lavoro ha ad oggetto i casi in cui l’agente che ha tenuto una condotta colposa risponde penalmente anche se la lesione del bene giuridico protetto non sia stata da lui direttamente provocata, ma sia piuttosto immediatamente riconducibile alla condotta eterolesiva o al comportamento autolesivo di un altro soggetto. Tale forma di responsabilità “in relazione ad un fatto altrui”, lungi dall’essere del tutto eccezionale, si presenta in numerosi casi di omesso controllo, di inadempiuto obbligo di impedimento del reato altrui, di lavoro in équipe o all’interno di organizzazioni complesse quali grandi realtà produttive. La tesi esplora le problematiche strutturali di questa forma di responsabilità, individuando alcune “note relazionali”, elementi che fanno dipendere la definizione e la misura della responsabilità di chi è meno prossimo alla lesione del bene giuridico anche dalla condotta altrui. L’analisi, che interessa diversi elementi del reato, mira a valutare se a questi tratti di relazionalità corrispondano altrettanti istituti giuridici adeguatamente sviluppati, o se le incertezze dogmatiche e applicative impediscano una chiara ripartizione delle responsabilità tra i vari soggetti coinvolti nella realizzazione del reato. Nell’ambito del fatto tipico, viene analizzato il problema della sovrapposizione ed interruzione del nesso causale tra le diverse condotte e l’evento del reato, e ribadita la validità del paradigma condizionalistico, anche per accertare l’influenza del comportamento di un soggetto sulle deliberazioni prese da un altro (c.d. causalità psichica). Vengono poi criticamente analizzate le diverse teorie sulle fonti delle posizioni di garanzia, in cui la responsabilità del garante esiste e si manifesta necessariamente in dipendenza del comportamento di un altro soggetto. Sul punto, viene svolta una comparazione con l’ordinamento tedesco, che in tempi recenti ha optato per un approccio tassonomico dei singoli casi di omesso impedimento del fatto altrui, in chiave espansiva rispetto al riferimento alle sole fonti legali e negoziali, con il rischio, tuttavia, di aggirare il canone di tipicità. Con riguardo alla colpevolezza, il tema è la dimensione “relazionale” della colpa, che si declina in vari istituti: nella formulazione stessa di alcune regole cautelari che impongono di tener conto della condotta altrui; nel principio di affidamento, che limita la responsabilità dei singoli coinvolti in un’azione plurisoggettiva, e richiede un delicata individuazione dei suoi confini per non generare vuoti di tutela; nell’annoso tema della c.d. “causalità della colpa”, in particolare poiché l’interposizione della condotta di un altro soggetto rende quantomai incerta la verifica dell’evitabilità dell’evento. Infine, vengono esplorati i travagliati istituti concorsuali colposi. Dopo aver evidenziato le incertezze strutturali e la limitata funzione incriminatrice della cooperazione colposa, viene affermata la sostanziale inutilità dell’istituto: proprio grazie alle numerose “note relazionali” presenti nella struttura del reato, la parametrazione della responsabilità del singolo può tenere conto dell’interazione con un altro soggetto anche nella forma monosoggettiva. Ancora più significativi i dubbi concernenti il concorso colposo in reato doloso. Da ultimo, viene sostenuta l’autonomia dell’imputazione ex art. 40, comma 2 c.p. rispetto alle figure concorsuali, dal momento che anch’essa esprime una responsabilità monosoggettiva, anche se in un contesto plurisoggettivo.
This thesis provides a critical analysis of the circumstances in which an agent, who performs a negligent act, is held criminally liable for damage which was however not directly caused by his or her negligent act, but rather was caused by the act of another (with the view of causing damage either to another or to itself). This form of criminal liability “in relation to the conduct of another”, far from being exceptional, is common in many cases of failure to control or failure to prevent the commission of criminal offences by others, particularly in the context of team-working, and even more so within complex organisations having large corporate structures. The thesis examines the structural problems with this form of criminal liability. It identifies “relational elements”, the elements which enable the creation of a link between the responsibility of the agent whose conduct was the furthest to the damage, and the conduct of those having directly caused the damage. These relational elements impact both the basis on which liability attaches to the negligent agent, and the extent to which this liability exists. This analysis will cover both elements of a criminal offence, that is both the actus reus and the mens rea, with the aim of evaluating whether the legal framework at its current state effectively deals with “relational elements” as grounds for attaching liability, or whether too many uncertainties subsist when making this link– in both theoretical and practical terms– which prevent the clear and effective allocation of criminal liability among the different agents involved. First of all, with regards to the actus reus, this paper addresses the issue of concurring and intervening causes which may break the chain of causality between the agent’s action and the consequence of the actus reus, reaffirming the “sine qua non” paradigm. Furthermore, the research assesses the relevance in this context of the influence which one agent’s behaviour can have on the decisions subsequently taken by others, (known as a “psychological cause” of an action). The paper also critically analyses different theories regarding the basis of guarantees, whereby the guarantor’s liability only exists in relation to the act of another. On this point, a comparative analysis has highlighted how German case law has developed in such a way as to allow guarantees to arise from a factual basis, as opposed to solely through contract or other legally binding instruments, thus running the risk of violating the rule of law. Secondly, with regard to the mens rea element of an offence, the research examines three different examples of “relational elements”, by which another’s conduct needs to be taken into consideration, therefore entering into the mens rea element: (i) precautionary rules which can require the agent to observe another subject’s behaviour and to act accordingly; (ii) the expectation that other subjects involved will act lawfully, which needs to be accurately evaluated in order not to leave any gaps in the prevention of crime; (iii) the complex issue of foreseeability and avoidability of the consequences of one’s conduct, becomes even more intricate with the interposition of another’s conduct. Lastly, the paper will focus on joint enterprise in negligence cases. Having first of all stressed the structural uncertainties and the limited prosecutorial use of the concept of joint enterprise in the context of negligence offences, the thesis argues that through the different “relational elements” present in an offence, each agent’s liability can be independently determined by taking into account the interactions with others. It is worth noting that in the case where the mens rea element of an offence requires intentional participation to another’s negligent behaviour, these uncertainties appear to be even greater. In conclusion, the paper will point out that the liability of guarantors is independent from their participation in the joint criminal enterprise, as this type of liability arises from the guarantee itself.
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D'Angelo, Serena. "L’INTERPRETAZIONE “CONFORME” IN MATERIA PENALE SOSTANZIALE E PROCESSUALE." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/10447/94692.

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Conti, Sara. "Profili giuridici e tecnici dello scambio transnazionale delle prove digitali in ambito penale." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/2158/1211795.

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Abstract:
Il presente lavoro si è proposto di indagare su come la direttiva europea sull’EIO sia stata recepita e attuata nella legislazione nazionale degli Stati membri dell’Unione Europea. In questo modo è stato possibile avere un quadro generale sullo stato dell’arte delle procedure relative allo scambio transnazionale delle prove digitali nei processi penali. In generale, scopo di un’indagine è quello di raccogliere un ampio bacino di informazioni che riguardano un determinato gruppo di persone, una comunità o un gruppo specifico di soggetti campione che possono essere poi utilizzate, attraverso un processo di analisi, per formulare possibili soluzioni/azioni comuni. L’indagine può essere proposta sia in campo politico (ad esempio, per raccogliere opinioni, valutare exit pools), sia in campo sanitario (per valutare lo stato di salute della popolazione), nel sociale (per scoprire abitudini e necessità della popolazione), nelle ricerche di mercato (per scoprire i bisogni dei diversi gruppi interessati), ma anche in ambito giuridico per avere informazioni, per esempio, sulle modalità di applicazione di un istituto in un determinato ordinamento giuridico, o sulle modalità di attuazione di una determinata normativa. Ma un’indagine può anche essere utile in prospettiva sovranazionale, per condurre un’analisi comparata sul funzionamento di ordinamenti giuridici diversi o sulle diverse modalità di implementazione e attuazione di atti dell’Unione europea a livello dei singoli Stati membri. Questa è stata l’idea alla base del presente lavoro: raccogliere, attraverso un’indagine mirata, informazioni ottenute da determinati “target groups”. Informazioni che provengono direttamente da coloro che si trovano quotidianamente ad affrontare questioni connesse all’EIO e allo scambio transnazionale delle prove digitali eventualmente ottenute attraverso questo strumento processuale. L’indagine è stata condotta, appunto, attraverso l’elaborazione di un questionario. . Il primo passo per la strutturazione del questionario è stato quello di condurre una ricerca approfondita su tutte le iniziative europee in materia di scambio transazionale delle prove digitali ed in materia di EIO e MLA. Altra importante fonte di informazione sono stati le attività condotte e i risultati ottenuti nei vari progetti europei sul tema (ad esempio Evidence, Evidence2e-CODEX, EXEC) ai cui team di ricerca ho partecipato e partecipo dal 2016 ad oggi. Queste attività di studio e analisi hanno facilitato l’identificazione di questioni e domande pertinenti da consegnare agli attori dell’indagine. Il secondo passo è stato, infatti, proprio quello di identificare le parti interessate da coinvolgere nella ricerca. Per quanto riguarda la struttura del lavoro, dopo una introduzione dell’oggetto del lavoro e la descrizione della metodologia adottata nel Capitolo 1, il successivo Capitolo 2 è dedicato all’analisi del quadro europeo in materia di scambio transnazionale delle prove digitali nei processi penali. In particolare, viene definito che cosa si intende per “prova digitale” ai fini del presente studio e vengono spiegate e descritte non solo le iniziative e politiche europee volte al rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale ma anche la legislazione dell’Unione sul tema. Ovvero gli strumenti di Mutua assistenza giudiziaria (Mutual Legal Assistance – MLA) e l’Ordine europeo di indagine (European Investigation Order – EIO). Il Capitolo 3 è dedicato alla presentazione e all’analisi dei risultati del questionario, con particolare riferimento ai risultati delle prime 2 sezioni (A-B) e della sezione D, ovvero le sezioni giuridico-amministrative. Il Capitolo 4 è dedicato invece alla presentazione dei risultati della sezione tecnica (sezione C) del questionario, con particolare riferimento alla descrizione dello “status quo” dei sistemi di informazione nazionali utilizzati per lo scambio transnazionale delle prove digitali nell’ambito dei processi penali. Il Capitolo 5, dopo la presentazione dei risultati del questionario circolato tra i membri del CCBE e nei due seminari organizzati in presenza a Firenze e L’Aja, propone le azioni e strategie comuni volte al superamento delle barriere e degli ostacoli individuati nelle procedure di scambio delle prove digitali attraverso l’EIO. Il Capitolo 6 è incentrato sui profili di “data protection” che possono venire in rilievo nello scambio delle prove digitali. Dopo un attento esame della nuova disciplina europea in materia di trattamento dei dati personali viene analizzato l’impatto della stessa sull’implementazione dell’EIO e in generale sulle procedure di MLA. Infine, nel Capitolo 7 sono presentate le conclusioni del lavoro ed i possibili sviluppi futuri.
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FRANCHINA, Cecilia. "La cooperazione giudiziaria penale nell'Unione europea e i suoi rapporti con l'ordinamento italiano." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10447/101786.

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PAGANI, Fabrizio. "La cooperazione interstatuale in materia di lotta alla droga : Aspetti di diritto internazionale." Doctoral thesis, 1991. http://hdl.handle.net/1814/5657.

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